Casa editrice la fiaccola srl
Edizione speciale estratta dalla rivista leStrade 2015/2016 per il bicentenario dell’Istituzione del Genio Civile
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Associazione del Genio Civile
Duecento anni di Genio Civile, viaggio alle radici di una cultura a servizio del bene comune
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Aeroporti Autostrade Ferrovie
leStrade
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al libro di Simone Weil “Una Costituente per l’Europa”: “La sola cosa che possiamo costruire è una civiltà. Nuova rispetto al caos spaventoso finita in un incubo. Antica di spirito. Viva … se possiamo.”
Con questo Incipit viene segnata con lettere di fuoco l’introduzione al mirabile libro di una delle più elevate e nobili figure rappresentative di un pensiero filosofico irriducibilmente rivolto alla costruzione di una civiltà politica europea nuova e consapevole delle proprie radici culturali.
E’ proprio a queste radici storico-culturali comuni che vuole ispirarsi l’Associazione del Genio Civile per trarre dal patrimonio di conoscenze e di esperienze maturate nel tempo gli stimoli per rivitalizzare la memoria e le tradizioni, anche se nell’ambito circoscritto del Buon governo del territorio e delle Opere pubbliche, in funzione di assicurare un positivo contributo al miglioramento del livello qualitativo del sistema istituzionale preposto ad uno dei più rilevanti comparti dell’economia del Paese. L’evento celebrativo del Bicentenario dell’istituzione del Genio Civile, organizzato in stretta collaborazione con il Comando della Scuola di Applicazione dell’Esercito di Torino, cui ha fornito un prezioso contributo il Comando del Genio Militare di Roma, costituisce un momento particolarmente significativo della vita dell’Associazione stessa la cui principale finalità, come è espressamente previsto dal proprio Statuto e dagli atti allegati, è incentrata nell’espletamento di compiti altamente formativi per la creazione di competenze professionali animate da senso etico e da un respiro internazionale da sviluppare in sinergia con il mondo istituzionale ed accademico-scientifico. La celebrazione di tale evento, a distanza di duecento anni dalle “Regie Patenti” emanate da Vittorio Emanuele I° il 19 marzo 1816, acquista un valore del tutto particolare venendo a rappresentare una sorta di “ponte culturale” tra il corrente anno 2016 e l’imminente 2017 nel quale ricorrerà il sessantesimo anniversario della firma del Trattato di Roma istitutivo della Comunità Europea che abbisogna, per la sua auspicata sopravvivenza, proprio dello spirito vitale di Simone Weil e dei Padri Fondatori.
Dott. Federico Cempella Presidente Associazione Genio Civile Torino, 6 dicembre 2016
Il Dott. Federico Cempella ha rivestito per oltre 20 anni rilevanti funzioni apicali di Direttore Generale e di Provveditore OO.PP. nell’ambito del Ministero LL.PP. e di Capo Dipartimento per le Aree Urbane presso la P.C.M., sino ad essere inquadrato al 1° posto della graduatoria dirigenziale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Tra gli incarichi più significativi sono da evidenziare quelli afferenti la rappresentanza del Governo nei Comitati di Sviluppo territoriale, Infrastrutture e Trasporti e Appalti pubblici presso l’U.E., e negli omologhi Comitati presso l’O.C.S.E. e l’O.N.U. (Habitat). E’ autore di pubblicazioni di carattere istituzionale e scientifico e di Progetti internazionali (OSS.TER – VIA MARIS – TEM e MERCURIO – VERSO L’EUROPA) pubblicati su Riviste specializzate, sul Giornale del Genio Civile e sulla Rassegna Lavori Pubblici, ecc.. E’ stato Consigliere di Amministrazione dell’A.N.A.S., della Triennale di Milano e Presidente del Comitato di valutazione economica-finanziaria della A.I.P.C.R. E’ stato insignito dell’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.
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Sommario 4 5 5
PAGINE ASSOCIATIVE
ARTICOLI STORICI
Infrastrutture bene comune
Genio Civile, due secoli di opere al servizio del bene comune
Federico Cempella
Duecento anni di infrastrutture Federico Cempella, Pasquale Cialdini
Statuto dell’Associazione del Genio Civile Federico Cempella
Cultura e divulgazione
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Federico Cempella, Pasquale Cialdini
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Federico Cempella, Pasquale Cialdini
I primi cento anni del Genio Civile La meglio ingegneria
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Federico Cempella, Pasquale Cialdini
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Federico Cempella, Pasquale Cialdini
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Federico Cempella, Pasquale Cialdini
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Pasquale Cialdini
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Mario Virano
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Luigi Da Deppo
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Ingegneria d’eccellenza Manutenzione e pubblica prosperità Le fondamenta delle buone opere
Stampa casa editrice la fiaccola srl 20123 Milano Via Conca del Naviglio, 37 Tel. 02/89421350 Fax 02/89421484
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Tep Srl Strada di Cortemaggiore 50 29100 Piacenza
Genesi, nascita e crescita della rete ferroviaria stradale parte II Ferrovie: dall’Unità alla nazionalizzazione, Pasquale Cialdini
Genesi, nascita e crescita della rete ferroviaria e stradale
parte I, Ilenia Leoni
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parte II, Ilenia Leoni
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Realizzazione
parte I Ferrovie: dalle origini al 1860, Pasquale Cialdini
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Federico Cempella
Genesi, nascita e crescita della rete ferroviaria stradale
parte III Strade: le leggi fondamentali, Pasquale Cialdini
Federico Cempella
Norme e pilastri
Costruire negli anni della Grande Guerra
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Federico Cempella, Pasquale Cialdini
L’opera pubblica: evoluzione e prospettive
Un bicentenario che fa riflettere
Sempione, il primo a doppia canna Sempione, modello di tecnica e lavoro Opera prima e intermodale: la ferrovia Torino-Genova Gianluca Corsini
La nostra Tour Eiffel sull’Adda: il ponte San Michele Matteo Morelli
Si ringrazia lo sponsor
www.fiaccola.com www.lestradeweb.com lestrade @ fiaccola.it
Finito di stampare dicembre 2016
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Infrastrutture bene comune
AGC debutta su leStrade: di seguito la lettera in cui il suo presidente la presenta al MIT
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Federico Cempella Presidente ACG
Lettera al Ministro delle Infrastrutture e dei trasporti 1 Roma, 30 luglio 2015. Costituzione dell’Associazione del Genio Civile con sede in Roma. È con spirito di vivo ed orgoglioso compiacimento che avverto il dovere di informare, anche a nome del Soci fondatori e dei numerosi aderenti alla nobile iniziativa intrapresa, dell’avvenuta costituzione dell’Associazione del Genio Civile (AGC) formalizzata con atto a rogito notarile in data 24 giugno u.s. e successiva registrazione in data 7 luglio c.a. presso l’Agenzia delle Entrate di Roma. Nel relativo Statuto e negli atti a corredo (preambolo, logo e formale proposta dell’AGC presentata al MIT nel 2014 sono circonstanziatamente descritti i principi ispiratori, le finalità sociali, gli strumenti e le modalità operative attraverso cui l’Associazione intende porre al servizio del Bene comune e del Buon Governo tutto il patrimonio di conoscenze ed esperienze maturate in 200 anni di storia e di attività nell’ampio e variegato comparto delle opere pubbliche dal Corpo del Genio Civile, dalle altre strutture centrali, decentrate e periferiche del Ministero dei Lavori Pubblici e dal Consiglio Superiore dei LL. PP. Nel corso dei lavori del Consiglio Direttivo del 2 luglio u.s. e dell’Assemblea Generale dell’AGC tenutasi il 28 luglio c.a. presso la
sala Adunanza (Parlamentino) del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - messa cortesemente a disposizione dalla Presidenza del Consiglio Superiore LL.PP., come in occasione delle precedenti riunioni propedeutiche alla definitiva stesura dello Statuto associativo - è stato assunto e sottoscritto alla stregua di documento di base per le imminenti e future attività sociali, il documento denominato “Cenni storici del Genio Civile”, tratto dal Dizionario Enciclopedico Italiano Treccani, che sarà oggetto di una prossima pubblicazione sulla rivista specializzata “leStrade”, cui viene rivolto un vivo ringraziamento per avere riservato un apposito spazio alle iniziative ed all’operato dell’AGC. L’auspicio e gli intenti propositivi che emergono dagli atti costitutivi dell’AGC sono ben chiari e pienamente coerenti rispetto ai nobili principi che ne hanno ispirato i contenuti, tutti refluiti nella relativa documentazione, che si allega alla presente nota per doverosa conoscenza e per ogni utile forma di collaborazione. In un corposo e documentato “memoriale” datato 13 maggio u.s. - presentato agli organi centrali e decentrati del MIT - che ha anticipato la nascita dell’Associazione, lo scrivente ha ritenuto doveroso fare ampio cenno alle cause che hanno provocato l’attuale deriva a partire dalla colpevole deregulation dell’impianto normativo ed organizzativo unitario della materia dei lavori pubblici, la cui matrice artificiosamente derogatoria è alla base dei dannosi fenomeni oggetto delle inchieste giudiziarie tuttora in corso, dalle quali è emersa una diffusa rete di complicità e connivenze. Il percorso che si pone innanzi agli Organi legislativi ed esecutivi, ai quali l’AGC intende apportare il proprio contributo di esperienza e conoscenza - in una visione unitaria volta a ricucire i dannosi strappi inferti al proprio vissuto storico ed ordinamentale - è irto di ostacoli per le diffuse incrostazioni esistenti e per gli ostacoli al cambiamento frapposti dalle lobby di potere; ma l’attuale stato di crisi sistemica impone scelte
1 coraggiose e non più eludibili in ordine alla preannunciata inversione di rotta, come auspicato da autorevoli sedi politico-istituzionali, dalle più qualificate espressioni del mondo accademico-scientifico e dagli Organi di informazione radio-televisivi e di stampa 2. In questa direzione devono essere quindi considerate le riforme in atto sulla riorganizzazione della PA (ddl n. 1577-B, approvato dal Senato della Repubblica il 30 aprile 2016, modificato dalla Camera dei deputati il 17 luglio c.a.), sulla revisione del Codice degli Appalti, sulla normativa afferente la programmazione e la progettazione delle opere pubbliche, oltreché sul superamento dello stato di conflitto nei rapporti tra Stato-Regioni ed Enti locali, deflagrato oltre il limite di guardia per effetto della sciagurata riforma del titolo V della Costituzione; cioè a dire di un insieme di norme e di regole finalmente e davvero ispirate ai principi del Bene comune e del Buon Governo della cosa pubblica. Con tali motivazioni di fondo e con spirito aperto alla collaborazione leale e feconda,
l’AGC rappresentata dallo scrivente in qualità di presidente, richiede di poter svolgere le proprie attività nell’ambito della sede del MIT, come già avvenuto per l’AIPCR, assicurando sin d’ora il più rigoroso rispetto alle direttive che verranno all’uopo indicate. Volare in alto e pensare in grande e con lungimiranza è quindi l’incipit assunto a base delle iniziative dell’AGC che vuole trarre dalle migliori esperienze del passato ogni utile elemento cognitivo per compiere un vero e proprio salto di qualità, soprattutto di carattere culturale, in una fase epocale contrassegnata da una sempre più accentuata crisi sistemica a livello globale. ■■ 1. I fondatori dell’AGC dopo la prima assemblea del 28 luglio 2015 1. Per ragioni di spazio non è stato possibile pubblicare gli allegati alla lettera - riportata in termini più sintetici - che sarà nostra cura rendere noti nei prossimi numeri. 2. Si rimanda all’articolo di Ernesto Galli della Loggia intitolato “Nostalgia di un’Italia diversa” (Corriere della Sera 6 maggio 2015).
Gli organi associativi Presidente
Federico Cempella
Segretario Organizzativo Tesoriere Consiglieri
Pasquale Cialdini Marco Menna
Pasquale Antonelli, Pietro Bartolucci, Enrico Calizza, Marco Del Monte, Sergio Fittipaldi, Massimo Grisolia, Monica Lucarelli, Enrico Sammartino, Michele Tagliaferri
Revisori dei Conti Collegio dei Probiviri
Luciano Novella, Roberto De Cesare, Paola Di Mascio Roberto Rocco, Mario Petriccione, Giovanni Scrofani
ASSOCIAZIONE DEL GENIO CIVILE 8-9/2015 leStrade
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Duecento anni di infrastrutture
Prende avvio, con un ciclo di seminari, l’attività divulgativa dell’Associazione
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l 22 settembre si è tenuta la seconda Assemblea dell’Associazione del Genio Civile nel corso della quale il Presidente ha dato comunicazione che i Soci fondatori sono 711 cui si aggiungono i due Soci onorari (ing. Mario Toti e ing. Giuseppe Batini), acclamati nell’Assemblea del 28 luglio. L’Assemblea ha eletto Vice Presidente dell’Associazione l’ing. Massimo Sessa, Presidente del Consiglio Superiore dei LL.PP. mentre il dott. Ivo Blasco è stato eletto nel Collegio dei revisori dei Conti in sostituzione
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Federico Cempella Presidente AGC
di un membro dimissionario del predetto Collegio. Il Presidente ha anche annunciato l’attività dell’Associazione per i prossimi mesi che prevede un ciclo di tre seminari in collaborazione con l’Associazione Italiana per l’ingegneria del Traffico e dei Trasporti (AIIT), e l’Ordine degli Ingegneri di Roma, dal titolo “1816-2016: Duecento anni di Infrastrutture di Trasporto”. Il primo Seminario AGC-AIIT si terrà a Roma il 12 novembre alle 14,30, presso la Sala Assemblee ACI di via Marsala 8, e avrà come titolo
“1815-1915/1918: Il contributo delle infrastrutture all’unità d’Italia”. Il 19 marzo 2016, inoltre, è previsto un evento celebrativo del bicentenario della fondazione del corpo del Genio Civile avvenuta con “Regie Patenti” di Vittorio Emanuele I. Di queste attività verrà dato ampio risalto nei prossimi numeri di leStrade. Riportiamo qui di seguito alcuni stralci dello Statuto associativo. ■■
stenibilità ambientale, della difesa del suolo, della prevenzione dagli eventi calamitosi, nonché della sicurezza dei luoghi di lavoro e del risparmio energetico, valorizzando gli aspetti sociali ed ambientali atti al miglioramento della qualità della vita. 3. L’Associazione tutela e promuove, altresì, l’immagine, la professionalità e l’attività dei soggetti che partecipano o concorrono al raggiungimento delle finalità dell’Associazione stessa. 4. L’Associazione per l’attuazione degli scopi e delle attività sopraindicati si propone inoltre di proseguire nell’opera di studio, consultazione e diffusione del patrimonio culturale maturato nel tempo e divulgato dal Giornale del Genio Civile e dalla Rassegna dei Lavori Pubblici. 5. L’Associazione opera su due piani: a. quello interno, orientato a promuovere attività di carattere culturale e formativo; b. quello esterno, di tipo sociale, relazionale ed informativo, orientato a sviluppare: i. attività di collaborazione con gli Organismi internazionali e con l’Unione Europea nell’ambito dei programmi di cooperazione internazionale riguardanti l’armonizzazione nelle materie indicate tra gli scopi dell’Associazione; ii. campagne di sensibilizzazione ed iniziative, anche di carattere norma-
tivo, intese a conseguire le finalità dell’Associazione; iii. l’incontro e lo scambio di professionalità con Enti, con Associazioni e con tutti i soggetti interessati alle finalità e alle attività dell’Associazione. iv. corsi di formazione ed aggiornamento su aspetti normativi e tecnici in collaborazione con gli Ordini Professionali di pertinenza anche ai fini del conseguimento di crediti formativi professionali CFP.
1. Ai 24 soci costituenti del 24 giugno, si sono aggiunte altre 47 persone che hanno formalizzato la loro adesione entro i 90 gg previsti dallo Statuto.
Statuto dell’Associazione del Genio Civile
1 Art. 1 - Costituzione, denominazione, durata, sede e logo della Associazione 1. È costituita, con durata illimitata, l’Associazione del Genio Civile (di seguito denominata “Associazione”). 2. L’Associazione non ha fini di lucro con sede in Roma. 3. L’Associazione assume quale proprio logo identificativo il bozzetto rappresentativo della figura del “Genio alato” disegnata in armonia con i paradigmi della geometria vitruviana ed iscritta in un quadrato contenente un cerchio ed un pentagono con le parole a corona “ASSOCIAZIONE DEL GENIO CIVILE”, chiusa in alto ed in basso con i fregi tricolori della Bandiera italiana. Art. 2 - Scopi dell’Associazione 1. L’Associazione si propone, nel preminente interesse generale e ai fini del perseguimento del pubblico bene,
come modello di riferimento, di incontro e di dialogo tra tutti coloro che sono interessati alla conservazione, alla valorizzazione e alla divulgazione del patrimonio culturale, scientifico, tecnico e amministrativo, nonché delle esperienze maturate in duecento anni durante il Regno di Sardegna e poi, senza soluzione di continuità, nel Regno d’Italia e nella Repubblica Italiana, dal Ministero dei lavori Pubblici, dal Genio Civile, dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e dai Provveditorati alle OO.PP. fin dalla loro costituzione. 2. L’Associazione, più in particolare, intende porre al servizio delle Istituzioni, degli Enti pubblici e privati, delle Università e delle giovani generazioni, nonché degli Ordini professionali e di tutti i cittadini il patrimonio culturale acquisito nel tempo al fine di: a. favorire il trasferimento di competenze e conoscenze tra generazioni; b. migliorare la qualità delle attività di studio e ricerche preliminari, di pianificazione, di programmazione, di progettazione, di esecuzione, di collaudazione, di manutenzione e gestione delle opere pubbliche e/o di pubblica utilità; c. contribuire alla soluzione dei problemi attinenti alla coesione territoriale e socioeconomica, alla sicurezza delle infrastrutture, della circolazione stradale e ferroviaria, della tutela e so-
Seguono altri 15 articoli che per ragioni di spazio si omettono.
2 1. Palazzo del Genio Civile a Reggio Calabria ricostruito dopo il terremoto di Messina del 1908 2. Mezzo del Genio Civile operativo nel post-terremoto dell’Irpinia del 1980
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Cultura e divulgazione
Prende corpo l’attività associativa tra ricerca, convegni e seminari
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Federico Cempella Presidente
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l 5 novembre presso il Parlamentino dei Lavori Pubblici si è tenuta la terza Assemblea dell’Associazione. Come è ormai consuetudine a presiedere i lavori è stato chiamato il prof. Francesco Karrer. Durante il corso dei lavori, dopo le comunicazioni del Presidente dell’ Federico Cempella, è stata presentata un’ipotesi preliminare di “sito” elaborato dai soci Massimo Bracaglia e Carla
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Bartolucci cui è andato l’unanime ringraziamento da parte di tutti i soci per il prezioso lavoro svolto. Al tempo stesso l’Assemblea ha deciso ulteriori approfondimenti dell’ipotesi progettuale del sito da apportare prima della sua pubblicazione. Il Presidente a nome di tutti i soci ha ringraziato pubblicamente la Direttrice della Biblioteca del Ministero dei Lavori Pubblici, dott. ssa Alessandra Fallanca, intervenuta con le sue collaboratrici Lucia Cecere e Teresa Viola, che hanno messo professionalità ed esperienza a disposizione dei soci, che nei giorni precedenti avevano avuto necessità di consultare alcune edizioni ultracentenarie del “Giornale del Genio Civile” e altri preziosi e antichi testi riguardanti opere realizzate dagli Ingegneri del Genio Civile. La Biblioteca, grazie a questa preziosa e cordiale collaborazione, potrà costituire un eccellente punto di riferimento per l’Associazione, come luogo di studio, di ricerca, di incontro e di dialogo per tutti i soci. Nel corso dell’Assemblea sono stati anche illustrate le Relazioni che alcuni soci (Cempella, Karrer, Cialdini, Storto e Ventura) hanno presentato ai Convegni e Seminari di studio che hanno avuto luogo nel mese di ottobre. Si citano le relazioni: • “Le Gallerie, storia e sviluppo di opere che uniscono i popoli” presentata al Convegno organizzato l’8 ottobre nel Padiglione Svizzero dell’EXPO di Milano per celebrare i 60 anni della Società di Ingegneria Lombardi; • “Territorio e Infrastrutture nella Casa Comune” e “Infrastrutture e Mobilità” presentate il 12 ottobre al Corso di Formazione sulla Dottrina Sociale della Chiesa organizzato dall’Associazione culturale Identità Cristiana; • “Sicurezza in galleria, i buoni frutti della Direttiva 2004/54/CE a dieci anni dalla sua emanazione: dal Monte Bianco al Frejus”, presentata al Convegno su “Manutenzione, sicurezza e durabilità: il bene comune delle opere pubbliche”
organizzato il 16 ottobre dall’Istituto Italiano per il Calcestruzzo presso il SAIE di Bologna; • “Breve Storia dei grandi trafori alpini: quali insegnamenti?” presentata alla Conferenza internazionale “Le grandi infrastrutture e la funzione strategica dei Trafori Alpini” organizzata il 22 e 23 ottobre dalla Fondazione Fastigi presso la sede dell’ANCE a Roma; • “Energia marina per la difesa delle coste” presentata al Conferenza “Dal mare una risposta per la custodia del creato” organizzato il 27 ottobre dalla Fondazione Ut vitam habeant e dall’Associazione STES (Scienziati e Tecnologi per l’etica dello sviluppo). Al termine dell’Assemblea è stato ricordato l’importante appuntamento del 12 novembre per il primo Seminario organizzato dall’Associazione del Genio civile in collaborazione con l’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma e l’AIIT presso la sede dell’ACI a Roma, avente per oggetto: • 1° Seminario 1815-1915/1918 “Il contributo delle Infrastrutture nell’Unità d’Italia”. ■■
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1. Biblioteca del Ministero dei Lavori Pubblici 2. Sala di lettura della Biblioteca 3. Targa ricordo di Umberto e Bruno Bucci, rispettivamente ragioniere e disegnatore del Genio Civile, cui è intitolata la biblioteca
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4. I due Bucci, padre e figlio, uniti in un medesimo tragico destino: furono trucidati il 24 marzo 1944 alle Fosse Ardeatine insieme ad altre 333 persone e furono ritrovati abbracciati (il padre, prima di morire, chiese agli aguzzini di slegargli i polsi per poter morire abbracciato al figlio) 5. Prima pagina del primo numero del “Giornale del Genio Civile” 6. Copertina con lo stemma del Genio Civile
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I primi cento anni del Genio Civile
Un seminario storico a Roma ha tracciato la strade che porterà al Bicentenario del 2016
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Federico Cempella Presidente AGC
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l 12 novembre presso la Sala Assemblea dell’ACI ha avuto luogo il primo Seminario con il quale AGC ha dato inizio alle celebrazioni del Bicentenario dell’istituzione del Reale Corpo del Genio Civile, disposta con Regia Patente del 19 marzo 1816 di Vittorio Emanuele I, Re di Sardegna. Questo primo seminario, organizzato in collaborazione con l’Ordine degli ingegneri di Roma e la sezione Lazio dell’AIIT, ha preso in esame i primi cento anni di infrastrutture e opere pubbliche realizzate dal Genio Civile. La divulgazione, soprattutto tra le giovani generazioni, del patrimonio culturale, tecnico-scientifico e normativo e le esperienze maturate in due secoli da tale fondamentale Istituzione è senza dubbio il modo migliore per celebrare tale importante ricorrenza. Dopo i saluti del Presidente dell’ACI, ing. Angelo Sticchi Damiani, del Consigliere dell’Ordine degli Ingegneri di Roma, ing. Tullio Russo e del Presidente della Sezione Lazio dell’AIIT, ing. Enrico Pagliari, i lavori sono stati introdotti dal prof. Francesco Karrer che ha anche presieduto i lavori. Il primo intervento è stato del Presidente dell’AGC, dott. Federico Cempella che ha illustrato come la progettazione e la realizzazione di un rilevantissimo numero di opere pubbliche, alcune anche di straordinaria complessità, sia stata possibile in quanto le indiscusse
capacità professionali dei tecnici del GC sono state sostenute da un impianto normativo di chiara e univoca applicazione e interpretazione, nonché da una struttura organizzativa unitaria di ottimo livello: dapprima le Regie Patenti del 1816, cui sono seguiti altri basilari normative quali la legge fondamentale sui lavori pubblici del 1865 e il regolamento del 1895. Queste sono state le basi che hanno costituito per oltre un secolo il prezioso quadro di riferimento normativo per la progettazione, la direzione, l’esecuzione e il collaudo delle opere pubbliche in Italia. Il presidente del Consiglio Superiore, ing. Massimo Sessa ha illustrato l’organizzazione del massimo organo tecnico dello Stato, istituito nel 1859 su modello del francese Conseil General des Ponts et Chausee. Il prof. Giuseppe Cantisani ha illustrato la copiosa produzione di normativa tecnica a partire dal primo regolamento del 1817 per la costruzione delle strade e delle altre opere pubbliche. Dalla relazione del prof. Massimo Grisolia è emerso come la progettazione, accompagnata dalla sperimentazione di nuove tecniche costruttive, ha consentito di realizzare opere di ingegneria particolarmente ardite che, a livello mondiale, possono essere annoverate tra le più importanti dell’800, e ha illustrato i trafori ferroviari del Frejus e del Sempione (1871 e 1906). L’ing. Pasquale Cialdini ha dapprima descritto la situazione della rete stradale e ferroviaria nella prima metà dell’Ottocento negli Stati preunitari, quindi ha illustrato il grande sviluppo della rete ferroviaria dopo la costituzione del Regno d’Italia: in pochi anni sono stati costruiti migliaia di chilometri a un media di circa 350 km l’anno; tutti i capoluoghi di provincia sono stati collegati attraverso la rete ferroviaria che ha permesso di ridurre drasticamente i tempi di percorrenza dei viaggiatori e delle merci. Il prof. Luigi Da Deppo ha svolto due relazioni: nella prima ha illustrato la difficile e controversa progettazione
delle opere di sistemazione delle sponde del Tevere, i cosiddetti “muraglioni”, dopo la straordinaria piena che colpì Roma nel dicembre 1870. Nella seconda ha illustrato i numerosi interventi (strade, ponti, opere di difesa fluviale, etc.) eseguiti dal Genio Civile nei territori dove si sono combattute le cruenti battaglie della guerra 1915-18. Le antiche e originali pubblicazioni custodite nella Biblioteca del Ministero dei Lavori Pubblici hanno consentito agli ultimi quattro relatori di descrivere nei dettagli i progetti di alcune tra le più importanti e innovative opere di ingegneria realizzate dal Genio Civile. Per primo, l’ing. Aldo Mancurti ha illustrato lo straordinario progetto del Policlinico universitario Umberto I realizzato a Roma nell’ultimo decennio dell’800. Le diverse cliniche e gli otto padiglioni sono stati collegati tra di loro (in sotterraneo mediante cunicoli e in superficie con passerelle) in modo da costituire un complesso unitario. La struttura è stata dotata di impianti idrici, di riscaldamento ed elettrici di avanguardia. L’ing. Gianluca Corsini ha poi illustrato la prima linea ferroviaria realizzata del Regno Sardegna per collegare il porto di Genova con Torino. La linea aveva un tracciato complesso, si dovevano attraversare gli Appennini e fu realizzata la galleria dei Giovi che fu il primo traforo ferroviario realizzato in Italia, dove Sommeiller utilizzò per la prima volta la perforatrice da lui ideata. L’ing. Matteo Morelli
ha descritto il progetto del ponte San Michele a travata metallica rettilinea di 266 m, costituito da una grande arcata di 150 m di corda e 37,50 m di freccia la cui realizzazione nell’ultimo decennio dell’800 suscitò ammirazione a livello mondiale. La travata rettilinea continua è dotata di due livelli di percorribilità: un livello inferiore con singolo binario della linea ferroviaria Ponte San Pietro-Seregno e un livello superiore, posto a 6 m sopra quello ferroviario, destinato a sede stradale con carreggiata di 5 m destinata al collegamento tra le provincie di Como e di Bergamo. Il ponte è ancora oggi utilizzato e unitamente allo scenario fluviale dell’Adda è stato inserito dall’Unesco nel patrimonio dell’umanità. L’ing. Ilenia Leoni ha illustrato il progetto del traforo del Sempione, inaugurato nel 1906 in occasione dell’Esposizione universale di Milano, che per oltre 75 anni ha detenuto il primato di traforo ferroviario più lungo del mondo. Il Sempione ha anche un altro primato: è stato il primo traforo ferroviario progettato e costruito con un doppio fornice. Dopo le tragiche esperienze dei Frejus e del San Gottardo, dove decine di operai persero la vita, particolare cura fu posta per la sicurezza dei lavoratori. Oltre a ridurre il numero dei morti, si ottennero sensibili miglioramenti della produttività: lo scavo dei 19.800 km per ciascun fornice fu eseguito in tempi strettissimi tra l’agosto 1898 e il febbraio 1905. ■■
1. Un momento dei lavori del seminario sui primi cento anni del Genio Civile
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La meglio ingegneria
Un evento e un volume storico per celebrare il Bicentenario del Genio Civile
AGC Associazione del Genio Civile Via Giulio Galli, 12 00123 Roma Tel. 338.6966756 federico@cempella.it pasquale.cialdini@gmail.com
Federico Cempella Presidente AGC
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l 12 gennaio presso la sala Biblioteca dei Lavori Pubblici si è tenuta, con la presidenza dell’ing. Giancarlo Storto la quarta Assemblea dell’Associazione. Durante il corso dei lavori, dopo le comunicazioni del Presidente dell’AGC Federico Cempella, sono stati presentati gli eventi con i quali l’Associazione intende celebrare la storica ricorrenza del Bicentenario dell’istituzione in data 19 marzo 1816 del Reale Corpo del Genio Civile
con Regia Patente a firma di Vittorio Emanuele Re di Sardegna (il titolo completo di Vittorio Emanuele nel 1816 era: “Re di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme, duca di Savoia e di Genova, principe di Piemonte”), pochi mesi dopo il Congresso di Vienna che gli aveva restituito il Regno dopo la sconfitta di Napoleone. L’assemblea, tenuto conto del grande interesse suscitato dal Seminario, organizzato nello scorso mese di novembre, sui primi cento anno di attività del Genio Civile, ha deciso di raccogliere le relazioni dei relatori in un volume celebrativo di grande formato con disegni, grafici e fotografie a colori che riproducono le opere progettate e realizzate nel corso dell’Ottocento. Si tratta di opere realizzate con tecniche innovative che, ancora oggi, costituiscono modelli di riferimento in tutti i settori dell’ingegneria civile. Riportiamo nel box sottostante il titolo e l’indice del libro, così come approvati dall’Assemblea. Il volume sarà presentato in primavera a Roma nel corso di un convegno e sarà poi distribuito in autunno a Torino in occasione del principale evento celebrativo del Bicentenario 1
in cui verrà ricordata l’importante attività del Genio Civile attraverso l’illustrazione di alcune tra le più grandiose opere compiute e del corpus normativo tecnico e amministrativo che ne ha reso possibile la realizzazione in perfetta regola d’arte e in tempi e costi certi. L’evento prevederà anche una Tavola rotonda sul tema “Le opere pubbliche oggi in tempo di crisi economica”. Al dibattito saranno invitati qualificati rappresentati delle istituzioni, del mondo accademico-scientifico ed economico-finanziario. Il costo del libro avrà un prezzo scontato di lancio (per ciascuna copia 20 € + spese postali) in quanto relativo solo al rimborso dei costi. Nel corso dell’Assemblea ci si è quindi soffermati sulla grande attualità e importanza della nuova normativa in materia di lavori
pubblici in corso di definizione (Ddl delega sugli appalti approvato in via definitiva dal Senato il 14 gennaio scorso). L’Assemblea ha, inoltre, deciso di mantenere anche per il 2016 la quota sociale a 60 €. Tenuto, però, conto delle ingenti spese che dovranno essere sostenute per le celebrazioni del bicentenario tutti i soci sono invitati a un contributo straordinario di almeno 40 € che consentirà loro di ricevere due copie del libro in omaggio, ovviamente un contributo di importo maggiore, darà diritto a un maggior numero di copie. Anche i non soci potranno prenotare una o più copie del libro al prezzo scontato di lancio di 20 euro ciascuna+spese postali. Per ulteriori informazioni ci si può rivolgere al tesoriere dott. Marco Menna cel. 335.6329118, emal: marco.menna@gmail.com ■■
“Duecento anni di Genio Civile, viaggio alle radici di una cultura a servizio del bene comune. Primo secolo 1816-1915/18” • Presentazione Il bene comune come principio e fine ultimo dell’opera pubblica: dalle Regie patenti del 1816 alla Legge fondamentale sui lavori pubblici. Considerazioni e raffronti con l’attuale crisi di sistema (Federico Cempella) • Regole e fondamenta Il Genio Civile e il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici: cenni storici (Marco Del Monte e Massimo Sessa) Il Regolamento del 1817 e le norme di progettazione e manutenzione di opere pubbliche e strade (Giuseppe Cantisani ) • Le reti di trasporto Lo sviluppo della rete ferroviaria e stradale (Pasquale Cialdini) I primi grandi Trafori Alpini: normativa, competenze e Genio Civile (Massimo Grisolia) • I modelli di riferimento Il Traforo ferroviario del Sempione (Ilenia Leoni)
1, 2. Tavola di progetto e fotografia recente del ponte sull’Adda inaugurato nel 1889, nello stesso anno della Tour Eiffel
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Il Ponte San Michele sul fiume Adda (Matteo Morelli) La linea ferroviaria Genova-Torino (Gianluca Corsini) Il Policlinico Umberto I (Aldo Mancurti) La sistemazione del Tevere a Roma dopo la piena del 1870 (Luigi Da Deppo) • Tra storia e cronaca L’opera del Genio Civile per la mobilità delle truppe nella Guerra 1915-18 (Luigi Da Deppo) leStrade prima delle strade: l’età pioneristica della stampa specializzata (1898-1915) (Fabrizio Apostolo) • Conclusione La competenza al centro: attualità della lezione del Genio Civile (Francesco Karrer)
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Ingegneria d’eccellenza
L’AGC partecipa a “MakING”, mostra-convegno del Consiglio Nazionale degli Ingegneri
l Consiglio Direttivo dell’Associazione del Genio Civile nella riunione del 4 febbraio ha deciso di partecipare alla Mostra e al Convegno “MakING - Ingegneria Italiana Eccellenza per il Paese” organizzato dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri nei giorni dal 28 al 30 aprile 2016 a Roma presso il Life Hotel in via Palermo,12. L’Associazione porterà nella Mostra tre grandiose opere d’ingegneria realizzate nel XIX Secolo: • Il traforo ferroviario del Frejus • Il ponte in ferro a due piani San Michele sul fiume Adda • Il Policlinico Umberto I di Roma. La prima opera già ampiamente illustrata sulla rivista leStrade è stata giustamente considerata, alla pari con il canale di Suez, come la più
importante opera d’ingegneria del Secolo XIX. I tre ingegneri progettisti e direttori dei lavori (Sommeiller, Grattoni e Grandis) facevano parte del Reale Corpo del Genio Civile del Regno di Sardegna. Il traforo del Frejus fu approvato dal ministro dei lavori pubblici piemontese ing. Pietro Paleocapa che presiedeva una Commissione di cui faceva parte l’ing. Luigi Filippo Menabrea (che qualche anno più tardi divenne ministro dei lavori pubblici e presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici del Regno d’Italia). Ma il traforo del Frejus non si sarebbe realizzato se non ci fosse stato l’intervento dell’ingegner Camillo Benso conte di Cavour che nella storica seduta del 25 giugno 1857 del Parlamento cisalpino riuscì, con argomentazioni tecniche ed economiche, a convincere anche i più ostinati oppositori che non credevano che si riuscisse a perforare la montagna per 12 km, quando il traforo più lungo nel mondo superava di poco i 3 km. I meriti di Cavour non si sono limitati solo all’approvazione dell’opera e al reperimento degli ingenti finanziamenti necessari ma soprattutto perché affidò i lavori direttamente al Ministero dei lavori pubblici “dove solo si rinvengono le competenze e le professionalità per la realizzazione di un’opera così importante e complessa”. E Cavour sapeva quel che diceva in quanto aveva mandato negli anni precedenti
ingegneri (tra cui i tre progettisti), geometri e operai a specializzarsi nello scavo delle miniere del Belgio e nella costruzione delle ferrovie in Inghilterra. I lavori iniziarono così il 1° settembre 1857, solo due mesi dopo l’approvazione del Parlamento. La seconda opera, realizzata dall’impresa italiana e diretta dagli ingegneri del Genio Civile è tra le prime e più importanti costruzioni in ferro del mondo. Il progetto del ponte San Michele è stato approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici dopo l’esame di diverse soluzioni alternative con ponti in muratura, i lavori furono affidati alle Officine Savigliano che già avevano realizzato diverse linee ferroviarie. La sua costruzione è iniziata nel maggio del 1887, pochi mesi dopo l’inizio dei lavori della più celebre Torre Eiffel, e fu terminata contemporaneamente alla torre parigina nel marzo del 1889. A differenza della celeberrima torre Eiffel, che era destinata a fare bella mostra di sé nell’Esposizione Universale di Parigi in occasione del centenario della rivoluzione francese e poi doveva essere demolita, il ponte era stato costruito allo scopo di farci transitare contemporaneamente treni e veicoli stradali. Il ponte fu collaudato con il passaggio di un treno formato da tre locomotive (ciascuna di 83 ton) e da 30 vagoni con il carico di ghisa per complessive 850 ton percorse alla “velocità vertiginosa” (per quell’epoca) di 45 km/h. Il ponte è
ancora oggi in esercizio e nei prossimi mesi RFI provvederà a ristrutturarlo. La terza opera è il Policlinico Umberto I che è stata concepita per unire insieme in un’unica sede sia la cura dei malati e lo studio della medicina. Sale operatorie e letti per gli ammalati, insieme con aule didattiche per la formazione e la pratica dei futuri medici. Comprende in un unico complesso e con un’unica amministrazione tutte le diverse cliniche (chirurgica, medica, ginecologica, oculistica, dermatologica, pediatrica, ortopedica, ecc,). È stata voluta dal ministro della Pubblica istruzione e insigne medico Guido Baccelli che dichiarò: “Qui verranno i derelitti della fortuna a sentire l’effetto benefico di quell’amplesso immortale che si daranno Carità e Scienza”. Baccelli voleva che “in ogni clinica concorressero tutti i moderni progressi dell’igiene ospedaliera, e infermerie e laboratori e biblioteche e suppellettili relative ai progressi delle scienze”. L’idea di Baccelli fu appoggiata dal Presidente del Consiglio Agostino De Petris. Il progetto fu realizzato dall’arch. Giulio Podesti e dall’ing. Filippo Laccetti con la collaborazione di un Ufficio Tecnico formato dagli ingegneri Cesare Salvatori, Edgardo Negri, Luigi Rolland e Vittorio Manni. A dicembre del 1888 il progetto fu esaminato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e pochi mesi dopo iniziarono i lavori che si conclusero nel 1902. ■■
1. Gli ingegneri padri del tunnel ferroviario del Frejus: Cavour
2. Paleocapa, ispettore del Genio Civile e Ministro LL. PP.
3. Menabrea, presidente Consiglio Superiore CS e Ministro LL. PP.
4. Grandis, Sommellier e Grattoni, ingegneri del Genio Civile
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Manutenzione e pubblica prosperità
Una lezione dal passato: la circolare del 1863 sul “principale dovere dello Ingegnere”
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Federico Cempella Presidente AGC
unitamente al richiamo ai nobili principi di responsabilità deontologico-professionale, alla qualità dei progetti e degli interventi da realizzare, a regola d’arte, ancorché circoscritti al settore della manutenzione stradale, oltre a riproporre un esemplare quadro di valori etici tradizionalmente e unanimemente riconosciuti, rappresentano una sicura base di riferimento sia per le attività dell’Associazione del Genio Civile che per gli addetti ai lavori. Più in particolare si tratta di un vero e proprio modello da imitare
Pasquale Cialdini
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Segretario Organizzativo AGC
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ella ricerca del materiale storico che stiamo riordinando presso la Biblioteca del Ministero dei Lavori Pubblici in vista della celebrazione dell’evento del “Bicentenario del Genio Civile”, la nostra attenzione si è soffermata sul libro che raccoglie i numeri del Giornale del Genio Civile dell’anno 1863, nel quale sono rinvenibili le preziose informazioni sull’andamento dei lavori del traforo ferroviario storico del Frejus che proprio in quell’anno aveva iniziato a vedere l’impiego, da entrambi gli imbocchi, della nuova perforatrice ideata dall’ingegnere del genio civile Sommeiller. In questo libro - vera e propria raccolta di saperi e di documentazione ricca di significato storico, scientifico e culturale - è altresì pubblicata la “Circolare del 20 luglio 1863”, che si riporta integralmente in questa pagina, a firma dell’insigne ingegnere Luigi Filippo Menabrea, che in quegli anni ricopriva l’incarico sia di Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, che di Ministro dei Lavori Pubblici del giovanissimo Regno d’Italia, costituito da appena due anni. La chiarezza del linguaggio,
Circolare ai signori Pr efetti ed Ingegneri-cap i delle Provincie de l Regno Non in tutte le Provincie Torino, 20 luglio 1863 del Regno il suolo delle strade nazionali e provin si trova in quello stato ciali di normale manutenzio ne, che l’interesse del pu servizio richiede, ed in bblico alcuni luoghi specialment e la carreggiata è giunta deterioramento da essere a tale oggetto di gravi e fondat e lagnanze. Se l’influenza del clima , la qualità dei material i e le condizioni del car influiscono in certe loc reggio alità a rendere più rapide e più gravi le alterazioni suolo, non vi ha dubbio del però che, mercé l’impie go costante di mezzi app e d’intelligenti ed assidu ropriati e cure, è possibile ripara re al danno e supplire al consumo a misura che si produce, ed in tempo per ché non oltrepassi i lim l’arte segna nei lavori di iti che tal natura. Senza disconoscere per tanto le difficoltà, che in alcuni casi possono inc alla perfetta conservazion ontrarsi e del suolo stradale, no n si può tuttavia dissim che non sempre né ovun ulare que vi si attende dagli Ing egneri con tutto l’impeg sprezzando quasi alcun no, i di essi il modesto lavoro delle manutenzioni, per dedicarsi a studi più ele vati e più allettevoli di nuovi progetti. Siccome però il principal e dovere dello Ingegnere quello è di rendere anz proficua l’opera sua in i tutto quelle parti di pubblico ser viz io, che più direttamente ed immediatamente int eressano la pubblica pro sperità, così, mentre no scrivente non lamentare n può lo vivamente che la manu tenzione delle strade no alcune Provincie curata n sia in quanto dovrebbe esserl o, deve in proposito ric tutta l’attenzione dei sig hiamare nori Prefetti ed Ingegneri -capi perché, ovunque caso, provvedano tosto ne sia il colla massima energia a far cessare una causa di rec la di cui continuazione lami, porrebbe il Ministero nel la spiacente necessità di misure di rigore. adottare Lo scrivente starà attend endo dallo zelo e dalla sollecitudine dei signori ed Ingegneri-capi di ess Prefetti ere al più presto possibil e esattamente informato stato in cui si trovano le sia dello diverse strade nelle Pro vincie, sia dei provvedi per far cessare ogni giu menti dati sta ragione di biasimo. Menabrea
1. Sala lettura della Biblioteca del Ministero dei Lavori Pubblici in una fase temporale di crisi sistemica ove la proliferazione normativa, la frammentazione organizzativa e l’accertato deficit di selezione dei quadri dirigenziali costituiscono le problematiche di maggiore spessore per le reiterate iniziative di riforma della Pubblica Amministrazione e del complesso settore degli appalti di cui si è tuttora in attesa di conoscere gli esiti auspicati. ■■
2. Menabrea, presidente Consiglio Superiore e Ministro LL. PP.
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Le fondamenta delle buone opere
Il vizio antico dell’imprecisione, da correggere alla radice per evitare conseguenze nefaste
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el precedente numero dedicato alle attività dell’Associazione del Genio Civile del mese di maggio di questa rivista (leStrade 5/2016, pag. 118) è stata riservata particolare attenzione ai contenuti e alla chiarezza di linguaggio attraversi cui i nostri insigni predecessori richiamarono l’attenzione dei Prefetti e degli ingegneri del GC in merito alla corretta manutenzione delle strade. Proseguendo nell’appassionata e rigorosa ricerca del prezioso materiale storico ordinato e ben custodito nella nostra Biblioteca ministeriale, appare doveroso proporre all’attenzione degli addetti ai lavori un’altra significativa circolare del 1° settembre 1863 pubblicata sul n. 6/1863 del Giornale del Genio Civile a firma dell’illustre ingegnere Luigi Federico Menabrea, presidente del Consiglio Superiore dei lavori pubblici e ministro dei lavori pubblici indirizzata ai “signori Ingegneri-capi delle province del Regno”. La semplice lettura di un testo così chiaro e istruttivo rende superfluo qualsiasi ulteriore commento soprattutto se posto in relazione alla caotica situazione derivante dai fenomeni degenerativi che, da qualche tempo, interessano da vicino il settore delle opere pubbliche o di pubblica utilità. Su questi temi e più in particolare sulle cause che hanno generato
tali fenomeni da individuare soprattutto nella frammentazione normativa e nel connesso impianto organizzativo, la nostra Associazione sta svolgendo con cura le proprie ricerche negli storici annali del Giornale del Genio Civile al fine di individuare alcune cosiddette “buone pratiche” nei diversi settori dell’ingegneria civile appartenenti al patrimonio di conoscenze ed esperienze maturate in 200 anni di storia. In tale contesto si è svolto il 16 giugno presso la facoltà di Ingegneria dell’Università La Sapienza un proficuo Seminario di studio cui hanno offerto un efficace contributo i professori Vestroni, preside della facoltà, Massimo Grisolia, Giuseppe Cantisani e Francesco Karrer, che ha concluso i lavori. Oltre ai soci dell’Associazione e agli addetti ai lavori hanno assistito, con profondo interesse e attenta partecipazione, anche un centinaio di giovani ingegneri che fino a poche ore prima erano stati impegnati negli esami di abilitazione alla professione. Dal Seminario sono, inoltre, emerse utili indicazioni per l’avvio di una vera e propria scuola di formazione incentrata sulla rivitalizzazione dell’immenso patrimonio di conoscenze da mettere a disposizione del Bene comune. ■■
1. Menabrea, presidente Consiglio Superiore e Ministro LL. PP.
Giornale del Genio Civile N.° 6 - Parte Ufficiale - 1863 - (N.° 29) Studio e compilazione dei progetti
Circolare ai signori Ingegneri delle Province del Regno Torino, 1° Settembre 1863
Nello studio e nella compilazione dei progetti relativi ai pubblici lavori dipendenti da questo Ministero, avviene non di rado che o per insufficiente o men giusto apprezzamento delle materiali condizioni in cui versano le opere, o per poca precisione nella formazione delle stime, s’incorra, per parte dei loro autori, in vizi od inesattezze, che portano a conseguenze gravi ed imbarazzanti per l’Amministrazione. E diffatti si è più volte avverato il caso che essendosi in alcuni progetti presentato un preventivo assolutamente insufficiente, l’Amministrazione, tratta in fallo da erronei calcoli ed erronee previsioni, si trovò, a fronte dei fatti compiuti, nella ineluttabile necessità di promuovere o aprire crediti suppletivi perché le opere non rimanessero imperfette. In altri poi, sia pel difetto suaccennato di savio apprezzamento, sia per soverchia e mal intesa cura della parte estetica, si trasmodava nelle opere per modo che il Ministero dovette introdurvi notevoli riduzioni, le quali furono poi nella pratica applicazione ampiamente giustificate. Ora è indubitato che quelli, cui sono da imputarsi siffatti vizi ed inesattezze, non vi sarebbero incorsi se si fossero quanto era di dovere penetrati della importanza, che hanno in ogni progetto tanto l’esattezza delle previsioni e dei calcoli, quanto l’economia della spesa, e specialmente della influenza principalissima che questa è destinata ad esercitare sulle determinazioni del Ministero, alla di cui approvazione è vincolato l’eseguimento delle opere e sul quale pesa dirimpetto al Paese ed al Parlamento la responsabilità del giusto giudizioso impiego del pubblico danaro. A prevenirne pertanto la rinnovazione deve lo scrivente ricordare ai signori Ingegneri-capi, e per loro mezzo agli Ingegneri tutti del Corpo: 1° che essi sono in obbligo di portare la massima cura ed attenzione nello studio e nello accertamento delle condizioni particolari di cadauna opera, per scegliere ed applicare i migliori ed i più economici sistemi consacrati dalla esperienza, ritenendo che questo Ministero, nel giudicare del pregio di qualsiasi progetto e così pure del merito relativo del suo autore, terrà sempre più gran conto quello, che alle condizioni di una sufficiente stabilità e convenienza dell’opera saprà accoppiare il maggior possibile risparmio nella spesa; 2° che devesi sempre usare di ogni diligenza nello apprezzare le difficoltà del lavoro affinché la valutazione delle opere, la determinazione dei prezzi relativi e le operazioni tutte di calcolo sieno fatte con quella più rigorosa esattezza che l’arte rende possibile; 3° che nell’eseguimento dei lavori non dev’essere permessa variazione alcuna dei limiti stabiliti dal progetto. Qualunque modificazione, che alteri le forme o le dimensioni prescritte, o che porti aumento di opere, quantunque reso necessario da circostanze imprevedute non sarà mai consentita se non sia espressamente approvata da questo Ministero. Quando i signori Ingegneri prendano a cuore le premesse avvertenze le opere potranno essere portate a termine nel rispetto dei tempi e dei costi preventivati. Menabrea
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L’opera pubblica: evoluzione e prospettive Nuovo seminario a Roma su regole, basi e radici delle nostre migliori infrastrutture 1
1. I soci fondatori dell’AGC 2. Ingresso della Facoltà di Ingegneria dell’Università La Sapienza di Roma
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3. Il chiostro dell’università il 16 giugno scorso ha ospitato un nuovo seminario curato dall’Associazione del Genio Civile
Federico Cempella Presidente AGC
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opera pubblica: evoluzione e prospettive. È questo il titolo del nuovo seminario organizzato nel pomeriggio del 16 giugno dall’Associazione del Genio Civile nel chiostro della Facoltà di Ingegneria dell’Università La Sapienza di Roma. Nel quadro delle attività di carattere culturale e formativo previste dal proprio Statuto, avviate con proficuo impegno e accolte con vivo apprezzamento sia da parte di soggetti istituzionali che dagli addetti ai lavori, l’Associazione del Genio Civile, anche in virtù dell’interesse suscitato dal primo Seminario di studi svolto il 12 novembre 2015 presso la sede dell’ACI di Roma, ha inteso proseguire il proprio percorso con l’organizzazione di un ulteriore Seminario presso la Facoltà di ingegneria di Roma sull’importante ruolo che le “Opere pubbliche” hanno avuto per lo sviluppo e l’ammodernamento del nostro Paese e su quello che potranno svolgere negli anni futuri per aiutare a farlo uscire dall’attuale crisi economica. Nel corso degli interventi, cui è seguito un ampio dibattito, è stata fatta anche un’attenta riflessione sul nuovo Codice degli appalti. Il Seminario è stato ideato pensando a tutti gli addetti ai lavori, ma in particolare alle giovani generazione di studenti e di ingegneri neo-laureati che
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proprio in questi giorni hanno sostenuto l’esame di Stato per l’abilitazione alla professione. Tali attività si inseriscono nel contesto dei lavori preparatori alla celebrazione del Bicentenario della istituzione del “Genio Civile” in programma nel prossimo autunno presso il Politecnico di Torino.
Alla luce dei brevi elementi suesposti emerge in modo chiaro la pregnante rilevanza che l’Associazione del Genio Civile attribuisce alla rivitalizzazione della memoria storica dell’omologo “Corpo del Genio Civile”, istituito con Regia Patente del 19 marzo 1816. Tale fondamentale Atto,
emanato da Vittorio Emanuele I, così recita in un passaggio chiave del testo normativo: “La direzione e la sorveglianza dei pubblici lavori viene esercitata, per quanto riguarda le opere di pace, da un Corpo d’Ingegneri civili”. Numerosissimi, da allora, sono stati gli interventi realizzati dal Genio Civile in tutti i settori dell’ingegneria sull’intero territorio nazionale. Avendo a mente tutte le opere eseguite, quello che risalta maggiormente, è la connessione biunivoca tra la funzione di pubblica utilità dell’opera con la qualità progettuale; il tutto inquadrato nell’ambito di normative e regole di esemplare chiarezza, attraverso cui è stato possibile conseguire una puntuale esecuzione a regola d’arte dei lavori e il relativo contenimento dei costi nei limiti della spesa programmata. Il modo migliore per celebrare i Duecento anni del Genio Civile è certamente quello di mantenere viva la memoria e divulgare il patrimonio culturale, scientifico, tecnico e amministrativo, unitamente alle migliori esperienze maturate in due secoli di storia lasciate in eredità da tale fondamentale Istituzione dello Stato. In questa sintesi può riconoscersi il significato fondativo dell’Associazione del Genio Civile. ■■
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Norme e pilastri
Codice alla strada, dalle nuove norme agli “antichi” maestri: il punto in un seminario
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Federico Cempella Presidente AGC
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Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, in collaborazione con l’Associazione Italiana per l’Ingegneria del Traffico e dei Trasporti (AIIT), Sezione Lazio, e l’Associazione del Genio Civile (AGC), il pomeriggio del 14 ottobre 2016 ha proposto ai propri iscritti un Seminario tecnico gratuito sul tema “Il Nuovo Codice della strada: 24 anni di modifiche e proposte. Il contributo dell’ing. Fernando Cecilia nel centenario della nascita”. Il Seminario è stato ospitato dalla Sala Assemblea della sede dell’Automobil Club Italiano (ACI) in
via Marsala 8, a Roma. Dopo oltre 24 anni dalla sua emanazione il Nuovo Codice della Strada, dunque, continua a essere modificato da leggi e decreti legge. Inoltre, all’esame del Parlamento ci sono ancora altre proposte di modifiche. Obiettivo del Seminario, su cui certamente ritorneremo sui prossimi numeri della rivista, è stato quello non solo di esaminare
le principali modifiche intervenute, ma anche di approfondire e dibattere sulle più importanti disposizioni che riguardano più direttamente la “strada”, che è stata definita dalla Commissione UE come il terzo e fondamentale pilastro della politica della sicurezza stradale. Dagli interventi di miglioramento e messa in sicurezza della rete stradale urbana ed
extraurbana ci si attende, infatti, un considerevole contributo all’obiettivo della riduzione degli incidenti stradali. Dalle politiche alla tecnica, alle persone. Il Seminario è stato anche l’occasione per ricordare, nel centenario della nascita, Fernando Cecilia, ingegnere del Genio Civile, già protagonista nel Codice della strada del 1959 e poi della prima stesura del nuovo Codice del 1992. La sua attività principale, cui ha dedicato gran parte della sua vita, è stata l’ammodernamento della segnaletica stradale, settore nel quale era unanimemente considerato come uno dei più illustri esperti mondiali. La partecipazione al seminario ha rilasciato n. 4 CFP, ai fini dell’aggiornamento delle competenze professionali ex DPR 137/2012 e successivo regolamento approvato dal Ministero della Giustizia. ■■
Il programma Saluti iniziali Stefano Giovenali, Consigliere Ordine Ingegneri provincia di Roma Angelo Sticchi Damiani, Presidente dell’Automobile Club d’Italia Federico Cempella, Presidente Associazione Genio Civile Intervento d’apertura Cosimo Ferri, Sottosegretario di Stato alla Giustizia
Enrico Pagliari, Presidente AIIT Lazio e Coordinatore Area Tecnica ACI “Alcune proposte per un Codice della Strada sempre aggiornato” Francesco Mazziotta, Dirigente della Direzione Generale della Sicurezza Stradale del Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti “Il ruolo della segnaletica stradale”
Introduzione e moderazione dei lavori Lucio Quaglia, Presidente nazionale onorario AIIT Il Nuovo Codice della Strada: interventi Potito Iascone, Già Comandante di P.M. e Segretario dell’ANCUMP “Le principali modifiche intervenute nel corso dei primi 24 anni”
1. Fernando Cecilia, ingegnere del Genio Civile
Pasquale Cialdini, Già Capo dell’Ispettorato Circolazione e sicurezza stradale “Il Commento di alcuni articoli del Codice: i più importanti, i meno conosciuti e rispettati”
Il Contributo dell’ing. Fernando Cecilia nel centenario della nascita: interventi Renato Cecilia, Past President IFME e Socio AIIT “Fernando Cecilia: una vita per la sicurezza stradale” Pasquale Cialdini, Segretario AGC, Socio AIIT “Fernando Cecilia da Ingegnere Capo del Genio Civile a Capo dell’Ispettorato Circolazione e Traffico” Il ricordo dei colleghi ingegneri del traffico e del Genio Civile Presentazione da parte degli Autori, Pasquale Cialdini e Potito Iascone, del testo aggiornato del Commentario al Nuovo Codice della Strada - Ed. UTET Giuridica, 2016.
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L’Opinione
14 Il Re di Sardegna Vittorio Emanuele I, subito dopo il Congresso di Vienna del 1815, decise di ristrutturare l’apparato amministrativo del Regno ed emanò numerose Regie Patenti (atti pubblici amministrativi) dove definì le nuove strutture e i compiti dei diversi Ministeri e delle altre Istituzioni piemontesi. Con la Regia Patente del 19 marzo 1816 si dispose che “la direzione e la sorveglianza dei pubblici lavori” (fino allora affidata al genio militare) “venisse esercitata, per quanto riguarda le opere di pace, da un corpo d’ingegneri civili”, che in un primo tempo fu posta all’interno del Ministero della Guerra e della Marina, e poi passò nel 1818 a quella del Ministero degli Affari Interni. Nel 1825 il Re Carlo Felice emanò il Regolamento con il quale furono definiti l’ordinamento e le funzioni del genio civile in particolare per il servizio dei “ponti, strade ed acque”. Con lo stesso Regolamento veniva riformato anche il Consiglio Permanente, rinominato come Consiglio Superiore e composto dagli Ispettori del Genio Civile per esprimere pareri sui progetti e su tutte le questioni tecniche. Veniva inoltre istituita la Scuola d’applicazione per il Corpo reale del Genio Civile “per insegnar l’applicazione delle scienze matematiche ai lavori pratici dell’ingegnere civile”. Vittorio Emanuele II, con decreto 20 novembre 1859, riformò l’ordinamento del servizio delle opere pubbliche, spostandolo dalle dipendenze del Ministero dell’Interno a quelle dei Lavori Pubblici che era stato istituito nel 1848; ci furono poi altre due riforme nel 1882 e nel 1906. In tale contesto fu emanata in data 20 marzo 1865 la “Legge fondamentale dei lavori pubblici”, n. 2248, allegato F), cui hanno fatto seguito i regolamenti attuativi: Regolamento per la Direzione, Contabilità e Collaudazione dei lavori dello Stato (approvato con RD 25 maggio 1895, n. 350) e il Regolamento per la compilazione dei progetti di opere dello Stato (approvato con DM 29 maggio 1895). Numerosissimi sono stati gli interventi realizzati dal Genio Civile in tutti i settori dell’ingegneria: ferrovie e strade (inclusi ponti e gallerie), porti, acquedotti, dighe, opere di difesa fluviale e di bonifica, ospedali, scuole, università e altri edifici pubblici. Furono creati “Uffici speciali del Genio Civile” per realizzare gli interventi conseguenti agli eventi calamitosi quali i terremoti (per esempio Casamicciola 1882, Reggio e Messina 1908, Avezzano 1913, Irpinia e Basilicata 1930 e 1980, Friuli 1976) e quelli di ricostruzione dopo le due guerre mondiali. Tutti i lavori furono progettati e diretti dal Genio Civile, alcuni di essi, quelli maggiormente impegnativi, furono addirittura eseguiti direttamente dalle maestranze dipendenti dal Ministero dei Lavo-
Genio Civile, due secoli di opere al servizio del bene comune ri Pubblici. Basti ricordare in proposito il traforo ferroviario del Frejus che, unitamente al Canale di Suez, è stata considerata la più importante opera d’ingegneria dell’800: un traforo di 15 km (sei volte più lungo degli altri trafori all’epoca esistenti nel mondo). Opera che Cavour in un celebre discorso al Parlamento cisalpino del 1857 dichiarò che “non si poteva appaltare perché solo nel ministero dei lavori pubblici si rinvengono le competenze e le professionalità per eseguire un’opera così imponente e difficile da eseguire”. Ripensando a tutte le opere eseguite, quello che emerge maggiormente, è la qualità progettuale inquadrata nell’ambito di normative e regole di estrema chiarezza attraverso cui è stato possibile una puntuale esecuzione “a regola d’arte”, il contenimento dei costi nei limiti della spesa programmata e la celerità di esecuzione che in alcuni casi ha persino anticipato le scadenze contrattuali. Un esempio per tutti: la rete ferroviaria, dopo il 1860 è passata da 1.800 km a 10.500 km nel 1885: in 25 anni 8.700 km, con una media annua di 350 km/anno. Velocità di esecuzione che è continuata anche nei venti anni successivi con la costruzione di altri 6.000 km di ferrovia. Nello scorso anno ha fatto scalpore e meraviglia il richiamo alla memoria della celere esecuzione dell’”Autostrada del Sole” realizzata in soli otto anni a una media di 100 km/anno. Meraviglia, oltremodo giustificata, in quanto l’opera è stata eseguita con tempi oltre dieci volte inferiori (!!!) a quelli con cui vengono realizzate in questi ultimi anni le infrastrutture, senza considerare quelle rimaste incompiute! Nessun paragone, però, con la rete ferroviaria eseguita dal Genio Civile nella seconda metà dell’Ottocento: dal confronto emerge che l’esecuzione di quest’ultima è risultata oltre tre volte più celere rispetto alla stressa Autostrada del Sole! I nostri antichi maestri erano molto più bravi di noi! Il modo migliore per celebrare i 200 anni del Genio Civile - una delle Istituzioni pubbliche più longeve d’Italia, seconda solo all’Arma dei Carabinieri - è senza dubbio quello di divulgare in modo diffuso e soprattutto tra le giovani generazioni il “patrimonio culturale, scientifico, tecnico e amministrativo e le esperienze maturate in due secoli” da tale fondamentale Istituzione che ha certamente contribuito a far sì che l’Italia, da semplice espressione geografica, come fu definita nel congresso di Vienna, entrasse a far parte del nucleo delle Nazioni più progredite appartenenti al G8 o al G7. In quest’ottica è nata l’Associazione del Genio Civile, istituita a Roma lo scorso 24 giugno sotto la presidenza di Federico Cempella che nel suo Statuto ha espressamente previsto come scopo fondamentale di porsi al servizio del Bene comune, al cui conseguimento intende apportare tutto il contributo di conoscenza e di esperienza maturato dal Genio Civile in così ampio periodo storico nel settore delle opere pubbliche da considerare strategico per lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese. Il discorso è destinato a proseguire sui prossimi numeri di leStrade, in cui l’Associazione sarà presente con uno spazio dedicato nella sezione Pagine Associative.
Pasquale Cialdini
Già Direttore Generale MIT Segretario Associazione Genio Civile
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Un bicentenario che fa riflettere L’iniziativa della celebrazione a Torino, presso la “Scuola di applicazione dell’Esercito” dei duecento anni del Genio Civile, ne evoca la storia come “Viaggio alle radici di una cultura a servizio del bene comune”, sintetizzando in una sola frase il senso, l’eredità e l’attualità di una delle più importanti e prestigiose istituzioni da cui è nata la cultura politecnica italiana. Il numero monografico dedicato all’evento fornisce un quadro delle eccellenze nate da quella fucina tecnico-scientifica che ha il merito di aver accompagnato prima la modernizzazione dello Stato sabaudo e poi l’unificazione nazionale secondo i migliori standard progettuali e realizzativi internazionali del tempo. Il cavouriano traforo ferroviario del Moncenisio, di cui oggi TELT eredita il testimone, fa pienamente parte di questo scenario e ne costituisce una delle pagine più importanti per lungimiranza ideativa quando fu concepito (nella prima metà dell’800), capacità politica quando fu deciso (nel 1857) ed eccellenza tecnico-costruttiva fino all’inaugurazione del 1871, nonostante l’opposizione dei “notav” dell’epoca che, pressoché con gli stessi argomenti di quelli attuali, affidandosi alla capacità oratoria del loro leader parlamentare Cristoforo Moia, avversavano l’opera giudicata inutile, rischiosa, costosa, e priva di motivazioni commerciali. È persino banale osservare che se ieri si fosse dato ragione a quelle tesi, oggi gli eredi di quelle posizioni politiche non potrebbero motivare il loro no al nuovo tunnel di base sostenendo che basta e avanza quello risorgimentale, che i loro antenati (con gli stessi argomenti) non volevano. Ma il senso profondo dell’iniziativa dell’Associazione del Genio Civile non sta solo (e forse neppure principalmente) nella rievocazione storica, ma nell’attualità di una lezione di cui l’Italia di oggi ha drammaticamente bisogno. Le lezioni che possiamo (e dobbiamo) trarre da quella classe politica e da quella tecnostruttura nata dal Genio militare sono molte e fondamentali. La prima è senza dubbio la lungimiranza e la capacità di pensare in grande: si rilegga la dichiarazione di voto di Menabrea in Parlamento per il traforo ferroviario quando dice “Io credo all’avvenire certo dell’apertura dell’istmo di Suez, perché sono convinto che l’Europa finirà per capire che è condizione della sua sopravvivenza aprirsi questa via verso le Indie e il mare della Cina, per controbilanciare la potenza di un popolo rivale che sta crescendo con stupefacente rapidità e sta diventando gigante al di là dell’Atlantico. Io dico che l’avvenire del nostro Paese è assicurato, che esso arriverà ad un grado di prosperità inimmaginabile oggi, perché sarà passaggio obbligato di una gran parte del commercio e del transito fra l’Europa e l’Oriente”. Ma quel Menabrea “visionario” che intravede l’attualità della “nuova via della seta” è lo stesso che richiama con rudezza militare i tecnici ad una maggiore attenzione alla qualità dei progetti e all’importanza delle manutenzioni quotidiane delle infrastrutture. Questa capacità di unire sempre visione e concretezza è la chiave di una concezione della politica che non scambia il realismo con la rinuncia e che si fonda sul riconoscimento delle competenze. Il traforo del Moncenisio non sarebbe stato possibile senza la scelta coraggiosa, al limite dell’azzardo, di dare fiducia ai tecnici (Sommeiller, Grattoni, Grandis) ed alle loro innovative tecnologie di scavo, da parte di una classe dirigente che, su quelle decisioni “ci ha messo la faccia” (per dirla col linguaggio di oggi), senza trincerarsi dietro l’anonimato delle procedure. In quegli atti si percepisce l’esercizio di una “discrezionalità motivata” di grande respiro, fatta a testa alta ed alla luce del sole nella consapevolezza che i soggetti tecnico professionali sono essenziali per poter fare bene le opere che servono al Paese, ma le opere sono l’occasione per far crescere la cultura tecnico-realizzativa e quel “saper fare” che è condizione e strumento per la competitività del Sistema-Paese a livello internazionale. Tutto questo era valido ieri e resta valido oggi: ciò che si è perso è il senso diffuso che la cultura tecnico-scientifica è un valore, che le competenze sono un patrimonio, che la competitività è ineludibile, ma soprattutto che non è vero che “piccolo è bello”, né che costruire significa distruggere, bensì trasformare, ma soprattutto che se la crescita non garantisce la felicità, la decrescita è certamente infelice. Quindi il viaggio per “una cultura a servizio del bene comune” necessariamente continua.
Mario Virano
Direttore Generale di TELT sas (Tunnel Euralpin Lyon Turin) L’arch. funzioni Mario Virano Commissario di eGoverno, Presidente dell’Osservatorio e della Delegazione Italiana nella Commissione Intergovernativa per la ToriIl Dott. Federico Cempella ha rivestito per oltre 20 anni rilevanti apicali già di Direttore Generale di Provveditore OO.PP. nell’ambito del Ministero LL.PP. e di Capo Dipartimento per le Aree Urbane presso la P.C.M., sino no-Lione é dal 23 febbraio 2015 Direttore sas (Tunnel Euralpin Lyon Società binazionale incaricata dal Governo dalComitaGoverad essere inquadrato al 1° posto della graduatoria dirigenziale del Ministero delle Infrastrutture e dei Generale Trasporti. di TraTELT gli incarichi più significativi sonoTurin), da evidenziare quelli afferenti la rappresentanza delfrancese Governoenei nopubblici italiano presso di realizzare Sezione Transfrontaliera della Torino-Lione con il Tunnel di base di 57,5 Km. L’arch. Virano é stato insignito edella Légione d’honneur ti di Sviluppo territoriale, Infrastrutture e Trasporti e Appalti l’U.E., lae negli omologhi Comitati presso l’O.C.S.E. e l’O.N.U. (Habitat). E’ autore di pubblicazioni di carattere istituzionale scientifico di Progetdalla –Repubblica francese pubblicati e nominato Ufficiale al merito dal Presidente italiana. Nel Pubblici, 2012 la Camera di Commercio, Artiti internazionali (OSS.TER – VIA MARIS – TEM e MERCURIO VERSO L’EUROPA) su Grande Riviste specializzate, sul Giornale del Geniodella CivileRepubblica e sulla Rassegna Lavori ecc.. E’ stato Consigliere Industria, di Amministrae Agricoltura di Torino l’ha designato come “Torinese zione dell’A.N.A.S., della Triennale di Milano e Presidentegianato del Comitato di valutazione economica-finanziaria della A.I.P.C.R.dell’anno”. E’ stato insignito dell’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana.
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16 Ricorrenze Storiche
Costruire negli anni della Grande Guerra UN’OPERA IMPEGNATIVA E CRUCIALE, ANCHE NEL DETERMINARE LA STESSA EVOLUZIONE DEL CONFLITTO. STIAMO PARLANDO DELL’IMPEGNO DEL GENIO CIVILE NELL’AMBITO DELLE OPERAZIONI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE CHE HA VISTO L’ITALIA AL FRONTE TRA IL 1915 E IL 1918. IN QUESTO CONTRIBUTO DIAMO CONTO DI ALCUNI LAVORI, PRINCIPALMENTE DI TIPO STRADALE, EFFETTUATI DAL GENIO CIVILE CHE, ALLE DIPENDENZE DELLE INTENDENZE DELL’ESERCITO, SI OCCUPÒ ANCHE DI OSPEDALI, BARACCAMENTI, FERROVIE, ACQUEDOTTI, FOGNATURE E DIFESE IDRICHE. Cento anni dall’ingresso dell’Italia nella 1a Guerra Mondiale, nota come la Grande Guerra (1915-2015). E cento anni dall’inizio delle attività, che nell’ambito del conflitto, ha compiuto il Regio Genio Civile, come si chiamava allora. È passato solo un secolo, viene da riflettere, un viaggio rapido per quella macchina del tempo che è e deve essere la nostra memoria storica. Ma un’eternità se pensiamo alle condizioni classificabili come ben oltre lo straordinario in cui si trovava immerso l’“esercito” delle infrastrutture di allora. Penuria di mezzi, pericoli quotidiani, matasse complicatissime da districare: un “muro” affrontato con l’impegno e l’ingegno, virtù che non sarebbero andate disperse, ma che avrebbero costituito un bagaglio d’esperienza prezioso, un bandolo, a proposito di matasse, a cui appigliarsi e da cui ripartire dopo quegli anni tragici. Il professor Luigi Da Deppo, dell’Università di Padova, ha recentemente ripercorso la storia dell’apporto del Genio Civile negli anni della Grande Guerra nel
corso del seminario organizzato a Roma dall’Associazione del Genio Civile e dall’AIIT lo scorso 12 novembre, nell’ambito della rassegna “1816-2015: Duecento anni di infrastrutture di trasporto”. Il titolo del workshop: “1815-1915/1918: Il contributo delle infrastrutture nell’Unità d’Italia”. L’intervento (il titolo: “L’opera del Genio Civile a supporto delle operazioni militari nella Guerra 1915-1918”) ha messo in luce sia aspetti di manutenzione e gestione di strade, sia di opere di difesa fluiviale e arginature, afferenti cioè alla gestione delle nostre reti idriche. In questo contributo per leStrade, per cui ringraziamo sia l’autore sia i curatori del seminario di Roma, ci concentriamo esclusivamente sulla prima parte, limitandoci a sintetizzare la minuziosa trattazione legata al contesto storico. Con1 fidiamo comunque, nello spirito della nostra rivista (nata nel lontano 1898), di aver fornito un servizio utile al lettore e almeno un po’ di “carburante” a quella macchina della memoria che è fondamentale non trascurare. (FA)
1. La copertina della “Domenica del Corriere” successiva all’armistizio (novembre 2018): l’Italia alza il vessillo sulle macerie belliche, già durante il conflitto, però, alcune cruciali “ricostruzioni” sono state effettuate proprio dagli uomini e mezzi del Genio Civile, della cui memoria oggi si prende cura l’omonima associazione
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17 Professore Emerito Università di Padova Associazione del Genio Civile
2. Rivalutazione monetaria al 2015 di una lira degli anni della Grande Guerra 3a, 3b. Donne che trasportano ghiaia e fieno con gerle
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er raccontare l’opera del Regio Genio Civile a supporto delle operazioni militari nella Guerra 1915-1918 dobbiamo partire dalle disposizioni antecenti le operazioni belliche che ne disciplinarono la mobilitazione al seguito del Regio Esercito. Con il R.D. 1 dicembre 1912 n° 1462, infatti, fu prevista l’utilizzazione dell’opera del Genio Civile a tergo dell’Esercito mobilitato e presso lo Stato maggiore addetto ai servizi d’Intendenza, con la costituzione di un Ispettorato del Genio Civile presso l’Intendenza generale e di una Direzione del Genio Civile presso ciascuna delle Intendenze d’armata. Il Genio Civile, così mobilitato, avrebbe dovuto provvedere a eseguire: • lavori di manutenzione stradale, ordinaria e straordinaria; • allargamenti continui e saltuari di tratti di strade strette, in modo da permettere lo scambio tra i veicoli nei due sensi di marcia; • costruzione di nuovi tronchi stradali; • rinforzo di ponti per dare passaggio al carriaggio ordinario e automobilistico pesante; • riattamento e costruzione di ponti. Le opere eseguite sono sintetizzate in una monografia del 1922 [5], ricca di foto, dalla quale è stata tratta ampia parte del materiale qui presentato. Agli inizi del 1915, nell’eventualità di una prossima mobilitazione generale, l’Ispettore superiore del Genio Civile designato a detto servizio, per incarico dei Ministeri della Guerra e dei Lavori Pubblici, iniziò una serie di ispezioni alle strade nazionali di confine, tra la zona dello Stelvio e il mare, disponendo, in previsione di un più intenso e pesante traffico, un rifornimento straordinario di pietrisco, lavori di rinforzo ai ponti e opere di miglioramento in genere, avvalendosi degli uffici locali del Genio Civile. L’attività iniziò nell’aprile 1915, estesa su un fronte di oltre 400 km, con un primo stanziamento di 450.000 lire. Tuttavia, mentre l’intenso traffico per i preparativi militari che già si verificava mostrava la necessità di aumentare ed intensificare i provvedimenti previsti e di estenderli anche a strade provinciali e consortili, la guerra fu dichiarata e iniziò prima che fossero ultimate le ordinarie provviste e compiuti i lavori previsti. È tuttavia da rimarcare come il traffico verificatosi superò le previsioni per cui non fu in molti casi sufficiente il solo ricarico di pietrisco, ma fu spesso necessario ricostruire le massicciate, eseguire cilindrature ed effettuare nuove opere di consolidamento, il che, in alcuni
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casi, ha comportato per strade provinciali, comunali e consortili, interessate anche queste da intenso traffico, parziali ricostruzioni. Il limitato tempo a disposizione e l’entità dell’usura stradale verificatasi per i preparativi della guerra non hanno consentito la desiderata preparazione prima dell’inizio delle ostilità. Nella fig. 2 è riportato, per meglio intendere l’entità di certe spese, indicate anche in seguito, il valore della rivalutazione ad oggi (in lire e in euro) di una lira, dal 1914 al 1919.
Il servizio: organizzazione, estensione e personale adibito
Iniziata la guerra, le Direzioni del Genio civile (inizialmente quattro, come le Armate) si trovarono a dover provvedere, senza preparazione, al mantenimento delle strade sottoposte a continuo e pesantissimo transito. Il problema era aggravato dal fatto che lo stato maggiore dell’esercito aveva ritenuto che il Genio civile avrebbe avuto a disposizione mezzi propri, mentre il Ministero dei Lavori Pubblici riteneva di dover fornire solo il personale tecnico, essendo le spese per la guerra di competenza dell’omonomo ministero. D’altra parte gli accordi tra Stato maggiore e Ministero dei Lavori Pubblici prevedeva che i mezzi d’esecuzione avrebbero dovuto essere requisiti sul sito, requisizione rivelatasi impossibile dal momento che quanto utile, specialmente i trasporti ferroviari, era già stato requisito dall’Esercito prima e durante la mobilitazione. I problemi maggiori si ebbero per procurare carriaggio, quadrupedi e camion, per il loro mantenimento (foraggio per gli animali) e per la circolazione in zone di guerra. Fu infine indispensabile che quadrupedi e camion fossero forniti dall’autorità militare, cioè dalle Intendenze d’armata. Per il trasporto della ghiaia e del pietrisco fu necessario provvedere, all’inizio, per insufficienza di autocarri, con grande impiego di personale, munito di carriole e carrette a mano. Furono anche organizzate squadre di donne (fig. 3) che effettuavano il trasporto con gerle, per un peso di circa 35 kg, equivalente a 0,02 m3 di ghiaia per viaggio: erano quindi necessari circa 45 viaggi per un m3; le gerle, per evitare perdita di sabbia, erano rivestite internamente con un telo di juta. Dopo continue insistenze dell’Ispettorato e della direzione del Genio civile, le varie Intendenze provvidero il carreggio, tuttavia in numero inadeguato. Infatti oltre ai lavori relativi alla viabilità, varie Intendenze affidarono al Genio anche altri lavori di grande importanza: riattamento di ospedali, costruzione di acquedotti, baraccamenti per malati infettivi, ferrovie a scarta-
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Lavori stradali: dallo sgombero neve ai ripristini dei manti con ghiaia
TAB. 1 MESSI DI LAVORO A DISPOSIZIONE DEL GENIO CIVILE D’ARMATA Carri da trasporto Binari Decauville Carrelli Decauville Botti d’innaffiamento Sfangatrici Spartineve Compressori Frantoi Perforatrici Escavatori Locomotive stradali con rimorchio Attrezzi vari
n. km n. n. n. n. n. n. n. n. n. n.
3.600 87 728 923 4 616 107 70 18 5 3 150.000
mento ridotto, panifici, fognature, cimiteri, piazzuole per postazioni di artiglieria, eccetera. Infine, con organizzazioni speciali, indipendenti dall’Intendenza Generale, dall’Ispettorato e dalle Divisioni predetti, furono assegnati al Genio civile, tra gli altri, notevoli lavori idraulici e l’apertura di importanti linee di navigazione interna fra le lagune di Venezia e Grado, fino all’Isonzo e tra la Laguna di Venezia a la Lombardia, via fiume Po. Le Direzioni del Genio Civile d’armata furono divise in Sezioni con a capo un ingegnere, le Sezioni furono divise in Reparti con a capo un geometra. Presso le Direzioni e le singole Sezioni furono stabiliti magazzini per deposito di materiali e attrezzi e officine per riparazione di carri e mezzi d’opera vari (figg. 4, 5, 6). L’organico delle Direzioni superò significativamente le previsioni del primitivo regolamento. Il numero e la dislocazione delle Direzioni del Genio civile d’armata, ognuna delle quali era aggregata a una Intendenza di armata, sono stati variabili col variare degli eventi. Tutti questi cambiamenti non comportarono solo spostamenti di nomi o di numeri, ma, specialmente di cantieri, personale e mezzi d’opera; spostamenti forse indispensabili per l’esercito operante ma non certo per il Genio civile che operava sulle strade, o in cantieri, che rimanevano inamovibili. Nel periodo di maggiore attività, per sei Direzioni funzionanti contemporaneamente si ebbero 220 funzionari, equiparati a ufficiali, contro i 54 previsti e, di fronte ad una previsione nulla di mezzi di lavoro, i mezzi furono quelli riportati in tab. 1, i principali tra questi adoperati dal Genio Civile d’armata. Buona parte del materiale fu perduto durante la ritirata di Caporetto (24 ottobre 1917); fu poi ripristinato con difficoltà non inferiori a quelle incontrate per procurarlo all’inizio delle attività.
Le strade affidate in manutenzione al Genio Civile d’armata, complessivamente 10.000 km, che non erano state realizzate per il transito che su esse si sarebbe verificato con le operazioni militari, divennero subito in cattive o pessime condizioni; l’opera del Genio Civile in breve tempo le portò allo stato di ottime. Durante l’inverno fu necessario effettuare lo sgombero dalla neve, la rottura dei ghiaccioli, a forma di stalattiti, formati per effetto del gelo in corrispondenza dello stillicidio di acqua dalle pareti a lato delle strade a mezza costa, e la preparazione delle strade per il transito delle slitte. Lo sgombero della neve doveva rapidamente interessare l’intera larghezza della sede stradale per consentire il doppio senso di marcia allo scopo di non ritardare i rifornimenti alle truppe (fig. 7), ad esso doveva seguire lo spargimento di sabbione (sabbia grossa) per evitare che slittassero quadrupedi e automezzi. Nei tratti interessati da valanghe (fig. 8), quando il volume da sgomberare risultava eccessivo, si provvide ad aprire nella neve gallerie sostenute con armatura di legname (fig. 9). La dislocazione degli spartineve, i tratti di strada da sgombrare parzialmente e quelli da preparare e tenere a piano slittabile furono stabiliti dalle varie Direzioni, in accordo con le relative Intendenze. Durante la stagione estiva fu posto molto impegno nell’innaffiamento delle strade per facilitare la compattazione della sovrastruttura e ai ricarichi di ghiaia, ma anche per evitare il sollevamento di polvere, dannoso, oltre che per il transito, perché spia degli spostamenti al nemico. L’acqua era trasportata con carribotte riempiti con acqua prelevata da corsi d’acqua o canali (fig. 10). Dove le strade erano fiancheggiate da fossi, l’innaffiamento avveniva ad opera di don-
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6 4. Magazzino officina rulli compressori per la Direzione del Genio Civile della 2a armata 5. Magazzino per deposito di spartineve 6. Squadra del Genio Civile con perforatrice in azione 7. Fendineve trainato da cavalli 8. Sgombero di una strada dalla neve di una valanga
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9 9. Galleria armata per l’attraversamento di una valanga e apertura al transito di una strada slittabile 10. Riempimento di carri botte con una ruota idraulica a San Pietro in Gù (Padova) 11. Frantoi per ghiaia ottenuta da cave da demolizione 12. Passerella sulla Brenta al servizio della cava di ghiaia dal fiume Brenta a Fontaniva (Padova) 13. Cavatore di ghiaia a vapore alla cava nel greto del fiume Brenta a Fontaniva 14. Carico della ghiaia su carri ferroviari alla cava di Fontaniva sul fiume Brenta
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ne o ragazzi, che spargevano l’acqua sollevata con secchi o cucchiaioni direttamente dai fossi latistanti. Il servizio che richiese l’impegno maggiore fu l’approvvigionamento del pietrisco e della ghiaia. Le strade infatti richiedevano, per un transito normale, da 100 a 200 m3/km,anno di ghiaia, valore che passò a 800 m3/km,anno per effetto del traffico eccezionale. Per le strade più importanti, alla stesa della ghiaia seguiva la cilindratura con rullo compressore per ottenere un transito più agevole e una maggior durata. Prima della rotta di Caporetto l’approvvigionamento di ghiaia fu facile per l’ampia disponibilità di cave (figg. 11, 12, 13, 14), e il trasporto difficile per la scarsità di mezzi; dopo Caporetto i mezzi aumentarono ma le zone di possibile prelievo di buon materiale si fecero scarse e le strade interessate in pessime condizioni. Il 4 febbraio 1918 il Comando supremo impartì disposizioni per il rafforzamento di personale, compreso l’impiego di prigionieri di guerra, e di mezzi d’opera per il potenziamento del servizio e per dotare le strade di rifornimenti eccezionali in vista della auspicata controffensiva. Per dare l’idea dello sforzo fatto si segnala che per le sole strade date in manutenzione alle quattro direzioni del Genio che operavano tra Grappa e foce Piave, con lo sviluppo di 4150 km, si ottennero dalle cave, tutte lontane, 120.000 m3/mese di ghiaia, ossia circa 350 m3/km all’anno). Il trasporto avveniva per via d’acqua, ferrovia o tramvia. Durante il primo periodo della guerra, il consumo di ghiaia per le strade tra Tagliamento ed Isonzo raggiunse il massimo di 2 m3/km,d, contro un consumo medio, in tempo di pace di 0,12 m3/km,d. Nel 1918, nelle strade di pianura in sinistra Po si arrivò al consumo massimo di 2,80 m3/ km,d, mentre il consumo ordinario superò la media di 1 m3/ km,d, essendo il consumo in tempo di pace di 0,27 m3/km,d. Data la scarsità di mano d’opera maschile, per i lavori sulle strade si ricorse sempre più a mano d’opera femminile. Le mercedi giornaliere furono all’inizio da 1,5 a 2 lire per i ragazzi, da 2 a 2,50 lire per le donne e da 3,50 a 4 lire per gli uomini. Col crescere del costo della vita le mercedi aumentarono fino a 4,50 lire per le donne e 6 lire per gli uomini. Il prezzo della ghiaia subì variazioni significative nei vari periodi e in dipendenza dalla provenienza. Nei primi tempi tra Tagliamento e Isonzo il costo in cava, per la ghiaia vagliata, variò da 2,5 a 4 lire/m3; il costo di quella di fiume, vagliata sul greto, costò da 1,6 a 2 lire/m3. In destra Piave, dopo Caporetto, il costo della sabbia, vagliata nelle cave del veronese, costò al metro cubo da 5 a 6 lire (la sabbia in cava aveva dunque un costo circa pari alla mercede giornaliera di un operaio). La spesa di manutenzione complessiva raggiunse il massimo di
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700 lire/km,mese prima del novembre 1918, per salire dopo a 2000 lire/km,mese. In tab. 2 sono riportati gli interventi stradali complessivamente svolti durante la guerra e distintamente, quelli svolti prima e dopo Caporetto, con lunghezza del fronte rispettivamente di 400 e 250 km. Ovviamente è da tener conto che i lavori iniziati nel primo periodo sono continuati anche nel secondo per le zone non passate al nemico e che, dopo Caporetto, a fronte delle strade abbandonate, altre sono state aggiunte.
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20 TAB. 2 INTERVENTI STRADALI COMPLESSIVAMENTE SVOLTI DURANTE LA GUERRA E DISTINTAMENTE SVOLTI PRIMA E DOPO CAPORETTO Nel periodo complessivo della guerra Strade tenute in sola manutenzione
7.200 km
Strade sistemate a guisa di ricostruzione
2.200 km
Apertura di nuove strade
600 km
Totale
10.000 km Nel periodo anteriore a Caporetto
Strade tenute in sola manutenzione
5.000 km
Strade sistemate a guisa di ricostruzione
2.000 km
Apertura di nuove strade
500 km
Totale
7.500 km Nel periodo posteriore a Caporetto
Strade tenute in sola manutenzione
7.000 km
Strade sistemate a guisa di ricostruzione
700 km
Apertura di nuove strade
100 km
Totale
7.800 km
Gli interventi sui ponti
Per quanto riguarda gli interventi sui ponti, furono complessivamente rinnovati o rinforzati 380 ponti per uno sviluppo complessivo di 3800 m, i ponti nuovi furono 130 per uno sviluppo complessivo di 4000 m. La fig. 15a mostra il ponte ad arco, di acciaio, a via di corsa inferiore, sul torrente Cismon (bacino della Brenta) a Transacqua (Fiera di Primiero, Trento) sulla strada che collega Feltre (Belluno) con il Passo Rolle (Trento); in fig. 15b è rappresentato il ponte attualmente esistente nello stesso luogo. La fig. 16a mostra un ponte ad archi ciechi costruito sulla strada che collega, con molti ponti e gallerie, Cima Gogna a Santo Stefano di Cadore (Belluno), in prossimità del confine austriaco; in fig. 16b è mostrata una galleria sulla
stessa strada prima degli interventi del Genio Civile. Il ponte, in realtà, è un viadotto, ubicato su un tratto ove la montagna è molto ripida, che collega due tratti di strada a mezza costa. La fig. 17a mostra l’allargamento del ponte della Molinà (bacino della Piave) per consentire il passaggio, oltre che dei camion e dei carri, anche di una linea decauville che, dalla stazione ferroviaria di Calalzo di Cadore (collegata fin dal 18 maggio 1914 con Belluno e Padova), passando in fregio a Deppo, giungeva ad Auronzo di Cadore al piede delle tre cime di Lavaredo (confine Austriaco). In fig. 17b la situazione attuale. Il paese di Calalzo era strategico per essere il capolinea Nord della ferrovia in Veneto; da lì per differenti strade si poteva andare verso Cortina d’Ampezzo (prima della guerra sotto l’impero Asburgico, occupata dagli Italiani il 28 maggio 1915), verso Auronzo ed il Comelico, separati dal bacino del Danubio dalle Dolomiti di Sesto, e verso la Carnia (Udine), a sua volta confinante con l’Austria. Tra i lavori realizzati dal Genio civile in questo piccolo paese, oltre alla linea decauville, si ricordano l’acquedotto, l’ampliamento del cimitero, una tettoia per il parco delle trattrici e per le colonne di carreggio.
Conclusioni
I servizi espletati dal Genio Civile per la realizzazione di opere a supporto dell’esercito, nel periodo dal 1914 al termine della Grande Guerra, furono notevoli, con significative ricadute sulle operazioni militari. I lavori sulle vie di comunicazione, ma anche la costruzione di acquedotti, fognature, edifici con varia destinazione ecc., furono compiuti dal Genio Civile d’armata, militarizzato per un’organizzazione prevista antecedentemente allo scoppio della guerra. Altri lavori furono invece assegnati direttamente agli Uffici del Magistrato alle Acque di Venezia, che aveva specifica conoscenza dei problemi e dei luoghi. Questi lavori furono principalmente quelli per la navigazione interna, ma anche di difesa fluviale. Questi ultimi riguardarono il ripristino e la sistemazione di arginature danneggiate dalla guerra o sulle quali erano stati realizzati camminamenti, trincee, rifugi, e anche la predisposizione di manufatti sugli argini dei corsi d’acqua per poter allagare vaste aree di pianura al fine di impedire o ritardare gli spostamenti del nemico. ■■
15a
16a
17a
15b
16b
17b
15a. Ponte di acciaio sul torrente Cismon a Transacqua 15b. Il ponte attuale nella stessa località (foto A. De Marco) 16a. Ponte ad archi ciechi costruito sulla strada che collega, con molte opere d’arte, Cima Gogna a San Stefano di Cadore, in prossimità del confine austriaco 16b. La strada prima dell’intervento del Genio Civile (archivio A. Da Rin Perette) 17a. Ponte sulla Molinà e chiesa della Beata Vergine a Vallesella di Cadore, nei pressi della stazione ferroviaria di Calalzo (Belluno); allargamento del ponte durante il conflitto 17b. La situazione attuale (foto R. De Martin)
Riferimenti Bibliografici [1] Cucchini, E. (1924), Cenni sui lavori di completamento della via d’acqua interna tra i fiumi Brenta ed Isonzo eseguiti durante la Guerra (1915-1918). Annali dei LL.PP., Roma. [3] L’opera del Geno Civile nella guerra nazionale 1915-1918 (1922) - Giornale del Genio Civile pp.706-720. Roma. [4] L’opera del Genio Civile nella guerra nazionale (2, vol. 15, 1923, Fascicolo 7. Fa parte di: Il Politecnico - Giornale dell’ingegnere architetto civile ed industriale). [5] Ministero dei Lavori Pubblici (1922), L’opera del Genio Civile nella Guerra Nazionale 1915-1918, Roma.
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21 Dalla dichiarazione di guerra all’Austria all’armistizio di Villa Giusti: i tre anni terribili che costarano al nostro Paese oltre 1 milione di vittime Il 28 giugno 1914, a Sarajevo, capitale bosniaca, durante
1915 tra Italia, Regno Unito, Francia e Russia, fu stipula-
una visita ufficiale, persero la vita, in un attentato di matri-
to, nella capitale britannica, il trattato di Londra. Il tratta-
ce estremistica, il granduca Francesco Ferdinando, ere-
to fu firmato in tutta segretezza per incarico del governo
de al trono d’Austria, e la consorte Sofia. L’Austria deci-
Salandra, senza che il Parlamento, in maggioranza neu-
se unilateralmente di considerare la Serbia responsabile
tralista, ne fosse informato. Il patto prevedeva che l’Ita-
dell’attentato perché essa dava rifugio agli indipendenti-
lia entrasse in guerra entro un mese a fianco dell’Intesa;
sti slavi. Il conflitto che era alle porte sarebbe stato senza
in cambio avrebbe ottenuto, in caso di vittoria, il Trentino,
precedenti nella storia e avrebbe richiesto la mobilitazio-
il Sud Tirolo, la Venezia Giulia, con gli altopiani carsico-
ne di oltre 70 milioni di uomini e comportato la morte di
isontini e la penisola istriana, con l’esclusione di Fiume,
oltre 9 milioni di militari e almeno 5 milioni di civili. Dopo
una parte della Dalmazia, numerose isole dell’Adriatico,
appena un mese dall’eccidio di Sarajevo, il 28 luglio l’Au-
Valona e Sarseno in Albania e il bacino carbonifero di
sul Grappa. La rotta di Caporetto costò nelle file italiane
stria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia. Allo scoppio
Adalia in Turchia, oltre alla conferma della sovranità su
10.000 morti, 30.000 feriti e 265.000 prigionieri, la perdita
del primo conflitto mondiale l’Italia era legata alla Germa-
Libia e Dodecaneso.
di circa 5.000 pezzi d’artiglieria, 300.000 fucili, 3.000 mi-
nia e all’Austria-Ungheria (Imperi centrali) dalla Triplice
19
tragliatrici oltre a enormi quantitativi di materiali abban-
alleanza: un patto militare difensivo stretto nel 1882 e via
Le operazioni di guerra
via rinnovato, che si contrapponeva all’alleanza anglo-
Il 23 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria; il 24
stato maggiore italiano Armando Diaz, che aveva sostitu-
franco-russa della Triplice intesa. Il meccanismo delle
maggio 1915, l’esercito italiano, alla guida del comandan-
ito il generale Luigi Cadorna, riorganizzò l’esercito. Azio-
alleanze fece entrare nel conflitto Gran Bretagna, Fran-
te Luigi Cadorna, prendeva posizione ai confini con l’im-
ni militari minori si svolsero in primavera sull’Adamello,
cia e Russia da un lato, e, dall’altro, Germania e Austria.
pero Austro-Ungarico, su un fronte di 400 km, che andava
sull’altopiano di Asiago e sul basso Piave. Il 15 giugno gli
L’Italia di Giolitti sostenne di non avere alcun obbligo di
dallo Stelvio, al Carso. L’esercito italiano si diresse ver-
Austriaci iniziarono l’offensiva su tutto il fronte, riuscen-
schierarsi a fianco della Triplice alleanza poiché questa
so il Trentino e Gorizia. L’avanzamento del fronte, costò
do, sul Piave, a sfondare in vari punti. La resistenza de-
era un patto difensivo: Austria e Germania infatti non era-
enormi perdite soprattutto nel corso delle quattro batta-
gli Italiani e le difficoltà per gli Austriaci di far affluire i ri-
no state aggredite, ma avevano dichiarato la guerra. Nei
glie dell’Isonzo (giugno-dicembre 1915). Il 15 maggio 1916
fornimenti sulla sponda destra del fiume, misero in gravi
successivi mesi, stante il sostanziale equilibrio delle forze
iniziò la Battaglia degli Altopiani: le forze austroungari-
difficoltà gli Austriaci che, contrattaccati a partire dal 19
schierate in campo, divenne chiaro che l’Italia poteva gio-
che lanciarono una massiccia offensiva (Strafexpedition)
giugno, dopo quattro giorni furono costretti a ritirarsi. In
care un ruolo importante, se non decisivo, sull’esito del
contro le posizioni italiane nella zona dell’ Altopiano dei
luglio le posizioni italiane furono ulteriormente rafforzate
conflitto e perciò il governo Italiano intavolò una serie di
sette comuni (Altopiano di Asiago) conquistando molto
ed il 24 ottobre iniziò l’offensiva finale italiana.
trattative con i paesi della Triplice alleanza, nonché con i
terreno, ma non riuscendo a spezzare il fronte. L’azione
Gli attacchi furono concentrati sul Montello e sul Grap-
membri dell’Intesa, per stabilire gli eventuali vantaggi per
terminò il 27 giugno seguente, dopo che un contrattacco
pa, per dividere le forze austriache posizionate in Tren-
l’intervento in guerra o per il mantenimento del suo sta-
italiano portò alla riconquista di parte del terreno perdu-
tino da quelle schierate sul Piave, dove l’avversario fu
to di non belligeranza. Fu subito chiaro che l’Intesa pote-
to. Nel 1916 vi furono altre 5 battaglie dell’Isonzo, senza
costretto a ritirarsi verso Vittorio Veneto (Treviso) ove vi
va promettere all’Italia ben più di quello che volevano of-
risultati significativi dalle due parti. Tra maggio e agosto
furono gli ultimi scontri tra italiani e austriaci. Le tratta-
frire gli Imperi Centrali, dato che le espansioni territoriali
del 1917 vi furono altre due battaglie dell’Isonzo: le for-
tive per la conclusione di un armistizio fra il Regno d’Ita-
alle quali l’Italia era interessata riguardavano soprattut-
ze italiane si impossessarono di diverse posizioni, senza
lia e l’Impero Austro-Ungarico per porre fine alla guerra
to territori appartenenti all’Austria-Ungheria e che que-
però riuscire a sfondare il fronte austro-ungarico. Il 24 ot-
iniziata il 24 maggio 1915, condotte da due Commissioni
sto impero era restio a fare concessioni a proprie spese.
tobre 1917 iniziò la dodicesima battaglia dell’Isonzo, det-
militari, iniziarono, a Villa Giusti, presso Padova (fig. 21),
Socialisti e cattolici si schierarono decisamente per la
ta battaglia di Caporetto: gli austro-ungarici, affiancati da
il 1° novembre 1918 e si protrassero fino alla tarda sera-
neutralità, ma non furono presi in considerazione, così
alcune divisioni tedesche, sfondarono il fronte italiano
ta del 3 novembre quando fu firmato l’armistizio; il 4 no-
come non fu considerata la durissima condanna pro-
allo sbocco della valle dell’Isonzo, fra Tolmino e Caporet-
vembre 1918. Le ostilità su tutto il fronte italiano ebbero
nunciata dal papa Benedetto XV, che considerò la guer-
to (ora Slovenia). Le linee di difesa italiane furono aggira-
finalmente termine. Il totale delle perdite umane causate
ra come il risultato dell’egoismo, del materialismo e del-
te, le retrovie sconvolte, le linee di comunicazione telefo-
dal conflitto è stimato in più di 37 milioni, contando, oltre
la mancanza di grandi valori morali e spirituali. Il 26 aprile
niche interrotte, facendo venir meno, fra l’altro, il fuoco
i 16 milioni di morti, 20 milioni di feriti e mutilati, sia mi-
d’appoggio delle artiglierie. Il crollo del fronte italiano fu
litari che civili, cifra che fa della Grande Guerra uno dei
generale. Carenze nell’azione di comando e cedimento
più sanguinosi conflitti della storia. L’Italia ebbe 651.000
del morale dei soldati contribuirono allo sfaldamento del
morti tra i militari e 598.00 tra i civili. I danni materiali fu-
fronte. Centinaia di migliaia di uomini, e di civili, iniziaro-
rono incalcolabili. (Luigi Da Deppo)
donati o distrutti. Nei primi mesi del 1918 il nuovo capo di
no a ripiegare in disordine verso Ovest; dopo un primo tentativo di attestarsi sull’argine destro del fiume Tagliamento il Comando decise di ritirarsi fino al Piave, dove nel frattempo era stata allestita una linea di difesa lungo
18. Situazione del fronte italiano prima e dopo Caporetto
l’argine destro, dal massiccio del Grappa fino al mare. Il 9 novembre i reparti di retroguardia passarono sulla riva destra del Piave avendo prima fatto saltare tutti i ponti alle spalle; il giorno 12 il fronte era consolidato anche
19. Villa Giusti, nei pressi di Padova, dove, il 3 novembre 1918 fu firmato l’armistizio con l’impero Austriaco
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Genesi, nascita e crescita della rete ferroviaria e stradale Le infrastrutture di trasporto nel primo secolo del Genio Civile (1815-1915/18) Prima Parte - Ferrovie Dalle origini al 1860
Pasquale Cialdini
Già Direttore Generale del MIT Segretario Associazione del Genio Civile Il “Regio Genio Civile”, come si diceva allora, compie quest’anno ben due secoli di Storia. Doverosamente con la maiuscola, visti i suoi contenuti che sono essenzialmente opere infrastrutturali di assoluto valore progettuale e costruttivo, su tutti, guardando soltanto al passato remoto, quel Traforo ferroviario del Frejus di cui più volte ci siamo occupati proprio su queste pagine. Per raccontare, per tempo, i primi cento anni del Genio Civile, l’Associazione sorta per rinverdirne il nome e la nomea di eccellenza, lo scorso 12 novembre, a Roma, in collaborazione con l’AIIT ha organizzato un seminario per la rassegna “1815-2015. Duecento anni di infrastrutture di trasporto” dal titolo “1815-1915/18. Il contributo delle infrastrutture nell’Unità d’Italia”. Chi vi scrive, in particolare, ha partecipato direttamente a quell’evento proponendo un intervento dal titolo “Lo sviluppo della rete ferroviaria e stradale”, finalizzato a delinare e raccontare le due “genesi” storiche dei nostri network, ferroviario prima e stradale poi. Questo contributo editoriale realizzato in collaborazione con la redazione di leStrade e diviso in tre parti, rappresenta un’evoluzione discorsiva e approfondita di quel momento di incontro. In questa prima parte ci concentreremo sulle origini dell’infra-
strutturazione ferroviaria, nel mondo e in Italia in particolare. In un prossimo intervento completeremo il quadro sulle strade ferrate e, nel terzo, ci soffermeremo sulla nascita e sul primo sviluppo della rete stradale.
La situazione italiana dopo il Congresso di Vienna
L’Italia uscita dal Congresso di Vienna non poteva certamente definirsi una “nazione”. Il Regno d’Italia, creato da Napoleone nel 1805 e da lui stesso governato con il titolo di re fino al 1814, che comprendeva oltre ai territori dal Sesia all’Isonzo e dal Brennero agli Abruzzi anche l’Istria e la Dalmazia, fu suddiviso in più parti e gli antichi sovrani tornarono nei loro regni e ducati. In quegli anni, il conte Klemens von Metternich, ministro del grande Impero austriaco e fondatore della Realpolitik, dopo aver svolto un ruolo determinante nella spartizione dei territori che avevano costituito il Regno d’Italia, riferendosi in modo estremamente realistico alla nostra penisola suddivisa in tanti stati e staterelli, pronunciò la famosa frase: “L’Italia è un’espressione geografica”1. Le decisioni prese nel Congresso di Vienna non solo furono gravi per l’Italia dal punto di vista politico, ma anche da quello economico tanto che Giorgio Spini nel suo celebre trattato di storia2 così definì gli effetti della restaurazione per il nostro Paese: “Il Congresso di Vienna ha condannato l’Italia non solo alla paralisi politica, ma anche alla miseria economica”. L’assurdo frazionamento politico della penisola produsse, infatti, ingenti danni economici in quanto impedì qualsiasi forma di sviluppo economico che fu fortemente penalizzato dalla moltiplicazione delle barriere doganali che paralizzava ogni traffico. Soltanto per andare da Milano a Bologna si dovevano attraversare quattro diversi stati, ognuno con un proprio sistema di dogane, di monete, di pesi e misure e di leggi.
Come era difficile viaggiare all’inizio del XIX Secolo
L’ing. Pasquale Cialdini è stato a capo dell’Ispettorato Generale per la Circolazione e la Sicurezza Stradale e Direttore Generale della Direzione per la Vigilanza e la Sicurezza nelle Infrastrutture presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. È socio ordinario AIIT e Segretario dell’Associazione del Genio Civile.
Le strade all’inizio dell’800 non erano molto diverse da quelle costruite dagli antichi Romani, anche se Napoleone aveva dato un grosso impulso al miglioramento delle vie di comunicazione soprattutto per motivi bellici, perché aveva bisogno di spostare rapidamente il suo esercito da una parte all’altra dell’Europa. È difficile oggi immaginare i tempi e le condizioni dei viaggi. La velocità media delle diligenze in pianura era di 8 km/h e in salita si dimezzava. Ancor più difficile era l’attraversamento delle Alpi. Le carrozze per il valico del Moncenisio (2.000 m slm), no-
1. La mappa d’Italia dopo il Congresso di Vienna del 1815
nostante l’ammodernamento apportato da Napoleone, dovevano percorre 100 tornanti (30 sul versante savoiardo e 70 in quello piemontese). I tempi di percorrenza del valico nei tre mesi estivi era di 6 ore, mentre nel resto dell’anno era un’incognita. Con la neve (presente 7-8 mesi) si utilizzavano carrozze più piccole con slitte al posto delle ruote. Spesso si era costretti a fermarsi e lungo il percorso vi erano 24 case/rifugio. L’intera tratta da Parigi a Torino richiedeva nella bella stagione 35 ore (l’itinerario prevedeva anche il trasbordo su battelli a Aix-les-Bains). 1. La frase poi fu pubblicata dal quotidiano napoletano Il Nazionale che la tradusse in modo ancor più dispregiativo: “L’Italia non è che un’espressione geografica”. 2. Giorgio Spini, Disegno storico della civiltà, Cremonese (Roma), Volume III, pagg. 8 e ss..
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2. La strada napoleonica del Moncenisio in un’incisione di anonimo del 1840
Un altro valico molto frequentato non solo da commercianti, ma anche da pellegrini era quello del Gran San Bernardo (2.400 m slm) posto su una strada costruita dai Romani che nel medioevo prese il nome di via francigena3. Nel mesi freddi (da ottobre ad aprile) poteva essere percorso solo a piedi; anche nel periodo estivo erano frequenti copiose nevicate che costringevano a soste prolungate. Il valico era ancora più pericoloso di quello del Moncenisio, non solo per le asperità del tracciato, ma anche per la presenza di molti briganti. Sul Valico nel 1035 San Bernardo di Mentone, utilizzando anche le pietre sparse intorno alle rovine del vecchio tempio romano, costruì un Ospizio e lasciò una comunità di frati per soccorrere i viandanti e offrire loro, senza nulla chiedere in cambio, un alloggio sicuro fino a che non fossero stati in grado di rimettersi in viaggio. L’Ospizio è stato definito come il “cuore tra le pietre”. Ancora oggi, nonostante da cinquant’anni il traffico si sia spostato sul più comodo e più sicuro traforo, l’Ospizio è ancora aperto, ora la sua vocazione non è più rivolta alla gente “di passaggio”, ma a coloro che l’hanno scelto come “meta”. E la piccola comunità religiosa continua a costituire un “rifugio” o meglio un “cartello indicatore” non per il viaggio verso Roma o verso Canterbury, ma per un viaggio più lungo e anche più difficile: la traversata della vita.
3. La Francigena non era propriamente una via ma piuttosto un fascio di vie, un sistema viario con molte alternative. La più antica relazione di viaggio risale al 990 è fu scritta su un diario da Sigerico, arcivescovo di Canterbury nel viaggio di ritorno da Roma dove il Papa gli aveva consegnato il pallio. L’arcivescovo Sigerico descrisse tutte le 79 tappe cha aveva effettuato per compiere, prevalentemente a piedi, l’intero itinerario di 1.600 km (circa 20 km/giorno) da Roma a Canterbury, passando per Viterbo, Siena, Lucca, Pontremoli, Fidenza, Pavia, Vercelli, Ivrea, Aosta e, dopo aver attraversato le Alpi, Losanna, Besancon, Reims, Arras, Calais, dove ha attraversato la Manica diretto a Dover, per poi giungere a Canterbury. L’itinerario fu poi seguito nel medioevo da moltissimi pellegrini diretti a Roma o a Brindisi per poi imbarcarsi per la Terra Santa. 4. Per carreggiata di un veicolo (da non confondere con carreggiata stradale), s’intende la distanza tra i rispettivi centri delle due ruote dello stesso asse. La carreggiata quindi non coincide con la larghezza totale del veicolo, anzi è sempre minore, poiché la misura si rileva al centro dell’impronta della ruota. 5. Fanno eccezione, in Europa, solo la Spagna e il Portogallo che utilizzano lo scartamento di 1.668 mm, gli Stati ex URSS con 1.520 mm e la Finlandia con 1.524.
Il debutto di strade ferrate e locomotive a vapore
Fin dal XVII Secolo nelle miniere inglesi e in quelle alsaziane, per trasportare il carbone appena estratto, venivano utilizzati carri che correvano sopra due guide parallele (binario) che all’inizio erano di legno e poi, man mano che l’industria siderurgica cominciò a svilupparsi, furono utilizzate rotaie metalliche; dalle prime rotaie di ghisa, lunghe qualche metro e poggiate su blocchi di pietra, si giunse a quelle di ferro e poi di acciaio poggianti su traversine di legno. All’inizio per le rotaie si preferì il profilo a “L”. Le ruote dei carri scorrevano sulla parte orizzontale ed erano mantenute sul binario dalla parte verticale della “L”. Il profilo a forma di fungo, ancora oggi in uso, è stato utilizzato la prima volta nel 1789 da William Jessop nella miniera di Loughborough. I carri utilizzati nelle miniere erano quelli di uso corrente, pertanto come distanza fra le rotaie (scartamento), si prese la carreggiata dei carri che era pari a 4 piedi e 8,5 pollici, ovvero 1.435 mm; questo è ancor oggi lo scartamento utilizzato nelle ferrovie della maggior parte dei Paesi del mondo5. I carri o vagoncini erano spinti dalle braccia dei minatori o anche erano trainati da cavalli; un solo cavallo da tiro era in grado di trasportare 4 vagoni del peso di una tonnellata ciascuno6. Per circa un secolo questo tipo di trasporto fu utilizzato esclusivamente nelle miniere; il primo uso all’esterno delle miniere si
6. Già i Romani avevano scoperto che la forza necessaria a trainare un veicolo, diminuisce se le due superfici (ruote e strada) sono ben levigate ed è per questo che utilizzavano pietre levigate nella costruzione delle loro strade. I binari con il loro piano di rotolamento perfettamente liscio ed uniforme assolvono ancor meglio allo scopo; di conseguenza anche con una forza motrice modesta come quella di un cavallo si possono trainare carri con carichi molto elevati. 7. L’idea fu emulata in tutta Europa e già l’anno successivo, prima a Napoli e poi anche a Milano furono inaugurate le prime linee di trasporto pubblico su rotaia. Il sistema di trasporto, dal nome dell’inventore Outram, storpiato in napoletano “U’Tram” fu poi definito semplicemente tram o tramvai. 8. Due anni prima, il 1° maggio 1801, il Parlamento inglese aveva firmato a favore della Croydon, Merstham and Godston Railway l’atto che concedeva la costruzione della strada ferrata a trazione animale. 9. Si racconta che nel test di esercizio un solo cavallo fu in grado di trainare un convoglio di 55 ton.
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3. L’Ospizio sul valico del San Bernardo denominato il “cuore tra le pietre”
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ebbe solo nel 1738 nella cittadina inglese di Whitehaven dove si costruì un binario con rotaie in ferro su cui scorreva una carrozza trainata da cavalli atta al trasporto di persone. Dopo oltre trent’anni l’idea fu perfezionata da un impresario londinese, Outram, che nel 1775 realizzò il primo trasporto di persone su carrozza che correva su un binario in ferro trainata da cavalli (tramways)7. Il 24 luglio 1803 venne inaugurata la prima ferrovia pubblica del mondo ad aver ottenuto dal governo una concessione per la costruzione ed esercizio8 di una strada ferrata a trazione animale da Wandsworth Wharf sul Tamigi a Croydon, il cui servizio era destinato esclusivamente alle merci9. Lo sviluppo delle ferrovie, che avrebbe rivoluzionato l’intero sistema dei trasporti terrestri, è dovuto principalmente all’utilizzazione, della macchina a vapore che nel frattempo era stata messa a punto da James Watt10, al posto della trazione animale. I primi tentativi di trazione con macchina a vapore risalgono agli albori del 19° secolo. Nel 1802 Richard Trevithick per primo impiegò la locomotiva per far correre a Tydfil, in Inghilterra, un treno su strada ferrata applicandovi quale forza motrice la caldaia a vapore di Watt, aggiungendovi una caldaia d’acqua e riutilizzando il vapore che nella caldaia di Watt andava perduto. Trevithick il 24 febbraio 1804 fa compiere il primo viaggio di 15 km tra Penydarren e Abercynon nel Galles alla sua locomotiva impiegandovi poco meno di due ore (8 km/h) per trasporta-
10. La nascita della macchina a vapore si fa risalire a James Watt che nel 1765 ricevette l’incarico di restaurare l’esemplare, custodito nel Museo di Glasgow, della macchina che Thomas Newcomen aveva fabbricato all’inizio del 1.700 sfruttando gli studi del francese Papin sulla trasformazione dell’energia contenuta nel vapore in lavoro meccanico. La macchina di Newcomen era costituita da una caldaia, un cilindro, uno stantuffo e un bilanciere. Il vapore prodotto dalla caldaia sollevava lo stantuffo contenuto nel cilindro che, colpito da un getto di acqua fredda, ridiscendeva nella posizione originaria, provocando l’oscillazione del bilanciere. Questa macchina rudimentale trovò applicazione pratica nelle miniere dove venne adibita al pompaggio dell’acqua stagnante nelle gallerie. Dopo oltre 50 anni, si capì che poteva essere utilizzata anche per altri scopi, da qui l’incarico a James Watt che non si limitò a restaurare il prototipo di Newcomen, ma dopo quattro anni di lavoro ne sviluppò un nuovo esemplare più efficiente e meno costoso in grado di ottenere un lavoro quattro volte superiore a parità di combustibile consumato. Ben presto la macchina a vapore fu utilizzata in moltissime manifatture in Inghilterra contribuendo in modo determinante al decollo di quella che sarebbe stata chiamata, alcuni decenni dopo, la “rivoluzione industriale”. La prima utilizzazione nei trasporti, si deve al francese Nicolas Cugnot che nel 1769 costruì un “trabiccolo”, costituito da una caldaia a vapore posta sopra un triciclo. Il mezzo si muoveva a 3 km/h ma era ingovernabile e si schiantò contro un muro.
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4. La locomotiva “Blucher” (1814) 5. La locomotiva Rocket (“razzo”) di George Stephenson (1829): è il vero capostipite di tutte le locomotive a vapore
5
TAB. 1 LE PRIME LINEE FERROVIARIE DEL MONDO ANNO
LINEA FERROVIARIA
KM
STATO
1825
Stockton-Darlington
17
Gran Bretagna (Scozia)
1830
Liverpool-Manchester
56
Gran Bretagna (Inghilterra)
1830
Saint Etienne-Lione
38
Francia
1831
Charleston-Hamburg
Stati Uniti (South Carolina)
1834
Dublino-Kingstown
Irlanda
1835
Bruxelles-Malines
Belgio
1835
Norimberga-Furth
Baviera
1836
La Prairie-Saint John
Canada
1837
Pietroburgo-Carskoe Selo
Russia
1838
Vienna-Floridsdorf
Austria
1838
Berlino-Potsdam
Prussia
1839
Amsterdam-Haarlem
Olanda
1839
Napoli-Portici
7,640
Regno delle due Sicilie
in meno di 11 mesi e la ferrovia venne inaugurata il 15 settembre 183017. In un solo anno di esercizio, il traffico passeggeri crebbe di oltre 10 volte rispetto alle previsioni con un utile lordo di 14.000 sterline.
re 10 ton su 5 carrozze e 70 persone. Non fu un grosso successo commerciale, come si sperava, perché la ruota motrice spesso slittava sul binario11. Nonostante questi primi esperimenti, l’inventore della locomotiva a vapore è unanimemente considerato George Stephenson che, sulla base delle esperienze maturate come fabbroriparatore di motori nella miniera dove aveva lavorato per dieci anni12, costruì già nel 1814 una prima locomotiva, battezzata “Blucher”13. Negli anni seguenti, Stephenson costruì altre locomotive più perfezionate della prima sempre a due assi, utilizzando ruote motrici più pesanti e azionate contemporaneamente da due bracci in modo da risolvere il problema dello slittamento delle ruote sui binari, incontrato una decina di anni prima da Richard Trevithick. Nel 1825 l’industriale Edward Pease, dopo aver ottenuto l’autorizzazione governativa, gli commissionò l’adattamento alla trazione con locomotive a vapore della ferrovia ippotrainata che collega-
va le miniere di Darlington con il porto di Stockton distante 17 km. Il primo viaggio fu realizzato il 27 settembre 1825 ed è considerato il primo viaggio del servizio ferroviario nel mondo. Furono trainati 34 carri carichi di carbone e con alcune decine di persone a bordo, alla velocità media di 10 km/h con una punta massima di 24 km/h e viene battezzata “Locomotion”14 dallo stesso Stephenson che la guidava personalmente. Le cronache del tempo riportarono l’avvenimento specificando che il carico complessivo era di 90 tonnellate. Nel 1829 fu bandito un concorso per la scelta della locomotiva da utilizzare sul percorso da Liverpool a Manchester, nel bando si ponevano come requisiti minimi: la velocità di almeno 10 miglia orarie (16 km/h) da raggiungere trainando un carico di 20 ton. Il bando può essere considerato la prima gara pubblica per la fornitura di materiale rotabile15. In palio per la macchina vincitrice erano poste 500 sterline dell’epoca. La gara si tenne il 6 ottobre 1829 e vi parteciparono quattro locomotive a vapore e una a cavalli. George Stephenson partecipò con una nuova locomotiva che aveva costruito con l’aiuto del figlio Robert e aveva battezzata “Rocket”, che significa “razzo”, e risultò vincitore, riuscendo a rispettare tutte le prescrizioni fissate dal bando. La Rocket può essere considerato il vero capostipite di tutte le locomotive a vapore in quanto era dotata fin d’allora di tutti i fondamentali meccanismi di funzionamento16. Agli Stephenson fu affidata anche la progettazione del tracciato: 56 km con pendenza inferiore al 3‰ e con soluzioni per allora modernissime: due grandi stazioni, 63 ponti e anche una galleria. I lavori furono realizzati
11. Per ovviare a questo inconveniente nel 1811 John Blenkinsop mise nella locomotiva una ruota centrale dentata che avanzava su una rotaia a grimagliera e la utilizzò nelle miniere di Middleton, vicino a Leeds dove lavorava.
ra e incominciò a costruire mettendo a frutto quanto aveva imparato nel riparare i motori e i macchinari utilizzati nella miniera, la maggior parte dei quali erano stati costruiti da Newcomen e Watt che così diventarono, indirettamente, i suoi maestri.
assi motori (2), ovvero mossi dal motore attraverso le bielle.
12. George Stephenson di umili origini imparò a scrivere frequentando le scuole serali, dimostrando una forte passione per la meccanica e nel 1802 a ventuno anni fu assunto nel come fabbro, addetto alla manutenzione dei macchinari, in una miniera di Newcastle, dove trovò una vecchia macchina a vapore di Newcomen che era inutilizzata da diversi anni perché guasta; lui provò a ripararla e ne scoprì il funzionamento e la sua possibile applicazione per la trazione dei carri usati nelle miniere. Nel 1812 smise di lavorare come fabbro nella minie-
13. La locomotiva Blucher, dal nome di un generale prussiano molto famoso anche in Inghilterra, riuscì a muoversi su un binario in salita lungo 4 miglia, all’interno della miniera di Killingworth trainando un treno di otto carri con un carico complessivo di 30 tonnellate di carbone.
16. Tra i meccanismi innovativi: la caldaia tubolare, il tiraggio forzato attivato dallo scappamento del vapore e la distribuzione del vapore ai cilindri realizzata con un sistema a eccentrici.
14. La “Locomotion” aveva un rodiggio (ovvero disposizione di assi portanti e assi motori) di 0-2-0. Con questa successione si indicava l’assenza di assi portanti anteriori e posteriori (0) e la presenza di due
Dall’Europa agli USA: ecco le prime linee ferroviarie
In Gran Bretagna lo sviluppo delle ferrovie fu velocissimo: in quattro anni furono fondate ben 33 società ferroviarie e nel 1844 le linee raggiunsero già i 4.000 km e nel 1880 superarono i 30.000 km. Nel 1830 fu inaugurata in Francia la Saint Etienne-Lione e il 15 gennaio 1831 la prima ferrovia in America, la “rail-road” nella South Carolina. Ben presto il progresso della ferrovia, offrendo tariffe più vantaggiose delle diligenze, aprì anche alle classi meno agiate la possibilità di viaggiare. Le piccole locomotive trainanti carri scoperti, usati sia per i viaggiatori sia per le merci, lasciarono presto il posto a macchine più razionali e più potenti che rimorchiavano carrozze viaggiatori analoghe a quelle a cavalli. In seguito si giunse all’accoppiamento degli assi della locomotiva, per ottenere la massima aderenza alle rotaie e rendere così possibile il rimorchio di treni più pesanti. Lo sviluppo delle ferrovie fu talmente intenso da divenire il simbolo di una nuova e impetuosa fase della rivoluzione industriale. Il maggiore incremento si ebbe in Inghilterra e negli Stati Uniti. Nel 1850 la rete mondiale era di 38.600 km, ma nel 1900 salì a oltre 790.000 km, grazie soprattutto all’impiego di grandi capitali e al perfezionarsi della tecniche di costruzione e al fondersi del-
15. Il Bando è conosciuto come il “bando di Rainhill”, dal nome della località dove si svolse, posta a 6 km da Manchester.
17. Il giorno dell’inaugurazione fu funestato dal primo incidente ferroviario della storia delle ferrovie in quanto uno degli invitati, un onorevole del Parlamento inglese, per l’entusiasmo attraversò il binario senza accorgersi che stava passando il treno e fu travolto e ucciso dalla Rochet.
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le molte piccole imprese in poderosi organismi destinati a gestire reti di migliaia di km. Nei primi anni del Novecento iniziò a diminuire l’interesse dei privati per la costruzione e l’esercizio delle ferrovie, dato che problemi finanziari, quelli della concorrenza e delle tariffe e il sorgere di esigenze di carattere militare, per la possibilità di trasportare al fronte di guerra un’ingente quantità di uomini e di mezzi in tempi celeri, determinarono un po’ dappertutto un più deciso intervento statale. Solo in Inghilterra e negli USA la rete rimase di proprietà di privati, ma con più attivi controlli finanziari da parte dello Stato18. Dopo la prima guerra mondiale, gli incrementi maggiori sono avvenuti in Asia, Africa e Australia, mentre in Europa, dopo le ricostruzioni post-belliche, cominciò a diffondersi la trazione elettrica.
vi presentò a Carlo Alberto altre due relazioni corredate anche da studi geologici e tracciati eseguiti con precise e difficili triangolazioni; ma anche per queste due relazioni non ricevettero alcuna risposta dal Re Carlo Alberto. Morì a Susa nel 1844 mentre era in viaggio per presentare al Re la quarta relazione. Nel seguito si vedrà che alcuni anni dopo anche il suo “sogno” diventerà realtà e il tracciato che lui aveva indicato fu praticamente seguito integralmente proprio come lui l’aveva ideato e sarà unanimemente riconosciuta come la più grande opera d’ingegneria civile dell’ottocento, seconda solo al canale di Suez.
Ferrovie negli Stati pre-unitari
Anche in Italia il sogno diventa presto realtà
In Italia la ferrovia apparve relativamente tardi: il primo tronco di 8 km, da Napoli a Portici, fu inaugurato nel 1839, sotto il regno di Ferdinando II di Borbone. Negli stessi anni in cui in Europa e in America si compivano i viaggi inaugurali dei primi servizi ferroviari, in Italia ci furono degli uomini illuminati che fecero delle proposte concrete che all’inizio furono considerati come “sogni” e solo dopo alcuni anni furono trasformati in realtà. Si riportano i due “sogni” più significativi: uno a Napoli, nel Regno delle due Sicilie, e l’altro a Bardonecchia, piccolo paese dell’Alta valle di Susa nel Regno di Sardegna. Il primo “sogno” è napoletano ed è apparso sulla Rivista letteraria napoletana Omnibus nel 1836. L’autore dell’articolo è ignoto, ma potrebbe anche essere lo stesso direttore della rivista Vincenzo Torelli. Nell’articolo, dal titolo “Di una grande strada a rotaie di ferro nel Regno di Napoli”, l’autore commenta la proposta del Sig. Ducoté di costruire una ferrovia tra Napoli e Bari. Dopo una breve descrizione delle prime ferrovie già realizzate in altri Paesi, prosegue: “Le Grandi strade di ferro, sono fatte per mutare i destini di tutta una nazione: per crearle un’era novella di prosperità, di civiltà e di potenza. Non è d’uopo né di economisti, né di scienziati, né di pubblicisti per intendere che di grandissimo utile debba essere ad un paese un mezzo di comunicazioni e di trasporti così celere, che le distanze terrestri per le mercanzie sono ridotte al dodicesimo delle vere e sono eliminati i rischi e le avarie degli attuali trasporti per terra e per mare, e pel quale infine la spesa di questi, se si paragona a quella de’ trasporti sulle strade comuni eseguiti con carri, è ridotta quasi alla metà, e se a quella dei trasporti esercitati a schiena di animali, a circa il quindicesimo. Ma fin dove possano estendersi le conseguenze benefiche di tali vantaggi nel rispetto della civiltà e della ricchezza di un paese, è ciò che niuna mente umana, per vasta e profonda che sia, saprebbe assegnare. Certo è bene, che questo trovato semplice ma portentoso de’ tempi nostri, è una conquista fatta su molti secoli avvenire. Qual sarà quell’uomo sì poco amante del suo paese, che non gli desideri il possedimento di un tanto bene? Però ci gode l’animo che la bella Italia nostra, già esempio e maestra altrui in tante cose, non sarà ultima in adottare il novello 18. Cfr. Arturo Labriola, Storia del Capitalismo e E. Cauderlier, Evolution économique au XIX siècle, 1903, pag 32 e 156. 19. Annali universali di statistica, economia pubblica, geografia, storia, viaggi e commercio, vol. 17, Serie II, 1848, Milano, pag. 95
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6 6. Monumento a Giuseppe Medail a Bardonecchia modo di comunicazione”. Dopo questa premessa, l’autore dell’articolo descrive i benefici della nuova linea ferroviaria che propone, quasi sognando, ma con molta lungimiranza che venga realizzata per prima: “la strada di ferro che al Regno di Napoli sarebbe di maggiore utilità è quella evidentemente che da Napoli, attraverso degli Appennini, si stendesse in Puglia”. Solo tre anni dopo, il sogno incomincia diventare realtà: il 3 ottobre 1839 viene inaugurata, proprio a Napoli, il primo tratto di ferrovia in Italia: la Napoli-Portici di 7,640 km. Qualche mese prima, a quasi 1.000 km da Napoli, è da registrare il “sogno” del valsusino Giuseppe Francesco Medail, commissario di dogana di Bardonecchia. Lui il suo sogno lo mette per iscritto e lo presenta nel marzo del 1839 al Re Carlo Alberto in una dettagliata Relazione che esordisce così: “Tutti gli spiriti illuminati sanno che facili e pronte vie di comunicazione sono la base essenziale della prosperità delle nazioni e sono anche utili per la difesa […]”. Poi illustra il progetto di una galleria ferroviaria tra Bardonecchia e Modane lunga circa 13 km. Infine, conclude: “Il traforo delle Alpi renderà in termini di vitalità ed attività, e farà del porto di Genova il primo dell’Europa meridionale: mai sovrano avrà dotato il suo regno di un monumento così grande e così utile”. Medail era talmente convito della realizzabilità del suo sogno che, malgrado non avesse ricevuto alcuna risposta o alcun commento sulla sua prima relazione, non demorde e negli anni successi-
Il sogno dell’autore ignoto della rivista napoletana Omnibus iniziò a realizzarsi presto, anche se con una direzione diversa da quella che lui aveva immaginato. Il Re Ferdinando pensò bene che il primo collegamento dovesse essere diretto da Napoli verso Castellamare di Stabia che all’epoca costituiva con i suoi cantieri navali il centro industriale più importante del Regno. Pertanto, il primo tratto, che fu inaugurato il 3 ottobre 1839, fu la NapoliPortici di 7,640 km. L’anno successivo, mentre proseguiva la realizzazione della altre tratte in direzione di Nocera e Caserta, il governo borbonico decise, con notevole lungimiranza, di dotarsi anche delle Officine ferroviarie che furono insediate a Pietrarsa (lungo il percorso ferroviario in costruzione verso Castellammare). Le officine erano dedicate, dapprima alla manutenzione delle locomotive di produzione straniera utilizzate nella linea, poi si cimentarono anche nella costruzione di locomotive e altri mezzi ferroviari. A poco meno di un anno dalla Napoli-Portici, fu inaugurata nel Regno Lombardo-Veneto la Milano-Monza di 12,8 km che fu così la seconda tratta italiana. Nel Gran Ducato di Toscana la prima tratta da Livorno a Pisa fu inaugurata nel 1844, mentre il Regno di Sardegna iniziò la costruzione di linee ferroviarie diversi anni più tardi. Il governo piemontese non capì subito l’importanza delle reti ferroviarie. Come ci segnalano gli Annali universali di statistica “al principio del 1848 non eravi colà in esercizio un solo chilometro di strada”. Però non tutto era rimasto fermo e le cose, una volta iniziate, procedettero velocemente. Tanto è vero che gli stessi Annali ammettevano che già nel 1860, “il paese in cui più fiorente è l’industria delle strade ferrate, e che si è lasciato indietro finora tutti gli altri Stati d’Italia, è il Piemonte”19. Un convito sostenitore delle ferrovie fu l’ing. Camillo Cavour che, ancor prima di ricoprire incarichi politici, ne capì il ruolo fondamentale per lo sviluppo di una nazione, non solo dal punto di vista economico e industriale, ma anche da quello sociale e politico, specie se questa nazione bisognava ancora formarla assemblando stati e staterelli diversi. Nel 1846, quando ancora non c’era un chilometro di ferrovia in Piemonte, Cavour pubblicò un articolo su Revue Novelle di Parigi: “Le strade ferrate saranno un’arma potente grazie alle quali le nazioni arriveranno a trionfare sulle forze retrograde che le trattengono in un funesto stato di infanzia industriale e politica. […] Esse contribuiranno ad abbattere le meschine passioni municipali […]. Il futuro per il quale facciamo ogni voto è la conquista dell’indipendenza nazionale. […] Più di ogni riforma amministrativa, le vie ferrate contribuiranno a consolidare lo stato di reciproca fiducia tra governi e popoli che è la base delle nostre future speranze. Per questo noi siamo convinti nell’indicarle come una
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7. Un ricordo del 1871 a tre “padri” dei Traforo del Frejus: Grandis, Sommeiller e Grattoni
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TAB. 2 LINEE IN ESERCIZIO NEGLI STATI PRE-UNITARI FINO ALL’1/1/1861
delle principali speranze della nostra patria”. Il “sogno” di Cavour” si realizzò presto: nello stesso anno 1846 il Ministero dei Lavori Pubblici inviò un gruppo di giovani ingegneri del genio civile, insieme ad alcuni operai, a specializzarsi in Belgio e in Inghilterra. Tra i giovani ingegneri c’erano Sommeiller21 e Grandis, due dei futuri progettisti del traforo del Frejus. Pochi mesi dopo, nel Regno di Sardegna si dette avvio alla costruzione della rete ferroviaria che in 12 anni raggiunse 850 km, superando così le altre reti ferroviarie degli altri stati dell’Italia pre-unitaria, anche se era partita con quasi dieci anni di ritardo rispetto al Regno delle due Sicilie ed al Lombardo-Veneto. Lo Stato Pontificio fu l’ultimo degli altri stati preunitari a iniziare la costruzione di ferrovie, in quanto il Papa Gregorio XVI era assolutamente contrario e aveva definito la ferrovia “Satana su rotaie”. Solo dopo l’elezione di Pio IX, avvenuta nel 1846, a Roma si poté incominciare a pensare alla costruzione di una ferrovia. Il pontefice nominò una Commissione per le strade ferrate dello Stato di Sua Santità e poi costituì una Società nazionale per lo sviluppo e la costruzione delle ferrovie. Complessivamente, nel primo decennio (1839-1850) negli stati pre-unitari furono costruiti e attivati 582 km di ferrovie e nel secondo decennio (1851-1860) tale cifra è stata quasi triplicata, portando il totale delle linee a 2.110 km, valore molto inferiore a quello delle ferrovie negli altri grandi Stati europei (Gran Bretagna: 14.500 km; Germania: 11.000 km; Francia: 8.000 km). Si deve anche ricordare che il sistema ferroviario nazionale si è evoluto secondo peculiarità proprie che lo hanno differenziato dalle altre grandi nazioni europee a causa non solo della difficile orogra-
21. Da una lettera di Sommeiller alla sua famiglia: “Dedichiamo allo studio delle locomotive quasi tutto il nostro tempo; abbiamo solo qualche ora libera che impieghiamo ripassando i principi della meccanica”.
Km per periodo
Stato
8. Dal “Giornale del Genio Civile”: disegni della celebre perforatrice di Sommeiller
1839-1850
1851-1860
TOTALE AL 1861
Regno di Sardegna
150
700
850
Regno Lombardo-Veneto
180
420
600
Granducato di Toscana
126
129
255
Ducati di Parma e Modena
40
110
150
Stato Pontificio
-
130
130
Regno delle due Sicilie
86
39
125
Totale
582
1.528
2.110
fia del territorio, stretto e diviso da alte catene di monti, ma anche della particolare situazione politica dell’Italia del XIX secolo che la vedeva suddivisa in diversi piccoli stati ciascuno dotato di una sua rete ferroviaria che collegava paesi e città di interesse locale. Dopo la proclamazione del Regno d’Italia, si dovette procedere celermente anche alla creazione di un’unica rete nazionale collegando tra di loro le piccole reti ferroviarie
sorte nei vari Stati italiani per collegare paesi e città di interesse locale e quindi in gran parte non utilizzabili per creare celeri vie di comunicazione tra le città più importanti del nuovo Stato italiano. Si evidenzia che nel 1861, solo il 25% della rete italiana era in gestione diretta dello Stato. Il rimanente 75% era ripartito in 22 società private molte delle quali a capitale prevalentemente straniero. nn
L’ingegner Cavour, padre della Patria e delle nostre infrastrutture Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861), come tutti i figli cadetti dei nobili fu avviato alla carriera militare dove, dopo aver frequentato prima la Regia Accademia militare di Torino e poi la Scuola di applicazione del Corpo Reale del Genio, uscì con il grado di tenente del Genio e, quindi, con un titolo equipollente a quello di ingegnere. Non continuò la carriera militare e tra il 1835 e il 1843 fece molti viaggi a Parigi e Londra dove visità numerosi impianti industriali. Di ritorno dai viaggi all’estero, mise a frutto le conoscenze acquisite dedicandosi alle gestione dei suoi vasti possedimenti
terrieri migliorandone notevolmente la produzione con l’uso di nuove macchine e mise a frutto anche le sue conoscenze di ingegneria idraulica con la costruzione di canali. Entrò in Parlamento il 30 giugno 1848. Klemens von Metternich a proposito di Cavour disse: “In Europa allo stato attuale esiste un solo vero uomo politico, ma disgraziatamente è contro di noi. È il conte di Cavour”.
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Genesi, nascita e crescita della rete ferroviaria e stradale Prosegue il viaggio di leStrade e e dell’AGC alle origini delle nostre infrastrutture (Seconda Parte - Ferrovie Dall’Unità alla nazionalizzazione)
Pasquale Cialdini
Già Direttore Generale del MIT Segretario Associazione del Genio Civile Prosegue il nostro viaggio alle origini delle infrastrutture di trasporto nel primo secolo del Genio Civile (19151916/18) che abbiamo avviato nel numero di leStrade di gennaio-febbraio e che proseguiremo e concluderemo, con un focus esclusivamente dedicato allo sviluppo della rete stradale, sul prossimo numero di giugno. Nel numero di gennaio-febbraio ci siamo concentrati sugli albòri dell’infrastrutturazione e del trasporto ferroviario sulla scena internazionale e nel nostro Paese. Un comune denominatore: il legame strettissimo tra lo sviluppo delle strade su ferro e l’evoluzione della politica e dell’economia - in una parola sola, della Storia - dei contesti di riferimento. L’ultimo capitolo della trattazione affidata al fascicolo citato ha scattato una prima fotografia sullo stato dell’arte della rete nell’Italia preunitaria. Ripartiamo proprio da qui.
Alla vigilia dell’Unità
Complessivamente, nel primo decennio (1839-1850) negli stati pre-unitari furono costruiti e attivati 582 km di ferrovie e nel secondo decennio (1851-1860) tale cifra è stata quasi triplicata, portando il totale delle linee a 2.110 km, valore molto inferiore a quello delle ferrovie negli altri grandi Stati europei
(Gran Bretagna: 14.500 km; Germania: 11.000 km; Francia: 8.000 km). Si deve anche ricordare che il sistema ferroviario nazionale si è evoluto secondo peculiarità proprie che lo hanno differenziato dalle altre grandi nazioni europee a causa non solo della difficile orografia del territorio, stretto e diviso da alte catene di monti, ma anche della particolare situazione politica dell’Italia del XIX Secolo che la vedeva suddivisa in diversi piccoli stati ciascuno dotato di una sua rete ferroviaria che collegava paesi e città di interesse locale. Dopo la proclamazione del Regno d’Italia, si dovette procedere celermente anche alla creazione di un’unica rete nazionale collegando tra di loro le piccole reti ferroviarie sorte nei vari Stati italiani in gran parte non utilizzabili per creare celeri vie di comunicazione tra le città più importanti del nuovo Stato unitario. Si evidenzia che nel 1861, solo il 25% della rete italiana era in gestione diretta dello Stato. Il rimanente 75% era ripartito in 22 società private molte delle quali a capitale prevalentemente straniero.
1. Rete in esercizio al 30/12/1860
I primi 50 anni del Regno d’Italia
L’impulso che Cavour aveva impresso alla costruzione delle ferrovie nel Regno di Sardegna, non si arrestò dopo la sua morte avvenuta prematuramente il 10 giugno 1861, solo tre mesi dopo la proclamazione del Regno d’Italia del 17 marzo. Ciò si deve all’opera degli illuminati ministri dei lavori pubblici6 (nota in pag. successiva) che
1. A Pietrarsa, località poco distante da Napoli, fu costruita la prima officina ferroviaria italiana, dapprima con compiti di manutenzione e riparazione e poi, dal 1845 anche di costruzione di locomotiva utilizzando i componenti di un modello inglese acquistato nel 1843. Pietrarsa è oggi sede di uno dei musei ferroviari più importante del mondo. L’ing. Pasquale Cialdini è stato a capo dell’Ispettorato Generale per la Circolazione e la Sicurezza Stradale e Direttore Generale della Direzione per la Vigilanza e la Sicurezza nelle Infrastrutture presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. È socio ordinario AIIT e Segretario dell’Associazione del Genio Civile.
1
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2. Anche in Lombardia un sogno, quello dell’ing. Giuseppe Bruschetti che nel 1836 sul numero di agosto della Biblioteca Italiana pubblicò il progetto della linea Milano-Como di cui era promotore Zanino Volta, figlio del più famoso Alessandro. Non se ne fece nulla per le critiche di Carlo Cattaneo che evidenziarono le difficoltà di realizzazione. Il progetto poi confluì in quello più modesto della Milano-Monza.
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si succedettero nei primi anni del Regno e che dettero inizio a un nuovo periodo nella storia delle strade ferrate italiane. Bisognava innanzitutto completare e collegare tra di loro le linee e i tronchi esistenti che, prima dell’unificazione, erano state costruite nei diversi stati senza una logica di rete nazionale. Occorreva anche individuare le linee principali di collegamento dei centri più importanti del Regno tra di loro e con 3. Compresa la galleria di Serravalle di 1,3 km. 4. Regie Patenti n. 443 del 1844 per la costruzione della Torino-Genova. 5. Nell’Opificio dell’Ansaldo a Sampierdarena dal 1853 si fabbricano locomotive e materiale ferroviario
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28 TAB. 1 EVOLUZIONE DELLA RETE FERROVIARIA NEGLI STATI PRE-UNITARI STATO
ANNO
TRATTE FERROVIARIE
KM
REGNO DELLE DUE SICILIE TOTALE KM IN ESERCIZIO: 125
1839
Napoli-Portici
7,6
1840
Officina di Pietrarsa
13,8
1842
Portici-Castellammare di Stabia
18,0
1843
Napoli-Caserta
15,0
1844
Torre Annunziata-Pompei
55,8
1860
Pompei-Nocera-Avellino-Salerno Caserta-Capua In progettazione/costruzione: Napoli-Foggia-Bari-Brindisi; Palermo-Bagheria
14,8
1840
Milano-Monza
12,8
1842
Padova-Mestre
29,0
1846
Mestre-Venezia
5,0
1846
Milano-Treviglio
32,0
1846
Padova-Vicenza
30,0
1849
Vicenza-Verona
1859
Verona-Bolzano
1859
Venezia-Trieste In progettazione/costruzione: Completamento della Milano-Venezia
1844
Livorno-Pisa
18,2
1845
Pisa-Pontedera
19,0
1844
Pisa-Lucca
21,0
1860
Pontedera-Empoli
26,8
1860
Empoli-Pistoia
32,0
Firenze-Pistoia-Serravalle
33,5
Lucca-Pistoia
43,8
© Ignis/Wikipedia
REGNO LOMBARDO-VENETO2 TOTALE KM IN ESERCIZIO: 600
GRANDUCATO DI TOSCANA E DUCATO DI LUCCA TOTALE KM IN ESERCIZIO: 255
1
3
REGNO DI SARDEGNA4 TOTALE KM IN ESERCIZIO: 850
STATO PONTIFICIO TOTALE KM IN ESERCIZIO: 125
DUCATO DI MODENA E DUCATO DI PARMA TOTALE KM IN ESERCIZIO: 159
Lucca-Aulla
60,6
1848
Torino-Moncalieri
8,0
1849
Moncalieri-Asti
77,0
1850
Asti-Alessandria
1853
Officine Ansaldo a Sampierdarena
76,8
1855
Genova-Alessandria (compresa la galleria dei Giovi)
125,0
1857
Torino-Susa
140,2
1857
Alessandria-Piacenza
96,0
1857
Torino-Vercelli-Novara
64,0
1857
Torino-Cuneo
96,0
1/9/1857
Inizio lavori del Traforo del Frejus
1859
Torino-Pinerolo
1859
Chambery-Saint Jean de Maurienne
1860 1860
Novara-Arona Torino-Ivrea
1857
Roma-Frascati
20,4
1842
Roma-Civitavecchia
77,0
1844
Bologna-Piacenza (*) (*) tratto di competenza da Bologna fino al ponte sul Po (confine Stato Pontificio)
27,6
1860
In progettazione/costruzione: Roma-Ancona; Bologna-Ancona; Bologna-Porretta Terme
1859
Piacenza-Bologna (**) (**) tratto di competenza da Piacenza fino al ponte sul Po (confine Stato Pontificio)
50,0 5
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gli altri Paesi europei in modo anche da attirare i commerci internazionali. In definitiva occorreva un piano, e già nel 1860, prima ancora della promulgazione del Regno d’Italia, tale esigenza fu avvertita dal Ministro Jacini che propose un piano generale il cui scopo, utilizzando le stesse parole dell’illustre ministro era quello di “coordinare i lavori pel meglio del paese, ovviando ai difetti e agli inconvenienti del passato e antivenendo l’avvenire”. Il piano fu poi rielaborato dal Menabrea nel 1864 e infine ritoccato poi dallo stesso Jacini che lo presentò nel 1865, insieme con il progetto di legge di riordino delle società ferroviarie, alla Camera dei deputati nella prima legislatura del Regno. Questo fu approvato a grande maggioranza e divenne la legge 14 maggio 1865, n. 2279 meglio nota come la “Legge dei grandi gruppi”. Legge importantissima, come possiamo meglio comprendere dalla presentazione che fu fatta nella commissione parlamentare: “L’anno 1865 resterà memorabile negli annali dell’industria ferroviaria in Italia. Avevamo un complesso di linee tracciate senza un concetto unitario; avevamo numerose società, tariffe diverse e amministrazioni diverse: mercé la provvida legge presentata dal ministro Jacini avremo una bene ordinata rete ferroviaria ripartita in quattro grandi compagnie. Queste, semplificando l’amministrazione, potranno pure migliorare il servizio, soddisfare alle esigenze del pubblico, e potentemente contribuire ad un rapido miglioramento economico del nostro paese”. La legge definiva una distinzione netta tra ferrovie pubbliche e ferrovie private, a seconda del loro uso e della loro destinazione e conteneva le norme per la loro costruzione e l’esercizio non prevedendo più sovvenzioni statali ma solo prestiti con interesse. Le concessioni dovevano essere rilasciate per legge stabilendo i rapporti in caso di riscatto anticipato o di termine della concessione e infine la partecipazione dello Stato agli utili oltre una certa soglia base. Infine, per favorire lo sviluppo ferroviario e industriale si prevedeva di accorpare le numerose ma piccole società ferroviarie, esistenti soprattutto al nord, ove la rete era più estesa, affidando le linee della penisola e della Sicilia a quattro società concessionarie. A ciascuna di esse era attribuita una delle quattro zone in cui erano state suddivise le ferrovie: la valle del Po, il centro della penisola, il meridione e la zona cosiddetta istmica e insulare. Dalla suddivisione rimaneva esclusa la rete a scartamento ridotto della Sardegna che continuava ad essere affidata alla Compagnia Reale Sarda con 414 km in programma, ma con solo pochi km in esercizio. Di seguito si riporta per ciascuna delle quattro Società la rete di competenza. • Società ferroviaria dell’Alta Italia (SFAI). Controllata dal ramo parigino di “Casa Rothschild” cui competevano le linee della valle del Po, comprendenti: dalle Alpi al Ticino la rete delle ferrovie dello Stato con 11 società vassalle; dal Ticino al Mincio e dalle Alpi all’Appennino, le strade ferrate lombarde e dell’Italia centrale7. La rete comprendeva anche i servizi di navigazione sui laghi. Complessiva6. Ministri dei lavori pubblici dal 1861 al 1911: Ubaldino Peruzzi, Agostino Depretis, Luigi Federico Menabrea, Stefano Jacini, Giuseppe Devincenzi, Antonio Giovanola, Gerolamo Cantelli, Antonio Mordini, Giuseppe Gadda, Silvio Spaventa, Giuseppe Zanardelli, Francesco Paolo Perez, Alfredo Baccarini, Raffaele Mezzanotte, Francesco Genaia, Giuseppe Saracco, Gaspare Finali, Ascanio Branca, Giovanni Giolitti, Costantino Perazzi, Giulio Prinetti, Giuseppe Pavoncelli, Achille Afan De Rivera, Pietro Lacava, Gerolamo Giusso, Nicola Balenzano, Francesco Tedesco, Carlo Francesco Ferraris, Pietro Carmine, Emmanuele Gianturco, Giulio Rubini, Ettore Sacchi. I primi 14 ministri erano ingegneri ed erano stati anche Presidenti del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
mente alla SFAI erano affidati 2.135 km, di cui 1.868 km in esercizio e 267 in costruzione. • Società delle strade ferrate romane (SFR). A questa società competeva la rete dell’Italia centrale che aveva come asse principale la linea che si estende da Napoli a Roma e seguendo il litorale Tirreno prosegue fino al confine francese a Nizza per 922 km. Questa linea costiera era dotata di numerose tratte interne: le due ferrovie della Val d’Arno (Firenze-Pisa 99 km e Firenze-Livorno 98 km), con le diramazioni da Cecina a Moje 29 km, da Avenza a Carrara 5 km; la diramazione da Cancello a Avellino di 44 km; la linea Roma-Ancona 297 km che attraversa la penisola nella sua maggior larghezza e dalle stazioni di Orte e Foligno si dipartono poi le linee Orte-Chiusi-Siena-Empoli 231 km, e la Foligno-Perugia-Arezzo-Firenze 210 km. A queste linee il Governo si riservava di aggiungere la linea La Spezia-Parma 120 km (da completarsi in sei anni) e la Terni-Rieti-Ceprano 171 km (da completarsi in quattro anni). Complessivamente alla Società delle strade ferrate romane sono affidate 2.337 km, dei quali 1.125 km in esercizio nel 1864. • Società delle strade ferrate meridionali (SFM). Comprendeva tutta zona del litorale adriatico: la linea Bologna-Ancona, compresa la diramazione per Ravenna 247 km; la linea Ancona-Otranto 647 km e la diramazione Bari-Taranto 115 km; le linee di congiunzione di Napoli con la costa adriatica: Napoli-Termoli 198 km e la linea NapoliFoggia 180 km (di cui 58 in comune con la Napoli-Termoli); la linea di comunicazione dell’Abruzzo: Pescara-Rieti 183 km e anche una tratta in lombardia: la linea Voghera-Pa-
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via-Cremona-Brescia 147 km. L’estesa complessiva era di 1746 km di cui in esercizio meno del 50%. • Società delle ferrovie calabro-sicule (già Società Vittorio Emanuele). Comprendeva: la Eboli-Taranto 201 km e la Taranto-Catanzaro-Reggio Calabria 470 km con diramazione dalla foce del Crati a Cosenza 63 km e anche Taranto-Brindisi 72 km; le linee siciliane: Messina-Siracusa 179 km, Catania-Palermo 236 km, Caltanisetta-Licata 65 km e Campofranco-Girgenti 46 km ed anche la Palermo-Marsala 140 km; complessivamente 1.457 km di cui in esercizio meno del 50%. Complessivamente il programma prevedeva la conclusione dei lavori delle linee ancora in costruzione in un arco di tempo decennale che avrebbe portato nel 1875 il totale della rete a 7.775 km di strade ferrate che, in ragione di un territorio complessivo di 259.000 km2 fanno un km di strada ferrata ogni 34 km2 di superficie, cifra ritenuta confortante se tiene in conto la natura fatalmente tanto accidentata della nostra penisola. La Svizzera che è il Paese dell’Europa che, rispetto all’accidentalità del suolo, presenta la massima analogia con l’Italia, ha un km di ferrovia ogni 35 km2 di superficie. La relazione concludeva: “Del resto noi crediamo che mentre le quattro Società sorrette dal Governo compiranno le vie maestre, molte città e molte provincie spigrite dall’emulazione e dall’esempio, troveranno modo di concertarsi per la costruzione delle linee secondarie, allo stabilimento delle quali è assicurata colle vigenti convenzioni ogni agevolezza”. I ministri non solo presentarono il piano generale con relativo programma delle tratte da costruire attraverso le quattro società cui era stata 2. Carta delle Strade Ferrate italiane annessa al progetto di legge presentato alla Camera nel 1864 (solo il 50% già in esercizio)
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30 3. La rete delle Ferrovie dello Stato nel 1906 (dopo l’integrazione completa) era così costituita: totale rete 12.920 km (di cui 1.917 a doppio binario e 178 elettrificata)
SVILUPPO DELLE FERROVIE
4a
4b
MEDIA ANNUA DI KM DI NUOVE FERROVIE
4. Sviluppo della rete 1850-1930 (fig. 4a) e progressione media annua (fig. 4b)
affidata la rete, ma riuscirono anche ad ottenere per tutto il periodo i finanziamenti necessari, nonostante le gravi difficoltà economiche del giovane Regno d’Italia. Agostino Depretis in una relazione alla Commissione Bilancio dichiarò: “Le spese che si stanziano nel bilancio dei lavori pubblici aumentano nel modo il più visibile e il più diretto il valore del capitale ed il reddito patrimoniale della nazione e, quando siano erogate sapientemente, ritornano ben presto all’erario. La costruzione delle strade e delle ferrovie è una vera economia per lo Stato e, se l’affrettarla potrebbe esser utile in prospere condizioni finanziarie, è assolutamente indispensabile e urgente nelle condizioni in cui l’Italia si trova. Lo Stato quello che oggi è costretto a spendere per fare le strade e le ferrovie, riavrà moltiplicato allorché dette strade saran fatte”. Dotare le regioni meridionali di collegamenti stradali e ferroviari con le altre regioni italiane era utile anche per motivi sociali e di sicurezza pubblica: un’apposita commissione stabilì infatti che i rimedi contro il brigantaggio non dovevano limitarsi alla repressione militare, ma dovevano consistere anche nel dare impulso alla costruzione di strade e ferrovie nelle province infestate dai briganti. Persino Quintino Sella, notissimo sostenitore di spietati criteri di economia nella gestione della finanza pubblica, presentando nel 1870 i suoi “provvedimenti per il pareggio di bilancio”, affermava che “non sarebbe stato un atto di buona economia rallentare i lavori pubblici già iniziati, specialmente strade e ferrovie, in specie nelle regioni meridionali il cui sviluppo dipende principalmente da queste opere ed io crederei di fare opera veramente dan7. Dal Mincio alle Alpi Giulie la rete veneto-tirolese della società delle strade ferrate meridionali austriache che appartiene al Regno AstroUngarico e naturalmente non può figurare nel riordinamento della ferrovie italiane, anche se è prevista con lungimiranza nel piano generale di Jacini.
nosa alla finanza quando non si completassero.” A queste dichiarazioni hanno poi fatto seguito ingenti finanziamenti per le ferrovie che percentualmente, sia rispetto al totale della spesa del Bilancio dello Stato, che rispetto alle spese per altre opere pubbliche, non trova riscontro nei decenni successivi, specie a quelli dopo il 1931, e ancor più dopo il 1950 dove invece furono prevalenti le spese per le strade o per altre opere pubbliche.
Dalle leggi sulle concessioni alla nazionalizzazione della rete
Contrariamente a quello che avevano auspicato i relatori della legge del 1865, anche il sistema delle concessioni entrò ben presto in crisi: già a partire dal 1868, e poi nel 1870, lo stato si vide costretto a intervenire con apposita legislazione per rifinanziare la Società Strade Ferrate Romane e la Società Vittorio Emanuele che erano giunte sull’orlo del dissesto finanziario. La crisi economica delle due società era dovuta agli eccessivi oneri che si erano resi necessari al completamento delle infrastrutture (ricordiamo che la Società Strade Ferrate Romane doveva ancora costruire più di 1.000 km di linea) e alla scarsa redditività di alcune tratte da esse gestite. Negli anni successivi si giunse, comunque, al completamento della rete prevista dalla legge del 1865. Nel 1871 fu completato e inaugurato il traforo del Frejus (traforo ferroviario di 13.600 m, di gran lunga il più lungo del modo) i cui lavori erano iniziati nel 1857. L’anno successivo, nel 1872, si diede avvio alla realizzazione del traforo del San Gottardo. L’opera, era considerata di vitale importanza per i collegamenti con il nord Europa, fu terminata nel 1881. La galleria era lunga 14.984 metri e, nonostante fosse scavata in territorio svizzero, l’Italia ebbe un ruolo preminente nelle fasi di ideazione, progettazione e realizzazione. Non di meno fu l’apporto finanziario: il Re-
gno d’Italia vi contribuì con 58 milioni di lire contro i 31 milioni della Svizzera e i 30 milioni della Germania. Nel 1873 (convenzione 17 novembre 1873) lo stato si vide costretto a riscattare la rete della Società per le Strade Ferrate Romane che si era trovata di nuovo sull’orlo della bancarotta e lo stesso fece l’anno seguente, nel 1874 (convenzione 22 aprile 1874), con la Società delle Strade Ferrate Meridionali. Le continue difficoltà finanziarie delle concessionarie e la conseguente necessità di mettere mano al portafogli pubblico fece nascere nel paese un ampio dibattito politico e culturale sul destino delle ferrovie. Le discussioni si concretizzarono nel 1876 allorquando venne presentato da Marco Minghetti e dal ministro ai Lavori pubblici Luigi Spaventa un disegno di legge (9 marzo 1876) che proponeva la nazionalizzazione della rete ferroviaria italiana. Il momento scelto dai due relatori non era però favorevole. Lo Stato non era ancora pronto a sostenere il peso economico della nazionalizzazione, ma anche la società civile non era (ancora) disposta ad accettare un intervento pubblico così importante nelle questioni economiche del paese. Il rifiuto della nazionalizzazione contribuì in modo sostanziale alla crisi della Destra Storica con le dimissioni del secondo governo Minghetti. La crisi si formalizzò con la successiva salita al potere il 25 marzo 1876 della Sinistra Storica con il primo governo Depretis. Con la legge 29 luglio 1879, n. 5002 “Costruzione di nuove linee di completamento della rete ferroviaria” definita anche “Legge Baccarini”, dal nome del suo promotore, Alfredo Baccarini, Ministro dei Lavori Pubblici, si cercò di favorire uno sviluppo delle costruzioni ferroviarie maggiormente pianificato, stabilendone le priorità e i metodi di finanziamento. Inoltre, si dette impulso a una serie di realizzazioni ferroviarie minori in tutte le parti del paese attraverso la costruzione di ferrovie dette “complementari” per circa 6.000 km. Con
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la successiva legge 27 aprile 1885, n. 3048 “Legge sulle convenzioni” venivano ripartite le linee ferroviarie in senso longitudinale (rispetto al Paese) e si assegnava alla Società Italiana per le strade ferrate meridionali l’esercizio della rete gravitante sull’Adriatico (Rete Adriatica), alla Società per le Strade Ferrate del Mediterraneo l’esercizio della rete gravitante sui mari Ligure, Ionio e Tirreno (Rete Mediterranea), e alla Società per le Strade Ferrate della Sicilia la rete siciliana (Rete Sicula). Rimanevano fuori dalle convenzioni le ferrovie sarde e altre reti private. Le linee concesse alle tre grandi società, distinte in principali e secondarie, avevano uno sviluppo complessivo di 8.640 km così ripartiti: • la Rete Adriatica comprendeva 4.379 km di ferrovie delle quali una parte erano proprietà delle stesse “Meridionali” in quanto da esse costruite in precedenza; • la Rete Mediterranea rilevava 4.171 km di ferrovie di varia provenienza; • la Rete Sicula avrebbe gestito 1.100 km di ferrovie
isolane in parte ancora da costruire e il futuro Traghettamento nello Stretto di Messina. Il nuovo ordinamento prevedeva che la vigilanza sulle costruzioni e sull’esercizio, venisse assunta dal Ministero dei Lavori Pubblici, a mezzo di un Ispettorato Generale delle Ferrovie. Al ventennio 1885-1905 vanno ascritti importanti avvenimenti: l’istituzione del servizio traghetti dei veicoli ferroviari nello stretto di Messina, il compimento del traforo del Sempione (terzo traforo alpino dopo quello del Gottardo in territorio svizzero) e i primi felici esperimenti dell’esercizio a trazione elettrica sulle linee della Valtellina. Alla fine del 1898 fu istituita una “Commissione parlamentare di studio per il riordino delle strade ferrate” le cui conclusioni concordavano sull’ovvia constatazione che per il loro valore strategico le ferrovie non potevano ulteriormente essere lasciate in mano a gruppi finanziari privati. Dopo alcuni anni è approvata la legge 22 aprile 1905, n. 137 , cosidetta “Legge Fortis” dal nome del proponente, che ha sancito
TAB. 2 SPESA PER LAVORI ESEGUITI CON FINANZIAMENTO TOTALE O PARZIALE DELLO STATO (MILIONI DI LIRE)9 Anni
Totale
Categorie di opere Stradali
Ferroviarie
Marittime
Idrauliche
Edilizia
Igien. /Sanit.
Bonifiche
Altre
1861-70
190*
25*
108*
n.c.
n.c.
n.c.
-
n.c.
n.c.
1871-80
184*
21*
89*
n.c.
n.c.
n.c.
-
n.c.
n.c.
1881-90
251
38
115
24
26
23
-
6
19
1891-900
161
21
73
15
17
21
-
7
7
1901-10
152
20
51
15
16
24
2
13
11
1911-20
498
85
166
28
39
57
21
27
75
1921-30
2.118
491
530
168
163
285
78
124
279
1931-40
2.348
637
332
140
168
346
103
382
240
1941-50
75.120
10.892
25.250
6.392
4.715
10.872
2.475
7.606
6.928
1951-60
306.220
85.705
28.954
10.549
17.507
52.045
30.644
57.859
22.957
1961-70
745.186
329.275
53.044
20.117
32.269
104.091
86.130
89.983
30.277
9. Fonte: ISTAT - Sommario di Statistiche Storiche d’Italia 1861-1975, Roma 1976, Tav. 77, pag. 103. Le cifre con asterisco indicano un “valore stimato”, non riportato nelle Statistiche; n.c. indica un valore “non conosciuto”. Come si può notare anche da questa tabella, sono risultati ingenti i finanziamenti per le ferrovie nei primi 100 anni della loro storia, fatto che percentualmente, sia rispetto al totale della spesa del Bilancio dello Stato, che rispetto alle spese per altre opere pubbliche, non trova riscontro nei decenni successivi, specie a quelli dopo il 1931, e ancor più dopo il 1950 dove invece furono prevalenti le spese per le strade o per altre opere pubbliche.
TAB. 3 ENTRATE E SPESE DEL BILANCIO DELLO STATO IN MILIONI DI LIRE10 Anni
Entrate
Spese totali
Spesa oo.pp.
Spesa oo.pp./ Spesa ferr./ Spese totali spese totali
Spesa strade Spese totali
1862-1870
1.058
1.063
190*
17,9%
10,1%
2,4%
1871-1880
1.256
1.230
184*
15,0%
7,2%
1,7%
1881-1890
1.553
1.569
251
16,0%
7,3%
2,4%
1891-1900
1.684
1.666
161
9,7%
4,4%
1,2%
1901-1910
2.115
2.044
152
7,4%
2,5%
1,0%
1911-1920
12.368
13.926
498
3,6%
1,2%
0,6%
1921-1930
26.216
26.365
2.118
8,0%
2,0%
1,9%
1931-1940
33.961
39.176
2.348
6,0%
0,8%
1,6%
1941-1950
534.192
838.044
75.120
9,0%
3,0%
1,3%
1951-1960
2.832.182
3.025.276
306.220
10,1%
1,0%
2,8%
1961-1970
5.421.321
5.903.140
745.186
12,6%
0,9%
5,6%
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la gestione diretta dello Stato delle reti ferroviarie e con Regio decreto n. 250 del 15 giugno 1905 è stata istituita “l’Amministrazione autonoma delle Ferrovie dello Stato” cui viene affidata la gestione della rete fino ad allora gestita dalle compagnie (Rete Adriatica, Rete mediterranea e Rete Strade ferrate Sicule). Il riscatto delle reti delle predette società avviene il 1º luglio del 1905, con l’entrata in vigore della legge. Lo Stato assume quindi la gestione diretta di 10.557 km di linee, denominandola rete delle “Ferrovie dello Stato”. L’anno dopo, con la confluenza anche della rete SFM, l’estensione della Rete di Stato raggiunge i 13.075 km, di cui 1.917 a doppio binario. La struttura dell’amministrazione ferroviaria statale viene definita nel luglio del 1907 per mezzo di apposita legge “per l’esercizio da parte dello Stato delle ferrovie non concesse all’industria privata”. L’articolo 1 della legge del 1907 recita: “Lo Stato esercita direttamente, per mezzo di una amministrazione autonoma, le ferrovie da esso costruite o riscattate e quelle concesse all’industria privata che, per effetto di leggi precedenti, esso deve esercitare o di cui venga a scadere la concessione; nonché la navigazione attraverso lo stretto di Messina”. L’esercizio statale ebbe inizio il 1° luglio 1905 su 10.557 km di linee, saliti a 12.573 nell’anno successivo, mentre le società private mantennero l’esercizio su altri 3.141 km. Costiuitasi dunque nel 1905 l’Ammnistrazione Autonoma delle Ferrovie dello Stato, un impulso vigoroso fu impresso allo sviluppo e al perfezionamento dell’organismo ferroviario che era sì cresciuto in estensione, ma era ancora gracile e anemico di mezzi. In soli 10 anni dal 1905 al 1915 furono costruiti circa 2.000 km di linee, furono inoltre raddoppiati i binari per oltre 1.000 km, rafforzati ponti e sostituiti su diverse linee i materiali d’armamento, ampliate le stazioni con impianto di nuovi binari e di piani caricatori, accresciuto il parco locomotive da 2.600 a 5.000 unità con adozione di tipi più veloci e potenti e quello dei veicoli (carri e carrozze) da 60.000 a 117.000 unità; fu introdotto il sistema di blocco magnetico semiautomatico su circa 800 km di linee e fu adottato l’esercizio a trazione elettrica su circa 350 km di linee, conferendo all’Italia il primato in questo campo fra le nazioni d’Europa. In pochi anni le Ferrovie dello Stato riuscirono a recuperare i ritardi tecnologici grazie all’acquisizione di nuovo materiale, all’adozione di apparati di segnalazione e sicurezza e all’estensione delle tratte elettrificate. Poi fu la Grande Guerra 1915-1918 e con essa lo sforzo titanico di quattro anni che fornì luminosa prova della bontà dell’organizzazione, dell’efficienza dei mezzi disponibili, delle capacità e del patriottismo dei ferrovieri. Dalle FS furono complessivamente trasportati nelle zone di guerra 15 milioni di uomini, 2 milioni di feriti e ammalati, 1 milione di quadrupedi, 340mila veicoli, 22 milioni di tonnellate di viveri, foraggi, munizioni e materiali, con impiego di oltre 2 milioni di carri. Normalmente nella zona di guerra furono effettuati ogni giorno (in entrata e in uscita) da 240 a 270 treni, con punte massime di 400 (maggio 1916) e di 500 (maggio e agosto 1917). Al termine della Prima Guerra Mondiale le FFSS incamerarono anche quella parte della rete dell’ex impero austriaco che ricadeva nei territori redenti (come si diceva allora: la Venezia-Giulia e la Venezia-Tridentina) per giungere al 30 settembre 1920 a 15.667 km di rete ferroviaria. ■■
10. Fonte: ISTAT - Sommario di Statistiche Storiche d’Italia 1861-1975, Roma 1976, Tav. 121, pag. 162-163.
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32 Sicurezza delle Infrastrutture
Genesi, nascita e crescita della rete ferroviaria e stradale Strade moderne, indispensabili compagne di viaggio dalla trazione animale alla motorizzazione Terza Parte - Strade Le leggi fondamentali
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Pasquale Cialdini
Già Direttore Generale del MIT Segretario Associazione del Genio Civile Un grande viaggio alle radici dei nostri modi di trasporto più antichi. Quelli che, in attesa dello sviuppo successivo del “modo” aeroportuale, hanno fatto e fanno muovere i popoli, le loro economia, la loro civiltà. Il percorso ha avuto come punto di partenza un seminario organizzato dall’Associazione del Genio Civile nel novembre 2015, a Roma, in collaborazione con l’AIIT. Il titolo: “18151915/18. Il contributo delle infrastrutture all’Unità d’Italia”. Tra i vari interventi proposti in quell’occasione di divulgazione tecnica e insieme storica, quello curato da chi vi scrive (“Lo sviluppo della rete ferroviaria e stradale”), per le sue caratteristiche di scenario si è prestato a essere declinato anche in una serie di articoli realizzati ad hoc per la rivista leStrade che, anche in virtù della sua storia e del suo ruolo nel contesto della divulgazione delle nostre infrastrutture, ha colto con piacere questa opportunità di collaborazione con l’AGC. Il risultato finale è consistito in un piccolo dossier a puntate: le prime due, dedicate esclusivamente allo sviluppo delle reti ferroviarie prima e dopo l’Unità, sono state pubblicate rispettivamente sui numeri di Febbraio e Aprile 2016, sempre in questa rubrica. Ora siamo arrivati alla “terza puntata”, come si suol dire, nell’ambito della qual e ci
occuperemo esclusivamente di strade, un tema sempre da collocare, però, in una prospettiva di sistema, ovvero di interrelazioni profonde tra i vari modi di trasporto. La cura finale di questo articolo avviene, tra l’altro, pochi giorni dopo l’inaugurazione del Traforo Ferroviario del San Gottardo, in Svizzera, grande opera ferroviaria del futuro, che poggia però su una storia dalle radici, come abbiamo visto, profondissime e che non vanno mai trascurate. Sul fronte stradale, intanto, assistiamo a un forte impulso, nel nostro Paese, all’implementazione delle attività manutentive, come provano le recenti iniziative dell’Anas. Sullo scorso numero di maggio, nella pagina associativa AGC, abbiamo proposto una circolare del 20 luglio 1863 firmata dall’ing. Luigi Filippo Menabrea, Ministro dei Lavori Pubblici, in cui si sottolineava il valore etico dell’attività ingegneristica, con particolare riferimento proprio alle manutenzioni. Ancora una volta, dunque, un caso di “buone radici”, faro da cui tutte le strade, di ogni generazione, dovrebbero essere guidate. Ma torniamo ad accendere il motore della nostra “macchina del tempo” infrastrutturale: anche se di motorizzazione ci occuperemo più a fondo in una prossima puntata di questa “saga” proto-infrastrutturale.
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Come era difficile viaggiare all’inizio del XIX Secolo L’ing. Pasquale Cialdini è stato a capo dell’Ispettorato Generale per la Circolazione e la Sicurezza Stradale e Direttore Generale della Direzione per la Vigilanza e la Sicurezza nelle Infrastrutture presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. È socio ordinario AIIT e Segretario dell’Associazione del Genio Civile.
Le strade all’inizio dell’800 non erano molto diverse da quelle costruite dagli antichi Romani anche se Napoleone aveva dato un grosso impulso al miglioramento delle principali vie di comunicazioni;
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1. Strada moderna in esecuzione, anche grazie alla tecnica della “cilindratura”, antenata dell’attuale compattazione 2. Carta dell’Italia Unita in una litografia Epinal, Pinot e Sayare del 1860 3. Proto-sistema infrastrutturale: strade e ferrovie si sommano
3 per motivi bellici aveva, infatti, bisogno di spostare rapidamente il suo esercito da una parte all’altra dell’Europa. È difficile oggi immaginare i tempi e le condizioni dei viaggi: la velocità media delle diligenze in pianura era di 10 km/h e in salita si dimezzava. Ci volevano 32 ore (con soste brevissime per cambiare i cavalli e rifocillarsi in qualche locanda) per viaggiare da Milano a Venezia e gli spostamenti delle merci erano ancora più lenti: da Milano per raggiungere Firenze, dovendo anche attraversare l’Appennino, per il trasporto delle merci occorrevano non meno di due settimane. Ancor più difficile era l’attraversamento delle Alpi. Le carrozze per il valico del Moncenisio (2.000 m sul livello del mare), nonostante l’ammodernamento apportato da Napoleone, dovevano percorre 100 tornanti (30 sul versante savoiardo e 70 in quello piemontese). I tempi di percorrenza del valico nei tre mesi estivi era di 6 ore, mentre nel resto dell’anno era un’incognita. Con la neve (presente 7-8 mesi) si utilizzavano carrozze più piccole con slitte al posto delle ruote. Lungo il percorso vi erano 24 case/rifugio a disposizione dei viandanti. L’intera tratta da Parigi a Torino richiedeva nella bella stagione non meno di 60 ore di viaggio (il percorso prevedeva anche il trasbordo su battelli a Aix-les-Bains). Altro itinerario, posto sulla via francigena, molto usato fin dal medio evo era, più a nord, il valico del Gran San Bernardo (2.400 m slm) che per otto mesi era impraticabile con le diligenze.
4
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L’estensione delle strade nei primi anni del Regno d’Italia
Il Regno d’Italia nel 1861 aveva ereditato dagli Stati pre-unitari una rete viaria non omogenea. Una stima compiuta dal Ministero dei Lavori pubblici nel 1863 ha evidenziato enormi sperequazioni a sfavore delle regioni meridionali e insulari. Le strade comunali, stimate in complessivi 67.200 km, appartenevano per 9/10 alle regioni settentrionali (escluso Veneto, Trentino e Friuli) e centrali (escluso il Lazio) dell’Italia e solo per 1/10 alle regioni meridionali e insulari. Il rapporto tra chilometri di strade e numero di abi-
tanti rende molto bene le differenze tra il Piemonte e la Lombardia (6 km/1000 ab), rispetto alle regioni meridionali (0,8 km/1000 ab) e nelle isole era ancora più basso (0,2 km/1000 ab). Anche prendendo a riferimento, il rapporto tra l’estesa delle strade e la superficie delle varie regioni, si notano pofonde differenze tra le regioni settentrionali e quelle meridionali. Dalla tab. 1 risulta una dotazione in Lombardia di 87 km di strade ogni 100 km2 di superficie,
4. Operai al lavoro nella realizzazione di una pavimentazione in cubetti di porfido 5. Carro a trazione animale 6. Innovazione tecnologica “rivoluzionaria”: uno dei primi cilindratori
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34 TAB. 1 L’ESTENSIONE DELLA RETE STRADALE NEL REGNO D’ITALIA NEL 1863 Regioni
Strade nazionali
Strade provinciali
Strade comunali
Totale
km
km/100 km2
km
km/100 km2
km
km/100 km2
km
km/100 km2
Piemonte e Liguria
3.230
10,4
--
--
13.260
42,7
16.490
53,2
Lombardia
3.140
13,1
--
--
17.750
74,0
20.890
87,0
Emilia, Umbria e Marche
2.220
5,5
2.640
6,5
20.920
51,6
25.780
63,7
Toscana,
1.330
5,8
2.025
8,8
9.040
12.395
53,9
Campania, Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata e Calabria
2.500
3,4
3.025
4,1
5.700
7,8
11.225
15,3
Sicilia
620
2,4
1.410
5,5
400
1,5
2.430
9,5
Sardegna
860
3,6
--
--
130
0,5
990
4,1
Totale Regno d’Italia
13.900
5,8
9.100
3,8
67.200
28
90.100
37,6
Francia
84.000
13,1
--
--
530.000
82,9
614.000
96,0
Inghilterra+Galles
24.000
16,0
--
--
170.000
113,3
194.000
129,3
39,3
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mentre in Campania si riscontra un valore sei volte più basso (15,3 km ogni 100 km2) ed in Sicilia addirittura nove volte più basso (9,5 km ogni 100 km2). Dal confronto con i dati della rete stradale francese e inglese (anch’essi riportati in tab. 1), risulta evidente lo stato di arretratezza infrastrutturale in cui versava nel 1863 il giovane Regno d’Italia, non solo in termini di estesa complessiva della rete (90.100 km nel Regno d’Italia, contro 614.000 km della Francia e 194.000 km dell’Inghilterra), ma anche e soprattutto in relazione al rapporto tra la lunghezza complessiva della rete e la superficie territoriale: in Francia tale rapporto è di 96 km di strade ogni 100 km2 di superficie, nell’Inghilterra (più il Galles) il rapporto sale a 129,3 km di strade ogni 100 km2 di superficie; complessivamente in Italia il rapporto scende a 37,6 km di strada ogni 100 km2 di superficie. Quel che è ancor più grave è il forte squilibrio tra la Lombardia che ha un rapporto molto simile a quello francese ed inglese (87 km di strade ogni 100 km2 di superficie) e le regioni meridionali dove il rapporto scende a 15,3 o, peggio ancora in quelle insulari (9,5 in Sicilia e 4,1 in Sardegna).
L’unificazione amministrativa e l’allegato F (opere pubbliche)
Uno dei principali problemi da risolvere, dopo la costituzione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861, fu quello dell’unificazione amministrativa e legislativa. Ovviamente, specie nei primi anni furono seguite prevalentemente, se non quasi esclusivamente, le leggi, i regolamenti e l’organizzazione della pubblica amministrazione del Regno di Sardegna. Fortunatamente, già negli anni precedenti, il governo ed i legislatori piemontesi, grazie anche alle iniziative lungimiranti di Cavour avevano apportato alcune modifiche legislative e normative, recependo nel proprio ordinamento le disposizioni che ritenevano migliori tra quelle in uso negli Stati della nostra penisola (in specie, il Lombardo-Veneto ed il Gran Ducato di Toscana). È questo il caso, nel settore delle strade che a noi interessa, della “Legge comunale e provinciale” emanata dal Regno di Sardegna il 23
ottobre 1859, proprio nei mesi precedenti l’unificazione. Con tale legge furono ridotte le precedenti 4 categorie di strade in tre: nazionali, comunali e private, sopprimendo la categoria delle strade provinciali. La legge aveva proprio come obiettivo l’adeguamento, con la legislazione in materia di strade del Lombardo-Veneto che aveva funzionato bene e non prevedeva la classificazione delle strade provinciali. Sorsero però grossi problemi di “diritto transitorio” dopo la proclamazione del Regno d’Italia. Le altre province dell’Emilia, dell’Umbria e delle Marche e soprattutto quelle meridionali, erano invece favorevoli al mantenimento della loro preesistente classificazione. L’applicazione della legge del 1859
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7. Il testo (senza allegati) della legge fondamentale 2248 per “l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia” del 20 marzo 1865 8. La strada fatta a mano, grazie al duro lavoro delle maestranze 9. Un’opera di attraversamento: si investe in nuove realizzazioni
fu sospesa poi con D.L. dell’11 ottobre 1863. Ma la vera unificazione, non solo nel settore stradale, ma in tutto l’apparato amministrativo del giovane Stato avvenne solo qualche anno dopo con la nota legge 20 marzo 1865, n. 2248, intitolata appunto “Legge per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia”. La legge conteneva sei allegati: • Legge sull’Amministrazione comunale e provinciale (allegato A) • Legge sulla Sicurezza pubblica (allegato B) • Legge sulla Sanità pubblica (allegato C) • Legge sull’istituzione del Consiglio di Stato (allegato D) • Legge sul contenzioso amministrativo (allegato E)
• Legge sulle Opere pubbliche (allegato F) Ovviamente, in questa sede interessa prevalentemente l’allegato F) che ha costituito per oltre 130 anni il cardine su cui si è basata la progettazione, esecuzione e manutenzione di tutte le opere pubbliche che hanno contribuito in modo determinante alla modernizzazione dell’Italia e a farla entrare, a buon diritto, nel ristretto gruppo dei maggiori Paesi industrializzati del mondo (G7). La legge, dagli addetti ai lavori, è meglio conosciuta come Legge fondamentale sui lavori pubblici ed è costituita da 382 articoli suddivisi in 8 Titoli. Titolo I “Delle attribuzioni del Ministero dei Lavori Pubblici, relative alle Opere pubbliche” (artt 1-8) Titolo II “Delle strade ordinarie” (artt. 9-90) Titolo III “Delle acque soggette a pubblica amministrazione” (artt. 91-181) Titolo IV “Porti, spiagge e fari” (artt. 182-205) Titolo V “Delle strade ferrate” (artt. 206-311) Titolo VII “Esecuzione delle opere pubbliche” (artt. 311-365) Titolo VII “Ordinamento generale del servizio del Genio Civile” (artt. 366-372) Titolo VIII “Disposizioni generali e transitorie” (artt. 373-382). Non c’è lo spazio sufficiente per illustrare, sia pure in modo sommario, i contenuti di questa importantissima legge che ancora oggi pare perfettamente moderna e attuale, di facile comprensione e di univoca interpretazione. Gran parte dei suoi articoli sono rimasti in vigore per più di 130 anni e sono stati abrogati solo in questi
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ultimi trent’anni. Ma penso che nessuno tra gli operatori pubblici e privati che si occupano di opere pubbliche possa oggi dire di non rimpiangerla: le leggi che hanno sostituito le disposizioni in essa contenute sono state tutte di difficile comprensione e di incerta interpretazione, ciò ha favorito notevolmente il contenzioso e tra le maglie delle nuove leggi ha potuto svilupparsi il malaffare. Ora tutte le speranze sono riposte nel “Codice degli appalti”, dalle prime dichiarazioni di alcuni autorevoli addetti ai lavori sono emersi alcuni aspetti positivi, come il ritorno della “centralità e qualità del progetto”, stop alle “varianti” e agli “appalti in deroga”, freno ai “ricorsi” e “drastica “semplificazione normativa”. Questi sono i principali titoli con i quali è stata accolta dai media la nuova normativa e tutti ci auguriamo che anch’essa non ci faccia rimpiangere la legge del 1865. È opportuno, dopo questo breve excursus sulle opere pubbliche, tornare alle strade cui la legge fondamentale ha dedicato tutto il Titolo II contenente 81 articoli; tra questi meritano una citazione particolare: • l’art. 9 prevede quattro categorie di strade di uso pubblico: nazionali, provinciali, comunali e vicinali; • l’art. 10 definisce “nazionali” le strade che congiungono le principali città con i porti o con gli stati limitrofi o che attraversano le Alpi e anche le strade militari; • l’art. 11 prevedeva, al fine di alleviare il bilancio dei lavori pubblici per le spese per le strade, che “non può esserci strada nazionale tra due punti di territorio collegati da una ferrovia”, salvo i tronchi stradali che attraversano la catena delle Alpi o degli Appennini. Per effetto dell’art.11, l’estesa delle strade provinciali tra il 1865 ed il 1910 aumentò di 5 volte, mentre quella delle strade nazionali, nello stesso periodo, si dimezzò; • gli articoli dal 13 al 22 definiscono le strade provinciali e comunali, mentre le strade vicinali sono quelle non comprese nelle altre tre categorie (esattamente come nel nuovo Codice della strada del 1992!); • gli articoli da 23 a 29 fissano le norme per la corretta progettazione, costruzione e manutenzione delle strade e in particolare l’art. 23 stabiliva che “la dimensione e le forme da assegnarsi alle strade nazionali ed opere relative, come tutti i lavori da farsi per la costruzione, sistemazione e mantenimento delle medesime debbono risultare da un progetto compilato secondo un regolamento da approvarsi con decreto reale”. I successivi articoli 23 e 24 demandavano ai Consigli provinciali di deliberare analoghi regolamenti da sottoporre all’approvazione del Re ed inoltre stabilivano che ogni nuova strada provinciale doveva essere approvata con decreto reale, sentito il Consiglio superiore dei LL.PP., mentre i progetti di strade comunali dovevano essere approvati dalla deputazioni provinciali, sentito l’Ufficio del Genio civile; • gli articoli da 30 a 54 riguardavano le “spese per le strade” e, in particolare, l’art. 33 stabiliva la soppressione di tutti i pedaggi sulle strade nazionali e attribuiva a totale carico dello Stato le spese per la loro costruzione, l’adattamento e la manutenzione; • nel capo IV (artt. 55-84), la legge stabilisce per la prima volta norme di “Polizia delle strade” in particolare per quel che riguarda la “tutela delle strade” che rimarranno in vigore fino al codice della strada del 1933 e che sono state in gran parte riprese nel Titolo II del nuovo Codice della strada del 1992.
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10. Progetto stradale
La manutenzione e la legge sulle strade comunali
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In tutte le disposizioni di legge, nei regolamenti e nelle normative in materia di “progettazione ed esecuzione di opere pubbliche”, era sempre dedicato uno spazio importante e niente affatto residuale alla “manutenzione” e in particolare per quanto riguarda le strade, sia ordinarie che ferrate, veniva anche individuato con precisione l’organo cui tale importante compito era affidato. La già citata legge fondamentale del 1865, confermando quanto già stabilito dalle Regie patenti del 1816 (istituzione del Corpo Reale del Genio Civile) e del 1848 (istituzione del Ministero dei Lavori pubblici), attribuiva direttamente (art. 1) al Ministero dei Lavori pubblici, unitamente ai compiti di progettazione e di direzione della costruzione di nuove strade nazionali (ordinarie e ferrate), anche la direzione delle opere di manutenzione (sistemazione e conservazione) delle strade esistenti per le quali dovevano essere redatti specifici progetti conformi al regolamento approvato con decreto reale (art. 23). Per le strade provinciali e comunali questi compiti erano affidati ai
Consigli provinciali che dovevano deliberare “regolamenti obbligatori per la costruzione, manutenzione e sorveglianza”, contenenti anche il riparto delle spese, da sottoporsi ad approvazione con decreto reale, previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici (art. 24). La citata legge fondamentale del 1865 aveva fatto troppo affidamento sulle risorse delle autonomie locali che però si rilevarono insufficienti soprattutto nelle regioni meridionali, dove le strade, costruite con ingenti risorse, furono poi lasciate in abbandono dai comuni che avevano l’obbligo di mantenerle e anche la viabilità provinciale non ebbe le cure necessarie. Furono necessari provvedimenti integrativi. Particolarmente importante fu la legge 30 agosto 1868, n. 4613 “Per la costruzione e sistemazione delle strade comunali”. La legge raccolse un progetto dell’ing. De Vincenzi che si era ispirato alla legge francese del 1836 “Sur le chemins vicinaux”. La legge sancì l’obbligo dei comuni di costruire e sistemare le strade di comunicazione del loro centro con i comuni vicini e le frazioni più popolose, o con le ferrovie e i porti. Per i fondi necessari alla costruzione e sistemazione di dette strade, la legge disponeva che i comuni potevano costituire un fondo speciale risultante da: a) una sovraimposta del 5% sulle tasse erariali; b) una tassa speciale sui principali utenti; c) prestazioni d’opera degli abitanti del comune; d) da pedaggi; e) da sussidi dello Stato e delle Province; f) da offerte volontarie; g) dalla vendita di aree abbandonate. Interessante è la formula delle “prestazioni d’opera” degli abitanti con la quale si prevedeva che ogni capofamiglia abitante nel comune era tenuto a fornire annualmente 4 giornate di lavoro, o a versare una corrispondente tassa per la sua persona e per ogni maschio di età compresa tra i 18 e i 60 anni, appartenente alla sua famiglia, nonché per ogni bestia da soma, da sella o da tiro che fosse al servizio della sua famiglia. Ai prefetti era affidato il compito di vigilare sulla corretta applicazione della legge da parte dei comuni, a tal fine i sindaci dovevano presentare al prefetto annualmente una relazione sulla costruzione e sulla sistemazione delle strade comunali. I prefetti poi dovevano mandare una relazione riepilogativa al ministro dei lavori pubblici. Nella maggior parte dei casi i comuni si avvalsero degli uffici del Genio Civile per la progettazione, la direzione e la sorveglianza dei lavori.
Sviluppo della viabilità e leggi sulle strade provinciali
La situazione economica del giovane Regno d’Italia, nei primi dieci anni dalla sua costituzione, non era certamente florida, e Benedetto Croce1, così descriveva il periodo storico: “Terminata la poesia del Risorgimento, si doveva provvedere alla costruzione del nuovo Stato, con il bilancio già provato dai costi per l’unificazione”. La situazione peggiorò nel giugno 1866, quando l’inizio della terza guerra d’indipendenza coincise con una crisi internazionale di liquidità. Come si evince da
un recente libro di Fernando Salzano2, il gettito delle imposte era insufficiente a coprire la spesa pubblica, mentre l’indebitamento era salito di anno in anno portandosi al 95% del Pil. La fase espansiva dei mercati finanziari internazionali consentiva di collocare i titoli di Stato con relativa facilità, ma il prezzo da pagare era l’aumento degli interessi a carico del Tesoro. “Il differenziale di rendimento - lo ‘spread’ diremmo oggi - con i titoli più richiesti sul mercato, quelli inglesi, era vicino ai 550 punti base. [...] Sembra quasi di leggere un articolo di cronaca di questi anni, invece è lo scenario economico-finanziario dell’Italia nel primo decennio postunitario: un secolo e mezzo fa”. Stretto nella morsa del debito, delle spese di guerra e del complesso riassetto amministrativo, il giovane Stato italiano dovette affrontare anni di sacrifici e di politiche impopolari3 per evitare un fallimento dalle conseguenze imprevedibili. Tuttavia, in questo contesto non diminuirono mai le risorse destinate allo sviluppo delle reti ferroviarie e stradali. Fin dalla costituzione del Regno d’Italia, l’intera classe politica fu sostanzialmente d’accordo sulla necessità di sviluppare le comunicazioni tra le varie regioni del regno attraverso la costruzione di ferrovie e di strade nella convinzione che reti stradali e ferroviarie efficienti ed estese capillarmente sull’intero territorio nazionale avrebbero accresciuto la ricchezza e le risorse finanziarie dello Stato. A tal proposito, Agostino Depretis, che era stato ministro dei Lavori pubblici e presidente del Consiglio superiore dei LL.PP., in una celebre relazione alla Commissione bilancio della Camera dichiarò: “Le spese che si stanziano nel bilancio dei lavori pubblici aumentano nel modo più visibile e diretto il valore capitale ed il reddito patrimoniale della nazione e, quando siano erogate sapientemente, ritornano ben presto all’erario”, poi aggiunse, con specifico riferimento alle strade: “La costruzione delle strade è una vera economia per lo Stato e che, se l’affrettarla potrebbe essere utile in prospere condizioni finanziarie, è assolutamente indispensabile ed urgente nelle condizioni in cui lo Stato si trova. Quello che oggi si trova a spendere per le strade, lo Stato lo riavrà moltiplicato allorché le strade saran fatte”. Anche l’ingegner Quintino Sella, noto ministro delle finanze, presentando nel 1870 al Parlamento i “provvedimenti per il pareggio di bilancio”, affermava che “non sarebbe stato un atto di buona economia rallentare i lavori pubblici già iniziati o già programmati, specialmente le strade nelle province meridionali, il cui sviluppo soprat-
1. Benedetto Croce, Storia d’Italia dal 1871 al 1915, Bari, 1928. 2. Fernando Salsano, Quintino Sella ministro delle Finanze - Le politiche per lo sviluppo e i costi per l’Unità d’Italia, il Mulino, Bologna 2013. 3. Come la “tassa sul macinato” istituita dal Ministro delle finanze Cambray nella primavera del 1868 e impropriamente attribuita a Quintino Sella che comunque ne fu relatore alla Camera. 4. Dopo le dichiarazioni di Quintino Sella, cui poi seguirono negli anni successivi i fatti concreti della realizzazione della rete ferroviaria e del miglioramento e completamento della rete stradale, contemporaneamente al raggiungimento dell’obbiettivo che sembrava irraggiungibile del “pareggio di bilancio”, non è necessario alcun commento se non quello di proporre di costruire una statua in onore dell’ing. Quintino Sella, analoga a quella che da oltre cento anni è posta davanti al Ministero dell’Economia e Finanza, anche a Porta Pia davanti al Ministero delle Infrastrutture (già dei Lavori pubblici), con la speranza che possa illuminare contemporaneamente i responsabili dei due dicasteri.
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TAB. 2 LO SVILUPPO DELLA RETE STRADALE IN ITALIA DAL 1862 AL 1910 Anni
Strade Nazionali
Strade Provinciali
Strade Comunali
Totale
1862
13.900
9.100
67.200
90.200
1878
8.295
25.100
78.305
111.700
Δ 1862
- 5.605
+ 16.000
+ 11.105
+ 21.500
1910
8.305
44.700
94.405
147.410
Δ 1878
+ 10
+ 19.600
+ 16.100
+35.710
Δ 1862
- 5.595
+ 35.600
+ 27.205
+ 57.210
tutto dalle strade dipende”. L’anno seguente nel proporre una spesa inalterata per le opere pubbliche nel bilancio dello Stato per il 1872, esclamava: “Signori, il ministero conta di non potere fare riduzioni sopra il bilancio dei lavori pubblici; imperocché troppi sono ancora i lavori di cui l’Italia ha bisogno per considerazioni tanto economiche che strategiche, ed io per la parte mia, crederei di fare un’opera veramente dannosa alla finanza quando non si completassero”4. Mentre le strade nazionali, poterono sempre usufruire dei finanziamenti necessari e della competente ed attenta guida degli ingegneri del genio civile, per le strade provinciali e comunali sorsero invece gravi problemi per la mancanza, sia di finanziamenti che di competenze tecniche. Con il passare degli anni il Governo si accorse dello stato di abbandono in cui si trovavano le strade provinciali, che erano state escluse dai contributi statali dalla legge fondamentale del 1865, sia per la loro costruzione, che per la loro sistemazione e manutenzione; si decise, pertanto, di aiutare le province nel loro gravoso ed oneroso compito. Ciò fu attuato con sei leggi successive: a) la legge 27 giugno 1869, n. 5147 con la quale fu formulato un primo programma di strade provinciali da costruirsi nel mezzogiorno e per il metodo di esecuzione e per la spesa si stabilivano tre serie: I° serie tre strade nelle province di Aquila, Ascoli e Potenza (con-
12
tributo dello Stato pari al 75%, il rimanente 25% alle province; II° serie sette strade nelle province di Ascoli, Potenza, Teramo, Salerno, Bari, Cosenza e Catanzaro (contributo dello Stato pari al 50%, ed il rimanente a carico delle province); III° serie sei strade nelle province di Potenza, Catanzaro e Reggio Calabria (contributo dello Stato 33%, il rimanente 67% a carico delle province). Fu anche stabilita una larghezza minima della carreggiata stradale non inferiore a 5 m. La lunghezza totale delle strade realizzate per effetto della legge fu di 1.076 km. b) con la legge 30 maggio 1875, n. 2521 fu autorizzata l’esecuzione di altre 62 strade provinciali: 20 di I° serie, 29 di II° serie e 3 di III° serie per complessivi 3.200 km così ripartiti: 165 km nelle province settentrionali (Udine e Belluno); 83 km nelle province centrali (Modena, Reggio Emilia, Perugia e Roma); 2960 km in 18 province meridionali ed insulari. c) la legge 23 luglio 1881, n. 333 per “la costruzione di opere nuove straordinarie stradali ed idrauliche”; d) la legge 30 giugno 1886, n. 266 “Assegnazione e ripartizione di fondi per la costruzione di strade nazionali e provinciali”; e) la legge 19 luglio 1894, n. 338 che sospese la costruzione obbligatoria delle strade comunali; f) la legge 8 luglio 1903, n. 312 che ha previsto nuovi finanziamenti per stimolare i comuni nella costruzio-
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ne di nuove strade, per complessivi 1.600 km di strade, così ripartite: 1.000 km al Nord, 300 km al centro e 300 km al Sud. In tab. 2 è riportato lo sviluppo della rete stradale italiana tra il 1862 e il 1910, durante il quale sono stati costruiti oltre 57.210 km di strade, con una media di oltre mille chilometri all’anno. A fronte di un forte sviluppo della rete stradale provinciale, (aumentata nel periodo in esame da 9.100 km a 44.700 km) e di un altrettanto elevato sviluppo della rete comunale (nello stesso periodo aumentata da 67.200 km a 94.405), colpisce la diminuzione delle strade nazionali che nel 1910 hanno una lunghezza complessiva (8.305 km) pari al 60% rispetto a quella del 1862 (13.900 km). Ciò è evidentemente dovuto al contestuale sviluppo della rete ferroviaria e alla disposizione della legge fondamentale dei lavori pubblici 1865 di declassare come provinciali i tratti di strade nazionali che congiungono due località entrambe già collegate con la ferrovia. La disposizione della legge, trovava la sua piena giustificazione nel fatto che nella seconda metà dell’ottocento, il trasporto ferroviario era di gran lunga più competitivo, in quanto molto più veloce e confortante rispetto a quello stradale, ancora costituito da carri e carrozze trainate da cavalli. La situazione si ribalterà completamente nel Novecento con l’avvento delle automobili. Questo sarà argomento che tratteremo su un prossimo numero di leStrade. ■■ 13
11. Automobili davanti al Colosseo, a Roma, agli albori della motorizzazione
12. La statua di Quintino Sella davanti al Ministero dell’Economia e delle Finanze a Roma
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Trafori Alpini
Sempione, il primo a doppia canna
(Prima Parte)
COMPIRÀ QUEST’ANNO 110 PRIMAVERE IL TRAFORO DEL SEMPIONE, GRANDE OPERA FERROVIARIA A CUI MILANO DEDICÒ L’ESPOSIZIONE UNIVERSALE DEL 1906. PER 75 ANNI TUNNEL FERROVIARIO PIÙ LUNGO DEL MONDO, IL SEMPIONE È STATO IL PRIMO TRAFORO A ESSERE DOTATA DI GALLERIA DI SERVIZIO, DIVENTATA NEL 1921 UNA VERA E PROPRIA SECONDA CANNA, ED È TUTTORA UN MODELLO DA STUDIARE SIA SUL PIANO TECNICO SIA PER LA GESTIONE DELLE MAESTRANZE, OSPITATE IN UNA CITTÀ AD HOC. DI SEGUITO, LA PRIMA PARTE DI UN VIAGGIO TRA LE PAGINE DELLA SUA STORIA ESEMPLARE.
I
l traforo ferroviario alpino del Sempione collega l’Italia con la Svizzera unendo le stazioni di Iselle (Novara), in Val d’Ossola e Briga, nel cantone del Vallese. La galleria, scavata sotto il monte Leone (3.552 m), appartenente al complesso delle Alpi Pennine, ha una lunghezza complessiva di circa 19.800 m, di cui metà scavati in territorio italiano e metà in territorio svizzero (fig. 1). In ordine cronologico è il secondo traforo ferroviario alpino, il primo fu il S. Gottardo di lunghezza 15.000 m, inaugurato il 22 maggio 1882. Il traforo del Sempione fu inaugurato il 19 maggio1906 e venne
celebrato in occasione dell’Esposizione Universale di Milano del 1906 (fig. 5). Il traforo (19.803 m), a doppia canna (fig. 2), ha detenuto per 75 anni il record di galleria ferroviaria più lunga del mondo. Per la prima volta venne realizzata una seconda canna come galleria di servizio, parallela al principale e con una sezione più piccola. Le due gallerie, distanti tra loro 17 m, erano collegate da 98 cunicoli trasversali situati ogni 200 m. La galleria di servizio doveva servire soprattutto nella fase costruttiva per lo scolo delle acque di risulta, che furono particolarmente abbondanti e per la ventilazione all’in-
Ilenia Leoni
Ingegnere Commissione permanente Gallerie Consiglio Superiore Lavori Pubblici Membro Associazione del Genio Civile
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1. Planimetria storica del Traforo del Sempione 2. Il doppio imbocco del tunnel
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3. Il giorno dell’ultima perforazione è giunto: è il 24 febbraio 1905 2
4. Veduta di Balmanolesca, la città del “Sempione”
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5. Locandina dell’Esposizione di Milano del 1906
terno della galleria principale. In tal modo furono migliorate le condizioni di vivibilità degli operai durante lo scavo. Si contarono comunque 58 morti sul lavoro, ancora molto numerosi ma inferiori alle 200 vittime registrate venti anni prima nella costruzione della galleria del S.Gottardo. Particolare attenzione fu data anche alla sistemazione logistica degli operai per i quali fu costruita la piccola cittadina in località Balmalonesca (fig. 4) nella quale furono ospitate anche le famiglie degli operai. Il Trattato italo-elvetico per la costruzione della galleria fu stipulato il 25 novembre 1895 ed i lavori iniziarono nell’agosto 1898. Furono impiegati circa 5.000 operai suddivisi in tre turni di otto ore; l’ultimo diaframma è stato abbattuto nel febbraio 1905 (fig. 3), con un avanzamento medio di circa 130 m/mese da ciascun lato. Dopo l’inaugurazione ufficiale nel 1906, il traffico fu subito molto elevato e si decise di utilizzare la clausola del trattato che consentiva di utilizzare la
galleria di servizio, dopo averla opportunamente allargata. La seconda canna entrò in esercizio nel 1921 e risultò di 20 m più lunga (a Briga fu necessario un prolungamento in artificiale).
Storia della “strada del Sempione”
Il traforo è situato lungo un antichissimo itinerario detto “del Sempione” dal nome di un piccolo paese, Simplon, situato a sud del passo in territorio svizzero. Il valico è stato, fin dal tempo dei Romani, un’importante via di comunicazione per il commercio e per le spedizioni militari tra la Pianura Padana e l’alto Rodano. Per esso scesero in Italia i Burgundi di Guidobaldo (189 d.C.) e successivamente, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.), i Longobardi (569 d.C.) e i Saraceni (911- 937 d.C.). Con la caduta dell’Impero Romano la mulattiera venne abbandonata, ma non l’idea di attraversare il Passo (2.009 m) che mette-
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va in comunicazione la Valle Padana con la Valle delle Saltine e quindi con quella del Rodano. Il primo passaggio documentato del Sempione risale al 1254 quando vi transitò l’arcivescovo Odo di Rouen in viaggio per Roma, nel 1267 il Vescovo di Sion garantì protezione ai mercanti italiani e si adoperò per il mantenimento delle strade di fondovalle. Il valico per molti secoli rimase transitabile, sia pure con grandi difficoltà per i viandanti, alcuni documenti dell’epoca riportano che il tempo di transito nella bella stagione era di circa 12 ore. Dopo la pace di Campoformio, nel 1797, Napoleone stipulò un accordo tra la Francia, la Repubblica Cisalpina e la Repubblica Vallese, per la costruzione di una “vera strada” tra il lago di Ginevra e il lago Maggiore attraverso la valle del Rodano e il Sempione (figg. 6, 7). Il progetto prevedeva la costruzione di numerosi viadotti, di giganteschi muraglioni di contenimento e di 4 gallerie (per una lunghezza totale di scavo di 500 m) tra le quali la più importante e difficile fu quella del Gondo (L=182 m), di dimensioni 8 m x 6 m di altezza in cui, grazie a due grosse aperture a strapiombo sul torrente Diveria, la luce vi penetrava naturalmente. La sua costruzione richiese ben 15 mesi di lavoro con turni continui e ingenti perdite di vite umane: “più di quattrocento uomini perirono per incidenti causati dalle mine!”1 I lavori, avviati nel 1801, comportarono l’impiego di 5.000 operai che, nel tempo record di soli cinque anni, riuscirono a completare l’opera. Milano, capitale della Repubblica Cisalpina, era così collegata direttamente, attraverso il Sempione, con Ginevra e quindi con Parigi; Domodossola era l’ultima stazione di posta per le carrozze prima della salita alpina. La prima idea di un traforo ferroviario attraverso il Monte Leone fu del finanziere francese La Valette, nel 1850, quando ancora nessun valico alpino era stato perforato2; il suo scopo era potenziare i collegamenti commerciali tra Europa e Italia e ottenere dal governo elvetico e dal Piemonte la concessione per le linee di accesso al valico e l’esclusività dei trasporti, sia passeggeri sia merci.3 Ma dovettero passare molti anni prima che l’idea si concretizzasse. La Svizzera, l’Ossola, le città di Milano e di Genova avevano accolto con molto entusiasmo l’idea, ma il governo italiano non mostrò grande interesse soprattutto a
causa delle difficoltà economiche che furono superate solo molti anni dopo grazie alla compagnia ferroviaria elvetica Jura - Simplon, proprietaria di circa un terzo delle linee ferroviarie svizzere e con l’appoggio di banche tedesche.
Scelta del progetto
Nel periodo tra il 1857 e il 1893 furono presentati al Comitato promotore (istituito nel 1877) una trentina di progetti: alcuni prevedevano una galleria di base di lunghezza tra 12 e 20 km, come quelli proposti da Clo e Venetz (1857), Vauthier (1860), Lommel (1864), Favre4 e Clo (1875) e Meyer (che presentò 5 progetti dal 1881 al 1889)5, altri invece gallerie di sommità, meno costose, ma anche meno adatte a un intenso commercio internazionale, come i 3 progetti presentati da Flachat (1860), Thouvenot (1863) e per ultimo Masson e Chapuis (1892). Nella Conferenza del 20 marzo del 1904 presso il Circolo filologico milanese il prof. A. Mallarda, geologo impegnato durante gli scavi, descrive così alcuni dei progetti proposti: “Vi sono dei progetti singolarissimi, concepiti ora sotto l’ influsso dell’entusiasmo prodotto dalle prime perforatrici del torinese Sommeiller, animate dall’aria compressa, alla quale si vaticinava un avvenire di fortunate applicazioni, che le fu tolto dall’elettricità; ed ora sotto l’influsso scoraggiante dell’ignoto che attendeva le lunghe gallerie nelle viscere terrestri e specialmente dell’altissima temperatura che vi si sarebbe ritrovata. Ricorderò, fra i progetti più curiosi, la ferrovia a regressi di Lehaitre e Mondesir, vera linea a zig-zag, lungo la quale la locomotiva ora e in testa ed ora e in coda al treno, ed infilando una serqua di novanta gallerie prolunga di venti chilometri, rispetto alla strada napoleonica, la distanza fra Domo e Briga; il primo progetto di Flachat, con pendenze del 60 per 1000, ove tutti i vagoni hanno stantuffi e si comportano come locomotive; lo stranissimo progetto del colonnello De Bange (1886), che fa salire tutto il treno sopra un’enorme locomotiva-ponte della lunghezza di 35 metri, con venti paia di ruote, e comprende gallerie di 10 metri di altezza; il progetto di Agudio, con otto chilometri di gallerie artificiali in lamiera di ferro”. Nel 1893 il Comitato promotore scelse il progetto dell’ingegnere svizzero J. Dumur della compagnia ferroviaria del Jura-Simplon, detto del tunnel a forcella: era il progetto concettualmente più semplice e nello stesso tempo più innovativo e ardito.
6. Strada napoleonica del Sempione e traforo a confronto 7. Cartolina raffigurante un corriere postale a Simplon, in Svizzera Fonte: collezione A. Gamboni
1. Cfr. R. Franchi e D. Monti, Da Milano a Briga attraverso il Sempione. Itinerari d’arte e turismo, 1999. 2. Il lavori per il traforo del Fréjus iniziarono nell’agosto 1857 (inaugurazione: 17 settembre 1871) mentre quelli per il traforo del Gottardo il 1872 (inaugurazione: 23 maggio 1882). 3. La questione dei valichi alpini, assai dibattuta già all’epoca di Cavour e della destra storica, aveva portato alla costruzione dei trafori del Fréjus e del Gottardo, senza tuttavia raggiungere i risultati sperati nel miglioramento dei traffici commerciali, specialmente a favore del porto di Genova. Cfr. G. Guderzo, La politica dei trafori e la scelta del Fréjus nel programma di sviluppo della Padania subalpina, Torino 1971. 4. L’ing. L. Favre, ingegnere svizzero titolare dell’impresa alla quale fu appaltata la costruzione del traforo del Gottardo, propose un tunnel di base il più basso possibile. 5. A. Jean Meyer, ingegnere capo della Compagnia Jura-Simplon, fu uno dei più attivi sostenitori della costruzione del traforo. Il progetto del 1881-82 prevedeva tre alternative: due a est del monte Leone e uno ad ovest, mentre i due progetti (1886-87) non furono accettati dall’Italia dal momento che avevano entrambe gli imbocchi sul territorio svizzero così come quello del 1889 (il governo italiano pose la condizione essenziale che il tunnel si trovasse per metà della sua lunghezza su suolo italiano). Cfr. V. Palonceau, Doppler, Dumur, Huber, Rapport des experts sur le percement Du Simplon, Lausanne 1886.
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6. L’impresa era composta dalla ditta Brandt e Brandau di Amburgo, che avrebbe costruito i tunnel, dalla Banca di Winterthur e dalle ditte Locher e C. di Zurigo e Sulzer frères di Winterthur. 7. Sezioni e profili della galleria, Cfr. ing. G.B. Biadego, I grandi trafori alpini: Frejus, San Gottardo, Sempione ed altre gallerie eseguite a perforazione meccanica, Milano 1906.
8. Profilo altimetrico. La quota massima (705 m slm) è decisamente bassa rispetto a quella di altri trafori alpini. L’imbocco di Briga (sx) è a quota 686 m, quello di Iselle (dx) è a 634 m. Il dislivello tra gli imbocchi è dunque pari a 52 m. 9. Progetto degli imbocchi svizzero e italiano
Il progetto
Il progetto prevedeva lo scavo di due gallerie parallele, una principale a doppio binario e di dimensioni maggiori e una di servizio. Le due gallerie, distanti 17 m, erano collegate da una serie di cunicoli trasversali (dette traverse) ogni 200 m. Solo nel tratto centrale, per circa 500 m, le gallerie avevano la stessa dimensione per consentire lo scambio dei treni. Le gallerie avrebbero attraversavato il monte Leone (3.552 m), con una lunghezza di circa 19.731 m, di cui poco meno di 11 km ricadenti in territorio italiano e 9 km in territorio elvetico. Era la prima volta che veniva proposto un sistema del genere: la seconda galleria doveva servire, soprattutto in fase costruttiva, per la ventilazione e per lo scolo delle acque che, a differenza delle previsioni progettuali, risultarono molto abbondanti. A causa delle difficoltà economiche, la ditta appaltatrice Brandt, Brandau e C.6 propose di sdoppiare la galleria per tutta la lunghezza, riducendo i due tunnel alla larghezza necessaria per un solo binario in modo da poterne completare solo una e lasciare l’altra allo stato di semplice cunicolo fino al reperimento di nuovi fondi. Da un punto di vista altimetrico l’imbocco italiano, situato nella valle della Diverta, a Iselle di Trasquera, era posizionato a circa 634 m s.l.m mentre quello svizzero, presso Briga, a 686 m s.l.m., il dislivello degli imbocchi è quindi di circa 52 m. Per non lavorare in contropendenza nel tratto svizzero si decise di dare al tracciato 2 pendenze opposte: sul versante sud la pendenza fu del 7‰ per un tratto di circa 10 km, mentre sul versante nord, per circa 9 km, fu del 2‰ (fig. 8). Da un confronto con gli altri trafori alpini emerge che quello del Sempione ha il vantaggio di essere il più basso (Qmax= 702.50 m s.l.m.), vantaggio che si traduce in un minore consumo di energia motrice e quindi una maggiore rapidità ed economia del traffico (il traforo del Frejus raggiunge la quota massima di 1295 m s.l.m., il S. Gottardo di 1154 m s.l.m e l’Alberg di 1310 m s.l.m.). In corrispondenza di entrambe gli imbocchi il progetto prevedeva la cosiddetta galleria di direzione, il cui unico scopo era quello di garantire l’esatta direzione di scavo dal momento che, per ragioni di raccordo con le linee esi-
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stenti, il tracciato presentava agli ingressi 2 curve in senso contrario (fig. 9). Le gallerie di direzione sarebbero state poi chiuse a fine lavori. Erano previste 5 Sezioni tipo (Profili) la cui applicazione variava in funzione delle condizioni geomeccaniche dell’ammasso roccioso, del carico geostatico e della pressione laterale prevista. I profili, di cui solo il n. I era previsto senza rivestimento avevano le seguenti caratteristiche7: • Profilo I: In roccia compatta e a stratificazione regolare, senza rivestimento. Non fu applicato. Area totale di scavo=25,24 m2 + 0,44 m2 per l’acquedotto (Atotale=25,68 m2); • Profilo II: in roccia richiedente un semplice rivestimento e nella quale la stratificazione non è regolare. Piedritti e volta in conci di pietrame (bolognini). Spessore del rivestimento in chiave: 0.35 m. Area totale di scavo, compreso il rivestimento, A=31,62 m2. Area del rivestimento: volto 2,80 m2, piedritti 3.20 m2; • Profilo III: in terreni di pressione media: piedritti in conci di pietrame (bolognini ) e volta in conci di pietra da taglio, con spessore di 0,40 m. Area totale di scavo, compreso il rivestimento, A=34,80 m2. Area del rivestimento: volto 3,00 m2, piedritti 6,20 m2; • Profilo IV: in terreni con forte pressione verticale: piedritti in muratura a corsi regolari. Volta in pietra da taglio di spessore 0,60 m. Area totale di scavo, compreso il rivestimento A=37,05 m2. Area del rivestimento: volto 5,05 m2, piedritti 6,35 m2; 9
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42 • Profilo V: in terreni con forti pressioni verticali e in decomposizione: piedritti in muratura a corsi regolari, marco rovescio di spessore 0,40 m e volto di 0,60 m di pietra da taglio. Area totale di scavo A=40,50 m2. Area del rivestimento: volto 5,10 m2, piedritti 6,60 m2, arco rovescio 3,20 m2. Lungo lo sviluppo del tunnel erano inoltre previste: • nicchie, di dimensioni 2 m x 2,30 m di altezza, ogni 100 m e posizionate su un lato; • camere, di dimensioni 3 m x 3,10 m di altezza, profonde 3,00 m ogni 1000 m; • 4 cameroni di dimensioni 4 m x 3,10 m di altezza e di profondità pari a 6 m.
Stipula del trattato
Il 25 novembre 1895 i governi di Italia e Svizzera firmarono a Berna il Trattato internazionale per la “Costruzione ed esercizio di una linea ferrovia Domodossola-Briga”, che venne approvato in Italia con la legge del 3 agosto 1898: il Governo svizzero si impegnava nella costruzione e nel futuro esercizio delle linea fino alla stazione di Iselle, mentre il nostro Governo nella costruzione e esercizio del tronco Domodossola-Iselle. Secondo il Trattato la concessione della futura linea doveva essere accordata alla Compagnia del Jura-Simplon ad eccezione del tratto Iselle-Domodossola. Il Governo svizzero si impegnava a corrispondere alla compagnia 4 milioni e mezzo di lire, mentre il Governo italiano avrebbe pagato un canone annuo di 66.000 Lire per tutta la durata della concessione (99 anni), da parte degli altri enti svizzeri (Cantoni, comuni…) era previsto un contributo di 10 milioni e mezzo mentre gli altri 4 milioni e mezzo sarebbero stati versati da provincie e comuni italiani. Nel febbraio del 1896 fu firmata a Roma la Convenzione e il Capitolato d’oneri, la costruzione della ferrovia era così assicurata. Il 15 aprile 1898 fu stipulata la Convenzione definitiva tra la Compagnia del Jura-Simplon e l’impresa svizzero-tedesca Brandt & Brandau che avrebbe dovuto eseguire i lavori, con un contratto a forfait di 54 milioni e mezzo per la costruzione della galleria principale e di 15 milioni per il completamento della galleria di servizio. 10
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L’importo era così ripartito: Totale
Al metro
Istallazioni e cantieri
L. 7.000,000
L. 355
Tunnel principale completo compresa la massicciata e la posa della via+galleria di servizio in sezione ridotta+gallerie trasversali
L. 47.500,000
L. 2407
Eventuale completamento del secondo tunnel ad un binario esclusa la massicciata e la posa della via
L. 15.000,000
L. 760
Totale
L. 69.500,000
L. 3.522
Il tempo concesso per la costruzione era di 5 anni a partire dalla metà del novembre 1898. Nel corso dei lavori a causa dalle notevoli difficoltà incontrate la somma venne aumentata di 4 milioni circa per la galleria principale e di 4 milioni e mezzo per quella di servizio, e fu concessa anche una proroga di circa due anni. Il contratto prevedeva una cauzione di 5 milioni di lire che veniva ridotta a 2 milioni dopo l’ultimazione e il collaudo della galleria principale, a 1 milione dopo 2 anni e a 500.000 lire dopo 3 anni. Secondo il contratto l’impresa era libera di condurre i lavori nel modo che riteneva migliore, ma doveva assumersi tutti i possibili rischi e i pericoli che si sarebbero potuti avere (le infiltrazioni di acqua, le alte temperature, le sorprese geologiche, ecc…). Da ciò erano esclusi solo i casi di forza maggiore come le guerre a cui avrebbero partecipato l’Italia o la Svizzera, le epidemie e i terremoti: solo in questo caso si sarebbe avuta una proroga per l’ultimazione dei lavori. Nell’applicazione delle Sezioni Tipo l’impresa era libera di applicare quella che reputava più opportuna e qualora le condizioni lo avessero richiesto, anche sezioni tipo più pesanti rispetto a quelle previste in progetto. La galleria principale doveva essere rivestita per tutta la sua lunghezza mentre quella di servizio solo dove si rendeva necessario; nel caso in cui l’impresa ritenesse opportuno non mettere in opera il rivestimento, veniva sottratta dalle somme pattuite dal contratto una cifra a forfait di 286 lire/ml per la galle-
10. Copertina del progetto del 1893 11. Confronto tra i diversi trafori alpini in termini di quota altimetrica degli imbocchi, lunghezza e quota massima raggiunta dai tracciati 12. Galleria elicoidale di Varzo
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13. L’imbocco sud: da sinistra si vedono l’ingresso di galleria di direzione, galleria di servizio e galleria principale 14. Sezioni della galleria di servizio e della galleria principale 15, 16. Imbocco sud a Iselle
ria principale e 146 lire/ml per la galleria di servizio. Il Trattato comprendeva anche lo scavo di 5 gallerie di dimensioni minori tra Domodossola e Iselle tra cui la più interessante è la galleria elicoidale di Varzo (L=2.965 m), che percorrendo un cerchio perfetto del diametro di 1 km supera un dislivello degli imbocchi di 144 m evitando un’eccessiva pendenza per il treno (fig. 12). Il Trattato prevedeva inoltre la possibilità di utilizzare la galleria di servizio in caso di un auspicabile aumento di traffico previo allargamento e posa in opera di un secondo binario. La lunghezza della galleria prevista nel Contratto era di 19.700 m per la principale e di 19.750 m per quella di servizio. Nell’agosto del 1898 iniziarono i lavori (il 1° agosto sul fronte svizzero e il 16 su quello italiano) sotto la direzione degli ingegneri Brandau, Brandt, Locher e Sulzer. Dopo solo un anno dall’inizio dei lavori morì, precocemente per infarto, l’ingegner Brandt, non solo grande sostenitore del progetto ma anche ideatore delle perforatrici ad acqua compressa, utilizzate per lo scavo.
Innovazione e primati: il caso della seconda galleria
Il traforo ha detenuto per ben 75 anni il record di galleria ferroviaria più lunga del mondo, i trafori del Monte Cenisio, del S. Gottardo e dell’Alberg scavati precedentemente avevano rispettivamente una lunghezza di 12.849 m, 14.984 e 10.240 m; il record è stato superato solamente nel 1982 dalla galle-
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ria giapponese Daishimizu di 22.221 m. Il traforo, oltre il record della lunghezza, si caratterizza per avere altri 2 primati o meglio novità assolute per l’epoca: per la prima volta si realizzò una seconda galleria a servizio della galleria principale e per la prima volta si costruì di una vera e propria città, Balmalonesca, per la sistemazione degli operai e delle famiglie (di quest’ultimo aspetto ci occuperemo con maggior dovizia di particolari sul prossimo numero). Come già accennato, il progetto prevedeva lo scavo di 2 gallerie, distanti tra loro 17 m, e collegate ogni 200 m da cunicoli trasversali. Le due gallerie avevano dimensioni diverse: la principale era più grande (8 x 5 m di larghezza) e l’altra più piccola (2,50 x 3,20 m di larghezza) in quanto doveva fungere da galleria di servizio (figg. 13, 14) e assolvere a numerosi compiti: il passaggio delle condutture di acqua in pressione per l’alimentazione delle perforatrici meccaniche e del sistema di refrigerazione, condotto per l’immissione di aria per il sistema di ventilazione, da canale di scolo delle acque sotterranee e per il trasporto dei treni (secondo l’organizzazione del cantiere i treni dovevano entrare nella galleria di servizio e uscire in quella principale). L’idea dell’utilizzo della seconda canna (figg. 15, 16) come condotto di ventilazione, di cui si parlerà dopo, fu maturata a seguito della negativa esperienza del S. Gottardo dove molti operai erano morti a causa delle elevate temperature e di una ventilazione insufficiente. La temperatura massima che venne raggiunta nel S. Gottardo fu di 31°C men-
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44 tre nel Sempione si prevedeva8 una temperatura massima di 44°C che fu di gran lunga superata dato che vennero raggiunti ben 52°C nel punto di massima altezza del monte Leone. Fu sempre grazie alla galleria parallela che si riuscirono a superare le ingenti venute di acqua anche a forti pressioni e a elevate temperature (al km 10,143 furono intercettate due sorgenti termali di 70 l/s a una temperatura di quasi 50°C). Nelle previsioni progettuali le probabilità di venute d’acque erano molto basse per cui il canale di scolo scavato in destra (50x60 cm) nella galleria di servizio sembrava più che sufficiente a convogliare e a raccogliere verso l’esterno le eventuali acque che si sarebbero incontrate. Ma non fu così e in un tratto di soli 200 m si trovarono ben 40 sorgenti, alcune con una portata di 1000 l/s (fig. 17). Il prof. A. Mallarda descrive così le venute d’acqua in galleria ”Il primo e più potente irrompere dell’acqua nel tunnel N. 1, avvenne la sera del 30 Settembre, mentre si eseguiva l’ultima perforazione della giornata, cioè verso la mezzanotte. Uno dei tre fioretti delle perforatrici, che lavorava inclinato verso il suolo della galleria, giunto a circa mezzo metro di profondità, fu energicamente respinto all’indietro, e dal foro iniziato si sprigionò all’istante un violentissimo getto d’acqua rossiccia, per 1’ossido di ferro tenuto in sospensione, cosicché tutti gli operai ne rimasero intrisi e qualcuno fortemente colpito. Si parla di una pressione di 200 atmosfere, equivalente ad una colonna d’acqua dell’altezza di 2000 metri; altri più modestamente si attenne alle 150 e qualcuno discese fino alle 100, per di sicuro e in via assoluta nessuna cifra si può affermare, mancando del tutto i mezzi e i dati per la misura, non potendosi nemmeno calcolare sul diametro del foro pel dubbio se il ferro fosse o no rimasto nella roccia. Solamente dal canale di scolo, si potè avere il quantitativo dell’acqua, pari a circa 250 litri al minuto secondo. Ma di certo la pressione doveva essere enorme, poiché lo zampillo, percuotendo con fortissimo rombo il soffitto del cunicolo, si rompeva in un vero diluvio, che riempiva l’avanzata per 30 o 40 metri, così da togliere il respiro. Per circa tre giorni l’affusto colle sue perforatrici rimase sotto quell’acquazzone, dopo i quali potè esserne ritirato con grande stento da alcuni valorosi, che più e più volte si erano accinti al difficile compito. La rigida colonna d’acqua,
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solida e liquida nello stesso tempo, rappresentò da quel giorno le colonne d’Ercole degli antichi, precludendo la via all’avanzamento”. La galleria di servizio veniva scavata con i mezzi meccanici con una sezione di 6 m2 e successivamente veniva allargata con i mezzi ordinari fino a 8 m2, nei tratti in cui era previsto il rivestimento le dimensioni di scavo erano 4,3x 2,75 m (A=11,82 m2). Nel rapporto del terzo trimestre del 1900 si legge: “È da osservare che l’avanzamento della galleria parallela è sempre più forte che nella galleria n. I. Questo fatto si è mantenuto anche quando si sono trasportato, nella galleria parallela, i minatori della galleria n. I. La causa è forse da ricercarsi nello scotimento della roccia per effetto dei colpi di mina del tunnel n. I”. I cunicoli trasversali di collegamento avevano una larghezza minima di 2,40 m e una sezione di 6 m2, mediamente se ne realizzavano 2-3 per trimestre, il tempo di realizzazione era di circa 15-20 giorni. Venivano scavati a mano e non erano rivestiti ad esclusione degli ultimi 2 m in corrispondenza della galleria principale dove venivano posti in opera 5 archi retti di lunghezza L=50 cm. nn
17. Operai al fronte davanti a una sorgente 18. Immagine attuale dei due imbocchi del traforo sul lato Svizzera
8. Le esperienze maturate durante gli scavi dei precedenti trafori e gli studi dell’epoca avevano portato alla conclusione che la temperatura della terra aumentasse, superati i primi 30 m in cui la temperatura rimane costante, di 1 ogni 50 m di copertura, per cui, considerando una copertura massima di 2200 m erano stai stimati 44°C.
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45 Trafori Alpini
Sempione, modello di tecnica e lavoro
(Seconda Parte)
PROSEGUE E SI CONCLUDE IL RACCONTO STORICO DEDICATO AL TRAFORO DEL SEMPIONE, PER 75 ANNI IL TUNNEL FERROVIARIO PIÙ LUNGO DEL MONDO, ENTRATO IN ESERCIZIO ESATTAMENTE 110 ANNI FA, NEL 1906. DOPO AVERNE RACCONTATO LA GENESI PROGETTUALE, CI OCCUPIAMO IN QUESTA PARTE DI ALCUNE QUESTIONI COSTRUTTIVE E IMPIANTISTICHE, NONCHÉ DI UN CASO ESEMPLARE DI GESTIONE DEL PERSONALE IMPIEGATO NELL’OPERA.
I
l primo traforo a essere dotato di una galleria di servizio, nascendo pertanto a doppia canna, compie quest’anno 110 anni, un traguardo che ci aiuta ad accendere i riflettori su una grande opera estremamente significativa e modello da seguire anche per interventi infrastrutturali successivi. Il tunnel ferroviario del Sempione, per 75 anni detentore del primato mondiale di lunghezza nella categoria, è stato inaugurato nel 1906. Il traffico fu subito molto elevato e si decise pertanto di utilizzare la clausola del trattato che consentiva di utilizzare la galleria di servizio dopo averla opportunamento allargata. La seconda canna entrò in esercizio nel 1921. Accanto all’innovazione della seconda canna, l’opera si è contraddistinta, tra l’altro, anche per un innovativo modello di gestione delle risorse umane, potremmo dire, che andava dagli alloggi alle condizioni del lavoro in galleria. Dopo aver iniziato il racconto storico su questa infrastruttura cruciale per il nostro Paese e per l’Europa sul numero di gennaio-febbraio di leStrade (“Sempione, il primo a doppia can-
na”, leStrade 1-2/2016, sezione Gallerie) per completare il discorso ripartiamo proprio da qui.
La città di Balmanolesca
La negativa esperienza del San Gottardo, fu messa a frutto e, fin dall’inizio, si affrontò il problema rilevatosi non secondario, della sistemazione e degli alloggi dei numerosissimi operai (circa 5.000 persone) impiegati nello scavo e arrivati da varie regioni italiane, alcuni anche accompagnati dalle loro famiglie. Nel luogo, dove c’erano solo la caserma, napoleonica e alcune vecchie baite, ben presto sorse un nuovo paese: Balmanolesca (fig. 2). Il paese era composto da casette di legno, costruite lungo la strada del Sempione, su di una superficie di appena mezzo chilometro quadrato; era presente una chiesa (fig. 4, pag. seguente) dedicata a Santa Barbara (la Santa patrona di minatori e vigili del fuoco), un ospedale con circa 30 posti letto, una scuola elementare (fig. 3), una materna per
Ilenia Leoni
Ingegnere Commissione permanente Gallerie Consiglio Superiore Lavori Pubblici Membro Associazione del Genio Civile
1a. Progetto Sempione: fasi di scavo e sezioni tipo
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2. Balmalonesca, la città del traforo 3. Alunni della scuola a lezione
i figli dei minatori (chiamati “trafuret”), numerosi negozi di ogni genere e anche un piccolo cimitero. A Balmalonesca, per sette anni e tre mesi, come ricorda Orio Vergani ci fu “un mondo in cui si parlavano tutti i dialetti d’Italia, dove si trovavano calzolai veneti, cuochi napoletani, vinattieri pugliesi”. Il paese arrivò a ospitare fino a 7.5008.000 abitanti, quando sospesi i lavori dall’imbocco nord in Svizzera, a Briga, gli operai si riversarono tutti sul versante italiano. Dopo la conclusione dei lavori iniziò il suo spopolamento, molti operai, con le famiglie, preferirono tornare ai paesi d’origine. Nel 1920 una piena del torren2
te Diveria, spazzò via alcune case e la chiesa, fortunatamente risparmiò i pochi abitanti rimasti, ma nel 1977 ci fu una nuova piena che demolì completamente il paese. Durante la costruzione del traforo venne prestata particolare attenzione alle norme igieniche, lo stesso ing. Brandau volle la realizzazione di grandi dormitori costruiti secondo moderne regole sanitarie, con le mense e le sale docce dove gli operai, al termine del turno di lavoro, potevano lavarsi e lasciare gli abiti sporchi che erano subito lavati e fatti asciugare in grandi cameroni con l’aria calda (fig. 5, pag. seguente). 3
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Sistema di ventilazione
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Grazie a questi accorgimenti e all’impegno del dott. G. Volante1, un giovane medico piemontese, assunto come direttore sanitario del cantiere di Iselle, nessun operaio morì di ancylostoma dudenale, l’“anemia del minatore” che aveva decimato centinaia di lavoratori al Gottardo o di colera che colpì invece gli operai durante i lavori del traforo del Frejus. Vennero comunque registrati molti morti, ben 58 persone (1 morto ogni 300 m di scavo), tutte di nazionalità italiana; morirono per mine inesplose, massi franati dalla volta, scoppi di tubazioni, schizzi di acqua compressa, gas velenosi o asfissianti, ma nessuno per le malattie che invece colpirono gli operai dei precedenti trafori. I loro nomi sono ricordati su una lapide davanti la stazione di Iselle. Oltre il dottore, meritano di essere ricordati anche il sacerdote Don A. Vandoni, nominato cappellano del Sempione nel 1899 dal Vescovo di Novara; V. Buttis, segretario della Camera del Lavoro di Varzo, inaugurata nel novembre del 1901 e G. Bertina, direttore didattico delle scuole cattoliche di Iselle e Balmalonesca. In particolare V. Buttis, reduce da una lunga esperienza sindacale in Germania, ottenne miglioramenti salariali e delle condizioni di lavoro mentre Don Vandoni, appena ventiquattrenne quando giunse a Balmalonesca, si ricavò una cameretta nell’ospedale, fece erigere la chiesa e organizzò la scuola elementare e la materna, che nell’anno scolastico 1900-1901 contò 427 iscritti (la sera si teneva la scuola serale per adulti e al giovedì i corsi di ricamo e cucito per le ragazze). Il maestro Bertina ottenne per le scuole gli stessi diritti di quelle pubbliche e alla morte di Don Vandoni, continuò il lavoro di assistenza ai figli degli operai.
Il sistema di ventilazione era costituito da un impianto principale mediante il quale veniva immessa aria nella galleria di servizio e da un impianto di refrigerazione che forniva acqua nebulizzata. Era inoltre previsto un sistema di iniezione di aria in corrispondenza delle avanzate in calotta mediante iniettori idraulici e tubi. L’immissione di aria era assicurata da 2 grossi ventilatori centrifughi (Portata=25 m3 di aria) posizionati in corrispondenza degli imbocchi e capaci di funzionare sia in parallelo che in serie. I ventilatori, posti uno sopra l’altro, erano accoppiati a 2 turbine della forza di 250 cav. ciascuna. Venivano immessi 50 m3 di aria/minuto di cui solo 6 m3 si ritenevano fossero sufficienti per la respirazione, il restante era necessario per rinfrescare la roccia. I ventilatori erano capaci sia di introdurre aria all’interno della galleria, funzionando quindi in pressione, che di aspirare aria, funzionando per aspirazione2. Mediante un sistema di porte istallate all’interno delle traverse era possibile immettere/aspirare aria fresca nella galleria di servizio, farla passare nelle ultime due gallerie trasversali e quindi attraversare la galleria principale e uscire (fig. 6). Per evitare che l’aria immessa nel tunnel fuoriuscisse, i portali di ingresso venivano chiusi con dei teloni i stoffa. Secondo l’art. 16 del contratto, “l’impresa è obbligata di provvedere ad una buona ventilazione dei cantieri del tunnel, e quando la temperatura dell’aria dell’ambiente interno si eleverà sopra i 25°C dovrà prendere i provvedimenti necessari per ridurla e mantenerla a questo limite. L’impresa prenderà tutte le disposizioni necessarie per ottenere questo scopo, sia mediante aspersione di acqua fredda polverizzata, o con altro mezzo riconosciuto efficace”. Per la ventilazione del fronte venivano utilizzati degli iniettori idraulici (fig. 7) alimentati con la stessa condotta utilizzata per fornire l’acqua alle perforatrici. Gli iniettori consistevano in tubi forati all’estremità attraverso i quali l’acqua in pressione usciva in filetti dello spessore di 1-1,5 mm. Per migliorare le condizioni degli operai, sempre al fronte, veniva utilizzata una coppia di piccoli ventilatori (ventilatori d’avanzata, Stollen Ventilatoren) che posizionati nella galleria di servizio, immediatamente prima dell’ultimo cunicolo di collegamento, immettevano aria fresca. La coppia di ventilatori era collegata a una turbina Pelton che riceveva l’acqua motrice dalla condotta che alimentava le perforatrici. Man mano che il fronte procedeva i piccoli ventilatori venivano spostati e per evitare interruzioni nel loro funzionamento si aveva
4. La chiesa del paese 5. Bagni degli operai 6. Sistema generale di ventilazione imbocco Sud 7. Disposizione degli iniettori imbocco Sud
1. Il dott. G. Volante, pubblicò un opuscolo sull’Igiene del minatore, dedicato agli operai del Sempione, nel quale descriveva e analizzava le regole e le prassi igieniche per la cura della casa e degli operai (alimentazione, abbigliamento, ore di lavoro e riposo, ecc…) per prevenire lo sviluppo e la diffusione delle malattie che generalmente colpivano i minatori. 2. Dai rapporti trimestrali emerge che durante la costruzione del tunnel l’aria veniva costantemente spinta per la galleria di servizio verso l’interno di quella principale, invece quando si svolgevano le operazioni di tracciamento l’aria veniva aspirata. Dalle Osservazioni intorno alle verifiche del tracciato nella galleria del Sempione dell’ing. M. Rosemund “[…] si potè ottenere una rinnovazione dell’aria in tutte le parti del lavoro e una tale chiarezza per le osservazioni, quale non fu possibile ottenere nella galleria del Gottardo […] la ventilazione per le verifiche speciali si doveva continuare il più delle volte per 24 e anche 48 ore, onde ottenere che l’aria del tunnel, mescolata con l’aria fresca, fosse purificata dal fumo e dai vapori, così da permettere le osservazioni alle maggiori distanze”.
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48 giunta durante lo scavo, nel punto di massima altezza si arrivò a 52°C. L’impresa superò questo tratto, come si legge nei rapporti raccolti nel Giornale del Genio Civile, immettendo 50 m3 d’aria/s, prima rinfrescata attraverso un velo d’acqua cadente, poi ulteriormente raffreddata associandola a 80 l d’acqua finemente polverizzata.
Esecuzione dei lavori 7
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Si lavorava ininterrottamente per tre turni di otto ore; le giornate di lavoro furono complessivamente 7.500.000 con una media di 3.200 operai al giorno. Le Fasi di scavo erano composte da: perforazione, esplosione, ventilazione e marinaggio. Per la fase di perforazione i minatori eseguivano con le perforatrici i fori, inclinati e distanziati in modo tale da ottenere il miglior effetto dirompente per il posizionamento delle cariche esplosive (le mine). Fu utilizzata la perforatrice ad acqua compressa Brandt, dal nome dell’ideatore e direttore dei lavori l’ing. Brandt che morì dopo solo un anno dall’inizio dei lavori (figg. 9, 10). La perforatrice Brandt si rivelò molto vantaggiosa anche perché l’acqua, entrando nei fori, raffreddava la roccia. Sul versante italiano si utilizzò l’acqua del torrente Diveria, per alimentare le turbine e i compressori. “La perforazione meccanica veniva eseguita con 3 perforatrici, ogni squadra comprendeva: un ingegnere, un capo posto, 6 operai alla perforatrice (meccanici), otto marinieri, da due a tre minatori ed imboscatori. Totale 17-18 operai”.Terminati i fori, venivano caricate le mine e posizionate le micce in modo da ottenere la sequenza cronologica desiderata. Quando era tutto pronto veniva dato l’avviso con il suono di
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8a. Schema del raffreddamento 8b. Particolare di un polverizzatore 9. Perforatrice idraulica Brandt 10. Esecuzione di un foro
sempre una coppia di riserva. Per la refrigerazione dell’aria (fig. 8) venivano utilizzati degli innaffiatoi alimentati da una apposita condotta di acqua in pressione (22 atm) collegata a due pompe centrifughe. L’acqua prima di essere immessa veniva filtrata da minuti setacci metallici che, periodicamente, dovevano essere lavati con getti di acqua compressa perché si coprivano di un velo sabbia. La condotta, del diametro di 253 mm, era isolata per tutta la sua lunghezza onde evitare che l’acqua si riscaldasse. Furono immessi in galleria fino a 3,8 milioni di metri cubi di aria al giorno raffreddata da acqua polverizzata. Grazie a questo sistema si riuscì a vincere anche l’elevata temperatura che venne rag-
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A Cunicolo di avanzamento - B Primo attacco di un camino - C, D Camini ultimati che si espandono in cunicoli superiori E Abbattimento del diaframma che separa due cunicoli laterali - F Sezione completa della galleria colla scomparsa del diaframma orizzontale
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11. Schema di avanzamento 12. Rapporto giornaliero di avanzamento
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una tromba, tipica da minatori, gli operai si allontanavano in posizione sicura e si procedeva con l’esplosione. Veniva pertanto attivato il sistema di ventilazione e si attendeva che si diradasse il fumo, si entrava quindi con cautela, accertandosi che non fossero rimasti, sotto la volta, pezzi di roccia pericolanti. Il prof. A. Mallarda descrive così questa fase: “Dopo pochi istanti, una serie di rombi assordanti, che pare vogliano sfondare i timpani e il petto, si diffonde dall’avanzata sino all’imbocco; un’onda violentissima di gas passa come vento impetuoso sui lumi ad olio, spegnendone buon numero tra i più vicini; mentre un denso fumo si sparge per l’aria, soffocando il respiro e condensandosi sui vestiti in fiocchi bianchi. Ma i potenti ventilatori, installati all’esterno, che soffiano trenta metri cubi d’aria al minuto secondo, non tardano a purificare l’ambiente dai gas velenosi”. Si procedeva quindi al marinaggio: i frammenti di roccia venivano rimossi e caricati sui carrelli che poi venivano spinti su un binario fino alla discarica esterna. Quando la zona ritornava agibile, si iniziavano i fori per una nuova serie di mine, mentre altre squadre di operai provvedevano prima all’allargamento laterale e verticale ed
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altre al rivestimento dei tratti già scavati (fig. 11). Ogni squadra aveva un ragazzo detto“bòcia” incaricato di fornire ai minatori acqua potabile e quant’altro da loro richiesto, era anche sua mansione portare i ferri dal fabbro per la riparazione delle punte forgiate a scalpello. Il tempo stimato per queste operazioni era, in condizioni ottimali di circa 3 ore, ma si poteva arrivare anche a 10 ore quando per esempio era necessario imboscare, ossia armare il cunicolo prima di procedere. In fig. 12 è riportato un rapporto giornaliero di perforazione in una “buona giornata” dove si è registrata una lunghezza di avanzamento di 7,50 m con 7 attacchi e 297 kg di dinamite. Dai rapporti trimestrali emerge che per la galleria principale l’avanzamento medio giornaliero fu di 4,5 m - valore che ancora oggi è considerato eccezionale per uno scavo eseguito con metodo tradizionale - e quello mensile di 130 m, la durata complessiva dello scavo fu di 2.300 giorni. Per lo scavo della galleria principale furono usate 1.400 ton di esplosivo, si scavarono 1.000.000 m3 di roccia e furono necessari 120.000 m3 di pietre squadrate per rivestire le pareti e la volta del tunnel.
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13. L’ultima perforazione 14. Ancora un’istantanea dell’inaugurazione 15. Immagine storica del primo imbocco a Briga 16. I due imbocchi sempre sul lato svizzero
La fine dei lavori
Nella notte tra il 23 e il 24 febbraio 1905 fu abbattuto l’ultimo diaframma e i due avanzamenti s’incontrarono con una precisione e con uno scarto di pochi centimetri (si riscontrò uno scarto di allineamento di soli 87 mm in altezza, 202 mm nella direzione, 790 mm nella lunghezza). La notizia in un batter d’occhio raggiunse le retrovie e tutti i minatori, con grande euforia, fecero a gara per raggiungere il punto d’incontro servendosi dei mezzi utilizzati per il trasporto dei materiali e del personale (fig. 13). Alla fine del 1905 tutte le opere di scavo e muratura erano terminate e nel febbraio del 1906 anche la posa del binario; il tunnel fu ultimato con un ritardo di quasi 2 anni sugli accordi contrattuali. Il 2 aprile 1905 ci fu la prima inaugurazione del tunnel con una festa solo per gli addetti
ai lavori. Due convogli imbandierati si incontrarono festosamente a metà del traforo e il Vescovo del Vallese diede la benedizione alla galleria, seguita da un sontuoso banchetto a Briga. Il 19 maggio 1906 (fig. 1b, fig. 14) ci fu la manifestazione ufficiale e solenne, con il Re Vittorio Emanuele III e il Presidente della Confederazione elvetica Ludwig Forrer. Il traffico regolare dei treni iniziò il primo di giugno del 1906. Anche le linee di accesso furono completate e il 15 gennaio1905 fu ufficialmente aperta la linea Domodossola-Iselle. Grazie al traforo vennero migliorati notevolmente i collegamenti ferroviari da Milano verso Parigi e verso Berna, e da qui con la Germania meridionale. Attraverso l’Ossola cominciava così a scorrere una delle più importanti correnti del traffico internazionale europeo e nella valle si avviò un processo di industrializzazione che richiamò lavoratori da ogni parte d’Italia. Nello stesso anno l’impresa del traforo più lungo del mondo venne celebrata dall’Esposizione Universale che si tenne a Milano. Il traffico attraverso il tunnel fu subito molto intenso, tanto che si decise di ricorrere alla clausola del Trattato che prevedeva l’utilizzazione della galleria di servizio opportunamente allargata. I lavori di allargamento e di posizionamento del secondo binario terminarono nel 1921. Questa seconda galleria risultò più lunga di 20 m, poiché nell’imbocco lato Briga fu necessario inserire un prolungamento artificiale di protezione caduta massi, per un totale di 19.823 m (fig. 15). Il primo tunnel serviva per il trasporto verso la Svizzera, il secondo verso l’Italia. nn
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Linee Storiche
Gianluca Corsini
Ingegnere Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici Associazione del Genio Civile
Opera prima e intermodale
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VIAGGIO NEL XIX SECOLO LUNGO LA FERROVIA TORINO-GENOVA, LA PRIMA GRANDE OPERA D’ITALIA CONCEPITA IN “UTILITÀ E SICUREZZA” E REALIZZATA DAGLI INGEGNERI DEL GENIO CIVILE ANCHE CON FUNZIONE DI TRASPORTO COMMERCIALE TRA LA CAPITALE SABAUDA E IL PORTO LIGURE. DA SEGNALARE, LA MODERNITÀ DELLE PROCEDURE REALIZZATIVE E LE INNOVATIVE SOLUZIONI TECNICHE DI COSTRUZIONE ED ESERCIZIO. 1. Profili e tracciato Genova-Torino e Alessandria-Arona, dal Giornale del GC (1864)
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2. Articoli del Genio Civile del 1864 sulla Genova-Torino
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fogliando i primi numeri del Giornale del Genio Civile, presenti nell’archivio centrale della Biblioteca del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sono stato attratto da due articoli, uno inserito nell’edizione Ufficiale e l’altro in quella Non Ufficiale. Questi due articoli rispettivamente dal titolo “Piano, profili e sezioni normali della ferrovia da Genova a Torino con Diramazione da Alessandria ad Arona” (art. n. 10 pagina 43 edizione ufficiale n. 1 anno 1864) e “Ferrovia da Genova a Torino-Ponte sul Po nei pressi di Moncalieri eseguito negli anni 1846-1847” (art. n. 1 pagina 3 edi-
zione Non Ufficiale n. 1 anno 1864) trattano le principali caratteristiche di quest’opera, sia a livello generale (geometrico, costruttivo, storico, statistico e in riferimento ai costi), sia a livello di dettaglio attraverso una vera e propria cronaca dettagliata della costruzione del Ponte sul Po, nei pressi di Moncalieri (Torino), della Prima Linea ferroviaria Genova-Torino. La dovizia dei dettagli e dei molti particolari riportati in questi articoli, porta subito il lettore, non necessariamente tec-
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3. Stato delle strade ferrate in “Italia” nel 1848
nico, a immergersi nell’avventura della realizzazione dell’opera, dalla sua progettazione sino alla completa costruzione. Nel Giornale sono anche riportate, con scrupolo, le problematiche incontrate nelle varie fasi costruttive, i metodi e le soluzioni utilizzate, il tutto con spirito critico segnalando, successivamente, l’efficacia o meno delle soluzioni adottate. Dalla lettura appare chiaro l’intento di creare un manuale, a tratti quasi romanzato, da utilizzare successivamente nella progettazione e realizzazione di opere simili. La curiosità così stuzzicata, ha avuto come effetto quello di approfondire la storia di quest’opera. Purtroppo le tavole descrittive presenti nella serie tavole del Giornale del Genio Civile e indicate negli stessi articoli non sono presenti nella stessa Biblioteca.
Origini ferroviarie
Le ferrovie, o meglio, come inizialmente comunemente chiamate le strade ferrate, hanno iniziato a svilupparsi in Europa dai primi anni del 1800, anche se storicamente si fa coincidere la nascita della prima linea ferroviaria pubblica con la Gara di Rainhill, svoltasi nel 1829 per la scelta della locomotiva idonea per la linea ferroviaria Liverpool-Manchester (parteciparono 5 locomotive ma l’unica che completò il percorso, secondo il regolamento, fu la locomotiva Rocket (costruita da George e Robert Stephenson). In Italia la prima linea ferroviaria realizzata fu la Napoli-Portici, inaugurata il 3 ottobre 1839 da Re Ferdinando II di Borbone. Lo sviluppo delle strade ferrate, fu repentino in tutta Europa. Infatti la rivoluzione industriale richiedeva sempre più capacità e velocità delle merci e delle persone. Consapevole dell’importanza strategica e commerciale di questo nuovo sistema viario e, al contempo, del ritardo nella realizzazione delle strade ferrate nel Regno Sabaudo, il Re Carlo Alberto, nelle Regie Lettere Patenti del 10 settembre 1840 diede il via allo studio per la realizzazione della prima linea ferroviaria del Regno autorizzando “una società ad intraprendere stu-
di per una parte delle strade ferrate da Genova al Piemonte, e confine lombardo, e questi studi essendoci stati presentati, li abbiamo fatti prima d’ogni cosa esaminare in linea d’arte da una Commissione composta d’ingegneri…omissis…”, così come riportato nelle Regie Lettere Patenti N° 443 del 18 luglio 1844. È necessario evidenziare anche dal punto di vista storico le particolari caratteristiche dell’opera. Essa infatti risulta essere la prima vera e propria Grande Opera Infrastrutturale realizzata in territorio “italiano”. Grande Opera per la sua estensione (la lunghezza totale della nuova linea risulta essere pari a km 267+864 m), per il numero di opere d’arte contenute (n. 35 tra ponti, viadotti e cavalcavia), per il numero di gallerie (n. 12 gallerie tra cui la galleria più lunga al momento della costruzione, ovvero la galleria dei Giovi di 5.255 m) per le problematiche costruttive incontrate che hanno successivamente permesso nuovi sviluppi tecnici di realizzazione di infrastrutture ferroviarie (pendenza elevata pari al 35 per mille con la necessità di progettare una locomotiva adeguata per superare tali dislivelli ossia il “Mastodonte dei Giovi”), e infine per la lungimiranza commerciale (il collegamento tra il porto di Genova e la Capitale del Regno Sabaudo, successivamente prolungamento verso l’alta Savoia e la Francia, collegamento con il Regno Lombardo-Veneto ad Arona per permettere gli scambi commerciali), oltre alla logistica veloce per le truppe nel caso di esigenze militari.
Tecnica per i commerci
Appare chiaro, inoltre, che quest’opera, pur essendo stata pensata più di 150 anni fa, è stata concepita e realizzata con procedure amministrative moderne. Vorrei, a tale scopo, portare all’attenzione del lettore che lo stesso Re, pur incaricando una società privata dello studio per la realizzazione dell’opera (dobbiamo considerare che tale opera risultava per quei tempi una Grande Opera), successivamente nominò una Commissione composta da ingegneri appartenenti al Regio Corpo del Genio Civile (art. 2 Regie Lettere Patenti n° 443 del 18 luglio 1844) incaricata di esprimersi in modo definitivo circa le risultanze dello studio presentato. Inoltre, rendendosi conto che le professionalità necessarie per la progettazione e la direzione lavori erano già disponibili tra i dipendenti del Regio Corpo del Genio Civile, diede mandato agli stessi incaricandoli del reperimento delle maestranze idonee per la costruzione dell’infrastruttura. Come già descritto, la scelta del percorso di questa nuova linea ferrata fu dovuto principalmente alla volontà di voler creare un collegamento veloce, per le persone e per le merci, collegando il Porto di Genova con la capitale Regno Sabaudo e prevedendo, al contempo, una diramazione della stessa linea da Alessandria ad Arona volta ad aumentare gli stessi scambi commerciali anche all’esterno del Regno, e in particolare con il Regno Lombardo-Veneto, dando così uno sbocco commerciale ed un collegamento con l’Europa centrale. Questo collegamento con il porto di Genova fa notare la grande attenzione, ma soprattutto la lungimiranza, nel cercare di creare un sistema di intermodalità di trasporto (Nave-Treno), all’epoca importantissimo per ridurre le distanze temporali tra le varie città, tale da connettere la Capitale del Regno Sabaudo direttamente a un porto importantissimo come
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4, 5. Esempi di sezioni, dal Giornale del GC (1864) 6. Estratto della carta delle linee ferroviarie e loro data di inizio esercizio
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quello di Genova (il Regno Sabaudo aveva un suo importante ed esteso territorio nella Sardegna, raggiungibile esclusivamente via Mare). Nelle Regie Lettere Patenti n° 443 del 18 luglio 1844 si ritrova: “Art. 1° Il sistema delle strade ferrate nei nostri Stati di terra-ferma avrà luogo colla costruzione simultanea di una strada a ruotaie di ferro da Genova a Torino per Alessandria e la valle del Tanaro con diramazione verso la Lomellina, donde a Novara ed al Lago Maggiore. Art. 2° Il punto da cui dovrà partire detta diramazione, sarà determinato in correlazione della località che in dipendenza di accurati studi sarà prescelta per varcare il fiume Po con maggiore utilità e sicurezza…Omissis… Art. 6° A questo fine è da noi autorizzata una spesa nuova di lire 100,000 da applicarsi ad una nuova categoria sotto la denominazione di strade ferrate, la quale verrà instituita sotto il n° 23 bis, in aggiunta a quelle della parte II Spese straordinarie del bilancio passivo pel corrente anno 1844 della nostra generale azienda economica dell’interno……Omissis…”. Il lettore si sarà sicuramente accorto che all’Art.2, pur di fatto autorizzando la realizzazione della tratta da Alessandria ad Arona, si rimanda a studi da compiersi successivamente per permettere la scelta migliore di attraversamento del Po della strada ferrata nel tratto in questione vincolando la scelta del percorso alla scelta di attraversamento dello stesso fiume in “Utilità e Sicurezza”. Questo fa capire quanto ponderate, già all’epoca, risultavano le scelte ingegneristiche che dovevano avere occhio vigile all’utilità (posizione, costi e difficoltà realizzative) e allo stesso tempo riguardo alla sicurezza. Negli articoli non viene specificata se la sicurezza fosse riguardo la fase realizzativa o di esercizio, ma dalle descrizioni delle fasi costruttive presenti negli stessi appare chiaro che considerava entrambi gli aspetti dell’opera. Per far procedere in maniera spedita i lavori, gli ingegneri incaricati della progettazione e della costruzione, decisero di realizzare tutte le stazioni della tratta in modo provvisorio con baracconi in legno atti a garantire l’utilizzo della linea. Ovviamente la realizzazione delle stesse stazioni in modo definitivo era solo rimandata in tempi successivi idonei a non far rallentare l’esercizio della stessa. Queste modalità operative mostrano non solo la professionalità dei professionisti incaricati, ma la volontà di creare velocemente l’opera con
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l’evidenza della funzione strategica che la stessa ricopriva. La ferrovia da Genova a Torino, come progettata e realizzata, risultava di lunghezza pari a 165 km+131 m, mentre la diramazione da Alessandria ad Arona risultava di lunghezza pari a 102 km+733 m (267 km+864 m di sviluppo totale).
Mastodonte dei Giovi
I lavori di costruzione della linea, già prevista a doppio binario in fase progettuale (una delle prime all’epoca in Europa), come riportato nel Giornale del Genio Civile, iniziarono nel 1846 e videro terminare la prima tratta di soli 8 km, dalla stazione di Torino Porta Nuova (allora la stazione fu costruita da un modesto baraccone di legno e da pochi binari) a quella di Moncalieri, il 24 settembre 1848 aperta e inaugurata con una sobria cerimonia. Dopo soli 4 mesi, il 15 gennaio 1849, venne aperta all’esercizio anche la seconda tratta di 46 km che portava la ferrovia dalla stazione di Moncalieri a quella di Asti. In questa zona si riscontrava, per effetto dell’orografia del terreno, una pendenza del 26
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8 7. Il Mastodonte dei Giovi Fonte: http://www.superbadlf. it/wordpress/2015/04/19/ cesare-pozzo-il-mastodontedei-giovi-e-i-treni-a-vaporetra-pannelli-e-modellini-videofoto/
8. Disegni del Mastodonte dei Giovi Fonte: http://www.scalatt. it/forum/topic.asp?TOPIC_ ID=8800
9. Elenco delle opere maggiori riportate nel Giornale del GC (1864)
per mille, allora considerata quasi impossibile da superare. Per superare queste rilevanti difficoltà costruttive di attraversamento della zona collinare fra San Paolo Solbrito e Villafranca, fu realizzata inizialmente una linea provvisoria tra San Paolo e Dusino mentre tra Dusino e Stenevasso l’esercizio veniva assicurato trasportando i viaggiatori con un omnibus a cavalli. Valutando l’efficienza del servizio così espletato e ritenendo la stessa insoddisfacente, si decise di procedere alla costruzione di un altro tratto provvisorio su un piano inclinato. L’esercizio era garantito in questo modo con convogli che procedevano in salita con l’aiuto dei cavalli, mentre venivano frenati nel tratto in discesa da carri freno. La metodologia di trasporto, adottata da quest’ultima soluzione, risultò molto onerosa per la società di gestione (Strade Ferrate dello Stato Piemontese SFSP). Si decise allora di studiare, dando mandato ad un gruppo di ingegneri, delle nuove locomotive idonee a superare tali pendenze. Il gruppo di ingegneri, tra i quali Maus e Sommeiller in collaborazione con il famoso Stephenson, studiarono i nuovi tipi di locomotive, partendo dalla locomotiva Semmering di Cockerill, e decisero di denominare le stesse Mastodonte dei Giovi (successivamente le stesse locomotive vennero realizzate nelle Officine di Newcastle upon Tyne dello Stephenson ed entrarono in servizio nell’agosto 1851). Queste locomotive risultavano essere costituite da due macchine accoppiate fra di loro, servivano “al traghetto dei convogli sulla rampa del 35 per mille, di cui riportarono nelle cronache del Giornale del Genio Civile le seguenti parole: “L’eguale non si ha su altre strade ferrate esercitate con locomotive”. Queste locomotive erano in grado di trainare treni di 130 ton a 12 km/h. Nel frattempo i lavori nelle altre tratte procedevano e quindi altri 56 km tra le stazioni di Alessandria e di Novi Ligure entrarono in servizio il 1º gennaio del 1850.
Il completamento
L’anno successivo, il 10 febbraio 1852, fu completata la tratta sino alla stazione di Arquata per un totale di 124 km. Queste tratte non presentavano particolari difficoltà, ad eccezione per i viadotti necessari nella zona di Serravalle Scrivia. Il servizio si rivelò soddisfacente per il pubblico, ed economicamente vantaggioso per la società di gestione che vide i propri utili salire vertiginosamente. I treni impiegavano solo 3 ore e 40 minuti per coprire l’intera tratta (impensabile per l’epoca). Il prolungamento su Busalla, di altri 18 km, venne aperto all’esercizio il 10 febbraio 1853. Questa tratta di 18 km prevedeva molte “Grandi Opere” e infatti fu necessario realizzare 8 ponti e 4 gallerie con lunghezza variabile da 508 a 866 m. Il 18 dicembre 1853 la linea venne completata con l’apertura degli ultimi 23 km tra Busalla e Genova Piazza Principe. Nella realizzazione di questa linea ferroviaria vennero realizzate numerose opere per il superamento del tratto appenninico come la Galleria dei Giovi, progettata dall’ingegnere inglese Isambard Brunel, che all’epoca risultava la più lunga del mondo. La concretezza nell’assegnare i lavori si vede proprio in opera. Infatti, ritenendo nuove le difficoltà progettuali nella realizzzione di una galleria così lunga, si decise di assegnare la progettazione a un ingegnere esperto in progettazioni simili a quel livello di difficoltà e con un’esperienza concreta nella progettazione e realizzazione di opere in sotterraneo. Contestualmente, per la necessità dell’intermodalità del trasporto, viene anche costruito l’allacciamento con il porto tra 9
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Genova Piazza Principe e Piazza Caricamento, realizzato quasi totalmente in sede stradale a raso, sull’odierna Via Gramsci. Proprio in Piazza Principe il 16 febbraio 1854 alla presenza del Re Vittorio Emanuele II e del Primo Ministro Camillo Benso Conte di Cavour, giunti con il treno reale da Torino, si tenne l’inaugurazione ufficiale della linea. Nel 1855 venne infine aperto il tratto tra Alessandria ed Arona.
Dall’epoca del vapore all’elettrificazione
La linea ferroviaria nei primi anni di esercizio vide anche alcuni incidenti, alcuni non gravi, dovuti alla tipologia di combustibile utilizzato per alimentare le locomotive e in particolare nella galleria dei Giovi lunga 5.255 m. “Il fumo in galleria asfissia i ferrovieri. Il treno abbandonato a se stesso ritorna a valle e va a schiantarsi contro un altro convoglio”, così titolava il quotidiano genovese Il Secolo XIX commentando il disastro ferroviario avvenuto l’11 agosto 1898 tra le stazioni di Pontedecimo e Busalla. Nelle cronache viene raccontato che un treno merci, mentre stava percorrendo la lunga galleria dei Giovi rimase improvvisamente senza guida. Iniziando a retrocedere piombò a forte velocità su un treno passeggeri fermo al Piano Orizzontale dei Giovi in attesa dell’arrivo a Busalla dello stesso treno merci, per poter successivamente proseguire. Tra le lamiere contorte vennero estratte 13 vittime e ci furono circa una ventina di feriti. Sul Secolo XIX si riporta quello che un passeggero, rimasto illeso, dichiarò a un cronista: “...per il maledetto carbone usato da qualche tempo a questa parte dalla società ferroviaria, tutto il personale di macchina del treno merci è stato colto da asfissia assieme al frenatore che, cadendo dalla sua cabina soffocato
dal fumo, ha lasciato il treno abbandonato a se stesso”. È da considerare che in quel periodo le locomotive a vapore venivano alimentate con economiche mattonelle di carbone prodotte con un impasto di pece, catrame e polvere di carbone; tali mattonelle, però, esalavano fumi venefici. Questo era risaputo anche alla società di gestione, tanto che i ferrovieri, a causa di problematiche insorte precedentemente, nelle lunghe gallerie, dovevano coprirsi bocca e naso con bende ben bagnate. In particolare, dopo aver percorso la galleria dei Giovi, per il cui transito occorrevano circa nove minuti in salita e undici in discesa, ai macchinisti veniva dato un bicchiere di latte disintossicante. Il tutto per cercare di limitare, e purificare, le esalazioni per i ferrovieri. Proprio in seguito al tragico incidente si iniziò a parlare di elettrificazione della linea. L’Inizio dei lavori di elettrificazione però iniziarono nel 1907 e interessarono la tratta Genova Pontedecimo-Busalla, comprendente la Galleria dei Giovi. Questi lavori furono completati all’inizio del 1910 e nel mese di giugno dello stesso anno iniziarono le corse di prova a trazione elettrica, che venne messa in esercizio sull’intera tratta il 1º maggio 1911. I risultati di esercizio, positivi oltre alle aspettative, portarono presto alla decisione di estendere l’elettrificazione all’intero nodo di Genova, per i treni viaggiatori, il 1º settembre 1913. Nell’ottobre 1914 venne elettrificato il tratto della Succursale dei Giovi tra Genova Sampierdarena e Ronco Scrivia liberando così dal fumo della trazione a vapore anche la seconda galleria di valico. Il 15 settembre 1915 il tratto tra Busalla e Ronco Scrivia della linea dei Giovi. L’elettrificazione venne poi estesa a Genova Piazza Principe il 15 maggio 1916 e da qui a Genova Brignole il giorno 11 novembre 1920. L’elettrificazione in corrente alternata trifase del resto della linea tra Torino Porta Nuova e Ronco Scrivia venne completato per tratte successive tra il 1917 e il 1923.
10. Gallerie e relativa lunghezza, dal Giornale del GC (1864) 11. Illustrazione dell’inaugurazione della linea Fonte: http:// ceraunavoltagenova. blogspot.it/2014/10/piazzacaricamento.html
12. Litografia del 1853 di Carlo Bossoli pubblicata dall’editore londinese Day “&” Son con il titolo “Views of the railway between Turin and Genoa: La Galleria dei Giovi”
Ponte sul Po a Moncalieri
Tra le opere importanti realizzate sulla linea Ferroviaria Genova-Torino dobbiamo segnalare il ponte sul Po nei pressi di Moncalieri. Questo ponte venne progettato dall’ing. Barbavara, Ispettore del Genio Civile, e costruito sotto la Direzione
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TAB. 1 COMPOSIZIONE DELLA MALTA Calce idraulica di Superga ridotta in polvere finissima e passata al setaccio
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2
Arena fina, ben lavata e purgata da ogni materia eterogenea
parti
1
Pozzolana di Roma finissima e passata al setaccio
parti
1
Manganese finissimo
parti
2/3
Vitriolo di Brosolo ridotto in polvere finissima
parti
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Totale
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Calce idraulica di Superga in pasta
mc
0,40
Arena silicea del Sangone
mc
0,10
Pozzolana di Roma finissima e passata al setaccio
mc
0,60
Totale
mc
1,10
Malta Idraulica di cui sopra
mc
0,40
Ghiaia di 3 a 6 centimetri di grossezza
mc
0,60
Selce spaccata in pezzi da 6 a 8 centimetri di grossezza
mc
0,40
totale
mc
1,40
Fonte: Giornale del Genio Civile, 1864
TAB. 2 COMPOSIZIONE DEL CEMENTO
Fonte: Giornale del Genio Civile, 1864 13. Dala stessa raccolta litografica: il Ponte sul Po Moncalieri
dei Lavori dell’ing. Spurgazzi, Ingegnere del Genio Civile. La tipologia del Ponte prevedeva 7 archi con una corda di 16,12 m, una saetta di 2,70 m, un’altezza di 9,45 m, una larghezza di 9 m e un lunghezza totale di 145 m. Di seguito si riportano alcuni estratti riportati nel Giornale del Genio Civile che riepilogano le varie fasi costruttive: “Il 14 aprile 1846, eseguiti gli scandagli per esplorare la natura del terreno si iniziarono a formare le paratie e gli scavi per lo spallone sinistro eseguito entro terra a 18m dalla sponda. Si proseguì nella costruzione da sinistra verso destra visto che tali opere erano più esposte alle piene del fiume. Vennero posizionati tutti i pali per gli spalloni e le paratie. Terminato l’affondamento dei pali vennero disposti sulle loro teste due ordini di longarine o correnti di 0,15m per 0,20m distanti l’u-
no dall’altro di 0,10m fra i quali si collocarono i tavoloni componenti le pareti delle casse. Successivamente si passò alla palificazione procedendo dal perimetro verso il centro per ottenere un maggior costipamento possibile del terreno. I pali delle paratie armati di cuspide di ferro furono posizionati con interasse di 1,96 m e battuti con maglio di 326kg fino a che le teste fossero ad un massimo di 0,20m dal livello delle acque ordinarie ossia circa un metro sopra delle massime magre. Le superfici scanalate per fare in modo da inserire i tavoloni”. Il testo sopra riportato dimostra quanto accurata era la descrizione delle operazioni di cantiere al fine di lasciare traccia per eventuali opere successive. Questi tavoloni erano lavorati a linguetta ed incanalatura. Furono armati di puntazza di ferro e battuti con maglio a castello del peso di 300 kg. “I pali di fondazione furono battuti prima con mazze a castello del 625 kg manovrate da 32 uomini sino al livello delle acque, successivamente agli scavi di fondazione sotto acqua battuti con mazze e contropalo fino al piano prescritto essendosi recisi sott’acqua con apposita sega quelli che affondati fino a rifiuto assoluto non avevano raggiunto il piano suddetto. La distanza tra i pali fu stabilita in modo che avessero ognuno un carico massimo di 15 kg per cm2 della loro sezione. Il legante per paratie e fondazione fu in totale di 437,903 m3”. Terminate le paratie si iniziò a erigere un ponte di servizio a monte della ferrovia su pali infissi attigui alle paratie. E con livello poco superiore alle acque ordinarie. Nel Giornale del Genio Civile si riporta che “Purtroppo l’esperienza ha mostrato che per il livello prossimo alle acque portò ad ogni crescenza del fiume a togliere e reinserire le tavole appena terminata la piena” (piene molto frequenti nell’anno 1846, come riportato nelle cronache del Giornale stesso). Per la realizzazione delle opere murarie furono effettuate, nel 1846, alcune prove per testare la composizione della malta e per la tipologia di composizione del calcestruzzo. Per la preparazione della malta fu approntata una pavimentazione coperta con tettoia in modo che gli impasti non rimanessero sul cantiere più di 12 ore. Si realizzarono anche opere provvisorie come ad esempio la costruzione di un secondo ponte di servizio necessario per la messa in opera degli archi (costruito in 10 giorni) idoneo al passaggio dei massi di pietra da taglio. Per quanto concerne le pile del ponte, nel Giornale del Genio Civile si riporta: “Le pile sono state realizzate rastremate a partire dal piano inferiore della cornice d’imposta con l’inclinazione di 1/20 fino al livello delle acque ordinarie. Uno zoccolo di 0,40 m forma un corso generale di pietre da taglio della larghezza di 4,10 m stabilito sopra un massiccio di calcestruzzo di 1,76 m di spessore medio e 5,70 m di larghezza nel senso normale della corrente, poggiato a sua volta su una palificata coprendo le teste dei pali per un’altezza di 0,50m contenuto da una ‘robusta paratia’ che ne forma la parete esterna”. Per quanto riguarda le caratteristiche degli archi si osserva che le volte sono a sesto scemo e hanno uno spessore di 1,35 m alle imposte e 0,80 m alla chiave. Le superfici di intradosso ed estradosso si svolgono secondo due archi di circolo e raggio pari a rispettivamente 13,38 m e 17,43 m. Il ponte fu costruito in muratura di laterizi tranne che per le parti costruite in pietra da taglio che sono: zoccolo, primi corsi di base e il rivestimento dei rostri delle pile sino
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alle acque ordinarie, il rivestimento rostri delle pile sopra corrente gli angoli vivi dei muri di risvolto in prolungamento delle teste, la cornice ed i pulvinari d’imposta degli archi, la cornice di coronamento del ponte. La cornice, le copertine di coronamento e i tubi di scolo delle acque collocati alle chiavi degli archi. I tempi di costruzione della muratura furono i seguenti: • 35 giorni per spallone sinistro e prime due pile consecutive sino all’altezza di 3 m sul livello delle massime magre (agosto-settembre 1846); • Dicembre 1846: pile e spallone sinistro sino al piano d’imposta degli archi (autunno piovoso che interruppe per lunghi periodi i lavori); • Inverno 1846-1847: formazione delle armature degli archi; • Marzo 1847: inizio costruzione Pile 3, 4 e 5 e rivestimento dei pignoni degli argini; • Giugno-14 agosto 1847: armatura archi e realizzazione attraverso opera di 16 abili mastri che si pose dalle estremità verso il centro; • Primavera 1848: parapetti. La sorpresa oltre alla qualità di realizzazione è il tempo totale di costruzione di 20 mesi nonostante piene e notevoli piogge del maggio edottobre 1846.
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Conclusioni
Concludendo questo piccolo viaggio nella realizzazione di una, anzi, della prima grande opera infrastrutturale italiana, e in particolare nella costruzione di una sua opera d’arte, vengono alla mente subito le particolari e attuali modalità di programmazione, progettazione e costruzione. L’attenzione si pone alla lungimiranza che ha portato a pensare questa Grande Opera, ma soprattutto l’audacia nel realizzarla. Infatti, consci delle difficoltà, che all’epoca risultavano molteplici (prima esperienza costruttiva e di gestione di una linea ferroviaria, elevata lunghezza e difficoltà orografica del tracciato, numerose opere d’arte), non si fermarono, anzi, realizzarono la stessa velocemente (in 9 anni furono terminate entrambe linee ferroviarie, solo 8 anni necessari per realizzare la Genova-Torino considerando tecnologie e metodologie disponibili nel 1846). L’esperienza e la preparazione degli ingegneri del Genio Civile appare evidente pensando, al fine di diminuire le tempistiche, alle soluzioni provvisorie adottate (vedi le modalità di trasporto prima della costruzione della galleria dei Giovi e la tipologia costruttiva delle Stazioni). Pensare alle attuali modalità di assegnazione dei lavori pubblici, non così diverse dalle modalità di espletamento di studi, progettazione, direzione lavori e costruzione dell’opera. La volontà di costruire subito una ferrovia a doppio binario, insolito per l’epoca, al fine di aumentare il livello di servizio della stessa diminuendo tempi di percorrenza. Le opportunità logistiche evidenziate nella scelta delle città collegate e la modernità rispetto alla necessità di sviluppare l’intermodalità all’interno del Regno Sabaudo e di interscambio con uno stati confinanti tale che potesse permettere il collegamento con l’Europa Centrale industrialmente più sviluppata e quindi un mercato florido per i commerci. La realizzazione di locomotive speciali (il Mastodonte dei Giovi), e quindi l’innovazione tecnologica studiata esclusivamente per permettere un esercizio adeguato della ferrovia. La cura dei particolari costruttivi e della scelta dei materiali utilizzati nella realizzazione delle ope-
re d’arte con lo studio di malte, malte idrauliche e cementi, le varie prove in situ, la definizione della composizione. La descrizione delle metodologie, anche provvisorie, idonee a superare le difficoltà costruttive e la loro analisi critica sull’efficienza ottenuta. La scelta scrupolosa della maestranza, preparata e con la opportuna esperienza. E infine la grande idea di riportare tutto in articoli pubblicati, tali da essere utilizzati successivamente nella costruzione di opere simili. La ferrovia Genova-Torino dimostra la grande tradizione ingegneristica che abbiamo l’onore e il dovere di continuare, ma soprattutto ci illumina su quanto hanno realizzato i nostri colleghi, anzi, i Maestri appartenenti al Regio Corpo del Genio Civile. ■■
14. Ponte sul Po: profilo e pianta, dal Giornale del GC (1864) 15. Planimetria e particolari di spalla e archi, dal Giornale del GC (1864) 16. Disegno originale della stazione di Alessandria, dal Giornale del GC (1864)
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Ingegnere Civile Associazione del Genio Civile
Strutture ad Arco
La nostra Tour Eiffel sull’Adda A TENERLO INSIEME, DA OLTRE UN SECOLO, CI PENSANO 100.000 CHIODI RIBATTUTI CHE REGGONO LE OLTRE 2.500 TONNELLATE DI FERRO DELLA SUA FORMIDABILE STRUTTURA AD ARCO SULL’ADDA. STIAMO PARLANDO DEL PONTE SAN MICHELE, PER TRAFFICO MISTO FERROVIARIO-STRADALE, INAUGURATO NEL 1889, LO STESSO ANNO DEL BATTESIMO DELLA TOUR EIFFEL CON CUI HA IN COMUNE LA TECNICA COSTRUTTIVA, E INTERESSATO DA UN MERITATO PROGRAMMA DI RIQUALIFICAZIONE.
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1. Il ponte San Michele in tutta la sua bellezza Fonte: http://www. archeologiaindustriale.org/cms/pontedi-paderno-e-parco-delladda-lc/
2. Tavola di progetto del ponte in ferro. Dimensioni principali: corda dell’arco 150 m, lunghezza della travata 266 m, altezza del piano stradale dal livello delle magre 85 m 3. Tavola di progetto: sezioni e prospetti Fonte: https://ouvresdegenie. wordpress.com/iconographie/#jpcarousel-372
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1
l ponte San Michele sul fiume Adda è un ponte ad arco in ferro, a traffico misto ferroviario e stradale, che congiunge, sin dal lontano 1889, i paesi di Paderno d’Adda (oggi in Provincia di Lecco) e di Calusco (oggi in Provincia di Bergamo), altrimenti separati ineluttabilmente da una profonda gola che il grande fiume ha scavato nel corso dei secoli. Il piano stradale, infatti, passa a circa 85 m sopra il livello delle magre e il ponte rappresenta ancor oggi uno dei pochi collegamenti ferroviari tra l’Est e l’Ovest del fiume Adda. Da molti considerato come un vero e proprio simbolo dell’archeologia industriale in Italia e come una delle più interessanti realizzazioni dell’ingegneria italiana dell’Ottocento, il ponte, noto anche come ponte Röthlisberger dal nome dell’ingegnere capo dell’ufficio tecnico della società che eseguì l’opera, rappresenta una delle più interessanti testimonianze di quell’epoca in cui l’acciaio, il ferro e la ghisa erano veri e propri simboli del progresso umano. L’apertura del ponte offrì, infatti, la possibilità di stabilire comunicazioni rapide e stabili tra le due parti della Lombardia, riducendo i tempi di percorrenza e rendendo di fatto praticabile il commercio tra le zone produttive del Piemonte orientale (Novara e Vercelli) e le industrie dell’Est lombardo (Brescia e Bergamo), e allo stesso tempo di accorciare sensibilmente la distanza fra le province dell’Alta Lombardia e del Veneto con la linea del Gottardo. Il ponte fu ritenuto già da subito un capolavoro di tecnica ingegneristica, tanto da venire inserito nell’elenco dei maggiori ponti ad arco del mondo e da venire citato come esempio di splendore dell’ingegneria civile sia per il progetto ardito che per la perizia della realizzazione. La rilevanza del ponte San Michele dal punto di vista storico è paragonabile a quella della Torre Eiffel: inaugurate nel medesimo anno (1889) ed edificate con le stesse tecnologie, entrambe le strutture all’epoca della loro costruzione divennero il simbolo del trionfo industriale per i rispettivi Paesi. Del tutto simile al Viaduc de Garabit, realizzato quattro anni prima in Alvernia (Francia centro-meridionale) dallo stesso Gustave Eiffel, il ponte San Michele è tra i primi esempi di costruzione progettato con la teoria dell’ellisse di elasticità e venne successivamente studiato
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60 a livello europeo assieme agli altri grandi ponti metallici eretti in quel periodo, come il già citato Viaduc de Garabit e il ponte Maria Pia di Porto (sempre dello stesso Eiffel)1.
Il progetto: dati tecnici e cenni storici
Per approfondire gli aspetti storici e per descrivere le caratteristiche del ponte si ricorrerà di seguito ad ampi stralci di un articolo del Giornale del Genio Civile del 1889, uscito a ridosso dell’inaugurazione del viadotto: “La ferrovia complementare destinata a congiungere la stazione di Ponte S. Pietro, sulla linea Bergamo-Lecco, alla stazione di Seregno sulla Monza-Como, tagliando nella stazione di Usmate la linea Monza-Lecco,[...] doveva attraversare l’Adda nelle vicinanze di Paderno, a circa 80 m. sul livello delle magre”. La sponda sinistra del fiume, nei pressi di Paderno e di Calusco, presenta una scarpa in media dell’1/2 mentre la sponda destra, più inclinata, dell’1/1; il terreno “è formato di un conglomerato di ghiaia molto compatto, a strati abbastanza regolari, i quali in molti punti, e specialmente più a valle, vicino a Trezzo, forniscono massi di puddinga durissima impiegata utilmente anche in costruzioni importanti”. Il progetto della linea ferroviaria Ponte San Pietro-Seregno fu studiato da uno speciale Ufficio del Governo con lo scopo di concorrere all’opera nazionale di raccordo e unificazione delle diverse tratte ferroviarie, gestite da varie società private in tutto il neonato Regno d’Italia, tra loro assai poco omogenee, ovviamente, per mezzi e materiali. Il progetto originario prevedeva l’attraversamento dell’Adda tramite un ponte a travata rettilinea in ferro, sorretta dalle spalle e da tre pile in muratura. La ferrovia era pensata sul piano superiore della travata e la strada, che avrebbe unito le Provincie di Como e di Bergamo, all’interno di essa. Nel 1885 i lavori del ponte erano ancora lungi dall’essere avviati, mentre i due tronchi ferroviari Ponte San Pietro-fiume Adda e Seregno-Usmate stavano per essere terminati. Mancava pertanto da realizzare solamente la tratta Usmate-Calusco d’Adda la cui direzione dei lavori fu affidata dal Governo alla Società per le Strade Ferrate Meridionali. Tuttavia, prima di pronunciarsi definitivamente, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici volle valutare altre soluzioni per l’attraversamento dell’Adda e incaricò la Società per le Strade Ferrate Meridionali di studiare un viadotto in muratura a doppio uso stradale-ferroviario. La Società Nazionale Officine di Savigliano2 (SNOS) chiese di poter partecipare all’affidamento della costruzione dell’o4
pera con un proprio progetto, presentando, il 17 marzo del 1886, una raccolta di dodici tavole tecniche. La SNOS, fondata nel 1880, aveva già realizzato, tra le altre, il ponte ferroviario in acciaio sul Po a Casalmaggiore - lungo 1.085 m e pesante 2.000 ton - per la ferrovia Parma-Brescia-Iseo, alcuni ponti in ferro, tra cui quello sul Po a Casale Monferrato e quello di Asti sul Tanaro, nonché il ponte di Trezzo sull’Adda. Il progetto presentato riguardava, per l’attraversamento dell’Adda, un viadotto “in ferro consistente in un grande arco di m. 145 di corda, impostato sopra due robusti spalloni in pietra. La travata a doppio uso, lunga m. 224, era divisa in sette luci eguali e sopportata dalle due spalle superiori in muratura e da sei pile metalliche, di cui due impostate sugli spalloni dell’arco, quattro sull’arco stesso. Il progetto era accompagnato da calcoli giustificativi ampiamente sviluppati, dal disegno della grande armatura in legno, o ponte di servizio, che proponevasi di costrurre per l’erezione del grande arco e da formale proposta di costruire il viadotto, comprese le murature, per una somma a corpo, sotto la responsabilità dell’Impresa”. Inoltre l’impresa dichiarava di lasciare nelle mani del Governo una cospicua somma per tre anni consecutivi dall’apertura all’esercizio della ferrovia a titolo di garanzia, impegnandosi a mantenere in buono stato durante quel periodo tutte le opere formanti oggetto del contratto a corpo. Tale proposta fu accolta e sottoposta al Governo, così come quella di un’altra ditta nazionale che aveva presentato un progetto di massima di un ponte parte in ferro e parte in muratura. In gara, pertanto, andarono quattro progetti in tutto e il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici prescelse quello della SNOS perché corrispondeva tecnicamente alle condizioni di stabilità richieste per un’opera di tanta importanza, perché importava la minima spesa e poteva esser eseguito in minor tempo in confronto degli altri. Anche questo progetto subì delle modificazioni in corso d’opera. Difatti, “mentre la Società studiava il suo progetto di viadotto, un esame più minuto delle condizioni del terreno specialmente in sponda sinistra, consigliava alla Direzione dei Lavori delle Strade Ferrate Meridionali di modificare leggermente il tracciato della ferrovia per modo da traversare l’Adda un po’ a monte del primitivo tracciato onde evitare uno scoscendimento prodottosi negli strati di puddinga sulla riva sinistra in epoca non precisata. Veniva inoltre stabilita definitivamente la posizione altimetrica della strada provinciale a 261,75 m e quella della rotaia della ferrovia a 255,45 m, cioè un po’ al di sotto del progetto precedente. Il viadotto doveva raccordarsi coi tronchi esistenti mediante leggiere pendenze”. Per adattare il ponte al nuovo tracciato ferroviario, la Società dovette elaborare un secondo progetto di massima, del tutto simile al primo, ma con la corda dell’arco aumentata da 145 m a 150 m e la lunghezza della travata aumentata da 224 m a ben 266 m. “Il progetto definitivamente approvato consta quindi di una travata rettilinea continua lunga 266 m, sostenuta da nove appoggi, distanti gli uni dagli altri 33,25 m. Quattro di questi sono alla loro volta sopportati da una grande arcata metallica di 150 m di corda e di 37,50 m di freccia; due degli stessi appoggi sono retti da zoccoli in muratura elevati sulle spalle dell’arco, uno sulla riva sinistra da uno zoccolo
1. A Con la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento si diffonde in Europa una nuova tecnica costruttiva dovuta, principalmente, allo sviluppo siderurgico di quel tempo. In precedenza, infatti, il ferro era impiegato nelle costruzioni unicamente in “elementi accessori” delle strutture principali; con la rivoluzione industriale, invece, il costo della ghisa e del ferro lavorato si ridusse notevolmente e ciò consentì un loro ampio impiego anche nel campo delle grandi costruzioni. Il ponte ferroviario Maria Pia sul fiume Douro (Portogallo) è un ponte ad arco in ferro, della lunghezza di 352 m e di altezza pari a 61 m. Dedicato alla regina del Portogallo, Maria Pia di Savoia, fu costruito tra il 1875 e il 1877 è rimasto in esercizio fino al 1991. Il viadotto Garabit sulla Truier (Francia), situato lungo la linea ferroviaria Béziers-Neussargues, fu costruito dal gennaio 1880 al settembre 1884. Il viadotto è un ponte ad arco in ferro, della lunghezza di 565 m (arcata principale di 165m) e altezza dal livello delle magre di 122 m. La torre Eiffel fu costruita in poco più di due anni (iniziata nel 1887, inaugurata il 31 marzo 1889 e aperta ufficialmente il 6 maggio dello stesso anno) per l’Esposizione Universale del 1889 e nacque come costruzione transitoria e facilmente smantellabile. Alta 300 m e pesante circa 8.000 tonnellate, fino al 1930 è stata la struttura più alta del mondo. Da subito fortemente contestata, nel 1909 la torre rischiò di essere demolita ma fu risparmiata grazie alla facilità di trasmissione radio raggiunta dalla sua sommità. 2. La SNOS è stata una delle più importanti società industriali italiane di meccanica, elettrotecnica e carpenteria metallica del secolo scorso. Venne fondata a Torino il 17 luglio 1880 con l’obiettivo di intraprendere la “costruzione e la riparazione di materiale ferroviario, ponti metallici, tettoie, costruzioni meccaniche, elettriche ed aeronautiche nonché la lavorazione dei legnami in genere”. Oltre alla costruzione del ponte San Michele sull’Adda, le principali opere della SNOS sono state la produzione massiccia di grandi strutture metalliche (come ad esempio la tettoia della nuova stazione di Milano Centrale e le gru elettromeccaniche per i maggiori porti italiani) e la fabbricazione di locomotive elettriche a corrente alternata trifase e a corrente continua (tra cui le prime locomotive elettriche veloci delle Ferrovie dello Stato e il capostipite dei treni ad assetto variabile Pendolino, consegnato nel 1976 con il marchio FIAT Ferroviaria Savigliano in seguito allo scorporo dalla SNOS). Nel 2000 lo stabilimento di Savigliano è stato ceduto alla Alstom decretando la definitiva uscita della FIAT dal settore ferroviario. (Fonti: www.corsi.storiaindustria.it - https://it.wikipedia.org/wiki/Societ%C3%A0_Nazionale_Officine_di_Savigliano).
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speciale in muratura situato fra l’arco e la spalla superiore, finalmente i due ultimi dalle spalle superiori alle due estremità della travata rettilinea. La travata è a doppio uso; il binario è posto nell’interno della medesima e la strada provinciale è collocata sopra la travata. Il piano di regolamento della ferrovia è stabilito alla quota 255 quello delle rotaie alla quota 255,45 e la strada provinciale alla quota 261,75 sul livello del mare. Le travi principali sono distanti 5 m da asse ad asse e lasciano fra di loro un passaggio libero di 4,60 m per i treni. La strada provinciale è costituita da una carreggiata larga 5 m, fiancheggiata da due marciapiedi di 1 m, in modo tale che la larghezza utile effettiva sia di 7 m. Le travi principali hanno altezza di 6,25 m, mentre le loro nervature a sezione di T sono rilegate insieme da un reticolato a quattro sistemi; tutte le sbarre del reticolato, indistintamente, sono a sezione rigida. L’ossatura del tavolato della ferrovia è formata con traversoni in lamiera e ferri a squadra, distanti 3,325 m l’uno dall’altro. Essi sopportano due longaroni su cui sono collocate le longarine di quercia. Il pavimento in lamiera striata è sostenuto da ferri ad U. La massicciata della strada provinciale è disposta sopra ferri Zorès portati da cinque corsi di longaroni, distanti fra loro 1 m e attaccati a traversoni collocati alla distanza di 3,325 m e appoggiati sulle travi principali. I lastroni in pietra dei marciapiedi sono sopportati da due travi di lamiera e ferri 6
4. Maestranze al lavoro 5a. Dicembre 1888: ponte in fase di ultimazione 5b. Agosto 1889: ponte terminato 6. Mezzo pesante in transito sul ponte
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a squadra. I marciapiedi hanno un’alzata di 0,30 m rispetto alla massicciata. Il parapetto è in ferro fucinato alto 1,50 m. Si provvede allo scolo delle acque mediante due canaletti laterali in calcestruzzo muniti di tubi di scarico. Sonvi poi due sistemi di controventamenti in ferri a squadra, attaccati l’uno alla parte inferiore del tavolato, l’altro alla parte superiore. La grande arcata è costituita da due coppie d’archi secondari. Gli archi hanno un’asse parabolico di 150 m di corda e 37,50 m di freccia; la loro altezza è di 4 m alla chiave e di 8 m all’imposta. La distanza fra i piani mediani delle due coppie è di 5,096 m alla chiave e di 16,346 all’imposta, cosicché essi sono inclinati verso il piano mediano principale. Ciascheduna coppia si compone di due archi secondari gemelli distanti 1 m fra loro. Questi hanno le loro nervature in forma di semplice T. Il reticolato dell’arco è costituito da sbarre verticali alternantisi con sbarre diversamente inclinate. Le sbarre verticali ed inclinate dei due archi gemelli sono collegate fra loro da un reticolato in ferro piatto. I due archi interni sono riuniti nei punti corrispondenti alle sbarre verticali mediante traversoni. Essi servono per fissare due sistemi di controventamenti, situati uno alla parte superiore, l’altro all’inferiore dei traversoni stessi. Gli archi riposano sopra zoccoli di acciaio fuso muniti di cunei di regolarizzazione, che ripartiscono la pressione sopra le spalle in muratura. Le pile sono composte caduna di otto colonne a sezioni di semplice T, collegate fra loro da un sistema rigido di traverse orizzontali e croci di Sant’Andrea. Esse sono collegate alla loro parte superiore da grosse travi su cui riposano gli apparecchi di dilatazione della travata; detti apparecchi di dilatazione sono in acciaio fuso. Per facilitare le visite, la manutenzione e la coloritura del ponte, una passerella in ferro larga 1 m, con pavimento in lamiera striata, è disposta sull’asse dell’arcata. Delle scale in ferro costrutte nell’interno delle pile metalliche permettono di ispezionarle facilmente su tutta la loro altezza. Le spalle dell’arcata sono costituite cadauna da due massi distinti di muratura in pietra di Moltrasio con rivestimento in granito di prima qualità. Essi sono terminati superiormente da cuscinetti di granito sui quali trovano appoggio le nervature dell’arco. Gli zoccoli sui quali appoggiano le pile metalliche sono pure costruiti in muratura di pietra di prima qualità. Le spalle superiori alle estremità della travata rettilinea sono formate di muratura in pietra. Fanno seguito alle dette spalle sulle due sponde alcune opere miste in muratura ed in ferro per dare passaggio alla strada provinciale sulla ferrovia. Sui due muri
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Il contratto d’appalto e l’esecuzione dei lavori
Per quanto riguarda il contratto, esso fu firmato a Roma, il 22 gennaio del 1887, tra il commendator Di Lenna, Ispettore Generale delle Strade Ferrate e rappresentante del Governo, e la Società nazionale delle officine di Savigliano rappresentata dal Direttore generale cav. ing. Ottavio Moreno. Il contratto prevedeva l’affidamento alla Società stessa della costruzione del viadotto in ferro, comprese le spalle e i relativi protendimenti in muratura alle due estremità della travata, i basamenti dell’arco e delle pile metalliche e l’esecuzione delle opere occorrenti per formare le trincee d’accesso al ponte. L’importo dei lavori fu stabilito, con somma a corpo, pari a 1.850.000 lire per la costruzione del viadotto e 128.717,50 lire, a prezzi di tariffa, per le opere preliminari. Per l’ultimazione dell’opera furono concordati soli diciotto mesi dalla data di stipula del contratto, una tempistica estremamente ridotta in considerazione della tipologia dell’opera, il tutto a significare l’estrema efficienza attesa nei lavori. Chiaramente tale attesa richiese una congruente organizzazione dei lavori che consentisse di evitare ogni possibile ritardo. “Occorreva preparare i disegni definitivi d’esecuzione tanto della parte metallica quanto della muratura e del gran ponte di servizio, organizzare i cantieri per l’esecuzione delle murature e stipulare i contratti per le provviste; far procedere di pari passo la costruzione del ponte di servizio colla fabbricazione dell’arco e della travata in officina, per modo che la messa in opera non avesse a subire ritardo alcuno. [...] Lo studio completo del progetto e dei mezzi d’esecuzione fu fatto e diretto dal sig. G.Ròthlisberger ingegnere capo dell’ufficio tecnico della Società. Le quantità approssimative dei materiali che dovevano provvedersi per esser lavorati e messi in opera erano le seguenti: • pietra di Moltrasio m3 5.000 • granito di Baveno m3 1.200 • abete di Baviera per il grande ponte di servizio m3 1.800 • ferro per l’arco tonn. 1.320 • ferro per le pile tonn. 245 • ferro per la travata tonn. 960 • acciaio fuso, ghisa e ferro cucinato per le imposte dell’arco, gli zoccoli delle pile, piastre di scorrimento tonn. 110. Sottoposti man mano alla approvazione della Direzione dei Lavori in Ancona i disegni e calcoli definitivi delle diverse parti del grande viadotto, si organizzavano i cantieri, ed anzi tutto quello per la costruzione del grande ponte di servizio. I legnami provenienti dall’Alta Baviera, erano tracciati, lavorati a dimensione e successivamente trasportati in riva al fiume per essere messi a posto, e quando si ricordi che tra il terreno circostante ed il fiume il dislivello è di 80 metri circa, si potrà capire come la costruzione del ponte di servizio si
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complicava, dovendo discendere i legnami, almeno in gran parte, fino al livello dell’acqua, per successivamente elevare l’edifizio sino a raggiungere di nuovo il livello della campagna. La costruzione del ponte servizio, iniziata nel maggio del 1887 era terminata nel marzo dell’anno seguente. Aperte le trattative per la provvista della pietra di Moltrasio con parecchi proprietari di cave, si ebbero a superare non poche difficoltà prima di poter ricondurre i prezzi ad una media che non s’allontanasse di troppo dai normali, cosicchè non poco tempo trascorse prima che una sufficiente provvista di pietra di Moltrasio potesse raccogliersi alle cave, e per mezzo di barconi trasportarsi a Lecco, dove dovevasi trasbordare in barche di minor portata, che potessero discendere l’Adda sino ai ristrettissimi depositi che si potevano praticare in riva al fiume in vicinanza del viadotto. Praticati gli scavi per le fondazioni degli spalloni del grande arco, i quali furono spinti sulla riva sinistra sino a m.10, si potè dar mano alle murature nel settembre del 1887 e terminare gli spalloni nel maggio successivo, con un’interruzione di 50 giorni nel cuore dell’inverno. La massima quantità di muratura eseguita in un mese salì a 850 m3. Mentre conducevansi a termine gli spalloni dell’arco ed il ponte di servizio su quale doveva riposare l’arco durante il periodo di erezione e s’era contrattata con una casa di Germania la fornitura dei pezzi in acciaio fuso per le imposte dell’arco, accumulavansi i ferri nell’officina di Savigliano e davasi mano alla fabbricazione dell’arco con tutte quelle cautele che dovevano assicurarne la perfetta corrispondenza
7. Particolare della travata e dell’arco Fonte: http://www.100kmdamilano. it/ponte-di-paderno/
8. Doppia viabilità sul ponte Fonte: https://www.flickr.com/ photos/29547117@N04/3421358669
9. Veduta interna alla struttura 10. Il ponte in veste invernale Fonte: http://digilander.libero.it/ padernodadda/
11. Veduta aerea del ponte
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delle diverse parti; e questo risultato fu completamente raggiunto, poiché, sebbene per le colossali proporzioni dell’arco fosse impossibile di connetterne insieme nell’officina neppure le parti principali, tuttavia nessun ritocco fu necessario in cantiere. Per dar principio alla montatura dell’arco, bisognava anzitutto collocare a sito le imposte in acciaio fuso, ciascheduna del peso di circa quattro tonn. Ma quantunque si fosse presa la precauzione di ordinare subito questi pezzi speciali, che solo poche officine estere possono fornire, con tali date di consegna che dovessero essere in cantiere parecchi mesi prima del tempo previsto per la collocazione in opera, avendo la Ditta estera mancato ai suoi impegni malgrado ripetu-
11 Bibliografia e Sitografia [1] Rivista Genio Civile non ufficiale del 1889 (n. 16, pag. 298) [2] https://it.m.wikipedia.org/wiki/Ponte_ San_Michele [3] http://www.archeologiaindustriale.org/ cms/ponte-di-paderno-e-parco-delladda-lc/ [4] http://digilander.libero.it/caluscoarte/ ponte.htm [5] https://it.wikipedia.org/wiki/Ferrovia_ Seregno-Bergamo [6] https://ouvresdegenie.wordpress.com/ ponte-di-paderno/ [7] http://www.savigliano-spa.it/storia2.htm [8] http://www.museotorino.it/view/s/5a8a7 b7c324b444187af242d712bc708 [9] http://www.ecodibergamo.it/stories/isola/ponte-di-paderno-ce-il-progettoma-servono-3-anni-e-25-milioni_1157060_11/ Il ponte riflesso sull’Adda Fonte: http://www.juzaphoto.com/ me.php?l=it&p=5415&pg=portfolio
te promesse, e la quasi continua presenza di un agente della Società, si riusciva appena nel corso del mese di giugno a ricevere le prime piastre d’appoggio, che fu mestieri di accettare benché neppur esatte in alcune dimensioni, per cui erano necessari dei ritocchi; per questi inconvenienti la erezione dell’arco, anziché in aprile, potè aver principio appena verso la fine di giugno, camminare spedita senza interruzione solo dopo i primi giorni d’agosto, avendo finalmente con molti stenti ricevuto dall’estero tutti i pezzi d’acciaio fuso, ed essere terminata a metà febbraio. Contemporaneamente all’arco si erigevano le pile in ferro sugli spalloni e quella a mezza costa verso Calusco, il che permetteva di dar principio alla montatura della travata dalla sponda sinistra nel mese di ottobre. Il viadotto era terminato nel marzo dell’anno corrente, meno la coloritura, rinviata prudentemente a stagione più propizia, ed alcuni lavori di finimento per modificazioni imposte dalla Direzione dei Lavori”. È da evidenziare che il ponte San Michele è interamente chiodato e non fa uso di saldature. Infatti alla fine del XIX Secolo la saldatura esigeva impianti poco pratici per essere adoperati nei manufatti in opera e in posizioni poco agevoli e le macchine portatili per la saldatura, specie quelle a elettrodi, si sarebbero diffuse e affermate solo con la prima guerra mondiale. Nonostante tale limite tecnico, il ponte venne eretto e risultò un’opera d’ingegneria imponente per quei tempi, con 100.000 chiodi ribattuti che reggono tuttora le oltre 2.500 tonnellate di ferro della struttura.
Un’opera strategica in esercizio
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Il collaudo fu compiuto in una giornata di pioggia torrenziale del maggio 1889. Un treno composto da 3 locomotive (di 83 tonnellate l’una) e da 30 vagoni carichi di ghisa dal peso complessivo di 850 tonnellate transitò alla velocità “vertiginosa” - così venne definita nel resoconto de L’Eco di Bergamo - di 45 km/h, dopo due passaggi a 25 km/h e 35 km/h. Nel 1890 il ponte venne verniciato di fresco e fu ufficialmente concluso. Solo tre anni dopo il primo collaudo, nel 1892, fu compiuto un secondo collaudo per verificarne la risposta alle locomotive di nuova generazione, più potenti e più pesanti. Nel 1944 il ponte, in quanto struttura strategica, fu preso di mira dagli aerei anglo-americani e subì alcuni bombardamenti che però non recarono danni irrimediabili. La struttura particolarmente snella, infatti, era difficile da centrare e fu colpita solo marginalmente e mai in modo irreparabile. Anche se il comando militare intervenne con riparazioni provvisorie, il transito fu sospeso a più riprese, per motivi di sicurezza, e reso oggetto di limitazioni. I lavori di restauro compiuti nel 1950, riguardanti tutta l’opera e in particolare le campate della travata, ne permisero la riapertura al traffico. Nel 1972 e nel 1992 l’opera è stata oggetto di importanti interventi di restauro che ne hanno garantito la preservazione. Dal 1980 circa non è più permesso il transito dei mezzi pesanti sul viadotto, mentre all’inizio degli anni Novanta, a cento anni dalla sua realizzazione, si è cominciata a prendere in considerazione la possibilità di chiudere il ponte, ormai inadeguato, affiancandovi una nuova struttura in cemento a singola campata. All’epoca la spesa prevista era di 42 miliardi di lire. Ad oggi, però, tale progetto risulta abbandonato. Nel 1998 il ponte venne valorizzato con un impianto di illuminazione formato da 15 fari da 500 W ciascuno, realizzando un gradevole gioco di luci. Ad oggi il ponte rappresenta ancora un nodo cruciale per l’attraversamento del fiume Adda, anche se oramai il traffico pesante o a lunga percorrenza è stato dirottato sui più capienti ponti di Trezzo sull’Adda, Brivio e sul ponte dell’A4 Torino-Trieste. La carreggiata è a singola corsia, con due camminamenti su entrambi i lati. Il transito è regolato da semafori dotati di telecamere che alternano il senso di marcia e la velocità limite è pari a 20 km/h; il transito ai mezzi con massa superiore ai 35 quintali è interdetto. La linea ferroviaria è a binario unico con riduzione di velocità a 15 km/h. Il 17 dicembre 2015 l’ing. Maurizio Gentile, amministratore delegato di RFI, ha annunciato che è in fase avanzata il progetto per la riqualificazione funzionale e conservativa del ponte San Michele, con un investimento previsto pari a 25 milioni di euro e tre anni di lavoro. Il progetto è finalizzato al miglioramento funzionale della struttura con il ripristino di velocità più conformi al traffico ferroviario moderno e la ristrutturazione della piattaforma stradale con importanti interventi finalizzati al miglioramento della sicurezza con particolare riguardo ai pedoni. Tale iniziativa risulta particolarmente meritoria nell’ottica di preservare e valorizzare un’opera infrastrutturale, qual è il ponte San Michele, che può essere iscritta, a buon diritto, tra le più alte realizzazioni della storia dell’ingegneria civile italiana. ■■
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