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G Sernaglia della Battaglia

1918

Quel che accadde dopo

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I barcaioli del capitato Odini, erano dei soldati che prima della guerra facevano i gondolieri a Venezia e che furono appositamente convoca.ti per l'impresa. Essi continuarono anche nei giorni seguenti con le loro imbarcazioni simili a gondole ad aiutare i soldati britannici nel tentativo di conquistare le Grave di Papadopoli, cercando di superare il problema del fiume in piena che non consentiva il gittamento di ponti o passerelle e rendeva ingovernabile qualsiasi altro natante. La sera del 26 ottobre, il comando austriaco stava già organizzando una controffensiva, per liberarsi della spina nel fianco della testa di ponte conquistata dai britannici sul Lido, quando, essendosi sopita la piena del Piave, i genieri italiani riuscirono finalmente a completare il primo ponte a Salettuol, così da consentire alle truppe di Shoubridge di attraversare in forze il fiume, contrastando adeguatamente il nemico. I diaristi britannici furono i primi a dare il merito dell'impresa agli italiani: "E' impossibile esagerare parlando dell'assistenza prestataci allora dai barcaioli italiani. La loro abilità era semplicemente fantastica. Da principio eravamo dubbiosi, poi, incredibilmente, il miracolo era sotto i nostri occhi. [ ... ] abilità a parte, anche il loro impegno indefesso e coraggio sono stati eccezionali. Nessuno degli stranieri ha fatto per l'esercito britannico più del capitano Odini nelle notti dal 23 al 26 ottobre".

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Soldati britannici sbarcano sull'isolotto del Lido in mezzo al Piave

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CONTESTO STORICO

opo la ritirata di Caporetto, l'Austria-Ungheria aveva tentato più volte di aggirare via mare le linee difensive italiane disposte sul Piave, tentando uno O i sbarco nei pressi di Venezia. A difesa della laguna, così come di tutte le coste italiane, operava la Marina Italiana, con truppe di mare e di terra. Contro le incursioni austro-ungariche, la Regia Marina aveva già dato prova di carattere, attaccando con i MAS i porti avversari, come nel caso di Buccari e Trieste. Tuttavia, gran parte della flotta austriaca trovava riparo nel porto di Pola, una vera roccaforte naturale facilmente difendibile con pochi e ben muniti presidi. Colpire quella rada significava dunque mettere in seria difficoltà l'intera flotta austriaca, ecco perché Pola rimase un chiodo fisso per gli italiani, fino alla fine di novembre 1918. In particolare, un Tenente medico della Marina Militare, un certo Raffaele Paolucci, non si dava pace. Da più di un anno si allenava duramente nelle acque gelide della laguna, con l'obiettivo di riuscire in un'impresa davvero ardita: superare le difese subacquee dell'insenatura di Pola grazie ad un MAS (motoscafo armato silurante), lasciarlo all'imbocco del porto per non essere visto, proseguire infine a nuoto per andare a minare una nave da guerra austriaca, naturalmente conducendo con sé l'ordigno necessario a farla saltare in aria. Il Capo di Stato Maggiore della Marina, Paolo Thaon di Revel, era un uomo particolarmente incline a promuovere le iniziative dei suoi uomini, specialmente se innovative sotto il profilo tattico. Quando Paolucci di propose di tentare quell'impresa, decise di incoraggiarlo, nonostante non confidasse molto che un solo uomo potesse portare a buon fine una tale missione tutto da solo. Da qualche mese, un Maggiore del genio navale, Raffaele Rossetti, stava lavorando ad un promettente mezzo, una torpedine semovente che aveva ribattezzato "Mignatta". La forma era quella di un siluro, era dotato di motori ad aria compressa e due alloggiamenti in testa / per ordigni a tempo. Lo scopo di tale marchingegno, era quello di permettere lo spostamento silenzioso in mare di due operatori muniti di cariche esplosive ( di 17 5 chili l'una con spoletta comandata a tempo), che avrebbero così potuto avvicinare una nave da guerra senza essere uditi, ancorare alla sua chiglia le bombe a scoppio ritardato ed avere il tempo di allontanarsi prima dell'esplosione. Naturalmente il tutto doveva avvenire durante la notte. Thaon di Revel pensò che se i due Raffaele fossero riusciti a raggiungere i loro obiettivi, l'unione delle loro forze avrebbe reso possibile un'impresa memorabile!

ido di Venezia, 23 ottobre, ore 23:00

(fllustrazione 18 a p. 111) Stanno nuotando da appena tre ore ed il freddo delle acque gelide della laguna si faceva sentire. Prima di entrare in acqua, Raffaele Rossetti e Raffaele Paolucci si erano cosparsi del consueto olio canforato sotto la tuta di stoffa impermeabile: dagli esperimenti che il Tenente medico aveva condotto su di sé fino a quel momento, sembrava quello l'unico sistema che aiutasse un poco a resistere alle basse temperature di quelle acque, in cui sarebbero rimasti immersi per almeno altre 4 ore. Quello era uno degli ultimi allenamenti notturni

1918

che avrebbero potuto fare prima della loro missione, prevista di lì ad una settimana. A momenti sarebbe iniziata l'offensiva italiana e loro vi avrebbero partecipato con un'azione davvero ardita! Paolucci si sente percorrere da un brivido d'eccitazione, mentre cerca di resistere alle onde del mare, reggendo una grossa pietra fra le mani, allenandosi a sostenere la fatica del manovrare la "mignatta" anche a motori spenti. Chiama il compagno con un gesto, è ora di tornare al porto, passando sotto il naso delle vedette italiane che non sanno del loro allenamento. Rischiano di finire impallinati dai loro stessi compagni, ma anche quello fa parte della loro preparazione: a Pola li avrebbero attesi le vedette austriache e loro dovevano abituarsi ad essere invisibili e silenziosi, muovendosi nell'acqua come pesci. Anche per questo, si erano inventati un copricapo a forma di fiasco, cosicché, in caso di avvistamento, avrebbero scambiato le loro teste per bottiglie vuote alla deriva. Tornano a nuoto al molo, Rossetti è evidentemente stremato, giacché si sta allenando all'impresa solo da qualche mese, mentre Paolucci nuota così da oltre un anno. Legata al molo, c'è l'invenzione di Rossetti, quella che oramai chiamano "mignatta", perché la forma ed il tipo di ancoraggio delle sue mine fanno pensare al fastidioso verme acquatico. A sorvegliare l'apparecchio, vi è un marinaio della Brigata Marina, che appena li vede arrivare slega le cime e le getta verso di loro. "Si traina!" mormora fra sé e sé Paolucci, stringendo i denti e mollando la grossa pietra vicino alla riva. I due giovani ufficiali iniziano a trainare quella specie di siluro, finché Rossetti non decide che è ora di provarne ancora una volta l'efficienza, accendendo i motori e facendosi trasportare per un lungo tratto di costa. Paolucci indica un punto ben lontano da dove si trovano in quel momento. Rossetti sospira, sa che il ritorno lo avrebbero fatto tutto a nuoto, trascinando a peso morto la sua splendida invenzione. Rossetti accende i motori della Mignatta che, silenziosa, li fa correre veloci sulle onde del mare, facendoli sentire fieri ed invincibili.

Quel che accadde dopo

Qualche giorno dopo, il 31 ottobre, Rossetti e Paolucci furono accompagnati da un MAS fino all'imbocco del porto di Pola, da qui proseguirono trainando la Mignatta a motore spento oltre gli sbarramenti di sicurezza del porto, infine la misero in moto e giunsero in prossimità della corazzata austriaca Viribus Unitis alle 4:45 del 1 novembre. Rossetti riuscì ad ancorare il primo ordigno allo scafo della nave ed ad innescarlo, ma non appena raggiunse Paolucci che lo attendeva governando la mignatta fra le onde generate dal brutto tempo, le sentinelle nemiche li scoprirono, illuminandoli con un proiettore. Furono catturati, ma prima Paolucci riuscì prontamente ad innescare anche il secondo ordigno ed ad affondare la mignatta, che andò a posizionarsi sotto al piroscafo Wien, ormeggiato a poca distanza. Quello che non sapevano i due ufficiali era che l'Austria-Ungheria, poche ore prima, resasi conto che oramai la guerra era persa, aveva ceduto tutta la sua flotta ad uno stato neutrale appena formatosi, lo Stato degli Sloveni, dei Croati e dei Serbi (non ancora riconosciuto), allo scopo di impedire che le proprie navi finissero in mano agli Stati dell1ntesa. Paolucci e Rossetti, non appena vennero a conoscenza del fatto, preferirono salvare l'equipaggio della nave, comunicando al comandante della Viribus Unitis, Janko Vukovié, che a bordo si trovava un ordigno. La nave fu evacuata, ma poiché l'esplosione tardava ad avvenire, il comandante pensò che avessero mentito e risalì a bordo con l'equipaggio ed i due incursori italiani. La bomba saltò in aria poco dopo, la corazzata affondò in pochi minuti, Rossetti e Paolucci riuscirono a salvarsi tuffandosi in mare, ma il comandante della nave fu meno fortunato e perì a seguito dell'esplosione insieme ad una parte dei suoi uomini. Poco dopo, una seconda esplosione danneggiò anche il piroscafo Wien. I due ufficiali furono liberati il giorno dopo l'armistizio e vennero insigniti della Medaglia d'oro al valor militare. Conclusa la guerra, venuti a conoscenza del precario stato economico della vedova del Comandante Vukovié, decisero di aiutarla economicamente, pagando gli studi al figlio che divenne medico a Vienna.

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