RockNow #1

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101% not your kind of people

Mensile - Anno I - Numero 1 - Giugno 2012

Rancid Lostprophets Punkreas The Used Parkway Drive Meganoidi Klogr

GARBAGE

Version 5.0

Disco del mese: Marilyn Manson Lacuna Coil - InMe - Hopes Die Last - Milk White - Mainline - Red City Radio - Olly


#1

101% MUSIC, STYLE & FUN

Mensile - Anno I - Numero 1 - Giugno 2012

Garbage Rancid Punkreas The Used Parkway Drive Meganoidi Klogr

LOSTPROPHETS Bringin' an arsenal

Disco del mese: Marilyn Manson Lacuna Coil - InMe - Hopes Die Last - Milk White - Mainline - Red City Radio - Olly


#1

101% fun & no hipsters

RANCID

Mensile - Anno I - Numero 1 - Giugno 2012

20 years of punk (in)sanity Garbage Lostprophets Punkreas Parkway Drive The Used Meganoidi Klogr

Disco del mese: Marilyn Manson Lacuna Coil - InMe - Hopes Die Last - Milk White - Mainline - Red City Radio - Olly


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OUT

NOW

www.bnow.it


EDITO

And NOW… we ROCK!!!

Non è mai facile scrivere un editoriale, soprattutto quando questo deve presentare quella che è a tutti gli effetti una nuova avventura. Le cose da dire sono davvero tante e lo spazio è sempre poco. Potrei dire che mi sembra di tornare indietro fino ai tempi di Rock Sound, la rivista che per almeno 12 anni ha accompagnato ogni giorno della mia vita. E questo è sicuramente positivo, dal momento che quel giornale rimane un bellissimo ricordo, nonché l’input per realizzarne uno nuovo. Chiusa quell’esperienza, io e Stefania Gabellini (socia altrettanto folle…), abbiamo infatti iniziato a pensare subito a un nuovo magazine che portasse avanti quello spirito e gli stessi contenuti redazionali. L’idea era proprio quella di rifare una rivista classica, di carta (a noi piace sfogliarla, annusarla… e in questo siamo davvero old school), ma strada facendo ci siamo resi conto che attorno a noi il mondo dell’editoria stava cambiando sempre più velocemente. E sempre strada facendo, si incontrano anche altre persone, che come noi si trovano nella stessa situazione, persone semplici ma guidate da una grande passione come Marco De Crescenzo (un altro pazzo... che tra qualche settimana uscirà con il suo BNow, sempre online). Confrontandoci e, soprattutto sognando, siamo arrivati alla conclusione che, forse, era meglio considerare solo ed esclusivamente quello che oggi è il mezzo di comunicazione più veloce ed efficace: la Rete. A questo punto, il nostro nuovo mag doveva essere online, ma non limitarsi a un solo sito o webzine. Sarebbe stato, forse, più facile (vero Mike?) ma a noi tre le cose semplici non sono mai piaciute e quindi volevamo una vera rivista con delle pagine da sfogliare, con cadenza mensile e una sua identità ben definita. Il risultato lo avete tra le mani, o meglio sulla punta del mouse (o delle dita se usate un tablet): una rivista senza carta… ma con le carte giuste. Chi mi aveva seguito nella precedente avventura chiamata Rock Sound ritroverà sicuramente lo spirito di allora e lo stesso entusiasmo per un certo tipo di musica. Il merito va condiviso assieme a tutte le persone che sono state coinvolte nel progetto e ci tengo a sottolineare che lo hanno fatto per pura passione. E, sicuramente, per poter leggere nuovamente un magazine diverso, fatto da gente che non si prende sul serio ma che si diverte a scrivere e parlare di musica. Oltre, ovviamente, ad ascoltarla ad alto volume. Keep on rockin’, Daniel C. Marcoccia dan@rocknow.it

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ROCKNOW #1 – Giugno 2012 - www.rocknow.it

08-23 PRIMO PIANO:

Gaslight Anthem Hopes Die Last Dischi violenti: Olly Young The Giant / All in the name of Rock Set Your Goals Mainline / Red City Radio Milk White Webzone Inme Local hero Studio report: Living Dead Lights Games Crazy… net Open store

www.rocknow.it Registrazione al Tribunale di Milano n. 253 del 08/06/2012

Scrivi a: redazione@rocknow.it DIRETTORE Daniel C. Marcoccia dan@rocknow.it ART DIRECTOR Stefania Gabellini stefi@rocknow.it COORDINAMENTO REDAZIONALE ONLINE EDITOR Michele “Mike” Zonelli mike@rocknow.it

24-51 ARTICOLI: 24-29 Garbage

30-33 Rancid (A-Z)

34-37 Lostprophets

COMITATO DI REDAZIONE Marco De Crescenzo Stefania Gabellini COMUNICAZIONE / PROMOZIONE Valentina Generali vale@rocknow.it

38-41 Punkreas

48-49 Meganoidi

42-44 The Used

50-51 Klogr

46-47 Parkway Drive

COLLABORATORI Arianna Ascione Armando Autieri Giorgio Basso Paolo Bianco Andrea Cantelli Nico D’Aversa Alex De Meo Miss Scarlett Amalia Noto Eros Pasi Silvia Richichi Andrea Rock Stefano Russo Piero Ruffolo Scarsecate FOTOGRAFI Arianna Carotta Emanuela Giurano Andrea Cantelli SPIRITUAL GUIDANCE Paul Gray Editore: Gabellini - Marcoccia Via Vanvitelli, 49 - 20129 Milano

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53-59 RECENSIONI:

Disco del mese: Marilyn Manson Nu rock Pop/Rock Metal/Punk

60 Live 62 Flight case: Lacuna Coil

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PRIMO PIANO

THE GASLIGHT ANTHEM L’età adulta

Uscirà a luglio il nuovo disco della band del New Jersey, diventata in pochi anni uno dei punti di riferimento dell’odierna scena punk rock. Di Piero Ruffolo

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i intitolerà “Handwritten” il quinto album dei Gaslight Anthem, il primo per una major dopo l’accasamento del gruppo guidato da Brian Fallon presso la Mercury. Registrato a Nashville assieme al produttore Brendan O’Brien (Pearl Jam, AC/ DC, Bruce Springsteen), questo nuovo lavoro rappresenta per il cantante un ritorno verso le

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sonorità elettriche e punk dopo la sua breve parentesi con The Horrible Crowes (side-project assieme al tecnico delle chitarre degli stessi Gaslight, Ian Perkins) e il tour acustico in giro per l’Europa assieme agli amici punk Chuck Ragan, Dan Andriano (Alkaline Trio) e Dave Hause (The Loved Ones). “Dopo sei settimane a suonare così, la cosa che desideri di più al mondo è riaccendere al massimo i Marshall” ci spiega ridendo lo stesso Fallon. E la rinnovata voglia di elettricità e suoni più corposi è racchiusa oggi in “Handwritten”, il nuovo capitolo della discografia del quartetto di New Brunswick, in cui convivono il punk dei Clash e il rock di stampo

più classico del compaesano Bruce Springsteen. Inutile sottolineare ancora una volta il taglio sociale e politico delle splendide liriche scritte dal frontman dei Gaslight Anthem, che descrive così il disco: “Abbiamo preso tutto ciò che facciamo e l’abbiamo spinto al massimo livello. Questo è sicuramente il disco che vorrei ascoltare se fossi un fan. Senza rinnegare nulla degli ultimi dischi, questo suona come il lavoro di una band che si è di nuovo attaccata alla presa elettrica". Anche dal punto di vista del songwriting, il frontman appare molto soddisfatto ed elogia la collaborazione con O’Brien: “Brendan ci ha insegnato una tonnellata di cose circa il

songwriting e la registrazione. È stata un’esperienza davvero incredibile. Quello è il ragazzo che ha registrato i Pearl Jam, Bruce Springsteen e i Rage Against The Machine e quando in studio ti dice ‘va bene’, vuol dire che in quel momento va davvero tutto bene. Per quanto riguarda i testi, Ci sono tante cose di cui non avevo mai scritto in passato, roba davvero molto personale di cui io non ero probabilmente ancora pronto a parlare. Ora che penso di essere adulto, ho qualche riflessione da fare”. Sarà ancora una volta un piacere ascoltare le tue canzoni, Brian… “Handwritten” (Mercury/ Universal), in uscita il 24/07


MER. 13/06 MAR. 26/06

LYNYRD SKYNYRD + MOLLY HATCHET

+ BETTA BLUES SOCIETY

INCUBUS

+ fiN

MAR. 10/07

WOLFMOTHER + BUD SPENCER BLUES EXPLOSION

MER. 11/07

GARBAGE + 2:54

GIO. 12/07

PAUL WELLER

MER. 18/07

TS

TS

BEN HARPER

GIO. 19/07

LENNY KRAVITZ + TROMBONE SHORTY & ORLEANS AVENUE

DOM. 22/07

G3 +0& 4"53*"/* t 45&7& 7"* t 45&7& .034& JAMES MORRISON + MAVERICK SABRE

LUN. 23/07

TS

+ MUSICANTI DI GREMA

MAR. 24/07 TS

TRENO SPECIALE

MIKA

TS

Treno speciale VIGEVANO - MILANO PORTA GENOVA in partenza alle ore 01.00 circa al termine del concerto. ATTENZIONE! Il biglietto è valido solo per la tratta Vigevano-Milano Porta Genova. I biglietti sono acquistabili a Vigevano presso la biglietteria del festival in Piazza Ducale 20, oppure on line sul sito www.diecigiornisuonati.it. Costo del biglietto â‚Ź 5,00. Per il tragitto Milano-Vigevano si potranno utilizzare i treni della Linea Milano - Mortara i cui biglietti possono essere acquistati presso tutte le biglietterie TRENORD e TRENITALIA.

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PRIMO PIANO

hopes die last Una questione di fiducia Con “Trust no one” raggiungono l’ennesimo obiettivo di maturità musicale, un album che fonde il sound passato con l’innovativo mix di elettronica e rock: una sostanziale svolta per il gruppo. Di Amalia “Maya” Noto

L

a ricerca del suono ideale è sempre stata costante per gli Hopes Die Last e l’ultimo loro lavoro rappresenta sicuramente un vero e proprio traguardo per i nostri giovani romani. Come dichiarano loro stessi: “C’è stata una grande maturazione da parte di tutti i componenti”, un po’ dovuto ad alcuni cambi di line-up che hanno rafforzato l’affinità di gruppo, ma principalmente grazie alle esperienze assimilate negli ormai innumerevoli tour passati. Il confrontarsi con altrettanto valide

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band li ha positivamente influenzati e spinti verso una visione meno usuale del mondo della musica, ponendo evidenti modifiche già nella stesura dei brani stessi, utilizzando “più sonorità rock e strizzando l’occhio anche a suoni elettronici pesanti, liberandoci così dai soliti cliché che il genere a volte impone”. Un album concepito con un ottimo lavoro di gruppo che, come prerogativa, ha quella di “sperimentare” generando pezzi molto diversi l’uno dall’altro; una qualità che li eleva una spanna sopra altri gruppi del genere “metalcore/screamo”. Maturità già tangibile dalla scelta del nome dell’album: “un titolo che riflette una situazione interiore che in questo periodo storico, specialmente in Italia, tutti sentono vicini: la quasi assoluta certezza di non potersi fidare veramente di nessuno, nemmeno di se stessi. Se ne sentono di tutti i

colori e non si ha più la certezza di essere con le spalle coperte in nessun ambito, sia lavorativo che sociale”. Un titolo forte e chiaro che calza a pennello con il modo di fare in cui trasmettono forti sensazioni che in alcuni pezzi possiamo percepire dentro di noi. Anche nella dissonante “Firework ”, cover di Katy Perry, che però non diminuisce certamente il valore del risultato finale. Hopes Die Last, ormai il sogno di molte band alle prime armi della scena: un invidiabile contratto con Standby Records e concerti che giorno dopo giorno migliorano e arricchiscono il loro bagaglio musicale, costruendosi

una meritata fama, sicuramente confermata da “Trust no one”. Quest’ultimo disco sarà il pilastro portante, la base sicura per iniziare a girare il mondo con il tour promozionale, mentre a noi non resta che attendere il prossimo disco che, quasi sicuramente, ci riserverà belle sorprese come loro stessi possono confermarci. Che dire, sorprendenti e soddisfacenti, gli Hopes Die Last si guadagnano il massimo degli apprezzamenti e rimane l’aspettativa nel meglio per il futuro: che “Trust no one” sia una porta aperta verso una sempre più intensa crescita e una attenta ricerca sonora.


LE FURIE SUL

RED BULL

TOURBUS L

o scorso 25 maggio al Circolo degli Artisti di Roma si è svolta la finale della terza edizione del Red Bull Tourbus Chiavi in Mano!
La giuria di qualità - composta da Ringo (direttore artistico e anima di Virgin Radio), Pietro Camonchia (fondatore di Metatron Srl), Marco Manzella (da oltre 10 anni attivo nell’organizzazione di concerti in tutta Italia) e dal nostro direttore - ha deciso che saranno i toscani Le Furie a partire per un tour di

a chi dare un’occasione unica non è stato semplice, non amo giudicare e decidere le sorti di un futuro da musicista, era un impegno preso sin dal principio ma al momento decisivo non è facile” dice Ringo che ha molto apprezzato anche la performance pulita e diretta dei The Last Fight. Ed è per questo motivo che Red Bull, in accordo con la giuria, ha deciso di assegnare anche una menzione speciale ai bergamaschi The Last Fight e di regalare loro

tre tappe a bordo del Red Bull Tourbus!
Le tre band finaliste (oltre a Le Furie, erano i gara anche Rewout e The Last Fight) hanno messo in seria difficoltà la giuria con delle esibizioni intense e di ottima qualità. Il pomeriggio passato insieme per il workshop ha inoltre permesso di comprendere e apprezzare lo spirito con il quale i tre gruppi affrontano il palco.
“Scegliere

la possibilità di esibirsi in una delle date del tour insieme a Le Furie. La band fiorentina, che ha da poco pubblicato un album intitolato “Andrà tutto bene”, oltre al tour sul Red Bull Tourbus, avrà anche la possibilità di passare 2 giorni di recording presso lo studio Icon di Jungle Sound e 1 giorno di mix presso l’Alari Park Studios di Milano.

 www.redbulltourbus.it


PRIMO PIANO All in the name of A cura di Andrea Rock

H

YOUNG THE GIANT

Divenuti nel giro di poco tempo un vero e proprio fenomeno internazionale grazie a indovinati singoli e un invidiabile istinto rock, gli Young The Giant si dimostrano realtà solida e matura. di Piero Ruffolo

A

utore dell'omonimo debutto, il giovane quintetto californiano non risente del clamore suscitato, riuscendo a mantenere la propria genuina identità. Pubblicato in un secondo momento oltreoceano, "Young The Giant" vive oggi una ritrovata giovinezza. "Il disco è stato presentato da poco in Europa e questo ci ha dato nuova energia. Per noi è un mercato da scoprire e conquistare e non avremmo mai immaginato una simile evoluzione". A parlare, il chitarrista Eric Cannata. "Da quando abbiamo lasciato lo studio la nostra vita è radicalmente cambiata. Abbiamo trascorso l'ultimo anno on the road, incontrato persone incredibili e vissuto esperienze che avevamo

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solo sognato". Con parte della promozione ancora in atto, la band si prepara a realizzare il secondo album. "Abbiamo già chiuso diversi brani, l'idea è di entrare in studio a fine anno, probabilmente a novembre. Il disco dovrebbe uscire a marzo del 2013 negli States e, speriamo, anche nel resto del mondo". La consapevolezza di quanto raggiunto sembra, dunque, non contaminare i molti propositi. "Cerchiamo di non dare troppo peso alle pressioni esterne, preferiamo focalizzarci sulla musica e lasciare fuori tutto il resto. Abbiamo lavorato sodo per arrivare fin qui e continueremo ad assecondare le nostre intuizioni. La cosa peggiore che ti può succedere è arrivare alla fine della giornata e renderti conto di aver registrato qualcosa di cui non sei orgoglioso. Il nostro primo pensiero non è di creare brani per le radio o di riuscire a vendere più di quanto abbiamo fatto fino a oggi, risultato che ancora ci sorprende, il primo pensiero è scrivere canzoni di cui andare fieri, canzoni che ci facciano sentire in pace con noi stessi".

rock

o pensato molto al mio debutto su questo nuovo webmagazine musicale; in questo spazio avrò modo di esprimermi liberamente su tutto ciò che vedo e ascolto (con diritto di replica, mi ricorda il direttore!)… Non è quindi facile trovare un argomento unico per presentarsi ad un pubblico di lettori che molto probabilmente non mi conosce e forse non è nemmeno interessato a leggere questa rubrica. Ma da qualche parte bisogna pur iniziare. Inizio, quindi, dal punto più ovvio: Daniel Marcoccia torna a dirigere un magazine musicale. Grazie al cielo. Ho acquistato migliaia di riviste in vita mia, ma nessuna aveva le caratteristiche di Rock Sound Italia; nessuna riusciva ad essere spontanea e costruttiva. Ancora oggi, molte riviste del settore musica non sono altro che un insieme di “firme importanti” che con presunzione pretendono di dirci quale sia la “musica importante” e quale no, chi o cosa sia realmente “rock”. Fottetevi. Se leggo una rivista voglio recensioni di dischi, personali per carità, ma utili a capire quale sia il prodotto discografico del quale si sta parlando. Negli ultimi 3 anni ho praticamente smesso di andare nelle edicole italiane a cercare stampa musicale. Ma sentivo la mancanza del modo di intendere la musica di Daniel. Lui è un fan del rock, lui ai concerti (anche di band emergenti italiane) ci va, se può dare una mano lo fa e se non può, ti spiega senza troppi giri di parole il motivo. Ed è grazie al suo atteggiamento onesto che si è guadagnato una serie di “collaboratori extra”, come il sottoscritto, che sono orgogliosi di scrivere per lui e di farlo senza nessun tipo di tornaconto. State quindi leggendo un megazine scritto e redatto con passione… ”with passionate heart” potrei dire per auto citarmi… Siatene orgogliosi. Non rinunciate a contattarci, a darci feedback positivi o meno, a suggerirci argomenti o artisti da prendere in esame. Personalmente sarò il vostro occhio all’interno del complicato mondo del rock in Italia e non vedo l’ora di potervi raccontare quello che vedo. Concludo con un doveroso saluto e un ricordo ad un artista del quale avevo avuto modo di parlare su carta stampata, proprio all’interno di una rubrica di Rock Sound Italia: ciao Adam, ciao MCA. Il suono della tua band mi ha iniziato alla musica, a quella musica che ai genitori non piaceva, che non piaceva alle ragazze, che in teoria non poteva piacere a nessuno. E invece è piaciuta al mondo intero e al mondo intero hai dato lezioni di stile e coerenza. Rispettosamente, un tuo fan.


Olly (Shandon/The Fire) Di Daniel C. Marcoccia

PRIMO DISCO COMPRATO:

“Blast off” degli Stray Cats!!! Mi ha sballato! Ho rotto le palle a mia cugina per un mese intero per trovarmelo visto che lavorava in un negozio di dischi. Cazzo sono vecchio!!! Parlo dei primi anni ottanta, avevo 8 anni.

ULTIMO DISCO COMPRATO:

“The ArchAndroid” di Janelle Monàe, un disco pazzesco... Soul, dancepop, rock, jazz, R&B. Lei è una cantante eccezionale, una ballerina eccezionale, ha un look eccezionale ed è una performer live al di sopra di ogni star odierna del pop. Una forza della natura.

DISCO CHE HA CAMBIATO LA TUA VITA:

Troppi… ma i più importanti sono sicuramente “Machine head” dei Deep Purple, “Suicidal Tendencies” dei Suicidal Tendencies, “Generator” dei Bad Religion, “Closin time” di Tom Waits, "The head on the door" dei Cure, "Blast off" degli Stray Cats, “Blissard” dei Motorpsycho, “The color and the shape” dei Foo Fighters e molti altri…

DISCO SOPRAVVALUTATO:

Uno in particolare? Non saprei… Direi un sacco di questi nuovi personaggi della scena indie rock Italiana che sembrano più interessati a far finta di essere dei “loser" che a fare canzoni decenti (Olly ti adoro!!! ndDan). Questa cosa li rende tragicamente fashion o radical chic e quindi la cosa più lontana dalla parola “alternativo”. Boh, forse non sono alla moda ma trovo questa corrente musicale davvero tragica e insapore!

DISCO SOTTOVALUTATO:

Un sacco di dischi Italiani che non escono dai confini di questa nazione che non riconosce i talenti che ha e che non supporta perché li considera serie B. Se il nostro mercato discografico avesse persone interessate e un giro d'affari dignitoso come quello della Germania o degli Stati Uniti credo che molte produzioni nostrane spaccherebbero ovunque. Altra cosa insopportabile è che se non si canta in Italiano, si è automaticamente serie C o Z. Qualche nome? No Speech, Last Fight, Rivolta, Spasmodicamente, i Giuda, Quartiere Coffee… Ottima musica, ottimi musicisti ma senza grandi numeri.

DISCO "BOTTA DI VITA":

Direi due almeno, "It's alive" dei Ramones: se sei depresso, stanco o annoiato, è meglio di qualsiasi polverina magica!!! Entusiasmo e vitalità. Oppure "Black rain" di Ozzy Osbourne. Ozzy più invecchia e più

DISCHI VIOLENTI

fa dischi da paura!!! Lemmy lo segue. Ogni disco nuovo dei Motörhead non sembra sentire il tempo di ogni altro essere mortale. Non posso dire lo stesso dei Metallica purtroppo.

DISCO "LASSATIVO":

Barry White e la disco 70… Mi fa proprio andare di corpo.

DISCO PER UNA SERATA ROMANTICA:

“Closin' time” di Tom Waits. Se non vi innamorate con quello siete degli insensibili senza cuore. Oppure siete lì solo per scopare...

DISCO SUL QUALE AVRESTI VOLUTO SUONARE: “Turn around” di Jonny Lang. Se fossi in grado di essere così fico come quelli che suonano in quel disco, credo che mi sentirei arrivato.

DISCO DA VIAGGIO:

The Fire Theft, una band eccezionale dove milita il bassista dei Foo Fighters. Disco davvero sognante e ispirato, sono i nuovi Pink Floyd a mio parere. Oppure spesso mi capita di viaggiare con mia moglie con Michael Bublè oppure Ella Fitzgerald appalla!!! In viaggio il jazz cantato e l'alternative rock sono i generi perfetti.

DISCO PER UNA NOTTE DI BAGORDI: Come tu ben sai, non sono il tipo da notte di bagordi ma credo che i Misfits sarebbero perfetti… Oppure il mitico Danko Jones. Forse io festeggerei con "Rain dogs" di Tom Waits, più teatrale e più nella mia visione delle cose.

DISCO DEL GIORNO DOPO:

Devo interpretare questa domanda. Dopo aver scoperto che non diventerò padre oppure risveglio dopo una sbronza? Beh, credo in entrambe i casi un disco di Emiliana Torrini, una cantante islandese con un nome italianissimo. Lei è un mattino di primavera, musicalmente parlando. Un ottimo risveglio insomma. Oppure Norah Jones.

DISCO CHE TI VERGOGNI DI POSSEDERE: Anni fa ho rilevato circa 200 vinili da un amico di mio padre che lavorava per una celebre rivista degli anni 80. Adesso ho un sacco di dischi terribili di cui mi vergogno. Tra questi Sabrina Salerno, Spagna, Samantha Fox, etc... A ogni modo roba che non mi appartiene.

CANZONE CHE VORRESTI AL TUO FUNERALE:

"You can never hold back spring" di Tom Waits...

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PRIMO PIANO

SET YOUR GOALS Fuoco cammina con me

Con alle spalle tre album e una manciata di canzoni super, la band californiana fa tappa all’Old Blue Last di Londra, dove un simpaticissimo Jordan Brown ci parla di “Burning at both ends” e dei progetti futuri. Di Silvia Richichi

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roprio dell’ultimo disco inizia a parlare Jordan: “’Burning at both ends’, inizialmente, ha ricevuto recensioni eterogenee, soprattutto in America dove alcuni hanno anche espresso disappunto a riguardo, mentre in Europa è stato accolto e capito con più facilità. Penso che questo album

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racchiuda un messaggio sincero e più profondo rispetto ai nostri primi dischi e forse è per questo che non è stato immediatamente apprezzato. Abbiamo lavorato in due diverse sessioni, la prima di sei mesi ed una seconda di tre. Ricordo che siamo anche arrivati ad un punto in cui volevamo quasi arrenderci e tornare a casa, è stata sicuramente una prova per noi”. Per la realizzazione del disco, i Set Your Goals hanno lavorato con Brian McTernan e Mike Green, i quali si sono rivelati fondamentali per affrontare con maggiore chiarezza il processo creativo: “Inizialmente non sapevamo bene come trasformare in concreto le idee che avevamo in mente. Brian ci ha fatto riscrivere molte

parti dei brani e di conseguenza il processo di scrittura è stato diverso. Diciamo che Brian ci ha aiutato a capire come comporre i pezzi mentre Mike come registrarli”. Per il singolo “Certain” è stato realizzato un video divertente in cui la band si ritrova a combattere contro un mostro: “Appena abbiamo registrato ‘Certain’, abbiamo subito capito che era la canzone perfetta come singolo, il brano che volevamo la gente ascoltasse, sapevamo che era quello giusto. Per il video volevamo realizzare qualcosa di divertente, che ricordasse un video anni ’80: un ballo in cui i partecipanti bevono un drink che li trasforma in un mostro contro il quale ci ritroviamo a combattere. Abbiamo chiamato un nostro amico di Los Angeles che

ha animato parecchi film famosi, ci ha aiutato lui con l’animazione”. Quasi un anno è passato dall’uscita di “Burning at both ends” e, infatti, il gruppo sta già pensando a un nuovo disco: “Speriamo di finirlo entro la prossima estate, abbiamo già scritto due canzoni, registrate poi con l’aiuto di Chad dei New Found Glory, con cui lavoreremo per l’intero album. Le canzoni saranno più in linea con i nostri primi dischi, ma pur sempre con qualcosa di diverso. Sono davvero entusiasta all’idea di scriverlo”. Jordan non cambierebbe nulla della sua esperienza nei Set Your Goals, forse solo i tour intensi e estenuanti: “Eravamo esausti e litigavamo molto, ma alla fine ne siamo usciti fortificati. Senza litigi una band non si rafforza”.


MAINLINE

“Azalea” è l’album che racchiude passato e futuro dei Mainline, donando un tono di maturità al gruppo grazie alla capacità di rimettersi in discussione senza tuttavia rinnegare le proprie origini. Di Amalia “Maya” Noto

La musica è l'insieme di differenti ascolti, di influenze e del contributo di ogni singolo membro della band” ed è così che i Mainline hanno sfruttato il cambio di line-up per rielaborare vecchi pezzi, alcuni pronti da tempo, rimettendo tutto in discussione in sala prove e arrivando in alcuni casi a stravolgerli totalmente. L’ingresso di nuove “teste” con influenze musicali totalmente differenti fra loro fa, infatti, di “Azalea" il punto d’incontro (e scontro) ideale di cinque musicisti dal background diverso. Forti delle esperienze live passate, condividendo il palco con gruppi quali i Misery Signals, i Mainline irrompono con un sound che non lascia scontento chi aveva apprezzato “From oblivion to salvation” ma allo stesso tempo ne allarga le vedute… senza tuttavia eccedere in sonorità fuori dal loro genere. Ottima la qualità delle registrazioni a cura dell’impeccabile Andrea Fusini, che ha dedicato loro il tempo necessario per ottenere un risultato perfetto anche in vista della riproduzione live dei pezzi, come l’attenzione rivolta ai testi in cui il gruppo riversa i propri sentimenti e le esperienze positive e negative. Particolare la decisione di autoprodursi, una scelta sicuramente più tortuosa rispetto alla strada di un disco con una label ma il sentirsi liberi da ogni vincolo che opprima il loro modo di vivere la musica ha fatto si che i Mainline rinunciassero a proposte interessati. Tutti questi valori calzano a pennello con il

titolo dell’album: Azalea è il nome della palazzina in cui possiedono la sala prove ma anche il nome di una pianta molto particolare che molti definiscono “amore e tormento” per via delle cure di cui ha costantemente bisogno e data la difficoltà nel farla crescere. Un titolo perfetto visto il grande amore e tempo dedicato alla produzione di quest’album!

RED CITY RADIO “

Dall’Oklahoma arriva questa promettente punk band con all’attivo un album e diversi EP. Li abbiamo incontrati per voi durante la loro recente trasferta europea. Testo & foto Andrea “Canthc” Cantelli

E ricordati di dire a tutta New York del sound di Oklahoma City, di quella melodia che esce dai nostri cuori quando suonano all’unisono, segnati da anni di vita su queste strade”. In questo modo parlano di loro stessi i Red City Radio in una canzone e credo che descrizione migliore non ci possa essere per questa band che diventata ormai simbolo dell’orgcore punk. Il quartetto di Oklahoma City è passato in pochissimo tempo dall’anonimato più totale a calcare i palcoscenici di tutto il mondo grazie a due ottime uscite discografiche con la Paper + Plastik: un EP e un full-length caratterizzati da un punk rock ruvido e melodico con testi che parlano di disagio sociale, dipendenze e quanto possa essere difficile emergere venendo da un posto sperduto su una cartina geografica. “Siamo già arrivati oltre le nostre aspettative” confessa il cantante Garrett Dale, incontrato al Groezrock in Belgio, “fino a qualche anno fa suonavamo per i nostri amici d’infanzia nel bar davanti a casa e oggi dall’altra parte del mondo abbiamo radunato di prima mattina una folla di oltre duemila persone. I kid si riconoscono in noi perché siamo scapestrati come loro e non credo sia difficile rivedersi nei nostri testi”. Garret pensa già alle prossime mosse della sua band: “Abbiamo già le idee chiare e i pezzi scritti per un nuovo album. Quando finiremo di suonare in giro, potremmo raccogliere le idee e andare a registrare. Non aspettatevi niente di nuovo da noi, sarà una naturale prosecuzione di ciò che abbiamo fatto fino ad ora”. Quando gli chiediamo come ci si sente a essere portabandiera di una corrente musicale come l’orgcore punk, mi risponde: “Orgcore non vuol dire niente, è nato come un termine dispregiativo per indicare band di un certo genere e poi con il tempo è stato adottato dalle stesse con una punta di orgoglio, noi facciamo del puro punk rock e a volte riusciamo a sbagliare pure in quello.” Insomma, cari punk rocker, se ancora non avete aperto il vostro cuore a questo barbuto quartetto del Midwest, non esitate a farlo e vedrete che Garret e soci non vi deluderanno.

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PRIMO PIANO

MILK WHITE Passione senza limiti

Quattro chiacchiere con la cantante di questa affascinante band romana, in attesa di un nuovo album sempre all’insegna del garage rock più abrasivo. Di Daniel C. Marcoccia Foto di Roberto Panucci

L

’attualità dei Milk White, come ci spiega Erika, passa anche attraverso l’ennesima sistemazione della formazione: “Al momento i Milk White siamo io e Stefania (chitarre). Dopo tanti cambiamenti nella line-up, abbiamo pensato che nel nostro caso è possibile e probabilmente anche più produttivo restare concentrate sulle nostre idee. Grazie a questa scelta, e ai Velvet, siamo ora in

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studio cercando di dare una forma ai brani che abbiamo scritto successivamente al nostro primo album ‘Cigarette crimes’. Nonostante la quantità di idee, ancora non si parla di disco intero ma ci saranno sicuramente e tra non molto delle novità”. Garage rock, alternative, indie… tutte etichette che vengono spesso appiccicate addosso al gruppo capitolino. Le ragazze non si lamentano di certo, anche se preferiscono non rimanere vincolate a una determinata nicchia: “Per noi il termine ‘indie’ indica solo la modalità in cui stiamo procedendo. Chiunque faccia musica ha iniziato sentendo il bisogno di fare riferimento ad altri generi e spunti per trovare la propria strada. Per esempio il nostro disco di debutto ha sicuramente dei forti tratti

garage-punk-noise e altre cose di cui forse non eravamo neanche consapevoli… nonostante avessimo sempre visto la musica come un linguaggio universale e ora più che mai sentiamo l'esigenza di spostare i limiti e andare oltre qualsiasi definizione allo scopo di mostrarci semplicemente per quello che siamo. È un percorso più lungo e tortuoso che sopra ogni cosa richiede una crescita e una forte consapevolezza da parte nostra”. La tecnologia e Internet hanno permesso alle band di azzerare - o almeno ridurre - le distanze e arrivare così più facilmente alla gente. Un veicolo promozionale che sembra ancora poco utilizzato nel nostro Paese… Ancora una volta Erika ha le idee ben chiare in merito a questo argomento: “La

tecnologia per noi ha avuto un ruolo fondamentale fin dall'inizio. Registravo delle canzoni nella mia cameretta con un semplicissimo computer che venivano poi ascoltate e apprezzate addirittura in Messico e in Giappone. Era stupefacente! In Italia si può dire che c'è una scarsa cultura del ‘fai da te’. Mi capita spesso di vedere band neonate che, ancor prima di aver suonato dal vivo, sono già alla disperata ricerca di un'etichetta o di una qualsiasi figura discografica quando credo invece che potrebbero concentrare le loro energie lavorando sulla musica e utilizzando Internet come mezzo di diffusione, dipendendo esclusivamente dalle proprie forze. Anche in questo caso si tratta di spostare i limiti":


A cura di Michele Zonelli

HI-TECH

GARBAGE.COM

Atteso da tempo, il ritorno dei Garbage è finalmente realtà. A suffragio del sempre maggior interesse dedicato ai social network, la formazione non sembra dare molta importanza al proprio spazio web. L'aspetto è quello di un blog non tanto moderno, scelta che compromette il tempo di permanenza una volta esauriti i propri propositi. E a testimoniare il citato interesse per i portali sociali, il fatto che la maggior parte delle voci in menu si dimostrano essere semplici link a canali esterni. Design: 2 Accessibilità: 2 Contenuti: 2 Pro: News costantemente aggiornate Contro: Scoperti i relativi social network, il sito non ha più alcuna utilità

MACHETEMFG.COM

THEUSED.NET

Pubblicato "Vulnerable", i The Used rinnovano la propria presenza in rete. Theused.net accosta nuove e vecchie tendenze in fatto di webdesign e offre uno spazio minimale e di comodo utilizzo. Interamente dedicata alle news, la home (raggiungibile unicamente all'apertura o cliccando sul logo della band) offre post completi, spesso incentrati su foto e video. La pagina band ripercorre la storia della formazione e cita collegamenti diretti ai singoli membri, mentre tour e store permettono di seguire e supportare i propri beniamini. Design: 3 Accessibilità: 3 Contenuti: 4 Pro: Informazioni esaurienti equotidiane Contro: Minimale anche nella navigazione

Negozio virtuale dalla lunga tradizione, Machete ospita il merchandise di alcune delle realtà più rinomate della scena punk internazionale. Senza limitarsi a offrire le sole creazioni legate alle più recenti pubblicazioni, l'ampio catalogo raccoglie numerosi oggetti e capi d'abbigliamento ispirati a glorie presenti e passate. Scelto da Rancid, Dead Kennedys, Agnostic Front, Cro Mags e Gogol Bordello (per citarne alcuni), il progetto non spicca certo per ingegno o impatto grafico, ma la sostanza non manca. Design: 2 Accessibilità: 3 Contenuti: 4 Pro: Vasto catalogo Contro: Grafica omogenea. Estenuante su lunghe ricerche

LOGITECH MINI BOOMBOX "Scatena l'audio!": questo lo slogan che accompagna il Mini Boombox, nuovo altoparlante portatile di casa Logitech. Dal design curato e dalle dimensioni ridotte, il dispositivo assicura la qualità audio grazie a una camera acustica appositamente studiata e a un perfetto controllo dei bassi.

I comandi, affidati a un pannello touch retroilluminato, rispondono alle comuni esigenze e la batteria interna ricaricabile ne permette l'impiego in qualsiasi ambiente. Il microfono integrato, infine, amplia l'utilizzo a telefonate in vivavoce e video chat. Pensato per i device di casa Apple, il Boombox si collega facilmente a dispositivi con tecnologia Bluetooth. www.logitech.com AVENGERS USB FLASH DRIVE Al debutto nelle sale cinematografiche, "The Avengers" ha già incontrato il consenso dei fan della Marvel e dato il via alla corsa di numerose aziende pronte a concepire i più disparati e dedicati gadget. Infothink, società con sede a Taiwan, presenta quattro drive

DRINKIFY.ORG

A volte basta davvero poco per dare forma a un'idea tanto originale quanto semplice, una di quelle soluzioni che scoperte è quasi inevitabile chiedersi "perché non ci ho pensato io?". È il caso di Drinkify, portale creato in 24 ore da tre amici sbronzi. Due pagine, tre motori di ricerca, una grafica pulita ed elegante e un unico proposito: suggerire il drink adatto da accompagnare ai vostri ascolti. Una volta raggiunta l'homepage non resta che inserire il nome di una band e avviare la ricerca, Drinkify farà il resto. Immediato nell'offrire il risultato, il sito presenterà la bevanda alcolica che meglio si adatta alla vostra richiesta. E a conferma della giusta interpretazione, il tutto sarà corredato da un'immagine della band e dalla copertina di uno degli album prodotti. Per giungere a questo, drinkify.org utilizza un personale database in grado di lavorare in sincrono con le informazioni ospitate da Last FM e da The Echo Nest. Superata l'euforia del momento, parte dell'iniziale interesse lascia il posto a un comune senso di monotonia, ma aggiungere Drinkify ai propri preferiti sembra essere un passaggio inevitabile.

WEBZONE

Design: 3 Accessibilità: 5 Contenuti: 4 Pro: Divertente e immediato Contro: Monotono sulla distanza. Usare responsabilmente

USB ispirati a Hulk, Iron Man, Capitan America e Thor. Dalla capienza di 4 o 8 GB e prodotti su licenza ufficiale, le flash drive si dimostrano di comodo utilizzo e integrabili con qualsiasi sistema in uso. Al momento importati unicamente via eBay e Yahoo (e per questo soggetti a notevoli rincari di prezzo), gli Avengers USB saranno presto fruibili alla grande distribuzione. www.ittec.com.tw

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PRIMO PIANO

INME Una questione di orgoglio

Realtà di punta della scena alternative metal inglese, gli InMe sostengono da anni un pensiero indipendente e slegato dalle più comuni assonanze. Giunti al quinto disco in studio, i Nostri proseguono sulla via intrapresa, fedeli alla condotta che da sempre li contraddistingue. Di Michele Zonelli

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onservare la propria identità senza farsi sopraffare dalle dure leggi di un mercato sempre più esigente non è impresa da poco, come non lo è sopravvivere per quasi due decenni mantenendo ben salde le proprie convinzioni. Pronto a raccogliere l'eredità lasciata da "Herald moth", "The pride" amplia nuovamente il già vario spettro sonoro della band, aggiungendo un nuovo e importante tassello al complesso puzzle ideato dal talentuoso Dave McPherson. "'Herald moth' ha segnato il passaggio della band da tre a quattro elementi e volevo sottolineare al meglio questa transizione. Inoltre, volevo realizzare un disco cupo e portare in primo piano complesse digressioni", ci spiega il carismatico leader. "In 'The pride' ci siamo concentrati sui brani,

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dirottando l'attenzione su melodia e aperture tecniche. La band ha contribuito alla composizione dei vari passaggi e l'apporto di Gazz (Marlow, chitarra) si è rivelato essenziale. Grazie a lui ora posso concentrarmi maggiormente sulla voce e condividere alcuni dei momenti più articolati senza dover scendere a compromessi". Pubblicato lo scorso anno il proprio debutto solista, McPherson dimostra di saper conciliare senza difficoltà diversi aspetti della propria natura creativa. "Scrivo continuamente e non so a priori quale sarà il destino del brano che sto componendo. Il mio progetto solista ha un approccio acustico e, in un certo senso, quasi pop, anche se non credo sia proprio corretto parlare di musica pop. Gli InMe sono una band caratterizzata da una forte connotazione progressive e i brani mostrano

una struttura di classico stampo metal. Le due realtà si influenzano a vicenda, ma vivono di vita propria e non risentono troppo del comune ascendente". Alla base di tutto: dedizione, energia e un costante desiderio di innovazione. "La ricerca anima ogni nostra produzione. Quando abbiamo mosso i primi passi, la musica era quasi un hobby per noi. Le cose erano molto diverse allora. Internet era agli albori, non esisteva ancora il download illegale e le etichette assicuravano una distribuzione capillare, limitata solo ad alcuni mercati. Oggi tutto è cambiato. La rete ha aperto le porte a ogni possibile proposta e per farti notare devi per forza offrire qualcosa di diverso. Per nostra fortuna, ci siamo sempre mossi in questa direzione". La rivoluzione portata dall'avvento della musica digitale e dalle moderne tecnologie

non ha dunque contaminato il pensiero originale della band che, a discapito di tutto, riesce ancora oggi a imporre il proprio credo. "Amo e vivo per la musica, sperimento ogni giorno e credo sia importante trasmettere questa passione. Quando dedichi due anni a un'opera, come abbiamo fatto per 'The pride', una volta giunto alla fine non vedi l'ora di condividerla. Fare questo per altri motivi non avrebbe molto senso. Molte giovani band non riescono nemmeno a uscire dal proprio garage, semplicemente perché pensano di poter sfondare senza sacrifici e si avvicinano a questo ambiente credendo di poter fare soldi e girare il mondo come delle rockstar. Se pensate sia così, non iniziate nemmeno. Siate unici, siate voi stessi, siate creativi e non preoccupatevi di quello che la gente pensa di voi".


local hero

Di Daniel C. Marcoccia

Ogni mese vi presenteremo uno dei tanti locali sparsi su e giù per il nostro Paese. Ovviamente solo posti in cui si suona la nostra musica preferita. Non potevamo non iniziare da Davide Mozzanica, guru delle serate rock di Milano e fondatore del mitico Rock’N’Roll.

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l Rock'n'Roll è diventato un punto di riferimento per gli amanti della musica rock a Milano. In cosa si distingue, secondo te, rispetto ad altri locali? Quali novità ha portato il R'n'R? Davide Mozzanica: Sono molto orgoglioso del lavoro svolto e delle continue conferme che sta avendo il nostro marchio su Milano e non solo. Siamo un pool di persone che hanno scelto nella vita di dedicarsi a tempo pieno all'intrattenimento notturno: concerti, eventi, serate danzanti purché siano rock. Il Rock'n'Roll nasce dopo decenni di questa attività, ho iniziato nel lontano 1991 con una serata rock insieme a Ringo all'Hollywood Club. Nel 2007 ho sentito la necessità, dopo anni di solo serate nei club come il Rolling Stone, di cui ero il direttore artistico, il Rainbow e poi lo Zoe, di creare una location dove ci si potesse incontrare ogni sera per bere un drink o assistere a dell'ottima musica live. Cosi è nata quest’avventura con la voglia di stare insieme e dare un punto di ritrovo, una casa ai rocker milanesi… con il know how di anni di esperienza. Quando entri in uno dei nostri club (a Milano, Rho, Romagnano Sesia, Bolzano, Alessandria e, per inizio settembre, Varese), respiri il rock in tutte le sue forme. Se ami questa bellissima musica, sai di essere nel posto giusto. Il Rock'n'Roll è un modo di vivere e noi cerchiamo di comunicarlo nella maniera più diretta possibile. Questo forse è il segreto del nostro successo. Facciamo locali per starci noi in primis!

Davide mozzanica rock'n'roll

In cosa secondo te il R'n'R può ancora migliorare e come ti piacerebbe vederne l'evoluzione? D.M.: Credo che si debba sempre migliorare, cercando di essere attenti alle esigenze del nostro "popolo", ascoltando con attenzione critiche ed elogi. L'evoluzione sta avvenendo in maniera incredibile e naturale su tutto il territorio nazionale. Abbiamo creato un vero e proprio franchising e stiamo lavorando per portare il Rock'n’Roll ovunque ci sia la voglia di creare magia e divertimento. Seguiamo passo per passo i nostri "figli" e spero presto di avere una rete di club uniti tra loro. Non è una catena, dove i locali sono tutti uguali dai pavimenti, bancone, ecc… Anzi, ognuno vive di luce propria, come look del locale stesso, ma con un solo denominatore comune: la musica. Come vengono selezionate le band che suonano da voi e quali requisiti devono avere? D.M.: Sono selezionate direttamente dal nostro staff. Possono suonare pezzi loro o cover. Al Rock'n’Roll tutti possono suonare. Pensa che le band che riteniamo valide le inseriamo nel palinsesto di rocknrollradio.it, la nostra radio sul Web. Per suonare, basta scrivere a: band@rocknrollclub.it I tuoi tre dischi fondamentali? D.M.: Difficile da dire, ascolto di tutto, dai Kiss agli Slipknot. Sono cresciuto con la New Wave Of british Heavy Metal e il mio primo concerto è stato quello degli Iron Maiden con Paul Di Anno al Rolling Stone nel 1981! Direi le mie basi, quindi Kiss, Iron Maiden e gli intramontabili Led Zeppelin. Ma la lista risulterebbe infinita, ci sono anche Mötley Crüe, Rush, Saxon, Scorpions, Metallica… Insomma, tutto il buon fottuto Rock’n’Roll del mondo!!! www.rocknrollclub.it

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STUDIO REPORT

LIVING DEAD LIGHTS

La giovane band di Los Angeles, che molti di voi hanno già avuto modo di apprezzare dal vivo durante le date italiane dello scorso autunno, sta ultimando le registrazioni del suo primo album. Di Piero Ruffolo - Foto Riccardo Monti

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hiusi in uno studio della loro città assieme al produttore Fred Archambault, i Living Dead Lights stanno sistemando gli ultimi dettagli di un album che si preannuncia davvero importante per loro. Dopo l’ottima accoglienza ricevuta dall’omonimo EP, il gruppo non vuole lasciare nulla al caso e ha fatto un grosso lavoro sia sulla scrittura, sia sugli

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arrangiamenti di queste nuove canzoni. È proprio il chitarrista Alan Damien a spiegarci come queste sono nate: “Queste nuove canzoni sono il frutto di un percorso che avevamo ben in mente fin dall'inizio di questa band. Il nostro primo EP era stato ideato per racchiudere una certa attitudine e una particolare energia. Non volevamo confondere chi ci ascoltava, per cui volevamo essere diretti e trasmettere un messaggio e un’attitudine ben definiti”. L’album di prossima uscita, ma al momento ancora privo di un titolo, rappresenterà secondo la stessa band una notevole evoluzione verso un suono ancora più

potente e caratteristico: “Il nuovo disco racchiuderà sicuramente molti degli elementi heavy del precedente lavoro ma in una forma più evoluta. Abbiamo avuto un po’ di tempo per lavorare e sviluppare al meglio le nuove canzoni. Infine, ci sono stati dei cambiamenti anche nelle nostre vite, come nel mondo d’altronde, e questo ha inevitabilmente influenzato i nostri testi. Dalla firma dell’accordo con la GB Sound fino a oggi, abbiamo potuto scavare veramente dentro queste canzoni in modo da farle diventare esattamente come volevamo. Lavorare poi con Fred Archambault (Avenged Sevenfold) e David Spreng (Alice Cooper, Bob Dylan) è stata un'esperienza piacevole che ha reso particolarmente facile la registrazione del disco! Tutto è andato alla perfezione tra di noi. Ma non voglio dirvi troppo, ragazzi, anche se ci tengo a sottolineare che le

nuove canzoni sono molto belle, più oscure, heavy e inquietanti”. Novità in sede di composizione o nel modo di lavorare in studio? “La vera differenza è che abbiamo avuto molto più tempo per creare questo disco e sviluppare il nostro suono. Ognuno di noi è stato brillante in questo album e, ripeto, il fatto di aver più tempo a disposizione ha permesso alla scrittura di seguire il suo corso. Siamo cresciuti tutti anche come compositori, arrivando così al punto di sapere esattamente cosa vogliamo. Abbiamo qualcosa da dire in questo disco e sappiamo che verrà fuori in maniera pesante e chiara”.


A cura di Michele Zonelli

DRAGON'S DOGMA Piattaforma: X360/PS3 Produttore: Capcom/Halifax Genere: Action RPG

Protagonista di alcune delle epopee più discusse e ammirate degli ultimi anni, il genere Action RPG non ha mai smesso di affascinare, complici infinite e indimenticabili esperienze videoludiche. Sulla scia delle opere che stanno conquistando il mercato, Capcom decide di imbarcarsi in quella che può essere considerata una delle sue più grandi sfide. Reclutato un team che già di per sé è sinonimo di sicurezza e qualità, la casa nipponica presenta "Dragon's Dogma". Una sola volta, in ogni era, il Grande Drago si risveglia per gettare nel caos il mondo noto. Tutto a inizio nella città costiera di Cassardis: la furia del Drago si abbatte improvvisa e implacabile. Risparmiato e privato del cuore dalla terribile bestia, Glynn, ora marchiato con il simbolo degli Arisen, abbandona il passato per intraprendere un cammino oscuro e imprevedibile. Superate le consuete fasi di livellamento, il mondo di "Dragon's Dogma" si aprirà in tutto il suo splendore. Immensi paesaggi completamente esplorabili offrono la sempre più desiderata libertà, a cui si affianca un rinnovato e coinvolgente sistema di combattimento e gestione del party. Amici e alleati si uniranno a voi nel corso della storia, permettendovi di governare una squadra di tre elementi guidati da un'ottima IA. Queste pedine combattono in maniera indipendente, ma le loro azioni saranno influenzate dal vostro comportamento. L'impatto action degli scontri non limita scelte tattiche, a favore di spettacolari e appaganti battaglie. I veterani avanzeranno sicuramente critiche riguardo migliorie legate a produzione e gameplay, ma una simile opera non è da ignorare e tutto sembra annunciare l'inizio di una nuova era in casa Capcom.

MUD FIM MOTOCROSS WORLD CHAMPIONSHIP X360/PS3/PC Milestone/Black Bean

UEFA EURO 2012

games

X360/PS3/PC EA Sports

Espansione digitale di "Fifa 12", "UEFA EURO 2012" porta la nota competizione calcistica su console e PC, facendovi rivivere le emozioni e la passione propria di tale torneo. Al comando di uno dei 53 team nazionali UEFA scalerete la classifica fino a conquistare l'ambito trofeo. Basato sul gameplay del fratello maggiore, il titolo si avvale di aggiornamenti in tempo reale, competizioni online e sfide ispirate alla realtà

DIABLO 3 PC Blizzard/Activision

Sviluppato con l'intento di creare il gioco di ruolo definitivo senza snaturare le blasonate origini, la terza incarnazione della serie Diablo vede la luce. Aumentato il livello di personalizzazione e ambientato in un mondo inedito collegato a luoghi del passato, "Diablo 3" vi vedrà affrontare il Male nelle sue molteplici manifestazioni. Nuovo motore grafico, fisica completamente rivista e gameplay mai sotto tono sono solo alcuni dei molti punti di forza.

MAX PAYNE 3

Piattaforma: X360/PS3/PC Produttore: Rockstar Games Genere: Action, Shooter Franchise cui va il merito di aver rivoluzionato in più occasioni il concetto di sparatutto moderno, Max Payne ha saputo ritagliarsi in breve tempo un posto di tutto rispetto nell'olimpo degli action shooter. Ereditare un simile lascito non è cosa da poco e, consapevole di questo, Rockstar Games non ha lasciato nulla al caso. La casa, nota per capolavori quali "Grand Theft Auto" e il più recente "Red Death Redemption", rilegge i canoni della serie, affiancando a quanto noto i propri marchi di stile. Logorato dal tempo e dalla vita, il nuovo Payne è un uomo rassegnato e schiavo del proprio dolore. Guardia del corpo di una delle più importanti famiglie di San Paolo, il nostro eroe divide la propria esistenza tra alcol e incarichi di routine. Il tentativo di rapimento di una delle mogli dei suoi protetti si erge a fattore scatenante e il passato torna a tormentare la già instabile mente del protagonista. Prende così il via una narrazione complessa e appagante, sviluppata alternando flashback e flashforward e incentrata su vicende attuali e ricordi connessi al periodo successivo a quanto vissuto nel secondo capitolo. Il taglio hollywoodiano, la decisione di limitare al minimo le informazioni a schermo e l'integrazione di alcune tra le migliori sequenze viste in progetti di simile fattura lasciano il segno. Munizioni e painkiller non sono all'ordine del giorno e già in modalità normale la sfida troverà il consenso della maggior parte dei giocatori. Curato nei minimi dettagli, dal comparto grafico alla complessità di ogni singola scena creata, "Max Payne 3" regala ai propri creatori l'ennesimo successo.

Gioco ufficiale dei campionati MX1, MX2 e Monster Energy FIM Motocross of Nations, "MUD" vi proietterà nel mondo del motocross estremo. 14 moto, 84 piloti e 12 tracciati caratterizzano la modalità World Tour, affiancata da stage esclusivi ed esibizioni freestyle. Modelli di guida realistici, deformazioni dinamiche di terreno ed elementi di gioco e implemento di manovre tipiche di questa disciplina assicurano la desiderata immedesimazione.

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crazy net

A cura di Michele Zonelli

THE BIG DADDY

Che siate pirati, cacciatori di frodo, reduci post apocalittici o, più semplicemente, amanti della cultura Steampunk, la Big Daddy diventerà ben presto il vostro nuovo cimelio di famiglia. Oggetto da collezione decorato a mano. www.steampunkemporium.com

JUST IN CASE KIT

E se i Maya avessero ragione? Meglio essere preparati. Ecco, dunque, il Just In Case Kit ideato dai designer di Menosunocerouno. Notebook, acqua, fiammiferi, taglierino, cioccolata e una bottiglia di liquore Maya per brindare all'anno nuovo... www.menosunocerouno.com

ATARI ARCADE DUO POWERED

Punto d’incontro tra gamers di vecchia e nuova generazione e pensato per dare il meglio di sé con titoli come "Asteroids" e "Centipede", il Duo Powered trasforma l'innovativo iPad in un classico retrò arcade Atari. discoverybaygames.com/appcessories

SHUT UP TAPE

Il silenzio è d'oro: affermazione mai troppo inflazionata e molto spesso ignorata. E quando le parole non bastano, è tempo di passare all'azione. Pensato per Lui, ma perfettamente adattabile a Lei, lo Shut Up Tape si spiega da solo... www.spitfiregirl.com

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ZOMBI HEAD COOKIE JAR

Realizzata in ceramica e minuziosamente scolpita, la biscottiera Zombi Head Cookie dona una veste inedita a quello che da molti è considerato il pasto più importante della giornata. Perfetta per biscotti, dolci di Halloween e cervelli. www.thethinkgeek.com


A cura di Eros Pasi

AUTHENTIC HARSH ROCK EASTPAK

OPEN STORE

L’Eastpak Padded Pak'R è l'originale zaino del noto brand: sempre alla moda, semplice e perfetto da usare in tutte le occasioni. Realizzato in tessuto sintetico altamente resistente, è "built to resist". Disponibile anche in versione bag. www.eastpak.com

GLOBE ES SERIES

Costruita su una suola molto bassa, la serie Flat Charlie di Globe è in grado di offrire comfort e vestibilità. La tomaia è prodotta in tessuto canvas sbiadito con bordi consumati, occhielli intonati e cuciture e lacci in contrasto. Disponibile in vari modelli e colorazioni. SRD Distribution - distribuzione@srdsport.it

STARTER SNAP-BACK

Lo storico cappellino, culto tra gli anni '70 e '90, è tornato. Un ritorno segnato dalla nuova serie Snap-Back, ossia caps regolabili. Disponibili in vari modelli e colorazioni. SRD Distribution - distribuzione@srdsport.it

FAMOUS APPAREL

Ideato da Travis Barker (batterista dei Blink 182), il brand Famous è ormai un culto Oltreoceano. www.famoussas.com

ODD MOLLY

Abito con scollo a V in seta avorio con fantasia fiorata, dettagli in pizzo cipria e chiusura in vita con nastrino lilla. Prezzo al pubblico: 240 euro www.oddmolly.com

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GARBAGE

Some k peo

La band guidata da Shirley Manson torna dopo sette anni di silenzio e appare ben decisa a far parlare nuovamente di sé con un disco dal titolo emblematico. D’altronde, la cantante di origine scozzese non è proprio una che le manda a dire. Di Daniel C. Marcoccia

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GARBAGE

P

assano gli anni ma è bello notare che certe cose non cambiano. Nel caso di Shirley Manson, di passaggio a Milano per la promozione del nuovo album dei Garbage, è ancora più lampante. La cantante appare più bella che mai, elegante nel suo vestito nero che accentua ancora di più il chiarore della sua pelle, quasi trasparente, e il rosso inconfondibile dei suoi capelli. Ma, soprattutto, non è cambiata la sua attitudine, questo suo dire le cose senza troppi giri di parole, che si tratti di difendere Lana Del Rey o criticare la sua precedente casa discografica. “Not your kind of people” è un disco molto vario che dovrebbe soddisfare un po’ tutti i vostri fan, da quelli più legati ai primi due album fino a quelli arrivati successivamente. Shirley Manson: È vero, ci sono in questo disco un po’ tutte quelle che sono le sfaccettature dei Garbage. Molti dei nostri fan amano particolarmente il nostro primo disco, forse per l’effetto sorpresa che aveva suscitato all’epoca o forse perché legato a un periodo particolare. Credo comunque che “Not your kind of people” sia un album con parecchia energia, una componente che c’è sempre stata nella nostra musica ed è proprio quello che la gente si aspetta da un gruppo di vecchi bastardi come noi (scoppia a ridere). Sono passati sette anni dal precedente “Bleed like me”, un tempo lunghissimo, forse troppo per una band che, tra l’altro, non si era neppure sciolta. Poi, solitamente, le storie d’amore finiscono dopo sette anni, la vostra invece ricomincia… S.M.: Sì, e con tre uomini per di più (ride). Non so come spiegartelo, credo che siamo stati pazienti, evitando così pressioni ed eventuali crisi di panico. Abbiamo aspettato il momento giusto in cui ci sentivamo pronti per essere creativi, coraggiosi e prendere dei rischi. Abbiamo avuto una specie di mentalità da principianti e francamente non saprei spiegarti da dove arrivasse. So solo che è molto difficile per un’artista o per una band riuscire ad averla, e lo è ancora di più per gente della nostra età. Sono molto orgogliosa di noi stessi perché siamo tornati assieme per delle ragioni pure, a cominciare dalla voglia di suonare, e non per volere di una casa discografica, dal momento che non ne avevamo più.

I discografici lavorano in un ambiente carico di paura, hanno il timore di perdere il proprio lavoro e questo li porta a non rischiare. Chi ha fatto il primo passo? Da chi è partita la prima telefonata? S.M.: Non è andata così. Sono state più cose messe insieme. La nostra agente mi chiama per andare a cena e durante tutta la serata non fa che chiedermi “what the fuck are you doin’?” (non traduco, tanto capite tutti… ndr). Io ovviamente ridevo mentre lei continuava a dirmi che dovevamo fare un disco, che c’era bisogno di una band come la nostra, che non ci sono donne in gruppi rock, che non c’è provocazione e nulla di tutto quello che erano e sono i Garbage. Secondo lei era ora che mi togliessi le dita dal culo e iniziassi a pensare a un nuovo disco. Com’era l’atmosfera in studio dopo tanto tempo? Alla fine dell’ultimo disco e del tour eravate probabilmente stremati e con poca voglia di stare assieme… S.M.: Eravamo stanchi di tutto, questa è la descrizione esatta. La prima volta che ci siamo rivisti, dopo sei anni, abbiamo riso così tanto da stare male. Era bellissimo. Abbiamo bevuto del buon vino e poi abbiamo iniziato a suonare. La prima canzone che abbiamo scritto dopo sette anni è stata “Battle in me” e mentre la provavamo, dentro di me pensavo: “questo è esattamente il modo in cui dobbiamo suonare, con passione e vitalità”. Dovevamo fare un disco vitale, altrimenti non aveva senso andare avanti. Ma io sentivo che era quello che stavamo facendo. È stato facile ritrovarsi a scrivere nuove canzoni dopo tutto questo tempo? Avete ritrovato alcuni automatismi? S.M.: Siamo più vecchi e di conseguenza credo che abbiamo una maggiore sensibilità. Oltre all’energia che mettiamo nelle canzoni, doveva esserci anche una certa urgenza. Non abbiamo parlato, non lo facciamo mai come band, siamo sempre molto educati l’uno con l’altro (ride). È strana questa cosa, ma istintivamente sentivo che ognuno sapeva bene cosa fare, anche se non ne avevamo appunto parlato. L’ho capito il minuto

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GARBAGE stesso in cui ci siamo incontrati, in cui li ho sentiti suonare. E loro provavano la stessa cosa.

Garbage” è stato come cambiare il colore dei muri di casa.

Lavorare a un nuovo disco, scrivere delle canzoni e registrarle senza che ci fosse di mezzo un’etichetta discografica è stato probabilmente di grande aiuto per la serenità del gruppo? S.M.: Sì, è stato proprio così, mi fa piacere che tu dica questo perché è esattamente ciò che succede abitualmente: gente che si intromette o che si sente autorizzata a dirti come deve essere la tua musica. Non vogliamo scrivere una nuova “Special” o un’altra “Push it”, non ci interessa.

Nella bio che accompagna l’uscita del nuovo disco c’è scritto che avevi il bisogno di una vita al di fuori dei Garbage e della musica. Bene, com’era questa vita? S.M.: È stata fantastica e piena di cambiamenti. Ho fatto un sacco di cose. Mi sono trasferita a Los Angeles, ho comprato una casa, ho salvato un cane, ho imparato a guidare, ho viaggiato molto. Sono andata in India, in Africa, ho visitato tanti posti bellissimi e ho lavorato con tanta gente differente…

Creare una vostra etichetta discografica è un segno dei tempi. Oggi si può fare benissimo a meno di una major. In questi sette anni avete visto cambiare lo scenario della discografia in maniera piuttosto drastica. S.M.: Sì, decisamente. Credo che il problema sia dovuto in parte anche al proliferare della musica pop più commerciale perché molti dei discografici lavorano in un ambiente carico di paura, hanno il timore di perdere il proprio lavoro, cosa che posso anche capire, ma questo li porta a non rischiare. Io, in quanto

Si parlava molto di un tuo disco da solista… S.M.: Ho scritto, infatti, molte canzoni che ho poi fatto ascoltare a un’etichetta discografica e mi sono sentito dire cose ridicole come “sì, certo, questi brani sono cool e magari avrai anche il favore della critica, ma forse sono un po’ troppo cupi e difficilmente riusciremo a farli trasmettere in radio” e ancora “queste canzoni sono eccellenti ma noi vogliamo che tu abbia una hit internazionale e pensiamo che tu possa avere una brillante carriera”. Volevo vomitare, non mi interessava lavorare con questa gente e alla fine

A rendere unici i Garbage è la componente umana: la mia voce, la mia sensibilità e quella dei ragazzi, il modo in cui suonano le loro chitarre. L’elemento umano, alla fine, prevale sulle macchine. artista, ho invece bisogno di sentire l’appoggio del discografico nelle mie scelte o nelle mie decisioni in merito alla mia musica. Se così non è, non ha senso lavorare assieme. Ma in questo clima particolare che c’è adesso, il fallimento non è un’opzione e quindi non c’è spazio per l’azzardo. I discografici giocano sul sicuro e preferiscono la canzoncina pop che andrà senza problemi in radio e in televisione. Vogliono puntare sul mainstream, buttare sul mercato delle cose semplici e noiose, l’importante è non fallire o fare passi falsi. Il titolo del disco è indirizzato a loro? S.M.: In parte ma direi soprattutto a chi ci critica. Se non ci ami, va bene. Nessuno ti obbliga a seguirci. Di certo non cercheremo di cambiare solo per piacerti. Che cosa pensi oggi di “Bleed like me”, un disco decisamente rock e soprattutto distante da “Beautiful Garbage” che invece virava vertiginosamente verso il pop? S.M.: Amo “Bleed like me”, è molto rock e pieno di chitarre dentro mentre “Beautiful Garbage” rappresentava per noi un esperimento. Io, poi, ero nel bel mezzo di un divorzio e al limite dell’esaurimento nervoso. Mi ero rasata la testa come atto di ribellione nei confronti dell’etichetta che voleva fare di me essenzialmente un sex symbol… No, non andava bene. So che qualcuno non ha amato quel disco ma non rinneghiamo nulla e non rimpiangiamo di aver tentato altre vie. Devi cambiare, non puoi continuare a fare sempre le stesse cose, altrimenti rischi di diventare noioso. “Beautiful

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ho preferito recitare (Shirley ha avuto una parte nella serie TV “Terminator: The Sarah Connor chronicles”, ndr) Guardi mai indietro o ripensi al tuo percorso? S.M.: Sì e mi manda fuori di testa (ride). Posso solo ritenere di avere avuto una vita privilegiata. E lo è tuttora visto che sono ancora qui a parlare con i giornalisti di un nuovo disco. Se ci penso, sembra quasi un film. La cosa interessante è che quando siamo usciti, la gente era sospettosa nei nostri confronti e soprattutto nei miei. Eravamo visti essenzialmente come un gruppo nato in studio e basta. Alla fine siamo riusciti a dimostrare che a rendere unici i Garbage è la componente umana: la mia voce, la mia sensibilità e quella dei ragazzi (lei li chiama “the boys”, nda), il modo in cui suonano le loro chitarre. L’elemento umano, alla fine, prevale sulle macchine. Quali dischi ti sono piaciuti parecchio recentemente? S.M.: Quello di Them Crooked Vultures, l’ho ascoltato e riascoltato all’infinito. Recentemente mi è piaciuta molto Lana Del Rey, è sovversiva come un film di David Lynch, ha un look alla “Twin Peaks” e si muove in un universo malinconico. Ha una voce bellissima e ritengo che “Blue jeans” e “Videogames” siano due delle migliori pop song scritte negli ultimi 10 anni. Mi dispiace per tutte le critiche al veleno che riceve ma non mi sorprende neppure visto che ci sono passata anch’io. All’inizio dicevano anche di me che ero finta e stonata.


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RANCID

f o s r a e 20 y ((in)sani k n u p Li rivedremo presto dal vivo il 21 luglio sul palco del Rock in IdRho con il loro tour intitolato non a caso "20 Years Down". Nell'attesa dell'arrivo di Tim Armstrong e soci, vi aiutiamo a fare un bel ripasso su tutto quello che c'è da sapere di questi primi 20 anni di onorata carriera. Sempre all'insegna del punk, ovviamente.

KBBNBVKJ Di Stefano Russo

A

: il (terzo) disco, quello - And out come the wolves ente li llo che lancia definitivam della consacrazione, que k rock del 1994. “Time pun ata ond ta ova rinn a tra l’élite dell degli e “Ruby Soho” sono solo bomb”, “Roots radicals” t piena zeppa di klis trac ga lun una di rno highlight all’inte piccole perle punk.

B

- Batterista/Brett Reed/Branden Steineckert: l'unico cambio di formazione nella storia dei Rancid è quello che vede il passaggio di… bacchette tra Brett Reed, che lascia la band nel 2006 dopo 15 anni di militanza, e Branden Steineckert, giovane drummer proveniente dai The Used e grande fan della band.

C

- Clash influenzato : una delle band che m più volte pa i Rancid e di sicuro qu aggiormente ha era un buonragonati nel corso de ella a cui sono stati gl rapporto la amico di Tim Armst i anni. Joe Strummer ro vo ultimo prog rativo instaurato tra ng, anche per via de l nel 2002, fu etto dell’artista ingles la Hellcat e i Mescale ro e. pesante di un duro colpo per Ti La sua morte, avve s, vorzio. m, già alle nuta prese con un

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- Dropkick Murphys: forse non tutti sanno che la band di Boston, prima di raggiungere il successo commerciale degli ultimi anni, era uno dei nomi di punta della scuderia Hellcat, di cui ha fatto parte dal 1998 al 2007. Fu proprio Lars Frederiksen, nel 1998, a produrre il loro primo LP “Do or die”.

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sono ormai i italiani dei Rancid - Festival: I concert festival estivi: il Rock in IdRho in grandi da anni affare dei e nel nostro paese la terza apparizion 2012 sarà per loro le due precendenti risalgono al 2003 e ben 14 anni, mentr stival) e al 1998 (Teste Vuote, Ossa Fe (Independent Day Rotte).

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stessero le sirene delle major - Epitaph: nonostante t's go", i Rancid non sono "Le pi di cantando già dai tem uro" della discografia, rimanendo mai passati al "lato osc 0, anno in cui l’uscita del loro 200 all’etichetta di con la Epitaph fino al mo segnò il passaggio secondo album omoni continua comunque a mantenere d casa, la Hellcat. La ban la Epitaph, scegliendo Mr. Brett con uno stretto rapporto duttore dei suoi della label) come pro Gurewitz (proprietario ultimi tre album.

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- Guerre Stellari: cosa accomuna una delle più grandi punk band dei nostri giorni e la saga di George Lucas? Ebbene, “Let the dominoes fall” è stato registrato negli Skywalker Studios, in California. Che la forza del punk rock sia con voi.


ity)

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- Journey to the end of the East Bay: uno dei migliori esempi di testo “autobiografico” che racconta di esperienze di vita reali, una costante valida per praticamente tutti i dischi dei Rancid. Se sono una delle band più amate dai punk rockers è anche perché loro stessi sono prima di tutto dei punk rockers, al 100%.

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- Hellcat: etich lizzata non solo in etta fondata da Tim Armstrong, sp ec pu Attualmente vanta nk rock ma anche in ska e psycho iabil tra i suoi artisti, olt anche Transplants re agli stessi Ranc ly. , De id, Unseen, Tiger Army vil’s Brigade, Charged GBH, The , boot”, il sampler de Slackers e Nekromantix. “Give’em the lla presto diventato og label giunto ormai al volume sette ,è getto di collezione livello delle compila pe tion “Punk’O’Rama r tutti i punkers, a ” della Epitaph.

- Indestructible: Questo disco disegna un quadro preciso dei Rancid di oggi: capaci tanto di scrivere singoli efficaci senza mai risultare ruffiani, tanto da lanciarsi in sfuriate punk da un minuto e mezzo, o ancora di lasciar contaminare la propria musica dallo ska e dal reggae. Il risultato sono brani come "Fall back down", "Red hot moon", "Out of control", ma anche la sorprendente "Arrested in Shangai".

- Klasse Kriminale: Lars si è sempre dichiarato grande fan della band italiana, prova ne è la sua sincera amicizia di lunga data con lo storico frontman Marco Balestrino. Durante il recente tour italiano degli Old Firm Casuals, Frederiksen ha addirittura preteso, in segno di rispetto, che gli headliner delle tre date fossero proprio I KK.

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-Lars Frederiks della band: suon en: diciamolo, Lars dal vivo presenza caris a la chitarra in maniera impeccè il motore m tanto quanto la atica pazzesca e la sua voce abile, ha una è su perfetto per Tim a sei corde. Se esiste un “s graffiante ocio di palco” Armstrong, è se nza dubbio lui.

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di sistito a una avete mai as nk non sanno se : an m ee Fr pu - Matt rie “I bassisti mente nulla a che ra sioni della se quelle discus affermazione non ha sicu di basso sono ri suonare”, tale ista dei Rancid. I suoi gi itato da molti. Ci ss fare con il ba un marchio di fabbrica imdo nel 2005, dopo li, inconfondibi tti un bello spavento quan diagnosticato un o siamo presi tu cial Distortion, gli è stat meglio. So un tour con i rtuna tutto è andato per il cancro. Per fo

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- NOFX: i punkers di mezzo mondo si sono letteralmente leccati i baffi quando nel 2002 la BYO Records pubblica lo split che vede protagonisti i Rancid assieme alla band di Fat Mike: 6 brani a testa, tutti grandi classici dei rispettivi repertori, reinterpretati a vicenda da due dei maggiori nomi della scena mondiale. Il risultato è irresistibile, proprio quello che gli americani definirebbero un “must have”.

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- Operation Ivy: l'embrione dei Rancid nasce da una band che definire seminale è un eufem ismo. Tim e Matt difatti fondano i Rancid dopo lo sciog limen Operation Ivy, nome di culto della scena punk to degli della Bay Area che ruotava intorno al leggendario 924 Gilman Street. Per darvi un'idea, i Green Day sono soliti ancora oggi proporre dal vivo la loro versione similcountry di "Knowledge". Fate voi.

n solo gna no ble” se Rancid ti c u tr s Inde po “ onali: “ ccessibili” do ale mi pers n a - Proble sonorità più “ periodo perso anto riguarda u a n q u r o i e rn d p : e to del suo il ri he la fin per Tim e Lars ente alla fine llers c n a a ti m o lm , is v a ” ti D 0 ip a i 0 c e g 0 n d 2 ente ne obert arrista vuta pri decisam la crisi era do cantante/chit e del fratello R iuttosto p rt ra o o o o m ll d m ri a o l' a p m ll n il ondo, a wn”, flette in onio co matrim alle; per il sec o questo si ri “Fall back do i tt D d u i y T ll d . que 001 Bro ta nel 2 su tutti avvenu alcuni testi, therside”. O in “ e chiaro l London" a "Tropic

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- Tim Armstro inconfondibile, di q e a cui piace esplo ovviamente, sempr lui i Rancid non es anche lui non se la la sua band..

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- Quotes: "Se non fosse stato per i Ramones, i Rancid non sarebbero mai diventati un gruppo". Tim Armstrong ("Maximum Rancid - The unauthorized biography of Rancid")

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- Rock’n’Roll Theatre: l’ultima idea nata dall’eclettica mente di Tim Armstrong è un punk musical sottoforma di web series che prende il nome di “Tim’s Timebomb Rock’n’Roll Theatre”. Nel primo e unico episodio pubblicato finora, l’attore protagonista è, tanto per rimanere in famiglia, Lars, affiancato per l’occasione da Davey Havok degli AFI.

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- Side projects : Tim, Lars e M rogetti paralle att contano li, a fondato assi tutti decisamente degni di no ad oggi diversi em ta. Ar e a Travis Barker mentre Freder dei Blink 182 i mstrong ikse Transplants, rima con i Bast n ha placato la sua infinita se ar ld Firm Casual ds e più recentemente con te di punk s. gl ente male anch Freeman ha invece dato pr i "Oi! oriented" ov e m ha anche pu al contrabbasso nei suoi De a di cavarsela bb un'altra collezio licato due lavori solisti, "A vil's Brigade. po ne ock'n'Roll Thea di brani legata al suo nuov et's life" (2007) tre" (vedi sopr o progetto a).

ong: Un artista a tutto tondo dalla voce quelli che non sanno star fermi un minuto orare qualsiasi tipo di mondo. Il tutto, re con un’attitudine 100% punk. Senza di sisterebbero, ma è molto probabile che a passerebbe benissimo se non esistesse

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- X Movies: Tim ha scritto delle musiche per un curioso documentario dal titolo “Everything you wanted to know about gay porn stars but were afraid to ask”, film diretto dal regista John Roecker con cui già aveva collaborato nel progetto “Live freaky! Die freaky!”.

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nza ster sono se a “Young apone: i gang ltre - Young Al C che affascina Lars. O cati o gomento sono dedi dubbio un ar altri brani scritti da lui ù o meno noti, come , Al Capone” citano dei “cattivoni” pi rtney”, uno dei pezzi o quantomen a “David Cou la bellissim ”. ad esempio le tib uc tr es nd migliori di “I

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- Zip: O “seriobarrai k, ok, ok: non mi veniva nt punk in pien eressante”, ma diamin in mente nulla di e a che non abbi regola con tanto di bo stiamo parlando di rc posti improb ano delle giacche pien hie e creste, volete e di zip cuci abili!? te a caso in

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delle poche - Unplugged: all’alba del 2008 una cid era quella Ran ai cava man ra anco che ni nsio bene di rimediare in ica, così i ragazzi hanno pensato ra è il loro ultimo tutt'o che lo quel di ta usci sione dell' il disco esce infatti : fall" s inoe dom the m in studio, "Let e dei brani part gran iene cont che 'edizione limited d. ugge erpretati in versione unpl

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- Vent’anni: il to ur di quest’anno ventennale della celebra il ba Down”. Non tem nd e si chiama appunto “20 Ye ete però di trova ars punk acciaccati rvi di fronte dei : I Rancid non so vecchi no mai stati così e I fortunati che ha in forma Groezrock Festi nno assistito alla loro perform val in Belgio, lo an scorso aprile, no ce al che confermare . n possono

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- West Coast: non sappiamo bene cosa ci sia nell’aria di Berkeley, ma se Rancid e Green Day, due delle più grandi punk band di sempre, provengono da li, sicuramente è qualcosa che fa scrivere delle gran belle canzoni.

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LOSTPROPHETS

Arma letale 5 Quindici anni insieme, milioni di dischi venduti, tour sold-out in tutto il mondo e ancora molto da dimostrare. I Lostprophets tornano con "Weapons", album che, senza perdersi in inutili preamboli, presenta quella che può essere considerata la più importante presa di posizione di Watkins e compagni. di Michele Zonelli

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are previsioni riguardo il successore di "The betrayed" non è stata impresa semplice, anche per chi vi segue ormai da anni. Poi, l'arrivo di "Weapons" e la sensazione di trovarsi davanti a una più solida realtà... Ian Watkins (voce): "Weapons" rappresenta un nuovo inizio per me e per la band. Può sembrare scontato, ma questo è quello che volevamo e questa è la direzione verso cui ci siamo mossi. Dopo "The betrayed" ci sentivamo pronti per una svolta radicale. Ci siamo lasciati tutto quanto alle spalle e siamo ripartiti da zero. Non un vero e proprio ritorno alle origini, non rinneghiamo il passato, anzi, semplicemente era giunto il momento di riprendere in mano le nostre vite e intraprendere un percorso per noi inedito. Una decisione sicuramente da ammirare che trova riscontro nei brani che oggi è possibile ascoltare. Cosa ricordi della genesi del disco e con che spirito avete affrontato l'intero processo? I.W.: Ci siamo avvicinati a "Weapons" senza certezze. Non sapevamo quale via seguire, quale risultato raggiungere e neppure che forma avrebbero assunto i nuovi brani. Abbiamo iniziato a scrivere e suonare senza alcuna imposizione. Nessuna idea di base, nessun pensiero

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tipo "dobbiamo scrivere un grande disco rock", eravamo solo noi, la nostra musica e il nostro istinto. Siamo tornati a operare all'unisono, limitando al minimo i passaggi intermedi. Niente più demo infiniti, sessioni separate o lunghe pause tra un brano e l'altro. Molte delle idee sviluppate erano in cantiere da tempo. Ognuno di noi aveva proposte e materiale da sottoporre agli altri e la coesione è stata pressoché perfetta fin dalle prime battute. Avanzare paragoni tra "Weapons" e i diretti predecessori è inevitabile e, ora più che mai, "Liberation transmission" e "The betrayed" si ergono a testimoni di una lunga ricerca che sembra essere finalmente giunta al voluto epilogo. È davvero così? I.W.: "Liberation transmission" e "betrayed" sono album importanti, caratterizzati da una forte componente sperimentale. Durante il processo creativo legato a questi due lavori ho abbandonato i vecchi binari a favore di un diverso approccio. Mi sono dedicato allo studio della voce e allo sviluppo di nuovi costrutti armonici, ma la verità è che non mi sono mai sentito realmente a mio agio. Consapevole di questo e a fronte di quanto detto, sono tornato sui miei passi. Quanto realizzato nel corso degli ultimi anni mi ha aiutato a crescere e il mio modo di

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LOSTPROPHETS cantare ne ha giovato. Le linee vocali presenti in "Weapons" attingono molto dai nostri primi album ma sono più mature e meglio strutturate. Col senno di poi ci si rende conto di cose che spesso sottovaluti o dai per scontate. Durante la realizzazione dei citati lavori non sono stato del tutto onesto con me stesso e questo ha inevitabilmente contaminato il risultato finale. Oggi sono felice e appagato di ciò che sono e di ciò che ho fatto. Episodi come "We bring an arsenal", "Better off dead" e "Jesus walk" sono caratterizzati da testi il cui significato sembra voler andare oltre le apparenze. Ancora una volta si tratta di uno sviluppo dettato dal caso o il risultato di un piano ben più ampio? I.W.: Che ci crediate o no, molti dei riferimenti presenti in "Weapons" sono del tutto casuali, nati prima dell'ingresso in studio. Musica e testi sono indiscutibilmente legati alle nostre vite, hanno un significato particolare per ognuno di noi e non rappresentano delle univoche prese di posizione. Voler lanciare un messaggio è importante ma non deve essere un obbligo. "If you bring a gun, we'll bring an arsenal" racchiude un messaggio forte e diretto ma la creazione di questo passaggio è stata del tutto casuale. Durante una delle tante chiacchierate sul tour bus, Stu (Richardson, basso) ci ha zittiti con questa frase, non ricordo l'argomento, ma ho subito compreso il potenziale della sua affermazione e ne ho fatto una canzone. Lo stesso si può dire di "Better off dead". In questo caso il merito va a Luke (Johnson, batteria): alla base del brano c'è una sua idea. "Jesus Walk", invece, è arrivata in un secondo momento. Avevamo chiuso l'album ed eravamo tornati a Los Angeles ma non eravamo ancora soddisfatti, era come

se ci fossimo dimenticati qualcosa. Così sono tornato a casa, nella stanza in cui sono cresciuto e ho scritto "Jesus walk". Anche "A song for where I am" è nata in una notte, dopo una serata dal sapore vagamente nostalgico. In quel momento mi sono reso conto di apprezzare davvero il posto da dove vengo e i luoghi in cui sono cresciuto. Ricordo una delle tue prime interviste, facevi riferimento alle difficoltà affrontate per giungere alla pubblicazione di "Thefakesoundofprogress", alla costante consapevolezza di dover dimostrare qualcosa a qualcuno e alla diffidenza delle persone. Sebbene siano cambiate molte cose da allora, la vostra attitudine sembra invece sempre la stessa... I.W.: Quando abbiamo mosso i primi passi avevamo molto da dimostrare, oggi è lo stesso. Non dobbiamo più provare chi siamo e da dove veniamo, ma dobbiamo comunque confermare qualcosa. È sempre stato così e continuerà ad esserlo. Non abbiamo mai abbandonato la mentalità che ci ha portato a "Thefakesoundofprogress" e, sicuramente, non lo faremo ora. Tenere unita una band quando vieni da una piccola città di provincia è difficile. Tutti sono pronti a giudicarti, avverti la pressione di quella che la gente definisce vita comune: "devi trovarti un lavoro", "non puoi permetterti di sognare"... L'unico modo per sopravvivere è avere la giusta attitudine: noi contro il resto del mondo. Sono cresciuto ascoltando Red Hot Chilli Peppers e Metallica e i loro primi quattro album li hanno portati a definire il suono che oggi li contraddistingue. È come se avessimo affrontato un training di base, un addestramento al quale era inevitabile sottoporsi e ora siamo finalmente pronti per lo scontro finale.

Anche "A song for where I am" è nata in una notte, dopo una serata dal sapore vagamente nostalgico. In quel momento mi sono reso conto di apprezzare davvero il posto da dove vengo e i luoghi in cui sono cresciuto. 36 RockNow


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PUNKREAS

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Miseria


e nobiltà

Vent’anni e passa di onorata carriera sulle spalle, di sudore e spallate su palchi dislocati in ogni dove. I Punkreas tornano con l’ottavo album in studio, “Noblesse oblige”, che vede la partecipazione straordinaria di Luca “Zulù” Persico e dei fiati dei Bluebeaters. Di Nico D’Aversa

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PUNKREAS

Tendo a pensare che il punk appartenga all’epoca predigitale, dalla quale noi proveniamo. L’epoca delle

autoproduzioni,

delle fanzine, dei Centri Sociali. Però il punk, come atteggiamento, resta un’eredità fertile. Prima o poi qualcosa rinascerà anche in epoca digitale...

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vete sempre trattato temi impegnati ma in “Noblesse oblige” si respira un’atmosfera un po’ più scanzonata rispetto a “Futuro imperfetto”. È stata una scelta voluta e può essere interpretata come una sorta di antidoto al periodo avvilente che stiamo vivendo? Flaco (chitarra): La seconda che hai detto, come direbbe Guzzanti. Siamo costretti a un sovrappiù di ironia per contrastare la desolazione di quest’epoca che sta morendo, mentre ancora il nuovo non si annuncia. Almeno un nuovo interessante. Gli Afterhours hanno intitolato il loro album “Padania”. Voi dedicate una canzone alla Lega, “Polenta & kebab”. I gruppi milanesi finalmente ci parlano di questo fenomeno, proprio mentre quel movimento è travolto dagli scandali. Si può dire che siete stati profetici… Paletta (basso): Diciamo che essere costantemente circondati dai promotori delle ronde padane ci ha aiutato molto e poi, a Milano, dopo aver fatto chiudere centri sociali, circoli Arci, allontanato gli artisti di strada, limitato ogni iniziativa che riguardava musica e spettacoli all'aperto, non sapendo più con chi prendersela, si sono accaniti contro il kebab. Lì abbiamo capito che era il momento di scendere in campo. Flaco: Abbiamo faticato a prendere in considerazione la Lega per un nostro testo perché abbiamo l’ambizione di scrivere canzoni capaci di resistere al passare del tempo, e da quindici anni ritenevamo la Lega un fenomeno ridicolo e condannato a rapida estinzione. Dopo tutto questo tempo, abbiamo dovuto ammettere di avere sbagliato e così abbiamo dedicato un pezzo alla questione. È ridicolo che gente volgare e culturalmente impreparata abbia determinato la politica italiana per così tanto tempo. Che vedano il crepuscolo per le note vicende del finanziamento pubblico ai partiti e non per l’orrenda legge Bossi–Fini sull’immigrazione è invece una cosa un po’ triste e un po’ tragicomica. Com’è nato il connubio tra il punk rock dei Punkreas il rap di Luca “Zulù” Persico? Paletta: Con i 99 Posse c'è sempre stata una sorta di affinità, un po' per i testi delle canzoni e un po’ per gli stessi posti in cui andavamo a rappresentarle e cioè il compianto circuito dei Centri Sociali. Ma con Luca l'amore è sbocciato quando ci siamo trovati a condividere una splendida avventura sulla Rainbow Warrior, la nave di Greenpeace, in occasione del video “No al

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nucleare”. Da lì abbiamo mantenuto i contatti e nessuno meglio di lui poteva interpretare questa canzone. Come “Cuore nero” nel disco precedente, “Ali di pietra” è la canzone più intensa e dal contenuto più criptico. Potreste spiegarcene il significato? Flaco: Sì, ogni tanto ci piace uscire dal seminato e scrivere qualcosa che non sia immediatamente decodificabile. In questo caso la canzone nasce dalla considerazione della barbarie che ha attanagliato le società occidentali dopo la fine del blocco sovietico. Il capitalismo, senza più opposizioni ideologiche e geografiche, è diventato sempre più vampiresco. La finanza ha ucciso il welfare e oggi ci dobbiamo pure “sucare” le litanie su cosa significa


essere moderni. Questo clima di competizione forsennata va tutto e solo a svantaggio della gente ed è diventato assolutamente insopportabile. C’è bisogno di gente che dica di no. A volte non capisco se i vostri pezzi si limitino ad un’efficace fotografia della realtà o realizzino anche un’amara riflessione. Ad esempio in “Sesso a pagamento” affrontate il tema del sesso come ossessione. Il brano mi fa pensare in qualche modo al film “Shame”. Vorrei sapere appunto se il pezzo è puramente descrittivo di un modo di essere oppure una critica al mordi e fuggi dei rapporti. Flaco: In “Sesso a pagamento” abbiamo cercato un equilibrio tra le dimensioni che hai così ben sintetizzato. Non è nostra abitudine essere semplicemente descrittivi, ma neanche ha un senso fare la morale sterile a quello che è diventato un fenomeno di massa. Scagli la prima pietra, almeno tra i maschi, chi non è mai stato tentato dal sesso puramente consumistico

e tristemente autoreferenziale, che annega nei corpi la disperazione dell’anima. Inutile nascondersi dietro a un dito: la società del bunga bunga ha esasperato il modello di godimento maschile e ne siamo tutti coinvolti. Allo stesso tempo questa esasperazione è anche segno di un disagio profondo, che forse prelude al tramonto definitivo del maschio italico. Quanto al fenomeno della prostituzione, raccomando la lettura di Chester Brown, “Io le pago”, un fumetto edito da Coconino. Spiazzante. Oggi i movimenti giovanili, hanno spesso una prerogativa solo modaiola e quindi priva di qualsiasi ideologia di riferimento. Che cosa può significare invece essere ancora punk nel 2012? Paletta: Indipendentemente dalla moda o dalla musica che i giovani seguono, la cosa preoccupante è che ancora in pochi hanno capito che ce la stanno mettendo nel sedere qualsiasi sia la posizione che assumiamo. La domanda che dovremmo farci è come ci stanno facendo vivere nel 2012? Urge una risposta alla svelta! Flaco: Sono molto confuso rispetto a questo. Tendo a pensare che il punk appartenga all’epoca pre-digitale, dalla quale noi proveniamo. L’epoca delle autoproduzioni,

delle fanzine, dei Centri Sociali. Però il punk, come atteggiamento, resta un’eredità fertile. Prima o poi qualcosa rinascerà anche in epoca digitale, ma non so se questo possa accadere senza la riappropriazione di spazi fisici di libera socializzazione. Nel giugno scorso siete stati vittima di un episodio di abuso di potere da parte delle forze dell’ordine in un hotel a Nichelino. Avete raccontato di aver salvato la pelle solo grazie al fatto di essere poi stati riconosciuti come personaggi noti. Due brutte abitudini in una botta sola. Cosa vi ha lasciato quel triste episodio? Paletta: A me rimane la consapevolezza di vivere in un paese dove ancora adesso per troppe volte il più debole viene sopraffatto da chi abusa del proprio potere. E pensare che questi abusi siano poi commessi da chi ci dovrebbe proteggere nel nome della democrazia mi fa paura! Flaco: La prima cosa che ho pensato, una volta scampato il pericolo, è stata questa: e se invece di chiamarci Punkreas e di attaccarci al telefono chiamando avvocati, agenzia, Ansa, ci fossimo chiamati Uva, o Bianzino, o Aldrovandi, o Cucchi? È una cosa terribile che, dopo Genova 2001, si sta ripetendo purtroppo molto spesso.

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THE USED Jeph Howard, bassista della band dello Utah, ci ha raccontato i segreti di “Vulnerable”, disco che riassume un lungo processo di maturazione artistica, che potrebbe spiazzare, ma anche sorprendere, i fan più fedeli. Di Arianna Ascione

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sservandovi dall’esterno, a livello di band non avete mai avuto paura di cambiare il vostro stile, sperimentando strade sempre nuove. Adesso che siete arrivati al quinto album in studio, il salto è stato notevole rispetto al passato. Jeph Howard: Sì, il sound è cambiato molto. Abbiamo cercato di trasferire in musica i nostri cambiamenti personali, perché riteniamo che sia importante mostrare la propria crescita, sia a livello musicale che a livello artistico. Quando abbiamo iniziato a lavorare a questo disco abbiamo scritto più di sessanta canzoni, e poi abbiamo deciso di riscriverle insieme a Bert (McCracken, il cantante ndr), con l’ausilio di una tastiera. Solo dopo abbiamo ri-registrato il tutto, conservando le modifiche. Le influenze sono molto diverse rispetto al passato: avete scelto anche sonorità tipicamente hip hop, senza disdegnare il drum’n’bass, tanto per citare gli esempi più eclatanti. In una nota che avete diffuso, Bert ha sottolineato come questo disco sia “per i veri fan che amano la musica”. Avete paura che tutte queste novità possano lasciare perplessa la vostra fanbase storica? J.H.: No, andare in una direzione diversa, quando abbiamo iniziato a registrare questo disco, era un bisogno, un’esigenza che sentivamo molto forte dentro di noi. Abbiamo sentito arrivare il cambiamento e abbiamo voluto assecondarlo. Ritenete che comunque sia importante sentirsi, in un certo senso, a posto con la propria coscienza sia musicalmente parlando che

in tutte le altre cose che fate nel vostro lavoro? J.H.: Penso che sia molto importante. Ci teniamo che dalla nostra musica, così come dalle interviste, emerga sempre la verità. Vogliamo che i fan sappiano che siamo sempre lo stesso tipo di persone, non siamo mai cambiati da quel punto di vista: amiamo i momenti in cui possiamo incontrare chi ascolta la nostra musica, quando ne abbiamo la possibilità. Dicevi prima che avevate più di sessanta brani pronti prima di entrare in studio, e ho letto che ne avete scritti ancora undici prima di scegliere i dodici pezzi da inserire nel disco. Anche le altre volte è stato così o avete affrontato una nuova modalità di scrittura? J.H.: Avevamo in testa una montagna di nuove idee quando abbiamo iniziato a lavorare a “Vulnerable” e ti ho già raccontato che quando siamo arrivati in studio Bert ha voluto registrare alcuni attacchi con la tastiera. Ma non solo, è anche arrivato con un sacco di nuove ispirazioni per altri brani mentre eravamo lì. Ci sono anche un paio di pezzi che non sono sul disco ma che sono finiti sulle “special edition” e su iTunes. Qualcuno potrà essere pubblicato tra un po’.

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“Vulnerable” parla di rialzarsi e diventare più forti. Intendiamo il termine con un significato molto positivo: una volta che togli tutte le barriere che ti proteggono e vieni a contatto con il tuo “io” più intimo, puoi iniziare a capire che sentirsi vulnerabile è il modo di essere più forte che esista RockNow 43


THE USED “Vulnerable” è una parola che lascia trasparire un significato molto profondo: come mai avete scelto proprio questo titolo per il disco? J.H.: “Vulnerable” parla di rialzarsi e diventare più forti. Intendiamo il termine con un significato molto positivo: una volta che togli tutte le barriere che ti proteggono e vieni in contatto con il tuo “io” più intimo, puoi iniziare a capire che sentirsi vulnerabile è in realtà il modo di essere più forte che esista. Anche la cover del disco è molto forte: c’è questo bambino, in bianco e nero, da solo di fronte ad un muro. Come mai avete scelto proprio questa immagine molto suggestiva? J.H.: Abbiamo scelto la copertina nello stesso periodo in cui stavamo girando il video per il brano “I come alive”. Volevamo sia una cover che un video che raccontassero perfettamente il significato della parola “vulnerabile”. Tra l’altro Bert ha avuto alcuni problemi di salute l’anno scorso. Durante un concerto si era infortunato cadendo dal palco e facendosi male a un gomito e a una mano. Come sta adesso? Immagino che ormai si sia pienamente ripreso. J.H.: Adesso sta alla grande. L’ho appena visto fare una ruota fuori dal bus. Ah però! Intanto, a proposito di bus e di tour… ho visto che siete in Europa in questo periodo per qualche data. Poi ci sarà il tour

Ci teniamo che dalla nostra musica, così come dalle interviste, emerga sempre la verità. Vogliamo che i fan sappiano che siamo sempre lo stesso tipo di persone, non siamo mai cambiati da quel punto di vista americano, che vi vedrà impegnati per un bel po’… J.H.: Sì, mi piace davvero molto suonare ai concerti e fino ad ora il tour sta andando davvero bene. Come setlist, abbiamo scelto di proporre un mix di brani tratti un po’ da tutti i dischi. Facciamo circa quattro o cinque canzoni da ogni lavoro che abbiamo pubblicato. Tornando al disco nuovo: come mai avete deciso di aprire la vostra etichetta per pubblicarlo, dopo l’esperienza con una major, la Reprise (Warner)? J.H.: Siamo rimasti con l’amaro in bocca dopo aver lavorato con le major, tra il disco che non è stato spinto e la “fuga” di “Artwork” (il disco era finito su alcune piattaforme di file sharing tre mesi prima della pubblicazione, ndr). Abbiamo capito che era giunto il momento di andare in una nuova direzione. Pensi che sia diventato più difficile, adesso come adesso, autoprodursi? Economicamente non mi sembra un gran periodo quello che stiamo vivendo - vedi crisi economica globale-, e i costi potrebbero non essere sostenibili da tutte le band.

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J.H.: Se ti sei messo a fare musica per soldi, beh adesso è il momento buono per smettere. Fare musica è tutta una questione di amore per l’arte, per la musica stessa e per il suonare rock dal vivo. Magari al momento è prematuro, ma vi piacerebbe produrre, in futuro, altre band con la vostra etichetta? J.H.: Per quanto riguarda me, amo suonare il basso e girare in tour. Non ne ho mai abbastanza. Ma sono certo che a Quinn piacerebbe, ha un grande orecchio. Una curiosità: guardando le vostre foto ho visto dei bellissimi tatuaggi. C’è qualche artista che ti piace in modo particolare o qualche genere specifico? J.H.: Ne ho un paio. Troppa gente ha fatto ormai questi tatuaggi, e attualmente sono a metà dell’opera. Il tatuaggio che ho sulle costole, a sinistra, me l’ha fatto in California Nikko H.


habitare

karismedica

habitare

medica progetti

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habitare

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arredo e design

technologies

international s.a.

system furniture

security division


PARKWAY DRIVE

Pregi e difetti del music business, i problemi di quella meta tanto sognata chiamata Australia e molto altro. Winston McCall, meglio noto come cantante dei Parkway Drive, si svela in un’intervista insolita nei contenuti‌ Di Eros Pasi - Foto Emanuela Giurano

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empo fa parlando di voi con Darren (talent scout di Roadrunner Records Australia) mi disse una frase che ancora oggi mi fa pensare parecchio: “I Parkway Drive in Australia sono paragonabili a Dio”. Un’affermazione magnifica non credi? Winston McCall: Per arrivare a certi livelli devi avere un mix di fortuna e bravura. Quando entrambe le cose coincidono, allora puoi iniziare a sognare. Nel nostro caso tutto è arrivato nel momento giusto: l’entrare in gioco quando la scena musicale australiana non aveva una band che potesse essere di riferimento per i giovani e il proporsi nella maniera giusta, musicalmente e personalmente. Come band ci abbiamo messo molto di nostro, ma gli eventi che si sono susseguiti sono stati fondamentali per il nostro successo, lo ammetto.

Conosco tantissime persone che farebbero carte false per chiudere la valigia e partire per l’Australia. Cos’ha di tanto speciale? WMC: Fino a qualche anno fa ogni volta che suonavamo in Europa e Stati Uniti vedevo la mia terra come qualcosa di incontaminato, c’era una sorta di barriera invisibile che la proteggeva dai malcostumi tipici degli altri Continenti. Oggi purtroppo quella barriera credo non esista più, e le colpe sono da attribuire a chi ci governa, che pur di mostrarsi disponibile verso il mercato estero ha fatto sì che multinazionali e persone da ogni parte del globo rendessero l’Australia l’ennesimo tassello della globalizzazione. Oggi abbiamo gli stessi problemi di qualunque altro stato: alto tasso di disoccupazione, povertà dilagante e poche prospettive. Il Governo sta cercando in ogni modo di chiudere le frontiere dando restrizioni sui permessi di soggiorno agli

stranieri, ma ormai il danno è fatto. L’Australia è comunque parte di me, ogni volta che penso al mare, ai suoi paesaggi e alla natura mi emoziono. Questa globalizzazione ha toccato anche il vostro sistema musicale? WMC: In piccola parte. Fortunatamente l’adolescente locale è abituato ad acquistare dischi e ad andare ai concerti. Lo facevo io da teenager e lo fanno tuttora le nuove generazioni. La cosa più interessante della nostra scena è che si tende prima a dar peso e sostegno ai gruppi locali e poi ai nomi internazionali. Molte band australiane fanno della musica la loro occupazione giornaliera, tutto questo senza essersi mai spostati dal nostro Stato... Suonano centinaia di show all’anno e vendono un quantitativo tale di dischi da far impallidire moltissime star europee. In Australia il mercato discografico genera numeri impensabili in ogni altra parte del mondo. Winston ti chiedi mai cosa farai da grande? Nonostante ammiri la vostra proposta e vi segua dagli esordi faccio una gran fatica a vedervi ancora alle prese con questo tipo di musica tra 10 anni… WMC: Mi piacerebbe rispondere

dicendoti “vivendo nella mia casa in riva al mare e poter surfare tutti i giorni”, ma so bene che non sarà mai così. Sinceramente non ho un’idea ben precisa, forse perché pensare al dopo Parkway Drive mi spaventa un po’. Di sicuro vorrei restare nell’ambito musicale, in un contesto che non sia quello di musicista. Mi piacerebbe scoprire nuovi talenti, magari avere una mia etichetta… E su quel che mi dici a riguardo dei Parkway Drive tra dieci anni, beh, credo di pensarla come te. Cosa porta una band alla parola fine a distanza di anni? WMC: Tante cose, soprattutto la mancanza di stimoli. Quando entri nel sistema tutto è cool: suonare in giro per il mondo, conoscere persone nuove, stili e usanze locali. Il tempo passa e tutto rimane invariato: stessi club, stesse persone, diventa una specie di routine dove il guadagno economico è l’unica spinta. Nel caso dei Parkway Drive rimpiango molto i tempi in cui eravamo poco più che conosciuti e suonavamo in piccoli locali. C’era curiosità e una grande voglia di scoprire cosa ci attendeva giorno dopo giorno. Oggi siamo una sorta di macchina rodata e per questo siamo sempre assistiti in tutto: suoniamo in grandi arene e abbiamo un team al seguito che cura tutto ciò che ci circonda, sappiamo persino cosa faremo tra due mesi! È la prassi, ne sono consapevole, ma alla lunga tutto ciò genera stress e di conseguenza la fine di una band. Dopo “Deep blue” i fan si attendono molto da voi. Avverti questo peso? WMC: Non molto, ma so benissimo che chi ci ascolta vuole sempre di più. Sinceramente reputo “Horizons” il nostro punto più alto, che sento più vicino alle mie idee e dove ci sono forse le migliori canzoni dei Parkway Drive. A detta di molti “Deep blue” è di un altro pianeta, ma non sono d’accordo visto che a mio avviso è troppo in linea con i dischi di molte altre band che fanno parte della nostra scena. Manca di vitalità.

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Meganoidi

and Disag

Quinto disco per gli ormai ex “supereroi” genovesi, dove la via al rock italiano assume una forma più dinamica e un respiro più internazionale. Di “Welcome in disagio”, titolo di questa ultima fatica, e di altre cose parliamo con Luca, chitarra e tromba del quintetto. di Armando Autieri

Q

uello che si riesce a notare fin dalla prima canzone “Ora esiste dopo non più” è la forte differenza rispetto a qualunque lavoro precedente del gruppo. Viene quindi spontaneo chiedere come siano giunti a questa maturità artistica: “Sicuramente ‘Welcome in disagio’ è un traguardo in campo di espressione personale e artistica che avevamo sotto la pelle da tempo, e molto probabilmente tra le tessiture dei nostri lavori precedenti si sentiva qualcosa, ma non era ancora a fuoco. La maturazione del nostro stile si è iniziata a sentire con ‘Al posto del fuoco’, ma ora direi che tutte le nostre sfaccettature hanno finalmente trovato la forma più completa ed efficace”. Un’altra cosa che si nota è l’affiatamento tra i musicisti. Il songwriting, sia sul piano delle liriche che degli strumenti, è oggi più che mai brillante. Chiediamo quindi quale possa essere il segreto di tale formula: “Questo risultato è merito della scrittura. I brani sono stati composti con una libertà mentale che forse non abbiamo mai avuto. E anche

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una maturazione che ci ha portato ad eliminare ogni genere di barriera per esprimerci in un modo più diretto. Abbiamo iniziato un percorso, quasi 15 anni fa, fatto di onestà artistica e umana nei confronti di noi stessi e delle persone che ci hanno dato fiducia ascoltandoci, noi ci raccontiamo e raccontiamo quello che abbiamo intorno, con l'unica formula che conosciamo: la musica”. Ascoltando tutte le undici tracce, si riesce a sentire una fortissima influenza rock indie, non solo quello alla moda di questi giorni, ma qualcosa che abbraccia un territorio più ampio. Luca ci risponde così “Siamo onnivori di musica e ascoltiamo di tutto. Dai Porcupine Tree ai Clutch, da Ivano Fossati ai Karnivool, dai Kraftwerk a Pat Metheny, non abbiamo degli ascolti mirati alla composizione, perché gli stimoli arrivano anche da gruppi sconosciuti che ti consigliano l'ascolto di un loro brano su Facebook”. I brani più veloci e frizzanti, un tempo marchio di fabbrica dei Meganoidi 1.0 (quelli di “Supereroi”, per capirci), tornano a farsi sentire. Certo,


io for all

non c’è lo ska punk dei primi tempi, ma in brani come “Milioni di pezzi” e “Ogni attimo” sono di sicuro più movimentati. “Sono i pezzi che prima di avere un testo convincevano meno alcuni della band. Ora sono quelli che convincono di più continua il chitarrista – poi ci sono canzoni come ‘Ogni attimo’ che è talmente pura, solare e senza fronzoli che arriva dritto come un treno nelle orecchie”. Luca poi presenta un’altra canzone del disco intitolata “Ghiaccio”: “Parla della consapevolezza che il mondo che ci circonda non rappresenta le tue esigenze e neanche i lati più evidenti della tua stessa anima, quindi essere spaesati e non sapere chi sei si sta cronicizzando nelle nostre menti. È stata definita da molti una nuova ‘Zeta reticoli’ e si sta facendo apprezzare molto dal vivo, pur non avendo al momento un video di supporto”. Quello che rimaneva impresso dei Meganoidi del passato era una propensione all’intimismo soprattutto nelle liriche. Con questo nuovo capitolo, invece, c’è una evidente apertura verso l’esterno e

una maggiore chiarezza dei testi. Chiediamo a Luca se è d’accordo: “Diciamo che abbiamo cominciato a parlare più chiaramente perché abbiamo idee più chiare, d'altra parte crescendo e maturando, metti più a fuoco il pensiero e quello che ti sta dentro”. L’ultima riflessione è invece incentrata sulla dimensione live, forse la migliore per poter vedere i progressi continui della formazione: “I vecchi brani suonati dal vivo, ora suonano meglio e più convincenti, come se con questo ultimo lavoro avessimo creato una sorta di liaison fra tutte le canzoni che componevano la vecchia scaletta. Nel live che stiamo proponendo ripercorriamo la nostra storia, partendo dagli esordi con ‘Meganoidi’ e ‘Supereroi’, proseguendo con ‘Zeta reticoli’, fino ad arrivare a quelle canzoni che il nostro pubblico sta iniziando ad amare come ‘Ogni attimo’, ‘Milioni di pezzi’, ‘Ghiaccio’. Insomma, il nuovo live è un album ricordi che arriva fino ad oggi e lo sfoglieremo con tutte le persone che verranno ai nostri concerti”.

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KLOGR

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F s


Fear of society Il gruppo emiliano convince con un primo album all’insegna dell’heavy rock granitico e intelligente. Una buona base di partenza per i Klogr, capaci anche di accattivare gli americani sul loro stesso terreno di gioco. Di Daniel C. Marcoccia

C

ome nascono i Klogr e come si sono sviluppati il progetto e il suono prima di arrivare al disco? Gabriele “Rusty” Rustichelli (voce e chitarra): Il gruppo nasce dalle ceneri del mio vecchio progetto, i SensAzionE, in cui cantavo in italiano. Dopo qualche anno di produzioni in studio e inattività da band ho sentito la necessità di riformarne una. L'Italia è un paese musicalmente "piccolo" e avevo bisogno di confrontarmi con l'estero, da qui l'esigenza di cantare in inglese. Ho proposto a Nicola Briganti (chitarra) dei Lena's Baedream e Todd Allen (basso) dei Beside Myself (completa la formazione il batterista Filippo De Pietri), con i quali stavo già lavorando, di collaborare al progetto e tutto si è innescato. A gennaio dello scorso anno parlavamo del progetto e a ottobre eravamo a Los Angeles per masterizzare il disco. È nato tutto spontaneamente e tutto è filato liscio fin dall'inizio. Quando ognuno ha il proprio ruolo all'interno di una band, è facile produrre un disco. Il suono è un mix tra rock, grunge e metal... in definitiva quelli che sono i nostri ascolti. Per questo ci piace chiamarlo "alternative". "Till you decay" è un disco davvero ambizioso, con tematiche legate alla società in cui viviamo, che controlla la massa alimentando paure e ansie, tema che si sviluppa attraverso le canzoni. Com'è nata questa idea ed è stato impegnativo realizzarla a livello compositivo? Rusty: Io e Todd abbiamo vissuto insieme allo Zeta Factory per 8 mesi e abbiamo condiviso molto. Ci siamo conosciuti per caso ma mi sono accorto che avevamo davvero tanto in comune. Dopo esserci scambiati alcune visioni sulla società, abbiamo iniziato a confrontarci e da lì tutte le tematiche sono venute fuori. Arriviamo da due società, quella italiana e quella americana, totalmente opposte e contrastanti, eppure con molte similitudini. Pian piano ci accorgevamo che il nome della band, quello scelto per il disco e la filosofia del progetto scorrevano insieme in modo naturale. Ci tengo a precisare che non vogliamo fare i profeti, “Till you decay” è solo il nostro punto di vista, la nostra versione dei fatti, quello che abbiamo vissuto e che viviamo sulla nostra pelle. Hai accennato appunto al nome del gruppo, ce lo vuoi spiegare? Rusty: Klogr (pronunciare “kay log are”, nda) non è altro che la formula matematica della sensazione, ovvero “S = K log R”, dove “K” è una costante messa in relazione all'ambiente che la circonda. È la formula della relazione psicofisica fondamentale scritta nella seconda metà dell'800. In questo caso, “K” è l'individuo. Nulla di ciò che facciamo o di ciò che pensiamo è privo di contaminazioni da parte della società in cui viviamo. L'ardua impresa è esserne consapevoli, accettarlo e non farsi condizionare troppo. Avete fatto parecchie date negli Stati Uniti. Come sono andate e qual è stata la reazione del pubblico americano? Rusty: È stata un'esperienza fantastica! Non abbiamo suonato in locali grandissimi ma ci hanno sempre accolto molto bene. Era curioso, in quel periodo il disco era appena uscito e gran parte del pubblico ci sentiva per la prima volta! Abbiamo ricevuto un supporto pazzesco, la gente comprava l’album, le nostre magliette e chiedeva autografi come se fossimo delle star affermate. Spero di tornarci presto in tour e, perché no, per produrre il prossimo disco. L'interesse e la cultura per la musica hanno un sapore diverso da quelle parti... Quali sono i progetti immediati e futuri dei Klogr? Rusty: Abbiamo ultimato due brani mixati da Logan Mader (Machine Head, Soulfly) che dovrebbero uscire in un EP a settembre, mentre a Giugno partiamo per un mini tour in Francia. Poi, in estate faremo un po' di date in giro per l'Italia, segnalo quella del 20 luglio con gli Extrema a Torino. A luglio uscirà infine un altro singolo con un nuovo video. Stanno arrivando molti consensi, il progetto fila liscio per ora... Quindi battiamo il ferro finché è caldo e non ci fermiamo!

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habitare

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METAL

DISCO DEL MESE

MARILYN MANSON “Born villain”

(Cooking Vinyl/Edel) ★★★★

C

effetti, poco convincente, ma già il successivo “The high end of low” racchiudeva delle ottime canzoni, a cominciare dalla sontuosa ballata “Running to the edge of the world”. “Born villain”, che arriva 3 anni dopo, è un ottimo disco, vicino dal punto di vista compositivo a “Holy Wood” e, soprattutto, a “The golden age of grotesque”. Quindi non proprio roba da buttare nella spazzatura. Se proprio si vuole fare una critica, questo nuovo lavoro è un po’ troppo lungo, con più di un’ora di musica… ma è un fatto personale visto che secondo il sottoscritto i dischi non dovrebbero durare più di 40 minuti (amanti del prog odiatemi pure). La formazione, infine, rimane quella del precedente album, ovvero con Twiggy Ramirez e Chris Vrenna (ha suonato lui la

batteria in seguito alla partenza di Ginger Fish, dopo una permanenza di ben 16 anni), ai quali si aggiunge Fred Sablan al basso. Ma veniamo al contenuto di “Born villain”, anticipato da un bellissimo cortometraggio girato dall’attore Shia Laboeuf. Il disco spara fin dall’inizio alcune delle sue cartucce migliori, ovvero quattro anthem micidiali, in puro stile Manson ma dannatamente efficaci, quali “Hey, cruel world…”, il primo singolo “No reflection” (che ricorda non poco “mObscene”), “Pistol whipped” e “Overneath the path of misery”. Se “Slo-Mo-Tion” ci riporta alle atmosfere glam di “Dope show”, le sorprese arrivano con la malata “The gardener” (ottima citazione di Iggy Pop) e la epica “The flowers of evil” (e qui si capisce

che Manson riesce ancora a tirare fuori dal cilindro qualche chicca). Segnaliamo infine “Lay down your goddamn arms”, che alterna riff southern rock a un ritornello post-hardcore che sarebbe piaciuto tanto a Chino Moreno dei Deftones, la violenza di “Murderers are getting prettier every day” e l’emozionante ballata "Breaking the same old ground” che chiude in bellezza il disco, prima della bonus-track che nessuno si aspetterebbe: una cover di “You’re so vain” di Carly Simon rifatta assieme all’amico Johnny Depp alla chitarra e alla batteria. Cinico, salace ma terribilmente intelligente, in “Born villain” ritroviamo Marilyn Manson al meglio della sua forma artistica. Daniel C. Marcoccia

Foto di Lindsay Usich

ome al solito, anche per questo nuovo disco di Marilyn Manson, le critiche non mancheranno. D’altronde stiamo parlando di un personaggio che non lascia mai indifferente e infastidisce spesso e volentieri benpensanti e (falsi?) puritani. A dire il vero, di queste persone, che rappresentano poi dei bersagli meravigliosi da infilare nei testi delle canzoni, non mi preoccupo più di tanto. Ad annoiarmi maggiormente saranno quelli che muoveranno critiche sul lato artistico del Reverendo, affermando che non è più quello di una volta o che da un po’ di album ha perso parecchia della sua verve. Ecco, quelle secondo me sono delle stronzate! Posso capire chi critica “Eat me, drink me”, disco, in

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nu rock EXILIA “Decode” (ZYX/Venus)

★★★★

Lo ammetto: mi capita spesso, ascoltando i dischi prodotti da molte band italiane (emergenti e non), di rimanere delusa. Viviamo nell’era digitale, tutto è più veloce e la musica non fa eccezione, con la qualità che spesso va a farsi benedire. Eppure basta poco per fare bene le cose se si ha talento da vendere e se non si lascia mai nulla al caso. I dischi degli Exilia, da questo punto di vista, sono sempre una certezza: lavori impeccabili, rifiniti in ogni aspetto, dalle sonorità coinvolgenti, intense, ma allo stesso tempo selvagge e primordiali. Se il precedente “My own army” era intriso di dolore e rabbia, il nuovo disco rappresenta l’orgoglio, la forza e la rinascita; senza

dimenticare il riconoscibilissimo marchio di fabbrica che, nel nostro caso, è la voce graffiante di una delle migliori “frontwoman” mai partorite dal nostro Paese. In “Decode”, Masha ha fatto uno straordinario lavoro sulla voce, che risulta più multiforme e per certi versi ammaliante nella sua versatilità (basti ascoltare anche solo “The wrath of Gaia”). Miss Scarlett

HOPES DIE LAST “Trust no one” (Standby)

★★★★

Dopo un duro lavoro tornano a stupirci gli Hopes Die Last con la loro ultima fatica, “Trust no one”, che ci mostra un volto più maturo nelle tonalità elevandoli decisamente una spanna sopra altri gruppi del genere metalcore/screamo italiano. L’album sfuma dalle

LOSTPROPHETS “Weapons” (Epic/Sony)

★★★

recen sonorità da cui nascono fino a raggiungere un rock misto all’elettronica pesante, con una visione a 360° della musica che permette alla band di accaparrarsi una fetta ben più ampia di pubblico. Lasciano a casa i vecchi cliché del genere e si dedicano a un lavoro più adulto e al passo con i tempi che corrono, parlandoci delle loro insicurezze e del poco affidamento che fanno sulle certezze di un futuro roseo, trasformando i loro sentimenti in brani forti e diretti. Sicuramente un ottimo lavoro. Amalia “Maya” Noto

INME

"The pride"

(Graphite/Audioglobe)

★★★

Attivi da oltre quindici anni, gli InMe, autori di un alternative rock caratterizzato da complessi arrangiamenti e aperture di chiaro stampo metal, sono sinonimo di sperimentazione e innovazione. A favore della band: la capacità di creare brani di facile assimilazione senza rinunciare a libertà tecniche degne delle più blasonate realtà progressive. Musicalmente impeccabili, "Reverie shores", "Moonlit seabed" e "A great man" si dimostrano opening perfette. Gradualmente la melodia prende il sopravvento e i successivi episodi perdono di mordente, eccezione fatta per "Pantheon" e "Guardian". Disco maturo e ben strutturato, "The pride" convince senza eguagliare il precedente "Herald Moth", ancora oggi miglior prova del combo inglese. Michele Zonelli

LIVING CORPSE “And everything slips away” (Coroner/Masterpiece)

★★

Che strano questo nuovo disco dei Lostprophets. Parte bene, molto bene, con l’ottimo primo singolo “Bring ‘em down” e per sette tracce rimane su livelli elevati. Poi, nel finale ci ammorba con tre brutte canzoni. Peccato perché brani quali “We bring an arsenal”, con i suoi cori da stadio (prossimo inno della squadra dell’Emirates Stadium?), “Another shot” e “A song for where I’m from” racchiudono tutto quello che ci piace della musica dei gallesi, ovvero riff a profusione e ritornelli efficaci da riprendere in coro dopo mezz’ascolto. “Jesus walks” e “A little reminder that I’ll never forget” sono invece gustosamente pop ed evidenziano una produzione sempre attenta nel raggiungere il giusto equilibrio tra suoni potenti e melodia. Peccato davvero per quei tre brani che rovinano un po’ il lavoro. Ma fare un EP? Daniel C. Marcoccia

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Che i Bring Me The Horizon fossero ormai un nome importante della scena alternative si sapeva, ma non al punto da meritarsi un tribute album. Il caso in questione è quello dei Living Corpse, giovane realtà tricolore che in “And everything slips away” non fa altro che “coverizzare” la penultima fatica di Oli Sykes e soci, “Suicide season”. Stessi suoni di chitarra, stesse metriche e stesso timbro vocale: decisamente troppo per un gruppo che al posto di

metterci qualcosa di proprio punta tutto sull’emulare i propri miti. Le doti e i mezzi per fare bene ci sono tutti (vedi la buona tecnica strumentale dei musicisti e avere Ettore Rigotti al mixer), passiamo quindi oltre aspettando un lavoro più coraggioso e sicuramente più meritevole di questo. Giorgio Basso

DANCE! NO THANKS “Don’t sweat it” (This Is Core Music)

★★★

EP d’esordio per i piemontesi Dance! No Thanks, autori di un pop-punk a stelle e strisce con spunti inclini al rock malinconico stile Alkaline Trio. “Don’t sweat It” mostra pregi e difetti tipici dei debuttanti, da una parte la freschezza e la vivacità della proposta dall’altra uno stile ancora tutto da definire. Elementi utili a fare bene in futuro non mancano: i brani hanno quel taglio radiofonico tanto caro agli Ataris di “So long Astoria”, particolare non da poco per chi ama questo tipo di musica. Un buon biglietto da visita insomma, in attesa di un album completo con il quale farsi un’idea precisa su questi Dance! No Thanks. Giorgio Basso

MATT SKIBA AND THE SEKRETS “Babylon”

(Superball Music)

★★★

Essere il frontman degli Alkaline Trio e aver alle spalle un altro progetto solista, gli Heavens, non è evidentemente abbastanza per Matt Skiba, che torna a riproporsi parallelamente al trio alkalino con i suoi Sekrets (ovvero Hunter Burgan degli AFI e Jarrod Alexander dei My Chemical Romance). Le tracce che compongono questo album di debutto si discostano poco, a dire il vero, dalle sonorità e lo stile già proposto da Skiba nel corso della sua carriera. Si può dire che “Babylon” è un frullato delle precedenti esperienze musicali di Matt. Non brilla infatti per originalità, ma risulta comunque molto orecchiabile e comunque ben riuscito. Spiccano brani coinvolgenti e accattivanti che creano dipendenza da ascolto, come “Voices” o “Luciferian blues”, affiancati da


nsioni THE USED

“Vulnerable”

★★★★

(Rude Records)

L’ispirazione, e non solo quella musicale, non arriva mai a comando (purtroppo). Quando ci si mette di fronte ad un nuovo lavoro, ancora indefinito e informe, non bisogna avere fretta, anche se spesso i ritmi discografici moderni tendono a travolgere più che a seguire il corso naturale degli eventi. Per cui il fatto di essere indipendenti, questa volta, ha decisamente giocato a favore degli Used. La band infatti ha scritto ben sessanta brani prima di entrare in studio, ai quali se ne sono aggiunti altri undici in fase di lavorazione. Senza contare scritture e riscritture, ad opera del frontman Bert, che hanno alla fine prodotto dodici tracce dal sound tutto nuovo. Una mole di lavoro dettata dall’entusiasmo e da una voglia di sperimentare che questa volta si è spinta verso lidi inaspettati. In “Vulnerable” infatti spuntano tracce hip hop e drum&bass, che potrebbero, ad un primo ascolto, lasciare di stucco i fan storici. Ma un genere non deve essere un limite e, come spesso accade anche nella vita, i cambiamenti non devono spaventare, perché possono riservare sorprese ancora più grandi. Arianna Ascione

NU ROCK sporco. Pezzo preferito? “Somebody's gone”, con le sue sonorità quasi “British” alla Blur. Alex de Meo

SKIP THE FOREPLAY “Nightlife” (Epitaph/Self)

★★

Da sempre molto attenta alle nuove tendenze sonore, la Epitaph non si smentisce nemmeno questa volta, annoverando tra le proprie fila i Skip The Foreplay. Di che si tratta? Dell’ennesima band usa e getta d’Oltreoceano. La loro proposta è un mix di elementi gettonati e non, che vanno dalla dubstep al metalcore/screamo, una sorta di insalatona decisamente pesante da digerire con breakdown e growl che vanno a unirsi in maniera sgraziata a basi di scarsa presa. Il successo planetario di Skrillex ha generato la solita dose di spazzatura sonora e questi Skip The Foreplay ne sono l'esempio perfetto. Eros Pasi

SURGERY “Reset”

(Altipiani/Audioglobe)

★★★★

altri su cui aleggia una maggior vena malinconica e cupa come “Haven't you”, “Olivia” o “You”. “Falling like rain” ha poi un non so che di “Eating me alive” (Alkaline Trio), soprattutto nel ritornello. Insomma un disco con alti e bassi ma che verrà sicuramente apprezzato dai fan degli Alkaline Trio. Sebbene non si sia dato a novità e sperimentazione, Skiba sa fare bene il suo lavoro e l'impronta del suo stile è comunque sempre inconfondibile. Silvia Richichi

THE ALL-AMERICAN REJECTS “Kids in the street” (DGC/ /Universal)

★★★

Facciamo subito chiarezza: gli All-American Rejects non fanno pop punk (e forse

non l'hanno mai fatto) e adesso non fanno forse neanche più rock. Questo non vuol dire che non debbano piacerci più, però c'è da dire che questo disco li sta portando verso una strada (già intrapresa con “When the world comes down”) che è decisamente più pop. “Kids in the street” di sicuro non è album che colpisce al primo ascolto, e per molti probabilmente nemmeno al secondo, ma è un “flow” continuo che può tenere la giusta compagnia in un lungo viaggio, anche se si è in autostrada e non si può tenere il braccio fuori. Degli All-American Rejects continuo ad apprezzare i testi: semplici e diretti, ma ricchi di atmosfere nelle quali il “romanticone” può riconoscersi. Alla voce di Tyson Ritter ci siamo ormai abituati: se non siete fissati con gli pseudovirtuosi saprete apprezzate anche il suo timbro mezzo

Realtà a parte del panorama musicale italiano, i Surgery continuano imperterriti per la loro strada fatta di scenari decadenti raccontati a ritmo di techno/ industrial-rock. I cinque romani mascherati, disco dopo disco (ricordiamo “L’altra educazione” e “Non un passo indietro”), sviluppano ulteriormente il loro concept che in “Reset” raggiunge la sua piena esaltazione con un equilibrio perfetto tra le ciniche liriche ad effetto e l’amore per la sperimentazione sonora. Il risultato sono canzoni che raccontano i mali e il decadimento della civiltà occidentale, come in “Fino all’ultimo respiro”, “Nel nome del fuoco”, “Non posso dormire” e la travolgente “Habitat”. Come nei precedenti lavori, non manca la cover di un brano eighties e questa volta la scelta è caduta su “The metro” dei Berlin riveduta in chiave Surgery. Decisamente unici. Piero Ruffolo

WE ARE WAVES “We Are Waves” (Sounday Music)

★★★

Nati dalle ceneri degli Overock, i We Are Waves si presentano con un ottimo EP di 4 brani, dove il rock e l’elettronica trovano finalmente la loro perfetta dimensione. Un progetto ambizioso quello del quartetto piemontese, talmente affascinante da convincere un produttore di successo come Marco Trentacoste (Deasonika, Vibrazioni) a puntare su di loro. E il risultato di questo connubio non tradisce le aspettative: il gruppo carico di idee e talento posto nelle mani giuste ha saputo dare il meglio di sé, dando in pasto all’ascoltatore quattro canzoni varie e al tempo stesso affascinanti. Il brit-rock di “The other side of me”, la matrice industrial di “Deccan plateau”, l’intimità di “To the ocean” e la fottuta fame di caos sonoro generato in “Gaining ground” sono un poker d’assi difficili da trascurare se nella musica siete soliti cercare personalità. Eros Pasi

THE NERD FOLLIA “Logout”

(Mainstream Revolution)

★★★★

La prima cosa che mi sono detto dopo aver ascoltato “Logout” è stata “ma quanto sono fighi questi Nerd Follia?!”. Un nome che calza a pennello con il mood sbarazzino di questa giovane band lombarda, ottima nel rappresentare con ironia e senso critico i classici stereotipi della Milano da bere e del Web. La loro proposta è un cocktail fresco di electro rock sparato a volume assordanti, fatto di tastiere Nintendo style e un amore mai nascosto per il garage punk che porta ogni loro brano a essere una possibile hit da cantare e ballare fino allo sfinimento. Alto dosaggio di coinvolgimento ma soprattutto tante belle canzoni presenti in un disco che non stanca mai. D’altra parte una band che seppur sconosciuta ai più è riuscita nell’intento di farsi censurare da un paese civilissimo come la Cina per un testo in cui si cita il Tibet come può non esservi simpatica?! Eros Pasi

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ROCK/POP TENACIOUS D

EVA

(Sony)

(Halidon)

"Rize of the fenix"

★★★

“Duramadre”

★★★★

Terza prova per il duo Jack Black e Kyle Gass, "Rise of the fenix" riprende "The pick of destiny" e amplia (senza notevoli sorprese) quanto noto. Magistralmente interpretato e forte dell'immancabile appeal hard rock, il teatrale racconto diverte e persuade grazie a preziose soluzioni artistiche, una solida base ritmica, affidata nuovamente alle sapienti cure di Dave Grohl, e incisivi passaggi acustici. Costrutti metal e richiami ai classici del rock permeano la produzione, incalzata in più frangenti da esilaranti scambi di battute, ballate medioevali e richiami southern. Desiderare qualcosa di diverso non avrebbe senso e tutto si riduce a un'unica e indiscutibile verità: i Tenacious D sono tornati! Piero Ruffolo

Finalmente Eva Poles! Se qualcuno cercasse in quest’esordio della voce storica dei Prozac+ la fotocopia i questi ultimi, rivolga la sua attenzione altrove. Se invece volete approcciarvi a questo disco con orecchie nuove, troverete un’artista davvero interessante, in costante ricerca artistica e personale. Si parte con “Malenero”, dall’incedere e dal contenuto quasi gothic, proseguendo con l’ipnotica “6” fino all’ottimo singolo “Cadono nuvole”. “Il Giocatore” e “Temporale” viaggiano sui binari più cari alla sua band d’origine, con la stessa rabbia stralunata di un tempo e un pizzico di elettronica in più. “Chainless”, unico pezzo in inglese e unico pezzo non scritto da Eva, è così country che pare incredibile sia stato cantato da lei. Con “La prima scelta”, scritta

GARBAGE

“Not your kind of people” (Stunvolume/Self)

★★★★

recen con Max Zanotti (produttore artistico dell’album) viene invece fuori tutta la femminilità e il credo dell’artista, così come in “L.I.U.S.S.”, pezzo intimista in cui spuntano persino gli archi. “Il nemico” è forse il brano meno efficace (un po’ sanremese), ma subito si raddrizza il tiro con “Regina veleno”, già cantata coi Rezophonic, qui in una sorprendente versione orchestrale. Un disco multiforme e sincero, degno esordio da solista di uno dei personaggi più affascinanti e intriganti del panorama italiano. Dura madre è la vita, ma è una fortuna se le sue dure lezioni fanno nascere artisti così. Nico D’Aversa

A CRIME CALLED “Beyond these days” (Dysfunction)

★★★

In “Beyond these days” i pavesi A Crime Called mettono in atto quanto l’ondata rock anni 90 capitanata dai Nickelback ha insegnato alle nuove generazioni, vale a dire una proposta a base di rock dal forte gusto commerciale. Per riuscire nell’intento, il quartetto ha scelto la strada più in linea con le sue caratteristiche, sfornando otto brani dove potenza e melodia vanno di pari passo. Musicalmente vario e mai banale nelle soluzioni adottate “Beyond these days” ha tutte le carte in regola per farsi apprezzare sia dall’ascoltatore più esigente – vista la sua varietà – che da quello meno attento e sempre alla ricerca di nuovi singoli radiofonici. L’unica pecca riscontrata in questo positivo debutto è l’italianizzazione dell’inglese nelle liriche, decisamente da migliorare se si vuol continuare a crescere. Giorgio Basso

GOSSIP

“A Joyful Noise” (Columbia/Sony) Sono passati sette anni dal precedente “Bleed like me”, lasso di tempo enorme ma durante il quale il batterista Butch Vig ha avuto modo di produrre due dischetti come… “21st century breakdown” (Green Day) e “Wasting light” (Foo Fighters). Da Shirley Manson, invece, si sta ancora aspettando l’esordio solista ma, francamente, ci piace vederla nuovamente alla guida dei suoi Garbage. “Not your kind of people” racchiude un po’ tutte quelle che sono le caratteristiche del gruppo, ovvero chitarre effettate sempre in primo piano che spazziano tra giri grunge e distorsioni, e inserimenti elettronici che vanno a rendere corposo e ben identificabile il suono. E con tre produttori a bordo (oltre a Vig, lo sono pure i due chitarristi Duke Erikson e Steve Marker) era facile prevedere un lavoro moderno, fresco e al passo con i tempi. Basta ascoltare il brano d’apertura, “Automatic systematic habit”, all’insegna dell’electro-rock più d’impatto, per capire come suonano i Garbage nel 2012! Sulla stessa linea sono anche “Battle in me” e “I hate love”. Se “Man on a wire” ci riporta alle sonorità più rock di “Bleed like me”, la ballata “Sugar” rievoca invece le atmosfere languide di “Milk” (difficile rimanere impassibili quando la rossa canta “give me sugar, give me something sweet…”). Bentornati. Daniel C. Marcoccia

56 RockNow

★★★

I Gossip fanno con “A joyful noise” il loro coming out… pop! In effetti, il nuovo disco della band guidata dalla prorompente Beth Ditto prende non poco le distanze da quanto fatto finora, soprattutto dalla matrice alternative degli esordi. Alcune avvisaglie erano già arrivate ai tempi di “Heavy cross” e con il nuovo singolo “Perfect world”, dalla vena malinconica e privo delle urla caratteristiche della cantante. In questo disco, prodotto da brian Higgins (già con Pet Shop Boys, Kylie Minogue e… Girls Aloud), il trio punta addirittura al dancefloor con il ritmo electro/disco di “Get a job”, il mood

funky di “Into the wild” e le aperture dance degne di Madonna di “Move in the right direction” e “Get lost”. Dei Gossip sorprendenti, è il caso di dirlo, ma pur sempre con una Beth Ditto superlativa. Daniel Marcoccia

FINLEY

“Fuoco e fiamme” (Gruppo Randa/Artist First)

★★★

È arrivato il momento per i Finley di rimettersi in discussione e mettere definitivamente a nudo la propria personalità. Il gruppo riparte così da “Fuoco e fiamme”, un disco (prodotto dal bravo Guido Style) in cui le chitarre non sono più “innocue” ma libere di sparare tutti i riff e gli assoli che vogliono. Di conseguenza, molte delle nuove canzoni presentano un sound decisamente più corposo (“Fantasmi”, “Fuego”, “La mia generazione” su tutte), con la sessione ritmica sempre in grande spolvero. Piuttosto che nelle ballate melodiche che, in alcuni casi, si riallacciano troppo al recente passato (“L’unica paura che non ho”), preferiamo i Finley che azzardano uno swing/rock in “Bonnie & Clyde” o che sconfinano nel pop con “Stella polare”. Un disco comunque onesto e siamo convinti che, prendendo spunto dal brano cantato assieme a Edoardo Bennato, il meglio debba ancora arrivare. Daniel C. Marcoccia

ORYZON

“Taste the flavour” (Mainstream Revolution)

★★★★

In un periodo storico fatto di continui cambiamenti, c’è ancora chi crede nella musica, quella vera e capace di portare un briciolo di malinconia al proprio stato d’animo, ripensando ai tempi che furono. “Taste the flavour” è il secondo lavoro degli Oryzon, un gruppo che ha fatto dell’autonomia il proprio marchio di fabbrica e che continua a stupire. Poco più che ventenni, questi quattro musicisti hanno partorito un EP sorprendente, che passa in rassegna diversi modi di intendere la parola rock: quello più sperimentale, quello raffinato, quello commerciale. Il tutto senza mai scadere nel banale. Perché in fondo chi ascolta è stufo di dover sempre avere a che fare con l’effetto sorpresa che poi sorpresa non è: vuole solo ascoltare buona musica. E gli Oryzon, a quanto pare, lo sanno bene, avvicinando a


nsioni jack white “Blunderbuss”

(Third Man Records/Self)

★★★★

Capiterà mai a Jack White di dire “oggi non faccio un cavolo”? Il musicista non sembra affatto intenzionato a prendere delle vacanze lontano dalla sua chitarra e, francamente, nessuno di noi si lamenterà di questo suo eccesso di stacanovismo. Messa la parola fine ai White Stripes e con i vari Dead Weather e Raconteurs a riposo, il signor White ha finalmente trovato il tempo per fare il suo esordio da solista. “Blunderbuss” racchiude un po’ tutti quelli che sono gli amori del musicista, dalla ballata country (la title-track) al blues ruvido (“I’m shakin’”), senza disdegnare un po’ di psichedelica (“Freedom at 21”) e neppure rinnegare il caro vecchio rock (l’accattivante “Sixteen saltines”, il cui riff ci riporta al periodo in cui se ne andava in giro con la sua cara Meg). Non mancano alcune riuscite ballate con il pianoforte sempre in bella evidenza, come “Love interruption” e “I guess I should go to sleep”. “Blunderbuss” scorre dall’inizio fino alla fine senza mai perdere colpi o annoiare l’ascoltatore. Era d’altronde prevedibile visto che stiamo parlando di un artista che ha segnato con la sua forte personalità la musica degli ultimi 10/12 anni. Daniel C. Marcoccia

sé quella malinconia citata in apertura e band che hanno alimentato la loro voglia di fare musica, Muse in primis. Eros Pasi

THE POTT

“To those in the eyes of God” (Sinusite)

★★★★

Non siamo sicuramente di fronte a un album facile e scontato. I Pott propongono infatti accostamenti sonori ambigui ma allo stesso tempo coinvolgenti, creando un’atmosfera parecchio suggestiva. “To those in the eyes of God”, primo album di questa particolare band torinese, racchiude un sound un po’ rockeggiante e alternative/ elettronico, rilegato da una base deep (e chi più ne ha ne metta). Sfondare le classifiche non sarà facile, non essendo sicuramente qualcosa di già masticato e rimasticato, ma dai buoni intenditori verrà amato ed apprezzato per la

grande originalità della formazione nello sperimantare suoni. Il disco è un susseguirsi di brani totalmente differenti tra loro nella struttura e nelle sonorità, consigliabile ad un orecchio ben istruito o a chi voglia mettersi alla prova. Amalia “Maya” Noto

AWOLNATION

"Megalithic symphony" (Red Bull Records/EMI)

★★★

Nuova creatura di Aaron Bruno (Under the Influence of Giants, Hometown Hero), gli Awolnation firmano l'atteso debutto con "Megalithic symphony", che si presenta come un disco indie pop dal forte carattere industrial. Ascoltando "Soul wars" la mente ci riporta agli anni 90 di Nine Inch Nails e Ministry, per poi tornare alla realtà grazie alle ammiccanti atmosfere radiofoniche di "People" e "Kill your heroes". Non mancano momenti che poco stonerebbero in

ROCK/POP un qualsiasi album dei Wheatus ("Jump on my shoulders"), passaggi elettronici dalle influenze garage punk ("Burn it down") e ruvide desinenze dance ("Not your fault"). Una prima prova degna di nota, in grado di esaltare le polivalenti doti artistiche del principale autore e interprete. Michele Zonelli

Young The Giant sperimentano però laddove i colleghi inglesi non sono arrivati, buttandosi anche sulle percussioni come in “God made man", in ritmi da spiaggia come in “I got”, fino a saltellare nel sound dance ed elettronico di “St Walkers”. Nel complesso un album che si lascia ascoltare volentieri. Valentina Generali

MEGANOIDI

PS I LOVE YOU

(Green Fog/Venus)

(Paper Bag)

“Welcome in disagio”

★★★★

Dopo la svolta malinconica e quasi progressive avvenuta oramai oltre dieci anni fa, la band riesce a consegnarci undici brani che toccano la perfezione e, di sicuro si avvicina di molto alla loro idea di suono. Molte sono le influenze, anche se nascoste. Torna il post punk ultramelodico e americaneggiante in “Milioni di pezzi” e “Ogni attimo”, i fiati mariachi di “Quello che ti salta in mente” e la vena intimista e malinconica - mai del tutto abbandonata in maniera particolare nelle liriche - finalmente assume la sua forma in “Luci dal porto”, “Occhi accesi” e “Ciao collera”. Tutti gli strumenti sono affiatati e i cambi di tempo e di armonie diventano adesso il loro punto di forza, al contrario di alcune loro prove precedenti, un po’ incerte in tal senso. Bravi Meganoidi, un passo avanti per il rock italiano. Armando Autieri

YOUNG THE GIANT “Young The Giant” (Roadrunner/Warner)

★★★

Pop-rock frizzante per l’omonimo album d’esordio dei californiani Young The Giant, nati nel 2004 con il nome di The Jakes. Dodici pezzi, un paio di hit tra cui il rockettino energico di “My body” e la più lenta “Apartment”, uscite infatti come singoli assieme a “Cough syrup”. Siamo davanti a un genere dal sound orecchiabile e non troppo impegnato che va tanto oggi e piace parecchio ai teenager. Le chitarre sono scanzonate, la batteria senza troppe pretese, i ritornelli s’insinuano nell’orecchio, per restarci, come nella già citata “My body”. Le atmosfere sono appassionate, estive, da party. Se poi ci aggiungiamo che Sameer Gadhia, il cantante, si diverte a giocare con la sua linea vocale e con falsetti sulla scia del frontman dei Coldplay, il gioco è fatto. Gli

“Death dreams”

★★★

Cominciamo col dire che “Death dreams”, secondo lavoro del duo canadese, è un disco estremo e difficile. Chitarre a briglia sciolta, pounding frenetici e voce fastidiosa dove le melodie sono smembrate in mille pezzi, e la forma canzone destrutturata non solo nella title-track spezzata in due tronconi, ma anche nei brani più “tradizionali”, se così si può dire. Materiale incandescente non adatto a tutti, dove i sogni magari non sono solo “di morte”, ma sempre disturbanti e spigolosi. Un applauso per il coraggio del combo, che non insegue mode ma interpreta a modo suo la lezione dei Sonic Youth più aggressivi. Sugli scudi “Toronto” e la conclusiva “First Contact”, che non starebbero male nella soundtrack del telefilm “Shameless”. Armando Autieri

SPIRITUALIZED

“Sweet heart, sweet light” (Pias/Self)

★★★★

Jason Pierce è un genio e, quasi sicuramente, un pazzo. E infatti, nel 2012 ci regala un altro bellissimo album, sicuramente migliore dei più recenti “Amazing grace” e “Songs in A & E”, probabilmente all’altezza del capolavoro “Ladies and gentlemen we are floating in space” uscito nel 1997. “Sweet heart, sweet light” racchiude l’essenza dell’edonismo e della malinconia di Pierce, con composizioni che spazziano dal rock (il singolo Hey Jane”) al pop (“Little girl”, “Mary”) senza mai disdegnare digressioni nella psichedelia (“Headin’ for the top now”, “You get what you deserve”). Ci sono infine splendide ballate che smuovono dentro e mettono a nuda la fragilità e la sensibilità del loro autore (“Too late”, “Life is a problem”). Canzoni destinate a rimanere nel tempo. Daniel C. Marcoccia

RockNow 57


METAL FEAR FACTORY “The industrialist” (AFM/Audioglobe)

★★★★

“The industrialist” è un nuovo, fuorioso capitolo nella storia dei Fear Factory: rabbioso, disperato, ruvido. Chitarre sincopate, doppia cassa inarrestabile. La reiterazione della ritmica che infetta la melodia e l’incessare quasi meccanico dei riff che distrugge ed esalta i vocalizzi di Bell. C’è tutto quello che ci si potrebbe aspettare dai Fear Factory. Tutto ciò che si vorrebbe desiderare da un loro disco. Thrash, death, accenti industrial, intercalari dubstep, la macchina dei Fear Factory non lascia scampo, miscela sapientemente disperazione e redenzione, growl e cantati

melodici, forma e sostanza. “The industrialist” riattualizza 20 anni di storia, ci ricorda da dove veniamo, e ci spiega - almeno in parte - chi siamo oggi. Scarsecate

FOMENTO

“To persevere is diabolical” (Coroner/Masterpiece)

★★★★

Dopo essersi presi la giusta dose di lodi con il debutto “Either Caesar or nothing”, tornano a farsi sentire i Fomento, death metal band capitolina capace di conquistare la simpatia di ogni metallaro grazie alla sua campagna anti-emo. Ma fortunatamente non sono solo i proclami a rendere ottimi i Fomento, fatto testimoniato dalla loro ultima

SLASH

“Apocalyptic love”

(Roadrunner/Warner)

★★★

Con Slash sai subito cosa troverai nei suoi dischi: del sano hard rock suonato da uno dei migliori chitarristi in circolazione. Orecchiabile e riffoso come ci si aspetta, “Apocalyptic love” riprende il discorso iniziato con il suo omonimo esordio del 2010 ma con una differenza sostanziosa. Questa volta non ci sono tanti cantanti per interpretare queste nuove canzoni ma il solo Myles Kennedy (Alter Bridge) che, dopo il tour, è diventato l’alter-ego vocale dell’ex chitarrista dei Guns N’ Roses. Kennedy è bravissimo e perfetto per dare il giusto rilievo a questi brani (ascoltatelo nelle varie “One last thrill”, “You’re a lie” e “Hard & fast”, nelle più “poppeggianti” “No more heroes” e “We will roam” o ancora nell’epica ballata “Not for me”), un frontman dalla voce potente e con la giusta personalità per accompagnare una vecchia volpe come Slash. Anzi, quest’ultimo, oltre a divertirsi come ai tempi dei Gunners, potrebbe aver anche la soluzione per risolvere il problema del cantante nei Velvet Revolver. Ma quella è un’altra storia. Daniel C. Marcoccia

recen fatica “To persevere is diabolical”. Un agguato a viso scoperto quello messo in piedi dai Fomento, duri e puri come da tradizione e autori di brani che non hanno nulla da invidiare a quanto partorito dai nomi più hot della scena estrema mondiale. Pur rimanendo incontaminato, il sound della band si è irrobustito parecchio, pagando pegno alla scena thrash metal teutonica e al black metal più “commerciale” stile Behemoth. Ottimo lavoro quindi, consigliatissimo a chiunque apprezzi ottima tecnica e ferocia allo stato puro. Eros Pasi

HALESTORM

"The strange case of..." (Roadrunner/Warner)

★★★

Band in costante crescita, gli Halestorm tornano con un nuovo e importante lavoro. Ad aprire le danze, la trascinante "Love bites (So do I)", perfetto connubio tra accattivanti ritornelli, azzeccati arrangiamenti e vincenti scelte compositive. "Mz. Hyde" e "Freak like me" non sono da meno. Liriche pronte a insinuarsi nella mente dopo un semplice passaggio e un sicuro comparto sonoro testimoniano la non più discussa maturità. La versatile Lzzy Hale si dimostra abile nel combinare dolci linee vocali a graffianti excursus in puro stile hard rock. Tra ballate ("Beautiful with you"), brani up-tempo ("Rock show") e indimenticabili anthem ("Here's to us"), "The strange case of..." supera la prova a pieni voti. Piero Ruffolo

MNEMIC “Nemesis”

(Nuclear Blast/Audioglobe)

★★★

Quinto lavoro per la band danese, ulteriore prova di resistenza dopo un cambio di line-up importante che conferma unicamente cantante e chitarrista. Nuova formazione, well known sound. I Mnemic rimangono fedeli alle sonorità alle quali ci hanno abituati: cambi ritmici, alternanza vocale, yin e yang o fardello del modern Metal. Portano avanti con coerenza e convinzione il sound multifaccettato che li ha distinti fin dagli esordi, citando Machine Head, Deftones, Helmet. Non distruggono nulla,

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piuttosto riaffermano il loro karma stratificato, misurano industrial, alternative e metalcore. Congegnano bene, tecnici piuttosto che prog, sorretti dall'abilita lirica di Guillaume Bideau, perfetto contraltare di una rigorosa sessione ritmica. Scarsecate

PRONG

"Carved into stone" (Long Branch/Audioglobe)

★★★★

Pionieri, innovatori, precursori: i Prong hanno scritto pagine importanti della storia del metal e aperto la strada a molte delle band (e generi) oggi alla ribalta. Tommy Victor e compagni tornano alle sonorità mai dimenticate di "Cleansing" e "Rude awakening" firmando uno dei più graditi ritorni degli ultimi mesi. Thrash, industrial e post hardcore di scuola newyorkese pervadono l'intera opera, mentre "Eternal heat", "Ammunition" e "List of grievances" travolgono e convincono. Granitici riff, una mirabile sezione ritmica e corrosive linee vocali fanno il resto. Con l'incedere, un velato senso di stanchezza si profila all'orizzonte, ma senza scalfire minimamente il valore di questo "Carved into stone". Michele Zonelli

SHINEDOWN "Amaryllis"

(Roadrunner/Warner)

★★★

Quarto album in dieci anni, per una band che sembra ancora cercare la propria posizione nel panorama rock mondiale. Apprezzati al debutto per le sonorità post-grunge, poi osannati nel 2008 per la durezza del sound e gli accenti southern-rock, adesso gli Shinedown tornano con un suono ancora diverso: purtroppo si tratta di una collezione di brani ossessivamente radio-friendly, a partire dal singolo "Bully" (doveroso testo contro il bullismo, ma con musica banalissima), passando per ballad e pezzi acustici, con solo una spruzzata di adrenalina posta all'inizio del disco. Probabilmente molte persone scopriranno gli Shinedown ascoltando "Amaryllis" alla radio, ma popolarità non sempre fa rima con qualità. Paolo Bianco


nsioni ANTI-FLAG

“The general strike” (Rude Records)

★★★★★

Gli Anti-Flag hanno messo a segno un nuovo

e violentissimo colpo! Dopo aver ipnotizzato ed entusiasmato il pubblico dell’Arena di Rho lo scorso anno, da supporter ai System Of A Down, la band statunitense ci regala una nuova perla. È incredibile come dalla prima all’ultima canzone sia tutto semplicemente perfetto e, nonostante questo, il lato più irrazionale dell’anima punk/hc della band non è stato intaccato. Questa volta gli Anti-Flag si schierano dalla parte dei lavoratori e più in generale delle nuove generazioni, messe a dura prova dalla crisi economica che continua imperterrita il suo tour in tutto il mondo da, ufficialmente, almeno un paio di anni a questa parte. Grazie ad una sfilza di “canzonianthem”, precise e dirette, gli Anti-Flag si fanno portavoce di chi sgomita tutti i giorni per uno stipendio da fame, di chi il lavoro non riesce a trovarlo, di chi non ottiene quello che si merita perché - tutto il mondo è paese - il solito raccomandato gli passa davanti, e di chi, soprattutto, teme di non avere più futuro. Arianna Ascione

PUNK/HC L’ALBA DI NUOVO “La nuova razza” (GB Sound/Crashsound)

★★★

Per il suo nuovo album il gruppo di Terni ha cercato di sistemare quelli che erano i difetti dei precedenti lavori, ovvero un cantato spesso poco incisivo e produzioni mai veramente capaci di catturare la vera anima del gruppo. Già, perché L’Alba Di Nuovo è una band che sa regalare il meglio di sé sul palco, durante i concerti, con gli amplificatori al massimo. “La nuova razza” ci propone un hardcore melodico di buona fattura e dagli evidenti richiami ai maestri a stelle e strisce, con parti vocale che segnano un notevole passo avanti alternando momenti melodici ad altri decisamente più screamo e canzoni che denotano una sicura crescita anche in sede di composizione. Tra tutte “La tua identità”, “E l’uomo creò Dio” (bellissimo l’attacco), “Il mattino” e “Radio”, piccoli spaccati di vita in una società che poco regala se non malessere esistenziale. Piero Ruffolo

PORNORIVISTE “Le funebri pompe” (Edel)

★★★

Cancer Bats

DEVIN

(Hassle/Self)

(No Evil/Audioglobe)

“Dead set on living”

★★★

Grande ritorno per i Canadesi Cancer Bats che a due anni dal precedente “Bears, mayors, scraps & bones” propongono “Dead set on living”, uscito in Europa per l'etichetta Hassle Records. Un disco che aggiunge ancora più grinta, aggressività e personalità alla loro musica, con il risultato di sonorità più mature rispetto al passato, sebbene in rispetto dello stile hardcore di sempre. Riff e ritmi esplosivi caratterizzano gli undici brani che, a partire dalla primissima R.A.T.S, rendono il disco vario ed energico. Complessivamente un lavoro soddisfacente, tra i cui brani spiccano “Old blood”, “Bastards!”, “Bricks & mortar”. Silvia Richichi

“Romancing”

★★★

Non inventa nulla il newyorchese Devin Therriault. Ma a quello che suona, un bel pasticcio d’influenze sopra un bollente impianto pop punk, dà una gran bella riverniciata di moderno. Diciamo che i due singoloni, “Masochist” e “You’re mine”, sono figli diretti della lezione degli Hives di “Veni, vidi, vicious”, in altri momenti è come se un crooner alla Sinatra si sparasse un po’ d’anfe e si mettesse a sbraitare al microfono, con coretti contagiosi, chitarre isteriche e testi incentrati quasi tutti sulle disgrazie dell’amore ma con un po’ di humor a stemperare la serietà dell’argomento. Il resto è sospeso tra echi di white blues e soul nei pezzi più rilassati, insomma, un onesto disco da party con un paio d’idee super azzeccate. Armando Autieri

Dopo cinque anni di silenzio e l’abbandono del suo chitarrista storico, ecco riapparire la punk rock band varesina, oggi al suo settimo album di inediti. Come ci spiega la stessa band sul proprio sito: “Le funebri pompe sono i sorrisi che ci si scambia fingendo che vada tutto bene quando tutti sanno che non va affatto bene. Le funebri pompe è quello che rimane di tutte le dottrine rivoluzionarie del secolo scorso quando si cerca di applicarle alla quotidianità”. Dopo una partenza in sordina con il brano “Eh si”, il disco sale di tono regalando episodi validissimi: “Candelina” ci parla d’amore, “Fumo negli occhi” è quello di cui i media ci cospargono ogni giorno, “Automatico” denuncia la società dei consumi. Ottime anche “1 2 3 Ciccio” e “Io sono così”, due autentiche botte di autostima ad uso dei punk rocker. Che dire? La band rimane fedele alla collaudata formula fatta di sound grintoso e semplicità melodica, mostrando un sempre maggiore impegno politico e sociale nei testi. Un buon e onesto lavoro. Ovviamente la dimensione live è quella che più gli si addice. Nico D’Aversa

SUMMERLIN

"You can't burn if you're not on fire" (Rude Records)

★★

Hanno inventato la macchina del tempo e non me ne sono accorto? Eppure ascoltando il debutto sulla lunga distanza dei Summerlin mi sono sentito catapultato nel 2002, ma senza particolari emozioni. Non sto dicendo che il pop punk è morto, ma questi quattro inglesi, con il loro "You can't burn if you're not on fire ", vanno a collocarsi nell'area “né carne né pesce” di quello che è un genere che si è parecchio evoluto e i cui massimi esponenti attuali si collocano su livelli di qualità ben più alti. Tematiche esageratamente leggere (davvero non c'era niente di meglio di titoli come “Growing up sucks”?), un timbro vocale decisamente non convincente e l'assoluta assenza di un ritornello che rimanga minimamente nella testa hanno contribuito alla mia non voglia di riascoltare il disco. Bocciati. Alex de Meo

PENNYWISE “All or nothing” (Epitaph/Self)

★★★★

Erano in molti a dare i Pennywise per bolliti dopo la dipartita dello storico singer Jim Lindberg e una decade, quella scorsa, in cui sono perlopiù finiti nel dimenticatoio di gran parte dei kids nonostante una manciata di dischi onestissimi.
E diciamocelo, quanti di voi hanno storto il naso alla notizia che il nuovo cantante sarebbe stato Zoli Tèglàs degli Ignite, pensando che la fine della band fosse molto vicina? Fletcher e soci, però, non la pensavano esattamente allo stesso modo. Per fugare qualsiasi dubbio fin da subito, la copertina di “All or nothing” sembra uscita direttamente dal 1991 e invero più che una copertina è una chiara ed inequivocabile dichiarazione d’intenti. Per farvela breve: prendete i riff e le cavalcate di batteria di “About time” o “Full circle”, aggiungeteci un cantante che non solo regge alla grande il confronto con il suo predecessore ma addirittura dimostra una versatilità che a quest’ultimo non è mai appartenuta, e condite il tutto con una leggera rinfrescata generale al sound che di sicuro farà la felicità di tutti i fan dei Rise Against. “Fight till you die” recitava uno dei loro anthem… e i Pennywise sono più vivi che mai. Stefano Russo

RockNow 59


LIVE

Alkaline Trio

Refused

Good Ridda nce Hot Water Music

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groezrock 2012

Meerhout (Belgio) - 28-29/04/2012

Come ogni anno, verso la fine del mese di aprile, la ridente (si fa per dire) cittadina di Meerhout, in Belgio, viene presa d’assalto dai punk rocker di tutto il mondo per un paio di giorni!!! Di Andrea “Canthc” Cantelli – Foto: Arianna Carotta

L

a prima giornata del Groezrock, quest’anno, è aperta dai veterani Chixdiggit! che intrattengono i presenti del primo mattino. Credo che non ci possa essere un sottofondo migliore per la propria colazione. Per quel che mi riguarda, i più attesi della giornata sono stati i Menzingers, che mai avevo visto dal vivo, e sul palco devo dire che confermano quanto di buono hanno fatto sentire sui loro dischi. Sicuramente una delle band rivelazione di questi ultimi anni. Il Groez è anche, spesso, il palcoscenico ideale per le reunion, e quest’anno una delle più attese è stata quella dei canadesi Belvedere che dopo sette anni tornano su un palco per la gioia degli skatepunkers di tutto il mondo. Per una band che torna ce n’è una da salutare… Infatti dopo oltre vent’anni di onorata carriera, fanno l’ultimo concerto, proprio qui, gli Olandesi Heideroosjes. Tra le band più amate della giornata sono sicuramente da citare i Lagwagon che rinfrescano le idee a tutti su come siano stati uno dei gruppi più influenti della scena punk californiana, fornendo una delle migliori esibizione di tutto il festival. Headliner della giornata sono i Rancid che finalmente tornano in Europa per celebrare il loro primi vent’anni insieme. La band di Tim Armstrong dal vivo è sempre grandiosa e fa letteralmente impazzire una platea di fan che si estende a perdita d’occhio. La seconda giornata è aperta dall’esibizione strepitosa dei Red City Radio che di prima mattina suonano davanti a duemila persone su uno dei palchi secondari. Il quartetto di Oklahoma City è da tenere d’occhio, negli Stati Uniti sono già una band di culto e vedo con piacere che la loro fama sta arrivando anche in Europa. Gli Hot Water Music presentano al festival il loro nuovo album “Exister” e fanno capire che per molti anni si sentirà ancora parlare di loro. Gli Alkaline Trio, invece, sono una delle delusioni della giornata. Per quanto questa band mi possa piacere su disco, dal vivo non è mai riuscita a trasmettere la propria energia. Pessima scaletta e atteggiamento supponente e fuori luogo. Altra reunion attesissima era sicuramente quella dei Good Riddance, un po’ ingrigiti dal tempo, ma ascoltare Russ e soci mi fa sempre ritornare alla memoria i miei primi “punk days”. A parer mio l’esibizione migliore di tutto il festival è quella di Dave Hause che in un’atmosfera surreale incanta il pubblico del palco acustico. L’ormai ex-leader dei Loved Ones è cresciuto tantissimo come cantautore e credo che i presenti difficilmente dimenticheranno questo concerto. I Refused sono gli headliner della seconda giornata e per l’occasione fanno il concerto più grande della loro carriera. Nonostante la loro reunion sia stata molto discussa, dimostrano di meritare il posto d’onore che gli è stato riservato da questo festival. Insomma anche quest’anno il Groezrock non ha affatto deluso, i miei complimenti vanno all’impeccabile organizzazione per aver regalato a me e agli altri presenti due giorni di punk rock indimenticabili.

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FLIGHT CASE Un disco, un tour, un disco, un tour… Questa è più o meno la routine per molti degli artisti che avete incontrato nelle pagine precedenti. Ed è proprio ai concerti che è dedicata questa rubrica, con tuttavia una piccola differenza: questa volta vi portiamo dietro il palco alla scoperta di piccoli rituali e abitudini varie. Con noi, questo mese, il gruppo italiano che passa ormai la maggior parte del suo tempo in giro per il mondo.

lacuna coil

Di Daniel C. Marcoccia - Foto di Katja Kuhl

Qual è stato finora il concerto più bello che avete fatto e perché? Andrea Ferro (voce): Sicuramente non si può considerare solo uno show, in 15 anni di carriera ce ne sono stati molti. Uno che ricordo particolarmente è stato quello sul main stage del Download Festival in Inghilterra davanti a 80.000 persone, forse proprio perché è stato lo show con più gente in assoluto.
 Il concerto peggiore? Andrea: Probabilmente uno a Belfast in Irlanda nel 2000, dove sono caduto e mi sono lussato una spalla. Ho continuato a cantare per 3 canzoni con la spalla fuori sede e finendo poi all'ospedale.
 Il posto più bello in cui avete suonato? Andrea: Probabilmente, a livello estetico, l'Australia. Se si intende invece una venue, direi l’Olympia di Parigi. Qual è il pubblico più strano che avete incontrato? Cristina Scabbia (voce): Quello giapponese, molto attento e silenzioso durante la canzone e poi esplosivo dopo l'esecuzione. Cosa non dimenticate mai di portare con voi in tour? Cristina: Il caffè italiano con moka elettrica.
 Come passate il vostro tempo tra una data e l’altra? Cristina: Se c'è la possibilità di visitare qualche posto particolare non ce lo facciamo mancare (almeno alcuni di noi). Altrimenti relax in hotel

con lavanderia, shopping mall, barbecue a casa di amici o cinema.
 Cosa non deve mai mancare nel vostro camerino? Avete richieste particolari? Andrea: Abbiamo un rider abbastanza completo tra mangiare e bere, sicuramente la birra e gli alcolici non mancano mai.
 Avete delle regole da rispettare sul tour bus? Andrea: Sì, sono regole base che chiunque faccia tour conosce bene. Niente solidi nel cesso, non fumare sul bus, non lasciare in giro troppa roba, non fare casino quando gli altri dormono. C’è una cover che vi piace suonare durante il soundcheck? Cristina: No, di solito proviamo perlopiù pezzi nostri.
 Avete un rito particolare prima di salire sul palco? Andrea: Ci raduniamo in cerchio e gridiamo una cosa tutti insieme, tipo squadra di football, per darci la carica.
 Qual è la figuraccia peggiore che avete fatto dal vivo? Andrea: Grosse figuracce non ne abbiamo mai fatte.

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