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QUI FINANZA LA FINE DEL QUANTITATIVE EASING DELLA BCE: RITORNO ALLA NORMALITA’. E LE IMPRESE? Nelle settimane scorse la Banca Centrale Europea ha annunciato la graduale uscita dal programma di “quantitative easing”, oramai in essere dal 2015. Quali gli effetti sui tassi di interesse e, in maniera più significativa, cosa è probabile che accada alle imprese dell’eurozona? Per rispondere a queste domande è necessario capire bene cosa si intende per “quantitative easing” che è un anglicismo che potremmo tradurre in italiano come “alleggerimento quantitativo”. La maniera più efficace di vedere la cosa, è considerare la Banca Centrale (una qualsiasi di esse, la Federal Reserve americana, la Banca Centrale del Giappone, la Banca del Popolo Cinese e, nel caso di specie, la Banca Centrale Europea) come una “scatola”. Tutti i soldi che, a qualsiasi titolo entrano nella scatola rappresentano una distruzione di moneta, viceversa tutti quelli che escono sono una creazione di moneta. La moneta “distrutta” evidentemente non circola più nell’ economia mentre quella “creata” aumenta la quantità di moneta in circolazione. La distruzione di moneta ha un effetto depressivo sull’ economia (il denaro è più scarso e il suo prezzo, il saggio di interesse, tende a salire rendendo più caro il credito), invece la creazione di moneta, per i motivi opposti, ha un effetto di stimolo.

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L’ alleggerimento quantitativo è stata una delle risposte non convenzionali date dalle istituzioni monetarie alla grande crisi del 2007-2008. Da un punto di vista tecnico, la Banca Centrale Europea ha effettuato una serie di operazioni di rifinanziamento (denominate LTRO ovvero Long Term Repo Operations) attraverso le quali, per un periodo di tre anni, forniva alle banche commerciali della liquidità (contante) a fronte di garanzie rappresentate tipicamente da titoli di stato (BTP o simili). Quindi, nel nostro schema semplificato, nella “scatola” entravano dei crediti e dalla “scatola” usciva denaro contante che le banche potevano immettere nell’ economia. Come è facilmente intuibile, la possibilità di ricevere liquidità a fronte della consegna in banca centrale dei titoli di stato posseduti dalle banche commerciali ha aumentato la domanda di questi attivi, spingendo in basso i tassi di interesse. Per questo, a causa delle dimensioni enormi dell’alleggerimento quantitativo, per la prima volta in assoluto nella storia dell’umanità, si è verificato il caso di osservare dei tassi di interesse nominali negativi. Tassi reali (la differenza tra il tasso nominale di un attivo finanziario e il tasso di inflazione) negativi si sono visti con una certa frequenza, soprattutto in periodi in cui l’inflazione è stata molto alta ma quelli nominali negativi sono un “regalo” della grande crisi. Vale la pena soffermarsi un attimo sul significato di questa congiuntura particolare. Un tasso nominale negativo significa che un investitore compra un attivo finanziario e, invece di ricevere una remunerazione per aver immobilizzato dei capitali, è disposto a pagare una cifra per vedersi restituito il capitale a fine investimento: una contraddizione in termini, possibile solamente in condizioni veramente eccezionali quali quelle che stiamo vivendo. In un panorama di tassi negativi, non stupisce che si riduca la remunerazione di qualsiasi attivo finanziario in circolazione. Questo provoca un altro fenomeno: la compressione del pre-

mio al rischio. Il premio al rischio è la differenza tra il rendimento di due attivi finanziari con simile struttura (durata, tipologia di rimborso) dovuta solamente al fatto che i due emittenti hanno una probabilità di mancato pagamento della somma presa a prestito diversa. Il famosissimo spread tra i BTP italiani ed i Bund tedeschi non è altro che il premio al rischio che un investitore richiede per poter investire nell’ attivo finanziario dell’emittente percepito più debole, ovvero la Repubblica Italiana. Tanto più compressi sono i tassi (a maggior ragione se negativi), tanto più compresso è il premio al rischio. Come credo sia intuitivo da quanto scritto in precedenza, la manovra di alleggerimento quantitativo è nata per fare fronte a situazioni eccezionali ed ha prodotto fenomeni che si sono presentati per la prima volta sui mercati finanziari. Da qualche tempo a questa parte, la situazione dell’economia dell’eurozona vista nel suo complesso (quindi al netto di alcuni squilibri territoriali che sono tuttora presenti) sembra aver ripreso a navigare in acque più tranquille. Da qui l’annuncio della progressiva riduzione dell’alleggerimento quantitativo, fino ad una sua totale eliminazione prevista per il prossimo mese di dicembre. Quale scenario è possibile attendersi? Fare previsioni partendo da una situazione eccezionale è, evidentemente, molto difficile ma alcune tendenze possono essere identificate. I tassi di interesse sulle nuove emissioni di debito pubblico dovrebbero crescere in quanto la fine dell’automatismo della consegna in Banca Centrale contro il contante dovrebbe farne diminuire l’attrattività per le banche commerciali. Quindi, le somme che il Tesoro dello Stato dovrà destinare al pagamento degli interessi dovrebbero crescere, sottraendo risorse alle altre azioni del bilancio dello stato e risultando in una spesa pubblica per beni e servizi in contenimento. In generale, l’aumento dei tassi di interesse potrebbe avere un effetto di freno anche sugli investimenti del settore privato

e sulla domanda di credito da parte di imprese e famiglie. Il premio al rischio potrebbe tornare con forza sui mercati, generando un allargamento dello spread sia tra BTP e Bund sia tra i rendimenti di emittenti italiani nei confronti di emittenti simili negli altri paesi. Insomma, una situazione di tipo depressivo che potrebbe rallentare il cammino fatto dall’ economia italiana nei mesi scorsi. Cosa possono fare le imprese, soprattutto quelle di media dimensione? Innanzi tutto, prendere coscienza del fatto che, con molta probabilità, a dicembre l’economia e la finanza entreranno in una fase nuova che potrebbe avere una connotazione non positiva. Sarà opportuno tenere in sicurezza il più possibile la provvista bancaria, così da evitare spiacevoli situazioni in cui viene improvvisamente richiesto di ridurre l’esposizione debitoria. Tale eventualità, per la modalità di calcolo del rischio bancario (quello delle banche commerciali verso i propri creditori) potrebbe essere il risultato del mero allargamento dello spread e non avere nulla a che fare con la reale situazione finanziaria dell’azienda debitrice. Allo stesso tempo potrebbe essere conveniente porre maggiore attenzione alla redazione dei budget e delle previsioni per il 2019 e, durante l’anno, operare delle ri-previsioni degli stessi con maggiore frequenza rispetto al solito. Questo consentirà un check up continuo e costante e premetterà di fare fronte ad eventuali richieste da parte del sistema bancario. Il lavoro dell’imprenditore è da sempre quello di adattarsi alle mutate condizioni sia del suo mercato sia di quello finanziario che, per la sua natura, impatta trasversalmente su tutti i settori industriali. C’è la concreta possibilità che il prossimo inverno sia un momento in cui la resilienza sarà un comportamento premiante.

Michele Russo Epta Prime

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