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La pirateria marittima nel Golfo di Guinea

(*) Contrammiraglio della Marina Militare in riserva. Segue temi di Difesa e Security marittima. Attualmente collabora con la Confederazione italiana armatori (CONFITARMA) e svolge attività di docenza non continuativa su tematiche relative alla Maritime Security e Cybersecurity nella dimensione marittima presso alcune sedi universitarie e istituti per le professioni marittime. Ha pubblicato vari articoli e lavori sulla Rivista Marittima e altre riviste e periodici.

Già dal 2010 in Africa occidentale e, in particolare, nel Golfo di Guinea (GoG) episodi di furti armati in mare in vicinanza delle coste, solo in parte riconducibili al fenomeno della «pirateria marittima» così come definito dai riferimenti internazionali, non avevano particolarmente attirato l’attenzione degli operatori marittimi e, tanto meno, da parte di soggetti governativi sia della regione che esterni. Quindi, più di una decina di anni fa l’interesse si rivolgeva, in particolare a livello nazionale visti i cruenti eventi sofferti dagli equipaggi dei mercantili battenti bandiera italiana, verso l’Oceano Indiano, il Bacino somalo e il Corno d’Africa. Nel corso degli anni si è visto come in East Africa la pressione è gradualmente diminuita e gli interventi, avviati nel loro complesso dalla comunità internazionale, sono risultati man mano sempre più efficaci — da quelli prettamente militari a quelli intrapresi dalle organizzazioni internazionali ovvero attraverso l’applicazione delle misure di protezione passiva da parte delle compagnie di navigazione per arrivare alla protezione diretta attraverso la presenza a bordo dei nuclei militari armati e poi di guardie private. Al contrario, in West Africa il fenomeno ha preso invece vigore per raggiungere, in questi ultimi anni, livelli particolarmente preoccupanti. Una recrudescenza della minaccia alla security dei traffici commerciali marittimi nel bacino occidentale africano ben nota agli operatori che a livello nazionale, ma anche da parte della stessa Unione europea, solo negli ultimi anni è saltata all’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, accrescendone la consapevolezza del problema anche a più ampi livelli decisionali.

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Per il contesto relativo al West Africa-Golfo di Guinea, come evidenziato in vari documenti, va detto che i fattori di insicurezza marittima rispetto al quadrante orientale africano sono, in gran parte, conseguenza di specifiche situazioni socio-economiche, oltreché diverse dinamiche e ramificazioni di ordine geopolitico e alquanto differenti modalità sul piano tecnico-operativo.

Tuttavia in alcune analisi si sono osservate valutazioni orientate a esaminare il tema della pirateria marittima in Golfo di Guinea su piani di similitudine con il contesto presente in Africa orientale.

Spingersi a confronti e analogie sugli scenari e su quanto si sta verificando (nella zona occidentale in rispetto al teatro operativo di quella orientale dell’Africa) in West Africa rispetto al teatro operativo in East Africa (dal Mar Rosso, al Golfo di Aden, Corno d’Africa, coste yemenite, Bacino somalo e l’intero Oceano Indiano visto come immensa area marittima di transito del traffico marittimo) rischia di portare a conclusioni poco corrette se non addirittura errate. Conseguentemente si rischia di individuare soluzioni similari, ma probabilmente inefficaci rispetto a quelle che, invece, efficacemente hanno mitigato se non annullato la minaccia della pirateria in Oceano Indiano. Una minaccia, quest’ultima, che dalle analisi appare sempre potenzialmente pronta a riprendersi. Soluzioni adeguate al teatro del West Africa devono invece basarsi su considerazioni peculiari che riflettono situazioni specifiche sotto molteplici aspetti.

Lo scopo di questo articolo è, pertanto, quello di mettere a confronto i due differenti contesti, al fine di evidenziare specifiche e rilevanti differenze, analizzando quindi più ambiti, da quelli prettamente geografici a quelli politicostrategici, economici, energetici, oltre che sul piano tecnico-operativo e in generale su temi di Maritime Security.

East Africa: Mar Rosso, Golfo di Aden, Bacino somalo, Mare Arabico, Oceano Indiano

Le condizioni in cui la minaccia della pirateria nell’Africa orientale si è manifestata negli anni sono per molti aspetti differenti rispetto al quadro che contraddistingue lo scenario di quella occidentale e nel Golfo di Guinea, innanzitutto in termini geografici e degli spazi marittimi prospicenti il continente africano. In East Africa parliamo, infatti, di un’area estremamente ben più ampia dell’area del Golfo di Guinea: sulla sponda orientale la minaccia della pirateria, negli anni di maggiore pressione, si era addirittura estesa fino oltre le 1.000 miglia nautiche dalle coste somale. Nei periodi di massima presenza di dispositivi navali, vista l’enorme ampiezza dell’area di rischio, si è contata la presenza fino a circa 40 unità militari, sia in ambito coalizioni internazionali (NATO, Unione euro-

pea, Combined Maritime Forces - CMF) sia di singoli Stati (vedi Giappone, Russia, Cina). L’efficacia delle operazioni navali, soprattutto della NATO e dell’UE, nonché, come accennato inizialmente, la protezione diretta dei mercantili attraverso l’impiego di nuclei militari imbarcati e di servizi armati privati, sono state senza dubbio le chiavi di volta del problema.

Tenuto conto anche del ridotto numero dei paesi della regione, nel tempo la comunità internazionale si è potuta confrontare, stabilendo specifici accordi, essenzialmente solo con Gibuti, Kenya e Seychelles. Per quanto riguarda il territorio somalo, si è poi potuto agire con minori vincoli. Per la Somalia, da cui operavano e partivano le organizzazioni criminali dedite alla pirateria, ci si è trovati in una situazione, del resto ancora presente, di Stato «fallito» (1) a cui si aggiungeva

la pressoché totale incapacità operativa di sostenere il controllo delle aree marittime di pertinenza. In questo senso le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite (2), via via promulgate, hanno consentito, soprattutto alle Forze aeronavali presenti, di operare con ampia libertà di manovra spingendosi anche all’interno delle acque territoriali e sul territorio somalo, contrastando efficaceFigura 1 - Elevate distanze dalle coste somale dove si sono regi- mente le bande di pirati. In sinstrati casi di attacco di pirati (wikipedia.org). Sotto: Figura 2 L’enorme ampiezza dell’area di rischio che era stata individuata in tesi, la comunità internazionale Oceano Indiano, messa a confronto con l’estensione dell’Europa (BMP Ver. 4 - August 2011, grafica autore). ha potuto operare senza la necessità di confrontarsi con un elevato numero di soggetti politici locali. Passando invece agli aspetti relativi al traffico marittimo, in East Africa, da una semplice analisi dei flussi commerciali, ci troviamo di fronte a un’area essenzialmente di transito per gran parte dei mercantili, con linee di comunicazione (c.d. SLOC - Sea Line of Communi-

cations) quasi sempre dirette, senza scali intermedi, operate sulle tratte da/per il Sud-Est asiatico, Golfo Persico e sulle tratte Nord-Sud transitando per il Mediterraneo via Mar Rosso e Canale di Suez. Peraltro, è quanto mai evidente che sulla sponda orientale africana non vi sono porti (sorgitori) di destinazione di spedizioni marittime; nella regione se ne contano solo alcuni, benché importanti, sulle coste indiane o pakistane.

Circa i rischi e le minacce alla security marittima che interessano il bacino dell’East Africa, un importante elemento da tenere in considerazione risiede nel fatto che non ci troviamo di fronte solo al problema della pirateria, ma anche ad altre forme di insicurezza marittima che impattano fortemente sui traffici commerciali. Ci si riferisce, in particolare ai rischi di guerra (ancora presente nello Yemen), a cui si aggiungono non solo i traffici illeciti (armi, droga, ecc.), fenomeni di contrabbando tra la penisola arabica e le coste africane, ma anche attività di pesca illegale e traffici di persone con flussi migratori irregolari via mare. Nella Sezione 2 della 5a e ultima edizione delle Best Management Practices (BMP) per il contrasto della pirateria in East Africa viene affermato: «The threat. As well as piracy, regional instability has introduced new security threats including the use of: Anti-ship missiles, Sea mines, Water-Borne Improvised Explosive Devices (WBIED)» (3). Del resto, anche se solo recentemente, nel nuovo «mandato» dell’opera-

zione Atalanta sono stati introdotti ulteriori «compiti secondari» che tengono appunto conto di alcune delle ulteriori minacce sopra richiamate. Infine, passando su di un piano prettamente tecnico-operativo, le iniziative e le soluzioni avviate e proseguite dalla comunità internazionale, sono risultate evidentemente appropriate: — presenza, già a partire Figura 3 - Oceano Indiano, SLOC (Sea Line of Communications) e porti (chellaney.net). Nella pagina accanto: Figura 4 - Il nuovo mandato di EUNAFOR ATALANTA (eunavfor.eu/mission). dal 2008, di dispositivi aeronavali attivati dalla NATO, dall’UE, dalla CMF o sotto l’egida di singoli Stati; dispositivi peraltro ancora presenti nell’area con l’operazione UE Atalanta, come noto estesa per altri due anni fino a dicembre 2022 e dove la stessa Marina Militare italiana ricopre un ruolo di primo piano; — un efficace Centro per la sicurezza marittima per il Corno d’Africa, il Maritime Security Centre – Horn of Africa (MSCHOA), quale interfaccia quotidiana per i mercantili in transito oltre che di collegamento con le operazioni navali attivate; — il modello di cooperazione e coordinamento tra tutti i soggetti interessati, rappresentato dalla SHADE (Shared Awareness and De-confliction) Conference, al momento giunta alla 48a edizione (4); modello, peraltro, da qualche anno preso a riferimento anche nell’ambito dell’operazione UE in Mediterraneo centrale EUNAFOR MED - operazione Irini (ex Sophia); — attivazione di corridoi marittimi di transito controllati da Forze navali, in particolare, nel Golfo di Aden; — applicazione da parte del naviglio mercantile delle citate BMP-5, con specifiche e appropriate misure di difesa passiva; — protezione diretta dei mercantili con la presenza a bordo di team di protezione armati (per le navi battenti bandiera italiana inizialmente con i Nuclei Militari di Protezione, che hanno operato da novembre 2011 a giugno 2015 (5) e poi con l’impiego di guardie giurate armate);

— le missioni civili-militari dell’UE, EUTM Somalia ed EUCAP Somalia; — infine, anche riforme di alcuni sistemi giudiziari regionali.

Tutte soluzioni che in Africa orientale, nel loro complesso, hanno consentito di mitigare ampiamente, o meglio, ridurre pressoché a zero, un fenomeno che, comunque, per il perdurare dell’instabilità di questa regione, rimane ancora latente.

West Africa - Golfo di Guinea

Innanzitutto, dal punto di vista geografico, l’area del Golfo di Guinea (circa 2.350.000 km2), è decisamente inferiore a quella relativa al teatro operativo del West Africa. Questo aspetto ha un’importanza notevole soprattutto sulla differenza del livello quantitativo di assetti aeronavali necessari per operazioni di presenza e sorveglianza marittima.

Come accennato, le situazioni di contesto in West

Africa, soprattutto con riferimento a gran parte dei paesi che si affacciano sul GoG, con particolare riferimento alla Nigeria, sono alquanto diverse rispetto a quelle in Africa orientale (6). Ma non è certo che solo su tale aspetto si possono individuare significative differenze nel confronto tra i due diversi teatri. Sul piano politico bisogna, prima di tutto, considerare che la totalità dei paesi della sponda occidentale africana (7) non sono né in guerra né da considerarsi falliti (come nel caso della Somalia). Non siamo, quindi, in presenza di conflitti/crisi o situazioni che danno origine a ulteriori forme di rischi e minacce di natura militare, come invece si registra nel Golfo di Aden o anche in Mar Rosso. Pur senza entrare nel merito dei risultati finora ottenuti nel contrasto della pirateria o nei confronti di altri rischi e minacce in mare, gli Stati della regione occidentale sono pienamente legittimati, sotto il profilo giuridico e del diritto internazionale marittimo, a garantire — quantomeno sulla carta — le condizioni di security negli spazi marittimi di pertinenza con proprie organizzazioni e dispositivi. È pertanto evidente che organizzazioni esterne, sia civili sia militari, non possono certo sostituirsi a essi; è invece quanto mai necessario, se non indispensabile, stabilire precisi accordi, spesso individuali con questi paesi, basandosi sulla costruzione di un efficace dialogo tra le parti e individuando adeguati spazi di cooperazione con tutti i soggetti e le forze presenti, in modo da conseguire un accettabile grado di stabilità e sicurezza marittima dell’area.

Bisogna, inoltre, tenere conto di un altro aspetto. Secondo alcune analisi, i fenomeni e le forme di minacce alla security marittima che riguardano il West Africa sono largamente dominati da organizzazioni criminali di soggetti economicamente svantaggiati (8) e che, oggettivamente, trovano ampi spazi di manovra in sistemi governativi che, ancorché legittimi, sono tuttavia soventemente carenti in termini di efficacia e, tra l’altro, dove si registra anche un certo grado di irregolarità e illeciti amministrativi.

Va infine evidenziato che non risultano sussistere, invece, concrete evidenze circa possibili infiltrazioni da parte di organizzazioni riconducibili a frange terroristiche, sebbene molto attive in altri paesi o aree più interne del Centro-Africa e del Sahel.

I traffici marittimi. Sebbene in West Africa-GoG il tasso di presenza/transito di navi mercantili è in qualche modo inferiore rispetto a quello in Oceano Indiano (che rimane sostanzialmente strategico per la valenza dei traffici marittimi in Mediterraneo ovvero esposto a possibili fattori di «marginalizzazione» in condizioni di insicurezza marittima nel Bacino somalo e Corno d’Africa), ci troviamo in una regione, anche per quanto riguarda gli interessi nazionali, estremamente importante sia per gli scambi commerciali con i paesi dell’area che dal punto di vista energetico.

Per quanto attiene l’attività commerciale via mare, la quasi totalità delle merci importate ed esportate dall’Africa centrale transita, infatti, in queste acque. Significativa è poi la presenza di navi mercantili battenti bandiera italiana nel Golfo di Guinea; in media, dai dati raccolti, si parla di circa 25 compagnie di navigazione italiane che operano ancorché non in maniera continuativa e contemporanea nell’area, con un numero di oltre 100 navi italiane che, per esempio nel 2020, hanno toccato porti nel Golfo di Guinea; in particolare navi da carico, Ro/Ro, petroliere, LPG tanker, navi per rifornimento e unità tecniche di supporto per gli impianti offshore.

Per quanto, invece, riguarda il tema energetico, in generale, circa il 70% del petrolio prodotto in Africa proviene da queste aree, dove sono appunto presenti i due maggiori produttori africani di petrolio, ossia Nigeria e Angola. Da qui la necessità di tutelare anche le «attività estrattive» delle aziende petrolifere che vi operano, tra cui l’ENI (oltre a Exxon Mobil, Chevron, Shell e Total).

La minaccia. Negli ultimi anni — 2019-20 — il GoG è stata l’area in cui si sono verificati, a livello globale, il maggior numero di attacchi di pirateria e furti armati in mare. Un’area, seguita solo da quella dell’Est Asia-Stretto di Malacca, diventata tra le più pericolose al mondo per quanto riguarda la sicurezza dei traffici via mare.

Secondo i dati pubblicati nell’ultimo report annuale dell’International Maritime Bureau (9), nel 2020, in generale, il fenomeno della pirateria a livello globale era sembrato cresciuto, con 195 incidenti registrati nel 2020 rispetto ai 162 del 2019. In totale, nel 2020, sono stati 135 i marittimi rapiti da pirati a scopo di estorsione; la regione del Golfo di Guinea, da sola, aveva visto ben 130 sequestri di membri dell’equipaggio (il 95% del totale), segnalati nella quasi totalità dei casi

al largo di Nigeria, Benin, Gabon, Guinea equatoriale e Ghana. Nel mese di novembre dello scorso anno, tenuto conto dell’aumentato numero di casi, il livello di rischio nella HRA (High Risk Area) del Golfo di Guinea era stato elevato a «critico». Condizione anche aggravata proprio nei mesi invernali, nel corso dei quali i monsoni da sud-ovest favoriscono condizioni meteo-marine più favorevoli ai pirati.

L’ultimo rapporto globale sulla pirateria del 2021, di IMB, descrive in dettaglio 68 episodi di pirateria e rapina a mano armata contro le navi — il totale più basso dal 1994 — in calo rispetto ai 98 incidenti dello stesso periodo dell’anno scorso. Nei primi sei mesi del 2021, il Piracy Reporting Center (RPC) dell’IMB (10) ha riferito di 61 navi abbordate, 4 tentativi di attacco, 2 navi sparate e una nave dirottata. Nonostante il calo complessivo degli incidenti segnalati, la violenza contro gli equipaggi è continuata con ben 50 membri dell’equipaggio rapiti nei primi sei mesi del 2021.

In tale quadro, il Golfo di Guinea continua comunque a essere particolarmente pericoloso per i marittimi, con il 32% di tutti gli incidenti segnalati che si verificano nella regione. La regione ha, infatti, registrato tutti i 50 membri marittimi imbarcati rapiti (anche con un decesso), con attacchi da parte di c.d. Pirate Action Groups (PAG), soprattutto lungo le coste del Camerun, Nigeria, del Benin e del Ghana. Recentemente, con oggetto di rapimenti anche membri di equipaggi di pescherecci. Nessun caso di sequestro di mercantili.

Per quanto invece riguarda la protezione degli impianto offshore di estrazioni oltre che di unità speciali che operano nell’area, si evidenzia, per esempio che, lo scorso anno, impianti petroliferi gestiti dalla Shell Petroleum Development Company (SPDC) (11) e dalla Nigerian Agip Oil Company (NAOC) (12) nell’area del governo locale di Yenagoa, capitale dello Stato nigeriano di Bayelsa, a sud dell’area del Delta del Niger, sono state oggetto di azioni di sabotaggio che, stante alle informazioni assunte da fonti aperte, sono state perseguite anche mediante l’impiego di «ordigni esplosivi».

Tattiche e procedure. Per quanto riguarda le Piracy TTPs (Tactics, Techniques & Procedures) utilizzate dai pirati nell’area del GoG, sulla base di quanto osservato negli anni, poche sono le analogie con quanto invece era stato osservato e analizzato in East Africa che, fin dall’inizio del fenomeno aveva riguardato il dirottamento di navi. All’inizio, in West Africa si trattava essenzialmente di furti beni rinvenibili a bordo dei mercantili o anche di petrolio, compiuti in gran parte in acque interne o territoriali e classificati, pertanto, come casi di furti armati (armed robbery) perseguibili secondo le leggi degli Stati costieri. Inizialmente i soggetti attaccanti operavano pressoché indisturbati soprattutto nell’area del Delta del Niger. Solo successivamente, soprattutto negli ultimi due/tre anni, le tattiche e gli obiettivi delle organizzazioni criminali si sono in qualche modo diversificate ed evolute, operando più a largo e spingendosi anche oltre le 200 nm dalle coste superando, per esempio, la stessa Zona Economica Esclusiva (ZEE) dichiarata dalla Nigeria. Infatti, a oggi, ai mercantili in transito viene raccomandato, qualora possibile, di mantenere una distanza dalla costa di almeno 200/250 miglia. Infine, l’utilizzo di navi-madre si è osservato solo negli ultimi due anni. Secondo fonti aperte, raccolte da società di analisi di intelligence, nell’area del GoG insistono al momento prevalentemente 2 differenti gruppi criminali e che sembrano utilizzare un numero molto esiguo di navi d’appoggio soprattutto di opportunità (secondo i dati raccolti si contano non più di 2 unità mercantili: una chimichiera di circa 3.250 t e una motonave più piccola di circa 950 t).

Come accennato inizialmente, nei casi si trattava soprattutto di furti di greggio oltre che di beni presenti a bordo; tuttavia, soprattutto il trasbordo di petrolio nelle modalità Ship-to-Ship (StS), processo piuttosto lungo e complesso, può evidentemente fornire alle forze di sicurezza una considerevole finestra di tempo per intervenire. Quando il prezzo del petrolio rubato era alto, il rapporto rischio/rendimento del bunkeraggio veniva considerato vantaggioso. Con il crollo dei prezzi globali del petrolio, già a partire dal 2014 e ulteriormente abbassatosi in questi ultimi anni, i criminali hanno evidentemente dovuto riconsiderare il rischio orientandosi verso un modello diverso, più redditizio, ovvero proprio quello dei sequestri a scopo di estorsione dei marittimi imbarcati e spingendosi in mare aperto. Comunque, è bene ricordare che non sono certo diminuiti i casi di attacco in prossimità della costa o addirittura su mercantili fermi in rada o in banchina (13).

In buona sostanza, sebbene per l’attuale modus ope-

Figura 5 - Infografica Q2 2021 IMB Piracy Report Gulf of Guinea (icc-ccs.org).

randi finora descritto (vedi impiego, per esempio, delle navi-madre) sembrano sussistere alcune analogie sulle tattiche sfruttate dai pirati somali, il «livello di pericolosità» da parte dei pirati e in generale della criminalità organizzata locale è risultata particolarmente più aggressiva con soggetti, secondo alcune fonti, anche meglio armati e più capaci (14). In quanto a violenza, alcuni ostaggi hanno denunciato abusi da parte dei loro rapitori tra cui l’amputazione delle dita, bruciature della pelle ecc.

Recentemente, il direttore dell’IMB, Michael Howlett, ha dichiarato: «Pirates operating within the Gulf of Guinea are well-equipped to attack further away from shorelines and are unafraid to take violent action against innocent crews».

Nei rapimenti vengono poi coinvolti un numero alquanto elevato di membri dell’equipaggio; in molti casi lo stesso comandante del mercantile, il primo ufficiale e/o il direttore di macchina. In effetti, gli attacchi riusciti hanno interessato anche più di una decina di ostaggi, come in uno dei più recenti eventi avvenuto il 31 maggio 2021 (15). Nella gran parte degli eventi i rapimenti sono stati risolti in un periodo di tempo notevolmente inferiore rispetto a quello che, sebbene si trattasse di casi di navi sequestrate, di massima si registrava al largo delle coste somale. Nel GoG, per esempio, nel 2018, la durata della prigionia si è concentrata dai 3 a un massimo di 10 giorni, rispetto invece anche agli 11 mesi di durata di sequestro di navi (16) durante il picco della pirateria nel Bacino somalo. Sebbene questo non sia uno sviluppo completamente nuovo, negli ultimi tempi i gruppi criminali che operano dal Delta del Niger appaiono alquanto più fiduciosi sulle loro capacità di trattenere, durante i negoziati per il riscatto, un numero piuttosto consistente di marittimi. A sua volta, il livello di aggressività sopra accennato, porta anche a pagamenti più elevati, rendendo improbabile che il corrente modello di «piracy business crime» cambi nel prossimo futuro.

Misure di difesa passiva. Nel mese di marzo dello scorso anno le maggiori associazioni industriali marittime hanno pubblicato la prima edizione delle «Best Management Practices - West Africa» (17). Benché considerate essenziali, tuttavia considerevoli rimangono le criticità sul piano di una più concreta protezione del naviglio marittimo, a partire soprattutto dal fatto che, per esempio, non è di fatto consentita/autorizzata da gran parte degli Stati costieri la presenza a bordo di Servizi privati di protezione armata - c.d. PCASP (18). Addirittura alcuni paesi — in primis la Nigeria — guardano con sospetto l’utilizzo di tali servizi (19). Ciò obbliga le compagnie di navigazione, di fatto, a ricorrere ai servizi governativi e, in alcuni casi, anche a servizi privati indicati dalle stesse autorità marittime locali, con evidenti problematiche anche di legittimità giuridica connesse all’imbarco di personale armato, soprattutto militare, su navi battenti bandiera estera. Una criticità, quest’ultima, altresì evidenziata da società di armamento italiane che operano in quest’area.

Dispositivi aeronavali. Sul piano degli interventi nazionali, sostenuti e sollecitati in più sedi dalla stessa armatoria nazionale già dal 2018 e, in particolare, da parte della Confederazione italiana armatori (Confitarma), con una intensa attività rivolta nei confronti dei decisori, dal 2020 la Marina Militare italiana ha iniziato a con-

durre operazioni di presenza e sorveglianza nell’area, in particolare con unità navali della classe «Bergamini» (FREMM) (20), con una media di circa 8 mesi l’anno. Si tratta di operazioni volte a garantire la vigilanza e la protezione degli interessi nazionali, anche in termini di deterrenza e protezione, oltre che del naviglio nazionale e dei marittimi italiani imbarcati anche di protezione e sorveglianza degli impianti offshore ENI o comunque assetti gestiti dalle nostre società che operano nella regione (21). Tra gli scopi di tali operazioni si aggiunge poi uno degli aspetti forse ritenuto il più importante, ovvero quello di poter sviluppare attività di cooperazione, oltre che con le Marine partner e alleate presenti nella regione (al momento, oltre la Marina Militare italiana, Francia, Spagna e Portogallo o la stessa US Navy), soprattutto con i paesi e le Marine dell’area.

Le iniziative delle organizzazioni internazionali. Infine, in un confronto tra le due aree fino a ora analizzate, vanno evidenziate le diverse dinamiche sul piano delle iniziative messe in atto dalle organizzazioni internazionali e regionali interessate. In Oceano Indiano, negli anni, abbiamo visto concretizzarsi iniziative maggiormente coese e coordinate; in primo luogo, come all’inizio ricordato, sono intervenute le Nazioni unite con specifiche risoluzioni, cui sono seguite numerose iniziative, soprattutto a livello NATO e UE, con operazioni e missioni civili-militari che hanno contribuito al raggiungimento dei risultati che oggi si registrano. Per il West Africa, seppure davanti a numerose e pur positive azioni, quelle finora osservate, seppure numerose, in effetti non appaino pienamente coese e strutturate.

Per la Regione del Golfo di Guinea, nei primi mesi del 2020 l’ICS ha avviato uno specifico «Ad hoc Working Group on Piracy in West Africa» (22). Sono seguite, peraltro anche nel corrente anno, ulteriori iniziative sia attraverso forti posizioni assunte da parte della stessa IMO, sia dall’ECSA (23) o attraverso il recente avvio del «Gulf of Guinea Maritime Collaboration Forum (GOG MCF/SHADE)» sostenuto dallo stesso Maritime Safety Committee dell’IMO (24). Infine, nel mese di maggio 2021, BIMCO, aggiungendosi se non sovrapponendosi alle iniziative di ICS, evidenziando a parere dello scrivente un basso grado di coordinamento, ha pubblicato una propria dichiarazione indicata come «The Gulf of Guinea Declaration on Suppression of Piracy» (25); a tale dichiarazione è seguita, benché in più sedi da tempo annunciata, la notizia della dislocazione nell’area di una unità danese a partire dal mese di novembre 2021, che andrà ad aggiungersi alle altre Marine presenti, che tuttavia, e presumibilmente per i prossimi mesi, continueranno a operare secondo una linea di comando e controllo esclusivamente nazionale.

L’Unione europea il 21 gennaio 2021 ha lanciato il «Coordinated Maritime Presences concept» per il Golfo di Guinea (26), che tuttavia, basandosi solo su temi di cooperazione e condivisione di analisi e informazioni, rimane a parere dello scrivente al momento un primo tentativo per un impiego strutturato di una Forza navale europea a similitudine dell’operazione Atalanta in Oceano Indiano.

Vi è stata infine la recente iniziativa avviata dall’IMO con una risoluzione (27), adottata il 19 maggio di quest’anno da parte del Comitato per la sicurezza marittima (MSC). Con essa gli Stati membri, le autorità nazionali, le Nazioni unite e altre organizzazioni competenti sono stati esortati a prendere in considerazione il rafforzamento dell’applicazione della legge per arrestare e perseguire i pirati nelle giurisdizioni pertinenti in conformità con il diritto internazionale e i quadri giuridici nazionali, sollecitando gli Stati costieri ad armonizzare le sanzioni penali. A differenza di quello che si è visto nel tempo nel quadrante orientale africano, è stata poi sollecitata una migliore governance delle soluzioni di protezione e iniziative disponibili e, soprattutto, nel rispetto comunque della sovranità e integrità territoriale degli Stati costieri. Al riguardo, l’IMO ha sollecitato a sostenere e incoraggiare una più ampia partecipazione a iniziative regionali come lo stesso «Gulf of Guinea Maritime Collaboration Forum (GoG-MCF/SHADE GoG)» e ad altre piattaforme di coordinamento come il «G7++ Friends of the Gulf of Guinea (G7++FoGG)», per contribuire a migliorare safety e security nella regione e per facilitare il rafforzamento dei meccanismi di cooperazione per il pattugliamento e la protezione marittima.

La risoluzione approvata dall’IMO ha, in particolare, sottolineato la necessità di una maggiore collaborazione tra tutte le parti interessate, compresa la condivisione di informazioni sulla criminalità e illegalità marittima, l’uso delle informazioni e dei dati diffusi

a favore del naviglio commerciale: in particolare dal Maritime Domain Awareness for Trade-Gulf of Guinea - MDAT-GoG quale centro, operativo dal 20 giugno 2016, di cooperazione tra la Royal Navy (UKMTO) e la Marine Nationale (MICA-Center), nonché il NIMASA C4i-Centre, i Regional Reporting Centres o anche lo stesso ICC-IMB Piracy reporting centre.

In sintesi, l’IMO, con la propria risoluzione, ha rimarcato l’esigenza di una più efficace e sinergica cooperazione e di una maggiore collaborazione tra tutte le parti interessate e, più in generale, sul contrasto anche delle altre forme di illegalità in mare (traffici illeciti contrabbando, pesca illegale). In particolare, richiedendo, tra l’altro, di utilizzare appieno i fondi della cooperazione tecnica (fondo fiduciario per la sicurezza marittima dell’IMO per l’Africa occidentale e centrale) per sostenere il rafforzamento, nella regione, soprattutto delle capacità di contrasto della pirateria e delle rapine a mano armata, al fine di cercare di realizzare condizioni maggiormente più efficaci per la condivisione delle informazioni tra i meccanismi già esistenti.

Conclusioni

Come delineato in questa breve analisi, il generale contesto in cui si manifesta il fenomeno della pirateria in West Africa-Golfo di Guinea e le modalità con cui si stanno sviluppando le varie iniziative appare, in gran parte, differente rispetto a quanto si è potuto osservare in Oceano Indiano-Bacino somalo. Inoltre è evidente che le soluzioni e gli interventi, anche operativi, per ridurre e contenere per quanto possibile il fenomeno, devono essere necessariamente attinenti alle situazioni di contesto presenti in questa regione e opportunamente adattati alle condizioni ambientali.

Ferme restando le numerose proposte e iniziative avviate, peraltro fortemente sostenute oltre che dall’IMO anche dalla stessa industria dello shipping internazionale in primo luogo attraverso l’ICS, in attesa che gran parte delle iniziative annunciate dalle autorità coinvolte si confermino pienamente operative (28) che, peraltro, al momento hanno anche subito rallentamenti a causa di una ridotta attenzione sui temi di security marittima dovuta agli impatti del Covid-19 (29), due sono i fattori principali che, si ritiene, debbano essere perseguiti. Fattori che, nel concreto, possano effettivamente consentire di mitigare il più possibile la minaccia della pirateria ovvero altre forme di illeciti via mare nel Golfo di Guinea.

Da una parte deve essere assicurata una pressoché continua presenza di unità militari d’altura soprattutto da parte dei paesi occidentali, con adeguate capacità di intervento e performanti assetti imbarcati (elicotteri, team di protezione, team sanitari). La presenza navale nelle aree di crisi come lo è, evidentemente, il Golfo di Guinea o altre aree marittime di crisi, rappresenta, di fatto, la forma principale per produrre deterrenza e condizioni di stabilizzazione, assicurando un adeguato livello di sicurezza (security e in molti casi quando necessario anche di safety) marittima. La «semplice» presenza di unità navali militari d’altura rimane un elemento essenziale di dissuasione da parte di forme di minacce siano esse statutali, sia legate a fenomeni di criminalità più o meno organizzata che, invece, sono portate a operare in spazi marittimi non controllati. Inoltre, la presenza di Forze aeronavali rappresenta assetti in grado di realizzare, per esempio con rapporti diretti durante le visite nei porti, anche forme di pressione nei confronti delle autorità marittime oltre che di pressione diplomatica verso quelle governative locali. Quindi diventa opportuno incrementare il tasso di presenza navale attraverso attività a carattere tecnico-operativo con operazioni di presenza e sorveglianza marittima, così come già sottolineato e intrapreso dalla stessa Marina Militare italiana con l’operazione Gabinia, comunque sempre in stretto coordinamento con le altre Marine occidentali.

Secondo determinante fattore è quello di incrementare e agevolare, al massimo, i rapporti di collaborazione e di cooperazione tra le Marine e forze di sicurezza locali nonché con le strutture operative marittime dei paesi della regione. Ciò deve essere realizzato soprattutto attraverso forme di accordi anche semplicemente individuali, accompagnati da attività di addestramento volte al raggiungimento di adeguate capacità operative e di intervento (c.d. attività di Maritime Capacity Building). Questo, a differenza di quanto realizzato in East Africa è probabilmente il fattore principale se non essenziale nel rispetto, come ha precisato la stessa IMO, di un elemento di contesto in West Africa nodale che si deve basare sul rispetto dei prin-

cipi di sovranità e integrità territoriale di tutti gli Stati costieri. Tutto ciò sarà indispensabile fino a quando i temi di security marittima nel Golfo di Guinea non passeranno da un livello prettamente tecnico-operativo a una concreta azione e volontà governativa, ancorché adeguatamente sostenuta dalla comunità internazionale che possa portare a una effettiva azione politica da parte dei paesi della regione per poter difendere e rendere sicuri i propri spazi marittimi al fine di un concreto, effettivo progresso sociale ed economico. 8

NOTE

(1) Secondo le più recenti analisi, nell’aprile 2021 la Somalia sembrava essere di nuovo vicina a una guerra civile con scontri armati nelle strade di Mogadiscio tra fazioni politiche, nonché una frammentazione nei ranghi dell’Esercito nazionale somalo (SNA). Per una città già alle prese con la sfida alla sicurezza posta dal gruppo militante al-Shabab e il conflitto politico prossimo all’allargamento, tutti i progressi del paese verso la stabilità sembravano minacciati. Le origini del conflitto sono state le difficoltà nell’assicurare un accordo tra le fazioni politiche su nuove elezioni. Tuttavia, le questioni vanno molto più in profondità nel rapporto tra il governo e i singoli Stati che compongono la struttura federale in Somalia. In tale contesto, sono poi coinvolti anche attori esterni, in particolare Kenya ed Etiopia; le questioni politiche della Somalia si inseriscono, infatti, in un quadro di altri cambiamenti in atto nella più ampia regione del Corno d’Africa. (2) Le principali risoluzioni: UNSCR 1816 (authorizes all countries to enter Somali territorial waters to repress acts of piracy); UNSCR 1838 (authorizes military ships to crackdown on the high seas to avoid acts of piracy); UNSCR 1851 (authorizes to enter Somali territory and airspace). (3) BMP 5 Best Management Practices to Deter Piracy and Enhance Maritime Security in the Red Sea, Gulf of Aden, Indian Ocean and Arabian Sea”, versione 5, Giugno 2018, pag. 4 (https://wwwcdn.imo.org/localresources/en/OurWork/Security/Documents/BMP5%20small.pdf). (4) Cfr. https://eunavfor.eu/48th-shade-conference-26-27-may-2021/. (5) Cfr. https://www.marina.difesa.it/cosa-facciamo/per-la-difesa-sicurezza/operazioni-concluse/Pagine/nuclei-militari-protezione.aspx. (6) Una analisi del contesto in West Africa è stata trattata nell’articolo Pirateria Marittima in West Africa-Golfo di Guinea, Focus, tendenze e possibili risposte, F. Chiappetta, Rivista Marittima, maggio 2020, pp. 44-51. (7) Si tratta di 10 Stati: Liberia, Costa d’Avorio, Ghana, Togo, Benin, Nigeria, Camerun, São Tomé e Príncipe, Guinea equatoriale, Gabon. (8) Come i pirati della Somalia, i predoni della Nigeria sono giovani particolarmente impoveriti le cui possibilità economiche sono praticamente nulle. In una pressoché totale mancanza di legittime opportunità lavorative, la via del mare diventa una soluzione praticabile rapida per guadagni anche considerevoli. Nella gran parte non sono pescatori reclutati dalla criminalità organizzata come in Somalia. Secondo alcune analisi delle condizioni sociali sempre a differenza dei somali, gli uomini che vivono a ridosso del Delta del Niger non sono silenti ma molto più espliciti e visibili nelle loro proteste, per esempio, verso le compagnie petrolifere oltre che verso il loro stesso governo. La povertà, l’inquinamento da petrolio, le pratiche di lavoro discriminatorie percepite e l’emarginazione socioeconomica oltre che politica hanno, nel tempo, spinto migliaia di ribelli a organizzarsi e armarsi individuando nel naviglio mercantile uno dei principali obiettivi da colpire. Nel 2012-13 l’allora Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (MEND) era già una delle fazioni ribelle più organizzata e pesantemente armata della regione. Da allora le organizzazioni criminali originarie del Delta si sono di fatto ramificate in gran parte dei paesi che si affacciano sul Golfo di Guinea. (9) Vedi sito web di ICC-ICS (icc-ccs.org). (10) https://www.icc-ccs.org/index.php/1309-Piracy-and-armed-robbery-incidents-at-lowest-level-in-27-years-but-risks-remain-to-seafarers-IMB-cautions. (11) Vedi articolo su https://channel16.dryadglobal.com/explosions-damage-shell-agip-oil-facilities-in-bayels. (12) Vedi articolo su https://channel16.dryadglobal.com/. https://channel16.dryadglobal.com/update-1-eni-declares-force-majeure-on-nigeria-brass-river-crude-exports. (13) Vedasi, per esempio, il caso subito il 27 novembre 2020 dalla bulk carrierRoberto Rizzo, bandiera italiana della Società Rb-Rd Armatori. Si è, in effetti, trattato solo di un tentativo di intrusione di alcuni soggetti mentre la nave si trovava alla fonda nella rada antistante il porto di Takorado (Ghana), comunque sventato grazie all’allarme attivato da parte di guardie private di sicurezza (non armate) presenti a bordo; cfr. https://www.shippingitaly.it/2020/11/28/attacco-sventato-su-una-naveitaliana-di-rb-rd-armatori-nel-golfo-di-guinea/). (14) Lloyd’s List, Maritime Intelligence, Daily Briefing, Friday November 20, 2020, p.4, ANALYSIS – Armed guards “not the answer” to piracy threat. (15) Il F/V Iris S. (IMO8210493), attaccato e abbordato a circa 108 miglia nautiche a sud di Cotonou da uomini armati su due motoscafi, ha subito il rapimento di 5 membri dell’equipaggio (il capitano, il Chief Officer, il secondo ufficiale e 2 Ingegneri — tutti di nazionalità sud-coreana a parte un tecnico di macchina filippino), https://channel16.dryadglobal.com/idnapping-108nm-south-cotonou?. (16) Cfr. https://stableseas.org/publications/maritime-terrorism/state-piracy-2018-human-cost. (17) Best Management Practice to Deter Piracy and enhance Maritime security off the Coast of West Africa including the Gulf of Guinea; vedi https://wwwcdn.imo.org/localresources/en/OurWork/Security/Documents/BMP%20West%20Africa.pdf. (18) PCASP: Privately Contracted Armed Security Personnel. Per i mercantili battenti bandiera italiana il Decreto del ministero della Difesa del 24 settembre 2015 individua le acque internazionali a rischio di pirateria ove, in base alla Legge 130 del 2 agosto 2011, a bordo è consentito l’impiego di guardie giurate armate; secondo il predetto decreto, tra le acque internazionali individuate soggette a rischio pirateria, rientra la porzione di mare davanti le coste occidentali africane compresa fra i paralleli 36° N e 15° S e che si estende a partire dalle coste fino al meridiano 30°W. (19) Cfr. http://portoeinterporto.blogspot.com/2021/04/golfo-di-guinea-contro-la-pirateria.html. (20) Vedi https://www.marina.difesa.it/cosa-facciamo/per-la-difesa-sicurezza/operazioni-in-corso/Pagine/martinengo_missione_guinea.aspx. (21) Vedi https://www.marina.difesa.it/media-cultura/Notiziario-online/Pagine/20210512_nave_rizzo_assicura_protezione_alle_piattaforme_offshore.aspx. (22) ICS (International Chamber of Shipping), cfr. https://www.ics-shipping.org/current-issue/piracy-in-west-africa/. In ambito ICS l’Armamento nazionale è rappresentato da Confitarma. (23) ECSA (European Community Shipowner’s Association). Cfr. https://www.ecsa.eu/news/piracy-situation-still-serious-gulf-guinea. (24) https://www.imo.org/en/MediaCentre/PressBriefings/pages/GulfOfGuineaMay2021.aspx. (25) BIMCO (Baltic and International Maritime Council), cfr. https://www.bimco.org/GoGDeclaration. (26) Uno strumento «leggero e flessibile che consente agli Stati membri dell’UE presenti in aree di interesse marittimo di condividere consapevolezza, analisi e informazioni» (https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage_es/91970/. (27) IMO, Maritime Safety Committee resolution calls for greater collaboration to tackle escalating attacks in Gulf of Guinea, 19 maggio 2021 (https://www.imo.org/en/MediaCentre/PressBriefings/pages/GulfOfGuineaMay2021.aspx). (28) In Nigeria, il Deep Blue Project, struttura operativa di security marittima sostenuta dall’agenzia NIMASA (Nigerian Maritime Administration and Safety Agency), nonostante i ritardi anche nella formazione/addestramento del personale chiave a causa delle restrizioni legate al Covid-19, stante alle dichiarazioni delle stesse autorità governative, dovrebbe essere operativo entro fine 2021. Con un budget di 195 miliardi di dollari, lo scorso anno il progetto è stato assegnato all’azienda israeliana HLSI Security Systems and Technologies Limited (mast-security.com/maritime-security/west-africa). L’attuazione effettiva del progetto è, di fatto, molto lenta; nondimeno secondo fonti aperte (allafrica.com/stories/201911220133.html) risulta aperta un’indagine governativa sul contratto stipulato tra il Nigerian Federal Ministry of Transportation e la stessa HLSI. Secondo molti il progetto può funzionare solo se si realizzerà una reale partnership tra la NIMASA e la Nigerian Navy, cosa finora mancata. Inoltre, le autorità nigeriane ripetutamente confermano che hanno intensificato gli sforzi di cooperazione anche con rappresentanti dell’industria marittima, istituendo tra l’altro, a maggio 2020, un gruppo di lavoro congiunto (il c.d. NIMASA Joint Working Group - NJWG) che dovrebbe risolvere anche le diverse posizioni delle varie amministrazioni locale coinvolte e che, a oggi, reciprocamente reclamano presunte carenze. (29) ARX Mouldings, Whitepaper - Will the pressure of Covid-19 bring a return of piracy to East Africa?, 29 giugno 2019 (https://arxmouldings.com/).

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