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La navigazione in Dante
Silvestro Sannino
Già dirigente superiore per i Servizi ispettivi del ministero della Pubblica istruzione, si è occupato sempre di navigazione, sia sotto l’aspetto scientifico-didattico e storico sia in situazioni operative e di ricerca. Laureato in Scienze nautiche (1968). Ha insegnato navigazione negli ITN dal 1967 al 1985. È stato ispettore tecnico del MIUR, settore tecnologico, dal 1985 al 2010. Tra le sue pubblicazioni si segnalano: I Sistemi di Istruzione Nautica in Italia e nel Mondo (1980); Meteorologia Nautica (1982); Principi di Navigazione (1985); Elementi di Matematica per le Applicazioni (1985); Storia della Navigazione (in due volumi, 2007); Civiltà Agricola Vesuviana (2009); Dante e la Navigazione (2012); L’Arte Nautica di Cristoforo Colombo (2014). Oltre ai libri indicati sopra ha pubblicato numerosi articoli di Storia della navigazione su riviste italiane, sia cartacee sia online.
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«Dante indica numerosi metodi atti a fornire gli strumenti per navigare: l’orientamento, la misura del tempo, le condizioni di navigazione. Egli impiega la fenomenologia terrestre e astronomica mediante originali e ingegnosi meccanismi» (Fonte immagine: raicultura.it). In basso: Giuseppe Bernardino. Dipinto dell’Arsenale di Venezia (wikipedia.it).
Profilo del Dante Nauticus
Nella immensa letteratura su Dante mancano studi o riferimenti sistematici all’arte nautica, alle competenze navigatorie del Poeta. Analisi, considerazioni e commenti ad alcuni aspetti legati a note metafore navigatorie sono molto diffusi; ma non mi pare esistano tentativi di inquadrare il Dante Nauticus in una prospettiva globale, in una visione organica di insieme, per esplorare e fare emergere significati meno immediati, meno evidenti, ma più profondi e più generali.
Eppure la Commedia racconta un viaggio e il viaggio, per natura e per concezione, è assimilabile all’azione del navigare, per cui non deve sorprendere se nell’opera di Dante, nella sua poesia, la navigazione sia molto presente con funzioni e significati reali e simbolici. I principali riferimenti nautici sono contenuti sia nella Commedia e sia nel Convivio. Da tali riferimenti emerge una notevole sensibilità del nostro Poeta per l’azione del navigare e una visione organica, non episodica, della materia, seppure spesso espressa in figure retoriche e in stile poetico aulico. Il saggio si propone di evidenziare la concezione filosofica e operativa del Dante Nauticus, vale a dire la sua teoria della navigazione estesa all’ambito sociale e politico.
Dante considera il Grundthema, il tema fondamentale del muoversi «per lo gran mar dell’essere» (Pd, I, 113), potente metafora nautica che contiene i tre elementi centrali: «il mare, il porto, la navigazione, attorno ai quali ruota una serie policroma di similitudini, metafore e allusioni». Il tema sottende il concetto del navigare, in una teoria della navigazione la quale trova nel Convivio (IV, IV, 5-6) una definizione precisa: a bordo tutti gli uffici sono ordinati e mirano a un solo fine, cioè a «prendere il desiderato porto per salutevole via». Questa definizione implica il concetto di una navigazione progettata e pianificata; inoltre essa deve seguire la via più idonea, più conveniente, più vantaggiosa, in sintesi «salutevole». La condizione contiene l’idea e una filosofia basata su utili e sapienti compromessi, tra costi compatibili e benefici ottenibili, tra assunzione di rischio e un ragionevole grado di sicurezza, scelta dettata da una attenta e ponderata valutazione della incidenza dei numerosi fattori in gioco, in un processo complesso come pochi.
I riferimenti danteschi della Commedia, e in parte del Convivio, forniscono numerosi elementi per cercare e seguire l’orientamento, nonché per la misura del tempo con gli astri. Si possono quindi individuare le rotte seguite, sia costiere sia per l’alto mare, in funzione delle condizioni geografiche e ambientali del
navigare. La navigazione di Ulisse, fatta per «l’alto mare aperto», indica i motivi di un’impresa ardita, temeraria, in un ambiente ignoto.
Non mancano richiami e allusioni ai segni del tempo e del mare, le varie operazioni marinaresche, le manovre delle navi in mare e in porto. Vengono descritti i lavori fatti alla nave nell’arsenale di Venezia per riparare le usure e i danni accumulati in lunghe navigazioni e recuperare la piena condizione nei requisiti nautici. Alcuni degli elementi indicati nella Commedia mettono ancora in evidenza gli aspetti economici, gli aspetti relazionali, emotivi e sentimentali, legati all’azione più generale del navigare.
La navigazione come metafora della vita e del vivere sociale viene evocata da Dante nel Convivio e in vari luoghi della Commedia. Peraltro, la sua condizione di esule, predetta dal suo trisavolo Cacciaguida: «Tu proverai sì come sa di sale/lo pane altrui, e come è duro calle/lo scendere e ’l salir per l’altrui scale», lo induce a paragonarsi, con grande amarezza, a un «legno senza vele e senza governo». L’efficacia delle similitudini, l’eleganza delle metafore, le pungenti allusioni in tema navigatorio (tutte declinate secondo la chiave di lettura che lo stesso Dante fornisce in Convivio, (II, 1): letterale, allegorica, morale e anagogica) si sono diffuse nei linguaggi più generali della politica, della religione, della letteratura, senza escludere il linguaggio corrente.
Dante espressione della cultura del suo tempo
La dimensione monumentale del Poeta per antonomasia non si discute, come una sterminata letteratura evidenzia, sempre e ovunque. Dante è uno dei quattro giganti della poesia di ogni tempo (con Omero, Shakespeare e Goethe); e tuttavia il suo spessore universale assume un ruolo privilegiato e unico per il sapiente intreccio che egli sa inventare tra conoscenze e poesia, che si sostanzia in una architettura armonica, cosmica, del suo
poema. Quindi per interpretare i suoi messaggi etici, teologici, ideologici, politici, sociali non si può fare a meno di considerare che Dante è anche un esponente di rilievo della cultura del suo tempo e le sue conoscenze hanno solide basi non solo in Alberto Magno e in Tommaso d’Aquino ma si alimentano di apporti filosofici e scientifici che la civiltà araba forniva alla cristianità. L’esame della Commedia e di altre opere mostra una spiccata familiarità di Dante in svariati campi del sapere, il cui orizzonte include conoscenze di astronomia, geografia, geometria, economia, botanica e scienze della natura.
Luca Signorelli. Dante, affresco del 1499-
1502, particolare tratto dalle Storie degli ultimi giorni, Cappella di San Brizio - Duomo di Orvieto. Accanto: Frontespizio dell’editio princeps della Divina Commedia (11 aprile 1472) - (wikipedia.it). «La Commedia racconta un viaggio e il viaggio, per natura e per concezione, è assimilabile all’azione del navigare, per cui non deve sorprendere se nell’opera di Dante, nella sua poesia, la navigazione sia molto presente con funzioni e significati reali e simbolici».
Le conoscenze del mondo sensibile vengono inserite da Dante negli istituti o figure retoriche (in primis similitudini, metafore, allusioni, allegorie …) che egli usa come strumenti per esprimere la sua poesia. Purtroppo tali conoscenze hanno costituito, per alcuni studiosi, motivo per far risaltare aspetti particolari della personalità intellettuale di Dante finendo, troppo spesso, per sminuire e mortificare la poesia. Quindi, un esame degli elementi dottrinari e scientifici presenti nell’opera deve servire solo per lumeggiare il complesso mondo poetico, senza alcun fine didascalico.
Essi consistono, quasi sempre, in fugaci cenni, in leggeri tocchi, in deliziose pennellate e, talvolta, in semplici allusioni che non disturbano, non devono disturbare la poesia ma la rendono più viva, più ricca, la esaltano sul piano creativo ed espressivo, con raffinata eleganza non priva di concreta e robusta efficacia. Tali elementi vanno considerati perciò, nella visione escatologica del Poeta, «come ingredienti per arricchire e potenziare la macchina retorica e catturare con maggior presa l’animo del lettore, da illuminare e guidare verso la verità e la salvezza».
La lezione di Dante sulle figure retoriche associate al tema nautico, che vantava incisivi riferimenti nei poeti antichi e in particolare in Alceo e in Orazio, verrà ripresa e alimentata dalla poesia più espressiva. Francesco Petrarca, nel sonetto Passa la nave mia colma d’oblio descrive la sua condizione esistenziale mediante l’allegoria della vita paragonata a un viaggio per mare. E la metafora nave, assimilata alla vita, fino a confondersi e a coincidere con essa, si ritrova ancora in altri passi del Canzoniere. Essa sarà poi presente in Ariosto e nel poema epico Os Lusiadas di Luis de Camões e ancora in Manzoni, solo per ricordare alcuni topici di maggior rilievo.
Teoria della navigazione e della politica
È stato già indicato come, nel Convivio, Dante delinei una teoria politica cui si devono ispirare gli Stati, ordinati mediante una nitida analogia con la nave e la sua funzione di «prendere il desiderato porto per salutevole via». Ma per realizzare tale finalità si rende necessaria una guida e questa «è lo nocchiero, a la cui voce tutti obbedire deono». Senza il nocchiero la nave va alla deriva e non ha speranza di salvezza in tempo avverso, come fa rilevare Dante nella famosa, veemente invettiva in cui paragona Firenze a una «nave sanza nocchiere in gran tempesta» (Pg. VI, 78).
Per Dante il porto è la meta della «umana compagnia». E per dirigere al porto desiderato si deve avere un riferimento, occorre orientarsi. È Brunetto Latini a indicare al suo allievo Dante la rotta da seguire, la via virtuosa: «Se tu segui tua stella/non puoi fallire a glorioso porto» (Inf. XV, 55). E il Poeta ammonisce che la meta, il porto è preso solo quando si è dentro, al sicuro. Egli ricorda il caso di un legno (nave) che si perde proprio vicino alla meta, all’entrata. «E legno vidi già dritto e veloce/correr lo mar per tutto suo cammino/perire al fine a l’intrar della foce» (Pd. XIII, 136).
In questi passi coesistono la dimensione reale e l’allegoria. I messaggi che il Poeta trasmette assumono una grande valenza dai significati vari e diversi, pur associati al medesimo significante. Poi quando è tempo di dare le vele, quando «lo tempo chiama» e la navigazione per l’alto mare può iniziare allora l’artimone della ragione, ben orientato, «fa isperare in un dolce cammino».
Come si naviga in Dante
Per dirigere a un porto, per seguire una rotta, è necessario conoscere la geografia dei luoghi, l’ambiente geofisico e la posizione della nave, in base ad alcuni fenomeni del mondo sensibile. In sintesi l’homo nauticus deve saper rispondere, in ogni istante, ai quesiti: Dove vado? Dove sono?
Dante indica numerosi metodi atti a fornire gli strumenti per navigare: l’orientamento, la misura del tempo, le condizioni di navigazione. Egli impiega la fenomenologia terrestre e astronomica mediante originali e ingegnosi meccanismi. Nella famosa terzina del primo canto del Paradiso:
Surge ai mortali per diverse foci la lucerna del mondo; ma da quella che quattro cerchi giugne con tre croci. (Pd. I, 36-38)
Egli indica un metodo sia per la misura del tempo sia per orientarsi. Il sole (la lucerna del mondo) nel corso
La barca di Dante, E. Delacroix (1798-1863) - (wikipedia.it).
dell’anno percorre l’eclittica e sorge ai mortali da punti diversi dell’orizzonte (diverse foci); ma il 21 marzo (e il 23 settembre) si trova anche sull’equatore e quindi sorge nel punto cardinale est. Tale punto viene indicato da Dante come l’intersezione di quattro cerchi: orizzonte, equatore, eclittica e coluro. Se si prende l’orizzonte come cerchio base, gli altri formano con esso tre croci (che non sono ad angoli retti). Il fenomeno fornisce la direzione del sorgere equinoziale primaverile (oriente) e il relativo istante (ore sei del 21 marzo).
Il concetto espresso da Dante in questa terzina è da ritenersi originale per il metodo, elegante per la forma ed efficace per il preciso significato cosmografico. Nella terzina si possono cogliere altri significati, reali e simbolici, ben illustrati nei commenti alla Divina Commedia. Tra l’altro non solo il sole ma anche gli altri astri (luna, pianeti, stelle) possono essere usati, in modo analogo, sia per la misura del tempo, sia per individuare l’oriente.
Ma, Dante propone anche altri riferimenti astronomici per indicare le direzioni. L’Orsa Minore o Cinosura veniva impiegata sin dall’antichità per individuare l’asse del mondo e quindi la direzione dell’arcton, del nord. Nel XIII canto del Paradiso Dante invita il lettore a immaginare l’Orsa:
Immagini la bocca di quel corno che si comincia in punta dello stelo a cui la prima rota va dintorno.
(Pd. XIII, 10-12)
La figurazione è perfetta. Basta dare uno sguardo a una mappa del cielo stellato per rilevare che l’Orsa Minore ha la forma di un corno la cui punta coincide, a meno di un grado, con il polo nord (ai tempi di Dante circa 4°). L’Orsa Minore non fornisce solo la direzione del nord ma può fungere da ottimo orologio durante le ore notturne. Inoltre la sua altezza sull’orizzonte fornisce il valore della latitudine. I Fenici navigavano con l’Orsa Minore; i Greci preferivano l’Orsa Maggiore.
La bussola magnetica
Ma, per orientarsi non vi sono solo i riferimenti dei punti notevoli costieri o gli astri. Ai tempi di Dante era stato introdotto in navigazione l’ago magnetico e il Poeta non tralascia di ricordarlo secondo il suo stile. Nel XII canto del Paradiso, Dante crea una leggiadra similitudine, mentre si trova nella seconda corona dei beati, prima di iniziare l’elogio di Domenico:
Del cor de l’una delle luci nove si mosse voce che l’ago a la stella parer mi fece e volgere in suo dove. (Pd. XII, 28-30)
Gli spiriti della seconda corona danzano e diffondono uno splendore intorno quando all’interno di uno di essi si muove una voce di carità che fa girare Dante in quella direzione alla stessa maniera che fa l’ago magnetico verso la Stella Polare. Francesco da Buti, uno dei primi commentatori della Commedia, descrive la bussola magnetica e il suo impiego da parte dei naviganti. Ma, la bussola di Buti, che scrive alla fine del XIV secolo, è già più evoluta per essere stato introdotto un disco di carta solidale all’ago, con i venti segnati sopra. Prima di Dante troviamo, intorno al 1250, Guido Guinizelli che delinea una vaga teoria magnetica che conferiva ai monti di tra-
montana la proprietà di far «drizzar l’ago inver la stella». E ancora prima, nel 1205, il menestrello Guyot de Provins, in una versione satirica della Bibbia, lamentava che il Papa non fosse per la cristianità il riferimento, la guida che l’ago magnetico costituiva per i naviganti.
Tipi di navigazione
Dante fa molti riferimenti alla navigazione, sia nella dimensione reale, sia in senso metaforico e allegorico. Egli ricorda più volte la navigazione mitica degli Argonauti. Nel II canto del Paradiso, al verso 16, esalta: «Quei gloriosi che passaro al Colco» per indicare il viaggio nella lontana Colchide alla ricerca e conquista del Vello d’Oro, il quale, per il geografo Strabone, simboleggiava i campi di grano di quella regione del Pontus Euxinus (Mare Ospitale) laddove prima era Auxinus, Inospitale.
In un passo del Paradiso (XXIII, 67) Dante allude alla navigazione d’alto mare che richiede precise condizioni operative senza le quali essa diventa rischiosa, mediante un’ariosa allegoria «non è pileggio da picciola barca…». Con il termine pileggio, ai tempi di Dante, secondo le istruzioni nautiche, si indicavano le traversate dirette, per l’alto mare, fuori vista della costa.
Dante ritorna ancora sul concetto di navigazione difficile, impegnativa, in un famoso passo con un’allegoria di ampio respiro. Il Poeta lo fa nel II canto del Paradiso, versi 1-15: «O voi che siete in piccioletta barca, …».
Il verso 7 recita: «L’acqua ch’io prendo già mai non si corse»; che propone il concetto di acque mai navigate, in senso reale e in senso allegorico. Tale concetto viene espresso pure nel Purgatorio, I, 130-132: «Venimmo poi in sul lito deserto/che mai non vide navicar sue acque/omo che di tornar sia poscia esperto». Qui Dante anticipa un tema assai diffuso nelle scoperte geografiche. Le rotte nuove, difficili, riservano insidie che richiedono grande perizia per essere affrontate; tema rinverdito da Luis de Camões nell’incipit del poema Os Lusiadas.
Il passaggio dall’Inferno al Purgatorio inizia con una terzina ricca di felici metafore nautiche: «Per correre miglior acque alza le vele/omai la navicella del mio ingegno/che lascia dietro a sé mar si crudele». Le eleganti metafore navigatorie, nel loro significato allegorico, esprimono il passaggio a una fase del viaggio più elevata sul piano intellettuale e spirituale. La cura della nave
La nave in navigazione è soggetta a continue sollecitazioni e tormenti che mettono a dura prova la resistenza dello scafo, il quale ha bisogno di un energico rimessaggio durante i mesi invernali. La nave in balia delle onde viene descritta nell’Inferno, ai versi 117-118: «Ond’el piegò come nave in fortuna/vinta da l’onda or da poggia, or da orza». I moti di venire al vento (orzare) o di andare nel verso del vento (poggiare) sono tipici delle navi in tempesta (fortuna), le quali hanno difficoltà a stare in rotta. Lo ricorda ancora Petrarca nel Sonetto CXLVI: «Lo qual, senza alternar poggia con orza…». E l’Ariosto ribadisce che «l’alternar di poggia e orza» è dovuto al vento crudele che si è levato (Orlando Furioso, XIX, 58).
Se le sollecitazioni dovute al moto ondoso sono troppo forti allora si può avere qualche cedimento nelle strutture dello scafo, come viene specificato nel canto VII dell’Inferno, ai versi 13-14: «Quali del vento le gonfiate vele/caggiono avvolte poi che l’albero fiacca». Quindi, una nave che è stata per lungo tempo a mare, in genere da marzo a ottobre, ha bisogno di lavori di manutenzione allo scafo e all’attrezzatura di manovra. Si approfitta della pausa invernale per eseguire un energico rimessaggio. Dante descrive le frenetiche operazioni fatte nell’arsenale di Venezia in tre famose terzine del canto XXI dell’Inferno, dove fa una bella e incisiva similitudine con l’immagine della quinta bolgia del cerchio VIII, dove vengono condannati i barattieri.
La navigazione di Ulisse
L’Ulisse dantesco dipinto nel canto XXVI dell’Inferno ha molti tratti in comune con l’eroe dal multiforme ingegno di Omero; ma a differenza di Odisseo non fa ritorno al focolare domestico. Dante, lo incontra nella bolgia dei consiglieri fraudolenti ove sconta la pena assieme a Diomede. Nell’episodio dell’Ulisse dantesco affiorano diversi motivi nautici e umani. Nel racconto, a Dante emerge in modo chiaro il motivo che spinse Ulisse a peregrinare per nuovi mari: non fu la sete di ricchezze che pure è stata sempre alla base della ricerca di nuove rotte e di nuove terre, ma il più alto e più nobile «ardore di divenire del mondo esperto/e de li vizi umani e del valore». Si tratta di un valore positivo che in parte riscatta le colpe per gli inganni che
l’eroe di Itaca aveva perpetrato in varie occasioni, e primo tra tutti l’inganno del Cavallo di Troia.
Il racconto di Ulisse inizia alla partenza dalla dimora di Circe, situata vicino a Gaeta, presso la quale era stato trattenuto per più di un anno. Il richiamo degli affetti familiari (la fedele moglie Penelope, il vecchio padre Laerte, il figlio Telemaco) non «vincer potero dentro me l’ardore/ch’io ebbi a divenir del mondo esperto/e de li vizi umani e del valore» (versi 94-99). In due terzine, Ulisse chiarisce il motivo della scelta, fatta tra aneliti e spinte in conflitto, opposti. Scelta che si rivelerà troppo audace, folle, e lo condurrà a naufragare lontano dai suoi. Alea iacta est. Ulisse prosegue:
Ma misi me per l’alto mare aperto sol con un legno e con quella compagna picciola da la qual non fui diserto. (Inf. XXVI, 100-102)
Il primo verso di questa terzina, a parte la bellezza poetica e stilistica, contiene significati vari e profondi, sia sul piano del realismo sia su quello simbolico. Io, misi me. Io, la volontà suprema, la mente che pensa, la forza spirituale, decide di mettere la persona fisiologica, corporale, quasi materiale, di Ulisse «per l’alto mare aperto». L’alto mare ha significato di mare lontano dalla costa, profondo, difficile e le navigazioni per peleggio nel Mare nostrum erano appunto per l’alto mare, il quale, tuttavia, aveva dei limiti geografici. Ma, qui Dante lo specifica anche come «mare aperto». È qualcosa di più dell’alto mare, molto di più, è un mare senza confini, un mare ignoto. E il mare oceano in cui si inoltra Ulisse quando supera le Colonne d’Ercole è un mare senza limiti, tenebroso e sconosciuto, che conduce verso la zona torrida e gli antipodi misteriosi, ritenuti impraticabili per la natura umana e quindi non potevano essere penetrati.
Le idee di Dante su questi concetti erano una sintesi delle posizioni antiche e dei giudizi dei Padri della Chiesa, in primis dell’opinione di Sant’Agostino che dubitava dell’esistenza degli antipodi perché nessuno li aveva sperimentati, erano occulti. Concetti modulati dalle idee e dalle posizioni degli arabi, filtrate in Europa attraverso le recenti traduzioni in latino. La visione di Dante è quella prevalente del suo tempo malgrado Alberto Magno nel De Coelo et Mundo ammettesse l’esistenza di vita nelle zone equatoriali, convinzione ribadita da Ruggero Bacone nella sua Opus Maius.
Ulisse prende la via per questo mare aperto, ignoto, assieme ai pochi compagni rimasti, avanti negli anni e provati dalle lunghe peripezie, con un legno logoro e fragile.
Egli descrive il cammino dal Circeo fino alle Colonne d’Ercole (versi 103-111) in cui mostra una conoscenza dei luoghi con precisione tale da far sospettare che avesse sotto gli occhi una carta nautica, del tipo Carta Pisana, da poco introdotte nella pratica della navigazione. Quando dice «da la man destra mi lasciai Sibilia/da l’altra già m’avea lasciata Setta» (110-111) il quadro è tale che una carta nautica medievale del tipo di quelle in dotazione delle navi dei crociati di San Luigi (1270) o della Carta Pisana (circa 1275) possa risultare nell’orizzonte delle conoscenze di Dante con elevata probabilità. Si fa notare che la Carta Pisana, ora nella Biblioteca Nazionale di Parigi, è un monumento cartografico di immenso valore scientifico, nautico e artistico. Non si conosce il suo autore ma l’esame, l’esegesi di una serie di elementi, inducono a
Ulisse legato all’albero della sua nave, per non soccombere al canto delle sirene, mosaico romano (wikipedia.it).
far pensare che sia stato Leonardo Pisano o un suo allievo, come Campano da Novara. Solo loro avevano, ai tempi di Federico II, le conoscenze di geometria euclidea necessarie per concepire e realizzare l’opera.
Giunti alle Colonne d’Ercole Ulisse tenne ai suoi compagni un breve sermone (versi 112-123) per invitarli a procedere oltre, a osare: «non vogliate negar l’esperienza/di retro al sol, del mondo sanza gente./Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza».
Versi molto belli e molto conosciuti, spesso citati in varie sedi. Ulisse tocca i tasti giusti dell’umano sentire, dell’orgoglio personale di antichi eroi coraggiosi, alla scoperta di un mondo ignoto (di retro al sol), agli antipodi disabitati (sanza gente). L’invito riesce così incisivo, penetrante che niente e nessuno ormai li può trattenere. Per cui si va nel mare aperto (versi 124-126): E volta nostra poppa nel mattino, dei remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino.
Si dirige con la poppa a levante e quindi con prua a ponente; il «legno alato» penetra nell’oceano tenebroso e accosta in modo continuo a sinistra, verso sud-ovest e poi ancora con rotta più vicina al sud. La nave spinta dai remi, che appaiono come ali, inizia il folle volo che li
porterà a essere inghiottiti negli antipodi che Dante colloca verso l’equatore. I remi che fan da ali al folle volo sono un’immagine elegante e suggestiva che fu già impiegata dai poeti dell’antichità. Nell’Odissea Tiresia, il veggente tebano, parla di «remi che son ali alle navi» e il motivo fu ripreso da Apollonio Rodio e da Ovidio. Il folle volo, il varco «Quando dice “da la man destra mi lasciai Sibilia/da l’altra già m’avea lasciata Setta” (110-111) il quadro è tale che una carta nautica medievale, del tipo di quelle in dotazione alle navi dei crociati di San Luigi (1270) folle, viene ricordato ancora da o del tipo della Carta Pisana (circa 1275) (foto), possa risultare nell’orizzonte delle conoscenze di Dante con elevata probabilità» (Fonte immagine: wikipedia.it). Dante nel Paradiso. Mentre navigano verso sud-ovest, e poi a sud, cambia l’aspetto del cielo stellato, della sfera celeste, in modo continuo. La variazione è resa con la bella e suggestiva immagine (versi 127-129): Tutte le stelle già dell’altro polo vedea la notte, e ‘l nostro tanto basso, che non sorgea fuor del marin suolo. È una creazione perfetta, per stile, per sintesi e per il realismo. Essa mostra che Dante aveva assimilato la concezione dinamica della sfera celeste in relazione alla latitudine dell’osservatore. Ho fatto varie volte la rotta indicata, via isole Canarie e di Capo Verde, e la percezione degli astri sulla volta celeste è identica. Il passaggio per la zona torrida e per l’equatore fornisce la sensazione di quella «sfera retta» che fa vedere, in una notte intera, tutte le stelle del firmamento. La Tramontana che pian piano «si perde»; la Croce del Sud che comincia a vedersi già ai 30° nord e così via. Poi il Poeta indica la durata del viaggio in termini di lunazioni, cioè di mesi: «Cinque volte racceso e tante casso/lo lume era di sotto della luna…». Una navigazione di ben cinque mesi li porta «ne l’alto passo» ove appare una montagna alta e bruna. Sembra quasi essere arrivati alla meta ma è solo illusione. Un tremendo turbine vorticoso, tifonico, investe la fragile nave che va in balia delle onde che si abbattono sui fianchi con tremenda energia. Per tre volte il legno si avvita nei vortici, sembra resistere; ma alla quarta percossa non vi fu scampo: «levar la poppa in suso/e la
prora ire in giù, come altrui piacque,/infin che ‘l mar fu sopra noi rinchiuso» (versi 130-142).
Il mare si rinchiude sopra la nave che naufraga, si inabissa. Anche il Titanic affondò con la prua in giù e la poppa in alto! L’Andrea Doria mostra il suo nome sulla corona di poppa prima che il mare si chiuda su di essa. È il destino tragico di una lunga schiera di uomini che sono andati per mare. Un motivo che ritorna sempre nei grandi poeti. Victor Hugo nel Poema del mare e dei marinai esclama: «Oh! Quanti marinai, quanti capitani sono andati gioiosi su rotte lontane e sono spariti, là in un mare senza fondo, in una notte senza luna…».
L’Ulisse di Omero, l’uomo astuto, saggio, dal multiforme ingegno, nel pensiero, nella morale arcaica può vantarsi di aver menato stragi per fare pingui bottini; di avere ingannato i Troiani col dono del cavallo di legno, di aver detto a Polifemo di chiamarsi Nessuno… Egli ritorna infine al suo focolare, in tempo per vedere il suo cane Argo morire felice, vendicarsi dei Proci, godersi la famiglia.
Nella severa morale cristiana Ulisse può vantare solo l’ardore di nuove conoscenze; ma sconta i peccati di religione e quello di aver ingannato tanta gente. L’Ulisse di James Joyce sarà un campione di disvalori, senza alcun lato positivo. Il personaggio portatore di valori positivi è Telemaco.
Aspetti umani e sentimentali in Dante
Non manca, non poteva mancare, nel Dante Nauticus, il lato umano, emotivo e psicologico.
Il mare che incute paura, angoscia, ansia, emerge in più luoghi del poema. La paura che assale Dante quando inizia il viaggio e si ritrova nella selva oscura, selvaggia e forte, viene mitigata dai primi raggi del sole; allo stesso modo il naufrago che riesce a giungere alla riva e guarda il mare rinfrancato per lo scampato pericolo (Inf, I, 22-24). Il mare agitato che mugghia in fase di tempesta se soggetto a venti contrari incute paura profonda in una notte tetra (Inf. 2830). Ma, sono gli aspetti sentimentali a catturare la nostra attenzione, la nostra partecipazione. I naviganti, nelle soste nei porti, hanno sempre cercato di intrecciare relazioni sentimentali con le fanciulle del luogo, al di là dei rapporti sessuali mercenari esistenti da sempre in ogni parte del mondo abitato. Nella prima bolgia del cerchio VIII, ove scontano la pena i ruffiani e i seduttori, Dante e Virgilio incontrano Giasone, il capo degli Argonauti, che nella sosta all’isola di Lemno sedusse con parole non sincere la giovane Isifile e poi partì lasciandola sola e incinta.
Nel secondo cerchio dell’inferno scontano la pena i lussuriosi. Virgilio indica a Dante molte anime tra cui le regine Semiramide e Cleopatra, Elena di Troia e, solo con un breve accenno, Didone, la sfortunata regina cartaginese che si innamorò di Enea e fu da questi sedotta. Didone venne poi abbandonata da Enea per «ragioni superiori»; la regina per il dolore si suicidò gettandosi su una spada che aveva avuto in dono. Buona parte del quinto canto (versi 73-142) viene dedicata al tragico amore proibito tra Francesca da Rimini e Paolo Malatesta, suo cognato. I due amanti, sorpresi dal marito di Francesca, furono trucidati. L’episodio di Paolo e Francesca, travolti dalla loro passione, sbocciata mentre leggevano, per diletto, il libro dell’amore di Lancillotto e Ginevra, è uno dei più dram-
«Nell’episodio dell’Ulisse dantesco affiorano diversi motivi nautici e umani. Nel racconto, a Dante emerge in modo chiaro il motivo che spinse Ulisse a peregrinare per nuovi mari: non fu la sete di ricchezze che pure è stata sempre alla base della ricerca di nuove rotte e di nuove terre, ma il più alto e più nobile “ardore di divenire del mondo esperto/e de li vizi umani e del valore”» (Fonte immagine: mondadorieducation.it).
matici della Commedia e tra i più conosciuti, assieme a Ulisse, per l’intensità emotiva che esso suscita nel lettore.
Il navigante viene spesso considerato come un avventuriero rotto a tutte le intemperie, fisiologiche e psicologiche. È un luogo comune improprio e fuorviante. Il navigante spesso è fonte e fiume di un profondo sentimento, tipico della gente che sta lontano da casa, dal focolare domestico. Dopo il tramonto, quando cala la sera, i naviganti vengono presi, assaliti da un senso di solitudine mentre guardano assorti la sconfinata distesa acquorea e pensano con nostalgia al porto più salutevole e più amato della loro esistenza che hanno lasciato il giorno in cui sono partiti:
Era già l’ora che volge il disio ai navicanti e ‘ntenerisce il core lo dì c’han detto ai dolci amici addio. (Pg, VIII, 1-3)
La malinconia del tramonto, tenera e struggente, la «saudade» prende il navigante nel profondo del suo io, del suo sentire e viene espressa con il delicato lirismo che sgorga in questi versi eccelsi, versi che per unanime consenso sono ritenuti tra i più belli del poema dantesco e la poesia attinge vette vertiginose. Non c’è bisogno di cercare di interpretare la sublime terzina, di dare significati a significanti che sono di per sé immediati, molto espressivi e ben percepibili e sentiti. E se poi si ha qualche esperienza di navigazione, che non sia troppo banale, i versi si possono fare propri nel sentimento, con totale trasporto, con penetrante partecipazione, con piena convinzione.
La navigazione come dottrina di «via alla vita», del cercare-trovare le giuste rotte verso l’agognato, desiderato porto dell’esistenza, nonostante le difficoltà e i pericoli di cui è cosparso «lo gran mar dell’essere», la navigazione come strumento dei traffici e dei commerci, e quindi come metafora del vivere sociale, che ha nella nave il mezzo per realizzarsi, è parte importante della poesia di Dante nei suoi significati più vari come il Poeta stesso suggerisce di prendere in considerazione. Il Poeta esule si ritiene «di essere stato legno senza vele e senza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertate». Una nave disarmata e senza governo, alla deriva per porti, liti e approdi o impedita a uscire da bonacce e calme delle zone torride, prigioniera di un caldo opprimente in grado di far svaporare ogni energia fisica e morale, è la metafora di una vita difficile, cosparsa di ansia e di angoscia. Sono quasi sempre le difficoltà, i pericoli, le ansie, le angosce, i timori, che rendono il vivere assimilabile a una navigazione per mari avversi, insidiosi, crudeli, che richiede grande perizia, tenace impegno e profonda convinzione per guadagnare infine, la meta desiderata, il salutevole porto della propria esistenza, del proprio essere e divenire. 8
«L’episodio di Paolo e Francesca, travolti dalla loro passione, sbocciata mentre leggevano, per diletto, il libro dell’amore di Lancillotto e Ginevra, è uno dei più drammatici della Commedia e tra i più conosciuti, assieme a Ulisse, per l’intensità emotiva che esso suscita nel lettore» (Fonte immagine: Gustave Doré, Inferno,