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Il Mediterraneo risveglia l’Italia. Una ZEE per ricostruire una proiezione regionale

La delimitazione di una Zona Economica Esclusiva (ZEE) (1) appare oggi un passaggio obbligato nella conformazione della geopolitica mediterranea. E l’Italia, paese che fin troppo spesso dimentica la sua marittimità e la naturale proiezione verso il Mare nostrum, ha compreso questa necessità storica di giungere alla conformazione di una ZEE nazionale.

Il percorso legislativo che ha avuto termine con l’approvazione della legge 14 giugno 2021 n. 91 — che prevede appunto la «istituzione di una Zona Economica Esclusiva oltre il limite esterno del mare territoriale» — rappresenta pertanto un momento importante nella rimodulazione dell’impegno italiano all’interno dello scacchiere mediterraneo. Un’ulteriore spinta verso una presa di coscienza collettiva — certificata dalla larghissima maggioranza politica che ha accolto la proposta di legge — su quello che il mare può e deve significare per l’Italia. Un paese che non può non avere nell’economia marittima un pilastro della sua agenda strategica.

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Un Mediterraneo «territorializzato»

La scelta italiana si incardina in un complesso fenomeno di rinnovata volontà di delimitazione degli spazi sovrani nel Mediterraneo. Una territorializzazione che sta riducendo in modo sensibile aree di alto mare e che fa apparire il nostro bacino di riferimento un mare sempre più contingentato e a rischio di dispute sui diritti di sfruttamento.

Il tema è stato percepito con sempre maggiore interesse alla luce dei recenti sviluppi che hanno coinvolto settori fondamentali nella strategia marittima anche se non propriamente legati agli ambiti di applicazione delle Zone Economiche Esclusive. Il mare, un tempo dominio caratterizzato proprio dalla fluidità e dall’assenza di confini, è così destinato a essere considerato uno spazio dove si proietta nel modo più incisivo possibile la sfera di sovranità nazionale. Sovranità che si estende e che supera di gran lunga i limiti delle acque territoriali e che amplia la possibilità di creare non soltanto uno schermo di protezione dei propri interessi nazionali in «alto mare», ma di fare anche in modo che tale area rientri a pieno titolo nella possibilità di uno sfruttamento di tipo economico ed esclusivo.

L’Italia non è ancora giunta a questo punto, così come la maggior parte dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. La legge 91 del 14 giugno 2021 (2) giugno pone, infatti, le premesse affinché il paese istituisca la propria ZEE. Tuttavia, non va sottovalutato il fattore «psicologico» dato dall’approvazione di questo atto normativo come doverosa presa di coscienza di un fattore marittimo nel panorama politico nazionale. Specialmente se, come sostenuto poc’anzi, questa svolta è messa in parallelo con quanto avviene (o è già avvenuto) nel Mediterraneo, riguardo questa delicata partita geopolitica.

La tempistica, quindi, è essenziale per comprendere il ruolo che certe dinamiche possono avere negli equilibri regionali. L’idea embrionale di una Zona Economica Esclusiva — prima ancora che la sua formale istituzione — non è solo il riconoscimento di una marittimità ritrovata in uno Stato che fin troppo spesso non ha compreso le proprie fondamentali prospettive mediterranee. Proclamare una ZEE — o comunque iniziare a intavolare negoziati bilaterali in funzione di essa — comporta, infatti, la scelta di uno Stato di porsi non nell’ottica di attesa, ma di proposizione. Una spinta propulsiva, seppure in una fase iniziale, che esprime la volontà di costruire nuovi rapporti in un mare in fermento. Una regione in cui potenze piccole o medie, in ascesa o già ben definite e stabili, hanno fatto della Zona Economica Esclusiva un punto centrale della propria agenda marittima.

La svolta algerina e l’assertività turca

È importante sottolineare che, almeno fino allo scorso decennio, la situazione mediterranea sul fronte delle delimitazioni marittime e dei diritti sovrani appariva abbastanza cristallizzata, frutto in particolare di una progressiva definizione delle aree di protezione della pesca. Molti paesi rivieraschi avevano già concluso accordi e delineato le proprie aree sovrane nel campo ittico e per la protezione ambientale. Inoltre, la via della ZEE presuppone una formula talmente ampia e unilaterale e richiede uno spazio geografico di proiezione talmente ampio (200 miglia dalla linea di base e quindi 400 da una costa all’altra) che è sempre apparso complicato muoversi con proclamazioni a rischio di dispute infinite. La necessità di un continuo dialogo sugli accordi per proclamare le Zone Economiche Esclusive ha così delineato i rapporti regionali, almeno su questo specifico tema, in

una sorta di «pax mediterranea» (e soprattutto europea) in attesa di accordi su base bilaterale o regionale.

Le vicende hanno subito un’accelerazione — e un repentino cambiamento nella percezione globale — grazie alle azioni di due paesi, Algeria e Turchia, e con una serie di altre operazioni diplomatiche che hanno coinvolti i paesi del Levante. Questi due Stati, in particolare, hanno iniziato a costruire (o ricostruire) una propria politica marittima che, tra i vari capitoli del programma, partiva anche dalla Zona Economica Esclusiva. La ZEE è diventata pertanto emblema non solo dalla possibilità di disegnare nuove sfere di sovranità, ma anche di manifestare un’ascesa politica in un contesto marittimo tornato a essere turbolento.

Per quanto riguarda l’Algeria, va ricordato, in particolare, che la sua svolta marittima ha avuto una peculiare incidenza proprio sull’Italia. Algeri, senza avere preventivamente trovato un accordo con Roma, ha istituito una ZEE che, come ricordato da Analisi Difesa, «lambisce le aree costiere della Sardegna occidentale, estendendosi sino nord-ovest del Golfo di Oristano in prossimità delle acque territoriali di Sant’Antioco, Carloforte, Portovesme, Oristano, Bosa ed Alghero, con una cuspide (punto di coordinate 40°21’31’’N-06°50’35’’E) distante circa 60 miglia dalla costa della Sardegna e almeno 195 miglia da quella algerina» (3). Parliamo dunque di uno specchio d’acqua particolarmente vasto, molto al di lì dei limiti che imporrebbe una soluzione egualitaria della ripartizione, e che per anni è stato al centro di trattative tra Roma e Algeri per raggiungere un accordo che mettesse in sicurezza i diritti italiani. Una scelta che aveva preoccupato anche la Spagna, posto che l’area delimitata e pretesa dal governo algerino si estende anche in prossimità delle isole Baleari.

La mossa algerina ha in ogni caso avuto il merito di portare nel dibattito politico italiano un tema che è sempre apparso colpevolmente secondario. Tanto è vero che l’iter legislativo della proposta per l’istituzione di una Zona Economica Esclusiva affiora nei rami del Parlamento anche per questa svolta nordafricana che è apparsa, agli occhi di molti osservatori, come un campanello d’allarme. La scelta di un partner fondamentale per il sistema-Paese di realizzare una delimitazione che potesse potenzialmente ledere i diritti italiani ha innescato una reazione ampia ed eterogena. Questione che è diventata poi centrale fino all’approvazione della proposta di legge del 2021. L’importanza delle ZEE, e quindi le implicazioni di queste aree sovrane nell’equilibrio del Mediterraneo, è apparsa particolarmente rilevante se unita alle dinamiche del quadrante che va dall’Egeo al Levante. Negli ultimi anni, la miscela di scoperte di idrocarburi nel Mediterraneo orientale, logiche di potenza, desiderio di sfruttare le risorse marine e gestione delle infrastrutture che solcano quelle acque, hanno provocato una netta riscoperta della vocazione marittima dei paesi rivieraschi. E quello che appariva come un bacino critico esclusivamente per la sua appartenenza a un Medio Oriente incendiato dalle «endless wars» (4) o come luogo di incontro e scontro tra superpotenze, è diventato un mare inquieto anche per dinamiche eminentemente regionali. Il fenomeno della delimitazione e dello sfruttamento delle ZEE si è dunque acceso in un’area già critica, in cui si sono innestati profili di natura giuridica, econo«Negli ultimi anni, la miscela di scoperte di idrocarburi nel Mediterraneo orientale, logiche di potenza, desiderio di sfruttare le risorse marine e gestione delle infrastrutture che solcano quelle acque, hanno provocato una netta riscoperta della vocazione marittima dei paesi rivieraschi» (Fonte immagine: pixabay.com).

mica, politica e militare che hanno investito tutto il Mediterraneo allargato. E un paese, in particolare, ha riacceso il dibattito unendolo a una riscoperta diplomatica e militare della propria marittimità: la Turchia.

La svolta marittima di Ankara — la cui vocazione terrestre ha più volte prevalso su una storia in cui il mare ha avuto un peso specifico non secondario — è stata particolarmente rilevante negli ultimi anni con l’interesse di Recep Tayyip Erdogan verso l’Egeo e il Levante. La dottrina nota come Mavi Vatan, e cioè la Patria Blu, si è imposta nel panorama politico turco — almeno fino agli inizi del 2021 (5) — inserendo nel dibattito pubblico elementi di stampo marittimo che sembravano difficilmente imponibili nel sistema politico anatolico. E, pur con le oscillazioni tipiche della storia recente della Repubblica turca, spesso investita da turbolenze in grado anche di modificare le linee strategiche intraprese poco prima, quello che sembra evidente è che la riscoperta della proiezione nel mare rappresenti un anello di congiunzione del mondo kemalista e di quello neo-ottomano. Sintesi che confermerebbe pertanto una nuova e sistematica attenzione della Turchia verso il Mediterraneo.

La certificazione di questo complesso meccanismo di risveglio dell’attrazione verso il mare ha avuto due momenti di particolare importanza per la stabilità regionale. Il primo momento può essere considerato quello dell’esplodere delle tensioni con la Grecia come risposta di Ankara alla delimitazione delle acque accolta dalla comunità internazionale. Un disegno che, secondo la Turchia, accoglierebbe solo le tesi greche e che sarebbe certificato dalla circolazione della cosiddetta «Mappa di Siviglia» nei corridoi di Bruxelles (6).

La mappa, che ha un carattere sostanzialmente accademico e soprattutto ipotetico, ha acceso da subito le preoccupazioni di molti accademici e strateghi turchi legati alla dottrina della Patria Blu. Questo poiché, in base allo studio spagnolo, la ZEE di Ankara sarebbe stata riconosciuta solo per una minima area a sud del Golfo di Antalya. Progetto che, a detta della Turchia, e non senza alcuna ragione, non teneva in considerazione l’estensione delle coste turche rispetto a quella delle piccole isole elleniche lontane dal continente.

La Zona Economica Esclusiva si è così trasformata nel perno di una rivendicazione turca di più ampio respiro. Sotto il profilo interno, il presidente turco ha invece potuto utilizzare la questione marittima per illustrare una nuova idea di nazione che partisse dalla volontà di vedere riconosciuto ciò che considera non una pretesa, ma un diritto. Nei rapporti con l’Unione europea, Ankara ha potuto utilizzare questo strumento per manifestare una certa delusione nelle relazioni con Bruxelles rievocando negoziati arenati da tempo. Infine, a livello più propriamente marittimo, l’improvviso interesse per la ZEE non ha soltanto scatenato una corsa alla ricerca nei fondali e all’accaparramento di risorse presenti, ma anche a una nuova presa di posizione nei rapporti internazionali che si basava su un piano di riscoperta della Marina e di riarmo navale. La Repubblica turca ha intuito così che la delimitazione di questi nuovi confini sarebbe stata decisiva per ricostruire vecchie alleanze e crearne di nuove. Di qui la nascita di una vera e propria diplomazia delle ZEE che ha condotto a risultati controversi e che ha acceso reazioni piccate soprattutto dai

«La svolta marittima di Ankara — la cui vocazione terrestre ha più volte prevalso su una storia in cui il mare ha avuto un peso specifico non secondario — è stata particolarmente rilevante negli ultimi anni con l’interesse di Recep Tayyip Erdogan verso l’Egeo e il Levante» (Fonte immagine: pixabay.com).

governi di Atene, Nicosia e di tutti gli Stati dell’Unione europea preoccupati dall’assertività turca.

Il «turning point» di questo processo di individuazione delle Zone Economiche Esclusive come termometro dell’interesso turco per il Mediterraneo si è avuto con il contestato accordo con il Governo di Accordo Nazionale libico guidato da Fayez al-Sarraj (7).

L’iniziativa di firmare un patto con Tripoli sulla ZEE è stata la manifestazione di un doppio obiettivo della Turchia tra Mediterraneo e Nord Africa. Da un lato, esso ha rappresentato il segnale più eloquente di un rapporto consolidato nel corso della guerra di Libia in cui la Turchia si è imposta come alleato principale del governo di Tripoli fino a essere quasi il protagonista (o il regista) del conflitto. Dall’altro lato, la svolta sulla ZEE è stato un segnale di avvertimento erga omnes che ha manifestato il desiderio di Ankara di non rimanere ferma alla prossimità delle sue coste, chiarendo la centralità di questo strumento giuridico alla luce delle scoperte energetiche e della rinnovata importanza del Mediterraneo centrale ma soprattutto orientale. Come confermato anche dall’analisi dell’International Crisis Group, «la Turchia ha cercato a lungo questo accordo come uno strumento fondamentale per iniziare a ridisegnare i confini marittimi nel Mediterraneo orientale e mitigare quelli che considera vantaggi sproporzionati dovuti a due dei nemici storici di Ankara: la Grecia e la Repubblica di Cipro» (8). Quindi, l’accordo sulla ZEE segna la creazione di una sorta di avamposto di interesse: uno schermo protettivo per spostare nel Mediterraneo centrale il focus sul Mediterraneo orientale.

La firma del memorandum d’intesa turco-libico si basa su una metodologia che si potrebbe definire arbitraria, anche se in realtà è insita nella stessa idea di ZEE come definita nell’ordinamento internazionale. I delegati libici e turchi hanno predisposto un accordo che congiunge le due Zone Economiche Esclusive in un’area poco a sud dell’isola di Creta senza tenere conto sia di quest’ultima isola greca, sia di tutte le isole elleniche che rientrano nella ZEE rivendicata dai turchi (9). Con questa delimitazione, Libia e Turchia hanno quindi scalfito lo status quo del Mediterraneo. E quello che appariva come un mare cristallizzato si è rivelato un mare estremamente più dinamico e meno stabile, non più fondato sulla prassi compassata della burocrazia europea. Una svolta che ha dimostrato come fosse impossibile reagire in modo chiaro, sotto il profilo legale e coercitivo, a una rivendicazione che è frutto di un atto spontaneo incontrollabile (se non condannabile a livello diplomatico). E che necessitava — come unica reazione e come unico modus operandi — di uno scatto da parte dei paesi rivieraschi, Italia compresa.

Il campanello d’allarme e la scelta italiana

Percorrere la storia più recente delle ZEE mediterranee aiuta a comprendere le motivazioni anche geopolitiche dietro la legge del 2021. L’immagine scaturita dalle mosse di molti attori rivieraschi è quella di una realtà mutevole e caratterizzata da una rinnovata assertiva. Uno scenario che non teneva particolarmente conto dei tempi e delle liturgie della diplomazia europea, imponendo invece un’agenda attiva che aveva (per certi versi anche paradossalmente) un suo fondamento giuridico (10).

Questo non si traduce naturalmente nell’assegnare alle mosse di tutti i paesi un valore cogente, né riconoscere in esso il rispetto delle logiche del diritto internazionale. Tuttavia, bisogna in ogni caso riflettere sulla natura più diplomatica e politica che strettamente giuridica della proclamazione di una Zona Economia Esclusiva.

Come spiegato da ampia dottrina in materia, la definizione delle ZEE è un atto tanto incisivo quanto privo di caratteri ben delineati. Partendo dalla definizione generale, che identifica la Zona Economica Esclusiva in una «porzione di mare adiacente alle acque territoriali, che può estendersi fino a 200 miglia dalle linee di base dalle quali è misurata l’ampiezza del mare territoriale», essa altro non è che la proclamazione di un’area i cui effetti non derivano solo dalla sua formale proclamazione, ma, in un mare come il Mediterraneo, anche in base al riconoscimento che le viene dato dai paesi frontisti (11).

La peculiarità delle Zone Economiche Esclusive impone quindi una riflessione di tipo politico. La proclamazione di queste aree — e la produzione di effetti concreti — nasce da esigenze politiche ed economiche che esulano dal campo legale per entrare in quello diplomatico. Motivo per il quale la Turchia, tornando all’esempio precedente, pur muovendosi in un’ottica

estranea alla prassi europea, non ha commesso un gesto del tutto infondato in punta di diritto, quanto un atto sui generis a livello diplomatico (12). Lo stesso dicasi delle modalità con cui l’Algeria, attraverso il Decreto presidenziale del 2018, ha optato per la delimitazione di un’area estesa dalle Baleari fino alle coste nord-occidentali della Sardegna (13).

Quello che risulta chiaro, pertanto, è che a una logica strettamente giuridica si deve opporre una strategia di natura diplomatica, fondata su un equilibrio di intese e regole incardinate nella UNCLOS ma anche nelle relazioni politiche instaurate con i paesi vicini. È l’idea stessa di interesse nazionale, di inserimento in una logica di buon vicinato, e di come si impostano i rapporti regionali a fondare la proiezione nella ZEE più che la gabbia legale che la delimita.

La conformazione della legge per l’istituzione di una Zona Economica Esclusiva impone, proprio per questo motivo, una duplice riflessione. Da una parte essa inquadra la creazione di quest’area come espressione di sovranità nazionale sul mare. Quindi, come mossa che anticipa quelle altrui o le limita a tutela delle proprie prerogative. Dall’altra parte, l’impianto legislativo rivela l’auspicabile desiderio di trovare accordi che evitino la proclamazione di una ZEE solo sulla carta o foriera di lunghi e pericolosi contenziosi. A questo proposito, è la stessa legge a investire nei canali diplomatici a disposizione, prevedendo all’articolo 1 comma 3 che «i limiti esterni della Zona Economica Esclusiva sono determinati sulla base di accordi con gli Stati di cui al comma 214, soggetti alla procedura di autorizzazione alla ratifica prevista dall’articolo 80 della Costituzione. Fino alla data di entrata in vigore di tali accordi, i limiti esterni della Zona Economica Esclusiva sono stabiliti in modo da non compromettere o ostacolare l’accordo finale». Di qui l’importanza di comprendere i rapporti di forza nell’area mediterranea per giungere ad accordi che facciano sì che la ZEE sia effettiva. Zona che, presupponendo l’accordo con gli Stati di «confine» e soprattutto prevedendo procedure che evitino la compromissione dell’accordo finale, si basa sul favorire il dialogo in sede internazionale e presuppone la comprensione dei complessi meccanismi politici mediterranei.

Una trama di buon vicinato

La proclamazione della ZEE corre perciò in parallelo con i rapporti internazionali che l’Italia deve costruire. E necessita di questi legami proprio per diventare effettiva. Questa condizione presuppone, pertanto, anche l’analisi dei singoli scenari dei paesi che si affacciano sullo stesso mare e che rivendicano altrettante aree. Ed è chiaro che non è possibile parlare di una singola Zona Economica Esclusiva senza fare riferimento ad accordi più o meno bilaterali che di volta in volta possono comporre il singolo tassello del mosaico.

Per quanto concerne l’Adriatico, per esempio, esistono trattative già da tempo avviate con Croazia e Slovenia. Il recente vertice tra il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, l’omologo sloveno Anže Logar e l’omologo croato Gordan Grlić Radman, per formulare una dichiarazione congiunta sulla cooperazione nel settore Nord Adriatico è un segnale che va precisamente in questa direzione. Così come in questa direzione andava l’incontro precedente, tenuto a dicembre del 2020 a Trieste, in cui era stato ribadito il potenziamento della cooperazione trilaterale anche «alla luce delle informazioni condivise dall’Italia e dalla Croazia in merito alla loro intenzione di proclamare una Zona Economica Esclusiva nell’Adriatico» (15). Per quanto riguarda sempre l’Adriatico e il mar Ionio, in attesa dell’attivazione del Montenegro, esistono già accordi con Albania e Grecia che sembrano non destare particolari ambiguità o tensioni. Stesso discorso vale per Francia e Spagna, che appaiono allineate su un percorso di progressivo e reciproco riconoscimento futuro delle zone di esclusività.

La questione si fa più complessa nell’elaborazione delle ZEE nel Mediterraneo centrale e, in generale, con i paesi del fronte sud del Mare nostrum. Algeria, Malta, Tunisia e Libia rappresentano, infatti, paesi estremamente importanti, cui l’Italia è legata da vincoli non solo puramente geografici ma anche economici e strategici, e che allo stesso tempo possiedono ognuno una propria peculiarità e un’autonomia tale da non poter parlare di un problema regionale né unitario. Dialogare con il singolo paese necessita di un’ampia conoscenza dei rapporti con quello Stato e della realtà che in questo momento caratterizza anche i rapporti bilaterali sotto il profilo marittimo.

Dei rapporti con l’Algeria abbiamo già parlato in ri-

ferimento al decreto del 2018. Orbene, l’Algeria ha sempre affermato la necessità e la volontà di instaurare un dialogo con l’Italia per arrivare a un accordo. Tuttavia, è opportuno considerare come il governo algerino abbia comunque proposto, in via prioritaria, una ZEE che si fonda su un parametro del tutto differente da quello prefigurato dall’attuale normativa italiana. Cosa che potrebbe rendere più complicato il raggiungimento di un accordo alla luce delle pretese già espresse dalla controparte. La ratio sottesa alla legge italiana è, infatti, votata al rapporto di buon vicinato: la normativa ritiene sempre preferibile basarsi su intese che evitino di distogliere dal risultato finale o che lo compromettano. Diverso, invece, sembra l’obiettivo di Stati costieri che appaiono intenzionati — almeno in via principale — a proporre una spartizione che sia vantaggiosa solo da un lato, in attesa di accordi futuri. Di qui la necessità di ribadire che, al netto della questione giuridica, ciò che non va dimenticato sul tema ZEE è che esso richiede prima di tutto una fitta trama diplomatica. Non è la ZEE a poter essere la base legale per i rapporti internazionali, ma può essere, al contrario, un’area disegnata grazie a una diplomazia attiva e sostenuta su più livelli.

Questione diversa, ma per certi versi non meno complessa, è la definizione delle ZEE con Malta. Se, infatti, Roma e La Valletta hanno relazioni stabili e fondate sulla coesistenza all’interno dell’Unione europea, è naturale chiedersi fino a che punto l’isola sia disposta a trattare in un settore come quello marittimo così delicato e spesso frutto di incomprensioni. L’esempio della definizione e del modus operandi del governo maltese nell’ambito dell’area SAR (Search and Rescue) è, a tal proposito, un’indicazione chiara sull’importanza che la Valletta assegna al tema della delimitazione delle aree in mare di proprio interesse. A molti osservatori non è sfuggita la scelta maltese di predisporre un’area SAR apparentemente sproporzionata rispetto all’estensione dell’isola e ai mezzi a disposizione delle autorità per episodi in cui è previsto l’intervento delle squadre di soccorso. Tuttavia, questo «eccesso di zelo» non ha mai limitato le rivendicazioni del governo isolano, che si connota da sempre per un’autonomia singolare confermata anche dai rapporti instaurati con Turchia e governo libico. Rapporti spesso differenti anche rispetto a quelli impostati in sede europea.

Proprio perché bisogna riflettere su una politica «caso per caso» e non definita da una regola comune, è importante comprendere anche come potrebbe comportarsi l’Italia con la Tunisia. Caso peculiare soprattutto per i rapporti che già intercorrono sul fronte marittimo tra i due Stati. Con l’Italia esiste un accordo, quello del 1971, che può essere utilizzato come base per la divisione delle rispettive aree di esclusività. Ma rischia di mettere in moto meccanismi di revisione complessi. L’ammiraglio Fabio Caffio, in un articolo apparso sulla rivista Limes, ricorda come in quell’accordo l’Italia, «accogliendo le pretese della controparte, ha riconosciuto un solo miglio di piattaforma continentale a Pantelleria oltre le sue acque territoriali, negando invece ogni spazio aggiuntivo a Lampedusa e a Linosa. In questo modo abbiamo accettato, per motivi contingenti (la Tunisia ci consentì allora di pescare per 8 anni nelle sue acque territoriali), una frontiera marittima vicinissima alle Pelagie; in alternativa, avremmo potuto pretendere una mediana tra esse e le coste tunisine che spartisse equamente anche l’area sovrastante della zona di pesca del “Mammellone”» (16). Partendo da questa delimitazione, l’Italia dovrebbe tentare di ritrattare confini che, con i diritti riconosciuti in ambito ZEE, rischiano di assumere un valore totalmente diverso. Soprattutto se paragonati all’attuale importanza economica dei diritti di pesca in quell’area.

Un’ipotesi su cui si deve ragionare senza tralasciare il momento storico che caratterizza l’asse Roma-Tunisi. Alla luce dei recenti avvenimenti politici tunisini, alla fragilità economica del paese e alla instabilità che contraddistingue la regione, il rapporto tra Italia e Tunisia è solido ma non privo di ostacoli. Il profilo marittimo, caratterizzato in questi anni soprattutto dalla gestione del fenomeno migratorio e dal contrasto al traffico di esseri umani, risulta essenziale nelle relazioni tra i due Stati. Ma non va sottovalutato, specialmente per gli equilibri economici e politici, la difficoltà di un qualsiasi esecutivo tunisino ad accogliere richieste italiane che rivalutino accordi vantaggiosi per Tunisi.

Infine, il nodo libico. La partita delle ZEE nel Mediterraneo centrale ha una valenza geopolitica in cui la Libia assume un ruolo centrale, come visto dall’accordo turco-libico. La firma del memorandum tra Ankara e Tripoli ha dimostrato come l’importanza di queste aree

di sovranità nell’«alto mare» abbia già investito un paese fragile come quello nordafricano. Se quindi può sorprendere che un governo che vive una situazione difficile, dia ampio spazio a un accordo sulla Zona Economica Esclusiva, la sorpresa non deve essere enorme alla luce della partita geopolitica in corso. Da una parte, c’è un chiaro interesse di altre nazioni (Turchia, Malta e paesi limitrofi) a creare un’intelaiatura di rapporti con la Libia che abbia il mare al centro degli interessi reciproci. D’altra parte, proprio per questa corsa alla ZEE libica e ad altri accordi, l’Italia può tentare di inserirsi in questa partita per blindare le relazioni con il governo libico prima che altri Stati possano dettarne l’esclusione.

L’Italia potrebbe giocare d’anticipo proponendo al governo nordafricano una bozza di accordo che contempli una linea di confine comune. Mossa che rafforzerebbe i rapporti con la Libia dopo che le influenze esterne e gli errori commessi dal nostro stesso paese hanno provocato un rapido (e apparentemente inesorabile) allontanamento di Roma da quell’area così vitale per la strategia nazionale. Un patto sulla ZEE, proprio per questa influenza ormai oscurata di Roma, fornirebbe l’immagine di un’Italia con le armi giuste per estendere i rapporti con il governo di Tripoli e con le altre fazioni anche in chiave di futura transizione e auspicata normalità. La proposta, inoltre, darebbe modo anche di consolidare una sorta di road-map italiana sul fronte marittimo che servirebbe anche a distendere i rapporti in questo particolare frangente. Ipotesi che potrebbe servire anche per evitare incidenti come quelli avvenuti tra la marineria nostrana e le autorità e milizie libiche davanti Misurata e Bengasi.

«La territorializzazione del mare è un fenomeno che non ammette perdite di tempo ma che è soprattutto uno dei principali motori delle scelte strategiche in ambito marittimo». Nell’immagine: l’unità ausiliaria per il supporto logistico VULCANO (A 5335) e, nella pagina accanto, la fregata missilistica BERGAMINI (F 590) prima unità in versione multiruolo, vista da elicottero.

Una vocazione da riscoprire

In base a queste premesse, la definizione della ZEE italiana diventa pertanto un’opportunità che non può essere sottovalutata. La territorializzazione del mare è un fenomeno che non ammette perdite di tempo ma che è soprattutto uno dei principali motori delle scelte strategiche in ambito marittimo. Scegliere di costituire una propria area sovrana è una presa di coscienza di una realtà già in atto e da cui l’Italia non può rimanere esclusa senza subire ripercussioni difficilmente quantificabili. Sia a livello economico che a livello politico e strategico. Ma questa scelta, per Roma, potrebbe anche essere un presupposto utile a riattivare un’ampia rivisitazione e rafforzamento della rete di relazioni mediterranee. E questo può avvenire sia utilizzando i canali dell’Unione europea, sia rielaborando una strategia nazionale che si fondi sulla (ri)scoperta del cosiddetto «estero vicino».

Dai Balcani occidentali al Mediterraneo centrale, la politica italiana ha l’opportunità di rafforzare il proprio status alla luce di accordi che sono necessari dal punto di vista giuridico, ma che servono soprattutto come potenziale frutto di una nuova diplomazia nel Mare nostrum. La ZEE, in ultima analisi, non è solo un punto di arrivo, ma una piattaforma legale e politica utile a ripristinare quella marittimità che per l’Italia è essenziale sia in chiave strategica che più concretamente economica. E che non riguarda solo l’orientamento del sistema-Paese per sfruttare le opportunità del Secolo Blu, ma che serve anche come volano per una riscoperta della proiezione regionale dell’Italia. 8

NOTE

(1) In base alla definizione presente in Caffio F., Glossario di Diritto del Mare. Supplemento alla Rivista Marittima, novembre 2020, Ufficio Pubblica Informazione e Comunicazione, per ZEE si intende «un’area esterna e adiacente alle acque territoriali in cui lo Stato costiero ha la titolarità di: diritti sovrani (UNCLOS 56, 1, (a) sulla massa d’acqua sovrastante il fondo marino ai fini dell’esplorazione, sfruttamento, conservazione e gestione delle risorse naturali, viventi o non viventi, compresa la produzione di energia dalle acque, dalle correnti o dai venti; giurisdizione (UNCLOS 56, 1, (b) in materia di installazione e uso di isole artificiali o strutture fisse, ricerca scientifica in mare e di protezione e conservazione dell’ambiente marino. La zona economica esclusiva (ZEE) può estendersi sino a 200 m dalle linee di base dalle quali è misurata l’ampiezza delle acque territoriali». (2) https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/06/23/21G00103/sg. (3) https://www.analisidifesa.it/2020/03/zona-economica-esclusiva-algeri-si-impegna-a-discuterne-con-roma. (4) La guerra «senza fine» è un concetto coniato per definire quello stato di guerra duraturo e privo delle condizioni necessarie per giungere a una conclusione. L’idea è stata utilizzata negli ultimi anni soprattutto per criticare i conflitti in cui sono coinvolte le Forze armate statunitensi e dove non è presente un nemico convenzionale né sono chiari gli obiettivi. (5) Le vicende legate alle figure apicali di questa linea strategica, a partire da quelle del contrammiraglio Cem Gürdeniz, fanno credere che sia in corso un ulteriore processo di evoluzione dell’agenda turca anche sul fronte marittimo. (6) La carta — parte di uno studio condotto dal professor Juan Luis Suárez de Vivero dell’Università di Siviglia — rappresenta un tentativo di pianificazione degli spazi marittimi per un’eventuale divisione del bacino mediterraneo. (7) https://www.un.org/Depts/los/LEGISLATIONANDTREATIES/PDFFILES/TREATIES/Turkey_11122019_%28HC%29_MoU_Libya-Delimitation-areas-Mediterranean.pdf. (8) Turkey Wades into Libya’s Troubled Waters, Crisis Group Europe Report n. 257, 30 April 2020. (9) La base di partenza delle due aree è, per la parte turca, la zona dell’isola greca di Kastellorizo. Per la Libia, invece, si fa riferimento alla costa della Cirenaica al confine con l’Egitto, partendo sempre dal presupposto che quelle province sono ancora oggi contese con l’Esercito nazionale libico del generale Haftar. (10) In riferimento alla proclamazione della ZEE e di sfruttamento della piattaforma continentale esiste un’area grigia dal punto di vista giuridico che permette definizioni arbitrarie, soprattutto in chi non riconosce determinate strutture legali e convenzioni internazionali. (11) Per quanto concerne la sua delimitazione, deve ricordarsi che, come affermato dall’ammiraglio Fabio Caffio nel suo Glossario di diritto del mare, valgono i principi per la delimitazione della piattaforma continentale. Nel testo si legge, infatti: «La disciplina dell’UNCLOS è in materia identica, in quanto l’art. 74, 1 relativo alla ZEE è perfettamente speculare rispetto all’art. 83,1 riguardante la piattaforma. Il principio è sempre lo stesso: raggiungimento di un risultato equitativo senza obbligo di adottare alcun metodo prefissato. Valgono quindi per la ZEE i criteri di delimitazione elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina internazionale per la piattaforma continentale». Corollario di questo principio è che non vi è alcun obbligo di far coincidere ZEE e piattaforma continentale e che se è vero che «l’ipotesi normale» è quella della «completa sovrapposizione della colonna d’acqua al fondale nell’ambito del limite delle 200 mn dalle linee di base del mare territoriale adottando un confine monolineare», essa rimane in ogni caso una scelta nelle mani del paese rivierasco. La giurisprudenza, in questo senso, ha espresso delle decisioni che hanno costruito delle regole-quadro da potersi applicare nel caso concreto. Ma parliamo di metodologie che non sembrano possedere il carattere della coercizione. (12) Tanto che nel memorandum turco-libico si richiama espressamente la UNCLOS come norma fondamentale. (13) Décret présidentiel n. 18-96 du 2 Rajab 1439 correspondant au 20 mars 2018 instituant une zone économique exclusive au large des côtes algériennes. (14) All’istituzione della Zona Economica Esclusiva, che comprende tutte le acque circostanti il mare territoriale o parte di esse, si provvede con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, da notificare agli Stati il cui territorio è adiacente al territorio dell’Italia o lo fronteggia. (15) https://www.esteri.it/mae/it/sala_stampa/archivionotizie/comunicati/2020/12/comunicato-congiunto-dei-ministri-degli-esteri-di-italia-croazia-e-slovenia-sulla-cooperazione-trilaterale-nel-mare-adriatico.html. (16) https://www.limesonline.com/cartaceo/non-lasciamo-ad-altri-la-delimitazione-del-canale-di-sicilia?prv=true.

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