RockNow #18

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Mensile - Anno 2 - Aprile / Maggio 2014

#18

DESTRAGE BLACK STONE CHERRY

lacuna coil Black celebration

I KILLED THE PROM QUEEN THE USED CHUCK RAGAN ARCHITECTS PRONG

Memphis May Fire - Of Mice And Men - Minor Alps - The Pack A.D.


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Mensile - Anno 2 - Aprile / Maggio 2014

#18

LACUNA COIL BLACK STONE CHERRY

destrage

I KILLED THE PROM QUEEN THE USED CHUCK RAGAN ARCHITECTS PRONG

Ora si fa sul serio

Memphis May Fire - Of Mice And Men - Minor Alps - The Pack A.D.


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Mensile - Anno 2 - Aprile / Maggio 2014

#18

LACUNA COIL DESTRAGE I KILLED THE PROM QUEEN THE USED CHUCK RAGAN ARCHITECTS PRONG

Kentucky rocks

black stone cherry

Memphis May Fire - Of Mice And Men - Minor Alps - The Pack A.D.



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Per la prima volta in due anni di RockNow abbiamo due gruppi italiani in copertina. La cosa, ovviamente, mi riempie di gioia e non per motivi patriottici. Mi spiego meglio: i Lacuna Coil e i Destrage non sono in copertina perché sono italiani. No, affatto. Se sono lì, è solo perché sono bravi, hanno fatto degli ottimi dischi e hanno da sempre avuto un approccio diverso e “internazionale” alla musica. Non è sicuramente un caso se i loro album escono per due etichette come Century Media e Metal blade. In un Paese in cui molte delle band aspirano tutt’al più ad autocompiacersi e a sparare merda sul vicino, l’attitudine di Cristina, Paolo, Andrea e i loro compagni di avventura è esemplare. E lo sono pure i risultati. Se consideriamo che, sempre in questo Paese, frega poco della musica in generale e ancora meno delle riviste che ne parlano, allora quei due gruppi fanno bene a guardare soprattutto al di

fuori dai nostri confini. Tra l’altro, sempre parlando di stampa musicale, è divertente vedere che molti musicisti comprano riviste solo quando c’è una loro recensione o un’intervista, ma al tempo stesso sono i primi a “stressare” per far pubblicare una news relativa a un video (magari pure brutto), a un cambio di formazione (mentre sarebbe stato più utile cambiare lavoro, anzi hobby) o segnalare una nuova cover (di cui nessuno sentiva il bisogno). Poi, però, fai due copertine così e ti senti meglio, soddisfatto con te stesso e pensi che se tutto dovesse finire, almeno hai chiuso in bellezza. Buona lettura. Daniel C. Marcoccia @danc667

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ROCKNOW #18 - APRILE-MAGGIO 2014 - www.rocknow.it

06-21 PRIMO PIANO: Memphis May Fire Figure Of Six All in the name of… Rock Dischi violenti: Marco Trentacoste Minor Alps Grande Rivera The Pack A.D. Safe Of Mice And Menn Hi-Teck Games Crazy… net Open store

22-50 ARTICOLI: 22-26 Lacuna Coil

www.rocknow.it Registrazione al Tribunale di Milano n. 253 del 08/06/2012

Scrivi a: redazione@rocknow.it DIRETTORE Daniel C. Marcoccia dan@rocknow.it ART DIRECTOR Stefania Gabellini stefi@rocknow.it COORDINAMENTO REDAZIONALE ONLINE EDITOR Michele “Mike” Zonelli mike@rocknow.it

28-33 Destrage

34-37 Black Stone Cherry

COMITATO DI REDAZIONE Marco De Crescenzo Stefania Gabellini COMUNICAZIONE / PROMOZIONE Valentina Generali vale@rocknow.it

38-39 I Killed The Prom Queen

40-42 The Used

46-48 Architects

50-51 Prong

44-45 Chuck Ragan

COLLABORATORI Arianna Ascione Giorgio Basso Mattia Borella Andrea Cantelli Nico D’Aversa Sharon Debussy Giorgio Di Zenzo Michele Fenu Ilaria Ferri Luca Nobili Eros Pasi Andrea Rock Stefano Russo Piero Ruffolo Silvia Richichi Extreme Playlist fotografi Emanuela Giurano Foto copertina Destrage: Emanuela Giurano SPIRITUAL GUIDANCE Paul Gray Editore: Gabellini - Marcoccia Via Vanvitelli, 49 - 20129 Milano

52 53 54 56 57

52-57 RECENSIONI

Disco del mese: Destrage Nu rock Pop/Rock Metal Punk

58 59 The Line 60 Last shot: The Pretty Reckless

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Tutti i diritti di riproduzione degli articoli pubblicati sono riservati. Manoscritti e foto, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Il loro invio implica il consenso alla pubblicazione da parte dell'autore. È vietata la riproduzione anche parziale di testi, documenti e fotografie. La responsabilità dei testi e delle immagini pubblicate è imputabile ai soli autori. L'editore dichiara di aver ottenuto l'autorizzazione alla pubblicazione dei dati riportati nella rivista.



PRIMO PIANO

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MEMPHIS MAY FIRE stato di panico

A due anni da “Challenger”, i Memphis May Fire tornano con “Unconditional”, ennesima testimonianza dell’importanza della band nel panorama metalcore e non solo Di Piero Ruffolo Pubblicato a fine marzo negli Stati Uniti, “Unconditional” ha debuttato alla posizione #4 della classifica Billboard 200 e alla posizione #1 della classifica Billboard Alternative Album. Un risultato di tutto rispetto considerando il genere protagonista, ma da quelle parti il mercato è tutta un’altra cosa... Fatto sta che, numeri a parte, la band capitanata da Matty Mullins è riuscita a superare nuovamente se stessa e a pubblicare quello che può essere considerato l’album più impegnato della personale carriera. “‘Unconditional’ è un disco teatrale, maturo e, anche se non

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dovrei essere io a dirlo, incredibile”, con queste parole Mullins descrive l’opera. “Sono molto orgoglioso dei nuovi brani. La loro connotazione non è casuale, abbiamo sviluppato l’intero lavoro con l’intento di ricreare le sensazioni proprie di una colonna sonora e quanto ottenuto rispecchia quanto desiderato”. Negli ultimi anni, siamo stati testimoni di un incessante succedersi di realtà pronte a cavalcare l’onda senza mai riuscire a emergere. A causa di molte di queste proposte il metalcore è stato additato e tacciato, a volte senza reale cognizione di causa ma solo perché così doveva essere. Fa dunque piacere avere a fare con quelle

band che il genere l’hanno creato, nutrito e coccolato nonostante tutto e tutti. “I nostri fan più giovani ameranno questo disco”, continua Mullins, “quelli meno giovani, quelli che ci seguono fin dall’inizio, apprezzeranno il cammino percorso insieme e, speriamo, saranno felici di constatare quanto lontano siamo andati come artisti. Ovviamente anche loro ameranno ‘Unconditional’! L’intero album riflette tutto quanto è successo nelle nostre vite durante questi anni. Ho attraversato momenti difficili e l’unico modo per superarli e stato liberare la mia mente dai pensieri negativi e tradurre ogni cosa in musica. Non avevo

scelta, se volevo andare avanti dovevo parlare di quanto mi stava succedendo. Un anno fa sono stato colpito dal mio primo attacco di panico, non dimenticherò mai quel momento. Quell’episodio ha cambiato la mia vita. Osservavo le persone a me vicine compiere le più semplici azioni della vita quotidiana senza riuscire a fare lo stesso... Ho sempre sentito parlare di depressione, attacchi di panico, paura di uscire... ne ho sempre sentito parlare ma non avevo mai realmente compreso, fino a che non ho provato tutto questo. Ora sono pronto a ricominciare e a condividere con voi la mia storia”. www.facebook.com/MemphisMayFire



PRIMO PIANO

FIGURE OF SIX

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Oltre il tunnel

I Figure Of Six sono un altro indizio di una tendenza che non può che far piacere: l’Italia del metal si sta finalmente svegliando! Di Luca Nobili “Brand new life”, terza opera per i Figure Of Six, è stato registrato tre anni fa, ma solo ora viene pubblicato dappertutto in versione digitale grazie alla Pirames Inernational. Matteo Troiano, chitarrista e fondatore della band insieme a Peter Cadonici, ci racconta che “in questo lasso di tempo sono successe tante cose. Tanti live, soprattutto all'estero, un affiatamento maggiore fra i componenti nuovi e vecchi della band, una maturazione artistica che ci sta portando a scrivere musica sempre migliore e tante altre cose... Alcune purtroppo anche negative, come il rapporto andato male con la label tedesca

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Tiefdruck Musik, che ci ha portato a perdere tempo e tante energie. Il rapporto era iniziato coi migliori propositi ma si è esaurito in malo modo a causa di comportamenti ‘poco trasparenti’ da parte del boss di allora. Purtroppo questo è lo scenario attuale: fregature a livelli medio bassi oppure autoproduzione totale. Noi abbiamo scelto la prima via con l'aiuto di un'azienda proiettata nel futuro della discografia come Pirames International, coadiuvata dall'opera di intermediazione da parte di Heartlines Music, etichetta indipendente del nostro cantante Erk Scutti. E per ora tutto sta andando alla grande!”. L’ultimo periodo è stato anche caratterizzato da due importanti cambi

di line-up, che hanno inevitabilmente posto la band di fronte a un’ulteriore sfida. “Senza scendere nei particolari, oramai con la vecchia formazione eravamo a un punto morto. Non si andava avanti, ma al limite si poteva andare indietro. Erk (il nuovo singer, nda), in un paio di mesi è riuscito a prendere in mano l'album che avevamo registrato e interpretarlo in maniera efficace, con le idee che avevamo in mente e che il vecchio cantante non riusciva a capire. Stiamo anche scrivendo nuova musica, ci stiamo rimettendo in gioco per la quarta volta e tutto sembra andare benone. È dura cambiare modo di suonare, visione della musica a ogni album ma noi lo abbiamo sempre fatto e lo

stiamo facendo tutt'ora”. “Brand new life” racchiude un sound che coniuga potenza metal, melodia ed elettronica senza sbavature o forzature. Anche i testi rivestono la giusta importanza, con uno filo conduttore: “la tematica di ‘Brand new life’ è quella della rinascita, e guardando la copertina si intuisce subito di cosa stiamo parlando. Una fenice gigante a simboleggiare la voglia di ricominciare, ma soprattutto di affrontare i problemi quotidiani, o della vita in generale, a testa alta. Con la speranza di trovare uno spiraglio, quel classico lumicino in fondo al tunnel di cui tutti noi abbiamo bisogno per andare avanti”. www.figureofsixband.com


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www.queenextravaganza.com

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GIO 22/05/2014 > PADOVA - GRAN TEATRO GEOX

CONCERTO IN COLLABORAZIONE CON DNA CONCERTI

LUN 19/05/2014 > ROMA - CROSSROADS LIVE CLUB MAR 20/05/2014 > UDINE - TEATRO GIOVANNI DA UDINE MER 21/05/2014 > MEZZAGOI (MB) - BLOOM

www.thewonder.co.uk

MAR 03/06/2014 > MILANO - ALCATRAZ

SAB 21/06/2014 > ROMA - ROCK IN ROMA

www.imotorhead.com

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MAR 24/06/2014 > MILANO - IPPODROMO CITY SOUND

GIO 26/06/2014 > FIRENZE - TEATRO COMUNALE

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GIO 03/07/2014 > REZZATO (BS) - CASCINA SAN GIACOMO VEN 04/07/2014 > GRADO (GO) - DIGA NAZARIO SAURO

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LACUNA COIL `

Il Settim

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Settimo album per la heavy band italiana più amata all’estero, “Broken crown halo” è un altro tassello del percorso senza falle dei Lacuna Coil. E come sempre, è stato un piacere parlare con i due cantanti della formazione milanese, Andrea Ferro e Cristina Scabbia Di Daniel C. Marcoccia Foto Steve Prue

Broken crown halo”, il vostro ultimo disco, è stato registrato a Milano. Come mai questa scelta di lavorare a casa? Cristina Scabbia (voce): È stata un po’ forzata perché l’intenzione iniziale era di andare a registrare a Los Angeles, agli NRG Recording Studios di proprietà del produttore del disco Jay Baumgardner. Avevamo già registrato lì “Shallow life”, tra l’altro. Poi, a causa di alcuni problemi familiari e delle necessità di alcuni di noi, siamo rimasti a Milano e alla fine è venuto fuori qualcosa di diverso proprio per questo motivo. Il fatto di registrare in uno studio tra virgolette “vintage” come le Officine Meccaniche ci ha dato la possibilità di sperimentare con delle attrezzature e dell’equipaggiamento storico. Andrea Ferro (voce): Abbiamo usato anche dei vecchi ampli modificati, soprattutto per le melodie. È venuto fuori un suono un po’ diverso, paradossalmente un suono nuovo con strumenti vintage. “Broken crown halo” sembra un disco più heavy rispetto al

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precedente. Siete d’accordo? C.S.: Sì, anche più cupo rispetto a “Dark adrenaline”. A.F.: La produzione ha fatto un po’ di più la differenza sul suono che non sull’arrangiamento. Le strutture delle canzoni sono infatti quasi identiche a quelle dei demo. Kyle Hoffmann, l’assistente di Jay, un ragazzo giovanissimo che suona tutti gli strumenti, ci ha veramente spinti a osare di più sia a livello di suoni sia a livello di performance vocale. Da “Karmacode” in avanti mi sembra che il suono, bello pieno e potente, sia diventato una caratteristica fondamentale dei dischi dei Lacuna Coil. Sbaglio? A.F.: Abbiamo ormai un nostro stile, che riconosci nelle canzoni. Sai che sono i Lacuna Coil perché di certo non ci siamo messi a fare rap o reggae, però c’è un suono fresco ed è importante quando arrivi al settimo disco.


mo Sigillo

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DESTRAGE ` Un contratto con una storica etichetta e un nuovo disco semplicemente perfetto sono il biglietto da visita della band Milanese per conquistare un pubblico sempre maggiore. In Italia e soprattutto all’estero. Mica stiamo scherzando!

Di Sharon Debussy & Daniel C. Marcoccia Foto Emanuela Giurano

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Scherzi a part 28 RockNow


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BLACK STONE CHERRY ` Il gruppo del Kentucky torna con “Magic mountain”, un nuovo e infuocato album i cui brani racchiudono l’energia, la forza e la passione caratterizzanti la loro musica dal vivo. Quarto lavoro di un percorso senza sbavature e capace di conquistare un pubblico sempre maggiore Di Silvia Richichi

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A

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d of magic

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on “Magic mountain” siete arrivati al traguardo del quarto studio album. Qual è la cosa che ti entusiasma di più a riguardo? Ben Wells (chitarra): Sono davvero molto entusiasta di poter finalmente suonare i nuovi brani dal vivo e non vedo l’ora che anche i nostri fan possano ascoltare il disco. Siamo davvero fieri del risultato e sono sicuro che anche loro lo ameranno. Cosa pensi distingua questo nuovo album dai vostri precedenti lavori? B.W.: Penso che sia la prima volta che siamo stati capaci di fare un album che sia davvero “Black Stone Cherry” e con ciò intendo che questo disco è forse quello che si avvicina di più al nostro sound dal vivo, senza che sia un album registrato dal vivo. Si tratta di un lavoro molto energico, molto rock, divertente ed emozionante, per il quale non abbiamo scritto canzoni indirizzate a un qualche format in particolare, come le radio per esempio, abbiamo semplicemente scritto canzoni dirette ai nostri fan. Secondo te, dove nel disco si sente maggiormente la vicinanza con la vostra musica dal vivo? B.W.: In ogni suo aspetto: dalla batteria alle chitarre, alla linea di basso. Abbiamo davvero avuto la possibilità di essere noi stessi, di comporre assoli e parti strumentali davvero cool. A volte, quando vai in studio, ti siedi con il produttore e ti viene detto di non fare determinate cose perché a lui non piacciono. Questa volta non è stato così, abbiamo lavorato con un produttore che in realtà ha portato alla luce il meglio di noi, è stato davvero incredibile. Per ricreare un sound simile alle vostre performance dal vivo, avete registrato tutti gli strumenti insieme? B.W.: Sì, abbiamo registrato le canzoni tutti insieme, abbiamo poi tenuto le parti di batteria e siamo tornati a suonare nuovamente le parti di chitarra e basso. Il suono riflette la nostra musica dal vivo perché in primo luogo abbiamo registrato tutti insieme, non separatamente. Quest’album è molto spontaneo, è grandioso! Nel disco vi sono molti assoli e parti strumentali. Come lavorate quando volete creare un assolo da inserire all’interno di un brano? B.W.: Beh, le parti strumentali sono frutto del processo di scrittura. In genere, quando ci piace un riff, prendiamo dei campioni. Cerchiamo di non pensare troppo alle nostre canzoni perché vogliamo che risultino naturali e, quando si tratta di quelle parti dove ci sono gli assoli, cerchiamo soltanto di trovare un riff che ci piace e proviamo a inserire l’assolo e vedere se nel complesso il risultato funziona. Se hai un riff giusto e inserisci un assolo, il tutto deve avere un senso: l’assolo deve essere in armonia con il resto della canzone, se c’è qualcosa che stona, allora torniamo a lavorarci. Non vogliamo fermarci ad avere come risultato solo qualcosa di “abbastanza buono”, continuiamo a lavorare fino a quando abbiamo il riff perfetto per l'assolo. Come definiresti le canzoni che compongono il disco? B.W.: Direi che ci sono diversi tipi di canzoni, alcune parlano delle fasi della band, di noi quattro, di cosa abbiamo attraversato e del fatto che ne siamo usciti positivamente. Ci sono poi “party songs”, canzoni divertenti e altre più emozionali. Principalmente, abbiamo solo cercato di scrivere testi con cui le persone potessero relazionarsi e basati su esperienze personali che abbiamo vissuto in prima persona, sia come individui che come band. Per “Magic mountain” avete lavorato con Joe Barresi. Come ha influito la sua personalità sul vostro lavoro e quali differenze avete trovato rispetto ai produttori con cui avete avuto a che fare in passato? B.W.: Joe è stato fantastico, ha davvero fatto uscire il meglio di noi, ci ha stimolati e messi alla prova. È stato il miglior produttore con cui abbiamo lavorato, è semplicemente incredibile. Penso che la differenza maggiore sia stata proprio la sua mentalità, voleva creare un album grandioso, dall'inizio alla fine. Alcuni produttori vogliono solo creare singoli di successo, canzoni radiofoniche e poi non si preoccupano molto del resto dell'album. Joe non è stato un produttore di questo tipo, voleva che creassimo canzoni fantastiche, che il disco avesse un sound figo, è una persona molto più organica e ciò è stato molto meglio. Ha portato alla luce un sacco di cose positive e il risultato sono solo le parti migliori, gli assoli per esempio. Diciamo che durante la registrazione è diventato come un quinto componente della band.

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THE ` USED “Imaginary enemy”, il loro sesto album, lascia emergere il forte interesse della band per problematiche politiche e sociali. Il bassista Jeph Howard ci dà qualche delucidazione in più a riguardo...

Il nemico a

Di Silvia Richichi

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Q

uanto tempo avete lavorato alla realizzazione del vostro nuovo album “Imaginary enemy”, sia per quanto riguarda la scrittura che il processo di registrazione? Jeph Howard (basso): Abbiamo composto all'incirca 27 bozze di canzoni nell'arco di due mesi ma abbiamo poi deciso di scartare quanto avevamo fatto precedentemente e di ricominciare a lavorare da capo al disco quando siamo entrati in studio, riscrivendolo più o meno nel giro di un mese. Chi è il "nemico immaginario" del disco? J.H.: L'illusione, chiunque sia contro il vivere con integrità, le corporazioni dannose che hanno davvero il controllo sul mondo, le banche, i soldi, la guerra, l'avidità, le religioni. Non bisogna essere seguaci ma avere passione... I vostri album hanno sempre avuto una buona combinazione di canzoni potenti, alcune più lente e altre un po' più sperimentali”. Ascoltando il nuovo disco, sembra che, ad eccezione di qualche brano, avete dato maggior spazio a ritmi orecchiabili. Quali scelte

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alle porte

musicali avete fatto per questo album e perché avete scelto “Cry” come primo singolo? J.H.: Siamo una rock band. Questo album inizia con le linee di chitarra di Quinn e il cantato di Bert. Non abbiamo pensato troppo ai ritmi, io e Dan ci siamo lasciati andare e fatti trasportare dalla corrente. Ogni nostro album è caratterizzato da diverse emozioni e sensazioni. Per questo disco non abbiamo usato una formula precisa, lo abbiamo messo insieme nel modo che ci sembrava fosse il più naturale. Abbiamo scelto “Cry” perché è la prima cosa che si fa quando si esce dal grembo materno. “Imaginary enemy” è chiaramente focalizzato su questioni politiche e sociali che stanno avendo un grande impatto sul mondo. Quando stavate lavorando al disco, c'è stato qualche evento contemporaneo in particolare che vi ha ispirato a scrivere? J.H.: Tutto ciò che toglie il diritto di vivere con libertà. Secondo te, qual è il nemico più grande che sia stato inventato nella nostra società negli ultimi secoli e quale influenza pensi abbiano avuto i media e Internet nella creazione di nemici immaginari?

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ARCHITECTS ` Pochi gruppi sanno rivoluzionare il proprio stile, disco dopo disco, centrando sempre l’obiettivo. La band di Brighton è sicuramente tra queste, sempre alla ricerca di quella perfezione, a detta loro, ancora lontana.. Abbiamo incontrato il chitarrista Tom Searle Di Eros Pasi - Foto Ion Weiner

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una questione di alchimia L

a prima volta che arrivaste a suonare dal vivo in Italia, era di spalla ai Bring Me The Horizon. Da allora la vostra crescita è stata semplicemente mostruosa. Ci pensate mai a tutto ciò? Tom Searle (chitarra): Ricordo benissimo quel tour, ricevemmo minacce di morte e migliaia di insulti in Rete per via di un video che vedeva il nostro cantante picchiare Oli (Sykes, cantante dei Bring Me The Horizon, in una situazione creata ovviamente a tavolino tra le band e non certo reale - nda)! Sai, sinceramente non siamo persone che amano fermarsi a riflettere su ciò che è stato, o meglio, abbiamo ancora troppe cose da fare e vivere. Di sicuro c’è una cosa, ossia che siamo una band molto unita e che ha saputo andare oltre in momenti dove molti altri avrebbero perso la testa. Questa è la nostra forza.

Di sicuro il matrimonio con Century Media non ha dato i frutti sperati… T.S.: È stata una situazione capitata in un momento assai delicato. Iniziavamo a essere conosciuti e stimati, suonavamo moltissimo in giro per il mondo e le grosse etichette cominciavano a informarsi su di noi. C’era grande euforia e il deal con Century Media ci ha permesso di confrontarci con un livello di music business che fino a quel momento non sapevamo manco cosa fosse. Dal canto nostro non possiamo dire nulla di negativo nei confronti della nostra ex etichetta, si sono sempre

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comportati in maniera molto professionale spingendoci il più possibile. Probabilmente, i problemi li avranno avuti loro non arrivando ai dati di vendita che avevano pronosticato… Di sicuro non siete caduti in basso firmando poi per Epitaph? T.S.: Assolutamente! Siamo da sempre grandi estimatori di questa etichetta che ha saputo cambiare il volto del proprio roster con il passare degli anni e dei vari trend. In poche hanno avuto il coraggio di mettersi in gioco e sono proprio quelle che attualmente dominano il mercato. In fatto di cambiamenti credo nessuno sia più abile di voi? T.S.: Come ti dicevo prima, non amiamo fermarci. Siamo in tour ma i nostri laptop sono già carichi di nuovi riff in vista di futuri progetti. Ci confrontiamo quotidianamente su ogni aspetto legato alla nostra musica, vogliamo crescere, abbiamo fame artistica. Ora non vedeteci come dei nerd, abbiamo tutti delle vite normali ma una volta assieme si crea quell’alchimia che nemmeno io so descrivere. È fantastico. Mi incuriosisce sapere che rapporto avete con la religione. Il vostro merch, così come alcuni testi, mostrano una certa riluttanza verso questo tema o sbaglio?

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recen

Foto Emanuela Giurano

DISCO DEL MESE

DESTRAGE

“Are you kidding me? No.” (Metal Blade)

★★★★

Se vi piacciono le etichette, avrete sicuramente qualche problema a inquadrare questo album. Parole d’ordine: dualità, contaminazione, ricerca stilistica, evoluzione. Breve excursus. Nati ufficialmente nel 2007 con l’attuale line-up e partiti nel 2009 con “Human being”, archiviato l’ottimo “The king is fat’n'old” nel 2010, la band arriva a questa terza prova in studio con la responsabilità di dare adeguato seguito a track memorabili come “Neverending Mary”, “Tip of the day” e “Jade’s place”, che non solo gli fruttano la partecipazione a palchi prestigiosi come l’Heineken Jammin’ Festival accanto a band come Red Hot Chili Peppers, ma contribuiscono anche a creare un crescente seguito nella già densa attività live della band. Il 2013 è

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l’anno in cui decidono di giocarsi il tutto per tutto e mettono a fuoco le rispettive capacità tecniche e compositive per sfornare la prova definitiva. Lavoro, prove, idee, aggiustamenti, demo… in molti se li contendono ma è la Metal Blade, label da sempre attenta ai talenti del metal internazionale, a mettere sul piatto la puntata vincente. E i Destrage, meritatamente, conquistano il posto che ora come non mai hanno tutto il diritto di avere. Sotto l’egida dell’etichetta di Brian Slagel, a marzo 2014 vede quindi la luce “Are you kidding me? No.”. Diciamolo subito, non è un disco per deboli di cuore. L’inesauribile capacità compositiva della band ci regala a questo giro una serie di contaminazioni disparate tra

metalcore, thrash, progressive, rock’n’roll. Dualità e contaminazione. Al di là delle singole track, nella più ampia visione dell’album emerge la volontà di proseguire nel percorso di approfondimento e perfezionamento di tutte le influenze e delle capacità tecniche di ciascuno dei membri della band, che raggiungono vette davvero impressionanti. Ricerca stilistica. Nel contempo, l’unione dei cinque talenti ci regala un sound compatto, riconoscibile, sospinto da una serie di riff incazzati e partiture schizzate, ancora più evidenti che nei precedenti lavori. Evoluzione. La verità è che “Are you kidding me? No.” è un disco di caratura davvero elevata, che non ha nulla da invidiare ai cugini americani e molto da insegnare alla gran parte delle band pseudo metal in circolazione. Non solo per la profondità e la complessità di scrittura, ma anche per la compattezza e la fruibilità del sound che riesce a coinvolgere per tutti i 45 minuti. Basta approcciare la traccia “Destroy create transform sublimate” per rendersi conto della complessità, della tecnica e della

cifra stilistica dell’album, oppure “Purania”, un brano che dà libero sfogo alla voglia di sperimentazione del gruppo, con digressioni che sconfinano nel jazz/swing. E che dire di “My green neighbour”, prima single track dell’album? Un treno in corsa, un viaggio schizzato dall’inizio alla fine. La title-track? Un’esplosione di chitarre infuocate che danno tregua solo per il tempo necessario ad assestare il colpo finale. I Destrage andranno lontano e noi li guarderemo, già nostalgici, andare via, dove meritano di stare. Sharon Debussy


nsioni BLOODY MARY

“Anno zero”

(Valery Records/Frontiers/Audioglobe)

★★★

I Bloody Mary sono un altro esempio di rock/metal band italiana che deve guardare al mercato estero per sfondare. Attivi fin dal 2000, questo “Anno zero” è il loro terzo full-length, che succede all’ottimo “Party music for graveyards”, datato 2010 e dal buon riscontro oltre confine. Specialmente in Germania, terra in cui chi suona goth rock al confine con il metal trova terreno più fertile che altrove. Non posso che confermare quanto già molta stampa specializzata scrisse di “Party music…”, i Bloody Mary continuano a essere un gran bel gruppo con un ottimo senso della melodia e un songwriting raffinato e stiloso che oggigiorno non è caratteristica così comune. Praticamente tutti i pezzi del disco si memorizzano all’istante e non è senza ammirazione (sia chiaro!) che ho trovato “Anno zero” come uno dei dischi italiani più “furbi” degli ultimi mesi. Luca Nobili

PRONG

“Ruining lives” (SPV/Audioglobe)

★★★★

Autori di almeno tre album che definire seminali è un eufemismo (ogni metal-head degno di questo nome dovrebbe possedere come minimo sindacale “Beg to differ” e “Cleansing"), i Prong del 2014 non sono più (ahimé) al centro della scena come vent’anni fa, ma il trio capitanato da Tommy Victor è ancora in grado di scrivere e registrare un bel disco, e queste undici nuove tracce sono qui per dimostrarlo anche ai più scettici e smemorati. “Ruining lives” è un album piacevole e praticamente inattaccabile, un set di canzoni che sanno unire metal, sperimentazione (oggi la si chiama “math”…), hardcore newyorkese e melodie sempre accessibili ma mai banali. Insomma, la formula vincente su cui i Prong hanno costruito una carriera ventennale! E che ha portato nomi quali Nine Inch Nails, White Zombie e Pantera a citare Tommy Victor e soci come influenza fondamentale del loro sound. Scusate se è poco… Luca Nobili

THE USED

“Imaginary enemy” (Hopeless Records)

★★★

I The Used arrivano al sesto album in studio con “Imaginary enemy”, un lavoro che parte a piena potenza con “Revolution”, brano dove chitarre incalzanti e ritmi serrati si sposano con voce aggressiva, che in alcuni tratti si lascia andare all’urlato. Il disco, che ha i suoi momenti di maggior vigore in brani come “A song to stifle imperial progression (a work in progress)”, “Immaginary enemy” o “Cry”, non prosegue però sulle stesse corde e lo si può capire a partire da “Make believe”, dove vengono prese direzioni decisamente più melodiche, se non persino “poppeggianti”, con ritmi che in un modo o nell’altro finiscono per imprimersi nella testa (come nel caso di “Evolution”, “Force without violence” o “Overdose”). Non si sono fatti mancare neppure anthem da sing-a-long assicurato: ascoltando “Generation throwaway” o “El-oh-vee-ee” viene infatti voglia di intonarne i cori. Un album che si fa ascoltare con piacere

nu rock dall’inizio alla fine, anche se in fin dei conti sono solo pochi i brani che davvero risaltano. Silvia Richichi

MEMPHIS MAY FIRE “Unconditional”

(Rise Records/Warner)

★★★

Quarto album per i Memphis May Fire, “Unconditional” testimonia l’ennesimo passo avanti nella carriera di una delle band simbolo del movimento metalcore. Una prova matura, completa e fedele a tutto quanto fatto in passato. Spesso in bilico tra metalcore e post-hardcore, il disco ben incarna il genere di riferimento e basterà un rapido ascolto di “No ordinary love”, “Sleepless nights” e “The rose” per conquistarvi. Breackdown, melodia, metal, cori... non manca nulla. A fronte del talento espresso, avrebbero forse potuto spingere più sull’accelleratore e sperimentare nuove soluzioni, ma una volta giunti alla fine non resta che approvare le scelte fatte da Mullins e compagni e riascoltare con piacere quanto offerto. Piero Ruffolo

FIGURE OF SIX

Foto Jon Weiner

“Brand new life”

(Heartlines Music/Pirames International)

★★★★

“Brand new life” è il terzo album dei Figure Of Six, ma non è “nuovo” nel senso stretto del termine. Una prima versione del lavoro era infatti uscita in alcuni paesi europei già nel 2012, ma solo ora i ragazzi sono riusciti a siglare un deal per un lancio globale sulle varie plattaforme digitali. Che dire, sarebbe stato un peccato se “Brand new life” non fosse risorto in rimasterizzata veste, visto e considerato che i Figure Of Six sono una delle più interessanti band italiane di metal moderno! Capaci di coniugare orecchiabilità, radici hardcore punk, chitarrone metal e quel po’ di elettronica che non guasta, ai nostri eroi manca davvero poco per poter guadagnare pubblico e visibilità. La title-track e “My perfect day” sono due ottimi singoli, cercateli su YouTube e avrete la prova che questa è una band da tenere d’occhio. E che RockNow ci ha preso anche questa volta! Luca Nobil

ARCHITECTS

“Lost forever // Lost togheter” (Epitaph/Self)

★★★★

Che gli Architects siano una band fuori dalla norma e capace di sorprendere disco dopo disco è cosa ormai risaputa. “Lost forever // Lost togheter” è il tipico album che emana entusiasmo, che suona quasi come una rivincita verso chi dava il combo di Brighton prossimo alla fine. Di sassolini da togliersi dalle scarpe, Sam Carter e soci ne avevano parecchi, da un matrimonio discografico andato a rotoli a una schiera di vecchi fan che li additava ormai come commerciali, imput che hanno sicuramente influito positivamente nella stesura di questa nuova produzione. Stiamo parlando di una sorta di ritorno agli albori, condita da una maturità ormai raggiunta, un mix tra “Ruin”, “Hollow crown” e il lato più prog e malinconico di “Daybreaker”. Sempre molto interessanti i temi trattati nei testi, che evidenziano la volontà dei nostri di non fermarsi alle apparenze, approfondendo discorsi a tema sociale già toccati nei precedenti lavori. Un applauso infine a Epitaph che, dopo essere stata per anni un punto di riferimento per la scena punk-rock mondiale, può vantare oggi un roster interessantissimo anche in chiave alternative metal, con nomi di punta come Parkway Drive, Bring Me The Horizon e, appunto, Architects. Eros Pasi

RockNow 53


ROCK/POP BAND OF SKULLS

GAMBARDELLAS

(Electric Blues/Self)

(Big Wave Records)

“Himalayan”

★★★★

“Ashes”

Ne hanno fatta di strada I Band Of Skulls dai tempi dell’uscita del loro debut album nel 2009. “Himalayan” è un disco arioso, potente e incredibilmente descrittivo. Un lavoro curato nei minimi particolari che riporta in auge in pompa magna quelle distorsioni “al Vox” che in questo 2014 stanno dando serio filo da torcere ai “multieffects” di tante band ben più blasonate. I Band Of Skulls affidano l’apertura ad “Asleep at the wheel”, un hard blues che sembra non avere data di scadenza, avrebbe potuto essere tranquillamente registrato nel 1971 nello studio adiacente a quello degli Zepp. Si prosegue con la title-track del disco, “Himalayan”, naturale proseguimento stilistico della precedente, avvalendosi addirittura di “certi” stop and go. Credo di avervi incuriosito abbastanza, il resto del disco godetevelo voi, garantisco io (non dimenticate queste due parole: “blues on”). Segnalo la splendida quinta traccia “Nightmares”, un vero e proprio viaggio stilistico e mentale. Mattia Borella

★★★★

recen

A un anno dal debutto con il riuscito album “Sloppy sounds”, i Gambardellas fanno il loro ritorno con un EP composto da quattro brani decisamente riusciti. Queste canzoni hanno un taglio più scarno, senza troppi fronzoli, e proprio per questo risultano particolarmente accattivanti. La title-track si apre con un organo, prima di lasciare spazio a un bel riffone di chitarra e a un ritornello da canticchiare dopo mezzo ascolto. “One in a million” è un gran pezzo rock, diretto ed efficace. Glenda e Grethel Frassi (rispettivamente chitarrista e tastierista) sono diventate due elementi fondamentali della band guidata da Mauro Gambardella (batteria e voce), anche per via del loro prezioso contributo ai cori. Stesso discorso per “Devils”, un rock ballabile grazie al suo groove funky e alle sue atmosfere seventies. In chiusura, una riuscita cover di “I got mine” dei Black Keys. Se questo EP anticipa il prossimo album dei Gambardellas, non possiamo che esserne felici. Daniel C. Marcoccia

MANAGEMENT DEL DOLORE POST-OPERATORIO “McMao”

(Color Sound Indie/MArteLabel/Universal)

★★★★

Terza prova per la scoppiettante band di Lanciano, che conferma alla grande quanto di buono mostrato finora. Almeno a mio avviso. Pare infatti che alcuni critici, senza addentrarsi troppo nel merito, non abbiano ancora digerito la provocatoria performance sul palco del Primo Maggio dello scorso anno. Come al solito preferiamo che sia la musica a parlare. Il rock funk dei MaDe DoPo è davvero adrenalinico e ispirato, i testi di Luca Romagnoli mostrano sempre un’elevata qualità di scrittura e affrontano con lucidità e genio temi importanti senza perdersi in sofismi come spesso succede nella “scena indie” contemporanea. In primo piano le infuocate “La scuola cimiteriale”, “Coccodè”, “Oggi chi sono”, “La pasticca blu”, “Il cinematografo”. Ma anche i pezzi più ovattati, molti di più rispetto ad “Auff!!”, danno prova di reale talento e maturità.

BLACK STONE CHERRY “Magic mountain”

(Roadrunner Records/Warner)

★★★★

Che i Black Stone Cherry fossero degli ottimi musicisti lo si sapeva già e il loro quarto album in studio, “Magic mountain” lo ha ancora una volta confermato. Un disco di qualità che da cima a fondo riesce a racchiudere ed esprimere la grinta e la passione che caratterizzano la loro musica dal vivo. Prodotto da Joe Barresi, il disco lascia largo spazio a parti strumentali e graffianti assoli, come in “Peace pipe” o “Blow my mind”. Un riuscitissimo mix di brani pesanti (per esempio “Holding on... to letting go”, “Fiesta del fuego” o “Never surrender”), canzoni orecchiabili e accattivanti (in primis il singolo “Me and Mary Jane” e “Hollywood in Kentucky”) e persino ballate scalda cuore come “Sometimes”. Questi ragazzi del Kentucky, il rock puro lo hanno nel sangue e “Magic mountain” ne è una prova vincente. Silvia Richichi

54 RockNow

Tanta franchezza, oggi, può essere sconveniente. Ma è il rock, bellezza. Nico D’Aversa

FONOKIT

“Fango e bugie” (La Rivolta Records/Self)

★★★

Secondo album per la band salentina, a quattro anni dall’ottimo “Amore o purgatorio”. Il frontman Marco Ancona, dopo la lunga e proficua simbiosi con il grande Amerigo Verardi, si concentra sul suo progetto principale portando alla luce un concept dedicato alla menzogna in tutte le sue sfaccettature: dal sistema politico che occulta le verità per addolcire le masse, alle bugie nei rapporti interpersonali con la spirale degli sbagli che ne conseguono, fino alle autoillusioni che sanno tanto di solitudine. “Fango e bugie” suona meno sperimentale e molto più sporco e ruvido rispetto al disco precedente, avvicinandosi maggiormente alla dimensione live. Tra i pezzi più interessanti, oltre alla title-track, troviamo “Camden Town ormai ci illude”, “Sotto la luna” ed “È una sfida”, con lo stupefacente featuring di Caparezza. Nico D’Aversa

ROSÀRIO “Vyscera”

(In The Bottle Records/Audioglobe)

★★★★

Si presentano davvero bene i padovani Rosàrio, nulla da dire. Copertina di gran impatto, cd racchiuso in una originale confezione in metallo, sette belle canzoni… come EP di debutto per una band insieme da un anno è impossibile eccepire alcunché.“Vyscera” è… sì, è un disco viscerale esattamente come lo psichedelico titolo lascia intendere. È rock sporco di polvere come quello di Kyuss e Fu Manchu, è irruento e incontrollato come solo una registrazione in presa diretta può essere, è ruvido grezzo e maleducato come lo era il rock&roll nei favolosi seventies. E le chitarre urlano disperate, una delizia per le orecchie di chi ama lo stoner suonato con palle e cuore. Ecco, ci sono, “Vyscera” è un vero disco di altri tempi. Com’è giusto che sia, che ognuno scelga se questa è assoluta eccellenza o stantia noia retrò: il mio voto è per la prima. Luca Nobili


nsioni THE ELEMENTS “Mister Orange” (Autoproduzione)

★★★

Tanta energia in questo primo lavoro dei bravi The Elements. La loro musica si segnala infatti per le grosse chitarre che vanno a caratterizzare le canzoni del disco. La title-track, l’ottima “Americana”, “The king”, “Pathetic” o ancora la nervosa “Wasting time” non nascondono affatto la passione della band per il power rock americano e sorprendono per i loro arrangiamenti efficaci. Discorso che vale anche per l’attenzione particolare ai ritornelli, sempre potenti e per questo efficaci. Prodigiosa “Something in summer”, che arriva nelle orecchie a tutta velocità, mentre in chiusura troviamo una bonus track cantata in italiano (“Reazione”). Quest’ultima non è affatto male ma, di sicuro, l’inglese si presta molto meglio a questo genere musicale. Una buona prima prova che lascia ben sperare per il futuro. Daniel C. Marcoccia

THE FOTTUTISSIMI “Mercoledì#Babilonia” (Divinazione/Terzo Millennio)

★★★

Il rock’n’roll giovane, divertente, diretto e senza mai troppi fronzoli. Questi sono i Fottutissimi, con un album dal titolo incomprensibile ma simpatico ed energico come la musica che contiene. A tratti si è spinti a schiacciare il tastino “traccia seguente”, forse per via di alcuni testi e certi passaggi scontati o che sanno di “già sentito”, ma per quanto riguarda la produzione (Jason Carmer) e la voglia di divertimento che trasuda da ogni traccia, si ha la sensazione di non riuscire a staccare mai il piedino dall’acceleratore del ritmo. “You will survive” insieme a “Onde” rappresentano due piccoli capolavori di questo album indie che vuole “sapere” di internazionale con il coraggio di tenere a testa alta la lingua italiana e “l’italianità” dell’esperienza che ha forgiato i testi. Mattia Borella

THE PACK A.D. “Do not engage” (Nettwerk/Self)

★★★★ Le Pack A.D. sono una realtà canadese davvero molto interessante. Sono in giro da diversi anni e “Do not engage” è già il loro quinto album in studio, ma è un gran

ROCK/POP

peccato averle scoperte soltanto adesso. L'avvertimento lanciato nel titolo è decisamente eloquente: uomo avvisato... si dice. Alla domanda “avete mai pensato ad altri componenti della band”, la cantante/ chitarrista Becky Black e la batterista Maya Miller hanno le idee ben chiare: “Nope” è stata la risposta. A ragione, sono solo in due, ma bastano e avanzano. Un bel “power duo” dalle atmosfere garage anni '90 (sapete quanto io sia nostalgica a riguardo, ndr.), con qualche leggera influenza noise. Girls rock! Arianna Ascione

WE ARE CATCHERS

“We are catchers” (Domino/Self)

★★★ È un pop venato di una nostalgia che non scade nella tristezza, nella malinconia, nel revival furbetto, quello di We Are Catchers (nome collettivo e plurale che nasconde individuo maschile singolare, Peter Jackson, aiutato dall’ex Coral Bill Ryder-Jones). La tessitura musicale dell’album è infatti ricca, variegata, ben confezionata, senza sbavature, equilibrata: pur essendo innegabili i richiami a certe sonorità anni 60 (il primo pensiero, ovviamente, va ai Beach Boys), Jackson regala ai propri ascoltatori 10 pezzi freschi e leggeri dotati di personalità propria (e di coretti irresistibili). Elegante l’incipit di “Water’s edge”, coinvolgente “Tap tap tap”, sognanti “Over the hill” e “Thousand steps”. Ilaria Ferri

WE ARE SCIENTISTS “Tv en Français” (100% Records)

★★

Quinto album in studio per il terzetto californiano, “Tv en Français” vede anche la partecipazione di Tim Wheeler (non sarò l’unica a ricordare gli Ash, no?) e Rose Elinor Dougall (Pipettes, Mark Ronson). La ricetta è semplice: indie-rock molto “pulito”, atmosfere catchy, echi dal passato, il tutto mescolato senza però ottenere un amalgama di particolare intensità. Da ascoltare, comunque, “Dumb luck”, percorsa da venature elettriche e sottili rimandi post-punk (presenti anche in “Overreacting”) e “Sprinkles”, ritmicamente riuscita; “Make it easy”, invece, porta alla mente gli Smashing Pumpkins e gli U2. Non mancano buone intuizioni (e buone intenzioni), ma nel complesso il disco convince a metà. Ilaria Ferri

RockNow 55


BLACK LABEL SOCIETY

“Catacombs of the black Vatican” (Mascot Records)

★★★

Adoro Zakk Wylde. Letteralmente. Credo che il suo modo di interpretare la chitarra sia l’essenza stessa dell’heavy metal e che come conseguenza diretta non si può amare il metal senza vibrare ascoltando i riff e i solo di Zakk. La saga della sua creatura Black Label Society si arricchisce con “Catacombs of the black Vatican” (thumbs up per il titolo!) del decimo capitolo di una storia quindicennale. E non è che debba sforzarmi più di tanto per introdurvelo, visto che il genere dell’album è quel metal un po’ southern e un poco stoner che Zakk suona con i BLS da anni. Senza bisogno di rivoluzioni per rimanere originale e attuale. Paragonato al passato, ammetto che “Catacombs…” risulta un poco inferiore al precedente (ed enorme!) “Order of the black”, ma fa sempre la sua “porca figura”, come si suol dire! Ed è impreziosito da una emozionante “Angel of mercy”, forse la canzone più bella nella storia della band. Luca Nobili

DOWN

Foto Steve Prue

recen

METAL

LACUNA COIL “Broken crown halo”

★★★★

(Century Media/Universal)

Settimo album per i Lacuna Coil e ancora una volta un disco che conferma attitudine, personalità e stile (inconfondibile) della più internazionale delle band di casa nostra. Magistralmente prodotto da Jay Baumgardner, “Broken crown halo” è un lavoro più crudo nei suoni, che si apre prepotentemente con “Nothing stands in our way”, seguita dalla stupenda “Zombies”, dove le due voci di Andrea Ferro e Cristina Scabbia si inseguono e sovrastano in una micidiale (per le vostre orecchie) cavalcata epica. “Hostage to the light” è una gemma di puro metal melodico mentre “Die and rise” alza parecchio il tiro in fatto di potenza, prima di aprirsi in un ritornello che entra in testa fin dal primo ascolto. Altri brani da segnalare di un disco che non perde mai colpi sono sicuramente le più pacate “Cybersleep” e “One cold day”, nonché “In the end I feel alive” che farebbe la sua porca figura in qualsiasi film d’azione americano. E poi c’è “I forgive (but I won't forget your name”), perfetta nel suo mix efficace tra potenza, melodia e ritornello che arriva dritto in faccia. Mi basterebbe citare quest’ultima canzone per spiegare perché mi piacciono i Lacuna Coil. I quali, intanto, hanno fatto ancora una volta centro. Daniel C. Marcoccia

“Down IV - Part II”

(Roadrunner Records/Warner)

★★★★

ICED EARTH

PINO SCOTTO

WARKNIFE

Nato come side-project/ supergruppo a inizio degli anni ’90, la storia dei Down è più unica che rara: da passatempo di cinque musicisti uniti dall’amore per New Orleans e dalla passione per lo stoner rock a vero e propria band. Di successo per giunta. “Down IV - Part II” è la quinta fatica in studio per il quintetto della Louisiana, un EP che è seguito logico di “Down IV – Part I” uscito un anno e mezzo orsono. Sei tracce di ottimo livello che riportano l’orologio musicale dei Down indietro fino al primo disco “NOLA”. Il rock psichedelico torna a farla da padrone, proiettando l’ascoltatore in un trip sonoro dove la voce di Phil Anselmo e la chitarra di Pepper Keenan indicano la via... della perdizione! Un disco partorito da musicisti che sanno coniugare talento e energia come fosse la cosa più facile del mondo. Merce rara di questi tempi, proprio come i side-projects ben riusciti. Luca Nobili

(Century Media)

(ValerY Records/Frontiers/Audioglobe)

(Memorial Records/Andromeda)

56 RockNow

“Plagues of Babylon”

★★★★ Gli americani Iced Earth continuano a non sbagliare un colpo! Successore dell’ottimo “Dystopia”, uscito 3 anni orsono (che vedeva il debutto dietro il microfono dell’ex-Into Eternity Stu Block), “Plagues of Babylon” è il tipico disco classic metal che ti aspetti… con la non indifferente discriminante del superbo songwriting ad opera del chitarrista Jon Shaffer, vera mente e leader indiscutibile della band. Gli Iced Earth sono la miglior classic-metal band a stelle e strisce e, per i cultori di questo suono, “Plagues of Babylon” è praticamente un ascolto mandatorio. Chi segue il metal nelle più disparate forme dovrebbe dare comunque una chance a un disco ben suonato, prodotto e concepito come questo! Luca Nobili

“Vuoti di memoria”

★★★

Sono passati due anni da “Codici kappaò” ed è arrivata l’ora di un nuovo album per l’inossidabile Pino Scotto: uno dei pochi veri rocker che l’Italia è riuscita a partorire. Questa nona fatica discografica è all’insegna del divertimento, con dieci classici della musica italiana ed internazionale e due inediti. La prima metà delle tracce è dedicata al cantato in lingua madre, tra cui (oltre all’inedito “La resa dei conti”) spiccano le ottime interpretazioni de “Il chitarrista” di Ivan Graziani e “Svalutation” di Celentano. Nella seconda parte è invece l’inglese a farla da padrone, e a mio parere i pezzi che meglio si sono adattati alle corde vocali sono quelli bluesy: “Heartbreak hotel” e “Still got the blues”, decisamente ben riuscite! Il tutto, come spesso nei lavori di Pino Scotto, accompagnato da collaborazioni eccellenti. Luca Nobili

“Amorphous”

★★★

Positivo passo in avanti per i salentini Warknife che, dopo un debutto discografico death metal oriented, hanno optato per qualcosa di più appagante sotto il profilo stilistico: la sperimentazione. “Amorphous” è un disco grezzo, ben congeniato e strutturato in maniera tale da non permettere una collocazione ben definita in chiave stilistica. Al suo interno trovano spazio post-hardcore, melodic death metal, qualcosa di sludge e richiami rock. Un insieme di elementi che ha dato frutti sorprendenti, merito di una band tecnicamente dotata e di buone idee che hanno permesso loro di tentare strade tutt’altro che usuali. Consigliato a chi non si accontenta del classico disco stereotipato. Giorgio Basso


nsioni COMEBACK KID “Die knowing” (Victory Records)

★★★

Che botta di vita ragazzi. Da tempo i fan della band canadese aspettavano questo disco. I Comeback Kid ci avevano infatti lasciati nel 2010 con un album difficile da eguagliare (“Symptoms + cures”). A mio avviso, si sono dati da fare parecchio e hanno sfornato un signor disco, come al solito pieno di velocità, ritmi taglienti e testi cattivissimi! Il primo singolo estratto dall’album è “Should know better”, del quale è stato girato un video malatissimo in un officina tra moto, birre e tv spaccate! Tra i pezzi migliori, ci sono sicuramente “Beyond” e “Lower the line”. Anche in questo nuovo lavoro, infine, non mancano le collaborazioni: con Poli dei Devil In Me (“Losing sleep”) e con il vecchio cantante della band Scott Wade (“Full swing”). Se siete amanti dell’hardcore anni ’90, non fatevelo sfuggire! Michele Fenu

THE MENZINGERS “Rented world” (Epitaph/Self)

★★★ Caparezza, in un suo vecchio singolo, diceva che “il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista”. Più che il secondo, io direi che il disco più difficile è quello post-esplosione. È il caso dei Menzingers, che con questo “Rented world” pubblicano il loro secondo lavoro per Epitaph e danno un seguito al fortunatissimo e pluriacclamato “On the impossibile past”. Il quartetto di Scranton, Pennsylvanya, è stato nel frattempo proiettato nella stratosfera del piccolo universo punk/rock, diventando rapidamente uno dei punti di riferimento tra i nuovi nomi della scena. Il ché, come spesso accade, si traduce in una piccola ma pericolosissima parola: pressione. Il risultato è un disco che convince solo a metà, con una manciata di brani all’altezza delle aspettative e altri, invece, in un limbo non meglio definito tra tentativi di evoluzione timidamente accennati e (forse) strizzatine d’occhio non troppo convinte al rock più mainstream. Non malaccio, dopotutto, ma nell’anno in cui Against Me! e Lawrence Arms pubblicano due dischi pressoché perfetti, questo purtroppo non basta per confermarsi al top. Stefano Russo

STIFF LITTLE FINGERS “No going back” (Pledge Music)

★★★★

Dopo 11 anni dalla loro ultima fatica in studio, gli Stiff Little Fingers tornano con il decimo album. La line-up della band di Belfast vede oggi Jake Burns (voce e chitarra), leader indiscusso del gruppo nonché unico membro permanente, Ali McMordie (basso) che militò nella band per circa 15 anni tra il '77 e il '91, per poi tornare in pianta stabile dal 2006, Ian McCallum (chitarra dal 1993 a oggi) e Steve Grantley (batteria dal 1996 a oggi). Cosa aspettarsi da una band con una così lunga esperienza? Un disco fresco, attuale, potente e godibile. Le chitarre si sposano benissimo con la voce di Jake e il disco ha un ottimo tiro fin dai primi brani. Vanno segnalate le bellissime “My dark places” e “I just care about me”, “Don't mind me” che ricorda le atmosfere degli ultimi Dr.Feelgood nelle strofe e “Throwing it all away”. Il sound che li ha resi un'icona

PUNK/HC del punk resta intatto (come nella tradizionale “Guilty as sin”), ma viene anche aggiornato grazie a una produzione di livello. “No going back” è l'ideale punto d'inizio per le nuove generazioni. Andrea Rock

dategli una possibilità. Magari prima di aver finito la bottiglia. Stefano Russo

KEVIN SECONDS

“Valentine’s day split”

“Off Stockton” (Rise)

★★★ Diciamocelo, le parole “acoustic solo album” sono ormai cosa di tutti i giorni sul pianeta punk/rock. Questa volta è il turno del frontman dei 7 Seconds, che si aggiunge così alla lunga lista di punk rocker che, a un certo punto della loro carriera, imbracciano la chitarra acustica e mostrano le proprie doti di songwriting. “Off Stockton” ci mostra il lato country/folk di Kevin, che pesca a piene mani da tutto ciò che potrebbe uscire dal giradischi di una distilleria di whisky del Tennessee e lo differenzia dalla gran parte dei suoi colleghi di cui sopra, più legati al classic rock americano. Se in casa avete una bottiglia di scotch invecchiato a sufficienza,

TEENAGE BUBBLEGUMS/ MALADROIT (Monster Zero)

★★★★ Split su 7” uscito il giorno di San Valentino tra due delle migliori pop/ punk band emergenti del panorama Europeo: i nostrani Teenage Bubblegums (da Forlì) e i Maladroit da Parigi. Come nella migliore tradizione punk/rock, le band si dividono un lato a testa del 7”, con due pezzi per entrambe, proponendo quattro eccellenti tracce in pieno stile “Ramones-core”. Naturalmente, per rimanere in tema con il senso dello split, tutte le canzoni sono d’amore. Un vero must per tutti i fan del genere, sia per la qualità dei pezzi che per la bellezza del prodotto. Insomma, un disco che nella vostra collezione non può assolutamente mancare. Andrea “Canthc” Cantelli

CHUCK RAGAN “Till midnight”

(Side One Dummy/Rude Records)

★★★★

Seguo Chuck Ragan da tempo e ho ben presente la sua produzione quando mi appresto ad ascoltare quest’ultimo “Till midnight”. Il singolo che apre il disco è già un brano da antologia: senza distaccarsi troppo da ciò a cui ci aveva abituato, Chuck torna a emozionare grazie alla sua voce roca, particolarmente d’effetto su una base musicale dalla struttura semplice e diretta. L’approccio al discorso “full band” che vede Jon Gaunt al violino, Joe Ginsberg al basso, Todd Beene alla steel guitar e David Hidalgo Jr. dei Social Distortion alla batteria, non snatura il songwriting del frontman degli Hot Water Music. Difficile segnalare un brano piuttosto che un altro, in quanto il disco scorre bene dall’inizio alla fine. A metà album, c’è anche il gradito ritorno di “Bedroll lullaby”, che i conoscitori di Chuck ben conoscono, dai sui trascorsi con la compagine del “Revival tour”. A precederlo di circa un anno, era stato il suo amico/collega Dave Hause, passato anche lui dal “semi acustico” a un disco con una backing band, ma con “Till midnight” siamo a un altro livello. Si ringrazia come sempre il Boss, da tre anni a questa parte, vero e proprio punto di riferimento per questi songwriter dal passato punk. Andrea Rock

RockNow 57


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