RockNow #13

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#13

PLAY IT LOUD, READ IT NOW

Mensile - Anno 2 - Settembre 2013

Satyricon - We Came As Romans Deftones - Strike Anywhere Zebrahead - New Found Glory

AVENGED SEVENFOLD Scala Reale

Kids In Glass Houses – Bombus – Destrage – Marydolls – Dream Theater – Michael Monroe



IMPRESSIONI DI SETTEMBRE

EDITO

Sarà stata anche un’estate avara di festival, almeno in Italia, ma non sono comunque mancati i grandi concerti. Per quanto mi riguarda, sono più che soddisfatto dell’esibizione dei Deftones (e dei Lacuna Coil, entrambi opener di lusso dei System Of A Down) e ancora tutto emozionato dal ritorno dei Nine Inch Nails. Con la prova dal vivo della ritrovata band di Trent Reznor sono praticamente appagato per i prossimi mesi. Semplicemente strepitosi. Ovviamente non mancheranno altri ottimi concerti nei prossimi mesi e di sicuro non resterò a casa a guardare talent show. Questo numero si presenta intanto con una sola copertina, quella degli Avenged Sevenfold incontrati a Londra e con un nuovo disco decisamente heavy metal uscito da poco. La copertina unica, quindi, ci stava… considerando anche il fatto che altri grossi nomi li abbiamo tenuti per i prossimi numeri. È finita l’estate, si riprendono le vecchie abitudini e si rifanno alcune considerazioni. Una di queste riguarda come sempre la discografia dove in qualche major c’è ancora parecchia gente che dorme e continua a non dare troppo peso alla stampa online. A questo punto non saremo di certo noi a svegliarli. Anche tra le piccole etichette sento spesso qualche lamento, magari relativo alla mancanza di visibilità di alcune loro produzioni sui media. Recentemente mi hanno anche riferito di giornali che promettono recensioni in cambio di pagine di pubblicità acquistate. Non è sicuramente etico e infatti non è la politica di RockNow. Però, cari amici discografici di tutte le dimensioni, mettere mano al portafoglio e investire sulla stampa di settore, online o cartacea che sia, non sarebbe affatto una pessima idea. Altrimenti, tra qualche anno vi ritroverete solo con dei lifestyle magazine che se ne infischieranno del 85% dei vostri artisti. Bella prospettiva, vero? Keep on rockin’!!! Daniel C. Marcoccia @danc667

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ROCKNOW #13 - SETTEMBRE 2013 - www.rocknow.it

06-21 PRIMO PIANO:

Bombus Kids In Glass Houses Teenage Bottlerocket - Vault 13 All in the name of… Rock Dischi violenti: Destrage Marydolls Dream Theater Atlas Losing Grip - Five Becomes Four The Hysteria Hi-Tech Games Crazy… net Open Store

22-46 ARTICOLI:

22-27 Avenged Sevenfold

28-30 Satyricon

www.rocknow.it Registrazione al Tribunale di Milano n. 253 del 08/06/2012

Scrivi a: redazione@rocknow.it DIRETTORE Daniel C. Marcoccia dan@rocknow.it ART DIRECTOR Stefania Gabellini stefi@rocknow.it COORDINAMENTO REDAZIONALE ONLINE EDITOR Michele “Mike” Zonelli mike@rocknow.it

32-33 We Came As Romans

COMITATO DI REDAZIONE Marco De Crescenzo Stefania Gabellini COMUNICAZIONE / PROMOZIONE Valentina Generali vale@rocknow.it

34-36 Deftones

38-40 Strike Anywhere

42-43 Zebrahead

COLLABORATORI Arianna Ascione Giorgio Basso Andrea Cantelli Nico D’Aversa Sharon Debussy Alex De Meo Michele Fenu Luca Garrò Luca Nobili Eros Pasi Andrea Rock Stefano Russo Piero Ruffolo Silvia Richichi Extreme Playlist FOTOGRAFI Andrea Cantelli

44-46 New Found Glory

SPIRITUAL GUIDANCE Paul Gray Editore: Gabellini - Marcoccia Via Vanvitelli, 49 - 20129 Milano

48-53 RECENSIONI

48 Disco del mese: Nine Inch Nails 49 Nu rock 50 Pop/Rock 52 Metal/Punk 54-57 The Line 58 Flight case: Michael Monroe

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PRIMO PIANO

BOMBUS A tutta birra

Divertenti, irriverenti, dannatamente trascinanti: questo in poche parole sono i Bombus, ennesima ottima band di provenienza scandinava. Che sia la Svezia a salvare il rock&roll? Di Luca Nobili - Foto Patrik Vincent

C

on il nuovissimo “The poet and the parrot”, i Bombus stanno facendo ben parlare di sé in giro per l’Europa. Il sottoscritto scambia quattro chiacchiere con il cantante e chitarrista Fredrik “Feffe” Berglund, cercando di togliersi subito la curiosità di un nome così bizzarro e improbabile... senza troppo successo: “Non ricordo con precisione come siamo arrivati a scegliere ‘Bombus’ come moniker, mi dispiace! Immagino fosse per il suono divertente e la lunghezza giusta: ci sono band in giro con nomi tipo ‘And They Know That They Wrestled A Sun That Came Up A Far From The Burning Trees In The Autumn’, direi proprio che un singolo sostantivo di sei lettere

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suona molto molto meglio”. L’ascolto di questo quartetto made in Sweden non può che riportare alla mente il suono di Lemmy Kilmister e soci, pur con un approccio più articolato... “I Motorhead sono indubbiamente una grande influenza nella musica dei Bombus, ma ci sono anche altre band da cui traiamo ispirazione. Che siano i Metallica, i Melvins, gli Immortal o i Manowar... tutto quello che ascoltiamo finisce per influenzare le nostre canzoni, persino quello che non ci piace. Nei testi ci piace trattare della vita di tutti i giorni, la nostra e quella delle persone che ci stanno intorno: il genere umano è sempre una fonte inesauribile di ispirazione!”. È complesso descrivere all’ignaro ascoltatore la musica della band, tanto che basta usare internet e

un motore di ricerca per leggere tutto e il contrario di tutto. Feffe ha però le idee abbastanza chiare al riguardo: “Mi piace pensare siamo semplicemente una band hard rock, certo con un sound originale (o così ci dicono gli addetti ai lavori ed i fan) ma pure sempre caro vecchio hard rock. Qui in Svezia si sono inventati la definizione ‘Bombus Rock’, io lo prendo come un complimento perché significa che non siamo così facili da incasellare. Non ci è mai interessato far parte di una scena musicale, l’unica nostra preoccupazione è fare buona musica senza l’assillo di come verrà catalogata. Anche perché sforzarsi di rientrare in certi canoni per essere ‘parte di una scena’ non porta che pessime canzoni, finisci ad autolimitarti e cercare di scimmiottare chi

probabilmente è più bravo di te”. Il suono grezzo dei Bombus sono certo dia il meglio dal vivo, anche se personalmente non ho mai avuto il piacere di assistere a un loro concerto. Ma se la serata nasce storta, che mi devo aspettare? “Non ricordo per fortuna nessun concerto davvero pessimo” mi rassicura Feffe, “Ma ovviamente non sempre si riesce a dare il meglio. Capita che sei particolarmente stanco a causa di un periodo più impegnativo di altri, il tuo equipaggiamento comincia a fare le bizze giusto appena cominciato lo show e vorresti solo mollare tutto e farti una birra! Ma fa parte del gioco, anche le serate storte vanno accettate... senza dimenticare di dare comunque il massimo che si può”. www.bombusmusic.com



PRIMO PIANO

KIDS IN GLASS HOUSES Segnali di pace

dopo un cambio di etichetta, i Kids In Glass Houses presentano “Peace”, album che prosegue quanto introdotto in passato senza rinunciare a innovazione e soluzioni che ben si adattano a una scena in continua evoluzione. di Piero Ruffolo

Abbiamo iniziato a comporre nel 2012, consapevoli dell’importanza rivestita da questo progetto. Nel corso dell’ultimo anno sono cambiate molte cose e ora siamo pronti a tornare più forti di quanto lo siamo mai stati”. Idee chiare fin da subito per la formazione di Cardiff, in grado di raggiungere in breve tempo il meritato successo nella nativa Inghilterra per poi attirare l’attenzione dei mercati limitrofi. Cupo e introspettivo, il precedente “In gold blood” non ha raccolto i consensi sperati e questo ha spinto gli autori a rimettersi in gioco e rivalutare il proprio stile. “La non calda accoglienza riservata a ‘In gold blood’ non ci ha scoraggiato,

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è stata un’importante lezione dalla quale abbiamo imparato molto. ‘Peace’ mantiene stretti legami col passato: abbraccia ciò che siamo stati e lo proietta verso una nuova dimensione, più chiara, delineata e intima. Non ci piace ripetere quanto è stato già fatto e cerchiamo sempre di evolvere e mutare. ‘In gold blood’ è forse il progetto che più si allontana da quanto la gente è sempre stata abituata ad ascoltare e questo ne ha irrimediabilmente segnato il destino. Ora non siamo tornati indietro. Abbiamo sì ripreso parte del nostro suono originale ma la ricerca continua. Se prima era possibile isolare alcuni brani in grado di emergere sugli altri, oggi ogni singolo episodio ha il medesimo peso”.

La grande cura riservata alla composizione è evidente, come lo è la volonta degli autori di liberarsi da ogni preconcetto per dimostrare un valore che ancora oggi in molti sembrano ignorare. “Siamo nervosi ed eccitati. Fare previsioni in questo caso non ha alcun senso. Potremmo perderci in un mare di ipotesi, speranze e asettici commenti, ma a quale scopo? Sono le nostre canzoni, è il nostro lavoro, la nostra vita: ovvio che ne siamo orgogliosi, se così non fosse non saremmo qui a parlarne. Impegno, idee, passione... siamo sicuri di quanto fatto come lo siamo del fatto che l’ultima parola non spetta a noi”. La stagione appena terminata ha visto i KIGH impegnati in alcuni dei più

famosi festival europei, apparizioni live che hanno preparato i fan a un futuro ormai non più così lontano. “Avere un disco pronto e non poterlo suonare live è frustrante. I fan non conoscono ancora i brani e fino alla sua uscita non possiamo inserire in scaletta troppe canzoni da ‘Peace’... Non vediamo l’ora di tornare on the road e di poter finalmente presentare l’intero lavoro”. I Kids In Glass Houses saranno nel nostro Paese il 30 ottobre (al Live Forum di Assago, Milano) per l’unica tappa italiana del nuovo tour, una buona occassione per scoprire (o riscoprire) una tra le realtà rock e alternative più promettenti (e a volte sottovalutata) del panorama anglosassone. www.kidsinglasshouses.com


Teenage Bottlerocket Punk rock band di culto originaria del Wyoming e osannata in tutto il mondo, incontriamo il cantante Ray ad Hannover, in Germania, prima di una data dal “Freak Out Tour 2013”. Testo e foto: Andrea “Canthc” Cantelli

“Negli ultimi anni, da quando abbiamo firmato per Fat Wreck Chords nel 2008, non ci siamo fermati un attimo. Questa etichetta ci ha dato una notevole visibilità e abbiamo visto la nostra schiera di fan aumentare in tutto il mondo. Stiamo cavalcando la nostra onda e il solo essere qui in Europa in tour è la realizzazione del nostro sogno”. Così commenta Ray la svolta della band avuta negli ultimi anni e continua parlando del punk rock nel Vecchio Continente: “In

Europa la scena è fantastica, ci sono tante band con discendenza diretta dai Ramones come noi. Tra le mie preferite ci sono i danesi 20 Belows, gli austriaci DeeCracks e da voi in Italia ci sono i grandissimi Manges”. Cinque album in dieci anni, tutti con la stessa copertina. Una particolarità spiegata così da Ray: “Il nostro logo è come il nostro nome, lo vedi e pensi subito a noi, così noi risparmiamo nelle grafiche e tu sai già quale sarà la copertina del nostro prossimo disco!”. A proposito di quest’ultimo: “Abbiamo pronti cinque pezzi nuovi che naturalmente suoneranno come i pezzi vecchi, questo è il nostro marchio di fabbrica: stesso sound, stessa copertina e sempre noi quattro. Sì, lo so, non siamo una band che regala tante sorprese ma questa formula si è rivelata a modo suo vincente e chi ascolta un nostro disco o viene a un nostro live non rimane deluso”. www.teenagebottlerocket.com

In continua evoluzione, i Vault 13 hanno recentemente pubblicato un nuovo EP intitolato “Your God is a lie”. Di Giorgio Basso

VAULT 13

La strada è ancora lunga, questo il primo messaggio che i Vault 13 hanno voluto dare. Stare coi piedi ben saldi per terra è parte del loro DNA, come ci spiega il chitarrista Les: “I diversi problemi di line-up ci hanno fatto maturare, spesso entravamo in conflitto sulla stesura dei pezzi e mi trovavo costretto a scendere a compromessi pur di portare avanti la baracca. Questa volta ho avuto decisamente più libertà compositiva, senza dimenticare che ‘We all bleed’ è stato una sorta di "greatest hits" con brani composti nell'arco di quattro anni. Per quanto riguarda ‘Your God is a lie’, siamo entrati in studio con grande serenità e determinazione, ma soprattutto con la consapevolezza di aver fatto nostro un bagaglio di esperienze (buone e cattive) nell'arco di questi ultimi dodici mesi. È decisamente un lavoro più cupo e pesante rispetto al precedente, un mix di hardcore, metal e punk caratterizzato da pezzi di semplice struttura e melodie metabolizzabili”. In Italia ha fatto parlare la scelta di aprire online una raccolta fondi per finanziare un tour nell’Est Europa. Come viene recepita da dentro questa cosa?: “In realtà non pensavo affatto che tutto ciò potesse turbare qualcuno, band molto più affermate di noi hanno finanziato i loro ultimi progetti musicali attraverso quella piattaforma, per cui non vedo maniera di meravigliarsi se realtà più piccole come la nostra ricorrano al crowdfounding per poter realizzare una parte dei loro obiettivi. A noi sembrava un'idea carina per poter coinvolgere anche il nostro pubblico, piuttosto che annoiarlo con i soliti post di Facebook”. www.facebook.com/wearevault13

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PRIMO PIANO

VEARA

A) NOME: ta, GA (US s u g u A : rra), A NZ oce e chita (v PROVENIE k ic d s ro Kerr radley Wy LINE-UP: B rick (chitarra), Bryan mb tteria) Patrick Ba Harrell (ba y n ph) a tt ri B ), me” (Epita g (basso n li il k is rowing up DISCO: “G pop/punk hters GENERE: bt, Foo Fig u o D o N : E INFLUENZ band.com www.veara

W E I V A N I S N I REMA

NOME: talia) Sulmona (I : Monti A Z N IE N ), Pierluigi e c PROVE o (v i in c ), Matia avide Man o (chitarra rc a LINE-UP: D m m ia ria) Devid G orilli (batte ic F o m (chitarra), o c ) asso), Gia l 17 ottobre a d e Cordella (b il ib n o p legies” (dis DISCO: “E tal d, rdcore/me a h : E R t Burns Re s E u N g u GE A , ly Ju E: Texas In INFLUENZ aview Miss May I /remainsin m o .c e c a p www.mys

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All in the name of

A cura di Andrea Rock

rock

Build not burn”, il nuovo album della mia band (Andead), è fuori. Come il 95% della musica autoprodotta in questo paese, anche questo nostro terzo disco non venderà quasi nulla e sarà stato solamente un'altra “uscita” monetaria da cercare di recuperare facendo tanti dj set. Ma quest'anno, del fallimento discografico di questo mio nuovo prodotto, mi importa poco. Volevo pubblicare questo disco perché volevo veicolare il concetto del “costruire, non bruciare”, che ho già diverse volte illustrato in questa sede e che avrò, spero, modo di spiegare nuovamente ogni qualvolta mi verranno concessi degli spazi per parlare della mia musica. Sono contento di essere arrivato fin qui con uno spirito positivo e con ancora tanta voglia di fare/ parlare di musica. Molte volte, anche su questa rivista, ho sottolineato i tanti aspetti negativi della realtà italiana, ma sempre con un barlume di speranza alla fine del tunnel. Questa luce l'ho rivista nei volti dei tanti musicisti (emergenti e non) che ho visto salire su un palco anche quest'anno con la voglia di esibirsi e condividere una passione comune; da Springsteen alla più giovane band indipendente, nel più grande degli stadi e nel più minuscolo bar del paese, possiamo ritrovare quello spirito e quel cuore grande che batte ancora al ritmo di una batteria incalzante. Oggi più che mai mi sento di poter ringraziare i tanti amici che ho incontrato in questi 17 anni di musica; ho molti bei ricordi legati a ciò che ho vissuto e da questo tipo di sensazioni voglio partire nuovamente alla volta di una nuova stagione di concerti, dj set, letture, etc... Desidero condividere sorrisi e buone vibrazioni, voglio allontanare le invidie, le frustrazioni e i rancori da quello che amo. Vorrei riuscire a riavvicinare le nuove generazioni a quel suono che mi ha cambiato la vita, che mi ha dato uno scopo (cit. Rancid: “When I've got the music, I got a place to go”). Ma avrò bisogno soprattutto di voi, appassionati lettori di RockNow… perché da ogni esperienza si trae qualcosa di costruttivo. Dopo più di un anno nella family di Daniel C. Marcoccia, la lezione è stata assimilata per bene: 100% attitude. Io sono pronto a (ri)partire… chi viene con me?


DISCHI VIOLENTI

PAUL (Destrage) Di Sharon Debussy - Foto Michael Gardenia

Primo album comprato: "Urban hymns" dei Verve ed è ancora tra i dischi in rotazione nello stereo. ULTIMO DISCO COMPRATO: "...Like clockwork" dei Queens Of The Stone Age e vi consiglio di fare lo stesso. Un disco sporco, vero, ispirato, coerente, malinconico, ipnotico. DISCO CHE HA CAMBIATO LA TUA VITA: "Vulgar display of power" dei Pantera. Il primo di molti che mi viene in mente… DISCO SOPRAVVALUTATO: "Random access memories" dei Daft Punk. Sono quelli che hanno cambiato di più le carte in tavola nell'elettronica degli ultimi 10 anni e hanno fatto un disco che è chiaramente un tributo alle origini del genere. Ma non è quello che voglio dai Daft Punk, a tratti sembra un disco di Mojo! Sono contenuti e intenzioni che personalmente mi hanno deluso. DISCO SOTTOVALUTATO: Degli "storici" "Mellon collie and the infinite sadness" degli Smashing Pumpkins. Non che sia particolarmente sottovalutato, ma a mio parere non se ne parla mai abbastanza. Capolavoro incredibile. Dei recenti, invece, "Self preserved while the bodies float up" degli Oceansize. Passato troppo inosservato. DISCO “BOTTA DI VITA”: "Ire works" dei Dillinger Escape Plan.

DISCO “LASSATIVO”: Accendo la radio. Nell'80% dei casi peschi il giusto stimolo. DISCO PER UNA SERATA ROMANTICA: "Modern guilt" di Beck, è dolce, è sexy, è un viaggio. DISCO SUL QUALE AVRESTI VOLUTO CANTARE: "The battle of Los Angeles" dei Rage Against The Machine. DISCO DA VIAGGIO: Ora come ora, "Hisingen blues" dei Graveyard, se partissi di giorno. "The raven that refused to sing" di Steven Wilson per la notte. DISCO PER UNA NOTTE DI BAGORDI: "Justice" dei Justice, la perfetta colonna sonora per serate del genere.

DISCO DEL GIORNO DOPO: "Protection" dei Massive Attack. DISCO CHE TI VERGOGNI DI POSSEDERE: Nessuno, neanche dei Five, o di Shaggy, o delle Spice Girls. CANZONE CHE VORRESTI AL TUO FUNERALE: "Sittin on the dock of the bay" di Otis Redding. www.destrage.com

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PRIMO PIANO

MARYDOLLS

Keep calm and…

A cinque anni dall’esordio con “Liquirizia brain”, ecco il secondo album della band bresciana, intitolato “La calma”. Una lunga gestazione per un ritorno sofferto quanto atteso. Di Nico D’Aversa Foto Spada Reporters

Dopo l’uscita del primo disco”, ci rivela il frontman Paolo Morandi “abbiamo suonato molto in tutta la penisola, passando anche per l’Heineken Jammin Festival. Il live, la gente e il sudore sono la nostra vera ragione d’essere e abbiamo atteso parecchio prima di sentirci pronti e maturi per un secondo lavoro. Se vogliamo dirla tutta, siamo anche stati ‘frenati’ da una major con cui abbiamo avuto rapporti per un annetto, senza poi vedere nessun risultato concreto. Questi mesi sono stati davvero duri e frustranti per noi,

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fuori dalla scena e giù dal palco. Però l’importante è essere tornati, cercando di far tesoro di tutte le esperienze, positive o negative che siano”. La calma di sicuro è attitudine insolita per una rock band: “Ci piaceva l’idea di unire un disco rock e caotico a una dimensione opposta. La calma rappresenta una situazione, un istante. L’attimo prima e dopo la tempesta e nel disco cerchiamo di raccontare quei momenti: quei brevi tratti di lucidità e di quiete che spezzano la vita accelerata di ogni giorno. La calma è equilibrio, serenità, meditazione, ascolto dei battiti e controllo dei sensi. Una dimensione dimenticata

dalla nostra mente nel mondo contemporaneo, troppo occupata nel cercare parcheggio. La fine del mondo, la crisi, la terra che si ribella. Forse davvero l’unica cosa da fare è restare calmi”. Il sound dei Marydolls, pur con diverse influenze, è stato spesso definito nu grunge: “Del grunge abbiamo assorbito l’attitudine, ovvero un modo di scrivere e di suonare semplice ma diretto e a tratti ‘sgangherato’. Questo ormai fa parte del nostro DNA. Poi credo che ogni band affronti un proprio percorso artistico. Radici e ali intendo. Non possiamo rinnegare le nostre origini ma nemmeno possiamo rimanere fermi ad un

periodo storico ormai passato”. Testi che affrontano maggiormente temi di natura personale, ma rivendicano la loro inclinazione universale: “Probabilmente un tema personale sfocia nel sociale se diventa generazionale. I confini tra i due mondi sono quindi davvero molto labili e difficili da tratteggiare”. Fondamentale come sempre la dimensione live e, nonostante le cover band e pochi spazi adeguati, i Marydolls sono spesso in giro: “Sicuramente è dura. Ma non basta fare musica propria per fare musica di qualità e alla fine sono proprio la qualità e la capacità di coinvolgere le discriminanti fondamentali”. www.marydolls.it


LA CACCIA NON E’ UN GIOCO, NON E’ UNO SPORT, NON E’ UNO SVAGO. LA CACCIA E’ GUERRA, CRUDELTA’ E MORTE. Nel più totale disprezzo della condanna morale della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica, ed in barba a tutte le Direttive Europee per la protezione degli animali, una minoranza sempre più risicata di “doppiette” continua incessante una sistematica campagna di morte e sofferenze per milioni di vittime indifese, colpevoli solo di sorvolare i cieli italiani o di aggirarsi nei boschi da sempre loro habitat naturale. L’OIPA Italia si batte da anni contro questo scempio, incivile e crudele. Così come è in prima linea in tutte le battaglie contro ogni sopruso ed atrocità perpatrata verso esseri che, come noi, provano dolore e sofferenza, titolari di un sacrosanto diritto alla vita che nessuno ha il diritto di calpestare. Il Tuo aiuto è indispensabile, contattaci al più presto. Perché continuino a vivere…

Organizzazione Internazionale Protezione Animali

ONG DI¿OLDWD DO GLSDUWLPHQWR GHOOD 3XEEOLFD ,QIRUPD]LRQH GHOO¶218

OIPA Italia Onlus

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Sede legale e amministrativa: via Passerini 18 - 20162 Milano Tel. 02 6427882 – Fax 02 99980650 Sede amministrativa: via Albalonga 23 - 00183 Roma Tel. 06 93572502 – Fax 06 93572503

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PRIMO PIANO

DREAM THEATER Work in progress

Nella scena da oltre vent'anni, i Dream Theater arrivano al traguardo del dodicesimo e omonimo album. Abbiamo incontrato a Londra il chitarrista John Petrucci e il cantante James LaBrie. Di Silvia Richichi

Questo album rispecchia esattamente ciò che volevamo e il punto in cui al momento ci troviamo musicalmente. Con questo lavoro abbiamo creato un nuovo entusiasmo sia per noi stessi che per i nostri fan” inizia James. “Penso che ogni nostro album sia una sorta di microcosmo che rappresenta il punto in cui la band si trovava in un determinato momento e che incapsula ciò che in tal momento ha ispirato e dato vita alle canzoni”. “Dream Theater” include un brano che dura più di venti minuti, “Illumination theory”. A spiegarcelo ci pensa John: “Per questo brano

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in particolare abbiamo discusso in anticipo, arrivando all’intenzione di creare una canzone epica e di avere a disposizione venti minuti per narrare una storia e sviluppare idee. Alcuni elementi del brano sono stati decisi parecchio prima, sapevamo per esempio che per la melodia iniziale avremmo voluto qualcosa di energico e potente, un’introduzione grandiosa. Volevamo inoltre che, a metà del brano, tutto si distaccasse dalla parte iniziale e avevamo già un determinato pezzo da usare come chiusura finale, ovvero il grande momento dove tutto si ricollega e tutto ha un senso. Per una canzone del genere, alcune decisioni sono programmate, altre

avvengono in totale spontaneità”. L’album si intitola “Dream Theater”, una scelta fatta per confermare, dopo tanti anni, l’identità della band? “Abbiamo molta passione e fiducia nella nostra musica e intitolarlo così sembrava a tutti la scelta migliore. Dimostra inoltre che lo consideriamo un album forte, sicuro, un po’ misterioso, che non si sa dove può condurci” ci spiega di nuovo John. Nel 2011 il batterista Mike Mangini ha fatto il suo ingresso nella band. James ci parla di come ha influito sull’ultimo disco: “Siamo stati avvantaggiati perché Mike aveva già suonato sul nostro album precedente e aveva già fatto un tour completo con noi,

questo ci ha aiutato a conoscerlo meglio, capire che tipo di persona è, come interagisce con noi e come reagisce alla nostra musica. Ciò ha nello stesso tempo favorito anche lui, conferendogli una maggiore sicurezza in studio. La sua etica del lavoro è da ammirare, è estremamente concentrato e dedito a quello che fa, ha portato una grande energia e moltissime idee”. I Dream Theater sono in circolazione da più di vent’anni. Il loro segreto? “Continuare a fare quello che amiamo, creare musica avendo rispetto e comprensione reciproca e soprattutto essendo comunicativi l’un l’altro”. www.dreamtheater.net


ATLAS LOSING GRIP La giovane punk rock band svedese guidata da Rodrigo Alfaro (Satanic Surfers/Intensity), è entrata in pochi anni nelle grazie di tantissimi kid europei. Testo e foto: Andrea “Canthc” Cantelli

In questi anni siete stati molto attivi sotto il punto di vista dei concerti, questa scelta credo abbia pagato vero? “In questi strani tempi per la musica, per una band underground come la nostra suonare live è fondamentale, Internet dà una scelta illimitata di band e noi possiamo dire che ci piace conquistare i fan uno ad uno ai nostri concerti. La nostra è una vera e propria scelta di vita, infatti siamo tutti e cinque concentrati al 100% sulla band”. Il vostro disco “State of unrest” è stato un grande successo, vi aspettavate questa risposta? “Non pensavamo minimamente di poter arrivare così lontano con questo album, siamo arrivati a suonare

fino in Brasile e ci ha permesso di toglierci tantissime soddisfazioni. Ora stiamo preparando un seguito, registriamo tutto da soli e questo ci dà la piena libertà di lavorare con calma, anche se forse il non avere una scadenza fissa ci sta in qualche modo rallentando. Ma speriamo che il prodotto finale valga l’attesa, per il momento stiamo diminuendo sensibilmente le date live, concentrando i concerti in determinati weekend”. La presenza nella band di un veterano come Rodrigo può forse portare a inevitabili paragoni con le sue vecchie band: “Per noi è un onore suonare con lui, è un ottimo musicista e ci ha aiutato a crescere tantissimo, sia musicalmente che nell’intraprendere determinate scelte. Non possiamo negare che la sua presenza ci abbia aiutato e dato visibilità, ma a distanza di tempo vedo che ora ci considerano per quello che siamo e non per il passato del nostro cantante. Credo che questo sia dovuto al fatto che abbiamo lavorato nella maniera giusta”. www.atlaslosinggrip.se

FIVE BECOMES FOUR

Partito come cover band, il progetto Five Becomes Four ha preso poi una piega personale, giunta al suo apice con la recente pubblicazione dell’esordio “Vuoto cosmico”. Di Giorgio Basso

Attivi dal 2008, i Five Becomes Four giungono solamente oggi al grande pubblico con un disco, “Vuoto cosmico”, che mostra la loro anima prettamente rock: “Questo disco è la raccolta dei migliori pezzi che abbiamo composto finora, partendo dai più vecchi fino ad arrivare ai più recenti, tra cui tutte le nuove canzoni in italiano. Inizialmente l'idea era di produrre una demo di quattro pezzi, poi abbiamo deciso di incidere un intero album per dare una maggiore visibilità e serietà al progetto. Sonorità semplici e orecchiabili che rimangono in testa, testi attuali e divertenti sono i punti forti del nostro lavoro, dando in diverse occasioni alla lingua italiana il compito di trasmettere direttamente le nostre idee ed esperienze senza nascondersi dietro alla più facile e musicale lingua inglese”. I riferimenti stilistici sono nomi che hanno fatto crescere intere generazioni, con due sorprese: “Gruppi punk rock e pop punk di fama internazionale tra cui Blink-182, Sum 41 e Yellowcard. Vorremmo poi citare due gruppi della scena underground italiana che molto ci hanno donato: Antefatti e About Emily”. Chiudiamo con qualche consiglio sugli acquisti dato direttamente dai Five Becomes Four: “’Ocean Avenue’ degli Yellowcard in versione acustica, album pubblicato nel 2003 e ri-arrangiato questa estate per il decennale della sua uscita. Poi ‘Discochemaiuscirà’ degli About Emily, nonostante poco dopo la sua pubblicazione abbiano deciso di sciogliersi, e come ultimo ‘This Is How the Wind Shifts’ dei Silverstein”. www.facebook.com/5b4OfficialPage

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PRIMO PIANO

THE HYSTERIA Aftermath

I bielorussi Hysteria sono tra i nomi più interessanti della scena math, autori di un EP schizzato e interessante come “Trojan Horse”. Ne abbiamo parlato con il loro chitarrista Anton Rogov. Di Giorgio Basso

E

state ricca d’impegni quella appena terminata dagli Hysteria: “Parlare di vacanze direi che è un’eresia visto che in tre mesi abbiamo registrato il nuovo EP, suonato diversi show in compagnia di band come Veil Of Maya e Iwrestledabearonce e, per finire, iniziato la stesura del debut album… Un vero inferno insomma!”. “Trojan Horse”, un EP che non ha nulla da invidiare in fatto di tecnica e idee a quanto sono soliti propinarci band blasonate, un lavoro che ha soddisfatto anche i diretti interessati:

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“È una bomba che esplode nelle teste di chi lo ascolta, qualcosa di speciale per tutti noi. È una sorta di compilation dove al suo interno trovano spazio i nostri migliori brani, se dovessimo fare un confronto con le nostre passate produzioni non avrei dubbi nel dirti che si tratta del miglior disco finora composto dagli Hysteria. La fase di composizione è durata circa sei mesi, un periodo decisamente lungo, contraddistinto anche da pause dovute a show che ci hanno visti protagonisti in diversi Paesi. È difficile etichettare quanto in esso contenuto, siamo soliti unire le più svariate correnti

stilistiche nella ricerca di un nostro sound. In un nostro brano trovano spazio rock’n’roll, la potenza dei breakdown, il black metal e, perché no, il jazz”. Altro punto caldo negli Hysteria sono i testi: “Non amiamo lasciarci prendere da tematiche frivole, preferiamo parlare di cose che viviamo e vediamo coi nostri occhi. Ogni canzone ha un suo tema ben preciso, ma fondamentalmente tutto gira attorno alla società e a come l’essere umano sia oggigiorno una sorta di burattino in mano ai potenti, rimanendo inerme di fronte agli eventi che si susseguono”. Chiudiamo parlando del tour che la band sta

pianificando per l’autunno: “Stiamo cercando di far combaciare l’uscita del debut album con un tour europeo che ci possa spingere in nuovi territori. Al momento siamo vicini a chiudere show in Estonia, Polonia, Germania e Italia. Personalmente ho avuto la fortuna di vivere nel vostro Paese, scoprendo quanto sia fantastico avere a che fare con un popolo solare e aperto come il vostro. Per questo motivo so per certo che quando verremo a suonare sarà qualcosa di fantastico, vi aspettiamo tutti”. www.facebook.com/cultofhysteria


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Nokia amplia la fortunata serie Lumia con il 1020: top di gamma deciso a sottolineare (se ancora necessario) l’evoluzione della casa finlandese e l’importanza riservata alla fotocamera dei propri smartphone. Fotocamera

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A cura di Michele Zonelli

games

GRAND THEFT AUTO V Piattaforma: X360/PS3 Produttore: Rockstar Games Genere: Azione/Avventura

Tra i titoli più attesi di questa nuova stagione videoludica (e non solo), “Grand Theft Auto V” debutta in tutto il suo splendore. Consapevole delle molte attese e attenta a non lasciare nulla al caso, Rockstar Games ha ponderato nei minimi dettagli ogni mossa, senza mai ignorare pareri, critiche e richieste dei milioni di fan. Uno sterminato open world, libero e ricco di attività, tre protagonisti indipendenti e dal forte caratterete e una trama ancora una volta sopra le righe sono i pilastri su cui poggia “GTA V”. L’ambiente di gioco è vasto, vastissimo, il più vasto! Prendete “San Andreas”, “GTA IV” e “Red Dead Redemption”, uniteli e avrete così un’idea dello spazio entro cui potrete muovervi. Il gameplay risente molto dell’esperienza acquisita proprio da “Red Dead Redemption”, esperienza grazie alla quale i programmatori sono riusciti a rendere vivo e tangibile un mondo di simili proporzioni. Immutati i tratti salienti della serie, cui si vanno ad aggiungere elementi che diverrano ben presto essenziali, come le rapine. L’utilizzo dei veicoli rimane arcade ma migliora per quanto riguarda risposta e guidabilità. Poter passare da un protagonista all’altro (ognuno con proprie abilità e caratteristiche) in ogni momento del gioco permette rapidi spostamenti e dona ancora più libertà. Potremmo continuare così per ore, ma preferiamo lasciare la parola a Michael, Franklin e Trevor.

TOTAL WAR ROME II PC Creative Assembly/Halifax

AARKLASH: LEGACY

Nuovo capitolo della saga “Total War” e sequel ideale di “Rome: Total War” (2004), “Rome II” si presenta come il più profondo, impegnativo e ampio gioco strategico e tattico attualmente sul mercato. Diviso tra fasi a turni (controllo e sviluppo delle città, creazione di eserciti, strategie belliche e politiche) e battaglie in tempo reale, il gioco richiederà non poca attenzione (e dedizione) per essere padroneggiato, ripagando ogni sforzo compiuto.

La francese Cyanide torna a esplorare il mondo di Confrontation (gioco di miniature della connazionale Rackham). Iniziata l’avventura con un party che rispecchia tutti i canoni (e luoghi comuni) del genere, col proseguo incontrerete e vi alleerete con altri personaggi, tutti dotati di capacità date da classe ed esperienza. L’impronta tattica è evidente soprattutto nei combattimenti, da affrontare con la giusta pianificazione, pena: la morte.

PC Cyanide

DIABLO III

Piattaforma: X360/PS3 Produttore: Blizzard Entertainment Genere: Action RPG Punto di riferimento per gli amanti dei moderni action RPG, “Diablo III” ha portato alcune delle più importanti innovazioni nel genere degli ultimi anni. A fronte dell’enorme successo ottenuto con la versione per PC/MAC, non sorprende vedere approdare il prodotto di casa Blizzard su console. Il porting è da sempre motivo di discussioni (e, spesso, delusioni) e il timore legato a simili operazioni non cambia: avere a che fare con un adattamento mediocre e per nulla in grado di rendere merito all’opera originale. Timore questa volta scongiurato. Ogni cosa è stata riletta e riprogettata a portata di pad. La trama non offre importanti novità, la narrazione degli eventi e lo sviluppo delle campagne segue lo stesso canovaggio della versione gemella. Anche le meccaniche di gioco non sono state toccate, tutto altro discorso per il gameplay. Menù e interfaccia sono stati completamente riscritti per adattarsi a nuovi schermi e comandi. Il controllo del vostro alter-ego è ora affidato alle levette analogiche, mentre un’inedita mappatura dei pulsanti e l’utilizzo della croce direzionale per azioni rapide (come equipaggiare nuove armi e armature) dimostra un’attenzione degna di lode. Stessa sorte è stata riservata al comparto multiplayer, anch’esso rinnovato e ben calibrato. I puristi continueranno a condannare operazioni di questo tipo, ma resta indubbio il fatto che la nuova versione di “Diablo III” non vi deluderà.

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crazy net

A cura di Michele Zonelli

BOOM BAG

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Gli indimenticabili anni 80, gli indimenticabili Boombox: stereo portatili in grado di mutare le abitudini di intere generazioni. Riviviamo questa magia con la Boom Bag, borsa dall’inconfondibile design e speaker incorporati. www.originalstore.it

Alcuni oggetti di uso comune vanno al di là del mero scopo per cui sono stati creati, divenendo vere e proprie opere d’arte. È il caso di questo case in 3D, forse non il più comodo in tasca ma, andiamo, come non desiderarlo? www.3dpcase.sculpteo.com

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Geniale. Credo non serva altro per descrivere questo oggetto. E non si tratta di un semplice rivestimento, ma di un casco a norma di legge (americana) e con tanto di certificazione. Ah, giusto, disponibile anche in versione albina... www.wolfhelmet.com

USE YOUR HEAD BICYCLE LIGHTS

DCI KNUCKLE POUNDER MEAT TENDERIZE Venduto da DCI su Amazon, il Knuckle Pounder Meat Tenderizer è esattamente ciò che sembra: un batticarne a forma di pugno di ferro. L’ideale per preparare la cena dopo un’intensa e stressante giornata di lavoro. www.amazon.com

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Ok: I teschi ci piacciono, non è certo una colpa… E a quanto pare non siamo i soli a pensarla così. Se siete alla ricerca di nuove luci per la vostra bici e volete aggiungere quel tocco di stile in più, ecco l’articolo che fa per voi. www.modcloth.com


A cura di Eros Pasi

OPEN STORE

VANS MID SKOOL 77

Rese leggendarie da due leggende dello skate come Steve Caballero e Tony Alba, le Vand Mid Skool 77 tornano in auge grazie alla collaborazione tra la casa madre americana e AW Lab, che per l’occasione lanciano tre nuove versioni in nero, verde e grigio. Realizzate in suede abbinato a inserti e linguetta in pelle a contrasto, suola bianca vulcanizzata e caviglia imbottita le Vans Old Skool 77 sono disponibili nei 148 store AW Lab e su www.aw-lab.com

VANS PER KENZO

Quinta collezione di sneaker che vede protagonista Vans e Kenzo. In questa nuova edizione spazio a stampe dai pattern brillanti, ispirati a contesti celestiali come tigri volanti, saette e nuvole. Disponibili nei classici modelli Vans: Slip-On, Authentic e Chukka. www.vans.com

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Cap snapback della nuova collezione Starter per tutti i fan dell’heavy metal e delle manone di gommapiuma. www.starter.com

PLAN B Sheckler Scarf Tavola della serie “Scarf” del pro-skater Ryan Sheckler, famoso per il suo show su MTV. www,planbskateboards.com

GLOBE TB

Scarpe signature del surfista del team Globe Taj Burrow. www.srdsport.com

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AVENGED SEVENFOLD

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Per il suo sesto album, la band di Huntington Beach ha deciso di tornare alle proprie radici e ai gruppi che avevano accompagnato la sua adolescenza. Il risultato è “Hail to the king”, un disco metal, classico ed efficace, nonché prova di grande maturità. Abbiamo incontrato a Londra il chitarrista Zacky Vengeance e il bassista Johnny Christ. Di Daniel C. Marcoccia

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AVENGED SEVENFOLD

“Abbiamo studiato i dischi che più ci hanno influenzato da ragazzi, cercando di capire perché suonassero così” 24 RockNow


L

a prima impressione, ascoltando “Hail to the king” è quella di un disco dal suono potente e marcatamente metal. Zacky Vengeance (chitarra): Mi fa piacere che sia così evidente, è proprio quello che volevamo: un ritorno alle radici, alla musica che abbiamo ascoltato da ragazzini. Sarà un piacere suonare queste nuove canzoni dal vivo e, spero, anche ascoltarle. Quando abbiamo iniziato a registrare delle demo per il nuovo album, venivamo da un lungo tour e quindi avevamo probabilmente dentro di noi tutta quell’energia. Il precedente lavoro, “Nightmare”, e il successivo tour sono stati una specie di terapia per voi, un modo per esternare e forse superare la tragica scomparsa di Rev, il vostro batterista? Johnny Christ (basso): Quell’album era pronto prima di entrare in studio e l’abbiamo composto praticamente con Rev. Le uniche cose che sono cambiate sono stati i testi che, di conseguenza, sono riferiti quasi al 100% a lui, alla sua scomparsa. Era inevitabile perché avevamo appena perso un amico, un fratello, una persona con la quale abbiamo vissuto delle forti emozioni e condiviso tante esperienze per molti anni. Infatti, alla fine del tour eravamo sfiniti, fisicamente ed emotivamente. Z.V.: In quel momento abbiamo veramente sentito il bisogno di staccare la spina, in tutti i sensi, e di ritagliarci uno spazio tutto nostro, in cui ognuno di noi potesse pensare ad altro e ricaricare le batterie. Abbiamo veramente dedicato il nostro tempo al relax, alle nostre famiglie e ai nostri amici. Solo quando ci siamo sentiti tutti pronti, abbiamo iniziato a parlare di un nuovo disco e di come farlo. E tutti noi volevamo un lavoro potente e marcatamente heavy metal, un disco meno personale e intimo dal punto di vista dei testi. Credo proprio che abbiamo centrato l’obiettivo. Una curiosità: come si rilassano gli Avenged Sevenfold una volta finito un tour come quello di “Nightmare”? Z.V.: (ride) Semplicemente facendo le cose normali che fanno tutti, come la spesa, giocare con il cane, stare in famiglia o uscire con gli amici più cari. Andare a cena con fidanzate o mogli. Qualcuno ha fatto surf o giocato a golf. Anche guardare la TV o vedere un film con la propria moglie. Sono tutte quelle cose che non riesci a fare quando sei in tour, che possono sembrare noiose ma ti garantisco che sono salutari dopo mesi passati a suonare in giro per il mondo. J.C.: E a un certo punto, quando ci siamo sentiti veramente inspirati e con delle idee valide, abbiamo capito che era il momento per pensare a un nuovo disco. Devi lasciare le cose arrivare da sole, naturalmente, ed è proprio quello che abbiamo fatto Qual è stata la parte più difficile di questo disco: i testi o la musica? Z.V.: Dal punto di vista dei testi, volevamo raccontare storie quasi immaginarie, parlare di diavoli e dell’inferno come nei più classici dischi di heavy metal. L’approccio per le liriche è stato quello fin dall’inizio. J.C.: Abbiamo sempre scritto storie che fossero comunque abbastanza vicine alle nostre vite, ma questa volta abbiamo deliberatamente cercato di puntare maggiormente sull’aspetto immaginario piuttosto che personale. È un album heavy metal con testi di questo tipo, simili a quello che ascoltavamo nei dischi degli Iron Maiden o dei Black Sabbath. Z.V.: La parte più difficile è stata probabilmente andare oltre le nostre abitudini dal punto di vista della musica. Ogni aspetto doveva essere perfetto e non una ripetizione di quanto avevamo già fatto finora. Tutto in questo album, dai riff alle melodie, fino agli assoli è stato curato al massimo. Non ti nascondo che abbiamo studiato i dischi che più ci hanno influenzato da ragazzi, cercando di capire perché suonassero così, perché avessero quel suono e quella potenza. Sto parlando di dischi come il “black album” dei Metallica, oppure alcuni lavori dei Megadeth e dei Pantera. Sono dischi che ancora oggi non sembrano affatto vecchi e che hanno segnato la loro epoca e la musica in generale. Beh, ascoltando il nuovo disco, sembra evidente che il “black album” dei Metallica sia stato per voi una grossa influenza. Anche se tu, Zacky, indossi oggi una maglietta di “…And justice for all”… Z.V.: (ride) Sì, non possiamo negarlo. “Hail to the king” rappresenta una

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AVENGED SEVENFOLD novità anche per noi, un cambiamento, proprio come lo fu quel disco per i Metallica. Sappiamo bene che qualcuno dei nostri fan non approverà alcune scelte ma siamo pronti a difendere questo disco. È una vera sfida. Con il “black album” i Metallica riuscirono a ridefinire l’heavy metal, dopo che avevano già segnato la loro epoca e tutta la scena thrash con i loro primi lavori. Per molti dei loro fan fu quasi un tradimento ma ancora oggi, a distanza di anni, rimane un disco che ha fatto la storia dell’heavy metal moderno. I Metallica sono stati influenzati da gruppi come gli Iron Maiden ma sono poi tornati indietro fino alle influenze di questi ultimi, ai vari AC/DC e Black Sabbath. A modo nostro, abbiamo fatto la stessa cosa. Siamo tutti dei grandi fan dei Metallica. J.C.: Ad eccezione di “LuLu” (risate). Z.V.: Già, quello no, e quindi, come loro, abbiamo cercato di rimettere in discussione la nostra musica. Non so se ridefiniremo l’heavy metal, sarebbe presuntuoso dirlo ora, ma siamo sicuramente andati oltre le nostre abitudini. Rispetto al precedente disco non è invece cambiato il produttore, Mike Elizondo. J.C.: È solo una questione di fiducia, è questa la ragione principale. Dopo “Nightmare”, in cui aveva fatto un ottimo lavoro, ci sembrava

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giusto continuare con lui. Il rapporto è ottimo, è come un membro aggiunto della band, sa bene dove vogliamo andare e riesce sempre a darci degli ottimi suggerimenti. Ed è cresciuto anche lui con il metal degli anni 90. Il titolo “Hail to the king” ha qualche significato particolare? J.C.: Alla base c’era essenzialmente il desiderio di scrivere un anthem, una canzone dal forte impatto. Quando stavamo registrando le demo delle nuove canzoni, e quindi di questa, avevamo subito in mente un testo dai richiami un po’ medievali e sicuramente immaginari, come in buona parte del disco. È comunque un titolo perfetto e in linea con questi tempi in cui si saluta ogni giorno un nuovo leader. Si è parlato molto, fin troppo probabilmente, della vostra visita ai soldati americani in Iraq e Kuwait. Non è stato sicuramente come suonare a Huntington Beach… J.C.: No, direi di no (ride). È stata però una bella esperienza, sicuramente surreale. Ci ha dato la possibilità di vedere quello che la gente non vede abitualmente. Stare con i soldati, parlare con loro, ascoltarli, ti permette di capire molte cose. È gente vera ed è stato bello dare loro un po’ di spensieratezza. La stessa cosa vale per la gente del posto, vedere come vive, capire le sue difficoltà e la sua voglia di ricostruire e di avere una vita normale. Ci sono stati commenti negativi da parte di alcuni ma ce ne freghiamo. Noi suoniamo per chiunque e in mezzo a quei soldati c’erano anche dei nostri fan, gente


che se fosse stata a casa sarebbe venuta a vederci. Quindi non ci poniamo alcun problema. Molti di quei militari sono ragazzi giovani provenienti da posti poco avvantaggiati d’America e l’unico modo per campare è entrare nell’esercito. Quindi è stato bello suonare per loro. Di cosa siete maggiormente orgogliosi del percorso degli Avenged Sevenfold? Z.V.: Mi piace ripensare a questa band ai tempi di “Nightmare”, a quando eravamo da soli in studio senza Rev. In quei momenti pensi che se riesci a superare una botta come quella della perdita di una persona a te cara e con la quale hai vissuto un sogno, allora puoi fare tutto nella vita. Siamo andati di nuovo in tour e abbiamo spostato ancora di più i nostri limiti, la nostra popolarità è cresciuta ulteriormente e abbiamo suonato nelle arene. Con questo nuovo disco, sono orgoglioso della mia band e del fatto di essere stati in grado di dire “tutto questo è fottutamente noioso, torniamo alle radici”. Qualcuno potrà non accettarlo ma sono convinto che a un certo punto lo farà: ci vorrà un anno, due o magari di più ma poi sono sicuro che tutti capiranno quello che abbiamo voluto fare. Sono fiero di questi ragazzi e di me stesso. J.C.: Sono d’accordo con lui e la cosa più dura è stata tornare in studio senza Jimmy. Lui cantava spesso sulle demo, fissava le melodie e ci aiutava parecchio nella composizione delle canzoni. E ricorderò sempre il primo show senza di lui, avevamo le lacrime mentre suonavamo.

“Come i Metallica, abbiamo cercato di rimettere in discussione la nostra musica. Non so se ridefiniremo l’heavy metal, sarebbe presuntuoso dirlo ora, ma siamo sicuramente andati oltre le nostre abitudini”

www.avengedsevenfold.com

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V SATYRICON

Paint it black Senza mai rinnegare l’etichetta di band black metal, il malefico duo Satyr e Frost porta il progetto Satyricon sempre più ai confini (se non oltre) del genere. L’evoluzione del metal più estremo passa anche da qui. Di Luca Nobili

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aragonandolo al resto della discografia dei Satyricon, come credi che si collochi il vostro ultimo omonimo album? Satyr (voce, chitarra, basso): Per me e Frost il nuovo album rappresenta la quintessenza di quello che per noi sono i Satyricon ed è questa la ragione per cui abbiamo deciso di non dargli un titolo, come se fosse un disco di debutto. Nulla di quanto abbiamo registrato in passato ci rappresenta in maniera così completa e profonda: la musica, i testi, l’artwork... è tutto così “Satyricon” all’ennesima potenza! Insisto molto su questo concetto perché voglio che sia chiaro: questo album è una pietra miliare per la band, è il disco più importante e ambizioso che abbiamo realizzato fino a oggi. Dici che questo ultimo album rappresenta la quintessenza dei Satyricon. Credo che rappresenti anche una svolta stilistico-musicale importante, non trovi? S.: “Satyricon” è un disco che ci proietta nel futuro, in questo hai indubbiamente ragione. Non posso nascondere sia differente in molte cose rispetto ai precedenti lavori, ma non è una diversità fine a sé stessa. È un modo per andare avanti e mantenere la nostra musica interessante, sia al pubblico che a noi stessi. Cambiare è spesso mal visto tra i fan del metal più estremo, ancor più da quelli del black metal. Come pensi verrà accolto “Satyricon”? S.: A costo di sembrarti troppo spavaldo, mi sento molto fiducioso riguardo al giudizio dei nostri fan e sono più che certo che ameranno l’album. Sono invece più dubbioso e allo stesso tempo curioso di vedere come verrà accolto dalla stampa specializzata: “Satyricon” è un disco molto complesso e profondo che ha richiesto ben sei mesi per le sole registrazioni, necessita di un certo investimento in tempo per essere apprezzato e capito appieno. E ci sono molti giornalisti musicali che non hanno il tempo né la voglia di dedicare ore a un singolo disco da recensire, soprattutto se hanno scarso interesse per la band. Effettivamente non avete certo realizzato un disco facile. Anche il

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SATYRICON

V sottoscritto si è dovuto prendere un po’ di tempo per capirne e apprezzarne le qualità... S.: Ti racconto una cosa curiosa: dopo che ho mandato l’album al nostro tastierista live (Anders Hunstad, nda) per il primo ascolto, ho ricevuto una sua email che diceva “nella seconda canzone non capisco cosa ci sia per me, non ho nessuna parte da suonare”. E invece in quel pezzo ci sono organo, pianoforte e persino un theremin... gli ho dovuto far notare che questo è un disco da analizzare con attenzione, di non fermarsi al primo ascolto prima di mandarmi i suoi commenti! È la stessa cosa che vorrei anche dai critici, ma so che non sempre è possibile. La band è da sempre un duo: Satyr e Frost. Cosa rende il rapporto tra te e il batterista così solido e speciale? S.: Certo, esiste tra di noi un feeling a livello musicale, ma non è l’aspetto più importante che ci ha tenuto uniti in questi vent’anni. Quello che ci rende così simili e adatti a lavorare insieme è che abbiamo gli stessi standard qualitativi, viviamo la musica nello stesso identico modo, vale a dire con assoluta dedizione e totale coinvolgimento. I Satyricon sono per entrambi una priorità ventiquattro ore al giorno, che viene prima di qualsiasi altra cosa. Non tutti

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vivono l’essere in una band in questo modo, ognuno ha la sua personale visione sul quanto tempo dedicare alla musica, quali sacrifici è disposto a fare... io e Frost siamo sempre stati in totale sintonia su questo punto. Ci sono tanti musicisti bravi là fuori, tecnicamente preparati e umanamente validi, ma non adatti a essere un membro dei Satyricon! Com'è cambiato il tuo approccio alla musica rispetto a quando hai iniziato? S.: La differenza tra quando abbiamo iniziato (nei primi anni ’90) e oggi è banalmente il livello di esperienza. Il mio modo e la mia necessità di essere un artista e creare musica non è cambiato di una virgola nel corso degli anni, così come è rimasta identica la pressione che mi impongo nel mettermi alla prova scrivendo canzoni e suonando dal vivo. Quello che è cambiato è la quantità di esperienza che ho accumulato viaggiando per il mondo e collaborando con persone dai differenti backgroud culturali, mi sento più sicuro nelle decisioni che prendo e so che certi errori di gioventù ora non li potrei ripetere. In sostanza, mi sento un musicista più saggio ma con la stessa attitudine degli esordi. www.satyricon.no

“Ci sono molti

giornalisti

musicali che non hanno il tempo né la voglia di dedicare ore a un singolo disco da recensire, soprattutto se hanno scarso interesse per la band”


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We Comes As Roman Con “Tracing back roots” i We Came As Romans danno spazio a melodia e scenari rock oriented, a discapito di un passato che li vedeva tra i numerosi talenti inespressi della scena metalcore statunitense. Di questo e molto altro abbiamo parlato con il cantante Josh. Di Eros Pasi

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iao Josh, come è stata l’estate dei We Came As Romans? Josh Moore (chitarra): È stata un’estate molto produttiva! Abbiamo suonato in tutta l’America all’interno del Vans Warped Tour, un’esperienza fantastica! Sicuramente il miglior modo per presentare al pubblico il vostro nuovo album “Tracing back roots”. Un titolo decisamente suggestivo… J.M.: Il titolo evidenzia alcuni aspetti importanti, la continua crescita e maturazione della band in primis, senza però dimenticare quanto è stato fatto in passato, da dove siamo arrivati e il percorso intrapreso anni or sono. Bisogna restare sempre coi piedi ben piantati in terra, l’esaltazione porta spesso a cocenti delusioni o situazioni spiacevoli e questa è l’ultima cosa che vogliamo. Personalmente sono rimasto molto colpito dalla scelta coraggiosa di dare un taglio netto al passato, optando per un sound e un modo di porsi decisamente più rock oriented. Questa potrebbe essere la via sulla quale scrivere il futuro dei We Came As Romans? J.M.: Ho capito ciò che vuoi dire ed effettivamente il nostro è stato un continuo “work in progress” più che un percorso stilistico stabile. Abbiamo sperimentato ogni sorta di suono e soluzione alla ricerca di qualcosa che potesse rendere questo progetto ancora più speciale e oggi finalmente siamo arrivati a ottenere tutto ciò. Sia ben chiaro che non rinneghiamo nulla del passato, se oggi possiamo dire di essere una band nota è proprio grazie a ciò che abbiamo fatto, quindi va benissimo così. Fondamentalmente i We Came As Romans sono il pensiero principale di ogni membro della band, qualcosa di estremamente importante per tutti noi e che va addirittura oltre il concetto di sentirsi una famiglia. È qualcosa di viscerale. Visto il cambio di rotta viene da chiedersi quanto sia stato complesso scrivere un disco come “Tracing back roots”. J.M.: Parlare di difficoltà penso sia un azzardo. Ci siamo divertiti molto, in quanto stimolati dall’offrire all’ascoltatore qualcosa di inusuale rispetto al classico sound dei We Came As Romans. Nel processo creativo dobbiamo molto anche a John Feldmann, che più che il nostro produttore lo definirei un amico. Ha lavorato molto duro per offrire al disco un sound speciale e non c’è mai stato un solo attimo in cui abbiamo messo in discussione una sua scelta. I testi sono una sorta di libro aperto sulla band. Cosa vi ha spinto a dare in pasto ai vostri fan considerazioni a tratti personali sulla vostra storia? J.M.: Per capire chi siamo oggi è necessario conoscere il nostro passato. E siccome su di noi le opinioni sono estremamente discordanti, la cosa migliore era prendere di petto la situazione e spiegare in prima persona questa evoluzione. Tutto si lega al titolo, che come dicevo prima vuole essere un sunto di quanto fatto e vissuto dai We Came As Romans nel corso degli anni con uno sguardo al futuro. A mio avviso avete scritto una delle più belle cover song degli ultimi anni, “Glad you came”, facendo addirittura meglio della versione originale. Sei d’accordo con questa mia tesi? J.M.: Direi proprio di no! (risate) Sono sicuro che molte altre band hanno fatto meglio di noi in fatto di cover song, ma questo tuo apprezzamento mi piace parecchio quindi grazie mille! (risate) Onestamente preferisco essere apprezzato più per la musica che creiamo che per una stupida cover. Un messaggio ai fan italiani? J.M.: Spero di vedervi tutti questo autunno in tour! www.wecameasromans.com

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Radic


ci e crescita

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Our own summer A qualche mese di distanza dall’uscita del suo ultimo album, ritroviamo la band di Sacramento prima del recente concerto milanese. L’occasione ideale per fare nuovamente due chiacchiere con Chino e Abe. Di Daniel C. Marcoccia

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ual è il vostro giudizio su “Koi no yokan”, il vostro ultimo disco a quasi un anno dalla sua uscita? Chino Moreno (voce): Credo che sia ben rappresentativo di noi, della nostra band e di come facciamo i nostri dischi. Prendiamo tutto quello che ci piace e cerchiamo di farlo stare insieme in un album. Non siamo il tipo di band che può limitarsi a fare un solo tipo di canzoni. Ci piace provare cose diverse, altri suoni o atmosfere, anche se alla fine manteniamo comunque quel qualcosa che può essere considerato l’anima della nostra musica. È un po’ l’obiettivo ricorrente di tutti questi anni e dei nostri dischi. E trovo “Koi no yokan” particolarmente riuscito da questo punto di vista. Abe Cunningham (batteria): Fin dall’inizio di questa band abbiamo sempre cercato di non porci troppi limiti e di seguire il nostro istinto. Ci sono state, soprattutto in passato, delle lunghe discussioni ma alla fine abbiamo sempre fatto quello che ci pareva giusto fare. C.M.: Alla fine, a caratterizzare una band sono le persone che la compongono. Può essere il modo di suonare la batteria o il suono delle chitarre, o ancora la voce. Poi, sta a te cercare di portare questi elementi caratteristici verso nuove evoluzioni. Allo stesso tempo fu importante a un certo punto prendere le distanze dal nu metal?

C.M.: Credo che sia importante evolvere come gruppo e musicalmente, è frustrante ripetere le stesse cose e rimanere intrappolati in una nicchia o legati a una moda. Non ci interessa far parte di una scena e dover rispondere a dei criteri sonori predefiniti, va contro il nostro essere musicisti e il nostro volere sempre scoprire cose nuove. Specialmente nel 2000, all’epoca in cui il nu metal era molto in voga, avevamo già voglia di staccarci e guardare oltre. Ti ripeto, per una band come la nostra è fondamentale non rimanere inchiodati su posizioni acquisite. È cambiato in questi anni, album dopo album, il vostro approccio alla musica e alla scrittura? C.M.: No, soprattutto per quanto riguarda i testi. Anzi, mi spaventa sempre un po’ il momento in cui devo scriverli perché non mi sono mai considerato un poeta e fondamentalmente non ho nulla da dire. Lo so che quest’ultima affermazione può sembrare ridicola ma non sono il tipo di autore che ha un’agenda piena di parole e versi accumulati per anni e dalla quale pescare il testo di una canzone. Non siamo neppure mai stati una band impegnata politicamente e quindi con dei testi di quel tipo, siamo solo persone che si divertono a fare musica. I testi sono sempre la parte più difficile per me. Quando mi vengono delle belle parole è però

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deftones molto eccitante. Solitamente ascolto la musica e mi lascio ispirare da per scrivere il testo. La melodia e il ritmo sono le prime cose che mi catturano e da cui ricavo poi i miei testi. Non è mai capitato ad esempio che una canzone sia stata scritta partendo da un mio testo. Sarebbe bello, so che ad alcuni colleghi capita, ma a me purtroppo no. Quanto sono importanti invece i side-project come Team Sleep e Crosses? C.M.: Sono importanti ma non nel senso che sento il dovere di farli. È solo un modo per tenermi occupato. Quando torno da un tour

“È frustrante ripetere le stesse cose e rimanere intrappolati in una nicchia o legati a una moda”

e sto sei settimane fermo a casa, non posso rimanere seduto tutto il giorno senza fare nulla. Non è qualcosa che devo fare o che ho bisogno di fare, né per una questione di soldi né per dimostrare qualcosa a qualcuno. I side-project sono solo divertimento e se non fosse così non li farei. In una nostra intervista di qualche anno fa parlammo molto di due band che ci stanno particolarmente a cuore come Depeche Mode e Duran Duran. Le ascolti ancora? C.M.: È la mia musica, continuo ad ascoltarla e i Depeche Mode sono tuttora il mio gruppo preferito. E per quanto riguarda i Duran Duran, li stavo proprio ascoltando poco fa. Quando ero ragazzino ero fan di hip hop, del vecchio rap, ma allo stesso tempo amavo le cose elettroniche di gruppi come i Kraftwerk. Quando ho sentito per la prima volta i Depeche Mode, sono rimasto affascinato. Mi ricordavano appunto i Kraftwerk ma con una maggiore melodia e una voce in più. Tornando ai Deftones, state già lavorando a del nuovo materiale? C.M.: No, stiamo solo suonando dal vivo. Quando sarà il momento di pensarci lo faremo. Una cosa positiva degli ultimi due dischi è stato fissarci una data di inizio e di fine lavoro. È un ottimo metodo, ti sprona a lavorare e a mantenere una certa immediatezza. Quando arrivi alla deadline, quello che è fatto è fatto. Tra il vostro pubblico, ai concerti, vedo anche parecchi ragazzini. È una cosa sicuramente salutare… C.M.: Sì, ci sono fan molto giovani che ci seguono dagli ultimi due dischi e per noi è importante. Spesso ci sono ragazzini che vengono a vederci per la prima volta e che erano troppo piccoli all’epoca di “Around the fur” o “White pony”. Vuol dire che la nostra musica riesce ancora ad arrivare alla gente, senza che questa sia della nostra età o fan della prima ora. Apprezziamo questa cosa. Ho letto che al momento non siete interessati a pubblicare “Eros”, il disco che stavate registrando prima del tragico incidente di Chi Cheng. C.M.: Lo pubblicheremo prima o poi ma non ora. Bisogna comunque finirlo, c’è ancora parecchio lavoro da fare. Al momento non ci sentiamo pronti per farlo, ci sono ancora molti ricordi dolorosi per tutti noi. Ma la gente deve poter ascoltare quelle canzoni e quindi lo faremo uscire quando ci sentiremo pronti. A.C.: Molti pensano che il disco sia finito e pronto per essere pubblicato ma non è così. Quando è successo l’incidente, eravamo in piena lavorazione. C.M.: La sera prima ero stato in studio a registrare delle voci e da allora non abbiamo più lavorato a quel disco, né ascoltato più nulla. È tutto congelato. Vorrei chiudere la nostra chiacchierata con un vostro ricordo di Chi, qualcosa di divertente? A.C.: Il suo sorriso, aveva un bel sorriso. Chi era una persona molto divertente. Anche solo ripensare a lui e al suo sorriso mi rende felice. www.deftones.com

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13.11.13 MEDIOLANUM FORUM ASSAGO MILANO WWW.ARCTICMONKEYS.COM

6 DICEMBRE 2013 LIVE CLUB - TREZZO (MI)

7 DICEMBRE 2013

ESTRAGON - BOLOGNA WWW.BIFFYCLYRO.COM

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g n i k r o Wlass s c eroe h

STRIKE ANYWHERE

È

un piacere vedervi di nuovo solcare i palchi europei dopo diverso tempo. Come mai questa lunga pausa dall’attività live? Thomas Barnett (voce): Negli ultimi anni siamo stati colpiti duramente da questa famigerata crisi internazionale, noi siamo dei punk che provengono dalla classe operaia e da una zona particolarmente povera della Virginia e quindi non abbiamo avuto le risorse finanziarie per poter affrontare tour al di fuori dalle nostre parti. Inoltre ci siamo dovuti trovare dei lavori per pagare i conti e abbiamo potuto fare solo qualche sporadico concerto. Insomma non avete fatto la vita da rockstar che solitamente ci si aspetta? T.B.: Le rock star nel punk rock non esistono, per molti è meno che un lavoro e molto più che un hobby. Io vedo la mia attività nella band come una missione che va oltre il lato artistico e questo comporta grossi sacrifici, soprattutto alla nostra età, ma se metto sulla bilancia i lati negativi e quelli positivi, questi ultimi vincono alla stragrande. Il fatto che sia una missione, lo si capisce anche dal fatto che diate grandissima importanza al messaggio, sia nei testi che durante i vostri live? T.B.: Certamente, infatti cerchiamo sempre di creare un legame con il nostro pubblico e riuscire a comunicargli il nostro messaggio. Non mi fraintendere, non voglio inculcare le mie idee a

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nessuno, ma spesso i nostri testi parlano di giustizia sociale, fratellanza e reazione ai problemi quotidiani, ideali che stanno alla base della comunità punk rock da sempre. A proposito di testi e messaggio, tu vieni spesso citato come un grandissimo autore. Hai mai studiato poesia o scritto di professione? T.B.: Mi rende molto orgoglioso che tante persone si ritrovino nei miei testi e apprezzino la maniera in cui io li scriva. All’inizio scrivevo semplicemente delle poesie, poi con l’arrivo della band ho cominciato a metterle in musica e ora le canzoni sono la valvola di sfogo per i miei pensieri. Un tempo sognavo di poter pubblicare dei libri di poesia, ora questo sono sui booklet dei nostri dischi e quindi credo che in una certa maniera ho realizzato questo sogno. Dalla vostra ultima uscita discografica, “Iron front”, è passato diverso tempo. Nonostante le vostre recenti difficoltà, state riuscendo a lavorare a qualcosa di nuovo? T.B.: Molto lentamente ma ci stiamo lavorando. Ormai molti di noi si sono spostati da Richmond e viviamo così tutti sparsi per gli Stati Uniti, provare è quindi difficilissimo ma ci mandiamo materiale via email e ci lavoriamo su singolarmente.


Dopo una pausa di qualche anno, tornano in Europa gli Strike Anywhere, una delle band simbolo della scena hardcore/punk degli anni zero. A parlare con noi c’è il leader Thomas Barnett, a detta di molti uno dei migliori songwriter della sua generazione. Testo & foto Andrea “Canthc” Cantelli

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STRIKE ANYWHERE

“Negli ultimi anni siamo stati colpiti duramente da questa famigerata crisi internazionale, noi siamo dei punk che provengono dalla classe operaia e da una zona particolarmente povera della Virginia…”

Poi, nelle rare occasioni in cui riusciamo a vederci, proviamo ad assemblare le canzoni, è un processo lungo ma siamo ormai a buon punto. Quindi quanto ancora dovremo aspettare per una nuova uscita degli Strike Anywhere? T.B.: Non ti posso dare una scadenza certa, ma credo che entro la fine del 2014 riusciremo a pubblicare qualcosa di nuovo, questo dipenderà anche dal numero dei concerti che faremo e quanto saremo impegnati su altri fronti. La nostra etichetta discografica (Bridge Nine Records, nda) ci sta aspettando e noi non vediamo l’ora di dare un seguito alla nostra discografia.

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Ultimamente avete anche pubblicato un live acustico mentre molti cantanti punk si danno al folk rock… Anche tu percorrerai questa strada? T.B.: Il live acustico è uscito più che altro per una scadenza contrattuale con la nostra etichetta e non avendo ancora pronto il materiale nuovo abbiamo reinterpretato in maniera differente alcune nostre canzoni. L’approccio acustico mi piace, ma solo come alternativa, in caso di concerti all’ultimo minuto o di benefit, ma non credo che intraprenderò mai questo genere di carriera per quanto io apprezzi molto le uscite di miei colleghi come Tim Barry, Dave Hause e Chuck Ragan. Gli anni passano per tutti e una mia domanda ricorrente è questa: che cosa è che ti lega al punk rock e a questa scena dopo tutti questi anni? T.B.: Quest’anno ho compiuto quarant’anni e devo dire che le mie convinzioni sono più forti ora che quanto ne avevo venti. Certi concetti sono assoluti e certe idee immortali e di certo non svaniscono con l’età e non moriranno con noi. Quindi, finché io avrò la forza sarò su un palco a diffondere il mio messaggio. www.strikeanywhere.org


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ZEBRAHEAD Pop punk fino al midollo, con qualche brillante contaminazione, ma senza mai rinnegare il proprio stile: Matty Lewis, cantante e chitarrista degli Zebrahead, ci racconta cose c'è dietro l'ultimo disco, “Call your friends”. Di Arianna Ascione

Q

uesto è il primo disco che fate senza il vostro chitarrista storico, Greg Bergdorf, che ha lasciato la formazione proprio pochi mesi fa. Matty Lewis (voce, chitarra): Greg se n'è andato all'inizio, ma proprio all'inizio, stavamo scrivendo ancora le canzoni. Penso che ci siano due brani nel disco a cui lui ha contribuito. Ma i pezzi hanno subìto diverse riscritture da quando li avevamo scritti con Greg. Quindi la chitarra che possiamo ascoltare è quella di Dan Palmer dei Death By Stereo che è arrivato al suo posto. M.L.: Sì, a parte quelle due canzoni, è tutta opera nostra e di Dan. Se Greg se n'è andato all'inizio del processo di scrittura dei pezzi e tutto questo è avvenuto qualche mese fa, quanto ci è voluto per mettere a punto “Call your friends”? M.L.: Dall'inizio alla fine parliamo di circa 8 mesi di lavoro, più o meno. È stato più un processo di continua scrittura che abbiamo portato avanti una volta finito il disco precedente (“Get nice!”, ndr). Abbiamo solo continuato a scrivere. Greg ha lasciato la band, così abbiamo letto tutti nel comunicato che avete reso pubblico, per stare con la sua famiglia. Avete parlato con lui di questo, prima della sua decisione? M.L.: Ci sono state un paio di volte in cui non è potuto venire con noi in tour e allora ne abbiamo parlato con lui per la prima volta. In quei casi - erano un tour in Europa e uno in Australia avevamo chiamato il nostro amico Dan e siamo riusciti a fare i concerti. È stato allora che abbiamo capito che Dan sarebbe stato il nostro uomo e che Greg non sarebbe riuscito ancora per molto a fare tour.

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ici miei

Ecco quindi com'è arrivato Dan… M.L.: Scegliere Dan è stato facile per noi. Era un nostro grande amico da un paio d'anni ed è un fantastico chitarrista. È stata davvero una soluzione molto, molto semplice. Siete on the road ormai da diversi anni. Guardando indietro, gli anni Novanta sono stati un po' l'epoca d'oro del pop/punk. Uno dei vostri maggiori successi è stato poi "Playmate of the year" nel 2000. Cosa ti ricordi di quel periodo? M.L.: Amico (in originale, “Dude”. L'intervista è stata realizzata via mail, ndr), io riesco a malapena a ricordare la scorsa settimana, non parliamo di 13 anni fa. È quasi come se non fossi stato nemmeno lì! Guardando invece al presente: come sta oggi il punk in generale? M.L.: Io non seguo molto la “scena” punk rock o simili. Noi suoniamo solo musica divertente, veloce e rumorosa. Se ai ragazzi piace, è grandioso, altrimenti va bene lo stesso. Da qualche tempo a questa parte molti gruppi sembrano più interessati al “fashion before passion”, diciamo così… M.L.: Ho notato che un sacco di band sono tutte “fashion before passion”, come dici tu, ma la cosa non mi preoccupa. Se questo è quello che vogliono fare, vadano per la loro strada. Si vestano come dinosauri, non m’interessa. Basta non prendersi troppo sul serio. Il mondo è troppo serio. Guardando al futuro, invece, avete pubblicato recentemente il vostro disco su Spotify. Cosa ne pensate di questo strumento? M.L.: Non so ancora bene come usarlo, personalmente. Ho ancora difficoltà a gestire il mio iTunes. Tuttavia, più persone ascoltano la nostra musica, meglio è, e se questo è un ottimo modo, allora io posso solo dire “hell yeah”.
 E guardando al futuro un po' meno remoto: a ottobre sarete qui in Italia in concerto. M.L.: Sì e ci aspettiamo che un sacco di ragazzi si prendano una pausa dalla loro vita per venire a festeggiare con noi. Vogliamo essere la causa di molti postumi di sbornia, il mattino dopo i nostri show! www.zebrahead.com

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NEW FOUND GLORY Reduci da un’attesissima e acclamatissima apparizione nel nostro Paese, i paladini della new school del pop/punk si preparano all’uscita di un disco dal vivo. Abbiamo scambiato qualche parola con il batterista Cyrus. di Stefano Russo

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A

llora Cyrus, come vanno le cose nell’universo New Found Glory? Cyrus Bolooki (batteria): Beh, siamo appena tornati da un tour europeo conclusosi con il nostro primo concerto in assoluto a Mosca, in Russia. Abbiamo anche tenuto uno show fantastico a Milano di fronte a quei pazzi dei nostri fan italiani! Ora ci stiamo preparando all’uscita del nostro nuovo album dal vivo e del tour che faremo per promuoverne l’uscita. Inoltre, tra pochi giorni gireremo il video di “Connect the dots”, uno dei brani inediti che saranno presenti sul live, e spero davvero che lo possiate vedere molto presto! Parlami un po’ di questo album live… C.B.: Sono felice che tu me lo abbia chiesto! Il nostro nuovo album si chiamerà “Kill it live” e sarà pubblicato il prossimo 8 ottobre da Bridge Nine/Violently Happy Records. Includerà canzoni registrate durante i due show che abbiamo tenuto in un piccolo club nel sud della California e, come ti dicevo, tre brani inediti nuovi di zecca. Sono molto soddisfatto del disco, I brani registrati dal vivo catturano perfettamente l’energia e il divertimento che caratterizzano i nostri concerti, mentre quelli nuovi sono dei classici up-tempo in pieno stile NFG. Il più delle volte la vostra band sembra esattamente la stessa dal 1999: cosa è cambiato dai vostri esordi, ora che siete tutti degli adulti a pieno titolo? Sempre che sia cambiato qualcosa, ovviamente… C.B.: Senza dubbio siamo invecchiati, è una cosa inevitabile, ma in tutta onestà siamo rimasti la stessa band per molti aspetti: siamo sempre noi cinque e continuiamo a metterci la stessa energia e lo stesso impegno ogni santo giorno. Probabilmente siamo diventati un po’ più saggi ed esperti, ma ancora ci divertiamo da morire nel fare ciò che facciamo, esattamente come accadeva dieci anni fa. La speranza è che questo continui ancora per parecchio tempo. Sentite un qualche tipo di pressione o di responsabilità derivante dall’essere diventati una delle più influenti band della cosiddetta scena dei “defenders” del pop/punk? C.B.: Siamo davvero lusingati dall’essere riconosciuti come una delle band che ha creato e influenzato maggiormente il pop/punk. Quando fondammo I New Found Glory, avevamo un solo obiettivo: suonare la musica che amavamo e farla arrivare al più alto numero di persone possible. Con il passare degli anni l’obiettivo non è cambiato, ma ci rendiamo conto che ora molte altre band si ispirano a noi nel tentativo di resistere per così tanto tempo nell’industria musicale. Esattamente come noi, all’epoca, imparammo prendendo esempio dai vari Green Day, Less Than Jake e tutti gli altri, oggi siamo noi a insegnare alle nuove leve come muoversi, come suonare e come assicurarsi che questo possa durare all’interno del folle mondo della musica.

a s e f i d lla

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NEW FOUND GLORY E cosa mi dici dei New Found Glory di oggi? Avete ancora gli stessi riferimenti? C.B.: Ci sono molte band che ci hanno influenzato nel corso degli anni e, individualmente, ognuno di noi ha influenze diverse. Ma, come gruppo, se devo sceglierne una, ti dico i Green Day. La loro musica ha ispirato noi e tantissimi altri gruppi pop/punk, e il fatto che dopo tutti questi anni siano ancora una delle più importanti band al mondo è un grande esempio per noi di come continuare a fare musica ancora per molto tempo. Come siete arrivati alla decisione di lasciare la Epitaph? C.B.: È stata in realtà una scelta consensuale. Non c’è stato nessun tipo di tensione o litigi. Era tempo per entrambi di continuare per la propria strada e siamo felici di lavorare ora con i ragazzi della Bridge Nine e della Violently Happy Records. La Bridge Nine è un’etichetta che conosce e capisce molto profondamente la scena di cui facciamo parte e, più in generale, questo genere di musica, quindi credo che ci calzi a pennello. Per l’uscita di “Kill it live” stanno organizzando un sacco di cose esaltanti come vinili e magliette in edizione limitata, pre-ordini speciali... Questo è esattamente quello che un sacco di persone che seguono noi e la nostra scena da diversi anni desiderano; e con questi ragazzi possiamo finalmente offrirglielo.

dal vivo. Per noi fu fantastico vederlo con i nostri occhi quando proprio Chris (Carrabba, ndr) iniziò a ottenere successo con i Dashboard e fece alcuni tour con noi, anche se suonava solo 15 minuti e appena dopo l’apertura delle porte. Siamo molto felici e orgogliosi del fatto che il nostro pubblico canti praticamente tutte le nostre canzoni durante i live, ma con questo tipo di musica sembra proprio che tutti stiano “urlando” ogni singola parola di ogni singolo brano, entrando in contatto con chi sta sul palco. Ad ogni modo, nonostante I NFG abbiano suonato e scritto alcuni brani in acustico, non penso proprio che qualcuno di noi finirà con l’intraprendere una carriera acustica. La verità è che tutti noi amiamo troppo avere delle chitarre

elettriche distorte nella nostra musica! Prima di salutarci proviamo a fare un giochino! Sei il promoter di un festival enorme, mettiamo una cosa stile Reading o Rock Am Ring, e hai la possibilità di inserire nel bill qualsiasi band esistente: dimmi le prime 10 band che chiameresti! C.B.: Wow, questa è difficile! Facciamo così, ti faccio la mia top 10 delle band da festival, che è un po’ la stessa cosa! In nessun ordine particolare: Green Day, Rolling Stones, Metallica, U2, Deftones, 311, Bad Religion, NOFX, Korn e ovviamente i New Found Glory! www.newfoundglory.com

Pare proprio che suonare cover vi diverta ancora molto. Com’è nata l’idea dell’EP di cover dei Ramones? Ci sono altre band che vi piacerebbe omaggiare in questo modo? C.B.: L’idea del disco di cover dei Ramones è nata qualche anno fa, dopo che ci chiesero di suonare assieme a Marky Ramone un intero set di loro brani al Bamboozle Festival. Ci siamo divertiti talmente tanto nell’imparare quelle canzoni e nel suonarle dal vivo che alla fine abbiamo deciso di registrarne una manciata appena ne abbiamo avuto il tempo. Abbiamo suonato anche molte cover dei Green Day nel passato, anche se non abbiamo mai registrato nulla, e anche parecchie canzoni tratte da colonne sonore di film (pubblicate nei due EP “From the screen to your stereo”, ndr). Al momento, l’uscita di un nuovo album di cover non è nei nostri piani, ma sono certo che in futuro accadrà nuovamente. L’anno scorso abbiamo pubblicato un disco di cover di classici natalizi che includeva anche un nostro inedito e un’altra vecchia canzone sul medesimo tema. Ce ne usciamo molto spesso con queste cose, come avrete capito, quindi è solo questione di tempo. Avete appena suonato a Reading e Leeds, condividendo il palco con Frank Turner. Cosa pensate di tutta la nuova scena acustica derivante dal mondo del punk rock? Avete mai pensato di sperimentare qualcosa del genere, se non addirittura una carriera solista di quel tipo? C.B.: Credo che questa nuova scena acustica sia fantastica, specialmente per il fatto che molti di loro hanno iniziato la loro carriera in band punk rock o addirittura ne fanno ancora parte. Con artisti come Frank Turner o i Dashboard Confessional puoi davvero capire quanto il testo sia importante non solo per la canzone in sé, ma anche per chi la ascolta. C’è un particolare tipo di connessione che questi artisti riescono a instaurare con il loro pubblico quando suonano

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“Oggi siamo noi a insegnare alle nuove leve come muoversi, come suonare e come assicurarsi che questo possa durare all’interno del folle mondo della musica”


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DISCO DEL MESE

NINE INCH NAILS

"Hesitation marks" (Universal) ★★★★

Abbassate le luci. Recuperate le “cuffie buone” e indossatele. E ora... che “play” sia. “Hesitation marks” è da ascoltare così, in un esclusivo rapporto tra noi stessi e le note, in modo da apprezzare appieno il caleidoscopio di sfumature che anche questa volta Trent Reznor e i suoi Nine Inch Nails hanno avuto la generosità di elargire al mondo. Lo so che è preoccupante segno di vecchiaia citare se stessi, e citare una citazione è forse da malati terminali di egocentrismo... ma è d’obbligo sottolineare che Trent Reznor è sempre un passo avanti al resto dell’universo rock e questo album che arriva dopo 5 anni di silenzio discografico è

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l’ottavo indizio di superiorità. E se già solo due indizi fanno una prova... “Hesitation marks” è quasi imbarazzante se paragonato al resto del rock attuale (più o meno duro che sia, più o meno commerciale vi piaccia), pur senza una decisa innovazione rispetto al resto della discografia marchiata NIN. È realmente un disco in fuga dal gruppo, oltre nel vero senso della parola, è musica come vorrei si potesse ascoltare più spesso da queste parti. Ma forse è pura illusione da una industria discografica sempre più in difficoltà e sempre più vuota di idee. Sin dalla prima traccia “Copy of a” è palese la caratteristica principale di questo album, che non ho dubbi

recen si farà amare incondizionatamente da tutti i fan là fuori. Ennesima evoluzione ma non rivoluzione, canzoni dannatamente perfette e al contempo assolutamente riconoscibili/familiari. Perché “The downward spiral” o “Pretty hate machine” sono e saranno pietre miliari del rock per sempre e non è un salto mortale carpiato quello che Trent può o vuole concedersi nel 2013. La musica scorre fluida e incredibilmente organica in queste 14 tracce, tanto che più volte ho l’impressione che questo sia il classico album da tutto o niente. Ci mancherebbe, il signor Reznor è compositore di livello assoluto e, al contrario di certi musicisti intellettuali che grazie a un po’ di successo giocano a fare i geni incompresi e incomprensibili (a chi mi riferisco? Fate vobis, c’è l’imbarazzo della scelta...), le canzoni rimangono melodiche e fruibili dal pubblico anche come singoli. Ma la vera goduria musicale, lasciatemelo dire, è prendersi il tempo che serve e ascoltare l’album nella sua splendida totalità. È solo così che il livello di “Hesitation marks” da ottimo si innalza ad assoluto,

uno dei pochi casi del rock in cui il tutto è di gran lunga superiore alla somma delle singole parti. Sono certo che qualche critico con (tanta) puzza sotto il naso vorrà additare come tradimento il ritorno di Trent Reznor a una major, dopo il periodo in cui diffusione internet gratuita e autoproduzione sono state le parole d’ordine per i Nine Inch Nails. Sarà... Io penso invece che l’arte debba avere un giusto valore ed è libertà dell’artista stabilirlo. E che la musica la si debba giudicare per le emozioni che ci trasmette e non da come viene commercializzata. Luca Nobili


nsioni CROSSFAITH “Apocalyze” (Sony)

★★★★

Dichiarazione di intenti per i giapponesi Crossfaith che con “Apocalyze” (terza prova) ostentano un valore ora difficile da confutare. A differenza di molti (e validi) connazionali, la scelta di cantare in inglese ha velocizzato l’espatrio e questo non può che farci piacere. Dance, metal, metalcore, nu rock e dubstep (non pensate agli ultimi Korn, qui l’amalgama è di tutt’altra levatura): una formula oggi non più così inusuale e, purtroppo, ancora condannata. Perché poi? Ben vengano le contaminazioni, soprattutto se di ottima fattura

come in questo caso. Brutali e veloci passaggi si alternano a intermezzi dance, mentre costrutti moderni e articolati fanno da cornice a un album a cui la definizione “nu” inizia a stare stretta. Michele Zonelli

DEVILDRIVER “Winter kills” (Napalm Records)

★★★

Sesto album per la band californiana che dimostra di resistere bene al divorzio dalla Roadrunner dopo 8 anni di sodalizio artistico. I DevilDriver mettono in campo anche in questo “Winter kills” la consueta solidità e compattezza che vi arriva come un

THE DEVIL WEARS PRADA “8:18”

(Roadrunner/Warner)

★★★★

Una band in rapida ascesa commerciale e artistica i The Devil Wears Prada, nonostante un moniker che ricorda a chiunque un film con Maryl Streep più che un gruppo rock... e l’etichetta di christian band che non è mai stato un aiuto per chi suona metal! Ma onore al merito, i TDWP sono tra quel pugno di giovani band che “ce la sta facendo” partendo dalla gavetta, e se sapranno gestirsi bene possono puntare a un buon futuro davanti a sé. Magari anche dopo che il fenomeno del metalcore urlato si sgonfierà, come è fisiologico succeda prima o poi. “8:18” (sono ignorantissimo sull’argomento, ma suppongo sia riferito a un versetto della Bibbia) è un bel passo avanti per il quintetto dell’Ohio, che rimane sì nel seminato di un metalcore melodico non particolarmente originale ma riesce a portare al “livello successivo” la band. Il tutto grazie a una abilità non comune nel comporre canzoni che coniugano aggressione, melodia e grande groove. In questo senso, l’opener “Gloom”, “Martyrs” e “Home for grave” sono ottime sintesi di quello di cui è capace il gruppo. Luca Nobili

nu rock pugno in faccia e non vi lascia per tutte le tracce. Ritmiche incalzanti, chitarre incendiarie e drumming poderoso per un’esposizione di ferocia totale e senza respiro. Dez Fafara si dimostra ancora una volta un vocalist perfetto, in grado di interpretare e amplificare con i suoi vocals le ritmiche galoppanti dell’album. Questa è la prova che i DevilDriver possono essere, canzone dopo canzone, più veloci, più forti e più rumorosi. Forse un po’ più di dinamicità avrebbe giovato, ma in definitiva “Winter kills” è un’iniezione di metal allo stato puro e senza compromessi. Sharon Debussy

ELYNE

“Syncretism”

(THIS IS CORE MUSIC)

★★★

A meno di un anno dalla loro nascita, gli Elyne hanno già avuto modo di confrontarsi dal vivo con una band come gli Architects, ben figurando. Oggi, per il combo ravennate giunge il momento di fare sul serio e “Syncretism” è la risposta che ci aspettavamo. Un EP dai tratti tipicamente post-hardcore e molto in linea con ciò che va per la maggiore Oltreoceano (prendete come riferimento il roster di Basick Records per farvi un’idea rapida sulla loro proposta), fatto di melodie ben congeniate ed episodi più heavy oriented. Un EP è sicuramente poca roba per decretare la validità di una band, ma sicuramente siamo di fronte a un buon inizio su cui strutturare un solido futuro. Avanti così ragazzi! Giorgio Basso

GEMINI SYNDROME “Lux”

(Warner)

★★★ Lo ammetto: non conoscevo i Gemini Syndrome e sono felice di aver colmato questa lacuna. Come da copione, una preliminare ricerca in Rete è d’obbligo... a colpire: l’eterogeneità riscontrata nei classici “sounds like”, eterogeneità che trova conferma nell’ottimo “Lux”. Si va dai Mudvayne (“Basement”) agli A Perfect Circle (“Mourning star”, “Left of me”), passando per i vari Godsmack e Five Finger Death Punch. Indovinate melodie, aperture metal e linee vocali di pregevole fattura e interpretazione dominano la scena, a favore di una formula che limita a

semplici punti di riferimento le citate assonanze creando una sorta di personale amalgama metal/nu metal/alternative rock. Come detto: una piacevole e gradita sorpresa. Piero Ruffolo

THE DEFILED “Daggers” (Nuclear Blast)

★★★★ Recensire dischi ogni tanto regala qualche bella sorpresa e per questo numero direi che la mia personale palma di “manonmel’aspettavo!” la vincono i britannici Defiled con il nuovo “Daggers”, disco che succede al debutto un po’ anonimo di due anni fa. È stato piacevole ascoltare metalcore di quello che va attualmente di moda (Asking Alexandria, While She Sleeps e compagnia), inzuppato per bene in quel suono industrial che affonda le radici nei mai troppo considerati nineties: echi di Fear Factory, Nailbomb, Skrew (chi li ricorda?) o Nine Inch Nails periodo “Broken” sono infatti ben percepibili e percepiti da chi, come il sottoscritto, quella stagione del rock duro l’ha amata e non poco. Una rivisitazione dell’attuale metalcore in salsa tecno-industrial-retrò mancava e canzoni quali il singolo “Sleeper” e la tagliente “As I drown” potrebbero far fare il salto di qualità ai nostri eroi. Finger crossed! Luca Nobili

THE ONGOING CONCEPT “Saloon” (Solid State)

★★★★ Originale, divertente e fresca: questa la proposta “metalcore” (il virgolettato in questo caso è d’obbligo) degli Ongoing Concept. La citata etichetta perde presto significato donando alla scuola molto più di quanto siamo soliti pensare. Dunque, prendete stacchi e sonorità tipiche del genere, unite lo stile promosso da Maylene And The Sons Of Disaster (“You are the one”, “Little situation”) e The Chariot e avrete così un’idea di quanto contenuto in “Saloon”. Le sole “Cover girl” e “Class of twenty-ten” valgono l’intero pacchetto: violente, innovative, melodiche e dal vago sapore southern. Sebbene non privo di sbavature (punto debole i passaggi più emozionali), questo disco sorprende per composizione, idee e intepretazione. Michele Zonelli

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ROCK/POP

65DAYSOFSTATIC “Wild light”

(Superball Records)

ARMY OF THE UNIVERSE

“The hipster sacrifice”

★★★

(Metropolis)

Non sono io per primo un fan del rock strumentale, capisco quindi chi a solo sentirne parlare ha attacchi di orticaria: in molti casi ci si ritrova ad ascoltare l’espressione sonora di un ego smisurato, cosa di cui francamente si può fare a meno. Per chi ha voglia di mettersi alla prova assicuro che i 65daysofstatic potrebbero riuscire a incrinare la suddetta convinzione. “Wild light” è infatti un disco assolutamente bello e piacevole, rock progressivo strumentale che si fonde perfettamente con l’elettronica, senza risultare né noioso né stucchevole. Se conoscete la colonna sonora di “Social network” del sommo Trent Reznor, non siete lontani dalle sensazioni che queste otto tracce possono regalare. E non è davvero poco. Luca Nobili

★★★

recen

Il divertente titolo di questo disco potrebbe essere già un motivo sufficiente per avvicinarsi a questo secondo lavoro dei milanesi Army Of The Universe. Poi, se nella line-up compare il nome di un certo Chris Vrenna alla batteria, personaggio che è stato per anni a contatto con Trent Reznor dei Nine Inch Nails, allora la curiosità cresce a dismisura. Il gruppo propone un disco che alterna momenti di pop sintetico (“In another place”, “A visionary story””) ad altri decisamente più energici, ruvidi e di matrice più industrial-rock (“Pretty unconsciousness”, “Break the walls”). Sono ovviamente questi ultimi che preferiamo, perché regalano quella buona dose di potenza che non guasta mai. Ottimo infine il cantato in inglese,

che ricorda in alcuni momenti un certo Jonathan Davis. Un'ottima band alla quale auguriamo una valida carriera. Piero Ruffolo

DE STAAT “I_Con”

(Cool Green Recordings/Mascot)

★★★

Limitate (ma non abbandonate, come dimostra “Witch doctor”) le atmosfere groove oriented del precedente “Machinery”, i De Staat presentano un disco dalle molte facce, piacevole e ricco di sfumature. Alla base del progetto, la volontà di integrare quante più assonanze possibili, con un occhio di riguardo per synth sci-fi e reminiscenze anni 80. Rock sporco ed emozionale (“Devil’s blood”) per la formazione olandese che riesce a riportare in voga quanto descritto senza essere datata o fuori luogo. Non mancano moderni ritmi tribali (“Refugee”) e cavalcate psyche-

deliche (“Make way for the pessenger”). Ogni brano riserva qualche sorpresa e terminato l’ascolto non resta che tornare sui propri passi pervasi da un senso di inattesa soddisfazione. Piero Ruffolo

FRANZ FERDINAND

“Right thoughts, right words, right action” (Domino/Self)

★★★

Tornano gli autori di quel tormentone chiamato “Take me out” uscito già 9 anni fa e lo fanno con un quarto disco che ripropone la solita, funzionante, ricetta. “Right thoughts, right words, right action” racchiude quindi una serie di motivetti gradevoli dalle melodie trascinanti e a base di chitarre che azzeccano sempre il riff giusto, semplice ed efficace (il singolo “Right action” col suo ritornello martellante). Ai quattro scozzesi basta davvero poco per fare centro, senza neppure perdere troppo tempo a filosofeggiare con testi complessi. E dopo il poco entusiasmante precedente album (Tonight: Franz Ferdinand”), si rifanno oggi con canzoni come “Evil eye”, “Love illumination”, “Bullet” o ancora “Stand on the horizon”, brani che potevano benissimo stare sui loro primi due dischi. Nessuno probabilmente se ne lamenterà. Silvia Richichi

KODALINE

“In a perfect world” (RCA/Sony)

★★

ARCTIC MONKEYS “AM”

(Domino/Self)

★★★★

Gli Arctic Monkeys sono secondo il sottoscritto l’ultimo grande gruppo rock inglese e, in attesa di eventuali degni successori, ci gustiamo la loro ultima e quinta fatica. Che fossero una band destinata a lasciare il segno lo si era capito subito con l’album d’esordio “Whatever people say I am, that's what I'm not” e quella manciata di canzoni che mettevano in luce la scrittura del frontman Alex Turner. Brani, come quelli del secondo “Favourite worst nightmare”, che avevano quel fascino tutto british nel raccontare le piccole storie di quattro kids di Sheffield. Nel frattempo i ragazzini sono cresciuti, hanno scoperto l’America e incrociato altri musicisti, (Josh Homme dei Queens Of The Stone Age

50 RockNow

in primis) e di conseguenza la loro musica è diventata più sperimentale, a tratti psichedelica (“Humbug” e “Suck it and see”). Il nuovo “AM”, registrato a Los Angeles, fa centro al primo ascolto, con una “Do I wanna know” che apre le danze con un riff sporco e un falsetto irresistibile. E poi a seguire “R U mine”, “One for the road”, semplicemente ottime, come lo sono tra l’altro anche “N°1 party anthem” (struggente ballata al pianoforte, contrariamente a quello che potrebbe lasciare supporre il titolo), “Why’d you only called me when you’re high?” e “Arabella”. Un grande disco rock sospeso tra Inghilterra e Stati Uniti. Daniel C. Marcoccia

Se fossero un cocktail, i Kodaline sarebbero due parti di Coldplay, una di Keane, una di Starsailor, con una spruzzata di Turin Brakes. Sono la classica guitar band che guida sulle strade già battute delle melodie romantiche, malinconiche, sorrette da una voce a tratti strappalacrime che sdogana testi semplici e universali. Il problema è che il genere è già stato portato al successo da qualcuno che è riuscito a farlo molto meglio di loro e molto prima. Se non vuoi sembrare il brutto clone dei tuoi predecessori, devi avere davvero qualcosa di buono da raccontare. Ma non mi sembra questo il caso. Manca la personalità che rende unico il sound di una band e al di là di qualche melodia accattivante, non c’è nulla di davvero di sorprendente, perché tutto sembra


nsioni ““Le Chevalier”

farà godere i primi fan. Ma è “La tua giornata magnifica”, forse, il pezzo simbolo di questa nuova accecante luce. Nico D’Aversa

★★★

NAFOI

già scritto. Un po’ noiosi. Sharon Debussy

LE CHEVALIER

(Autoproduzione)

Chi si nascondo dietro a questo “cavaliere” è un mistero e ci vorrà un bel po’ di tempo prima di svelarlo. Fatto sta che questa band misteriosa ha da poco realizzato un EP capace di meritare tutta la nostra attenzione. Le Chevalier ci propone un pop/ rock venato di punk, parecchio melodico e accattivante, nonché di chiaro stampo californiano. Il singolo “Summer song” è in questo senso l’esempio più lampante, una canzone spensierata e solare che riflette bene il suo titolo, mentre “End of line” apre il disco in maniera poco consueta e lenta con solo piano e voci (e un synth che entra a pochi secondi dalla fine). “Six hundred miles” è decisamente più ritmata e flirta con le sonorità tipiche dei Blink 182 (piacerebbe sicuramente anche a Travis, Mark e Tom). Più rock, invece, la chiusura con “The grace”. Da scoprire (in tutti i sensi). Piero Rufolo

MARLENE KUNTZ

“Spazio elettrico leggero” (Orquestra Records)

★★★

È passato ormai qualche anno dal debutto della band elettro-rock pavese, tanto che chi aveva apprezzato l’ottimo disco d’esordio iniziava a temere che il gruppo si fosse arenato nel desolante panorama musicale indipendente italiano. Niente di più sbagliato, visto che “Spazio elettrico leggero” non solo contiene tutti gli elementi della musica dei NaFoi, ma ci riconsegna allo stesso tempo una band molto più matura e convinta dei propri mezzi. I meriti vanno sicuramente condivisi tra una produzione finalmente all’altezza (una delle pecche del primo album), e una freschezza compositiva forse aiutata anche dall’utilizzo di una batteria vera e propria al posto di una semplice drum machine come in passato. Insomma, se amate il rock elettronico, i NaFoi sono il gruppo che fa per voi. Luca Garrò

“Nella tua luce”

BABYSHAMBLES

★★★★

(Parlophone/Warner)

(Columbia/Sony Music)

Con “Ricoveri virtuali” i Marlene hanno ripreso il cammino dell’alternative rock italiano, reazione (forse furibonda) a chi li accusava di essersi rammolliti. Oggi quest’esigenza è venuta meno e assieme all’ira è spuntato un nuovo bagliore. Un disco che propone il meglio delle due anime della band, rabbia e introspezione, che convivono senza pestarsi i piedi. E al centro di questo affresco non può che esserci la figura femminile, dalla ninfa Clizia invocata a dare ispirazione nella title-track ad “Adele”, vittima del femminicidio, passando per una “Seduzione” in chiave rock e per “Osja, amore mio”, soffice dedica alla moglie del poeta russo Osip Mandel'štam condannato a morte. Riferimenti letterari presenti anche nel fantastico e “autoreferenziale” singolo “Il genio (l’importanza di essere Oscar Wilde)”, quasi a comprovare una straordinaria cura dei testi, sublimi come non mai. “Catastrofe” affronta l’attualità e come d’improvviso si possa scivolare nella miseria. “Senza rete” ha un’attitudine sonica che

ROCK/POP

“Sequel to the prequel”

★★★

Terzo album che molti ormai avevano smesso di aspettare, “Sequel to the prequel” ci rassicura invece sullo stato di salute di Pete Doherty. Parliamo ovviamente di salute artistica, visto che quella fisica è sempre un’incognita quando si ha a che fare con personaggi come il musicista inglese (comunque ben supportato qui dal bassista Drew McConnell). Le canzoni appaiono fin dal primo ascolto solide e ricche della solita affascinante poetica dell’ex Libertines, riportandoci così in un universo musicale ben noto e fatto di melodie splendide fin dai primi accordi (“Nothing comes to nothing”, “Fall from grace”, “Seven shades of nothing” o ancora l’intima “Picture me in the hospital”). La copertina è firmata dal noto artista Damien Hirst, partendo da una foto scattata dall’altrettanto famosa Penny Smith (la foto di “London calling” dei Clash è sua, per intenderci). Bentornato. Piero Ruffolo

RockNow 51


METAL

recen

“Savages”

AVENGED SEVENFOLD

★★★

(Warner)

SOULFLY (Nuclear Blast)

Poche speranze per chi avrà intenzione di avventurarsi nel nuovo (e nono) lavoro di Max Cavalera e i suoi Soulfly! “Savages” è disco cupo, ossessivo, dai testi impregnati di pessimismo nei confronti della razza umana. Insomma, nessuno spazio per melodia e scanzonato svago. O se preferite vedere il bicchiere mezzo vuoto, “i soliti Soulfly e il solito Cavalera”. Già, nulla è rivoluzionato rispetto agli ultimi lavori della band e dubito che qualcuno dei fan se ne lamenterà troppo. Uniche novità degne di nota possono essere la produzione di Terry Date (un must, lasciatemelo dire), una rinata passione per le strutture musicali dei sempiterni Black Sabbath e il death/thrash metal di album quali “Omen” ed “Enslaved” che ogni tanto lascia spazio a riff dal groove trascinante, di quelli dei tempi in cui Max era il leader dei Sepultura e urlava “Roots bloody roots”. Luca Nobili

HUMAN IMPROVEMENT PROCESS “Deafening dissonant millennium” (Memorial Records)

★★★★

Dopo un primo lavoro passato in sordina, gli Human Improvement Process arrivano all’esordio discografico con “Deafening dissonant millennium”. La crescita di questa band emiliana è impressionante (d’altronde stiamo parlando di musicisti tecnicamente molto bravi), così come il risultato finale: un disco di tech-death metal di altissimo livello. Un combo decisamente affiatato che ci regala un disco veloce e brutale quanto basta per amarlo al primo ascolto. Ogni brano segue una scia ben precisa, ricordando a tratti Between The Buried And Me e primi Tesseract, per quel che riguarda l’aspetto strumentale. Grafiche da urlo e digipack rendono poi questo “Deafening dissonant millennium” un album da avere nella propria collezione, specie se si è alla ricerca di tecnica strumentale sublime e ferocia. Piero Ruffolo

52 RockNow

"“Hail to the king”

★★★★

La band di Huntington Beach, ormai popolarissima in tutto il mondo, si ripresenta con un nuovo disco che ancora una volta sembra ridefinirne il suono. Infatti, abbandonate ben presto le sonorità metalcore degli esordi, in questi ultimi anni gli A7X hanno lasciato emergere influenze più hard rock e heavy (con i Guns N’ Roses in testa). Con “Hail to the king”, il discorso non cambia ma, anzi, si amplifica con il taglio decisamente heavy metal di queste nuove canzoni. Il riferimento più immediato sono i Metallica del “black album” e arriva fin dalla title-track (“This means war” ha invece qualcosa di “Sad but true”) mentre “Shepherd of fire” potrebbe piacere ai fan di Iron Maiden e Helloween. Ottime tracce ma il meglio deve arrivare con “Doing time” (qui siamo nei territori dei GN’R più furiosi) e la splendida ballata “Crimson day”, due brani in cui emerge tutta la bravura di M Shadows e la duttilità della sua voce. Ma non è finito perché il meglio deve ancora arrivare con le due tracce poste in chiusura, “Planets” e “Acid rain”, tra cambi di tempo, assoli, cavalcate epiche e aperture melodiche. E tutto questo suona maledettamente bene e potente. Daniel C. Marcoccia

SATYRICON

DREAM THEATER

SAWTHIS

(Roadrunner/Warner)

(Roadrunner/Warner)

(Bakerteam Records)

"Satyricon"

★★★★

L’oscuro duo Satyr&Frost, unici componenti veri e propri dietro al moniker Satyricon, riescono ancora a sorprendere. Tra i pochi(ssimi) a potersi fregiare del titolo di padri del black metal norvegese, con l’ottavo e omonimo album rimescolano per l’ennesima volta le carte e ci regalano un’altra e diversa interpretazione di metal estremo. Lontani, lontanissimi i ritmi veloci e le chitarre “a zanzara” che segnano i canoni del genere black metal più canonico: in “Satyricon” l’oscurità e la cattiveria (musicale!) della band si esprime con atmosfere cupe e a tratti melodiche, tanto che canzoni quali “Phoenix” piuttosto che “Nekrohaven” faranno sicuramente scandalizzare i fan della prima ora. Un disco complesso ma affascinante, da gustare con il giusto mood e nel giusto contesto. Ad esempio, non in una calda giornata di sole... Luca Nobili

“Dream Theater”

★★★

Dover scrivere la recensione del qui presente dodicesimo album in studio dei Dream Theater mi ha messo non po’ in difficoltà. Se giudicare musicisti così preparati e una band di questo peso nel genere prog è già complicato di per sé, nel caso specifico lo è anche di più causa la fiacca impressione che ho ricavato dalle nuove canzoni. Sarà che Mike Portnoy è sempre stato l’anima più rock e “grezza” dei DT e la sua mancanza si sente, sarà che non tutte le ciambelle riescono col buco, ma “Dream Theater” non riesce né a stupirmi né a emozionarmi. Mi sembra il compitino ben fatto da un alunno tecnicamente preparato ma di scarsa immaginazione, non un disco che possa reggere al cospetto di pietre miliari come “Images and words”, “Awake” piuttosto che “Metropolis pt. 2”. Per fan, ma non imprescindibile. Luca Nobili

“Youniverse”

★★★

Terzo disco per gli abruzzesi Sawthis (in passato “Sothis”), che si confermano tra gli interpreti migliori della scena modern-thrash tricolore. “Youniverse” è un album ben suonato, prodotto e scritto, che pesca a piene mani e senza timore sia dal thrash metal più classico (Megadeth, Slayer, Metallica) che dal il suono più moderno e attuale dei vari Meshuggah, Machine Head, Mudvayne, Hellyeah... e a tratti anche dai suoni più sintetici e freddi cari ai Fear Factory. Quello che probabilmente manca ancora ai Sawthis per il finale e definitivo salto di qualità è la ricerca di soluzioni un po’ più personali, riconoscibili insomma come “Sawthis-only. A quel punto potranno puntare davvero in alto. Luca Nobili


nsioni ANDEAD

“Build not burn” (Rude Records)

★★★

Distruggere è fin troppo facile: lo sappiamo bene, dato che lo sport preferito di questo sgangherato Paese è da sempre l'attacco. Il punk rock ha tutte le caratteristiche per sradicare questa brutta abitudine insita nel nostro Dna, da genere in cui le convenzioni dovrebbero essere ferocemente bandite. Basta così poco per costruire qualcosa, di bello, per tutti, e il messaggio dell'ultimo lavoro degli Andead è proprio racchiuso in questo presupposto. Da notare a livello musicale un miglioramento nella costruzione dei brani e delle linee vocali rispetto ai dischi precedenti, più solida e convincente. Un disco punk rock, fatto, come sempre, con il cuore. Punto. Arianna Ascione

DOWN TO NOTHING “Life on the james” (Revelation)

★★★ Capiamoci: questo quintetto dichiaratamente straight edge di Richmond, al debutto sulla rispettatissima Revelation, non è una band pessima. Anzi, all’interno di quel piccolo microcosmo fatto di breakdown e X sulle mani sembrano essere una delle proposte più apprezzate degli ultimi anni. Se però parliamo prettamente dell’aspetto musicale (e, in quanto rivista trattante tale argomento, si presume che si sia qui per parlare solo di quello), dietro delle chitarrone tanto grosse e distorte quanto fredde e plasticose troviamo molti cliché ben riprodotti ma, sfortunatamente, non molto talento nel songwriting. I fan del genere saranno probabilmente soddisfatti, ma non credo che qualcuno griderà al miracolo. Stefano Russo

facile, verrebbe da pensare, se inoltre il premuroso papino ci mette pure nome e faccia e ti produce il disco. Il risultato, però, è tutt’altro che da buttare e si fa ascoltare piuttosto volentieri dai fan dei tre accordi più melodici, anche se solo il tempo dirà se di effettivo valore artistico trattasi. Ah, dimenticavo: l’album è pubblicato dalla Adeline Records, label gestita da Billie Joe e dalla moglie Adrienne. Quando si dice affari di famiglia. Stefano Russo

RISE AGAINST

“Long forgotten songs: B-sides & covers 2000-2013” (Interscope/Universal)

★★★

Nuova raccolta di vecchi pezzi. I Rise Against sfornano una compilation di b-side, cover e pezzi usciti solo su compilation e colonne sonore. Fa piacere riscoprire brani come “Nervous breakdown (cover dei Black Flag presente nel film “Lords Of Dogtown”), “Join the ranks” (b-side del primo disco "The unraveling") e “Dirt and roses (già nella colonna sonora di “The Avengers”). La qualità delle registrazioni è in linea coi vari periodi (2000-2013) ma la sostanza

PUNK/HC non cambia. Velocità, melodia, testi mai banali, tra le cose che hanno reso grande questa band. Nulla di nuovo ma da avere comunque!!! Michele Fenu

THE FILAMENTS “Your God is a lie” (This Is Core Music)

possibile trovare punk/hc, Oi! e una manciata di ritmi in levare. Consigliato a tutti coloro che sentono ancora oggi la mancanza di manifestazioni come il “TVOR”. Andrea Rock

VAULT 13

“Lost at seventeen”

★★★★

(Adeline Records)

Con immenso piacere mi riavvicino a un po' di sano punk inglese grazie all'ultimo lavoro dei Filaments. La band dell'Essex pubblica “Land of lions” dopo una lunga pausa dovuta al temporaneo trasferimento all'estero del cantante Jon Fawkes. In loro è facile ritrovare tutto quello che amate del punk made in UK: dai brani più tirati alla Cock Sparrer (“The warren”) a quelli più influenzati da Clash e Specials (“Tomlinson's ghost” & “Insult to injury”, a mio parere i migliori su disco). L'album suona bene, ma trasuda di quella “attitude” sporca e allo stesso tempo quasi nostalgica dovuta al forte accento cockney di Fawkes e alla sessione di fiati, il cui sound ricorda i primi lavori degli Against All Authority e dei mai dimenticati Link 80 (R.I.P.). Riassumendo, in questo nuovo capitolo della loro discografia è

★★★

Continua senza sosta la fase di crescita dei veneti Vault 13, band attiva dal 2007 e che arriva oggi alla pubblicazione di questo nuovo EP intitolato “Your God is a lie”. Il sound dei nostri si è fatto più diretto e intraprendente, segno che gli show tenuti sul suolo europeo hanno dato i propri frutti, dando consistenza e sicurezza all’intero progetto. Il loro è un mix tra punk-rock vecchia scuola e sonorità moderne, qualcosa che catturerà l’attenzione di giovani e nostalgici. Prodotto da Maurizio Baggio degli Hate Studio, “Your God is a lie” è la classica produzione da gustarsi senza troppe remore, semplice ed efficace. Avanti così Vault 13! Giorgio Basso

THE FLATLINERS “Dead language” (Fat Wreck Chords)

★★★★

EMILY’S ARMY “Lost at seventeen” (Adeline Records)

★★★

Gli Emily’s Army sono un giovanissimo quartetto pop/punk che vede dietro le pelli tale Joey Armstrong, primogenito di un certo Billie Joe e motivo principale dell’inusuale mole di attenzione rivolta a una band di teenager come ce ne sono tante. Facile, direte voi, quando tuo padre è una rockstar planetaria. Ancora più

A tre anni dal meraviglioso “Cavalcade”, uno dei migliori dischi punk rock degli ultimi anni, i Flatliners tornano con questo quarto, attesissimo, album. I canadesi di casa Fat Wreck, che nel frattempo hanno superato i 10 anni di attività, hanno speso buona parte del tempo intercorso tra i loro ultimi due lavori in tour (passando diverse volte anche dall’Italia) e probabilmente questa intensa attività live ha avuto il suo peso nella definizione del sound di questo “Dead language”: semplice, diretto, energico e sporco quanto basta. Il songwriting di Chris Cresswell mantiene un livello qualitativo altissimo e continua per la strada tracciata dal precedente disco, eliminando ormai del tutto i già sporadici episodi che andavano a flirtare con le chitarre in levare e preferendo dare nuovamente spazio a influenze più classic rock che rimandano ai primi Gaslight Anthem. Senza troppi giri di parole, uno dei più probabili candidati al titolo di disco dell’anno e, spero, la consacrazione definitiva di questa band strepitosa. Fossi in voi, qualora non foste già fan, rimedierei molto in fretta e non me li perderei dal vivo il prossimo autunno. Stefano Russo

RockNow 53


THE LINE

X

In collaborazione con Extreme Playlist

Come ogni anno a Los Angeles si svolgono gli XGames, il tanto atteso evento Americano che da sempre dà una svolta alla scena Action Sport. Di Markino – Foto: XXX (mando l’impaginato a Markino)

SUMMER GAMES

54 RockNow


Fantastica tappa di chiusura, che oltre ad avere un sacco di spettatori da tutto il mondo, ha avuto anche nuovi volti giovani e nuove discipline. Grazie al Redbull Phenom Street, sia per lo Skate che per la Bmx, i giovani talenti hanno potuto dare prova delle loro abilità. Nuove discipline per il Motocross con l’Adaptive Racing dedicata ai diversamente abili, per il Rally sono state introdotte il GymKhana Grind, una gara di Drifting basata sui video che Ken Block ha fatto negli ultimi anni e con un percorso che ha lasciato tutti a bocca aperta, e il Rally Cross Lites, una gara minore al tradizionale Rally Cross. Le solide competizioni di Skate con la Street League man e woman hanno avuto sul podio Nyjah Hutston e la brasiliana Letizia Bufoni, nel Big Air sulla rampa da oltre 20 metri oltre al veterano Bob Bornquist sul podio è salito il tredicenne Tom Schaar e Elliot Sloan che si è portato a casa l’oro. Per il Vert Bucky Lasek un'altra medaglia. Nella Moto X vincono Josh Hansen Nel Best Whip con la miglior piega in aria, Il giapponese Taka nel Freestyle motocross mentre nello Step Up, per il salto più in alto senza toccare l’ostacolo, vince Ronnie Renner e nello Speed and Style Nate Adams ha la meglio su Blake “Bilko” Wiliams. Oltre a queste discipline spettacolari abbiamo quelle piu competitive dell’Enduro e del Racing maschile e femminile. E a proposito del Racing Femminile, abbiamo avuto un’ottima soddisfazione tricolore poiché la campionessa mondiale Kiara Fontanesi si è portata a casa la medaglia di bronzo. Noi siamo molto orgogliosi in quanto Kiara è stata nostra ospite, mia e di Fumaz a Extreme Playlist e sicuramente le abbiamo portato fortuna ahahahah!! Hey andate a risentirvi lo streaming sulla pagina di Extreme Playlist su rocknrollradio.it… mi raccomando! Anche nella Street Bmx abbiamo avuto una presenza nazionale, Simone “KID” Barraco che ha ottenuto una quinta posizione con una grandissima session, speriamo di intervistarlo al più presto davanti ai nostri microfoni. La tappa di Los Angeles è solo l’ultima dei sei eventi degli XGames. Infatti oltre alle solite tappe invernali di Aspen in Colorado e Tignes in Francia, si sono aggiunte Foz Do IguaCu in Brasile, Barcellona in Spagna e Monaco di Baviera in Germania. La mia grande passione mi ha portato ad essere presente a giugno alla tappa di Munich, dove il tutto si è svolto nel parco dell’Olimpic Stadium e devo dire che un evento del genere vale la pena di vederlo almeno una volta. Era tutto super organizzato con tantissimi divertimenti soprattutto per i bambini e con la possibilità di avere lezioni gratuite di skate, di provare la slakeline ed altri giochi. Un’enorme folla è accorsa per assistere alle tanto atteso evento e ho notato anche tantissimi ragazzini accompagnati dai loro genitori. Purtroppo non sono riuscito a vedere la Street League dentro al palazzetto perché era sold out e da buon appassionato mi sono accontentato di vederlo sul maxi schermo dalla portafinestra. Per mia fortuna il Big Air causa maltempo del giorno precedente era stato spostato e mi sono subito accaparrato il ticket godendomi lo show tra i partecipanti c’era il giovane italo americano Alex Sorgente. Anche l’ambito musicale è sempre più presente in queste manifestazioni, in tutte le date si sono svolte serate di live rocknroll e hip hop a dj set di musica elettronica, in tutti i casi musica che fa divertire e ballare tutti.

RockNow 55


Extreme Playlist

Ogni mercoledĂŹ, su rocknrollradio.it dalle 19 alle 21, Markino e Fumaz ci raccontano cosa succede nel mondo degli action sport attraverso le parole e i gusti musicali dei suoi protagonisti. Stay tuned!!!

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Foto Simone KID Barraco

Foto Big Air Monaco

THE LINE


RockNow 57

Foto Chiara Fontanesi


FLIGHT CASE

Un disco, un tour, un disco, un tour… Questa è più o meno la routine per molti degli artisti che avete incontrato nelle pagine precedenti. Ed è proprio ai concerti che è dedicata questa rubrica, con tuttavia una piccola differenza: questa volta vi portiamo dietro il palco alla scoperta di piccoli rituali e abitudini varie.

MICHAEL MONROE Di Daniel C. Marcoccia - Foto Ville Juurikkala Qual è stato finora il concerto più bello che avete fatto e perché? Michael Monroe: Il concerto per i miei 50 anni al Ruisrock Festival in Finlandia la scorsa estate. Non avevo mai in precedenza avvertito un’atmosfera di amore e luce così forte e da parte del pubblico. Il concerto peggiore? M.M.: Ce ne sono stati alcuni ma non m’importa di ricordarli adesso. Il posto più bello in cui avete suonato? M.M.: Alcuni festival in Finlandia hanno scenari bellissimi attorno ma il rock’n’roll è alla fine una questione di sudore e calore sul palco. Ora non mi viene in mente un posto in particolare… Qual è il pubblico più strano che avete incontrato? M.M.: Forse al Reading Festival in Inghilterra nel 1983. Parte del pubblico lanciava di tutto sul palco se non eri l’headliner. Ma non ci siamo fatti impressionare e abbiamo suonato imperterriti facendoli passare per gli idioti che erano veramente. Cosa non dimentichi mai di portare con te in tour? M.M.: Il mio sax e le mie armoniche. Come passi il tuo tempo tra una data e l’altra? M.M.: Viaggiando. Cosa non deve mai mancare nel vostro camerino? Avete richieste particolari? M.M.: Nulla in particolare. Mi piace avere degli asciugamani asciutti e puliti e bottiglie d’acqua. E se possibile un buon assortimento di frutta. Avete delle regole da rispettare sul tour bus? M.M.: Non proprio. Non mi piace la gente che fuma sul tour bus. Solo questo. C’è una cover che vi piace suonare durante il soundcheck? M.M.: Ce ne sono state un paio… Non abbiamo fatto soundcheck per un po’ perché abbiamo suonato principalmente all’interno di festival e lì non si fanno mai. Una che mi viene in mente è “Symptom of the universe” dei Black Sabbath. È divertente da suonare nei soundcheck. Avete un rito particolare prima di salire sul palco? M.M.: Cerco di scaldarmi, fare stretching e altri movimenti per la circolazione… Qual è la figuraccia peggiore che hai fatto dal vivo? M.M.: Probabilmente rompermi due costole due volte in quattro mesi dal vivo. Sono stati incidenti, ovviamente, nulla di pianificato. www.michaelmonroe.com

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