![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/47cd4d35eb0ebe054b974a90d0b13a42.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
29 minute read
La manovra in ritirata. Schemi esemplificativi
1916
truppe ungheresi, ceche, slovacche, rumene, slovene e polacche. L'Italia, da parte sua, non poteva far rientrare in Patria l'intero esercito nemico in ritirata, magari permettendogli di condurre con sé la quantità di armi e cannoni ancora operativa e forte che aveva distribuita sul fronte. Le trattative di pace sarebbero state avviate a breve, questione di giorni, lasciare un Esercito in forze in mano al Paese che doveva arrendersi, equivaleva a non aver certezze in fase di trattativa. L'Austria poteva costituire un nuovo fronte: anche dai confini nazionali la guerra poteva sempre riprendere. Occorreva dunque fermare la corsa dei soldati e catturare quanti più prigionieri ed armi possibili. Tuttavia, molti soldati austriaci continuavano a combattere accanitamente, con combattimenti di retroguardia, pur consapevoli che ormai per l'Austria-Ungheria la guerra era persa. Infatti, la prospettiva di finire prigionieri dopo tanti anni di guerra, di certo non li allettava, mentre combattere significava pur sempre difendere il loro diritto di tornare a casa. Dopo la richiesta del 29 del generale Weber di iniziare una trattativa, venne diramato l'ordine alla 3a Armata del Duca d'Aosta di oltrepassare subito il Piave, mandando innanzi quattro divisioni di cavalleria a est verso la pianura e la pedemontana friulana, superare i nemici in fuga e bloccarli prima che avessero il tempo di attraversare il Tagliamento e di riorganizzarsi. Anche Caviglia pensò bene di accelerare l'avanzata delle truppe della sua sa Armata in direzione ConeglianoVittorio, lanciando al contempo in avanti la sua cavalleria affinché inseguisse le truppe della 5a Armata austro-ungarica che tentava di riparare dietro la Livenza. La mattina del 3 O novembre, i lancieri di Firenze entrarono a Vittorio Veneto accolti dalla popolazione festante, mentre conducevano con sé un centinaio di soldati austriaci sopravvissuti agli scontri di retroguardia, catturati mentre cercavano di coprire le spalle ai loro compatrioti in ripiegamento sulla Livenza.
Advertisement
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/bff2d28289d04d8976582218097199bd.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/479710f0aeb01be28bd9a63b6c564fc0.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
1918
ittorio Veneto, 30 ottobre ore 15:00
(Illustrazione 24 a p. 133)
I Dragoni italiani tengono il loro moschetto puntato sui prigionieri. In realtà non ve n'è alcun bisogno, giacché i loro volti sono la rassegnazione stessa. Stremati dalla marcia forzata, dai combattimenti, dalla mancanza di sonno che la ritirata ha loro imposto, prostrati dalla fame, non sono più soldati, hanno smesso di essere tali. Ora nei loro occhi si legge solo il desiderio di ritornare a casa, finalmente. L'unico accenno di rabbia, balenante negli sguardi sfuggenti e alteri, è per non esser riusciti, nonostante tutto, a ritirare. Dopo tutti quegli anni di guerra onoratamente combattuti, finire prigionieri a conflitto praticamente finito, è uno smacco intollerabile. Ma non v'è più né la volontà né la forza di ribellarsi al destino. Rimangono docili in attesa di essere condotti altrove, nella speranza che la loro prigionia si riveli breve. Ai cavalieri italiani, per contro, sembra incredibile di poter ripercorrere le terre del Veneto che non vedono da oltre un anno, riconoscere il profilo familiare dei paesi, per quanto vi siano ineluttabili segni di razzie e qualche incendio. La soddisfazione di scorgere il sorriso sui visi dei pochi abitanti rimasti a presidiare le case disabitate, li ripaga di qualsiasi sacrificio. Le donne corrono a prendere le scarne provviste di cui ancora dispongono per offrirle ai soldati italiani, per rifocillarli e festeggiare al contempo, raccomandando di non farsi ammazzare, ma di ricacciare lontano l'esercito avversario, che non possa più ritornare. Piangono e chiedono notizie dei figli, si adirano coi prigionieri, il nemico che glieli ha portati via, finché poi le prende la compassione, perché anche quei disgraziati da qualche parte devono avere una madre.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/d987d1bd3924f0b9b8e659aa2f08e29d.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
I
L
I
Dragoni italiani scortano i prigionieri nelle vie di Vittorio Veneto
LOTTA 17LR L' AKMI5TIZIO
CONTESTO STORICO
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/74e43acadbfa09996ce6590ae327ce4b.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
a mattina del 30 ottobre Boroevic si trovò costretto ad una riunione con i suoi generali per valutare la richiesta giunta dal fronte Trentino di cessare immediatamente i combattimenti e trattare una resa addirittura senza condizioni. Per il Generale, la cosa era impensabile, la situazione doveva per forza sembrare più grave di quanto non fosse, il suo esercito era certamente in difficoltà ma, proprio preservandone l'efficienza con una ritirata ben eseguita, era certo di poter ancora salvare l'impero dalle minacce esterne ed anche interne, quali sommosse e tentativi di disgregazione. Nel frattempo, era prioritario fermare l'avanzata italiana con un armistizio dalle condizioni accettabili, che permettesse ai suoi uomini di ritirarsi dietro i confini nazionali. Giacché il tentativo del capitano von Ruggera non era andato a buon fine, il Generale Weber ebbe l'ordine di andare personalmente a mediare l'armistizio, accompagnato dal colonnello Schneller e dal tenente colonnello von Seiller.
918
trada camionabile per Avio, 30 ottobre ore 17:00
(fllustrazione 25 a p. 137) Il Generale Weber, sale a bordo dell'auto con il gruppo dei suoi ufficiali in silenzio. L'auto ad attenderli è senza capote ma, nonostante il freddo sia sempre più pungente, il Generale è grato per quell'aria fredda che gli sferza il viso, quasi un balsamo che lo costringe a riscuotersi dal cupo rimuginare di quel giorno. L'auto parte con fatica, la strada dissestata è un vero disastro e l'autista pena non poco a condurre il mezzo che sembra in procinto di ribaltarsi ogni poco. "Vada piano!" gli intima urlando sopra il frastuono del motore von Seiller, girandosi a dare un'occhiata preoccupata ai volti dei superiori. Manca solo di rimanere impantanati da qualche parte! Tutte le strade versano in condizioni penose: gli autocarri dell'esercito imperiale sono oramai tutti privi di gommatura, costretti a muoversi sui cerchioni di ferro rovinando irrimediabilmente le carreggiate, cosicché, paradossalmente, soltanto mezzi ridotti a quella maniera possono continuare a transitarvi senza rischiare di rimanere per strada. Arrivati a questo punto non vi sono davvero più alternative: il foraggio per i cavalli è finito per integrare l'alimentazione dei soldati e quelle poche bestie che rimangono non hanno nemmeno il fiato per trainare i carri, le ferrovie sono state tutte bombardate dall'aviazione italiana e quelle ancora percorribili vedono i convogli muoversi con una lentezza esasperante, giacché anche le locomotive sono troppo logore. L'impossibilità di operare spostamenti celeri di truppe e mezzi era una delle cause della sconfitta dell'esercito austriaco, giacché l'Alto Comando non poteva spostare efficacemente le riserve dai settori meno minacciati a quelli più minacciati.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/9754f2ff938ad31712cbea499dfb55c5.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
Il Generale Weber sull'auto di fronte al Comando italiano ad Avio
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/c78905b7d951d41e9c11bbae33120518.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
1916
Gli italiani gli hanno fatto sapere di dirigersi ad Avio, anche se lui vuole parlare direttamente con Diaz. Ma oramai deve adeguarsi, non è più nella posizione di dettare condizioni. Il suo esercito non è più affidabile, le diserzioni diventano sempre più frequenti non garantendo continuità al fronte, ci si può fidare soltanto dei soldati austriaci di etnia tedesca che tuttavia non possono sobbarcarsi l'intero onere di contrastare il dilagare dell'esercito italiano in corsa. Eppure, in buona sostanza, sono proprio loro a resistere a qualche chilometro di distanza, con combattimenti disperati di retroguardia, mentre lui lì, in auto, tenta di fermare una guerra e l'avanzata del nemico prima che tutto volga al peggio, prima di perdere territori, esercito, impero e la Patria per la quale molti anni prima era sceso in campo. L'auto si ferma nel piazzale davanti al comando italiano, una piccola folla di soldati si raduna in una sorta di silenzioso capannello intorno al mezzo, gli sguardi curiosi di dare un volto al generale della resa.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/b8a587194550acdf89cec12c3a701c61.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
rutl717A 5Ef117LIFICATA N. 5
QUI POTETE TROVARE
• I principali luoghi menzionati nel testo • La collocazione e l'orientamento delle tavole grafiche che accompagnano il racconto
PARADISO •
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/9ef2f42052322f9285c1b772cdb13416.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
PALMANOVA •
'QVl~ IA •
CONTESTO STORICO
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/7d2e11bfd259d48b6aac12c4b32ff590.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
entre il Generale Weber veniva trattenuto ad Avio in attesa di avere un riscontro dal Comando Supremo stanziato ad Abano riguardo alla proposta di armistizio, Diaz diramava una direttiva generale per l'inseguimento delle truppe austriache sul fronte, delineando gli obiettivi principali: l'arresto delle truppe in ripiegamento sul saliente trentino, sul Tagliamento e l1sonzo, nonché la conquista delle città simbolo dell'unità nazionale, Trento e Trieste. Occorreva guadagnare più terreno possibile prima della fine della guerra. Nel pomeriggio del 31 ottobre il generale Weber venne trasferito con gli altri rappresentanti austro-ungarici a Villa Giusti, una residenza nei pressi del quartier generale di Abano, dove l'indomani avrebbero esaminato il documento d'armistizio concordato con gli Alleati e trasmesso dalla Francia. Il primo novembre, i soldati italiani continuavano l'inseguimento dell'esercito austroungarico in ritirata: le truppe sull'altipiano arrivarono a minacciare le linee difensive a sud di Trento, dal
Grappa la 4a Armata riusciva a scendere verso valle, mentre le Divisioni del Corpo di cavalleria il 2 novembre erano addirittura arrivate al Tagliamento. Nel mentre, nell'esercito austroungarico si stava amplificando la situazione di caos generata dalle defezioni, questo accadeva dopo il comunicato del nuovo ministro della guerra ungherese Linder che ordinava alle truppe magiare di cessare i combattimenti e deporre le armi, in nome di una nuova autonomia della neonata Repubblica Democratica d'Ungheria. L'odine venne ritirato poco dopo dal generale Arz, giacché il nuovo governo ungherese avrebbe dovuto comunque garantire un'uscita dalla guerra al fianco dell'Austria, ma oramai il danno era fatto: le truppe ungheresi che fino a quel momento non avevano lasciato il fronte, ora stavano già invadendo le strade verso la nuova Patria. La sera del 2 novembre il testo in francese del trattato di armistizio fu inoltrato a Vienna, dove Carlo, non senza tentennamenti e con un certo disappunto, finì con l'approvarlo. n giorno dopo alle ore 15:00 Weber poté comunicare l'accettazione dell'armistizio, comunicando al contempo che nella notte era già stato fatto diramare l'ordine all'esercito austro-ungarico di cessare le ostilità. Badoglio, irritato, rifiutò di accettare questo dato di fatto, giacché era stato concordato in precedenza che i combattimenti sarebbero cessati 24 ore dopo la firma del trattato, ovvero soltanto alle 15:00 del 4 novembre. Weber era a dir poco contrariato, i suoi uomini avevano già gettato i fucili, mentre le truppe italiane potevano ancora combatterli e catturarli fino all'indomani. Del resto, l'ordine di cessare il fuoco non era stato concordato, Carlo aveva cercato di forzare la mano tentando di far cessare la guerra in anticipo per impedire all'Italia di infliggergli ulteriori perdite militari e territoriali, ma non vi era riuscito. La componente irredentista di Trieste, città sotto il dominio austriaco da 500 anni, nell'ultimo cinquantennio aveva particolarmente sofferto l'azione dell'Austria-Ungheria che, dal 1868, aveva favorito le etnie tedesca e slava ai danni di quella italiana. A Trieste, già dal 30 ottobre la città era insorta proclamando il suo legarne con l1talia ed aveva costituito un Comitato per la Salute Pubblica, con a capo l'ex podestà italiano Alfonso Valerio destituito nel '68, dichiarando "la decadenza dell'Austria dal possesso delle terre italiane adriatiche". L'impero austro-ungarico, che già aveva ben altre e più gravi minacce da fronteggiare, il giorno seguente aveva lasciato la città.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/f1744187d13a6cc2e2d3196a8888f504.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
1916
olo San Carlo di Trieste, 3 novembre, ore 17:00
(Illustrazione 26 all'interno di questa pagina) Quel mattino la cacciatorpediniera Audace era partita molto presto da Venezia, alle 6:00, con obiettivo Trieste. La navigazione era stata lenta, occorreva aggirare le numerose mine disseminate in quel tratto di mare a difesa della laguna e delle coste italiane. A bordo delrAudace c'è Carlo Petitti di Roreto, comandante del XXIII Corpo d'Armata, ed il Generale Coralli, mentre sulle navi del convoglio, li accompagnano i bersaglieri di due reggimenti, il 7° e 1'11 ° della II Brigata. Il molo San Carlo di Trieste si avvicina sempre più, sulla riva e ovunque fin sulla Piazza Grande si scorge una grande folla di persone in attesa del loro arrivo. Petitti di Roreto è giunto fin li per assumere il ruolo di Governatore della città, direttamente dalle mani di Alfonso Valerio, riportandola definitivamente sotto l'egida italiana. L'Audace finalmente attraé'ca, le passerelle sono approntate, i soldati,scendono mentre la folla, provata dai raziona.menti e dall'epidemia di spagnola, saluta festante ed in visibilio il loro arrivo. La gente si accalca, i soldati sbarcano schierandosi
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/75b408a1c17c7067f413ec7074bda0e2.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
La folla festante di Trieste accoglie i bersaglieri I bersaglieri sfilano dopo essere scesi dal convoglio dell'Audace
sul molo, qualche ragazza si protende per dare loro un bacio di benvenuto. Gli squilli di tromba sembrano a tutti la più dolce melodia, la corsa dei bersaglieri si dirige verso Piazza Grande!
Cosa accadde dopo
Il diarista de ll' 11 ° Reggimento Bersagli eri descriverà così quel giorno sul rapporto ufficiale: "L'accoglienza fatta dalla popolazione ai primi soldati d'Italia sbarcati a Trieste è entusiastica, delirante. Tutti vogliono baciare i nostri bersaglieri e portare in trionfo i nostri capi. La città è imbandierata, i bersaglieri passano sotto una pioggia di fiori. Il comando ed il battaglione prendono stanza alla Caserma Grande, già santificata dal martirio di Oberdan". Il molo San Carlo di Trieste, nel dopoguerra sarà ribattezzato molo "Audace" ed a ricordo dello sbarco verrà apposta una rosa dei venti realizzata con il bronzo delle armi nemiche, al centro della quale campeggia il memento: "Approdò a questo molo la R. Nave Audace prima col vessillo d'Italia, III novembre MCMXVIII". Il 20 dicembre successivo, sarà proprio Alfonso Valerio, reintegrato nella sua funzione di sindaco, a commemorare ufficialmente per la prima volta Guglielmo Orbedan, nella sua città, insieme al Re d'Italia Vittorio Emanuele III.
n questa guerra fatta di innovazioni belliche incredibili e mai viste, di cannoni immensi, di terribili mitragliatrici e lanciafiamme, di aerei bombardieri, di radio per le trasmissioni, gas micidiali, autoblindo e carri armati, ebbene, in questa corsa tecnologica che dettava gli esordi dell'era moderna, la cavalleria, oramai anacronistica ma ancora indomita ed efficace, volle chiudere in bellezza il suo impiego sul campo, rendendo all'Italia un grande servizio. Mentre le truppe appiedate correvano alla conquista dei monti e, compatibilmente alle loro possibilità, cercavano di occupare gradualmente il territorio secondo le direttive imposte dal Comando Supremo, le truppe celeri incalzavano il nemico, arrivando a superarlo, per andare a occupare gli obiettivi cardine utili per rivendicare alcuni territori al tavolo delle trattative di pace. In questa fase la cavalleria ebbe un ruolo determinante, rimaneva infatti il mezzo più rapido per spostarsi sul territorio, attaccare se necessario le ultime difese nemiche e occupare la zone d'interesse, difendendole fino all'arrivo dei rinforzi. Fu così che l'arma "nobile" fu la prima a raggiungere Trento alle 15:00 del pomeriggio del 3 novembre, con i cavalleggeri del reggimento Alessandria, mentre le Divisioni di cavalleria raggiunsero il Tagliamento, avanzando fino ad Udine. Il Corpo di cavalleria italiano comandato da Vittorio Emanuele di Savoia Aosta, fratello minore del ben più celebre Duca d'Aosta, vide le sue truppe montate raggiungere e conquistare in seguito anche Tolmezzo, Cividale del Friuli, Cormons, Palmanova e San Giorgio in Nogaro, infine Aquileia, dopo aver catturato intere divisioni austriache.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/2d6fc7fe91a6870697e92c8831243ef5.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
\ :or\ ·-
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/695a4ef9fea4a8793cfdb2e05ef003f6.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/03f277cf0de3943331279ee8c96bcb95.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/a05495938581bfb9fa4fae64c0002468.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/f6a3abb976b72183184a7dd111fc55ee.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
' / li b fi; \\V/J.;_Jfb:;,
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/313579462718004b37383308e100eb14.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
1916
n canale a nord-ovest di Aquileia, 4 novembre ore 14:30
(Illustrazione 27 a p. 144) Alcuni uomini della 2a Divisione di cavalleria sfiancano i loro cavalli per arrivare il prima possibile alle porte di Aquileia, come da ordini superiori. Nessuno di loro ha mai visto la città, le indicazioni stradali sono state distrutte dagli abitanti del luogo per confondere le truppe austro-ungariche in ripiegamento, per cui cercano di attene;rsi alle indicazioni di massima ricevute prima di partire dalla zona del basso Tagliamento. I cavalli che stanno montando sono oramai esausti, li hanno impegnati tutto il giorno in lunghe cavalcate e combattimenti di scarsa intensità, contro contingenti di soldati austro-ungarici che hanno difeso soltanto la loro voglia di tornare in Patria. Non devono essere troppo lontani, mentre guadano un canale scorgono l'apice di un'antica torre campanaria dietro gli alberi. Fra di essi, un giovane ufficiale, provato dagli eventi della giornata si regge in sella soltanto per la forza dei suoi nervi e per l'adrenalina che lo tiene pronto a scorgere il nemico dietro ogni anfratto. Discendente di una nobile famiglia lombarda, prima di andare in guerra, studiava arte all'università. Ora, quando gli capita di pensarci, non gli paiono nemmeno reali quei giorni, come se i ricordi fossero inventati oppure appartenenti ad un altro. Non gli sembra nemmeno di conoscerlo quel giovane uomo studioso, innamorato di mosaici ed affreschi di lontana memoria. Ma proprio ora, in sella e nel bel mezzo di un'avanzata, non appena il suo cavallo supera d'un balzo il canale, si ritrova a governarlo in mezzo ad un terreno cosparso di antichi resti di civiltà perdute ed ha un sobbalzo. Rallenta al passo la bestia per osservare quelle pietre che lo colpiscono come un pugno in faccia, a ricordargli l'uomo che era. I suoi compagni sono già avanti, proseguendo cauti per valutare eventuali presenze ostili
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/59fb3cd06d0aec46dad3d7bbbe79d09e.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
La cavalleria varca i canali
all'intorno. Getta un'ultima occhiata a quelle pietre e con rammarico li raggiunge. Superati gli alberi, si dispiega loro innanzi la splendida basilica dell'XI Secolo, il giovane cavaliere rivede all'istante i mosaici ben più antichi conservati all'interno e riportati in bianco e nero nei suoi amati libri, riconosce le pietre appena superate come l'antico porto fluviale ... non ha il tempo di riaversi che i suoi compagni si sono già lanciati verso il centro del paese. Si riscuote e sprona il suo cavallo a seguirli. Invidia quelle pietre, mute e silenti, testimoni ignare di innumerevoli guerre, morte e dolore. Si chiede se il mondo tornerà mai ad essere lo stesso.
Nota
Il giovane cavaliere è uno dei due personaggi di questo volume a non avere una precisa corrispondenza con la realtà, l'episodio vuole essere emblematico dei molti giovani che lasciarono mensione nei loro diari di riflessioni simili a quella qui descritta.
QLI \JL TIMI LKOI
CONTESTO STORICO
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/0a21707e3b004f824968a9e9c23d3bc6.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
ra la mattina del 4 novembre, ancora un pugno di ore e l'armistizio sarebbe entrato in vigore, quando i reparti dell' 8 ° Reggimento Bersaglieri e dei Cavalleggeri di Aquila passarono il Tagliamento sul ponte diroccato di Madrisio di Varmo. Proseguirono oltre, superando con difficoltà il fiume Stella, dove alcune mitragliatrici nemiche stavano appostate sull'altra riva. Superato anche quest'ultimo ostacolo, inseguirono il nemico in ripiegamento fino alla borgata di Paradiso. Mancavano soltanto cinque minuti alle 15:00, quando gli italiani giunsero al trivio alle porte del piccolo paese, dove incontrarono l'ultimo nido di resistenza austro-ungarico. Fra i bersaglieri dell'8° reggimento, si trova il giovanissimo Alberto Riva di Villasanta, classe 1900. Alberto era fuggito da casa appena diciassettenne per arruolarsi come volontario, dopo aver sofferto la morte del padre, deceduto nel 1916 sull'altipiano di Asiago con il grado di maggiore e due medaglie d'argento. Se non fosse bastato questo lutto ad animarlo della voglia di combattere contro gli uccisori del padre, sopraggiunse anche la morte in guerra di tre dei suoi cugini ed il ferimento del fratello, soldato al suo fianco. Combatté in prima linea sul Piave con il 90° Reggimento Fanteria, quindi frequentò il corso Ufficiali, venne infine promosso sottotenente e assegnato al comando del reparto arditi dell'8° Reggimento Bersaglieri. Nella Battaglia del Solstizio conquistò una medaglia d'argento al valor militare, ma ancora non gli bastava. Voleva combattere l'invasore, che lo aveva privato di così tanti cari_, fino all'ultimo istante di guerra.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/dbab7f152783ac24c77677a11789d08f.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
1918
rivio di Paradiso di Pocenìa, 4 novembre, ore 14:55
(fllustrazione 28 a p. 147) Superato il fiume Stella sul ponte semidistrutto, arrangiando due tavole per permetterne l'attraversamento, i cavalleggeri si arrestano, attendendo sull'altra riva i bersaglieri dell'8° Reggimento che avanzavano con loro. Gli austriaci che li hanno con- trastati fino a qualche tempo prima, si sono allontanati ma hanno poco vantaggio. Si devono essere appostati non molto lontano, occorre un'azione coordinata per stanarli e catturarli, altrimenti le loro mitragliatrici possono avere la meglio su arditi, cavalli e cavalieri. Davanti al contingente di italiani si apre alla vista un susseguirsi di campagne e piccoli caseggiati, collegati da stradine di poca importanza. La cavalleria decide di proseguire tenendosi a breve distanza dai fanti: alle prime avvisaglie del nemico, si sarebbe allontanata compiendo un gran giro per prenderli infine"alle spalle, mentre i bersaglieri li avrebbero nel frattempo trattenuti con un combattimento frontale. Arrivano nei pressi del paesino di Ariis, lo superano senza aver alcuna avvisaglia della presenza nemica. Si dirigono sulla strada che lambisce il villaggio di Paradiso e, poco prima di giungere al vicino trivio, una raffica di mitragliatrice falcia numerosi uomini. Gli austriaci si sono appostati con una mitragliatrice dietro la bassa vegetazione e li hanno attesi. Alcuni cavalli vengono colpiti da proiettili e bombe a mano, trascinando con sé a terra i loro cavalieri. Alberto Riva di Villasanta gridando la carica si lancia all'attacco con i bersaglieri ma viene colpito mortalmente. Il grosso del gruppo di austro-ungarici tenta di ritirare, mentre i mitraglieri cercano di coprire la loro fuga con fuoco di sbarramento, la cavalleria nondimeno si lancia all'inseguimento. Sono le 15.00, l'armistizio entra in vigore, ma al trivio di Paradiso nessuno sembra esserne al corrente. A terra giace Alberto, uno dei più giovani soldati della guerra, fra gli ultimi caduti d'Italia, che paga con la vita il prezzo di quelle terre su cui torna a sventolare il vessillo tricolore.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/8521066607273348319d1fbdd3b946a4.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
Morte di Alberto Riva di Villasanta
LA fAMA e LA nr:MORIA
e Caporetto ebbe l'immeritata fama di "rotta" e "disfatta", Vittorio Veneto non fu a sua volta risparmiata da giudizi assai severi, sebbene in misura minore. Ancora una volta, gli italiani si dimostrarono negli anni bravissimi nell'autocritica per nulla costruttiva, ossia nell'esaltare le proprie sconfitte e nell'affossare le vittorie. Prezzolini, nel 1920 affermava: "Vittorio Veneto è una ritirata che abbiamo disordinato e confuso, non una battaglia che abbiamo vinto ... a Vittorio Veneto non abbiamo battuto l'esercito austriaco che era già vinto; non abbiamo distrutto l'Austria che era già in pezzi...". Possiamo solo immaginare quale dolore possa aver provato a fine guerra un reduce del Grappa nel leggere queste parole. Ma proprio qui sta il punto: Prezzolini parlava ad un'Italia che la guerra l'aveva vista e combattuta, che ben sapeva come prendere le sue parole, ossia come l'ennesima provocazione di un noto fustigatore della politica, che ben altro mirava a sostenere. Solo chi, come noi, la guerra non l'ha né vista né vissuta può fraintendere. A Vittorio Veneto furono 36.000 le perdite subite dall'Italia, fra queste più di 7000 morti, certo cifre più contenute rispetto alle carneficine dell'Isonzo e del Solstizio, ma non si possono nemmeno considerare poco rilevanti. Se è vero che la divisione interna dell'Austria-Ungheria aveva portato a numerose defezioni nell'esercito, da parte di quei popoli che aspiravano ad ottenere l'indipendenza dall'Impero, è anche vero che buona parte dello schieramento era ancora saldo nelle sue posizioni e che resistette combattendo valorosamente, finanche negli ultimi scontri. Se e quando mancò lo spirito patriottico, fu lo "spirito di corpo" a prenderne il posto ed a conservare la coesione delle truppe austriache sul Grappa e sul Pertica, spingendole a resistere, a onorare la propria bandiera in memoria dei commilitoni lasciati sul campo in quattro anni di lotta, ad immolarsi in combattimenti oramai senza speranza fino all'ultimo giorno di guerra. Non solo, nella compagine austroungarica era ben radicato il rifiuto a cedere quelle terre alle istanze risorgimentali italiane, nonché l'intento di preservare ad ogni costo un'identità militare forte, su cui costruire il futuro stato nazionale che stava ormai sostituendo l'impero asburgico. Sebbene l'esercito d'Austria-Ungheria fosse uscito dalla Battaglia del Solstizio estremamente provato, avendo subito perdite ingenti e trovandosi in difficoltà con gli approvvigionamenti, l'Alto Comando era nondimeno pronto e determinato a difendere il Veneto ad oltranza, giacché era l'unico pegno che poteva barattare al tavolo delle trattative di pace che, a ben intendere, avrebbe dovuto presto affrontare. Se dunque le notizie dal fronte interno incentivavano una parte delle truppe alla diserzione, è anche vero che il servizio di propaganda austriaco faceva di tutto per mantenerle fedeli quanto meno ai propri comandi. Il risultato sul campo di battaglia, come riporta Tullio Marchetti, era una "scorza dura" delle prime linee, forte dei soldati di origine tedesca, mentre lé truppe maggiormente influenzate dalla crisi interna al Paese erano quelle di riserva o di rincalzo, che avrebbero dovuto entrare in campo solamente dopo lo sfondamento delle prime linee. Per gli italiani non fu per niente facile rompere quella "scorza", che resistette quasi una settimana prima di cedere. Quello che invece fu alla base del successo finale, fu la capacità delle truppe italiane di sfruttare lo sfondamento, riuscendo ad accerchiare in
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/5a6cb72a36b01b51043eb918b0c91894.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
.915
breve tempo molte grandi unità nemiche, raggiungendo infine gli obiettivi prefissi prima di una riorganizzazione dell'esercito avversario, grazie all'invio delle truppe celeri ( cavalleria e bersaglieri). Si verificò, a parti invertite, quanto era già avvenuto a Caporetto, con la differenza sostanziale che gli austriaci, nella loro offensiva, non avevano previsto truppe veloci da lanciare alla conquista del territorio, giacché non contavano di poter puntare verso obiettivi tanto lontani. La fortuna aveva loro arriso oltre misura, aprendo una porta che non si aspettavano di varcare e davanti alla quale giunsero non del tutto preparati. Anche per questo, non fecero in tempo a circondare il Regio Esercito che riuscì dunque a ripiegare sul Piave. Non altrettanto avvenne a Vittorio Veneto: le truppe italiane lanciarono subito cavalleria e bersaglieri alla conquista delle città chiave, mentre l'aviazione bombardava senza tregua le truppe in ritirata, arrestandole e facendole cadere prigioniere della fanteria che avanzava. A quel punto, per gli austriaci non vi era più una linea dietro cui riparare, perché le truppe erano decimate ed il grosso dell'artiglieria in mano al nemico. A completare il quadro, si deve certamente aggiungere anche l'ammutinamento dei soldati delle nazionalità che oramai aspiravano all'indipendenza. Anche qui, è importante cogliere la differenza fra quanto avvenne durante la ritirata fra i soldati italiani a Caporetto e quanto avvenne fra gli austriaci a Vittorio Veneto. L'indomani della penetrazione austro-tedesca fra Plezzo e Tolmino, le diserzioni che inevitabilmente si accompagnarono alla ritirata, avvennero sulla base del rifiuto della guerra e della sua utilità, tuttavia, fra le truppe italiane non subentrò mai un vero e proprio rifiuto dei comandanti, ancor meno una reale messa in discussione del sovrano e del governo. I soldati chiamati a combattere prima in difesa e poi in retroguardia, non si sottrassero certo al compito. Anche quando, nel caso della 2a Armata, si "ruppero le righe", si trattò di un effetto temporaneo legato allo sfondamento, ma in seguito fu possibile recuperare quelle truppe e restituire loro capacità operative. Al contrario, a Vittorio Veneto fra le file dei soldati imperiali si ebbe un reale e definitivo disconoscimento dell'autorità militare e civile, soprattutto fra le truppe di rincalzo. Ecco perché in questo caso e a buon titolo si può parlare di "disfatta" o "rotta": dopo lo sfondamento italiano, invece di lanciarsi nella battaglia, la maggior parte dei corpi oppose più o meno espliciti rifiuti di obbedienza, inneggiando all'indipendenza e avviandosi verso oriente, con un reale "disfacimento" della compagine dell'esercito. Dopo Vittorio Veneto, non sarebbe più stato possibile recuperare "gli sbandati" e reintegrarli nello schieramento, perché buona parte dei soldati austriaci, dopo la rotta, erano entrati a far parte di eserciti differenti, in nazioni neo costituite. Tuttavia, occorre ricordare che anche durante la ritirata austroungarica non mancarono i reparti capaci di conservare la coesione, di battersi tenacemente come retroguardie, di reagire fino all'ultimo istante ai tentativi di penetrazione italiani. Dunque aveva ragione Prezzolini nel negare un reale scontro? Di certo non aveva ragione nello sminuire la battaglia di Vittorio Veneto che fu decisamente combattuta e sofferta dagli italiani, soprattutto sul Grappa. Ma Prezzolini non voleva sostenere questo, voleva piegare il discorso verso un altro scopo. Voleva rimarcare la valenza di Caporetto in relazione a Vittorio Veneto, sostenere la Battaglia del Solstizio quale vittoria umile e più salda di quella finale. Voleva denunciare tutti quelli che a frotte erano saltati sul carro del vincitore, cancellando tutto il "sano" dolore precedente, che aveva cambiato l'Italia rendendola migliore, più umile e finalmente unita. Voleva sottrarre da sotto i loro piedi il pomposo alloro, per far tornare l'Italia, ebbra di vittoria, con i piedi per terra. In questo, per certi versi, aveva le sue ragioni, visto che alla Prima Guerra Mondiale ne seguì una seconda, scatenata cavalcando l'onda della vittoria italica, con velleità di nuove e improbabili conquiste. Vittorio Veneto è una battaglia che non si può riassumere soltanto negli eventi che vanno
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/db4e7825ae39bf0501cb2f83f8c4d7e8.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
dal 24 ottobre al 3 novembre 2018. Vittorio Veneto trae le sue origini da Caporetto, trova radici solide nelle battaglie difensive delle Battaglie d'arresto e del Solstizio, infine si consolida nella vittoria finale. Questo perché i soldati della ritirata furono in gran parte i medesimi della vittoria, non erano cambiati se non nell'animo. Non vi furono soldati perdenti e soldati vincitori, essi in gran parte furono gli stessi (si escludono ovviamente i caduti). Nell'esercito, il primo grande artefice del cambiamento fu Diaz: egli prese a cuore il soldato non trattandolo più da mero esecutore degli ordini, ma spiegandogli la ragione del suo combattere, il valore del suo sacrificio, dando fiducia ai propri ufficiali, motivando e rendendo migliore e più coesa la compagine armata. Sul fronte interno, i profughi furono l'incentivo migliore, perché tutta la penisola dovette prendere atto del dramma delle migliaia di famiglie che avevano dovuto lasciare tutto e che ora chiedevano asilo fra le lacrime e lo sconforto. Non si andava più alla conquista di terre straniere, ma di paesi, campi e monti dai nomi familiari. L'Italia intera cambiò dopo Caporetto, mettendosi a fianco del soldato che vide finalmente riconosciuto il proprio sacrificio. La classe politica comprese i propri errori: l'aver voluto una guerra di conquista, facile e rapida, per poi lamentare le morti e le privazioni che essa comportava. D'innanzi alla ritirata, nessuno poteva più sottrarsi alla colpa: ad essere sconfitti non erano solo i soldati, ma chiunque quella guerra l'aveva voluta e, non ultimo, tutti coloro che avevano promosso l'idea della resa, minando l'animo di chi stava combattendo anche per loro. Scesero allora in campo non solo i soldati, ma l'Italia intera. Durante la Battaglia del Solstizio alle falde del Montello, i contadini incitavano i soldati ed al contempo continuavano a mietere imperterriti il grano, mentre intorno a loro cadevano le bombe degli aerei nemici ed a poche centinaia di metri si combatteva aspramente. Mietevano il grano perché quello era il loro compito, il loro campo di battaglia, ognuno faceva il proprio dovere, pur conscio del pericolo. Ecco cosa aveva fatto Caporetto. L'errore che si fece, sminuendo o esaltando oltremodo la conquista di Vittorio Veneto, era pensare che fosse disgiunta da questa presa di coscienza. Tutto partì dall'estremo dolore della perdita, fu proprio la più grande sconfitta italiana nonché la più grande vittoria austriaca a far trovare alla Nazione la forza di invertire questi due risultati, di cambiare le sorti della guerra quando sembravano già segnate. Naturalmente, parte dell'ingiusta fama di "disfatta" di Caporetto e di "finta" battaglia di Vittorio Veneto dovette la sua forza anche alla storiografia estera del dopoguerra: agli austriaci certo faceva buon gioco esaltare le vittorie più delle sconfitte, nonché sottolineare la presenza delle truppe britanniche e francesi nell'ultima battaglia, giacché perdere contro la "piccola Italia" non era tanto onorevole quanto soccombere a tre nazioni unite e coese. Francia ed Impero Britannico, da parte loro, vollero sottolineare il loro contributo e come fosse decisivo il passaggio sconfitta-vittoria avvenuto proprio in concomitanza del loro apporto. Nonostante questo, nessuno di loro ha mai superato parte della storiografia italiana, che ha fatto scontare a Vittorio Veneto anche l'esaltazione fascista, che troppo operò dal lato opposto, creando miti ampollosi quanto inesistenti. Questa pesante eredità di "onte" e "false vittorie" non ha fatto altro che alimentare la propensione a dimenticare queste pagine di storia, cercando di evitare temi "scomodi" e senz'altro dolorosi. Così ben presto sono andati dimenticati i tanti eroi che combatterono a Caporetto assieme a quelli che morirono a Vittorio Veneto, che in questo volume abbiamo voluto iniziare a ricordare. A cento anni dalla guerra, è dunque l'ora di dimenticare la fama per lasciare spazio alla memoria.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/afa3e030d1acfb03053835aa92771448.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
RINQRAZIAMENTI
La più alta espressione di riconoscenza va al Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Generale di Corpo d'.Armata Salvatore Farina, per il credito e la fiducia concessi al progetto. Il suo apporto è stato fondamentale nel dare prestigio ad un'iniziativa dedicata alla divulgazione storica degli eventi della Grande Guerra.
I più sentiti ringraziamenti vanno inoltre a tutti gli appartenenti allo Stato Maggiore Esercito che, a vario titolo, hanno esaminato e valutato l'opera, nonché promosso i suoi contenuti.
Al Prof. Paolo Pozzato ed al Dott. Marco Pascoli per aver letto i testi valutandone la verosimiglianza, nonché per aver reso disponibili i loro studi. Al Prof. Fortunato Minniti ed al Dott. Giacomo Bollini, poiché dai loro libri sono tratte alcune fra le citazioni più belle.
Uno speciale ringraziamento va agli artisti Massimiliano Notaro ed Alessandro Nespolino, per aver accolto con pazienza bozzetti, foto, dettagli e correzioni sempre troppo numerosi, riuscendo ad interpretare magistralmente gli eventi narrati.
Un ringraziamento particolare va a Vittoria Assicurazioni, exclusive sponsor, per la partecipazione a questa iniziativa, che testimonia il lodevole impegno di detto Istituto nella promozione di progetti culturali volti alla creazione di una memoria storica collettiva, ogni giorno sempre più necessaria e preziosa.
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/89e6ff0731949ff7975a833cbb4a08d7.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
/ Federica Dal Forno
5Ct1r])A DI -• Af7f7KOrONDIMf:NTO •-
LA MANOVRA IN RITIRATA 5(11EMI E5EMYLlil(ATIVI
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/da0113bca14c5ddb82cc324ca1e31a24.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
1918
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/9e18d60111f1aa6e2c9e15820201ba3c.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
191(3
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/5b53781a3e5f37db279266327c0e66d0.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/2e1cda5a8904626bfd60d8b5d80c026e.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
Finito di stampare nel mese di Gennaio 2020 presso Gemmagraf 2007 S.r.l. www.gemrnagraf.it
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/48d24ca849b955a174324d52fd2c5b90.jpeg?width=720&quality=85%2C50)
![](https://assets.isu.pub/document-structure/210711135321-c040186925cdfb04f1cfb20a18a1e6a6/v1/b9cf42b52a308c91be46dd2d42b8d4a8.jpeg?width=720&quality=85%2C50)