OTTOBRE 2018
RIVISTA
MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/03 (CONV. IN L. ART. 1 COMMA 1 N° 46 DEL 27/02/04) - PERIODICO MENSILE 6,00 €
* RIVISTA MARITTIMA *
OTTOBRE 2018 - Anno CLI
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PRIMO PIANO
Lo stato della blue economy, l’economia del mare in Italia Claudio Boccalatte
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Sommario PRIMO PIANO
6 Lo stato della blue economy, l’economia del mare in Italia Claudio Boccalatte
22 Il monopolio dei choke points nel II take off industriale Giulia Ragno
SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
66 Mary Kaldor - Il significato attuale di «guerra» Renato Ferraro
STORIA E CULTURA MILITARE
72 Blas de Lezo, ammiraglio di Spagna, nella resistenza alla flotta inglese Massimo Iacopi
30 Marittimità geografica e spesa militare Daniele Scalea-Chiara Ginesti
40 Stive e benessere Michele Maria Gaetani
PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
54 L’Ucraina e la tormentata ricostruzione della Marina Michele Cosentino
RUBRICHE
78 Focus diplomatico 82 Osservatorio internazionale 92 Marine militari 106 Marine mercantili 110 Nautica da diporto 116 Che cosa scrivono gli altri 123 Recensioni e segnalazioni Rivista Marittima Ottobre 2018
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RIVISTA
MARITTIMA
Mensile della Marina dal 1868
EDITORE
UFFICIO PUBBLICA INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE DELLA MARINA MILITARE DIREZIONE E REDAZIONE della Rivista Marittima Via Taormina, 4 - 00135 Roma Tel.: 06 3680 7248-54 Telefax: 06 3680 7249 Internet: www.marina.difesa.it/conosciamoci/ editoria/marivista/Pagine/default.aspx e-mail redazione: rivistamarittima@marina.difesa.it DIRETTORE RESPONSABILE
Sorveglianza e protezione del traffico mercantile nazionale con elicottero EH101 MPH (Maritime Patrol Helicopter) della Marina Militare.
A questo numero hanno collaborato
Capitano di vascello Daniele Sapienza
Ammiraglio Ispettore (aus) Claudio Boccalatte
CAPO REDATTORE
Dottor Daniele Scalea
Capitano di fregata Diego Serrani
Dottoressa Chiara Ginesti
REDAZIONE
Gianlorenzo Pesola
Professoressa Giulia Ragno
Dottor Michele Maria Gaetani Contrammiraglio (ris) Michele Cosentino Ammiraglio Ispettore Capo (ca) Renato Ferraro
SEGRETERIA DI REDAZIONE
Generale di Divisione (ris) Massimo Iacopi
Massimo De Rosa Gaetano Lanzo
Ambasciatrice Laura Mirachian,
UFFICIO ABBONAMENTI E SERVIZIO CLIENTI
Dottor Enrico Magnani
Carmelo Sciortino Giovanni Bontade
Ammiraglio Ispettore (aus) Pietro Verna
Tel.: 06 3680 7251-48 e-mail abbonamenti: rivista.abbonamenti@marina.difesa.it
Circolo di Studi Diplomatici
Tenente di vascello Eugenio Tatulli Contrammiraglio (ris) StĂŠphan Jules Buchet Contrammiraglio (ris) Ezio Ferrante
SEGRETERIA AMMINISTRATIVA
Tel.: 06 3680 7254 Codice fiscale: 80234970582 Partita IVA: 02135411003
Dottor Claudio Sicolo Capitano di fregata Gianlorenzo Capano Capitano di fregata Leonardo Merlini
Rivista Marittima Ottobre 2018
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E D I TO R IALE
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l settore marino e quello marittimo sono fondamentali per l’economia globale, prova ne è che la quasi totalità degli scambi commerciali avviene via mare e che, negli ultimi anni, i principali Paesi avanzati hanno incrementato le proprie capacità, la propria proiezione marittima, accrescendo, da un lato, la dimensione delle flotte mercantili e militari, e, dall’altro, investendo in infrastrutture portuali e movimento merci. La prosperità dell’intero Pianeta è legata alla capacità di garantire un continuo libero accesso ai mari e agli oceani al di fuori del regime di sovranità degli Stati costieri. Tale affermazione, per l’Italia riveste carattere ancora più cogente se consideriamo che la nostra economia è fortemente dipendente dal mare, essendo basata essenzialmente sulla trasformazione. L’Italia importa via mare quasi l’85 per cento del proprio fabbisogno di materie prime ed esporta il 55 per cento dei prodotti finiti, con un interscambio marittimo annuo di circa 240 milioni di tonnellate di merci. In aggiunta importiamo via mare l’80 per cento del petrolio e il 42 per cento del gas necessari per il fabbisogno interno. I porti italiani, infine, intercettano oltre il 30 per cento del traffico internazionale in transito nel Mediterraneo. Questo, in sintesi, il contenuto iniziale e l’esordio del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare davanti alle Commissioni congiunte del Senato e della Camera del 12 settembre 2018. Il XXI secolo passerà alla storia come quello della blue economy. Il secolo dell’economia del mare, l’unica in grado di sostenere la costante richiesta e la necessità di interscambio di beni vitali legati a una crescita demografica globale che aumenterà significativamente nei prossimi anni (si prevede che aumenterà di 1 mld nei prossimi 12 anni, con una grossa fetta già accentrata nella fascia costiera — circa 80% nei primi 200 km —, con netto squilibrio di natalità tra Occidente e paesi in via di sviluppo), mentre l’innalzamento degli standard di vita, strategia fortemente perseguita da potenze globali come la Cina e l’India, porterà parimenti e inevitabilmente a un innalzamento della domanda energetica e di beni di consumo nel suo complesso. Gli Stati, nella crescente necessità di far fronte a queste richieste vitali e impellenti, dovranno sempre più assicurare il costante accesso alle fonti di approvvigionamento energetiche e, contestualmente, dovranno garantire la sicurezza delle vie di comunicazione che già sono e saranno sempre più marittime. Tuttavia, la blue economy non può essere pienamente compresa, e quindi affrontata, senza un approccio a 360° che tenga conto di dinamiche più ampie e ci riferiamo qui in particolare ai fenomeni transnazionali legati ai cambiamenti sociali, culturali, migratori dove la diffusione e l’accesso alle tecnologie di comunicazione inducono mutamenti epocali a livello planetario. E non possiamo nemmeno trascurare che il previsto innalzamento cospicuo dei consumi di energia (secondo l’autorevole ASPEN Institute è previsto un aumento del 30% entro il 2040), dovrà inevitabilmente fare i conti con gli effetti collaterali legati all’ambiente, all’ecosistema planetario. Nessuno, a partire dalla Svizzera circondata dalle Alpi, sarà escluso da questo ciclo globale.
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L’Italia, paese carente di risorse energetiche, vive e prospera grazie a un’efficiente e sempre apprezzata economia di trasformazione. Poche realtà come la nostra, pertanto, devono seguire con attenzione le onde a partire dal Mediterraneo, ma senza limitarsi a questo bacino. Già è stato affrontato a marzo, su queste stesse pagine, l’impatto legato alle recenti scoperte di importanti giacimenti di gas nel Mediterraneo orientale. La Blue Economy del XXI secolo (tradotto: la crescita esponenziale del ricorso al mare per far sopravvivere la terra) investirà, una volta di più, il traffico e la correlata innovazione tecnologica legata al settore dei trasporti e delle infrastrutture. Detto in maniera ancora più semplice e diretta si tratta di movimentare più beni ed energia sui mercati, oltre che di migliorare l’accesso complessivo: tutto questo significa infrastrutture c.d. più «intelligenti» e sistemi maggiormente flessibili di conservazione e distribuzione. Un’innovazione che accrescerà, a sua volta, la sostenibilità del sistema per assicurare la prosperità e la stabilità sociale e politica nostra e di tutti. Il Mediterraneo è sempre più aperto e interconnesso nella geopolitica mondiale, basti pensare, per esempio, al grandioso progetto cinese della Belt and Road Initiative, coi paesi del Golfo e col Nord Africa. Non si arriva, però, da nessuna parte, come ricordato in apertura, se non si hanno le idee chiare. Da qui l’esigenza e la necessità di maggior studio e approfondimento, anche sulle pagine di questa Rivista, per suggerire una maggiore conoscenza e consapevolezza. Occorre, in primo luogo, la rinascita consapevole della necessità di adoperarsi in politiche marittime, interne e comunitarie, che manifestino un’assertività di regia unitaria, condivisa e coordinata e che investa uno spazio marittimo globale, interconnesso e intercomunicante. Da qui l’esigenza di dibattere e confrontarsi su una politica del mare, anche dal punto di vista della comunicazione — che sulla Rivista chiamiamo talassopolitica —, che costituisca una sorta di rinascimento moderno e contestualizzato del Potere Marittimo nazionale. Un Potere Marittimo che salvaguardi i nostri interessi vitali per la sopravvivenza e la prosperità del nostro Paese, della nostra cultura e società e che insieme contribuisca ad assicurare un mondo più giusto, più equilibrato e maggiormente attento all’ambiente e al mare, patrimonio comune (global common) dell’umanità. Daniele Sapienza
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PRIMO PIANO
Lo stato della BLUE ECONOMY, l’economia del mare in Italia
Claudio Boccalatte (*)
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ecentemente (ottobre 2017) Unioncamere (si veda Riquadro) ha pubblicato la sesta edizione del «Rapporto sull’economia del mare» (1) (2). Questo interessante documento, basato sull’ag-
gregazione e l’analisi dei dati del Registro delle imprese relativi all’anno 2016 (e in particolare della situazione al 31 dicembre 2016), ci consente di fare un punto sullo stato dell’economia del mare, la cosiddetta
(*) Ammiraglio Ispettore del Genio Marina proveniente dal Genio Navale, dopo aver terminato il servizio attivo nel 2017 come Direttore del CISAM di Pisa, è attualmente nella posizione di ausiliaria. ˚ entrato nellÊAccademia Navale di Livorno nel 1975 e ha conseguito con lode la Laurea in Ingegneria Navale e Meccanica presso lÊUniversità degli Studi di Genova. Collabora con varie riviste, e in particolare con la Rivista Marittima dal 1992; dal 2006 cura la Rubrica Scienza e Tecnica. ˚ Fellow della Royal Institution of Naval Architects e Presidente della Sezione della Spezia dellÊATENA (Associazione di Tecnica Navale).
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Un’immagine del coralligeno nell’area marina protetta delle secche della Meloria. Questo paesaggio sottomarino costituisce uno dei beni intangibili che concorrono al successo della blue economy italiana, in particolare per i settori turistico e ricreativo (foto di S. Guerrieri, archivio Area Marina Protetta, dal sito www.parcosanrossore.org).
blue economy, in Italia, valutando anche i territori dove la blue economy è più radicata, con un focus sulla presenza di particolari categorie imprenditoriali, costituite dai giovani, dalle donne e dagli stranieri. La precedente edizione del rapporto, pubblicata nel 2016 (3), riportava i dati dell’anno 2015. La nostra epoca è caratterizzata da una grande attenzione dell’opinione pubblica, della stampa e del mondo
politico alle problematiche ambientali, diventate paradigma centrale rispetto al quale lo sviluppo, considerato fino ad alcuni decenni or sono un valore positivo in sé, e quindi meritevole comunque di perseguimento, si deve misurare e confrontare. Il tradizionale concetto di sviluppo ha mostrato i suoi limiti, in quanto ha portato al deterioramento dell’ambiente, con conseguenze negative sulla salute e sul benessere dell’umanità; oggi questo concetto si è evoluto nello «sviluppo sostenibile», cioè sviluppo che non deve danneggiare l’ambiente, ambiente che nella connotazione odierna comprende non solo la nostra atmosfera, gli oceani e il terreno, ma anche tutto l’insieme degli esseri viventi (protezione della biodiversità), l’evoluzione climatica su scala planetaria (riscaldamento globale) e altri fenomeni globali potenzialmente dannosi (strato dell’ozono). L’attenzione all’ambiente non è però solo una serie di vincoli allo sviluppo, ma è piuttosto un’opportunità per un nuovo tipo di sviluppo, la Green Growth, collegata al nuovo settore della Green Economy, che non è tanto un settore economico che si aggiunge agli altri, quanto piuttosto un modello di sviluppo economico che prende in considerazione l’impatto ambientale della produzione di beni e servizi e la sostenibilità delle attività e dei comportamenti. È una delle strade principali per rilanciare, su basi nuove e più solide, l’economia italiana. Una prospettiva che in Italia si incrocia con la qualità, la coesione sociale, il talento, l’innovazione delle nostre imprese, fattori fondamentali per rendere competitivi i territori. Il nostro pianeta, secondo alcuni autorevoli commentatori, dovrebbe chiamarsi «pianeta oceano» e non «pianeta terra», in quanto le terre emerse coprono meno del 30% della superficie del pianeta, e il resto è coperto dagli oceani, anzi dall’oceano, come si dice oggi considerando le masse acquee marine del pianeta come un unicum. Il mare è un bene ambientale di enorme importanza, che deve essere protetto, ma nello stesso tempo è una risorsa che deve essere adeguatamente valorizzata nell’ottica dello sviluppo sostenibile. L’economia marittima prende quindi il nome, più accattivante e ambientalista, di blue economy e la crescita del settore marittimo quello di blue growth, in analogia alla green economy e al green growth, cioè
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PRIMO PIANO
Il monopolio dei choke points nel II TAKE OFF industriale Analisi del rapporto fra Seconda rivoluzione industriale e controllo di snodi marittimi strategici
Giulia Ragno (*)
(*) Docente di Storia Contemporanea e Geostoria presso il liceo Archita di Taranto, si occupa dellĂŠaggiornamento e della formazione istituzionale dei docenti in Area Metodologico-Didattica per lĂŠinsegnamento disciplinare anche in lingua straniera. Ha organizzato numerosi seminari storici in rete dedicati alla storia del Novecento per la preparazione degli studenti del Triennio fra cui: La problematica Balcanica, Il Rapporto fra guerra e guerriglia, La guerra di trincea.
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L’analisi sul rapporto fra la Seconda rivoluzione industriale e il controllo degli snodi marittimi strategici nella storia delle grandi potenze industriali e delle modalità di affermazione marittima che esse esercitarono attraverso la costruzione di infrastrutture di notevole portata. La sovranità sulla superficie acquatica mondiale determinò la misura con cui i principati attori dell’imperialismo miravano alla veicolazioni delle risorse energetica vitali per la produzione. Ieri come oggi il dinamismo agito nella ricerca di nuovi corridoi geostrategici e nell’esercizio di controllo finanziario e tecnologico degli stessi esplicitano come il gioco si ripeta nell’ottica del soft sea power.
Disegno Celebrativo del Canale di Suez (Fonte: focus.it).
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PRIMO PIANO
Marittimità geografica e spesa militare Una breve indagine comparativa tra parametri geografici e livelli di spesa
Daniele Scalea (*) - Chiara Ginesti (**)
(*) Presidente IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie). Dottore magistrale in Scienze storiche (Università di Milano) e dottorando di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è condirettore della rivista Geopolitica. (**) Ricercatrice Associata di IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie). Dottoressa magistrale in Relazioni Internazionali e Master di II livello in Geopolitica e Sicurezza Globale presso lÊUniversità Sapienza; Master di II livello in Cittadinanza Europea e Integrazione Euromediterranea presso lÊUniversità di Roma Tre. ˚ tra i frequentatori della 68a Sessione di Studi IASD e del Master in Strategia Globale e Sicurezza. Frequenta lÊXI edizione del Master in Intelligence e Sicurezza presso la Link Campus University di Roma. 30
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(Fonte: panorama.it).
Misurare la potenza marittima La misurazione della potenza marittima di uno Stato è problema annoso. Un tempo, quando le flotte erano più simmetriche, si era soliti misurarle tramite il tonnellaggio: questa scala metrica fu utilizzata in dottrine
strategiche e accordi internazionali come, a puro titolo esemplificativo, quelle adottate dall’impero britannico del «two-power standard» nei confronti delle due principali flotte mondiali ovvero del «two keels for one» in rapporto alle costruzioni navali militari della Germania
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PRIMO PIANO
Stive e benessere
(Fonte: porto.laspezia.it).
Michele Maria Gaetani (*)
A
che serve una Marina? Serve sicuramente anche a vincere le battaglie navali in guerra; ma serve soprattutto a vincere — o quantomeno a non perdere — le battaglie economiche e la pace. Gli storici dell’economia individuano questo semplice ma decisivo fattore dell’equilibrio planetario, alla stregua di un dato di fatto addirittura banale: «...sterling also benefited from the fact that the British navy secured the safety of British trade and protected the island from invasion, making Britain ‘the strong box and the safe of Europe’ [The words of Lord Rosebery in Parliamentary Debates (Lords), 1909, IV, 22 Nov. 1909, c.947–8]» (1).
Il mondo di ieri... Non è un caso se è stata scelta una citazione che si riferisce al periodo in cui l’economia e la finanza mondiali erano illuminate dai bagliori del Gold Standard antecedente la Grande Guerra. Era un tempo in cui sporadiche guerre locali non turbavano la pace generale, in cui cambi sostanzialmente fissi tra le varie monete tenevano bassi i prezzi e favorivano la circolazione globale dei capitali. Era, d’altra parte, il tempo in cui i diversi Stati non avevano una politica monetaria autonoma; e non potevano neppure averla perché —come sappiamo oggi — il noto trilemma economico di Mundell-Fleming lo esclude ogni volta che
(*) Avvocato milanese classe 1970, oltre ad articoli in ambito giuridico, ha pubblicato dal 1996 studi storico militari e realizzazioni cartografiche per RID, Rivista Marittima (Stive ed Egemonia, supplemento 2007), Storia Militare, Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Marina Militare, Businaro-InEdibus, Ali Antiche. Ha inoltre contribuito a opere di altri Autori per Osprey e IBN. 40
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Stive e benessere il sistema globale è caratterizzato sia da cambi fissi (cortesia del Gold Standard ricordato in precedenza) sia dalla libera circolazione dei capitali: detto in altre parole, la Trinità, quanto meno in questo campo, è impossibile. In quel tempo dorato, o presunto tale, i padroni del sistema (perché c’è sempre un padrone di turno) si arricchivano con le esportazioni: di merci e di capitali. Ma anche di persone. I capitali, prevalentemente inglesi (19,5 miliardi di $ nel 1913 al cambio dell’epoca) e francesi (8,6 miliardi), giravano liberamente per il mondo alla ricerca dei rendimenti più alti (Grafico 1).
mondo di pace e di libertà: libertà del commercio e libertà della circolazione dei capitali. «È aperto a tutti quanti, viva la libertà!», come canta Don Giovanni invitando al proprio palazzo, dove, come noto, aveva fatto organizzare la sontuosa festa per un fine poco commendevole. Ma nel paradiso non c’era evidentemente posto per tutti: anche in quel Regno Unito che si arricchiva esportando più di ogni altro Paese merci e capitali, c’era chi non se la passava bene. I (pochi) meno sfortunati emigravano nell’amministrazione coloniale, un servizio sarcasticamente definito «sussidio esterno per le classi più elevate» (4). Per gli altri, «carne in piedi» che lasciava la Grafico 1
Nel loro spostarsi tra i continenti erano incoraggiati dal fatto che il cambio fisso non li avrebbe fatti tornare svalutati al proprio padrone. L’inflazione, del resto, era bassa: praticamente come oggi (2). Le merci, per parte loro, viaggiavano per il mondo sotto l’occhio vigile della Royal Navy (e spesso sotto la Red Ensign della Marina mercantile registrata nei porti di sua Maestà Britannica ma, in realtà, armata da marinai d’ogni lingua e origine). Era un mondo praticamente senza dazi: il libero scambio era tanto una bandiera quanto un’arma, e la tariffa zero-percento costituiva la spada che il Regno Unito brandiva per difendere la propria egemonia e tenere a bada i potenziali concorrenti, primi tra tutti i «damned Colonials» statunitensi: «Free trade was for the first arrival, where, as in Britain, it was, indeed, an attractive design for confining the later contenders to their earlier stages of development» (3). Era un mondo globalizzato, un
fame britannica e cercava fortuna di là dall’Atlantico, non mancavano le navi: si trattò, infatti, di ben 16 milioni di bocche esportate nel corso di 70 anni; in tal modo, le pance di chi restava nelle Isole Britanniche si riempivano più facilmente. E così — beninteso — pure le tasche di chi organizzava il business delle traversate (Grafico 2 nella pagina successiva). Movimenti migratori di quest’ampiezza erano, naturalmente, fonte di preoccupazione soprattutto negli ambienti socialisti. Così Jean Jaurès, nel proprio discorso alla Camera del 17 febbraio 1894 «Pour un socialisme douanier», proclamava: «Ce que nous ne voulons pas, c’est que le capital international aille chercher la main-d’œuvre sur les marchés où elle est le plus avilie, humiliée, dépréciée, pour la jeter sans contrôle et sans réglementation sur le marché français, et pour amener partout dans le monde les salaires au niveau des pays où ils sont le plus bas. C’est en ce sens, et en ce sens seulement, que nous
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PANORAMICA TECNICO-PROFESSIONALE
L’Ucraina e la tormentata ricostruzione della Marina Michele Cosentino (*)
L’
improvvisa e rapida occupazione e annessione della Crimea da parte della Russia ha avuto un impatto assai negativo sulla Marina ucraina, perché dopo gli eventi del marzo 2014 essa è stata descritta da molti commentatori come l’ombra di se stessa. Oltre alla cattura di quasi tutte le unità già presenti nella flotta ucraina, già bisognose di ammodernamento, l’annessione della Crimea a cura di Mosca ha provocato anche la perdita delle infrastrutture militari, industriali e marittime presenti nella penisola, l’esodo — in molti casi spontaneo — di gran parte del personale della Marina e la perdita dell’accesso a circa un terzo della sua costa sul Mar Nero.
Fra storia e cronaca quotidiana Fino a qualche anno prima, l’Ucraina aveva raggiunto diversi obiettivi nel suo percorso di adesione alla NATO, cui era peraltro legata nell’ambito dell’iniziativa Partnership for Peace. Fra tali obiettivi, importante è stato l’accesso al Virtual-Regional Maritime Traffic Centre gestito dalla Marina Militare, evento maturato nell’edizione 2010 del Regional Seapower Symposium di Venezia. In precedenza, la Marina ucraina aveva partecipato, seppur non continuativamente, all’operazione NATO Active Endeavour e alcune sue unità — le fregate Hetman Sagaidachny e Ternopil e la nave da sbarco Konstantin
(*) Contrammiraglio in ausiliaria, ha completato lÊAccademia Navale nel 1978 e si è laureato in Ingegneria Navale e Meccanica presso lÊUniversità di Napoli. Dal 1987 collabora con la Rivista Marittima e con diverse case editrici italiane e straniere ed è autore di numerosi libri, saggi e articoli.
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Alcune fra le principali unità navali della Marina ucraina, all’ormeggio a Sebastopoli nel 2007. Da sinistra verso destra si distinguono le navi da sbarco KONSTANTIN OLSHANSKY e KIROVOHRAD, seguite dalla motovedetta lanciamissili KAKHOVKA, dalla corvetta antisommergibili TERNOPIL e dalla motovedetta lanciamissili PRYLUKY (Fonte: US Navy).
Olshansky — erano state valutate positivamente in base ai requisiti di capacità operativa definiti dall’Alleanza Atlantica per i nuovi Stati membri. Nel frattempo, proseguivano intensamente le attività addestrative a livello locale, con la partecipazione alle varie iniziative di partnership marittima concentrate sul Mar Nero, fra cui l’operazione Black Sea Harmony, gestita dalla Turchia sin dal 2004 e collegata ad Active Endeavour. Per la Marina ucraina, il coinvolgimento a quest’insieme di operazioni e iniziative rappresentava un impegno alquanto dispendioso, a causa del numero limitato di assetti efficienti e della perdurante riduzione del bilancio: nel 2010, la flotta ucraina comprendeva tre fregate, sette unità lanciamissili veloci, cinque dragamine, tre navi da sbarco e una trentina di unità ausiliarie, un complesso di piat-
taforme per lo più ereditate dall’ex-Marina sovietica e a cui si aggiungevano circa 30 unità minori con compiti di guardia costiera. La pianificazione di lungo termine prevedeva una ristrutturazione organizzativa, un programma di ammodernamento della flotta basato sul ritiro dal servizio del naviglio più anziano in modo da utilizzare i fondi così disponibili per partecipare alle operazioni dell’Alleanza Atlantica e la possibile acquisizione di unità di seconda mano, una soluzione valutata come la più rapida ed efficiente per assicurare l’interoperabilità con le forze marittime NATO. La crisi del 2014 con Mosca sfociata nell’invasione e nell’annessione della Crimea e nel perdurante conflitto del Donbass — ufficialmente definito a Kiev come operazione anti-terrorismo — ha modificato drasticamente tutto lo scenario geostrategico del Mar
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SAGGISTICA E DOCUMENTAZIONE
Mary Kaldor Il significato attuale di «guerra»
Guerra e pace nel pensiero contemporaneo Renato Ferraro (*)
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ono molti gli autori che hanno scritto di guerre «nuove»: tra altri, il mio prediletto Herfried Münkler (1); e vorrei citare anche Pascal Boniface (2) il quale, alla serietà (o, piuttosto, tragicità) dei temi trattati, aggiunge un certo sottile umorismo che non stona affatto; anzi, stempera la tensione. Del suo libro segnalerei in particolare il capitolo 12, «Guerres des flux migratoires», e il 16, «Guerres de l’environment», per la loro evidente, accentuata attualità. Fra gli autori che hanno trattato il tema vorrei ricordare, tra altri, Duffield, Eppler, Hables Gray, Hoffman, Holsti, Smith, Snow, van Creveld, e il grande Sir Mi-
chael Eliot Howard, dei quali ho letto citazioni e rinvii negli scritti della Kaldor, ma che non ho avuto ancora agio di studiare approfonditamente. Peraltro, tenendo anche ben presente la mia età molto avanzata, ho pensato di concludere questa serie di articoletti dedicandone l’ultimo appunto a Mary Kaldor, una scrittrice inglese appartenente a una famiglia di scienziati e accademici ed ella stessa docente presso la prestigiosa London School of Economics, la quale mi pare che rassegni e riassuma molto bene quanto si è andati scrivendo sul tema delle guerre nuove, ma certo con una sua propria originale impostazione.
(*) Ammiraglio Ispettore Capo in congedo assoluto, già Comandante Generale delle Capitanerie, è laureato in giurisprudenza e scienze politiche e ha frequentato lÊISMI e lo IASD. Dal 1986 al 1992 è stato vice-capo di gabinetto di tre Ministri della Marina Mercantile succedutisi nel tempo. Ha insegnato economia marittima nellÊUniversità Statale di Cassino. Dopo il congedo (1999) ha frequentato un biennio di filosofia e conseguito tre master di II livello in Peace Building Management presso la Pontificia Facoltà Teologica San Bonaventura. Ha pubblicato alcune centinaia di articoli e recensioni sulla Rivista Marittima e su altre riviste specializzate. Collabora con la Rivista Marittima dal 1977. Suona il basso-tuba nella prestigiosa Statuario Band di Roma.
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Mary Kaldor
La scrittrice inglese Mary Kaldor, accademico britannico, attualmente professore di Global Governance presso la London School of Economics (Fonte: e-ir.info). Nella pagina precedente: Cavalier d’Arpino, La vittoria di Tullio Ostilio sui Veii e i Fideni (1596-1597). Caen, Musée des BeauxArts (Fonte: wikipedia.org).
Di lei, che ha trattato il tema che c’interessa, va citato soprattutto New & Old Wars – Organized Violence in a Global Era (3). Ritornerà poi sull’argomento in saggi e articoli sparsi, dei quali particolarmente centrato In Defence of New Wars http://doi.org/10.5334/ sta.at dal quale ho tratto molti spunti di riflessione. Dunque, le «nuove guerre». Ma il concetto di «nuove guerre» è poi valido? Molti non sono affatto d’accordo. La Kaldor affronta il problema attraverso quattro specifici quesiti: 1. se le nuove guerre siano «nuove»; 2. se esse siano «guerra»; 3. se i dati disponibili siano sufficienti a dare una risposta; 4. infine, se le nuove guerre possano definirsi «post-clausewitziane». Allora, cominciamo con il vedere se — secondo la Kaldor — le nuove guerre siano, in realtà, nuove. Esse sono tipiche dell’età della globalizzazione. Divampano là dove gli Stati autoritari siano stati indeboliti dall’aprirsi, appunto, al resto del Mondo. Le differenze tra Stati e non-Stati, pubblico e privato, esterno e interno,
Herfried Münkler è uno scienziato politico tedesco e professore di Teoria politica all’Università Humboldt di Berlino (Fonte: en.wikipedia.org).
economico e politico, e perfino tra guerra e pace vanno sbiadendo. Causa e insieme effetto di ciò è la violenza diffusa. Ed è la logica stessa di queste nuove guerre a essere differente da quella delle vecchie. Differenti sono gli attori: un tempo le guerre erano combattute da eserciti regolari organizzati e armati dagli Stati. Quelle di oggi lo sono da strane e inedite combinazioni di attori statali e non statali: Forze Armate regolari, contractors, mercenari, jihadisti, signori della guerra, e chi più ne ha più ne metta. Inoltre sono mutati, e di molto, gli scopi: un tempo le guerre divampavano per ragioni di geopolitica o di ideologia. Oggi lo sono con motivazioni (vere o asserite) d’identità (etnica, religiosa (4), tribale: si pensi ai garbugli siriano e libico). Lo scopo è quello d’impossessarsi dello Stato, o di quel che di esso resta, da parte di raggruppamenti particolari e forse casuali. A ciò aggiungasi l’esplosione delle nuove tecnologie comunicative, il fenomeno dell’inurbamento e delle migrazioni internazionali di massa, e — forse più dirompente di tutto — il tramonto delle ideologie. È la pretesa e la rivendicazione di una identità a stimolare alla guerra. Anche i metodi sono mutati: nelle vecchie guerre gli eventi decisivi erano le grandi battaglie. Che invece oggi sono rare: una volta lo scopo era l’acquisizione di nuovi territori, oggi è il controllo delle popolazioni; le quali, se non si riescono a controllare, vengono trasferite forzosamente. Da ciò la violenza esercitata contro i civili, che un tempo ne erano (relativamente) indenni, almeno fino all’avvento dei bombardamenti aerei massicci contro i centri abitati e non più solo contro obiettivi militari. E, forse meno appariscente, ma non meno rilevante, il mutamento delle fonti di finanziamento. Le vecchie guerre erano finanziate dagli Stati attraverso l’imposizione fiscale; oggi le nuove guerre sono sostenute attraverso saccheggi, rapine, ricatti, traffici criminali di vario genere, che a loro volta alimentano e impongono la violenza. La conseguenza è che le vecchie guerre comportavano che i contendenti si sforzavano allo stremo per la debellatio dello Stato nemico; le nuove tendono piuttosto — senza fretta, senza fretta! — alla dissoluzione dello Stato, e sia pure quello al quale ci si trova per sorte ad essere nominalmente ascritti. La Kaldor, nel capitolo 3 – la cui lettura raccomando
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STORIA E CULTURA MILITARE
BLAS DE LEZO ammiraglio di Spagna, nella resistenza alla flotta inglese Massimo Iacopi (*)
(*) Generale dellĂŠEsercito Italiano in riserva. Laureato in Scienze Strategiche e specializzato in Geopolitica, socio di numerosi sodalizi tra i quali lĂŠIstituto di Storia nautica portoghese e Reggente di un sistema premiale riconosciuto dal Ministero della Difesa. Autore di pubblicazioni a carattere Storico Militare e di numerosi articoli di stampa su argomenti di carattere vario, pubblicati su periodici a livello nazionale e su giornali e periodici a livello regionale. Insignito del Premio Giornalistico Internazionale INARS Ciociaria, sezione scrittori nel 2007, collabora con la Rivista Marittima dal 2008.
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RUBRICHE
F ocus diplomatico L’Europa del futuro La crisi dell’Unione Europea è sotto gli occhi di tutti. La crescita in molti Paesi europei di movimenti politici e di opinione che, ponendo al centro della loro teorizzazione e della loro azione sul terreno la dimensione prevalentemente — se non esclusivamente — nazionale nella condotta delle relazioni intraeuropee, introducono nel dibattito politico intorno al futuro dell’Europa elementi difficilmente conciliabili con la visione sulla base della quale il processo di integrazione mosse i primi passi all’indomani della tragedia della Seconda guerra mondiale e si è successivamente sviluppato. La Lettera Diplomatica dell’Ambasciatrice Laura Mirachian che fa seguito a queste note introduttive dà bene il senso della complessità e dell’ampiezza dei temi al centro del dibattito. In questa sede vorremmo metterne in evidenza, in particolare, due. Il primo lo traiamo dal passaggio della Lettera nel quale l’Ambasciatrice Mirachian osserva che «avvicinare le Istituzioni alla gente è il presupposto per puntare ad un aumento del tasso di sovra-nazionalità», aggiungendo che quest’ultima «non è una pregiudiziale, è una conquista». E in effetti risiede qui, a nostro parere, uno dei principali elementi di debolezza della costruzione europea. Ci siamo illusi che, una volta messo in moto, il processo fosse inarrestabile e si è sottovalutata l’importanza dell’adesione delle opinioni pubbliche, specie quando l’integrazione si estendeva a settori che toccavano da vicino non gli interessi di questo o quel gruppo, ma delle società nel loro complesso. Dopo l’introduzione dell’euro, con la crisi greca, la combinazione tra la poca affidabilità di alcuni e la troppa rigidità di altri nell’imporre il rispetto delle regole senza curarsi delle conseguenze sociali dell’eccesso di austerità, ha drammaticamente portato in superficie questa lacuna. Una immigrazione sempre più difficile da gestire ha fatto il resto. E poi, la successione degli allargamenti senza i necessari approfondimenti, nonostante gli impegni sempre
ripetuti a far procedere parallelamente i due processi; la preminenza del Consiglio Europeo, trasformatosi dall’originario organismo di propulsione politica al massimo livello — i cui meriti sono peraltro indiscutibili — in Istituzione «anomala» soggetta, per il suo carattere esclusivamente intergovernativo, al veto di ogni componente (e da questo punto di vista c’è da chiedersi se non sia giunto il momento di riprendere l’intuizione dell’allora Ministro Andreatta di una applicazione generalizzata di meccanismi di ponderazione del tipo di quello introdotto nelle deliberazioni del Consiglio dei Ministri); la strisciante opera di delegittimazione in particolare della Commissione per l’equivoco, spesso volontariamente e colpevolmente alimentato, tra la sua struttura funzionale e amministrativa, rappresentata come tecnico/burocratica, e la legittimità politico/democratica del collegio dei Commissari attraverso la designazione nazionale e il rapporto fiduciario con il Parlamento Europeo, ci hanno ulteriormente allontanati dall’impostazione originaria. Ed è anche per questo che l’Unione Economica e Monetaria è rimasta confinata nella «zoppia» che aveva sin dall’inizio denunciato il Presidente Ciampi, mentre sul tema migratorio non si è riusciti a superare il sistema di Dublino, pensato per ben altri tempi e per ben altre situazioni, e gli egoi-
(Fonte: europa.eu).
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osservatorio_settembre_Layout 1 12/12/2018 18:25 Pagina 82
RUBRICHE
Osservatorio internazionale Settembre 2018
Russia: ispezioni prima, manovre dopo
Le Forze Armate russe durante l’esercitazione Vostok 2018 (Fonte: russianmilitaryanalysis).
Alla fine di agosto era stata accolta con molta curiosità la notizia che, per ordine del Comandante Supremo delle Forze Armate Russe, diverse ispezioni a sorpresa erano state avviate nei distretti militari centrali, orientali, ai comandi delle truppe aviotrasportate, dell’aviazione a lungo raggio e trasporto strategico militare. Secondo il ministro della difesa di Mosca Sergei Shoigu, l’ispezione era preliminare alla grande esercitazione Vostok 2018. Sempre secondo Sergei Shoigu, gli sforzi principali erano concentrati sulla verifica del livello di preparazione di unità militari e formazioni per compiti assegnati, e lo schieramento rapido di reparti combattenti, comandi e formazioni logistiche. L’esercitazione Vostok 2018 sarebbe stata senza precedenti come dimensione, maggiore persino della enorme Zapad 1981 (con 150.000 militari) e avrebbe visto la partecipazione di reparti (non solo osservatori o personale di Stato Maggiore) provenienti da Cina e Mongolia. In effetti, la Vostok 2018 ha coinvolto i distretti militari orientali e centrali, la flotta del Nord, i comandi truppe aviotrasportate, aviazione a lungo raggio e tra-
sporto. La dimensione della Vostok 2018 è stata effettivamente massiccia (300.000 militari, 36.000 veicoli, 80 unità navali d’altura e 1.000 velivoli di ogni tipo) (1) rispetto alla Vostok 2014 ed è considerata un ampliamento su scala assai maggiore della Zapad 2017 (che tanti timori aveva suscitato presso i paesi della NATO, soprattutto Polonia e paesi baltici) svoltasi in Russia Occidentale, Kaliningrad, Mar Baltico e Belarus. Secondo le prime osservazioni, sono state riviste le lezioni apprese nella Zapad, soprattutto nella gestione del sistema di comando e controllo, la mobilitazione e il movimento rapido di forze da uno scacchiere operativo a un altro, la condotta di operazioni complesse con un elevato livello di integrazione tra forze di terra, navali e aeree in un periodo di tempo assai ristretto (l’esercitazione si è svolta tra l’11 e il 17 settembre). Rilevante è stata la partecipazione, non solo simbolica, di forze cinesi (3.200 soldati, più di 900 veicoli terrestri e 30 aerei). Pechino ha riferito che le sue truppe hanno condotto esercitazioni nel campo di addestramento di Tsugol nella regione russa del TransBaikal. La partecipazione cinese è chiaramente volta a migliorare ulteriormente le relazioni politico-militari tra Cina e Russia, sottolineando che Mosca non è isolata militarmente (e politicamente), come invece l’Occidente parrebbe talvolta voler dimostrare. NOTE (1) L’esercitazione è stata pubblicizzata dalla Russia come la più grande dal 1981, con il coinvolgimento della Cina. In realtà, raggiunge il numero dei 300.000 uomini solo se si considerano le forze dei vari distretti ma non tutti sono stati direttamente coinvolti nelle manovre. Inoltre la partecipazione della Cina non ha avuto gli effetti che Putin sperava, ovvero nelle fasi conclusive degli eventi non ha partecipato l’omologo cinese del presidente russo, probabilmente perchè la Cina ha voluto mantenere una postura più neutrale.
Isola di Diego Garcia: un piccolo atollo, ma di grande importanza Contro Londra (e Washington) nel conflitto territoriale e legale sulla sovranità dell’arcipelago di Chagos, Mauritius (Paese insulare dell’Oceano Indiano) ha, an-
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Marine_militari_Layout 1 12/12/2018 18:27 Pagina 92
RUBRICHE
Marine militari AUSTRALIA Entra in servizio il Brisbane
Assegnato il primo contratto per le fregate classe «Hunter»
Come annunciato dal Ministro della Difesa australiano, il Brisbane — secondo cacciatorpediniere lanciamissili della classe «Hobart» — entra in servizio il 27 ottobre ed è di stanza nella base navale di Garden Island, nella baia di Sydney. Lungo 146,7 metri, il Brisbane era stato formalmente accettato dalla Marina australiana nel luglio 2017; l’unità segue la capoclasse Hobart, in servizio dall’anno scorso, e precede il terzo e ultimo esemplare, Sydney, varato a maggio 2018 e di previsto ingresso in linea il prossimo anno. Contemporaneamente, le ultime due fregate lanciamissili australiane classe «Adelaide» (derivate dal progetto americano «Perry») saranno ritirate dalla linea proprio per far posto agli «Hobart», la cui peculiarità è rappresentata dal sistema di combattimento «Aegis», di produzione statunitense e incentrato sul radar a facce piane e scansione di fase AN/SPY-1D(V).
Il 4 ottobre, il governo australiano ha annunciato la firma di un contratto preparatorio — denominato «Advanced Work Arrangement, AWA» — con la società BAE Systems Australia, per iniziare la progettazione delle future fregate classe «Hunter». Il ministro Christopher Pyne ha dichiarato che l’AWA è il primo importante passo per avviare la costruzione concreta delle nove fregate, secondo un contratto principale da 35 miliardi di dollari australiani, in corso di negoziazione e di prevista firma entro la fine del 2018. Come noto, le fregate classe «Hunter», destinate a sostituire le unità classe «Anzac», saranno realizzate utilizzando il progetto «Type 26/GSC» di origine britannica, avente un dislocamento leggero di 6.900 tonnellate che si spinge a ben 8.800 tonnellate a pieno carico, una lunghezza di circa 150 metri e una larghezza di 20,8 metri; oltre a un sistema di lancio verticale Mk.41 a 24 celle, le «Hunter» saranno caratterizzate dalla suite radar «CEAFAR 2» sviluppata in Australia e dal sistema di gestione operativa «Aegis» statunitense. La propulsione sarà affidata a un sistema formato da due motori elettrici e da una turbina gas, in grado di sviluppare una velocità massima superiore ai 27 nodi. L’armamento balistico è incentrato su una torre da 127 mm Mk.45 Mod.4 e da pezzi di calibro minore, mentre la priorità accordata al contrasto subacqueo si rifletterà in una suite comprendente, tra l’altro, sensori elettroacustici e siluri antisommergibile «MU90». L’equipaggio sarà formato da 180 effettivi, compresi quelli dedicati alle operazioni dell’elicottero MH-60R imbarcato, ma con spazio sufficiente per altre 25 persone.
Inizia la costruzione di una nuova classe di pattugliatori d’altura Il 3 ottobre è stata avviata la costruzione del primo esemplare di nuova classe di pattugliatori d’altura per la Marina australiana, realizzata nell’ambito del programma SEA 1180; l’evento, annunciato dal nuovo Primo ministro Scott Morrison e dal ministro della Difesa Christopher Pyne, ha avuto luogo a cura della società Civmec, a cui Lürssen Australia ha subappaltato la costruzione di unità realizzate secondo un progetto di origine tedesca. Civmec sarà responsabile della costruzione di 10 delle 12 unità previste dal programma, mentre le rimanenti due sono a carico di ASC Shipbuilding, la controllata del governo australiano con sede ad Adelaide, nell’Australia meridionale. I pattugliatori SEA 1180 serviranno a sostituire le 13 unità classe «Armidale» in servizio nella Marina australiana dalla prima metà degli anni Duemila.
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BRASILE Selezionati quattro raggruppamenti industriali per le nuove corvette Il 15 ottobre, la Marina brasiliana ha comunicato di aver selezionato quattro team industriali per la prossima
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Marine_mercantili_Layout 1 28/11/2018 14:08 Pagina 106
RUBRICHE
Marine mercantili Opere di interesse marittimo & dibattito pubblico Dal 24 agosto 2018 è in vigore il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 maggio 2018, n. 76 (Regolamento recante modalità di svolgimento, tipologie e soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico) (1), nel cui ambito di applicazione rientrano anche le opere marittime e i relativi investimenti (c.d. soglie dimensionali) indicati nell’Allegato 1 al medesimo decreto (2) (vedi Riquadro). Soglie che si riducono del cinquanta per cento per le opere ricadenti, anche in parte: (i) su beni del patrimonio culturale e naturale iscritti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO (Venezia e Laguna di Venezia; Costiera amalfitana, Porto VenereCinque Terre; Isole Palmaria, Tino e Tinetto; Isole Eolie) (3); (ii) nella «Zona tampone» come definita nelle Linee guida operative emanate dall’UNESCO; (iii) nei parchi nazionali e regionali. Mentre per le opere di importo compreso tra la soglia dimensionale indicata nel suddetto Allegato 1 e due terzi della medesima, l’indizione del dibattito pubblico (4) avviene su richiesta: a) della Presidenza del Consiglio dei Ministri o dei Ministeri direttamente interessati alla realizzazione dell’opera; b) di un Consiglio regionale o di una Provincia o di una Città metropolitana o di un comune capoluogo di provincia territorialmente interessati dall’intervento; c) di uno o più
consigli comunali o di unioni di comuni territorialmente interessati dall’intervento, se complessivamente rappresentativi di almeno 100.000 abitanti; d) di almeno 50.000 cittadini elettori nei territori in cui è previsto l’intervento; e) di almeno un terzo dei cittadini elettori per gli interventi che interessano le isole con non più di 100.000 abitanti. Fermo restando che l’amministrazione interessata può indire su propria iniziativa il dibattito pubblico quando ne rileva l’opportunità. Sono escluse dal dibattito pubblico le opere che comprendono: — le opere realizzate con le procedure previste dagli articoli 159 e 163 del codice dei contratti pubblici nei settori della difesa e della sicurezza e in caso di somma urgenza e di protezione civile; — le opere destinate alla difesa nazionale di cui all’articolo 233 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare); — gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, restauri, adeguamenti tecnologici e completamenti; — le opere già sottoposte a procedure preliminari di consultazione pubblica sulla base del Regolamento (UE) n. 347 del 17 aprile 2013 (Orientamenti per le infrastrutture energetiche trans europee) ovvero di altra norma europea. Aspetti applicativi: a) indizione del dibattito pubblico Il dibattito pubblico è indetto dall’amministrazione interessata (5), che trasmette alla Commissione nazionale
Riquadro OPERE MARITTIME ASSOGGETTATE AL DIBATTITO PUBBLICO Tipologie di opere (Soglie dimensionali) — Porti marittimi commerciali. Terminali marittimi, da intendersi quali moli, pontili, boe, galleggianti, isole a mare per il carico e scarico dei prodotti collegati con la terraferma e l’esterno dei porti, che possono accogliere navi di stazza superiore a 1.350 tonnellate, comprese le attrezzature e le opere funzionalmente connesse (Opere che comportano una superficie interessata sull’intervento superiore a 150 e comunque con valore di investimento complessivo superiore a 200 milioni di euro al netto di IVA del complesso dei contratti previsti). — Interventi per la difesa del mare e della costa (Opere che comportano un valore di investimento complessivo superiore ai 50 milioni di euro del complesso dei contratti previsti). — Piattaforme di lavaggio delle acque di zavorra delle navi (Opere off-shore che comportano un valore di investimento complessivo superiore ai 150 milioni di euro del complesso dei contratti previsti). — Interporti comprendenti uno scalo ferroviario idoneo a ricevere treni in collegamento porti, aeroporti e viabilità di grande comunicazione (Opere che comportano costi degli stabilimenti e delle infrastrutture superiori a 300 milioni di euro al netto di IVA del complesso dei contratti previsti).
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RUBRICHE
Nautica da diporto 31o TROFEO MARIPERMAN
Preceduta da una serie di eventi culturali legati alla vocazione marinara dell’area, dal 21 al 23 settembre 2018 si è svolta la trentunesima edizione del Trofeo Mariperman, organizzata dal «Centro di Supporto e Sperimentazione Navale» (CSSN) con il contributo del Comitato dei Circoli velici (1), sotto il patrocinio dei Comuni di La Spezia, Lerici e Portovenere, con il sostegno dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Orientale. Il debutto della manifestazione avvenne nel 1988 con il nome di «Regate del Centenario» per celebrare il primo secolo di attività dell’Ente sperimentale della Marina Militare. Inizialmente il Trofeo si svolgeva durante il fine settimana con due prove di regata generale, grazie alla Sezione Velica della Marina Militare (SE.VE.) e la Lega Navale Italiana di La Spezia. In seguito, furono inserite anche regate riservate ai diversamente abili, delle classi «2.4 mR» e «Homerus». L’imbarcazione della prima classe (paraolimpica) è governabile da tutti (uomini, donne, giovani abili e diversamente abili) a prescindere dalla forza fisica e dal peso del timoniere. La barca ha
tutti i comandi a portata di mano dell’unica persona d’equipaggio, che si trova al centro seduto su un apposito sedile, fissato nel pozzetto e rivolto verso prua e che può scorrere su dei binari in modo da poter scegliere la posizione migliore. Dalla posizione centrale il timoniere può azionare le manovre con le mani, o con un sistema che si può regolare con i piedi, mentre il timone è gestito tramite un’apposita pedaliera o con una leva che lavora orizzontalmente. La classe «Homerus» è stata ideata per essere utilizzata in campi di regata dedicati ai non vedenti. Nel 2007, dalla fusione di tre Enti di studio e sperimentazione, MARIPERMAN, MARIMISSILI e MARITELERADAR, nacque il «Centro di Supporto e Sperimentazione Navale». L’ente della Marina Militare, oltre alla sua missione per la Forza Armata, partecipa attivamente ad attività finalizzate allo sviluppo e alla valorizzazione di tecnologie per la salvaguardia dell’ambiente marino. Infatti, è parte del progetto European Defence Agency-Protection of Marine Mammals (EDA-PoMM) che serve, tra l’altro, a creare e mantenere aggiornate banche di dati oceanografici, acustici, d’avvistamento, di rumore ambiente, ecc... Inoltre, ha un accordo di cooperazione con l’organo esecutivo dell’agenzia della NATO che si occupa della ricerca nel campo scientifico e tecnologico, il Centre for Maritime Research and Experimentation (CMRE). Per i meno giovani si tratta dell’ex SACLANT ASW Research Centre (SACLANTCEN) o, più recentemente, del NATO Undersea Research Center (NURC). Il CSSN nel 2011 istituì il Trofeo omonimo come «veicolo di coesione, conoscenza e scambio di esperienze fra Enti di ricerca, Università, Istituzioni e Industrie». Nello stesso anno, e grazie anche all’apporto dell’Autorità portuale della città e a numerosi sponsor, vide la luce sul lungomare il primo Villaggio della Vela e della Tecnologia. Anche quest’anno è stato realizzato il villaggio, a Le Grazie, con laboratori scientifici per i giovani.
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ottobre+settembre_Layout 1 28/11/2018 14:16 Pagina 116
RUBRICHE
C he cosa scrivono gli altri «Il rapporto all’attualità»
transatlantico
QUADERNI DI SCIENZE POLITICHE CUORE, N. 13/2018
-
dalla
storia
UNIVERSIT¤ CATTOLICA DEL SACRO
Insieme agli Atti del Seminario «La Rivoluzione russa del 1917 e le Chiese» e al saggio L’insegnamento sociale della Chiesa di Beniamino Di Martino, il numero dei Quaderni in discorso presenta alcune relazioni degli Atti del X Convegno di studio sull’Alleanza atlantica, che si è tenuto a Milano il 2 maggio 2017 ed è stato dedicato al «rapporto transatlantico dalla storia all’attualità: fasi e compiti della Nato». Come infatti ben illustra nella sua presentazione il prof. Massimo de Leonardis, direttore dei Quaderni e storico organizzatore della serie dei convegni in parola, ben noto ai lettori della Rivista per l’assidua collaborazione degli ultimi anni, se all’atto della sua fondazione la NATO si era presentata più come un patto di garanzia politica, basato sul concetto di deterrenza che un’alleanza militare integrata, solo a seguito delle vicende della guerra di Corea alla pura deterrenza subentrò una reale difesa, che vide fondamentalmente il succedersi di due strategie. La «rappresaglia massiccia e immediata» di tipo nucleare dal 1957 al 1967 e, quindi, la «risposta flessibile e controllata» sino alla fine della Guerra Fredda, durante la quale l’Alleanza rimase vigilant and prepared «senza sparare un colpo» Nella fase successiva invece, scandita dai Concetti Strategici del 1991, 1999 e 2010, la NATO entrò in azione in Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Afghanistan («la maggiore operazione nella storia della Nato»), Iraq e Libia. E dopo che la fase delle «operazioni ad alta intensità» volgeva al termine, la crisi dei rapporti con la Russia e
la sfida lanciata dal terrorismo transnazionale sono state rispettivamente al centro dei vertici di Newport (2014) e di Varsavia (2016). In un quadro dunque così complesso e articolato, utilissimo peraltro per i lettori a titolo informativo, si succede il focus che le singole relazioni pongono su profili particolari, tra storia e attualità appunto. Tra cui, in particolare, ricordiamo «L’amministrazione Trump e la Nato di fronte alle crisi attuali» (Antonio Donno), la «relazione speciale» tra Stati Uniti e Gran Bretagna (Davide Borsani) e i rapporti tra Unione Europea e NATO in tema di «security e defence policy» (Antonio Marquina Barrio dell’Università Complutense di Madrid). Quindi l’accento batte sulla (ri)scoperta del «fianco sud» e il ruolo dei paesi mediterranei e dell’Italia con la relazione «L’Alleanza atlantica, il Mediterraneo e il problema dell’out-of-area» (Gianluca Pastori), mentre con gli incisivi profili critici su Manlio Brosio, Segretario Generale dal 1964 al 1971 (l’unico italiano a ricoprire la prestigiosa carica!) e Gaetano Martino, uno dei «tre saggi» del 1956, rispettivamente di Daria Sauleo e Angela Villani, si ricordano in maniera approfondita due grandi figure italiane che hanno illustrato l’Alleanza atlantica. Come parimenti ben viene evidenziato il contributo delle nostre Forze Armate nel contesto operativo NATO. Tanto più che, se l’Italia figura solo al 17o posto sui 28 Paesi NATO come percentuale del PIL dedicato al bilancio della Difesa (all’attualità l’1,11%), rimane pur sempre tra i maggiori contributori alle missioni NATO (in particolare la seconda in Afghanistan, dopo gli Stati Uniti). E per quanto attiene l’atteggiamento dell’opinione pubblica italiana nei confronti dell’Alleanza? Da un lato ci sono sempre coloro che «acriticamente si allineano a qualunque richiesta provenga da Washington, direttamente o tramite la Nato, con la motivazione che «siamo alleati» mentre, dall’altro, si schierano i soliti «oppositori preconcetti» di sempre. «Bisognerebbe invece ricominciare a pensare ed agire in termini di interessi strategici nazionali — conclude de Leonardis e semmai — la domanda è se l’Italia ha la forza per farlo».
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RUBRICHE
Recensioni e segnalazioni Giuseppe Nencioni
Gli italiani e le esplorazioni artiche Per una critica delle reinterpretazioni del nazionalismo Aracne editrice Canterano 2018, Pagg. 180, Euro 14
Giunge in Italia, a otto anni dalla sua pubblicazione curata dall’Università svedese di Umea, il saggio sulle esplorazioni artiche italiane di Giuseppe Nencioni. In un momento in cui i cambiamenti climatici hanno riacceso l’interesse internazionale per la regione artica, il libro pone la questione del ruolo del nazionalismo e quindi, di riflesso, dell’approccio che l’Italia potrebbe avere nelle problematiche dello sfruttamento delle nuove vie di navigazione, delle risorse naturali ma anche turistiche dell’area. Vengono passate in rassegna le partecipazioni italiane alle spedizioni artiche tra il 1872 e il 1928 con una impostazione molto originale secondo la quale gli Italiani sarebbero stati ispirati dal nazionalismo pacifista e cavalleresco di Giuseppe Mazzini (1805-1872). Lo studio di Nencioni è già stato oggetto di esami critici internazionali a dimostrazione dell’importanza del suo lavoro. Tra queste si segnala la dettagliata recensione curata nel 2011 da Aant Elzinga dell’Università svedese di Gothenburg dove si evidenzia la discontinuità tra i principi di patria, di pace e di cooperazione internazionale di Mazzini e le esplorazioni italiane del ‘900. Infatti, è possibile riscontrare lo spirito di cooperazione internazionale nel patriottismo di Cristoforo Negri, fondatore della Reale Società Geografica Italiana nel 1867, nelle esplorazioni di uomini della Marina Militare come Eugenio Parent (spedizione finlandese-svedese di Adolf Erik Nordenskiold del 1872-1873) di Giacomo Bove (seconda spedizione Nordenskiold del 1878-79) e di Alberto De Rensis (spedizione danese di Andreas Peter Hovgaard
del 1882-1884). Ma le cose cambiarono già con la spedizione della Stella Polare al comando di Luigi Amedeo di Savoia del 1899-1900 alla quale parteciparono Umberto Cagni, Francesco Querini e Achille Cavalli Molinelli. L’ideale di Patria fu associato a uno spirito di affermazione nazionalistica del giovane Regno d’Italia, anche se buona parte dell’equipaggio era norvegese. L’inclinazione verso un nazionalismo sempre più competitivo e sciovinista si affermò con la Prima guerra mondiale. Esso non lasciò molto spazio a propositi di cooperazione internazionale fino ad assumere i contorni del colonialismo e delle ideologie degli Stati totalitari. Anche i programmi scientifici, sempre ispirati alla collaborazione internazionale, furono piegati agli obiettivi di conquista nazionale e spesso ne costituivano solo una superficiale giustificazione. In questo quadro, già tracciato da Elzinga, la lettura di Nencioni in chiave «mazziniana» del nazionalismo delle spedizioni polari in dirigibile con il Norge di Roald Amundsen e con l’Italia di Umberto Nobile appare discutibile. D’altronde, l’applicazione di categorie interpretative appartenenti ad altri periodi storici sembra voler compensare la mancanza dello studio di fonti dirette che non siano le versioni letterarie o ufficiali. Come conferma lo stesso Nencioni, questa carenza costituisce il difetto di fondo delle ricostruzioni storiche delle imprese polari in dirigibile, in particolare di quella con l’aeronave Italia del 1928. Infatti, nei miei recenti lavori storiografici mi sono avvalso di documentazione di archivio non destinata alla pubblicazione giungendo ad altre, opposte, conclusioni. Tali studi hanno rivelato, fin dalla fase preparatoria della spedizione, un contesto di attriti tra i Paesi coinvolti nella spedizione che ebbero il loro peso nel disastro dei soccorsi portati ai naufraghi del dirigibile. Si fa, in particolare, riferimento alla corrispondenza con la quale la Reale Società Geografica Italiana e il Comitato finanziatore di Milano accreditavano l’iniziativa di Nobile al Capo del Governo nel 1927 in aperto anta-
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RIVISTA
MARITTIMA MENSILE DELLA MARINA MILITARE DAL 1868
nel prossimo numero Speciale Grande Guerra
OTTOBRE 2018 - anno CLI CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÀ AUTORIZZATA N&C MEDIA S.N.C. VIA S. ANTONIO, 1 21013 GALLARATE (VA) Tel. 0331 773802 Fax 0331 781471 www.necmedia.eu
REGISTRAZIONE TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N. 267 31 LUGLIO 1948
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Rivista Marittima Ottobre 2018