Rivista Marittima - Gennaio 2021

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COSA SCRIVONO GLI ALTRI

«L’Ordre International qui vient» e «Sur toutes les mers du monde» LE MONDE DIPLOMATIQUE, n.800, NOVEMBRE 2020

«Guidare il mondo democratico». Il programma del neo presidente Joseph Biden in materia di politica estera si può riassumere in questo slogan, scrive Olivier Zajec, docente di scienze politiche presso l’Università Jean Moulin Lyon III. E per meglio chiarire la genesi di tale programma l’autore ripercorre il contenuto di un editoriale firmato da Biden nel marzo 2020 dal titolo Perché, gli Stati Uniti devono tornare a essere una guida. Un editoriale in cui l’allora candidato alla presidenza sosteneva che il sistema internazionale costruito dagli Stati Uniti con tanto impegno sta andando a pezzi, contrapponendo questo declino ai trionfi ottenuti in passato dal suo paese (vittoria nella Seconda guerra mondiale e implosione dell’Unione Sovietica), che avevano definito l’ordine internazionale liberale nelle sue due versioni: «bipolare» prima (1947-91) e «unipolare» poi (1991-2008). Se Biden non esita ad ammettere che i principali problemi degli Stati Uniti sono oggi di natura interna, del pari afferma che «la diplomazia rimane una delle fonti primarie dell’influenza politica statunitense e che le relazioni di Washington con il resto del mondo, danneggiate dall’amministrazione Trump, devono tornare a essere una priorità, non solo attraverso l’esempio della nostra forza, ma anche attraverso la forza del nostro esempio». Ed è proprio questa idea di «restaurazione» e di «esemplarità» che sembra destinata a permeare l’intera piattaforma democratica in materia di politica estera. Di qui cum grano salis, come si era soliti dire, al fine di evitare possibili errori di prospettiva da parte dell’amministrazione Biden sulla base del citato programma, l’autore si addentra in un’ampia e dotta discussione innanzitutto sul significato stesso di «ordine internazionale» («da non considerare solo in termini ge-

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rarchici, dato che non è mai un blocco unico, ma una sovrapposizione di diversi livelli»). Quindi rivolge un duplice invito al neo presidente Biden, cioè di non trascurare, da un lato, l’evidenza dell’evoluzione multipolare del mondo contemporaneo (a trent’anni dalla fine della Guerra Fredda, la configurazione degli equilibri globali e ragionali è, infatti, cambiata radicalmente) e di non liquidare a priori, dall’altro, tutte le azioni della presidenza Trump «come risultato di una lettura erronea delle relazioni internazionali». «Tanto più se lo slogan democratico “Stati Uniti prima di tutto” può sembrare una prerogativa del suo predecessore repubblicano, gli autori del suo programma — rileva il Nostro con un filo di ironia — se ne sono di fatto appropriati senz’accorgersene!». Non si tratta certo più di porre gli Stati Uniti «prima di tutti», alla Trump per intenderci, ma in un certo qual senso di porre il paese «davanti a tutti», dal momento che spetterebbe «agli Stati Uniti fare da guida — come scrive Biden — perché nessun’altra nazione ne avrebbe la capacità — e questo semplicemente perché — nessuna è fondata su questa idea [di libertà]», secondo un’impostazione dei valori nazionali, derivati da un’esperienza storica specifica, che potrebbero essere applicati universalmente. Un secondo articolo d’interesse che ci presenta il mensile in parola è dedicato Ai misteri e potenza della flotta peschereccia cinese, a firma del giornalista Ian Urbina, direttore della piattaforma di inchieste sulle questioni ambientali The Outlaw Ocean Project, che negli ultimi anni ha condotto sul campo un’apposita inchiesta, a seguito della quale non esita ad affermate che «la potenza e l’audacia della flotta peschereccia cinese sono evidenti a chiunque navighi in mare aperto». Nessuno sa precisamente quante siano le navi della flotta peschereccia dell’Impero di mezzo, lautamente sovvenzionata dal governo, ma è indubbio che questa vera e propria Armata che perlustra i mitici Sette Mari, supera tutte le altre, sia per entità, sia per raggio d’azione, svolgendo per Pechino un ruolo cruciale, sia per assicurare gli approvvigionamenti alimentari nazionali, sia per posizionare silenziosamente le proprie pedine sullo scacchiere internazionale, in una funzione di presenza e sorveglianza. Le navi cinesi, forti del loro elevato numero e degli agenti di sicurezza armati spesso imbarcati, si mo-

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