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Le sanzioni europee alla Turchia nella contesa turco-cipriota della ZEE
Paola Giorgia Ascani
Avvocato del Foro di Roma dal 2006, esercita prevalentemente in campo penale e tutela dei diritti umani. Patrocinante dinanzi la Suprema Corte di Cassazione e giurisdizioni superiori. Membro della Commissione diritto e procedura penale del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma, ha pubblicato con la casa editrice Giuffrè contributi sulla disciplina dei contratti, brevetti e marchi e proprietà intellettuale. È stata tutor e membro del direttivo della Camera penale di Roma e del Centro studi Alberto Pisani. Ha curato, sotto il profilo giuridico e legale, progetti fotoeditoriali in materia umanitaria e internazionale. È consulente giuridico e forense del Circolo del ministero degli Affari Esteri.
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La questione che rotea intorno alle Zone Economiche Esclusive del Mediterraneo orientale impegna una buona parte della recente Politica Estera di Sicurezza Comune per via del coinvolgimento della Turchia in qualità di candidata all’annessione UE. La vicenda, assieme a un’altra serie di differenze ontologiche, allontana sempre più il paese anatolico dalla realizzazione di questo obiettivo, malgrado il posizionamento geografico. Il casus belli relativo alle trivellazioni illegali nella ZEE cipriota è l’emblema della condotta assertiva, quanto illegittima, con cui la Turchia si sta affacciando
Per contesa turco-cipriota si intende la situazione di tensione venutasi a creare sull’isola di Cipro tra le comunità greco-cipriota e quella turco-cipriota e che si è articolata in varie fasi a partire dal 1963.
sul panorama internazionale negli ultimi anni. Ed è solo uno dei tanti warning che l’UE si trova ad affrontare con questa nazione che, giova ricordarlo, è pur sempre una forte potenza militare NATO, ormai dal 1952. Il caso turco ha evidenziato all’Europa l’urgenza di ritoccare in modo definitivo ed efficace la propria politica di difesa. L’UE ha ritenuto necessario aggiungere un sistema di sanzioni e restrizioni davvero adeguato alle problematiche emergenti sul panorama internazionale, anche tenendo conto di questa forte conflittualità che il paese limitrofo non manca di esercitare. La Turchia si è mossa ponendo in essere svariate iniziative, sfruttando l’ambiguità che negli anni recenti ha caratterizzato i rapporti con la Russia, cui si è riavvicinata a seguito del presunto, e mai accertato, colpo di Stato del 2016, quando l’UE si defilò, evidenziando la sua scarsa fiducia nel partner europeo. La rivendicazione della piattaforma continentale cipriota e la sua occupazione fattiva, con le trivellazioni per la ricerca a fini di accaparramento delle ingenti risorse naturali scoperte nel sottomarino, è solo una delle emergenze che l’Europa ha dovuto affrontare. Si comprende bene come il fronte occidentale europeo sia seduto su una mina, se si legge la vicenda delle ZEE insieme a quella
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Mappa indicante la divisione della Repubblica di Cipro (wikipedia). Nella pagina accanto: «Il casus belli relativo alle trivellazioni illegali nella ZEE cipriota è l’emblema della condotta assertiva, quanto illegittima, con cui la Turchia si sta affacciando sul panorama internazionale negli ultimi anni» (ministero Difesa turco).
dell’accordo con la Libia (i due Memorandum d’intesa sulla delimitazione dei confini marittimi turco-libici nel Mediterraneo, del novembre 2019, confermati il 12 aprile scorso), ottenuto bypassando del tutto la politica europea e le iniziative di cooperazione già in atto. La risposta dell’Unione alle tensioni create nel bacino Mediterraneo orientale è stata relativamente pronta, anche se molta strada c’è ancora da percorrere perché sia anche efficace.
Le origini «terrestri» del dissidio turco-cipriota sulle ZEE
Il clima, già teso, tra gli attuali attori dell’affaire sulle ZEE si è sicuramente inasprito qualche anno fa, nel momento in cui l’Europa ha sancito l’annessione di Cipro. La contesa di diritto internazionale marittimo dipende anche da ambiguità che perdurano da decenni sul fronte terrestre. A seguito dell’invasione Turca del 1974, l’isola di Cipro è infatti divisa, geograficamente, in una parte greco-cipriota a sud, e una rimasta alla Turchia, a nord. Mentre la prima, la Repubblica di Cipro, è governata da un’autorità che gode del riconoscimento internazionale, e dunque legittima, la seconda si è autoproclamata indipendente con la denominazione di Repubblica turca di Cipro del Nord, nel 1983, e non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale, che considera la presenza militare turca sul suolo cipriota, come un atto abusivo, violativo del diritto internazionale. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU (risoluzioni 541/1983 e 550/1984), ha ufficialmente sancito la nullità e l’invalidità della dichiarazione secessionista turco-cipriota, richiamando al riconoscimento della Repubblica di Cipro, come unica autorità di cui rispettare la sovranità territoriale. L’UE ha accolto il richiamo e ha disconosciuto la formazione statuale turco-cipriota sull’isola, anche sotto il profilo giuridico. Sotto il profilo sostanziale, anche la Corte di Giustizia europea ha applicato la c.d. «politica del non riconoscimento» della Repubblica turca di Cipro del Nord (RTCN) in un caso in cui si trattava di decidere sull’interpretazione di un accordo di associazione stipulato tra la CE e la Repubblica di Cipro, risalente al 1972, cristallizzandola così di diritto. Sotto il profilo formale, la Repubblica di Cipro è divenuta Stato Membro UE nel 2004, malgrado la mancata riunificazione territoriale per espungere dall’isola la Turchia. Questo obiettivo, a cui da decenni lavorano sia l’Unione europea che le Nazioni unite, senza alcun risultato diplomatico o negoziale, reca la conseguenza che ancora oggi solo una parte dell’isola di Cipro costituisce territorio europeo vero e proprio. L’annessione UE prevede anche una
clausola molto rilevante e piena di conseguenze ai fini della questione ZEE, poiché sospende alla Repubblica di Cipro, l’acquis communautaire, ossia l’esercizio del controllo effettivo sulle proprie acque.
I presupposti giuridici del dissidio marittimo tra Cipro, Turchia e Grecia sulla delimitazione delle ZEE
Su questo già complesso quadro terrestre si innesta la contesa marittima. L’istituto giuridico delle ZEE definisce, in buona sostanza, la proiezione liquida del potere solido di uno Stato, per questo la contesa e le pretese turche attuali sulla zona sottomarina cipriota sono particolarmente complesse. Una serie di fattori concorrono a rendere difficile il dipanarsi della questione: l’ambizione della Turchia di inserirsi nella spartizione e gestione delle risorse naturali scoperte di recente nella zona, appropriandosi innanzitutto dei confini in superficie; il fatto che non abbia mai ratificato l’UNCLOS, e che pertanto non abbia mai fatto ricorso ad alcun metodo di risoluzione delle controversie approvato dal diritto internazionale; la particolarità della disciplina che la stessa Convenzione detta per le ZEE nel caso delle isole in una alle dislocazione e conformazione geografica delle isole greche. A ciò si aggiunga che tutti gli Stati mediterranei hanno un mare territoriale di 12 miglia nautiche, a eccezione proprio di Grecia e Turchia nel mar Egeo. La Convenzione di Ginevra sulla piattaforma continentale (PC) del 1958 sancisce (art.6) che la PC tra due Stati costieri opposti si determina in primis con un accordo, in mancanza, si seguirà la linea mediana tra coste opposte. Se si tratta invece di Stati adiacenti, la PC si determinerà, sempre prima tramite un accordo, in mancanza, «a meno che non vi siano speciali circostanze», si applicherà il principio dell’equidistanza. Secondo le norme dell’UNCLOS (articoli 74 e 83), la delimitazione della ZEE come della PC, tra Stati costieri opposti o adiacenti, segue le regole del diritto internazionale, ai sensi dell’art. 38 (1) dello Statuto della Corte internazionale di Giustizia, per giungere a una equa soluzione, in mancanza si ricorre alle procedure secondo autorità giurisdizionale. A sua volta, anche la Corte internazionale di Giustizia ha espresso una metodologia di delimitazione nel corso dei giudizi (three step process), secondo cui prima si tenta «una linea di equidistanza geometrica, poi si procede a una rettifica nel caso ci siano c.d. circostanze rilevanti (ovvero geografiche; fra queste la presenza di isole come nel caso in questione, geomorfologiche o geologiche, biologiche ed ecologiche) che giustifichino l’aggiustamento o lo spostamento della linea per ottenere un risultato equitativo» (2). Le isole di dimensioni ridotte, tuttavia, non entrano nel calcolo della delimitazione della giurisdizione. Il caso specifico di Cipro, e della maggior parte delle isole greche dell’Egeo (3), secondo la Turchia, rientra in quest’ultima fattispecie. Secondo il paese anatolico alcune isole non possiedono neppure la piattaforma continentale e quindi non possono dare vita a zone marittime di propria competenza territoriale, rimanendo così attratte nella piattaforma continentale degli Stati a esse prospicienti, e geograficamente comprese nel cono d’acqua sovrastante. Così sarebbe il caso di Cipro e delle isole egee, adagiate sulla PC turca. Così, non è (4). E, infatti, per contro, la Grecia sostiene che le proprie isole godano degli stessi diritti dei suoi territori sulla terraferma, e quindi appartengano a sé i diritti di sfruttamento delle aree sottomarine, secondo i criteri legali dell’equidistanza del diritto internazionale. Contro questo principio, la Turchia richiama l’attività della Corte internazionale di Giustizia (CIG), laddove essa ha talvolta segnato le sorti delle ZEE, decidendo secondo equità e non secondo il criterio dell’equidistanza. V’è da chiarire che ciò è accaduto non come regola generale derogatoria creata dalla CIG, bensì come alternativa al criterio generale e da valutarsi caso per caso. La Corte non ha mai escluso, espressamente, che anche un’isola possa avere una PC, neppure se collocata in un altro Stato. Infatti, la posizione giuridica ufficiale e consolidata della CIG è il riconoscimento pieno dell’estensione del mare territoriale anche alle isole (5). L’art. 121 dell’UNCLOS dirime, infine, la questione, applicando un principio definito dalla CIG (6) di diritto consuetudinario il quale sancisce che le isole possano, fuor
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d’ogni dubbio, generare mare territoriale, zona contigua, zona economica esclusiva e PC. Fatte salve le reciproche posizioni, nelle perduranti contestazioni turche, Cipro, nel 2004, ha dichiarato la propria ZEE con apposita legge, secondo la quale se la ZEE si sovrappone a quella di un altro Stato costiero, in assenza di una delimitazione convenzionale, si applica il criterio della regola mediana tra il proprio territorio e quello altrui. L’anno precedente, e negli anni seguenti tale promulgazione, l’autorità cipriota ha così utilizzato il metodo in questione per delimitare le ZEE tramite accordi bilaterali con Libano, Israele ed Egitto, quest’ultimo contestato dalla Turchia, con l’accusa di non aver rappresentato anche la posizione della Repubblica settentrionale sotto la propria gestione. La prima mossa compiuta dalla Turchia, allo scopo di ottenere le concessioni per le attività esplorative nelle acque cipriote, è stata nel 2011, quando ha sottoscritto un ac-
cordo bilaterale con la Repubblica turca di Cipro del Nord, per delimitarne la piattaforma continentale e comunicandone poi le coordinate alle Nazioni Unite. Queste ultime hanno ufficialmente rigettato il Trattato, come pure Grecia e Cipro, perché in violazione del diritto internazionale e delle risoluzioni 541/1983 e 550/1984, su citate, che comprendevano il divieto generale e assoluto di riconoscimento degli atti giuridici provenienti dai territori ciprioti a occupazione turca. La Turchia, invece, ha sempre considerato tali accordi validi ed efficaci e in base a questi ha portato avanti le operazioni di esplorazione e ricerca nelle acque cipriote fino al 2019 e 2020. L’autorità cipriota, dal canto suo, ha continuato a percorrere le strade del diritto internazionale marittimo, e con l’avallo e il riconoscimento di legittimità internazionali, ha invitato più volte quella turca ad adire l’organo internazionale di giustizia per delimitare la giurisdizione reciproca, ma senza ottenere risultati. Così, si è giunti all’inasprimento della situazione nel novembre 2019 con la firma dei due Memorandum d’intesa con la Libia, che hanno delimitato le ZEE in modo altamente pregiudizievole per la nazione greca. Quest’ultima iniziativa turca ha trovato spazio proprio grazie all’applicazione del criterio dell’equa delimitazione proclamato dalla Turchia come unico applicabile, frutto della mancata adesione e ratifica dell’UNCLOS.
La reazione europea alle illegalità turche nella ZEE cipriota
Su entrambi gli accordi turco-libici è calato, immediatamente, lo stigma di invalidità internazionale del Consiglio europeo. La reazione dell’UE alle angherie turche a largo della Grecia è stata sicuramente sollecita, anche se, come si diceva, poco efficace. Nel maggio 2019 Cipro ha proceduto a informare tutti i capi di Stato o di governo degli Stati membri circa le attività illegali turche di trivellazione. Un solo mese dopo, il Consiglio europeo condannava le attività turche, chiedendo alla Commissione europea e all’Alto Rappresentante di prendere misure adeguate. Il Consiglio degli Affari esteri, invitava quindi la TurLa nave da ricerca sismica della Turchia, ORUC REIS, nell’isola greca di Castellorizo (cnnturk.com). chia a negoziare in buona fede, secondo l’UNCLOS, con Cipro per le ZEE e la PC e applicava alla Turchia delle misure restrittive, tra cui il fermo quasi totale delle trattative per la pre adesione alla UE e ogni tipo di prestito da parte della Banca europea. Non essendo risultate abbastanza proficue, ai fini della cessazione delle attività illecite, dette misure sono state successivamente affiancate da altre sanzioni a carattere economico con decisione PESC ai sensi dell’art. 29 TUE.
Base giuridica delle sanzioni UE alla Turchia
Per la prima volta l’UE, ha applicato delle sanzioni PESC per reagire ad atti illeciti che violano la sovranità di uno Stato, e per di più, in ambito marittimo. Fin dal 2003, il sistema sanzionatorio dell’Unione europea è
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stato sottoposto, su iniziativa del Consiglio e del Consiglio per gli Affari esteri, a un elaborato meccanismo di revisione e monitoraggio costanti, al fine di valutarne efficacia e adeguatezza alle minacce incipienti e pervenire in modo tempestivo all’implementazione delle misure restrittive. Nel 2004, il Comitato Politico e di Sicurezza dell’Unione ha così cristallizzato i principi base sull’uso delle misure restrittive, confluiti in Linee Guida, e modificati, da ultimo, nel biennio 2018-19, con un documento aggiornato di Migliori Pratiche per l’Unione per l’attuazione effettiva di misure restrittive (sanzioni). Proprio in questa occasione sono state introdotte tre nuove fattispecie di misure, adeguate alle nuove minacce nell’ambito della Politica Estera di Sicurezza Comune, tra cui quelle che qui interessano: Misure contro i responsabili di attività di trivellazione non autorizzate nel Mediterraneo orientale (decisione (PESC) 2019/1894 e regolamento (UE9 2019/1890). La nuova fattispecie, è stata «cucita» sulla situazione turco-cipriota, portando un’innovazione di non poco conto nel panorama delle misure restrittive: l’apertura alla situazione marittima. Grazie agli atti sopra citati, l’UE ha potuto applicare la misura del «congelamento dei fondi e delle risorse economiche di persone, entità e organismi che sono responsabili o coinvolti nelle attività di trivellazione collegate alla ricerca e alla produzione di idrocarburi, o all’estrazione di idrocarburi risultante da tali attività, ovvero che forniscono a tali attività sostegno finanziario, tecnico o materiale, senza autorizzazione della Repubblica di Cipro, nel suo mare territoriale o nella sua Zona Economica Esclusiva, ovvero sulla sua piattaforma continentale. Tali persone fisiche e giuridiche, entità e organismi sono elencati nell’allegato (7) alla decisione (PESC) 2019/1894». Occorre ricordare che, in precedenza, ancora assente la Convenzione di Montego Bay, la Grecia era già ricorsa alla Corte di Giustizia contro la Turchia, sempre per via della piattaforma continentale. Allora, nel 1976, si trattava di veder riconosciuto giudizialmente il diritto delle proprie isole egee a una PC, in relazione al compimento di attività di esplo-
razione compiute da una nave turca sulla PC greca. La Corte rispose con una sentenza di rigetto e non applicò alcuna misura interdittiva alla Turchia. Di fatto, si limitò solo a invitare entrambi gli Stati ad astenersi da atti in reciproco pregiudizio. Il nuovo atteggiamento dell’UE, permesso dall’evoluzione del diritto marittimo dell’UNCLOS, letto alla luce di questi precedenti, diventa particolarmente significativo e segna un importante cambio di direzione. La decisione (PESC) 2019/1894 cambia tutto. In essa, si parla più volte di attività «illegali», anche quelle che si riferiscono ad azioni relative alle ZEE o alla PC e che ostacolano le attività convenzionali di delimitazione territoriale delle aree marittime. Dette attività violano i principi di buona fede delle nazioni in tema di ZEE, fissati nella Convenzione UNCLOS agli articoli 74, n.3 e 83 n.3 (8), secondo i quali è obbligo degli Stati, durante il periodo negoziale per la delimita«La Grecia era già ricorsa alla Corte di Giustizia contro la Turchia, per via della piattaforma continentale». zione, agire senza pregiudicare i diritti reciproci. La decisione UE equipara pertanto le attività di trivellazione turche sulla PC cipriota ad azioni che violano la sovranità o i diritti sovrani di giurisdizione della Repubblica di Cipro. Chiarisce, infatti, che quelle attività, svolte senza l’autorizzazione di Cipro, in zone non ancora delimitate secondo il diritto internazionale, ostacolano il raggiungimento dell’accordo di demarcazione legittimo e sono da considerarsi «in contrasto con i principi della Carta delle Nazioni unite». Prosegue l’UE, nel passaggio più rilevante, «tali azioni sono in contrasto con la risoluzione pacifica delle controversie, e rappresentano», dunque «una minaccia per gli interessi e la sicu-
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rezza dell’Unione» tutta. In questo contesto, l’applicazione degli articoli 29 e 215 dei principali Trattati istitutivi dell’Unione (rispettivamente Trattato sull’Unione europea e Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea), ai principi sanciti dal diritto internazionale marittimo, contenuti nell’UNCLOS, caratterizza le sanzioni inflitte alla Turchia, e rappresenta la principale innovazione normativa del sistema sanzionatorio UE. Nello specifico, l’art. 29 TUE autorizza il Consiglio UE ad applicare sanzioni a governi terzi (extra UE), enti non statali e individui perché cessino o modifichino le proprie condotte o attività pregiudizievoli per l’Unione. In aggiunta, l’art. 215 TFUE autorizza il Consiglio ad attuare le modalità esecutive necessarie all’effettiva applicazione delle misure intraprese (il citato regolamento (UE) 2019/1890 del Consiglio dell’11 novembre 2019 concernente le vere e proprie misure restrittive).
Sotto il profilo strettamente politico e geopolitico, l’applicazione di sanzioni, soprattutto quelle a carattere autonomo dalle risoluzioni NU, contribuisce all’affermazione dell’Unione, nel panorama internazionale, come soggetto politico dotato di una propria influenza. La creazione di un sistema indipendente dalle politiche e dalle risoluzioni delle NU ha permesso all’Europa di differenziare il panorama delle fattispecie sanzionatorie, rendendole più aderenti ai principi fondativi e ai valori costitutivi dell’Unione stessa. Per esempio, la scelta di prevedere sanzioni con finalità preventiva, piuttosto che punitiva, riduce al minimo le conseguenze e i rischi per la popolazione civile, permettendo così di rispettare i principi ispiratori della Politica di Sicurezza Comune. Dunque, l’approccio europeo al sistema punitivo è olistico, improntato alla coniugazione di dialogo, politica, diplomazia e strumenti legali mirati al rispetto delle entità e dei singoli non coinvolti nelle condotte da sanzionare. La finalità dell’intero sistema è quella di salvaguardare gli interessi e la sicurezza dell’Unione, ma anche preservare la pace nei suoi territori, sostenere la democrazia, il diritto internazionale, i diritti umani e contribuire al rafforzamento della sicurezza internazionale. A questo fine, è ampia la differenziazione delle fattispecie che spaziano dal genere diplomatico, alle sanzioni propriamente dette, quindi con un fondamento giuridico (embarghi sulle armi, divieto di viaggio da e verso l’UE, congelamento dei beni, sanzioni economiche che colpiscono settori determinati dell’economia, le importazioni e le esportazioni o gli investimenti finanziari), che si differenziano anche in quanto alla durata (massimo 12 mesi, rinnovabili e monitorate, se si tratta di misure restrittive autonome provenienti da decisioni del Consiglio, o senza scadenza, qualora siano regolamenti). Rispetto alla generalità del sistema sanzionatorio europeo, le misure applicate alla Turchia si distinguono sotto tre punti di vista. Innanzitutto, per la prima volta, le sanzioni sono state applicate in forza del principio di solidarietà degli Stati membri, sul quale si incardina tutta la PESC (art. 24, comma 2 TUE): la minaccia a un singolo Stato membro equivale a una minaccia a tutta l’Unione. Il principio è stato ribadito anche nel Consiglio europeo dell’ottobre 2020 che, esaminando la situazione nel Mediterraneo orientale, ha ribadito alla Turchia l’obbligo di astenersi dal compimento di operazioni unilaterali contro l’UE, che violano il diritto internazionale e i diritti sovrani degli Stati membri, primo fra tutti il rispetto della sovranità cipriota. In caso contrario, ha ulteriormente minacciato l’applicazione di misure ai sensi degli articoli 29 TUE e 215 TFUE (9). Altra caratteristica, non meno rilevante, è il fatto che le sanzioni hanno colpito uno Stato candidato all’annessione dal 2003 che, fra gli altri motivi, rimane sospesa proprio a causa della mancata risoluzione della questione della Repubblica turca di Cipro, uno dei paesi che hanno condotto all’applicazione delle sanzioni attuali, a dimostrazione che si tratta di una questione ancora oltremodo aperta e sempre più soggetta a inasprimenti piuttosto che a soluzioni definitive. Una delle sanzioni imposte alla Turchia, non a caso, è proprio il blocco delle trattative per l’annessione, che rischia di pregiudicarla definitivamente. In ultimo, vi è un elemento particolarmente significativo che macchia di incoerenza l’azione sanzionatoria dell’UE, che si è decisa a intervenire solo di fronte alla violazione della sovranità territoriale, ma non anche nelle svariate occasioni in cui il paese anatolico ha violato i diritti umani, anche in maniera grave. Una giustificazione, labile ma plausibile, potrebbe consistere nella decisione di cambiare strategia, passando da quella collaborativa sempre adottata finora, anche in materia di diritti umani, che poco ha sortito in termini di
efficacia, a una più assertiva. A questo proposito tuttavia, bisogna ammettere che, come sostengono molti commentatori, anche solo a livello intuitivo e senza perdersi nei meandri dei caratteri giuridici della questione, non sembra che la tipologia di misure restrittive adottate possa essere una risposta, anche solo deterrente, adeguata alla violazione della sovranità territoriale. In merito al blocco delle trattative per l’annessione, vi è da dire poi che la Turchia sembra essere ormai ben consapevole delle poche possibilità che si realizzi, malgrado l’intenzione europea espressa di voler praticare una nuova agenda politica che possa favorire la ripresa di un dialogo (10).
Conclusioni
Il dibattito sull’efficacia delle misure sanzionatorie europee dimostra che siamo ancora lontani dall’avere raggiunto posizioni, se non consolidate, almeno codificate e come tali unanimemente interpretabili sotto il profilo giuridico. Per il momento l’UE possiede armi, purtroppo, spuntate. La filosofia europea è decisamente quella di adottare sanzioni che possano modificare il comportamento dei bersagli e condurre al rispetto delle posizioni europee in modo pacifico, e comunque praticando una «conversione» dei soggetti con i quali prediligere sempre e comunque l’aspetto dialogante, in primis. 8
NOTE
(1) Art. 38, Statuto della Corte internazionale di Giustizia: 1. La Corte, cui è affidata la missione di regolare conformemente al diritto inter nazionale le divergenze che le sono sottoposte, applica: a. le convenzioni internazionali, generali o speciali, che istituiscono delle regole espressamente riconosciute dagli Stati in lite; b. la consuetudine internazionale che attesta una pratica generale accettata come diritto; c. i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili; d. con riserva della disposizione dell’articolo 59, le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più autorevoli delle varie nazioni, come mezzi ausiliari per determinare le norme giuridiche. (2) Maritime Delimitation in the Caribbean Sea and the Pacific Ocean (Costa Rica v. Nicaragua), Judgment of 2 February 2018, par. 135. (3) Si veda il caso delle Isole di Castellorizo. Il gruppo di isole di Castellorizo, prima attribuito all’Italia con il Dodecaneso dal Trattato di Losanna nel 1923, che confermo� la sovranita� greca sulle isole egee, e il cui mare territoriale e� stato delimitato con accordo del 4 gennaio 1932 italo-turco; secondo la Grecia e� il punto da cui far iniziare l’area di ZEE verso l’Egitto e che cingerebbe la costa turca. (4) Caso Nicaragua/Colombia, 2012: la Corte internazionale di Giustizia ha definitivamente cassato l’argomentazione che le isole di uno Stato non possano avere una propria piattaforma continentale perche� si trovano sulla PC di un altro Stato: «The Court does not believe that any weight should be given to Nicaragua’s contention that the Colombian islands are located on “Nicaragua’s continental shelf», § 214. (5) Caligiuri, A., Le dispute nel Mediterraneo orientale: la delimitazione delle frontiere marittime come espressione di dominio del mare, Seminari di diritto e geopolitica degli spazi marittimi, Ciram 2020. (6) Ibidem nota (4); Caso Qatar v. Bahrain, disponibile sul sito della Corte internazionale di Giustizia. E, soprattutto, arbitrato Filippine v. Cina, nel Mar Cinese Meridionale, la nota decisione 12 luglio 2016, cui si deve un’interpretazione autentica dell’art. 121, par. 3, UNCLOS, § 539-553. (7) Regolamento (UE) 2019/1890 del Consiglio dell’11 novembre 2019 concernente misure restrittive in considerazione delle attività di trivellazione non autorizzate della Turchia nel Mediterraneo orientale. (8) Art. 74, n. 3: «In attesa dell’accordo di cui al numero 1, gli Stati interessati, in uno spirito di comprensione e cooperazione, compiono ogni sforzo per addivenire a intese provvisorie di carattere pratico e, durante questo periodo di transizione, non debbono compromettere o ostacolare l’accordo finale. Tali intese sono senza pregiudizio per la delimitazione finale»; art. 83, n. 3: «In attesa della conclusione dell’accordo di cui al numero 1, gli Stati interessati, in uno spirito di comprensione e collaborazione, compiono ogni possibile sforzo per addivenire a intese provvisorie di natura pratica e per non compromettere o ostacolare, durante tale periodo transitorio, il raggiungimento dell’accordo finale. Tali accordi provvisori sono senza pregiudizio per la delimitazione finale». (9) L. Pineschi, T. Treves, The Law of the Sea: The European Union and Its Member States, Leiden: Martinus Nijhoff, 1996, per un’analisi accurata della dottrina più autorevole sulle norme dell’UNCLOS e del diritto internazionale del mare. (10) Poli, S., Pau, A., La reazione dell’Unione europea di fronte alla crisi del Mediterraneo orientale: tra misure restrittive e la proposizione di «un’agenda politica positiva» alla Turchia, in European Pampers, vol. 5, 2020, n. 3, 1511-1530, pp. 1520 ss.
BIBLIOGRAFIA
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