RockNow #4

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104% ROCK, PASSION & ATTITUDE

Mensile - Anno 1 - Ottobre 2012

#4

Soundgarden Cradle Of Filth Halestorm Millencolin Billy Talent The Maine Every Time I Die We Are The Ocean

TRIVIUM

Matt Heafy risponde ai lettori

Stone Sour HOME SWEET HOME

At The Skylines - The Crooks - Bury Tomorrow - The Menzingers - Vanilla Sky - Filippo Dallinferno



FEELS LIKE HOME

EDITO

Quante cose possono succedere in un mese? Non sto ovviamente parlando di attualità o della politica di questo Paese. No, no, mi riferisco al nostro microcosmo rock (chiamiamolo così…). Non ci si annoia mai! Sarà perché qui a RockNow sappiamo ancora ridere e divertirci con la musica, senza prenderci troppo sul serio. Alla fine stiamo parlando di rock, no? In un mese può succedere che i Linea 77 si separano da uno dei loro cantanti e qualche giorno dopo ci regalano uno dei loro brani migliori (“Il veleno”, in free download sul sito della band). Può accadere che il sottoscritto perda la testa per un disco in italiano, arrivando ad ascoltarlo una decina di volte in appena 3 giorni (l’album in questione è di Filippo Dallinferno, chitarrista dei Fire). Infine, capitano anche cose molto belle come un concerto in onore di Tony Sly, con alcuni gruppi della scena punk/ rock nostrana e l’intento di raccogliere qualche soldo per la famiglia del compianto cantante dei No Use For Name. Questa è passione pura. Come quella che troverete anche questo mese nelle pagine di RockNow e nella nuova rubrica dedicata agli action sport curata dagli amici di Extreme Playlist. Intanto, dopo appena 4 numeri siamo già riusciti ad avere la prima esclusiva, intervistando gli Stone Sour a Berlino (Thanks Roadrunner!). Il nostro mag online piace, a dimostrazione che mancava una rivista dedicata a generi musicali un po’ snobbati altrove. E siccome RockNow siete anche Voi che lo leggete ogni mese, mi piacerebbe avere la possibilità di confrontarmi più spesso con Voi. Quindi scriveteci sul sito o sulla pagina di Facebook. Aspettiamo i vostri suggerimenti o critiche. La passione è anche in queste cose. Keep on rockin’, Daniel C. Marcoccia Da questo mese RockNow è anche un programma su Rocknrollradio.it, condotto da Arianna Ascione, Stefano Russo e il sottoscritto. Potrete ascoltare tutta la nostra musica ogni venerdì dalle 21 alle 22. www.rocknrollradio.it

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ROCKNOW #4 - Ottobre 2012 - www.rocknow.it

09-19 PRIMO PIANO:

At The Skylines Bury Tomorrow The Anthem/Nekrosun All in the name of… Rock Dischi violenti: Rolo Tomassi The Crooks Missiva/Feelbacks The Menzingers Filippo Dallinferno Studio report: Vanilla Sky Games Crazy… net Open Store

20-49 ARTICOLI:

20-25 Stone Sour

www.rocknow.it Registrazione al Tribunale di Milano n. 253 del 08/06/2012

Scrivi a: redazione@rocknow.it DIRETTORE Daniel C. Marcoccia dan@rocknow.it ART DIRECTOR Stefania Gabellini stefi@rocknow.it

26-28 Soundgarden

30-32 Cradle Of Filth

COORDINAMENTO REDAZIONALE ONLINE EDITOR Michele “Mike” Zonelli mike@rocknow.it COMITATO DI REDAZIONE Marco De Crescenzo Stefania Gabellini COMUNICAZIONE / PROMOZIONE Valentina Generali vale@rocknow.it

34-37 Trivium

38-39 Halestorm

40-42 Millencolin

44-45 Billy Talent

46-47 The Maine

48-49 Every Time I Die

COLLABORATORI Andrea Ardovini Arianna Ascione Giorgio Basso Andrea Cantelli Nico D’Aversa Sharon Debussy Alex De Meo Michele Fenu Luca Nobili Amalia Noto Eros Pasi Andrea Rock Stefano Russo Piero Ruffolo Extreme Playlist FOTOGRAFI Arianna Carotta Emanuela Giurano Andrea Cantelli Diego Decol SPIRITUAL GUIDANCE Paul Gray Editore: Gabellini - Marcoccia Via Vanvitelli, 49 - 20129 Milano

foto Diego Decol

50-51 We Are The Ocean

52 53 54 66 58 62

55-60 RECENSIONI:

Disco del mese: Stone Sour Nu rock Pop/Rock Metal/Punk The Line Flight case: Sum 41

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PRIMO PIANO

SKYLINES

AT THE La vita in diretta

In grado di accomunare diversi generi senza rinunciare a una propria identità, gli At The Skylines escono prepotentemente dall'anonimato grazie a "The secret of life": album di debutto edito da Roadrunner Records. Di Piero Ruffolo

I

spirata da eventi vissuti sulla propria pelle, la prima prova degli At The Skylines giunge quasi senza preavviso, anticipata da premesse di tutto rispetto, come l'interesse mostrato dalla storica etichetta americana. "Ci siamo avvicinati a 'The secret of life' con le idee chiare, sapevamo cosa ottenere e cosa offrire al nostro pubblico. Concretizzate le nostre riflessioni, le abbiamo tradotte in musica, senza porci alcun limite. L'intero processo ha richiesto quasi un anno e alcuni brani sono stati ripresi e riarrangiati in più occasioni. Ci piace pensare a 'The secret of life' come alla musica del futuro". Musica apprezzata anche dal produttore svedese Fredrik Nordström, in grado ancora una volta di fare la differenza.

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"Non dimenticheremo mai i giorni trascorsi con Fredrik. Per noi, viviamo tutti negli Stati Uniti, è stata un'incredibile opportunità. Non solo siamo volati oltreoceano per realizzare il nostro album di debutto, ma abbiamo avuto l'occasione di farlo sotto la guida esperta di quello che consideriamo uno dei migliori produttori attualmente in circolazione. Fredrik è sempre stato al nostro fianco e ci ha spronato a dare il meglio, riuscendo a interpretare il pensiero di ognuno di noi fino a porre in primo piano ogni aspetto del suono che ci contraddistingue". Ottime premesse a parte, resta indubbia la pressione cui ogni primo disco va incontro, nel bene e nel male. "Critiche e giudizi non ci spaventano e non ci preoccupano. Siamo sicuri di quanto fatto, come lo siamo di 'The secret of

life'. Perdersi in inutili parabole mediatiche e farsi assorbire da discorsi senza fine su chi o cosa siamo lascia il tempo che trova. Il disco parla da solo, e a noi non serve altro. E se proprio volete sapere chi siamo, è presto detto: 6 ragazzi della California del Sud che amano la musica e apprezzano la vita". A dettare le prime regole: un background vario e compatto che non ha mai soffocato sogni e interessi. "Pop, r&b, black metal... ognuno di noi ha i proprio gusti. Siamo tutti cresciuti in famiglie legate alla musica. I nostri genitori ci hanno sempre portato ai concerti e ci facevano ascoltare ciò che a loro piaceva. Forse allora ci annoiava sentire continuamente Bruce Springsteen, Earth Wind & Fire, ma oggi ci rendiamo conto di quanto siamo stati fortunati ad aver avuto alle spalle genitori in

grado di lasciarci un simile bagaglio culturale". Chiudono il cerchio la consueta dose di sacrifici e il desiderio di fare della propria passione un vero e proprio stile di vita. "La musica fa parte di noi fin dai primi anni di scuola. Allora era solo un hobby. Terminati gli studi ci siamo resi conto che non si trattava di un semplice passatempo ma di ciò che avremmo voluto fare nella vita e i nostri sforzi si sono concentrati in questa direzione. Non è stato facile, ma non ci siamo mai arresi. Non esiste alcuna formula, l'unico consiglio che ci sentiamo di dare è quello di essere sempre se stessi e di ponderare decisioni intelligenti. Il mondo è a portata di mano, dovete solo prendere il controllo delle vostre vite e modellarle secondo i vostri desideri". www.attheskylines.com



PRIMO PIANO

TOMORROW

BURY CORONA FERREA

Anticipato dal singolo "Lionheart", "The union of crowns" va oltre il semplice ritorno discografico, ergendosi a testimone di una ritrovata energia e di una ferrea presa di posizione.

Di Michele Zonelli

U

na storia come tante quella dei Bury Tomorrow, cinque amici mossi dalla stessa passione e decisi a mettersi in gioco per dimostrare, anche ai più scettici, che amore e dedizione possono ancora fare la differenza. Una storia iniziata sei anni fa e che trova oggi, nel secondo full-length, la più sincera e inequivocabile consacrazione. "Lavorare insieme per realizzare qualcosa che un giorno potrà essere ricordato, è questo il concetto alla base di 'The union of crowns'", ci spiega la band. "Volevamo creare un album metalcore ispirato dai maestri originali del genere e non dagli equivalenti moderni. La melodia è arrivata in un secondo momento e musicalmente parlando abbiamo dato la priorità alle nostre desinenze

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metal. Uno degli obiettivi era ottenere una solida base strumentale: ascoltando i brani senza le linee vocali si può pensare a un disco degli At The Gates o degli Unearth. I testi e le relative armonie sono stati aggiunti in un secondo momento e lavorando in questo modo siamo riusciti nell'intento. Le canzoni suonano esattamente come immaginato". Confrontarsi alla pari con blasonate realtà d'oltreoceano è da sempre desiderio di molte formazioni europee e riuscire a conseguire tale obiettivo in breve tempo non è certo da tutti. "Abbiamo sempre desiderato muoverci in questa direzione, per tentare di cambiare il genere che amiamo. 'Portraits' ha dimostrato che possiamo competere con la scuola americana, 'The union of crowns' mostra che possiamo mutare e ampliare il suono della

tradizione, fino a riscrivere il British Metalcore. Nel prossimo disco tutto questo sarà ancora più evidente". Un desiderio che trae ispirazione da ciò che il mercato offre, senza alcun limite di sorta. "Molte band diventano noiose e ripetitive perché continuano ad ascoltare sempre e solo le stesse cose. Per quanto ci riguarda, abbiamo gusti musicali molto eterogenei e siamo sempre ben disposti a scoprire e accogliere nuove soluzioni. Questo ci ha permesso di andare avanti e progredire". Nonostante i molti passi avanti, lavorare a "The union of crowns" è stato più semplice del previsto. "Nessuna pressione in studio e nessuna deadline imposta, ci siamo divertiti molto a realizzare 'TUOC'. L'approccio non è mutato molto, abbiamo utilizzato al meglio le risorse a disposizione, sfruttando le

nuove tecnologie senza saturare o snaturare i suoni originali. Abbiamo emplicemente impiegato a nostro vantaggio quanto offerto oggi dal mondo digitale". A conti fatti, condividere l'entusiasmo dei Bury Tomorrow è più che comprensibile e il nuovo disco allontana definitivamente gli ultimi dubbi, lasciando a bocca asciutta chi non ha mai creduto nel potenziale di questa formazione. "La pubblicazione del disco è già di per sé una decisa presa di posizione. Molte persone non avrebbero mai voluto assistere alla chiusura di questo lavoro, e siamo davvero felici di aver dimostrato loro il contrato. Ci davano per finiti già parecchio tempo fa. Oggi siamo qui, con 'The union of crowns' e un nuovo contratto con Nuclear Blast... Inutile aggiungere altro". www.burytomorrow.co.uk


Unlimited metal, così amano definirsi i varesini Nekrosun. Ed effettivamente come dar loro torto: death metal, gothic, power e parti liriche sono solo una parte di ciò che è contenuto nel loro nuovo album “The grace of Oxymoron”. Di Giorgio Basso

foto Ivano Tomba

I

n un Paese sempre attento alle nuove tendenze come il nostro, i Nekrosun assumono quasi le sembianze di una mosca bianca, visto il distacco netto da tutto ciò che è considerato trend: “Noi facciamo il nostro lavoro, dedicandoci a creare qualcosa che non sia così abitudinario ma aperto e sui generis. La tendenza del popolo metallaro è quella di seguire certi iter mentali, consuetudini stilistiche che il metal è solito offrire. Noi, come altri, non siamo interessati a tali caratteristiche. Vogliamo fonderne di diverse”. Un disco vario che lega differenti correnti stilistiche: “La varietà e la cura delle composizioni sono il fiore all’occhiello della nostra proposta, con l'aggiunta della voce di Alberto, una piacevole eccezione all'interno del panorama metal italiano. La ricerca di un ‘effetto sorpresa’ fa parte del nostro DNA. In questo disco sono presenti anni di lavoro, durante i quali siamo cresciuti sia come persone che come gruppo. Ci sono anni di prove, di sacrifici da parte di tutti. C'è un po' della storia di ognuno di noi in questo album e siamo convinti del suo valore del nostro album”. Di sicuro un fattore insolito è trovarsi dinanzi a parti liriche in uno scenario “duro”

NEKROSUN

Difficile uscire “vincenti” nel saturo panorama della scena pop punk, soprattutto quella italiana. Gli Anthem, da Roma, però hanno sicuramente ancora qualcosa da dire. di Alex de Meo

N

come quello metal: “Premettendo che le parti in lirica pura sono poche all'interno del disco, possiamo dire che è stato strano, ma assolutamente naturale. Inizialmente la voce era più pesante e per questo è stato fatto un lavoro di alleggerimento, per donarle molte più sfumature. Esistono cantanti che spaziano da voce pulita a scream e growl, ma in genere il loro modo di interpretare il melodico non è avvincente. Da qui la decisione di osare con la lirica - in cui la laringe ha un peso più grande - e confrontarla con tanti elementi opposti. Opposti per l'orecchio abituato ai canoni”. www.nekrosun.com

THE ANTHEM

ati nel 2005, gli Anthem ci hanno messo forse un po' troppo, nonostante la qualità della loro musica, a venire fuori, ma dopo due EP autoprodotti (“A fake wolf isn’t even a dog” del 2007 e l'omonimo del 2009) sono usciti quest'anno con il disco di debutto ufficiale intitolato “High five”. Il disco, prodotto da Brian dei Vanilla Sky, ormai firma illustre e grande sicurezza anche dietro al mixer, è uscito in Italia su Nerdsound e in Giappone con la popolarissima Bullion, già etichetta di MxPx, Ataris e gli stessi Vanilla Sky. Quest'anno è stato ricco di soddisfazioni per il gruppo capitanato da Dario Di Franceschi (chitarra e voce), il quale, assieme a Paolo Notarsanti (basso), Piergiorgio Tiberia (chitarra) e Matteo Martelli (batteria), ha girato tutta Italia ed Europa in

tour, dividendo il palco con ottimi gruppi internazionali come You Me At Six, The Maine e Young Guns. Parlando sempre di tour non poteva mancare nemmeno il giro in Russia e Ucraina, ormai nuova Mecca delle band alternative, in questo mese di ottobre assieme agli americani A Loss For Words. Se siete un po' “splatteroni” vi consiglio vivamente di andare a vedere il loro bellissimo video in versione "zombie" del singolo “The best is yet to come” (brano al quale ha partecipato anche Becko degli Hopes Die Last), girato dagli stessi ragazzi della popolare web serie “Freaks”, che si meriterebbe un premio anche solamente per il trucco eccezionale. www.wearetheanthem.com

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PRIMO PIANO All in the name of A cura di Andrea Rock

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l i v E s I e i T y M

NOME: (Italia) voce A: Padova Z N IE N E o (chitarra, ll V e n a v PRO a P lessandro a, voce), LINE-UP: A ttia Zoccarato (chitarr no Ma voce), Tizia , th n y s principale), , o s occhi (bas Tommaso R ) eria Breda (batt vembre uscita a no in P E : O DISC tudios) (Like Me S nic rock tive electro a rs rn e lt a : E , Foo Fighte e s u GENER M , ri a ik E: Enter Sh INFLUENZ evil.com www.mytieis

Cases

NOME: i NZA: Rimin /voce), PROVENIE 10 (chitarra ), o s s a /b e c eta (vo LINE-UP: Z ) eria Manu (Batt ry” (EP) t call for glo s a “L : O C DIS k rock rs p punk/Pun o P : , Foo Fighte E o R fi E u R , GEN ry lo nd G E: New Fou INFLUENZ /casesrock m o .c k o o b e www.fac

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rock

al bancone di un pub, mi accingo a riflettere sulla mia rubrica mensile per RockNow. Questo mese vi parlo del fenomeno “hater”. Eh sì, questo è un termine che nel mondo musicale di oggi è molto diffuso. Il dizionario inglese lo definisce così: “If you call someone a hater of something, you mean that they strongly dislike that thing”. Può essere una definizione corretta, ma l’hater, purtroppo, è un essere molto più complicato. Per l’esperienza accumulata negli anni, mi sono fatto l’idea che l’hater sia una specie di entità metafisica che descriverei come “il tutto e il contrario di tutto”, con il dono dell’ubiquità. Fanno quasi paura, vero? Beh, nei miei 10 anni di addetto al mondo musicale in TV e radio, sono stato attaccato da questi personaggi diverse volte: “parli solo di musica commerciale in TV!”, “non puoi parlare di metalcore in TV!”, “il tuo gruppo è troppo punk per la scena metal!”, “il tuo gruppo è troppo metal per la scena punk!”, “hai un inglese pessimo!” (commento su una mia videointervista in italiano!!!)… Potrei portarvi moltissimi esempi. Il problema reale, però, è che questi esseri, oltre a sapersi nascondere abilmente tra molteplici account web, sono riusciti negli ultimi 5 anni anche a insidiarsi nelle redazioni di riviste, giornali, televisioni e radio… Per fortuna, qui a RockNow abbiamo una squadra speciale di sorveglianza che vieta loro ogni possibilità di accesso o contagio. Ma sebbene siano esseri molto complessi, per sconfiggerli bisogna semplicemente ignorarli. Tutto qui. Per conquistarmi ancora qualche “odiatore”, concludo con una citazione dei Club Dogo (“Su una rivista rock?! Ma è pazzo!”): “che haters che siete; voi ci volete morti e moriremo, tranquilli, moriremo… ma non di sete”. Alzo la prossima birra scura alla salute di tutti quelli che la musica la fanno sul serio. 100% attitude, fuck the haters.


DISCHI VIOLENTI

E: VEMBR onky Tonky O N A H IA IN ITAL gno (MB), ere S enda T 1 11/1 , La odena 12/11 M

EVA SPENCE (ROLO TOMASSI) Di Piero Ruffolo

PRIMO DISCO COMPRATO:

DISCO "BOTTA DI VITA":

“From here to infirmary” degli Alkaline Trio.

“Pinkerton” dei Weezer.

ULTIMO DISCO COMPRATO:

Non ne ho idea…

Cheap Girls “Giant orange”.

DISCO CHE HA CAMBIATO LA TUA VITA: At The Drive-In “Relationship of command”.

DISCO SOPRAVVALUTATO: The Horrors “Primary colours”.

DISCO SOTTOVALUTATO:

Rainer Maria “A better version of me”.

DISCO "LASSATIVO": DISCO PER UNA SERATA ROMANTICA: L’album omonimo di Bon Iver.

DISCO SUL QUALE AVRESTI VOLUTO SUONARE:

Pretty Girls Make Graves “Good health”.

DISCO DA VIAGGIO:

The Get Up Kids “Something to write home about”.

DISCO PER UNA NOTTE DI BAGORDI:

Murder City Devils “Broken bottles, empty hearts”.

DISCO DEL GIORNO DOPO: Chris Garneau “Music for tourists”.

DISCO CHE TI VERGOGNI DI POSSEDERE: Britney Spears “Blackout”.

CANZONE CHE VORRESTI AL TUO FUNERALE: “Rise” di Azure Ray.

www.facebook.com/rolotomassiofficial

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PRIMO PIANO

THE CROOKS Punk in cerca di scena

I Crooks sono tornati, sempre fedeli al punk rock, con un nuovo disco… atomico. Fab, voce e chitarra, ci ha raccontato com’è nato “Atomic rock”, ricordando anche la vecchia “scena” degli anni Novanta. Di Arianna Ascione

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opo aver fatto i dovuti complimenti per la copertina, si inizia a parlare del nuovo disco, partendo subito dal titolo: “Inizialmente avevamo pensato a Godzilla, però era un po’ inflazionata come immagine. Poi a Marcello, il grafico che ha realizzato la cover, è venuto in mente il calamaro e trasferendolo nella storia di Godzilla – che è stato esposto alle radiazioni nucleari - è nato ‘Atomic rock’. Questo disco, a livello artistico, ce lo siamo prodotti da soli. A livello compositivo è molto vario, così come per i suoni e gli arrangiamenti. Ma alla fine di tutto abbiamo detto: ‘Dai, questi siamo noi al 100%, per noi è una

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roba atomica’”. Nel disco c’è un solo pezzo in italiano, “Piccolo uomo”: “È un episodio, abbiamo fatto un tributo ai canti di protesta degli anni ‘60. Noi, come gruppo, non abbiamo mai parlato di politica, ma scegliendo di fare questo genere e di suonare in determinati posti, escludendone altri, abbiamo comunque fatto una scelta politica”. Ma c’è ancora una “scena”? “È cambiato sicuramente il pubblico. Con la digitalizzazione di massa, anche il rock è diventato quello che era la disco music degli anni Settanta/Ottanta. Un brano gira per mesi fino all’esaurimento e poi finisce nel cestino. Ma il rock è fatto di passione, sangue ed emozioni. Io sto letteralmente consumando il disco di una band

con cui abbiamo suonato in Germania, mentre noi ascoltiamo ancora quello che ascoltavamo negli anni ‘90. Non che ci sia nulla di male, sia chiaro. Ma chi fa quella musica lì, deve cercare di conoscere anche i gruppi nuovi. Bisognerebbe riuscire a ricrearla la ‘scena’ che c’era allora”. In effetti sembra un paradosso ma oggi, nonostante si abbiano maggiori possibilità, non si riesce a unire le forze, anzi… “Secondo me c’è ‘scena’ quando al concerto di una band ci sono tutti i componenti degli altri gruppi che ne fanno parte. Ci sono perché ritengono moralmente importante esserci e sostenersi. Negli anni ‘90 c’era un giro di persone e ci si organizzava per andare in un posto o in un

altro. C’erano tante scene e riuscivi a conoscere persone di altre città, ci si aiutava e ci scambiavamo le date. C’era una ‘scena’ che aveva bisogno di altre ‘scene’ per diventare più grande e più bella. E la bellezza era data dalla varietà dei gruppi. Fino a una decina di anni fa, anche solo andare a vedere una band di Novara era un evento. Era divertente, io mi sono sparato delle vasche mondiali. Ma oggi, con le distanze che si sono dimezzate, se non addirittura azzerate, c’è sempre meno gente che va in giro. La ‘scena’ di Milano potrebbe essere potenzialmente in contatto con quella di Seattle, ma la cosa non sembra interessare a nessuno”. www.thecrooks.it


FEELBACKS

missiva

Si intitola “Through the memories”, il primo EP di questi quattro giovani romani dalle idee chiare. Abbiamo scambiato qualche parola con loro. Di Amalia Maya Noto

Sostanzialmente siamo quattro amanti del pop punk melodico. Cerchiamo di fare il nostro meglio, raccontando noi stessi nelle canzoni. Ognuno di noi ha preferenze musicali diverse, che messe insieme ci permettono di comporre melodie per le nostre 'poesie'. È così che i Feelbacks presentano il loro EP “Through the memories”, “un lavoro sperimentale che spazia dal pop/punk più aggressivo e grintoso a quello più melodico e malinconico”, un disco partorito dopo grande impegno e dedizione nella composizione dei pezzi. Soddisfatti di tutti i loro sforzi, presentano a testa alta questo “Through the memories” che parla di storie romantiche, felici o tristi, vissute sulla loro pelle. Trattano esperienze descritte da loro “esattamente come le ricordavamo. A noi piace far provare questa sensazione, ascoltando i nostri brani“. Quattro ragazzi dal grosso potenziale, che abbandonano le cover per lanciarsi in una sfida più grossa e mettere in gioco tutti i loro pensieri e sentimenti. Attualmente i Feelbacks si preparano ad affrontare più date possibili su e giù per l’Italia e scoprire poi anche la scena estera per fuggire da questo paese in cui “ogni band con uno spiraglio di possibilità di successo, si ancora”. In effetti… www.facebook.com/feelbacks

“Ign(i)orante” è la sensazione che provi quando ti rendi conto che veramente sei all’oscuro di tante cose. E diventa bruciante quando scopri che la cosa più grave è non conoscere se stessi. Di Nico D’Aversa

Ign(i)orante” è il secondo singolo (dopo “L’Alternativa”) tratto da “Niente addosso”, secondo album dei brindisini Missiva. Il disco è prodotto da Amerigo Verardi, personaggio carismatico della scena indipendente italiana: “Aver conosciuto Amerigo è stato importante per le nostre vite, abbiamo intrecciato il nostro percorso con una persona di spessore, prima ancora che con un artista eccezionale. La sua supervisione ci ha permesso di considerare tutto da un punto di vista imparziale ed estremamente competente. Inoltre ci ha stimolato a scoprire nuovi percorsi: ad esempio nel brano 'In faccia' abbiamo inserito l’elettronica in maniera massiccia”. Il filo conduttore dell’album è ben rappresentato dall’immagine di copertina, una maschera che cade per terra sfasciandosi: “Essere autentici è uno degli obiettivi che ci siamo fissati, prima come persone e poi come band. Il clima che ci circonda è carico di banalità, di volgarità e di mediocrità. Finora abbiamo scritto raramente con leggerezza, non ci sentiamo portati per questo. Artisticamente ci piace

prenderci sul serio: la musica ha un valore immenso e bisogna rispettarla”. “72100 (questa città)” è un pezzo dedicato a Brindisi, città per certi versi affascinante ma ricca di contraddizioni, che sembra spesso lasciarsi andare all’apatia: “Siamo incazzati con la nostra città proprio perché follemente innamorati. Vedere che la classe politica, le attività imprenditoriali e le istituzioni in genere scendono a compromessi con le grosse realtà industriali sacrificando la nostra salute è una cosa che ti sconvolge e se non gridi rischi davvero di impazzire: è il nostro modo di reagire a un’indolenza molto diffusa. Per fortuna alcuni focolai come i ragazzi di 'No al Carbone”' stanno provando a incendiare le coscienze di tutti. Il vento sta cambiando, ne siamo sicuri”. www.imissiva.it

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PRIMO PIANO

THE

MENZINGERS

Al servizio della causa

Se uno come Brett Gurewitz, che di punk qualcosa pare ne capisca, offre a una band un contratto e ne parla pubblicamente con toni entusiasti, allora con ogni probabilità il gruppo in questione non è semplicemente uno dei tanti. Di Stefano Russo foto Andrea "Canthc" Cantelli

I

Menzingers arrivano da una cittadina di nome Scranton, in Pennsylvania, e negli Stati Uniti hanno già avuto modo, negli ultimi anni, di farsi largo nel sottobosco della scena facendosi notare grazie a due album che già ne lasciavano intravedere, nemmeno troppo velatamente, il potenziale. Il vero salto di qualità è arrivato però nell’ultimo anno quando, dopo la firma con Epitaph, i ragazzi hanno dato alle stampe l’ottimo “On the impossibile past” e sono di fatto entrati nell’élite del punk rock a stelle e strisce, arrivando a dividere il palco con teste di serie quali Rise Against, The Gaslight Anthem, Against Me!

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e molti altri. “È tutto incredibile, davvero! Avere poi un sostenitore come Brett è pazzesco, siamo sempre stati grandi fan della sua band, siamo cresciuti con i loro dischi e questo rende tutto ancora più incredibile!”. Nel turbine di entusiasmo generato dal loro ultimo lavoro, qualcuno ha addirittura scritto che i Menzingers hanno letteralmente salvato il punk rock, ma i piedi dei quattro sembrano ancora saldamente ancorati a terra: “Non ci aspettavamo assolutamente una risposta così positiva da parte di critica e pubblico, noi abbiamo semplicemente registrato le nostre canzoni senza curarci di quello che la gente potesse pensare. Ma pare che piacciano a un sacco di persone, e questo è fantastico!”.

Nonostante l’estrema umiltà, i Menzingers hanno comunque un’idea piuttosto chiara sullo stato di salute della scena: “Se guardi la situazione nella sua totalità, il punk rock è essenzialmente morto. Allo stesso tempo, però, ci sono un sacco di ottime band che meriterebbero molto più di quello che riescono ad ottenere. È un genere che nel corso della storia è sempre arrivato a ondate e probabilmente continuerà in questo modo. Green Day, Offspring, Blink 182, queste band sono cambiate rispetto agli inizi e non sono più al servizio della causa come lo erano prima. Hanno fatto il loro tempo ed è il momento che gruppi più giovani prendano il loro posto, non possiamo avere soltanto vecchi

nomi che provano a rifare ciò che li ha resi grandi agli esordi. Il fatto che esca un nuovo album dei Green Day è grandioso ma non potrà mai avere oggi l’impatto che ‘Dookie’ ebbe a suo tempo, semplicemente perché è già stato fatto. Credo che il punto sia che debbano esserci dei nuovi Green Day e dei nuovi Offspring, nuovi nomi che riescano ad avere adesso un impatto di quella portata”. E chissà che proprio loro non riescano a diventare uno di questi nuovi nomi, magari grazie al prossimo disco: “Abbiamo già delle nuove canzoni e, quando finiremo il tour, inizieremo subito a lavorare sul nuovo album. Speriamo di riuscire a pubblicarlo entro il prossimo anno”. www.facebook.com/themenzingers


FILIPPO

DALLINFERNO

Il chitarrista dei Fire realizza un vecchio sogno e ci regala uno dei dischi rock italiani più belli usciti quest’anno. A parlarcene ci pensa il diretto interessato.

DJ: Ariele Frizzante

Programma: Virus Diretta dal Lunedì al Venerdì dalle 15:00 alle 16:00.

La sua Top 5:

Pixies “Debaser Rolling Stones “Gimme shelter” The Champs “Tequila” NOFX “Drugs are good” CCCP Fedeli alla linea “Live in Punkow” Ariele è anche su VIRUS TELEVISION: youtube.com/dottVIRUS

Di Daniel C. Marcoccia

C

i sono dischi che non ti aspetteresti mai. Soprattutto se sono firmati da chitarristi in libera uscita dalla propria band. Non è tuttavia il caso di Filippo Dallinferno. “Diciamo che l'embrione di questo progetto risale al 2008, quindi prima di entrare a far parte dei Fire. Più che l'esigenza di un disco solista, avevo voglia di esprimermi in forma canzone e in italiano, credo come reazione ai tanti anni passati a suonare blues per l'Europa. Volevo fare qualcosa che mi assomigliasse di più”. L’album, omonimo, è all’insegna del power rock, con riff di chitarra e sezione ritmica sempre in primo piano e un approccio curato e decisamente personale ai testi: “Le canzoni del disco non sono altro che la fotografia di un periodo recente della mia vita. Non è esattamente un concept ma ci sono dei temi ricorrenti, in pratica è il racconto della fine di una lunga storia d'amore, descritta in puntate disordinate e il più possibile impulsive. I testi sono usciti in maniera molto

naturale, insieme alla musica, a volte anche prima. Non ci sono forzature, questo è semplicemente il mio modo di essere: volgare e blasfemo nei concetti ma mai nella forma, a volte ironico e a volte amaro. Non sono un poeta, cerco di scrivere quello che mi succede”. Tanto per rimanere in tema di sorprese, Filippo ci regala anche una riuscita cover di “Caruso”, noto brano di Lucio Dalla: “È una canzone che canto da quando sono bambino, mi girava da sempre in testa l'idea di una cover e questo album mi sembrava la sua giusta dimora. L'ho registrata molto prima che Lucio ci lasciasse. Non vuole essere un tributo a lui ma solo a una splendida canzone”. A chiudere il disco troviamo uno strumentale, “Non torno più”, presente anche in una versione particolare: “Sì, quando l'ho finito e poi ho fatto girare il nastro al contrario è uscito qualcosa di sovrannaturale. Mi ha fatto un po' impressione, anche perché l'ho scritto pensando a qualcuno con cui non posso più comunicare. È stato come ricevere una risposta”. www.facebook.com/dallinferno

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studio report

VANILLA

SKY

I Vanilla Sky festeggiano i dieci anni di attività regalandosi un nuovo album in uscita a novembre. I nuovi pezzi sembrano discostarsi dal precedente lavoro: l'atmosfera ricorda molto il sound degli esordi e quel “Waiting for something” che li ha fatti conoscere al grande pubblico. Lasciamo che siano i frontmen a parlarcene. Di Andrea Ardovinil In un momento in cui l'indie va per la maggiore, accostarsi di nuovo al pop punk è una decisione coraggiosa. È stata una scelta di “rottura” col passato recente o un'evoluzione naturale? Vinx (voce, chitarra): Entrambe le cose. Rompere con il passato più recente significa necessariamente evolversi e quindi abbracciare un filone a nostro avviso più definito. L'esperienza su major ci ha donato un'esposizione che forse in passato non avremmo potuto raggiungere attraverso i canali indipendenti. Una volta liberi da costrizioni di natura contrattuale e burocratica, ci siamo ritrovati dunque in grado di prendere la decisione a nostro avviso più sincera, e cioè di continuare a fare quello per cui i Vanilla sono stati sempre considerati il top. Dopotutto, siamo al momento la band pop punk più "anziana" d'Europa e abbiamo intenzione di mantenere questo primato per molto tempo. Di cosa parlano i nuovi testi? Vinx: “I testi avranno uno sfondo popolare, con la consapevolezza e la maturità, però, di chi il proprio sogno è riuscito a realizzarlo anche attraverso innumerevoli fallimenti e delusioni. Più che dirti "sai, il

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disco parla d'amore" o "di temi sociali" mi sento di dirti che l'album sarà "consapevolmente maturo". Non giocheremo a fare i teenager a 30 anni, questo è poco ma sicuro. Immagino che dopo dieci anni vi sentiate molto più sicuri in fase di scrittura. Essere tu stesso, Brian, il produttore vi agevola il lavoro? Brian (voce, chitarra): Non si è mai sicuri in fase di scrittura, in realtà. Spesso abbiamo gli stessi problemi che hanno anche tanti giovani gruppi, come l'affezione nei confronti del primo demo casalingo che uno registra o la difficoltà a essere più oggettivi possibili. Chiaramente, già il fatto di riconoscere che ricadiamo in queste dinamiche è sinonimo di esperienza, ma in realtà non aiuta. Ci piacerebbe poter lavorare con un produttore esterno che ti dica quale sia la direzione da prendere, ma purtroppo in Italia non abbiamo trovato nessuno a cui metteremmo ciecamente in mano il nostro materiale. Sicuramente, però, negli anni, abbiamo fatto dei passi da gigante nel non farci troppe "seghe mentali" e andare diretti al sodo. www.vanillaskyrock.com


A cura di Michele Zonelli

007 LEGENDS

games

X360/PS3/Wii U Activision Unire sei classici della cinematografia di James Bond (tra cui il nuovo "Skyfall") per realizzare la più grande e vasta esperienza videoludica dedicata all'agente secreto britannico: questo l'obiettivo di "007 Legends". Tutti gli avveniristici e indispensabili gadget visti su grande schermo, un avanzato arsenale, eleganti veicoli, lussuose ed esotiche ambientazioni e, naturalmente, i principali villain della serie sono ora a portata di pad... Bond girl comprese.

F1 2012

DISHONORED

X360/PS3/PC Codemaster Terza prova su pista per Codemaster, che dall'acquisto dei diritti della FOM e la presentazione di "F1 2010" ha fatto notevoli passi avanti. "F1 2012" rilegge quanto visto la stagione passata. Team e piloti non variano, allineati con il campionato in corso. A migliorare: immediatezza (con l'eliminazione degli odiati incontri con la stampa e l'introduzione di un nuovo sistema di comunicazione piloti-meccanici) e sistema di controllo, ora più fluido e dinamico.

Piattaforma: X360/PS3/PC Produttore: Bethesda Softworks Genere: Azione in prima persona Nel corso degli anni Bethesda ci ha lusingato (e coccolato) con titoli di tutto rispetto riuscendo a primeggiare sui possibili rivali (vedi la serie The Elder Scrolls), e l'annuncio di un titolo inedito non può che generare curiosità e interesse. "Dishonored" vede la software house impegnata in ciò che gli riesce meglio: un action in prima persona ricco di colpi di scena e spunti davvero interessanti. A fare da cornice alle vostre azioni: la città di Dunwall, luogo ostile dove bizzarre tecnologie e misticismo metafisico coesistono in puro stile steampunk. Dopo aver assistito all'assassinio dell'amata imperatrice, Corvo Attano inizia un'esistenza votata alla vendetta che porterà allo scoperto una fitta rete di tradimenti e menzogne. Lineare nell'incedere (il free roaming non è contemplato), la trama non delude. Grande importanza assume l'aspetto stealth. In quanto assassino provetto non sarà un problema per voi celarvi nell'ombra e colpire al momento opportuno. Ma farsi prendere la mano potrebbe non sortire l'effetto sperato. Più cadaveri vi lascerete alle spalle più ostile diventerà il mondo entro cui vi muoverete. Teletrasporto, telecinesi e possessione si riveleranno alleati essenziali, e la scelta su come conseguire il risultato preposto spetterà unicamente a voi. Visionario e originale, "Dishonored" apre la strada verso una nuova e solida linea di pensiero.

RESIDENT EVIL 6

Piattaforma: X360/PS3/PC Produttore: Capcom/Halifax Genere: Survival horror Dopo quasi due decenni dalla prima apparizione, Resident Evil resta, a oggi, uno dei brand survival horror più attesi e longevi. Con il sesto capitolo, l'intenzione di Capcom di spostare il tiro verso un gameplay sempre più ricco e complesso a sfavore delle tenebrose e spaventose atmosfere degli inizi è ormai chiaro. Momenti di suspance e puro terrore non mancano, come non mancano terrificanti e sempre più mostruosi antagonisti, ma la tensione che si respirava un tempo va via via scemando, complice, in parte, la sempre meno impressionabilità dei giocatori (ormai abituati a ogni sorta di orrore). A livello di contenuti, "Resident Evil 6" certo non delude. Tre le campagne principali, ognuna delle quale vi vedrà vestire i panni di uno dei protagonisti che avete imparato ad amare in passato. Al vostro fianco, inoltre, compagni che sarete felici di ritrovare. L'aspetto co-op è esasperato al massimo e l'azione ne

giova in più occasioni. Avanzare tra orde di nemici disseminati in vaste aree esplorabili si dimostrerà presto più arduo del previsto, vuoi per l'incessante susseguirsi di assalti improvvisi, vuoi per la scarsa (e voluta) presenza di munizioni (finire a calci e pugni lo zombie di turno non sarà poi così inusuale). Superare la consueta dose di enigmi permetterà di procedere all'interno della narrazione, ben strutturata ma non sempre all'altezza di quanto cercato. Il mai dimenticato sistema di controllo presentato in "Resident Evil 4" torna a grande voce, ora ampliato e davvero ben congeniato. "Resident Evil 6"è indubbiamente dedicato ai fan, che qui trovano accolte e soddisfatte molte delle richieste avanzate negli anni.

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crazy net

A cura di Michele Zonelli

LIQUID RESERVOIR SKI POLES

Realizzati per garantire confort e sicurezza sulle piste da sci, i bastoni Liquid Reservoir offrono più di quanto cercato. Nota in calce: bevande analcoliche sono sconsigliate quando le temperature scendono molto al di sotto dello zero. www.coldpole.com

OH NO NOT YOU AGAIN DOORMAT Vicino invadente, portinaio pettegolo, venditore porta a porta... se siete ossessionati dalla vostra nemesi di quartiere e proprio non riuscite a liberarvene (non c'è peggior sordo...), questo esplicito zerbino potrebbe fare al caso vostro. www.uncommongoods.com

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Stufi di fissare la solita, triste lampada posta al centro della vostra stanza? Nessun problema. Raw Dezign vi viene incontro

con un'alternativa decisamente insolita ma di sicuro impatto. Disponibile in bianco (più realistica) e nero. www.coolmaterial.com

XPOSED BAG Prima o poi tutti ci soffermiamo alle spalle dell'addetto al controllo bagagli dell'aereoporto per osservare la nostra valigia ai raggi X. Bene, il designer Luke Boggia è andato oltre, come dimostrano le Xposed Bag di sua creazione. www.lukeout.com

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Ah le care e vecchie compilation su cassetta... Già, ma siamo nell'era digitale, conviene adeguarsi, possibilmente senza perdere parte del fascino passato. Ecco la Mix Tape USB Stick. Chiavetta da 1GB con custodia in sei differenti formati. www.suck.uk.com


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STONE SOUR Alternando ormai con estrema disinvoltura gli Slipknot agli Stone Sour, proprio con questi ultimi Corey Taylor fa il suo grande ritorno cimentandosi nel difficile esercizio del concept-album. Il risultato si chiama “House of gold & bones”, opera particolarmente riuscita e suddivisa in due parti. Ma lasciamo parlare Corey e il chitarrista Josh Rand, incontrati in esclusiva per voi a Berlino. Di Daniel C. Marcoccia

House of gold & bones” è un progetto decisamente ambizioso e complesso. Suppongo che sia stato una bella sfida per voi? Corey Taylor (voce): Abbiamo lavorato davvero tanto a questo nuovo album e quindi ci teniamo al fatto che sia tutto perfetto, che tutte le sue parti siano fatte bene, dalla musica ai testi fino alla parte visiva, ovvero i video che seguiranno e il fumetto che stiamo realizzando. Dovevamo fare un lavoro eccellente e sono convinto che ci siamo riusciti. Josh Rand (chitarre): Si può parlare di sfida per via di tutto il concept che ruota attorno a “House of gold & bones” ma la lavorazione è stata piuttosto tranquilla e infatti abbiamo tirato fuori 24 canzoni in tre mesi. Più andavamo avanti e più eravamo eccitati da quello che stavamo facendo. È filato tutto liscio ma probabilmente perché fin dall’inizio è stato un lavoro ben focalizzato. C.T.: Mi piace questa parola, è perfetta! C’era parecchia energia in studio e abbiamo cercato di focalizzarla

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W h

appunto su ognuna delle canzoni. Volevamo un disco con delle atmosfere varie, perché le tracce, fondamentalmente, rappresentano i vari protagonisti della storia, i loro dialoghi e quindi il mood di ognuno dei brani doveva racchiudere le emozioni di questi personaggi. Ognuno di loro doveva avere il suo giusto spazio nella storia. Essendo appunto un concept-album, la scrittura dei testi è stata probabilmente più complessa delle altre volte? C.T.: No, affatto. Dopo vari dischi con gli Stone Sour e gli Slipknot, sono molto più tranquillo da questo punto di vista. Credo che la cosa più importante sia soprattutto trovare la giusta eccitazione per scrivere un album di canzoni. Nel caso di “House of gold & bones”, il fatto che fosse un concept-album è stato quasi come mettersi al riparo da possibili rischi. Infatti, le cose sono andate molto velocemente e in maniera sorprendente. Questa volta non si trattava della classica raccolta di nuove canzoni, ma c’era una breve storia da raccontare. Più che difficile, dovevo soprattutto ricordarmi che i testi erano narrativi. È stato sicuramente un


Welcome home

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STONE SOUR “Gli Stone Sour non sono mai stati il progetto parallelo di Corey Taylor e Jim Root degli Slipknot, ma un vero gruppo con i suoi componenti e la sua personalità”.

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grosso lavoro… ma anche molto divertente. Hai definito il nuovo disco come una via di mezzo tra “The wall” dei Pink Floyd e “Dirt” degli Alice In Chains. È una dichiarazione molto forte… C.T.: Era solo per spiegare i suoni che avevo in mente. “The wall” rimane per me il più grande concept-album della storia del rock, un’opera imponente, ed è questo aspetto che volevo recuperare per unirlo all’attitudine di “Dirt”, un disco veramente cupo, nonché uno dei miei preferiti di tutti i tempi. Era questo il mio intento quando abbiamo iniziato a pensare al disco. Quando fai un concept-album, il rischio è sempre quello di porre maggiore enfasi sulla musica o sui testi. Il nostro obiettivo è stato quello di trovare il giusto equilibrio e bilanciare le due cose. L’idea di suddividerlo in due parti e pubblicarle a qualche mese di distanza l’una dall’altra era già nelle vostre teste? C.T.: Inizialmente l’intenzione era di pubblicare i due dischi assieme, il classico doppio album con tutte le canzoni. L’idea di dividerlo in due parti è stata invece di Josh ed è stata ottima perché il disco assume nuovi contorni. Diventa come una storia a puntate, un film in cui devi aspettare la seconda parte per capire come va a finire. Alla gente piacciono le cose che hanno un seguito e questo crea eccitazione per sapere come si evolverà la storia. Per noi era anche l’occasione per realizzare qualcosa di molto bello anche dal punto di vista del packaging, visto che ci sarà anche un fumetto che racconterà tutta la storia. Allo stesso tempo, abbiamo considerato pure l’aspetto economico: i CD doppi sono notoriamente cari e quindi non tutti i nostri fan si sarebbero potuti permettere quella spesa. Ci è sembrata la scelta migliore anche da questo punto di vista. Il disco alterna varie atmosfere, con splendide ballate e brani più ritmati come “RU486”. Quest’ultimo è un vero rullo compressore? C.T.: (ride) È uno dei bambini di Josh, una vera bomba e dal vivo sarà veramente devastante. Ha una tale potenza che sono rimasto sbalordito la prima volta che l’ho sentita. Ero costretto a scrivere un testo dall’impatto altrettanto potente. J.R.: L’idea alla base di questa canzone è molto semplice, è praticamente un omaggio al mio periodo musicale preferito, ovvero quello thrash metal. In questo brano puoi ascoltare l’influenza di tutti i gruppi di quella scena. Non avevo ancora mai scritto qualcosa in quello stile e questa è stata la volta buona. “RU486” è il nome in codice della pillola abortiva? C.T.: Sì, ma il testo non parla di aborto, è una metafora. Racconta di questo personaggio aggressivo che cerca di costringere il protagonista a prendere decisioni sbagliate. In poche parole è riferita a chi cerca di farti prendere una direzione che non è la tua, ma quella decisa da altri. Un argomento che può essere quindi estrapolato dal contesto del concept-album e ricollegarsi alla vita di tutti noi! Le canzoni possono funzionare e avere un senso anche staccate l’una dall’altra? C.T.: Sì, come ti dicevo, le canzoni sono fondamentalmente i dialoghi dei vari personaggi e insieme vanno a costituire la breve storia che ho scritto. Ma possono essere anche ascoltate separatamente e continuare comunque ad avere un senso. Se poi qualcuno mi chiede di una canzone, so dire esattamente in quale momento della storia ci troviamo. La cosa più interessante sarà però l’interpretazione che ognuno ne darà ascoltandola. Ci sono più chiavi di lettura, quindi? C.T.: Esattamente. Ognuno potrà avere una sua particolare visione della storia ed è questo a rendere il disco così particolare e diverso.

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STONE SOUR “Quando fai un concept-album, il rischio è sempre quello di porre maggiore enfasi sulla musica o sui testi. Il nostro obiettivo è stato quello di trovare il giusto equilibrio e bilanciare le due cose”.

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Quanto c’è di autobiografico in “House of gold & bones”? C.T.: Parecchio. Se togli la parte puramente fiction della storia, perché è ambientata in questo strano mondo, e ti soffermi un po’ sui personaggi, capisci che probabilmente l’85% di questo disco è autobiografico. Essi racchiudono quello che sono stato o che ho cercato di essere negli ultimi sei anni e tentano di capire quello che potrò essere nei prossimi venti. Le persone parlano spesso di quando erano giovani o di quando saranno vecchi, ma poche lo fanno del momento presente, di questo periodo di mezzo. Per me, è stato come cercare di capire cosa volevo essere quando ero un ragazzino: quindi un bravo ragazzo, amico, marito, padre e probabilmente anche un bravo componente di una band. Magari alcune di queste cose non le ho fatte bene, magari ho preso una brutta piega, ma ora sono di nuovo a “ground zero”. È come ripartire dicendomi: “ok, chi voglio essere per il resto della mia vita? Chi sarò?”. Scrivere, per te, è praticamente una terapia? C.T.: (scoppia a ridere) Aiuta! Puoi fare a meno di uno psicologo… C.T.: (continua a ridere) Sono certo che qualcuno non sarebbe d’accordo su questo ma posso solo dire che sono molto fortunato ad avere due fantastiche band che mi permettono di dire molte cose su di me nelle canzoni. I benefici, per me, sono enormi. Visto che hai accennato anche all’altra band, direi che stai riuscendo piuttosto bene a gestire due realtà come Slipknot e Stone Sour… C.T.: Trovi? È un gran casino (altra risata). Gli Stone Sour sono più di una semplice valvola di sfogo del cantante degli Slipknot? C.T.: Assolutamente! Questa band esisteva prima degli Slipknot ed era giusto riportarla in vita. All’inizio, soprattutto nei primi anni degli Slipknot, quando era tutto veramente estremo, è stata una fortuna avere gli Stone Sour per ritrovare me stesso. Ma non sono mai stati il progetto parallelo di Corey Taylor e Jim Root degli Slipknot. È una roba che c’era già prima, un vero gruppo, con i suoi componenti e la sua personalità. Parlando di componenti, sul disco ha suonato il basso Rachel Bolan degli Skid Row, una band spesso sottovalutata. Come siete arrivati a lui? J.R.: Si discuteva con Corey su chi avrebbe potuto suonare il basso sul disco, qualcuno che fosse perfetto per lavorare con noi a questo progetto. Doveva essere un musicista capace di dare il giusto groove a ognuna delle canzoni. Ho pensato subito a Rachel, sapevo che era lui quello giusto. “Slave to the grind” degli Skid Row è uno dei miei album preferiti, un lavoro piuttosto vario con brani molto heavy e altri più lenti, esattamente come il nostro nuovo disco. Rachel ha praticamente suonato le 24 tracce in cinque giorni. È stato incredibile, oltre che professionale e molto umile. C.T.: È arrivato senza il minimo ego da rockstar e ha imparato le canzoni in un attimo, regalando loro quel collante che volevamo. Suonerà con voi anche dal vivo? C.T.: Non sarà purtroppo possibile per via dei suoi impegni. Ci sarà Johny Chow, un nostro grande amico. A questo punto, Corey, tra l’uscita dei due dischi e l’immancabile lungo tour, sarai piuttosto impegnato nei prossimi mesi. Bisognerà aspettare probabilmente parecchio per avere anche un nuovo album degli Slipknot? C.T.: Gli Stone Sour monopolizzeranno almeno i prossimi due anni, questo è poco ma sicuro. Il prossimo anno inizieremo comunque a parlare del nuovo disco. So che ci sono alcuni demo ma è ancora molto presto per fare delle previsioni sulla sua uscita. www.stonesour.com

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SOUNDGARDEN

Non hanno affatto quell’aria da rockstar arrivate, come ti aspetteresti. I Soundgarden, o meglio Chris e Ben, ci raccontano nel 2012 perché il grunge, come lo si intende di solito, forse non è mai esistito.

Il regno animale

Di Arianna Ascione

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a mia generazione è cresciuta con il mito del grunge anni Novanta, e della "scena di Seattle" in particolare. Voi, insieme a band come Nirvana o Mudhoney, ne avete fatto parte. Cosa ricordate di quel periodo? Chris Cornell (voce): All’epoca ci siamo trovati come nel mezzo di un turbine: gli occhi di tutti erano puntati unicamente sulla produzione musicale che veniva dallo stesso punto geografico. Ben Shepherd (basso): Erano 15 anni che non sentivo la parola "grunge" e non l’ho mai sentita nominare così tanto spesso come negli ultimi due giorni. Praticamente ad un certo punto è diventata una questione di marketing. Il mercato del grunge era diventato Seattle e tutti i gruppi che venivano da lì, anche se facevano generi diversi, potevano rientrare nello stesso calderone. C.C.: Se i Mudhoney fossero arrivati dall’Ohio, i Nirvana da Boston e i Pearl Jam da San Diego non ci si sarebbe mai posti la questione. Anche se avessero fatto lo stesso genere. Magari poi avrebbero avuto comunque un’etichetta e avrebbero pubblicato dischi. Il termine "scena di Seattle" stesso non ha mai davvero funzionato, non si può restare legati solo alla geografia. È la musica quello che conta. B.S.: C’era un forte rapporto di amicizia con le altre band, quello sì. Amicizia che è iniziata perché ci si beccava sempre negli stessi posti, suonavamo negli stessi locali e ci vedevamo ai nostri e ai loro concerti. Anche se avevamo pubblicato i nostri dischi con etichette diverse. È stata più un’esperienza di condivisione. Mi sembra che oltre al luogo ci fosse qualcosa d’altro in comune. C.C.: All’epoca si viveva una sorta di crisi esistenziale. Noi suonavamo la musica che ci piaceva e volevamo soltanto continuare a farlo, in modo da trasmettere qualcosa a chi ci ascoltava. B.S.: Facevano parte della "scena di Seattle" un

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SOUNDGARDEN sacco di gruppi appartenenti a generi diversi. Ad un certo punto è stato creato lo scatolone chiamato grunge e qualcuno ha deciso di buttarci dentro questo o quell’altro. Dopo esservi presi 15 anni di pausa, è stato facile decidere di tornare a suonare assieme? C.C.: Siamo tornati prima di tutto per noi, facendo musica con la stessa attitudine con cui la facevamo anni fa. Se siamo tornati assieme, poi, è stato anche perché ci siamo presi una pausa di 15 anni. Al momento di mettere in cantiere il disco mi sono isolato e ho scritto qualche nuova canzone. Poi ho incontrato gli altri ragazzi della band e gliele ho fatte sentire. Qualcosa di molto lontano dall’idea di "superstar" insomma. Non vi fa un po’ strano tutto questo? C.C.: Non è cambiato molto da quando suonavamo nei locali di Seattle. Non siamo proprio delle rockstar, facciamo solo quello che ci piace fare. B.S.: Non ci è mai importato essere delle superstar, e non abbiamo mai voluto esserlo. Per noi l’importante è sempre stato essere nella band, e come Soundgarden siamo sempre rimasti focalizzati su questo. Per noi è come essere in una famiglia. I vostri fan dovranno aspettare ancora pochissimo prima di sentire i brani di “King animal”, il vostro nuovo disco. Cosa potete dire loro nel frattempo? C.C.: Scrivere questo disco è stato davvero come fare un salto nel passato e, quindi, non vediamo l’ora che i nostri fan abbiano la possibilità di ascoltare le nuove canzoni, per sapere cosa ne pensano. Molti vi avranno visti in concerto a giugno, quando avete diviso il palco (oltre che con Gaslight Anthem, Triggerfinger e Afghan Wings) con un’altra band che si è riunita da poco: i Refused. A dire il vero, da spettatrice, non sembrava nemmeno ci fosse la solita divisione headliner e supporter. Che comunque è sbagliata a prescindere. C.C.: Ci sono solo band che suonano insieme, proprio come avveniva allora. Abbiamo fatto un sacco di tour con band che dal vivo ci hanno sorpassati. Una volta si andava soltanto in giro tutti assieme, non c'erano headliner e supporter. Oggi si tende a dividere la musica un po’ troppo, anche per generi. E il rock non va inteso a compartimenti stagni. www.soundgardenworld.com

“Ad un certo punto è stato creato lo

scatolone chiamato grunge

e qualcuno ha deciso di buttarci dentro questo o quell’altro”. 28 RockNow


THE WORLD’S GREATEST

PINK FLOYD SHOW

DOM. 11/11 > PADOVA - GRAN TEATRO GEOX LUN. 12/11 > FIRENZE - TEATRO VERDI

sonataarctica.info

www.britfloyd.com

therasmus.com

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SPECIAL GUEST:

GIO. 22/11 > RONCADE (TV) - NEW AGE VEN. 23/11 > ROMA - CIRCOLO DEGLI ARTISTI SAB. 24/11 > MILANO - MAGAZZINI GENERALI

GIO. 22/11 > MILANO - ALCATRAZ

UNICA DATA ITALIANA

kris kristofferson GEMMA RAY

SPECIAL GUEST:

VEN. 16/11 > RONCADE (TV) - NEW AGE SAB. 17/11 > ROMA - ORION

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LUN. 26/11 > MILANO - TEATRO FRANCO PARENTI

JOHN MAYALL + THE CYBORGS

johnmayall.com

DOM. 09/12 > TREZZO (MI) - LIVE CLUB LUN. 10/12 > PADOVA - GRAN TEATRO GEOX

thecyborgs.it

amandapalmer.net

MER. 06/03/2013 > SEGRATE (MI) - CIRCOLO ARCI MAGNOLIA

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I N F O : 0 2 . 6 8 8 4 0 8 4 - B A R L E YA R T S .C O M - FAC E B O O K .C O M / B A R L E YA R T S P R O M OT I O N


CRADLE OF FILTH Chi ancora si ostina ad affermare che l’heavy metal è morto, forse non ha ascoltato il nuovo album dei Cradle Of Filth. La band inglese è definitivamente salita al “livello superiore”, grazie alla cura maniacale nella produzione musicale... e nel look! Di Luca Nobili

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l primo ascolto, uno degli aspetti che mi ha colpito maggiormente di “The manticore and other horrors” è stato l’utilizzo ed il suono delle chitarre: riff più semplici, quasi “classic metal” e una produzione più potente e scarna che nel recente passato... Paul Allender (chitarra): Sicuramente c’è molto più “hardcore rock and roll” in questo nuovo disco che nei nostri lavori precedenti, più spirito punk, più metal classico. Negli ultimi quattro dischi ci siamo mossi in territori estremamente gotici e sinfonici, nel nuovo invece ci siamo concentrati di più sui riff di chitarra... e sono uscite fuori cose che stilisticamente non abbiamo mai fatto prima. O meglio, direi che solo il primo album (“The principle of evil made flesh”, nda) possiede la semplicità rock e la carica che abbiamo messo in “The manticore and other horrors”. La ragione principale di questo parziale cambiamento è stato il break di un anno che ci siamo presi: abbiamo volontariamente deciso di staccare e

non frequentarci per un po’, in modo da liberare la mente da tutto quello fatto in questi anni piuttosto frenetici. Sono convinto che senza questa sorta di “vacanza”, l’album avrebbe suonato molto più simile a “Darkly, darkly, Venus aversa”. Ogni nuovo lavoro dei Cradle Of Filth è sempre stato diverso dal precedente. Pur rimanendo nell’ambito dell’extreme metal, avete fatto della sperimentazione e dell’evoluzione del sound uno dei vostri punti di forza. Processo naturale o scelta consapevole e ragionata da parte della band? P.A.: Direi che tendenzialmente si è trattato di evoluzione naturale... anche se non senza controllo e

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CRADLE OF FILTH

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un certo grado di consapevolezza. Come ti dicevo, prima di iniziare a lavorare a “The manticore and other horrors” ci siamo presi un periodo di pausa, e personalmente ho riflettuto molto su che impronta dare al nuovo disco. Sentivo che - sebbene sia soddisfatto di tutti i nostri album! - c’era qualcosa che mancava... e pian piano ho realizzato che quello che mancava e mi mancava era un certo tipo di guitar-riff diretto, presente nei nostri primissimi dischi e poi perso per strada. Indubbiamente le nuove canzoni suonano molto “semplici”... o per lo meno, semplici per essere state scritte dai Cradle Of Filth. P.A.: Non posso che concordare, direi che abbiamo registrato la musica più semplice e diretta dei Cradle Of Filth degli ultimi 15 anni! Quando vuoi qualcosa di

che posso. Capisci cosa intendo? Io non salirò mai sul palco vestito come se andassi a bere una birra con gli amici nel pub sotto casa, o suonerò mai senza dietro una scenografia curata e di impatto. Credo che semplicemente non farebbe per me.

C'è spesso stata "discussione" tra i fan del metal più estremo sul definire o meno i C.O.F. come una black metal band: che ne pensi? Ti interessa come viene etichettata la vostra musica? P.A.: Personalmente non credo che i Cradle Of Filth siano - o siano mai stati - una black metal band: “heavy metal” è l’unica definizione musicale che mi piace associare alla nostra musica. L’aspetto che ci avvicina alla scena black è il modo in cui appariamo on stage, ma non credo ci sia nient’altro. Per come la vedo io, i Dimmu

“Io non salirò mai sul palco vestito come se andassi a bere una birra con gli amici nel pub sotto casa” coinvolgente e groovy, la regola d’oro è less is more, ne sono assolutamente convinto e “The manticore and other horrors” è stato scritto con questo spirito. La mia band preferita di sempre - e mia maggiore ispirazione musicale - sono gli Iron Maiden e credo proprio che la loro arma vincente sia la semplice linearità degli arrangiamenti e delle melodie. A proposito di semplicità: visto dall’esterno, il lavoro dei Cradle Of Filth sembra davvero complicato e pesante. Al di là della musica, si percepisce chiaramente la cura maniacale nell’artwork degli album, nel vostro look, nelle scenografie sul palco, nei video... Hai mai pensato di voler suonare prima o poi in una band meno impegnativa? P.A.: Assolutamente no!!! Per come la vedo io, l’aspetto visuale è importante in una band quanto l’aspetto strettamente musicale, non potrei mai suonare con qualcuno che non si cura di questo... lo sentirei come un lavoro fatto male, di non aver dato il 100% di quello

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Borgir suonano black metal: ascolta il loro ultimo album e il nostro, ti renderai conto di quanto siamo diversi e poco senso abbia metterci nello stesso calderone. Detto ciò, non mi importa granché come ci etichetta il pubblico o quello che pensa un certo tipo di metal-fan sul rimanere “fedeli alle origini” e stupidaggini simili... Siamo i Cradle Of Filth e suoniamo quello che ci piace, qualsiasi cosa ne pensi il resto del mondo. Come vedi te stesso e i Cradle Of Filth tra vent'anni? P.A.: Tra vent’anni spero di essere vivo, per prima cosa (e se la ride di gusto, nda)! Questa non è una band in cui invecchiare, come dicevo prima è molto impegnativa... troppo per un sessantenne! Mi vedo certamente a fare ancora musica metal e a incidere dischi perché è quello che amo, ma sarà credo qualcosa dai solista, personale e fatto solo per il gusto di farlo. I Cradle tra vent’anni no, mi viene l’ansia solo a pensarlo... http://theorderofthedragon.com/


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TRIVIUM Una delle poche band americane orgogliosa del proprio background metal a base di “pane e Metallica”: che il dio del metallo pesante benedica i Trivium ed il suo cantante/chitarrista Matt Heafy, presto dal vivo nel nostro paese e simpaticamente disposto a rispondere alle domande dei nostri lettori. Di Luca Nobili

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i sei già trovato sul palco con artisti quali Avenged Sevenfold, Corey Taylor, Robb Flynn e leggende storiche come i Metallica. Se dovessi scegliere con chi dividere il palco sulle note di una vostra canzone, quale band/artista sarebbe? (Silvia Zaccone) Matt Heafy (voce&chitarra): È una bella domanda... Il primo nome che mi viene è quello degli Iron Maiden. Noi quattro e loro sei su uno stesso palco, credo ne verrebbe fuori un bel casino! Eh sì, sarebbe proprio interessante, dovremo trovare il modo di chiederglielo prima o poi... Hai imparato a suonare e cantare da autodidatta? (Fabio Amoruso) M.H.: Per quanto riguarda la chitarra, fondamentalmente ho imparato da solo: credo di aver preso in tutto due o tre lezioni in vita mia, ai tempi del liceo... Riguardo al canto, invece, ho cominciato non per vocazione ma per necessità: non riuscivamo a trovare un cantante all’altezza ed ero l’unico nella band in grado di ricoprire il ruolo. Ho dovuto quindi imparare a suonare la chitarra e a

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cantare nello stesso momento, e ti assicuro che non è non è una cosa facile. Ho cominciato con canzoni semplici e “lente”, per poi aumentare di difficoltà e accelerare il ritmo pian piano... Mi sono allenato molto con le canzoni dei Metallica, imparando le parti di James Hetfield, che è uno dei migliori cantanti/ chitarristi in circolazione. Secondo te quali sono state le principali fasi dell'evoluzione dei Trivium dall'anno di “Ember to Inferno” fino ad oggi? (Gianluca Snuff) M.H.: Direi che i primi due album (“Ember to Inferno” e “Ascendancy”) sono i più ingenui e semplici della nostra carriera: i Trivium allora erano poco più che una band locale e per noi registrare un disco significava semplicemente “esserci” ed essere una orgogliosa heavy metal band! Il primo album dove ci siamo finalmente spinti oltre è stato il terzo, “The crusade”: direi che è stato quello il momento in cui abbiamo provato a scrivere realmente musica diversa e migliore, la fase del professionismo e della maturità. Maturità anche in senso

tecnico, siamo migliorati molto come musicisti dai tempi degli esordi e da quel disco in poi (“Shogun” e “In waves”), credo che si senta parecchio la differenza. Hai sempre detto che chi ti ha ispirato e trascinato nel campo del metal è James Hetfield... ma ho visto che molto spesso, come cover, fate “Du hast” dei Rammstein. Vorrei sapere se anche questa band ti ha influenzato e cosa ne pensi di Till Lindemann. (Federica Caperozzi) M.H.: In senso strettamente musicale, non credo che i Rammstein abbiano avuto una particolare influenza sui Trivium. Il nostro sound e quello della band di Till Lindemann sono piuttosto differenti. Quello che ho sempre ammirato - e ho sicuramente cercato in qualche modo di ispirarmi a loro - è il loro concetto di cura dei particolari: i Rammstein sono uno di quei gruppi attenti a ogni singolo aspetto dell’essere una band. Che siano la coreografia live, la copertina di un album o un video, tutto è perfetto e integrato secondo una logica e uno stile voluto. E senza mai scendere a compromessi, aspetto per me fondamentale. Riguardo a Till Lindemann, beh, credo sia uno dei migliori cantanti metal in

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TRIVIUM circolazione! In particolare, invidio molto il suo stile e la sua abilità nelle tonalità basse, aspetto in cui il sottoscritto deve migliorare moltissimo! Se dovessi scegliere di fare una cover di una canzone al di fuori del panorama metal, quale sceglieresti? (Silvia Zaccone #2) M.H.: È da molto tempo che ho in testa di rifare una canzone dei Queen! Direi che riuscire a realizzare una bella versione di “Bohemian rhapsody” sarebbe il classico sogno che si avvera (e hai detto poco, Matt... una semplice semplice!!! nda). Quali sono i consigli che vi sentireste di dare a una band heavy metal emergente? A partire dalla pubblicità, su come e in che modo farsi conoscere, e come far sì che un progetto valido possa essere preso in considerazione dal mercato; fino ad arrivare alla presenza sul palco, il contatto con i fan e il modo di affrontare i live in grosse situazioni. (Richard Meiz) M.H.: Sinceramente, non ci sono grandi consigli che posso dare. Quasi ogni nuova band metal che sento cerca di inserirsi nel trend musicale di successo in quel momento e questo è il peggior punto di partenza possibile: seguire il proprio istinto e suonare la musica che si sente “propria” dovrebbe essere l’obiettivo di ogni musicista. L’unico suggerimento che posso dare a una band giovane è, forse, cercare di essere il più professionale possibile: nella musica, certo, ma anche nella parte visuale e promozionale. Matt, ti vediamo spesso ai fornelli, tramite foto sul tuo sito web e su Twitter e abbiamo notato che ti piace molto la cucina di ogni genere e nazionalità, quindi volevo farti una domanda a proposito. Se non fossi un musicista, ti piacerebbe intraprendere una carriera da chef? O hai magari un’altra passione che ti piacerebbe coltivare? (Ludovica) M.H.: Certamente sì, credo che se un giorno dovessi mai decidere di mollare la scena musicale, quella del cuoco sarebbe una carriera che mi piacerebbe seriamente intraprendere. Riuscire a diventare uno chef di grande successo e avere un mio ristorante, sarebbe interessante. Direi comunque che riesco meglio nella musica e ho intenzione di continuare ancora per molto con questa professione! Qual è la canzone che ti diverti di più a suonare live? E qual è la canzone che pensi possa coinvolgere e sorprendere di più il pubblico? (Thomas Heafy) M.H.: Questa è una domanda difficile... Fammi pensare... Forse “Torn between Scylla and Charybdis” dall’album “Shogun”, è quella che personalmente preferisco suonare dal vivo. Ed è anche una delle preferite dal nostro pubblico, siamo appena tornati da un tour in Sud America ed è stata tra le più amate. Parlando di songwriting, quando decidete di iniziare a lavorare su un nuovo progetto, quali sono le fonti di ispirazioni e i processi a cui vi sottoponete? Lavorate in gruppo al fine di creare un nuovo album o vi concentrate singolarmente sulla composizione della musica e dei testi? (Davide Di Girolamo) M.H.: Normalmente la canzone nasce come un’idea di uno di noi - può essere un semplice riff di chitarra, o qualcosa di più completo e articolato - che viene condivisa con il resto della band in modo da creare una canzone finita e completa. A quel punto il pezzo grezzo arriva in studio e il nostro produttore ci aiuta con delle idee per migliorarne la resa e l’impatto. Questo è più o meno il processo normale, ma non è una regola fissa, ci sono canzoni che sono nate da zero suonando tutti e quattro insieme nella stessa stanza, in modo più spontaneo e anarchico. www.trivium.org

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“Credo che se un giorno dovessi mai decidere di mollare la scena musicale, quella del cuoco sarebbe una carriera che mi piacerebbe seriamente intraprendere�.

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HALESTORM

It’s so Lzzy Per la sua prima venuta in Italia, non potevamo di certo mancare l’appuntamento con la “new sensation” del metal americano. L’occasione giusta per conoscere meglio gli Halestorm, attraverso le parole della bellissima Lzzy Hale e del chitarrista Joe Hottinger. Di Daniel C. Marcoccia

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osa pensate di “The strange case of…”, il vostro nuovo album, a qualche mese dalla sua uscita? Lzzy Hale (voce e chitarra): Ne sono molto orgogliosa e non cambierei una nota del disco. Quando lo stavamo registrando, ero molto impaziente e non vedevo l’ora che uscisse. Abbiamo lavorato davvero tanto a queste canzoni e oggi mi emoziona vedere che molti fan, vecchi e nuovi, le amano e le cantano durante i nostri concerti. È uno dei motivi che ci porta a dare sempre il massimo dal vivo.

nuovi arrangiamenti o introdurre altri suoni nella nostra musica. Per tutti questi motivi era molto importante per noi continuare a lavorare con lo stesso produttore e la stessa squadra. Joe Hottinger (chitarra): Mantenere lo stesso team ti regala serenità perché c’è un rapporto di fiducia che si instaura e di conseguenza puoi sperimentare, appunto, e cercare di rinnovarti senza tuttavia snaturare quello che è il tuo suono. Howard ci conosceva già, sapeva chi eravamo e come volevamo crescere.

Avete lavorato nuovamente con il produttore Howard Benson. Cosa vi piace in particolare del suo metodo di lavoro o del suo apporto alla vostra musica? L.H.: Per questo disco è stata anche una questione di sicurezza. Il primo album, come spesso accade per una giovane band, rappresenta un po’ tutto quello che hai fatto fino a quel momento: anni di prove, concerti in locali di ogni tipo, tanta gavetta e canzoni che hai già suonato per parecchio tempo. Per “The strange case of…” è stato un po’ come ripartire, dovevamo scrivere nuovi brani ma con meno tempo a disposizione. Avevamo anche voglia di sperimentare un po’, provare

Tre anni tra un disco e l’altro, con in mezzo tantissimi concerti. Se ricordo bene, il vostro EP d’esordio era addirittura registrato dal vivo… J.H.: Sì, è quello che ci piace fare di più: partire per mesi e mesi “on the road” e suonare le nostre canzoni. È la dimensione ideale per tutti noi, da sempre, e poi è fantastico vedere nuovi posti e incontrare altra gente. L.H.: Lo diciamo sempre tra di noi: fare concerti è davvero facile, è la vita normale a essere difficile (ridono). Come diceva Joe, è bello scoprire le città in cui suoniamo, quando ne abbiamo il tempo, e

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incontrare nuove persone con cui parlare anche della nostra musica. Come in questo momento con te. Sai che sei il primo giornalista italiano che ci intervista di persona e non telefonicamente? Tutte queste cose le puoi vivere solo se passi molto del tuo tempo su un tourbus. J.H.: Anche quando scriviamo una canzone, pensiamo all’impatto che avrà dal vivo. L.H.: Sul nuovo disco ce ne sono infatti due, “Freak like me” e “Rock show”, che sono state ispirate proprio dai fan e dalle esperienze dal vivo, nostre e loro. Lo scorso anno avete fatto un EP di cover, “ReAniMate”. Oltre ai vari Temple Of The Dogs, Guns N’Roses, Skid Row e Beatles, spiccava una personale versione di “Bad romance” di Lady Gaga… L.H.: Sono stati i nostri fan a deciderlo. Cercavamo una canzone un po’ particolare da aggiungere alla tracklist del disco e abbiamo indetto un sondaggio sul nostro sito. “Bad romance” era quella che ci suggerivano molti dei nostri fan e infatti eravamo piuttosto sorpresi visto che chi ci segue preferisce solitamente sonorità più heavy rock e metal. Lzzy, sei fan di Lady Gaga? L.H.: Fan non direi, però la rispetto e credo che sia un’artista veramente singolare. All’inizio pensavo che fosse l’ennesima cosa costruita ad arte ma mi incuriosiva e ho quindi cercato di saperne di più. È un personaggio davvero strano ma al tempo stesso ti rendi conto che è veramente così. Non c’è finzione. C’è qualche donna del rock che ti ha invece influenzato? L.H.: Mia mamma ascoltava molto Joan Jett e Janis Joplin, potrei quindi citarti loro, ma non mi sono mai focalizzata sui gruppi solo perché c’era una donna a cantare. Mi interessano di più la band e le canzoni che non il sesso di chi canta. Sai una cosa strana? Quando mi paragonano a qualcun altro, si tratta quasi sempre di maschi e mai di donne!!! www.halestormrocks.com

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MILLENCOLIN

Freschi di celebrazione del loro ventesimo anniversario, i Millencolin sono ancora oggi uno dei punti di riferimento della scena punk e mondiale. Abbiamo fatto il punto della situazione con il batterista Frederik Larzon. Di Stefano Russo foto Arianna Carotta

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osa significa per voi essere ancora qui, dopo 20 anni, a fare sempre quello che più vi piace? Frederik Larzon (batteria): È meraviglioso, sono davvero grato del fatto che sia ancora possibile per noi fare tutto questo e che così tanta gente venga ai nostri concerti, è pazzesco!

abbiamo voluto con noi proprio tutte quelle band con cui abbiamo diviso il palco negli anni, oltre ad altri gruppi formatisi più di recente e che ci piacciono un sacco. Quei due concerti, per quanto mi riguarda, entrano facilmente nella mia “Top 3”: abbiamo suonato nella nostra città, davanti a un sacco di gente e con tutte queste band che adoriamo. È stata come una rimpatriata tra amici.

Quando avete iniziato, pensavate di arrivare a un concerto per celebrare i vostri primi 20 anni di carriera? F.L.: Assolutamente no! Quando sei giovane e metti su una band, non pensi alla carriera o a cose simili, hai solo bisogno di qualcosa da fare al posto di gironzolare tutto il giorno per la città. Eravamo abbastanza fortunati da avere questo spazio dove poter provare, arrivavamo da altre band ed eravamo più o meno tutti skater. Quando iniziammo a vedere questi video di skateboard che arrivavano dagli States decidemmo che il punk rock californiano era il tipo di musica che ci piaceva e che volevamo fare. Ed è per questo motivo che sono nati i Millencolin.

Quali pensi siano stati il momento migliore e quello peggiore della carriera dei Millencolin? Ammesso che ci sia stato un momento peggiore, ovviamente… F.L.: Il momento migliore? Direi tutto, in fondo siamo ancora qui e ci stiamo divertendo! Il momento peggiore, per me, è stato forse quando sono stato costretto a non suonare a causa di un paio di fratture. Prima mi sono rotto la clavicola andando in skateboard, poi mi sono rotto il gomito a un concerto dei NOFX perché ero troppo ubriaco!

Era strano, quando avete iniziato, il fatto che arrivaste dalla Svezia e non dalla California? Questo vi ha complicato le cose in qualche modo? F.L.: Immaginati noi che andiamo a suonare negli States! Non sapevamo davvero che reazioni aspettarci, ma alla fine è andata bene. Nei primi anni ’90, poi, uscirono un sacco di band europee che iniziarono a fare punk rock di stampo americano.

Dopo 20 anni, quali sono gli obbiettivi dei Millencolin? Avete ancora la stessa passione e la stessa energia che avevate agli inizi? Qualcosa è cambiato ora che vedete il mondo con gli occhi di persone adulte? F.L.: Sicuramente! Durante i primi anni era tutto una scoperta, e poi pensavamo solo a bere e a fare festa. Oggi, invece, siamo più concentrati sui concerti e sentiamo la responsabilità verso i nostri fan, anche perché senza di loro semplicemente non esisteremmo. Finché sentiremo di fare ancora buone canzoni e buoni dischi andremo avanti.

La scena svedese, in effetti, è sempre stata una delle più agguerrite d’Europa… F.L.: Assolutamente, ci sono tonnellate di band! Per il nostro show dei 20 anni

Il vostro processo creativo si è evoluto o è cambiato in qualche modo nel corso degli anni? F.L.: Sì, è cambiato molto. Tutto il materiale dei primi dischi è stato creato in

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"Le persone crescono, mettono su famiglia e si trovano un lavoro, non sono piÚ concentrati solamente sulla musica. Però ogni tanto tornano a vedere un concerto, o ad ascoltare i tuoi dischi. 20 anni di carriera significano anche questo". RockNow 41


MILLENCOLIN sala prove, ma oggi è differente: viviamo in posti diversi e quindi Nikola e Matias condividono tutte le loro nuove idee con il resto della band via Internet. Ci troviamo tutti assieme per arrangiare e provare le canzoni solo prima di entrare in studio per registrarle, se non addirittura direttamente in studio. È un metodo che per noi funziona bene. Avete appena pubblicato una compilation di b-sides: state anche lavorando ad un nuovo album attualmente? F.L.: Il piano è di prenderci una vacanza e iniziare a lavorare sul nuovo materiale quest'autunno

autunno, per poi pubblicare il disco il prossimo anno.

concerto, o ad ascoltare i tuoi dischi. 20 anni di carriera significano anche questo.

Come sono cambiati i vostri fan nel corso degli anni? Sicuramente quelli della prima ora sono cresciuti, ma nel frattempo ne avrete guadagnato dei nuovi e più giovani… F.L.: Di certo non è semplice far arrivare la tua musica a persone nuove, specialmente oggigiorno: ci sono così tante nuove band, ed è davvero facile avere accesso alla musica e a tutto il resto. Ma, in qualche modo, siamo comunque riusciti a guadagnare nuovi fan e allo stesso tempo a mantenere una parte dei vecchi. Sai, le persone crescono, mettono su famiglia e si trovano un lavoro, non sono più concentrati solamente sulla musica. Però ogni tanto tornano a vedere un

Non siete l’unica punk band a celebrare i 20 anni di carriera quest’anno: anche i Rancid, ad esempio, hanno raggiunto il ventennale, così come pure gli MXPX. Insomma, sembra proprio che il 1992 sia stata un’ottima annata per il punk! Cosa c’era di così speciale in quell’anno? F.L.: Oh non saprei, davvero! Non dimenticare, però, che i ragazzi dei Rancid suonavano già in un’altra grande band (gli Operation Ivy, ndr), sono nel giro da molto prima. È davvero un peccato non aver potuto suonare assieme al Rock In IdRho, sarebbe stato un giorno speciale perché non abbiamo mai potuto condividere il palco con loro in tutti questi anni. Sul serio? In 20 anni non avete mai condiviso il palco con i Rancid? F.L.: No, mai! (ride) È importante per voi aver avuto un’influenza su un sacco di band che sono venute dopo di voi? F.L.: È molto piacevole sentirselo dire, quando accade realizzi sul serio il fatto di avere un’influenza sulla gente. Non solo su altri musicisti, ma sulla gente in generale: quando qualcuno ti scrive che ha superato dei momenti difficili grazie alla tua musica, quello per noi significa davvero molto. Tra le band che avete influenzato con la vostra musica, ce n’è qualcuna in particolare che vi piace? F.L.: Probabilmente non conosco nessuna di queste band (ride)! Voglio dire, durante gli anni il nostro suono è cambiato molto, non mi è mai capitato di trovare una band che ci assomigliasse in modo particolare. Ma sicuramente ci sarà qualche nuova band che vi piace… F.L.: Certamente, un sacco, solo che quando me lo chiedono non so mai cosa rispondere! Ma senza dubbio ci sono tante ottime band che arrivano dalla Svezia, come quella nuova di Rodrigo dei Satanic Surfers, gli Atlas Losing Grip. www.millencolin.com

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LUNEDÌ 18 FEBBRAIO 2013 Jesolo - Pala Arrex MARTEDÌ 19 FEBBRAIO 2013 Milano - Mediolanum Forum

MARK LANEGAN BAND

WITH CREATURE WITH THE ATOM BRAIN DUKE GARWOOD & LYENN

29 NOVEMBRE 2012 ROMA ORION CLUB 30 NOVEMBRE 2012 FIRENZE VIPER

www.marklanegan.com facebook.com/MarkLanegan


BILLY TALENT

Le porte del silenzio Dopo aver pubblicato un disco come “Dead silence” non potevamo non fare quattro chiacchiere con i Billy Talent, intercettati al volo on the road. Di solito sono queste le interviste più divertenti. Di Arianna Ascione - foto Dustin Rabin

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ove vi trovate adesso? Ian D’Sa (chitarra): Siamo in Germania al momento, ma la prossima settimana saremo in Scandinavia, gireremo un po’ in Norvegia e Finlandia. Poi andremo in Inghilterra, Russia e Ucraina. Sta andando tutto molto bene comunque. Tra un po’ dovremmo riuscire anche a tornare da voi in Italia, a Milano se non sbaglio.

Il disco ormai è già uscito da qualche settimana. Come è stato accolto? I.D.: Siamo molto soddisfatti dei riscontri che stiamo avendo dopo la pubblicazione di “Dead silence”. Abbiamo ricevuto feedback molto positivi, sia per quanto riguarda le recensioni che sono state scritte, sia da parte dei fan che sono venuti ai nostri show.

Siete passati l’estate scorsa dalle nostre parti, in occasione della preview del Rock in IdRho, al Carroponte di Sesto San Giovanni. Com’è andata? I.D.: Eravamo già stati ad un festival in Italia qualche anno fa, l’Indipendent (nel 2007, ndr). Al Rock in IdRho ci siamo divertiti molto, ci è piaciuto un sacco suonare in quella location ed è stato bello poter dividere il palco con gli Hives e gli Offspring. Tra l’altro siamo anche riusciti a vedere i concerti: gli Hives sono davvero grandi, hanno una fortissima presa sul pubblico. Anche con gli Offspring avevamo già diviso il palco altre volte.

È un disco più elaborato del solito, dal sound un po’ più pieno… quasi da “pugno in faccia”. I.D.: Sì, sono d’accordo, ha un impatto sonoro diverso. Abbiamo cercato di tornare al sound del primo e del secondo disco. Abbiamo sentito un po’ di pressione, dopo aver avuto successo con “Billy Talent III”, il nostro terzo disco, ma non troppa. Anche perché abbiamo lavorato con persone con cui avevamo già collaborato in passato. E ci siamo divertiti molto a sperimentare per trovare nuovi sound, cercando comunque di recuperare le sonorità del passato.

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Avevate già i pezzi pronti quando siete entrati in studio? I.D.: Sì un po’ di canzoni c’erano già. Alcune tracce le abbiamo scritte nell’ultimo anno e mezzo. Scriviamo anche mentre siamo in tour, e quando ci siamo presi una pausa, per metterci a fare il disco, dovevamo solo rimettere a posto le idee. Siamo quasi sempre rimasti nello stesso studio, sia quando facevamo le prove sia quando abbiamo registrato i demo.

I.D.: Io volevo fare questo disco e andare in tour per portare in giro le nuove canzoni. Ci piace moltissimo fare questo lavoro perché ci permette di suonare in posti in cui non siamo mai stati. In Sudamerica ad esempio: non ci abbiamo mai suonato prima d’ora e tra un po’ ci andremo. Per la prima volta. Poi ci piace lavorare sul nostro sound e continuare a crescere musicalmente.

“Viking death march” è il brano che preferisco in assoluto del vostro nuovo lavoro. Come è nato? I.D.: Di solito il nostro processo di songwriting funziona così: io inizio a suonare qualcosa con la chitarra e poi Benjamin pensa al testo. Quella canzone in particolare è nata durante il tour del nostro disco precedente, avevamo già in mente quella specie di marcetta che accompagna tutto il pezzo.

Quest’anno è stato molto interessante per quanto riguarda il punk: sono molte le band che hanno pubblicato dischi nuovi. Specialmente quelle storiche, come i NoFx ad esempio. Voi seguite ancora la “vecchia scena”? I.D.: Siamo molto amici dei ragazzi dei NoFx e il loro ultimo disco ci è piaciuto tanto. Sono in giro da vent’anni ed è bellissimo che riescano ancora a fare delle canzoni così belle e divertenti. Anche se passa il tempo, loro sono sempre gli stessi!

C’è qualcosa che vi piacerebbe ancora fare nella vostra carriera?

www.billytalent.com

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THE MAINE Finalmente di passaggio nel nostro Paese, dopo anni di attesa, non potevamo lasciarci sfuggire l’occasione di intervistare il gruppo dell’Arizona. Di Michele Fenu

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re album e un paio di EP in cinque anni: siete cresciuti enormemente come band. A livello personale, invece, cos’è cambiato? Patrick Kirch (batteria): Oddio, direi che prima di tutto stiamo diventando vecchi (ridono)! A parte gli scherzi, direi che abbiamo maturato tanta esperienza. John O'Callaghan: Penso che la passione per la musica sia diventata molto più intensa col passare degli anni, come l’interesse nello scrivere i testi e nel comporre… Ah, e poi sono andato via da casa dei miei genitori! Cosa vi ha spinto a pubblicare il vostro precedente album

“Pioneer” con la vostra etichetta (Action Theory Records, ora ristampato da Rude Records con il titolo “Pioneer and the good love”, con l’aggiunta di 6 brani inediti, nda) e non più con una grossa label? P.K.: Eravamo entusiasti del nuovo album, ma penso che fossimo i soli a esserlo… J.O’C.: La Warner era abbastanza indecisa sul da farsi ma non volevamo letteralmente buttare sei mesi di duro lavoro, così lo abbiamo fatto uscire comunque, ma per la nostra etichetta. La vostra attività live è molto intensa, fatta di tour per interi mesi e pochissimi day off. Qual è la parte più difficile nel non fermarsi mai? J.O’C.: Beh, siamo ancora giovani, quindi direi che non ne risentiamo troppo a livello fisico. Penso che le cose più importanti che mi mancano in tour sono i miei amici e la mia famiglia. A parte questo, mi diverto come un matto! Dove e come trovate il tempo per lavorare ai nuovi pezzi? J.O’C.: In teoria lavoro ai brani nuovi solo a casa, non riesco a concen-

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trarmi in tour, è difficile farlo poiché ho sempre tante persone attorno. Mi serve del tempo da solo, per trovare la giusta ispirazione… Quando sono a casa leggo molto, passo del tempo sul pianoforte. Per la promozione di “Pioneer and the good love” farete degli show segreti in Germania e Inghilterra legati ai preordini dell’album. Come si svolgeranno? J.O’C.: Non li chiamerei “secret show”, sono più che altro dei “meet and greet” per premiare i fan che hanno comprato l’album ancora prima che uscisse. Potranno vedere il soundcheck, fare delle foto e godersi qualche pezzo acustico Finalmente, dopo una lunga attesa, uscirà “Anthem for a dying breed”, il vostro dvd contenente una parte biografica oltre a quella live. È stato difficile lavorare a un documentario su voi stessi e relativo alla stesura di “Pioneer and good love”? J.O’C.: È stato divertentissimo! Abbiamo filmato quasi tutto l’intero processo di realizzazione del disco, dall’inizio alla fine. Non è stato troppo

difficile, dovevamo solamente interpretare noi stessi, esattamente come siamo nella vita di tutti i giorni. P.K.: Poi c’è la parte live che abbiamo girato in Brasile. Abbiamo tantissimi fan in Sud America ed è stato incredibile! Ognuno di voi, oltre ai soliti social network, ha un suo blog… Quanto è stata utile la Rete per la crescita e la diffusione della vostra musica? J.O’C.: È essenziale! P.K.: Senza dubbio sarebbe difficilissimo farsi conoscere nei diversi paesi senza la Rete. Questa è la nostra prima volta in Italia e abbiamo avuto una grandissima accoglienza da parte dei fan. Puoi supportare la musica parlandone con gli amici, ma puoi raggiungere un numero illimitato di contatti se pubblichi in Rete quello che pensi! www.wearethemaine.net

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EVERY TIME I DIE

Exbuffalo lives and soldiers other stories La loro “I” gotica, che appare sulle grafiche di album e t-shirt, è ormai ben riconoscibile nel panorama alternative/heavy rock mondiale. Ma tutt’altro che egocentrica, la band di Buffalo, oltre ad avere prodotto un ottimo lavoro, l’ultimo “Ex lives”, è sempre pronta ad esibirsi con furore. A confermarlo è Andrew Williams, il baffuto chitarrista della band. Di Andrea Rock

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artiamo da “Ex lives”, il vostro ultimo lavoro. Come lo giudichi a sei mesi di distanza dalla sua pubblicazione? Andrew Williams (chitarra): È il nostro disco più onesto. In molti sono venuti a dirci che è il migliore della nostra carriera, ma preferisco pensarlo semplicemente come la normale progressione della band. Quando volevamo sottolineare alcune parti, alcune sonorità all'interno dei brani, l'abbiamo fatto, senza porci troppe domande. È venuto fuori esattamente come speravamo. Avete suonato con migliaia di gruppi, raggiunto moltissimi fan in tutto il mondo; avete addirittura partecipato a un tour con la crew di “Jackass”… Cosa potrete mai desiderare nel prossimo futuro? A.W.: Non so, man! Come hai detto tu, ogni obiettivo prefissato è stato ad oggi raggiunto; ognuno nella band, dopo 15 anni, qualche soldo l'ha messo da parte. Ci piacerebbe poter suonare in quei posti dove non siamo ancora stati, come l'Africa o il Medio Oriente. Non ci interesserebbe in tal caso fare un vero e proprio tour; andremmo lì solo per quei ragazzi che avranno voglia di conoscerci e ascoltare la nostra musica. Insomma, un po' come tornare indietro ai tempi dei primi concerti “DIY”... A.W.: Esatto, proprio così! Il video che promuoveva la vostra partecipazione al Warped Tour 2012 era una vera e propria presa di posizione nei confronti delle giovani band (vi invito a visionarlo sul loro sito, nda)... A.W.: Eravamo sarcastici, non volevamo fare quelli che insegnano ai più giovani come essere “cool”... ma al tempo stesso facevamo capire loro che una certa esperienza in quel contesto l'abbiamo! Gli organizzatori e il pubblico del Warped Tour sono stati sempre splendidi con noi e se un giorno, magari fra 10 anni, con la band ormai non più in attività,

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venissero a chiederci un ultimo Tour, probabilmente ci rimetteremmo assieme apposta per l'occasione. L'aspetto grafico è importante per la band come dimostrano le tante t-shirt indossate dai fan ai concerti... A.W.: Jordan è il nostro artista, ma ce ne occupiamo tutti insieme quando si tratta del “merch” della band. Se volete vedere i lavori del nostro chitarrista, però, visitate il suo sito (www.jordanbuckleymadethis.com). Nella mia ultima visita alla Guinness Storehouse (la fabbrica della famosa birra scura a Dublino, nda), vidi addirittura 3 ragazzi con addosso una vostra maglia… A.W.: È un paese magnifico, la prima volta che andammo lì a suonare era per un tour assieme ai Chimaira. Sceso dal bus, che condividevamo con loro, vidi un ragazzo in lacrime. Non sapeva nemmeno chi fossi, ma solo il fatto che una band internazionale fosse lì a Dublino per suonare aveva per lui un significato particolare. Questo succedeva tra la fine del 1998 e il 1999, poco dopo la conclusione ufficiale dei conflitti legati al movimento indipendentista dell'IRA. Non vediamo l'ora di tornarci, quel posto significa molto per noi. Il 2012 è stato un anno durante il quale molte band, anche della scena hardcore/metal, sono tornate ad esibirsi. Come giudichi questo fenomeno? A.W.: Probabilmente, molti di quelli che facevano parte di questi gruppi, col passare del tempo si sono stancati del loro lavoro giornaliero e hanno pensato bene di tirar su qualche soldo tornando a suonare. Non sono quindi un grande fan di queste reunion. Ma se si parla dei Refused, beh, allora il discorso cambia; non riesco a immaginare nemmeno il motivo del loro scioglimento dopo aver pubblicato uno degli album più importanti della scena punk-hardcore. Chissà cosa avrebbero combinato se fossero andati avanti... www.everytimeidie.netI


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WE ARE THE OCEAN

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Per gli inglesi We Are The Ocean, passare dalle sonorità decisamente urlate del post-hardcore dei loro primi lavori a un rock più “di respiro” con il nuovo album “Maybe today, maybe tomorrow” ha certamente rappresentato una grossa sfida, anche dal punto di vista dell'immagine. Ne abbiamo parlato direttamente con loro, subito dopo il loro concerto a Belfast di fine settembre. Di Alex De Meo

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rima volta in questa città in assoluto, vero? Liam Cromby (voce, chitarra): Sì, prima volta, ma già da headliner: direi che le cose non vanno affatto male! E con il disco come va? Il cambio di sound rispetto ai vostri prodotti precedenti è stato un processo naturale o una scelta discografica precisa? L.C.: Credo che il tutto sia avvenuto in modo naturale. Anche se siamo in giro da cinque anni, siamo sicuramente una band ancora molto giovane, con un processo creativo in continuo movimento. Pensate che la vostra musica stia in qualche modo “invecchiando”? Alfie Scully (chitarra): Sicuramente sì, ma non in maniera negativa. Ci siamo accorti che anche ai nostri concerti c'è molta gente più grande e questo può farci solamente piacere, perché vuol dire che possiamo raggiungere un pubblico più ampio. Avete iniziato ad ascoltare cose che vi hanno influenzato in maniera differente? L.C.: In realtà non molto: siamo sempre stati influenzati da band che sono in giro da tempo e non tanto dal sound che va “di moda”. Fondamentalmente tendiamo a farci ispirare da qualsiasi cosa che ci piace: se una canzone è buona, qualunque sia la band che la suona, va sempre bene. Jack Spence (basso): Forse all'inizio tendevamo a fare più cose che sapevamo sarebbero potute piacere alla gente, poi col tempo abbiamo iniziato a renderci conto che potevamo metterci anche di più del nostro. Pensate che l'evoluzione del vostro sound abbia influenzato anche l'energia che avete sul palco? J.S.: Con il sound che abbiamo ora forse sarebbe un po' esagerato fare le capriole sul palco o lanciarci in mezzo alla gente, ma l'energia è rimasta la stessa. A.S.: Io continuo a farmi i miei quattro o cinque shot di whisky prima di suonare, esattamente come facevo

prima! A parte gli scherzi: io vedo che la gente si diverte allo stesso modo, magari prestando anche più attenzione alle canzoni stesse e ai testi. Avete menzionato l'attitudine del pubblico verso la vostra musica. In tour fuori dal Regno Unito quali sono i posti dove vi divertite di più? L.C.: Gli Stati Uniti sono fantastici, ma anche l'Australia. Però il posto dove abbiamo lasciato il cuore è sicuramente la Polonia: lì sono dei pazzi e si divertono con noi in maniera decisamente speciale! Parlando degli Stati Uniti, avete partecipato anche al Warped Tour: che sensazione dà il poter dividere il palco e il backstage per intere settimane con quelli che probabilmente sono i vostri idoli? L.C.: È un'esperienza eccezionale e c'è da dire che l'atmosfera del backstage al Warped Tour è sempre super rilassata e non c'è nessuno che fa la “primadonna”. J.S.: Io, sinceramente, un po' emozionato lo ero sempre. Non vorrei sembrare la “groupie” della situazione, ma mi ricordo una volta in cui eravamo a pranzo e c'erano i Taking Back Sunday lì vicino a noi. Non sapevo come rivolgergli la parola senza sembrare un cretino e allora al self service ho chiesto ad uno di loro se mi poteva passare le patate... Un'ultima domanda: la vostra tour manager è una ragazza, ed è anche molto giovane. La cosa non vi ha mai provocato qualche imbarazzo? L.C.: Sinceramente non ci ho mai trovato nulla di strano: ormai è un anno e mezzo che siamo con lei e ci troviamo benissimo, anche perché c'è grande professionalità da una parte e dall'altra. J.S.: Senti, diciamo la verità: appena ci hanno detto che ci avrebbe portati in giro lei, il mio primo pensiero è stato che non avremmo potuto ruttare e scoreggiare. Poi alla fine ci siamo accorti di poterlo fare comunque!

oggi domani www.wearetheocean.co.uk

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DISCO DEL MESE

STONE SOUR

“House of gold & bones - Part 1” (Roadrunner/Warner) ★★★★ Qualche tempo fa, su un’ottima rivista inglese, c’erano foto di Corey Taylor alle prese con un barbecue a casa sua; praticamente l’immagine rilassata e divertente di un cantante che ha fatto della musica metal sparata a tutto volume la sua ragione di vita. Considerate quelle che sono le sue due occupazioni principali, ovvero Slipknot e Stone Sour, nonché l’intensità e l’energia che richiedono entrambi i progetti, viene da chiedersi quando cavolo trovi il tempo per mettersi ai fornelli! Okay, sto divagando e a voi interessa sapere essenzialmente come sarà il nuovo disco degli Stone Sour. Bene, iniziate pure a mettere da parte i soldini perché vale veramente l’acquisto. E sto parlando solo della prima parte di “House of gold & bones”, dal momento che la seconda uscirà più avanti. Ma se i presupposti sono questi… Come spiega lo stesso cantante nell’intervista

52 RockNow

a inizio giornale, il nuovo disco è un concept-album, ovvero un racconto che si srotola attraverso le canzoni, mentre la musica si adegua al ritmo della storia e ne racchiude l’intensità. Questo lavoro colpisce intanto fin dalle prime tracce per la sua durezza, con un approccio decisamente più heavy alle canzoni. L’apertura è, infatti, affidata a due bombe come “Gone sovereign” e “Absolute zero”, con la prima che parte con un riff metal ripetuto per quasi un minuto e sul quale si poggia l’inconfondibile voce di Corey Taylor. Ritmo sostenuto, basso e batteria che martellano e violenza inaudita (beh sì, dagli Slipknot, ma è diverso…). La seconda inizia esattamente come finisce la prima e presenta alcune aperture melodiche nel ritornello che non avrebbero sfigurato in un disco come “All hope is gone”. Si rallenta leggermente con “A rumor of skin”, anche questa caratterizzata da un

bel riff di quelli spessi e un giro di basso tostissimo (suonato in tutte le canzoni da Rachel Bolan degli Skid Row). Il bello di questi primi brani è la loro potenza che non va tuttavia mai a discapito della melodia. “The travellers (part 1)” è la prima ballata del disco, perfetta nelle sue atmosfere e nell’intreccio tra chitarra acustica ed elettrica. Corey si dimostra ancora una volta uno dei migliori cantanti in circolazione, bravo e perfetto in tutte le situazioni. “Tired”, con il suo tiro epico e l’arrangiamento molto elaborato, sembra una canzone scritta per accompagnare le immagini di un film di Supereroi. E l’interpretazione vocale è ancora una volta da brividi. A questo punto arriva il brano “rullo compressore” dell’intero disco, “RU486”: praticamente tutto il meglio che avete sentito del thrash metal riproposto in salsa Stone Sour. Sarà interessante ascoltarla dal vivo, con questo

ritmo che è un invito al pogo più frenetico e il ritornello cantato in coro dalla band. Una vera sberla sulle orecchie, ma c’è il rimedio giusto per fare sbollire i timpani: una splendida ballata acustica (ormai marchio di fabbrica di Corey) intitolata “Taciturn”. L’epicità della musica degli Stone Sour riemerge invece con “Influence of a drowsy God”, che parte piano per poi crescere sempre più fino a esplodere completamente, e con “The travellers (part 2)”. Il gran finale arriva con “Last of the real”, introdotta da un solido giro di basso e l’ennesima grande prova di Corey che ci stupisce ancora (anche dopo 8 album, tra Slipknot e Stone Sour) con le sue capacità vocali che gli permettono di cantare su più registri in un disco, se non addirittura nella stessa canzone. Bene, tutto questo è “House of gold & bones”. Ed è solo la prima parte... Daniel C. Marcoccia


FEELBACKS

“Through the memories” (This Is Core Music)

★★★

Che l’Italia fosse ormai patria del movimento pop-punk europeo si intuiva da qualche tempo e sicuramente oggi ne abbiamo sempre più la conferma. A dare credito a questa considerazione, ecco i romani Feelbacks, band nata da pochi anni ma forte di tutte quelle caratteristiche che fanno di un nuovo progetto qualcosa di interessante. Brani vivaci e ben eseguiti sono i tratti somatici di “Through the memories”, EP che mette in evidenza buone idee in fase di songwriting e una qualità ormai rara: saper scrivere belle canzoni. Un prodotto che saprà scaldare i

nu rock cuori di tanti teenager in questo inverno ormai alle porte. Giorgio Basso

HIGH HOPES “High Hopes”

(This Is Core Music)

★★★★

Amanti del metalcore segnatevi il nome High Hopes. Questa giovane band di Reading, a meno di un anno dalla sua nascita ha dato alla luce un EP incendiario che, c’è da scommetterci, li porterà presto alla ribalta. D’altra parte, bastano buone idee, una tecnica strumentale buona, un valido team alle spalle e tanta fame di successo. Elementi che questi High Hopes hanno e che rivendicano in cinque brani di indubbia qualità,

feroci e abili nel trovare sempre un compromesso tra vecchia e nuova generazione hardcore. Se Parkway Drive e Ghost Inside sono le band di riferimento degli High Hopes, di sicuro ci sarà da divertirsi! Giorgio Basso

ILL NIÑO "Epidemia" (Victory)

★★★★

A due anni esatti da "Dead new world", gli Ill Niño tornano con "Epidemia". La band capitanata da Cristian Machado non ha certo bisogno di presentazioni. Tra i pochi superstiti dell'esplosione nu metal, il sestetto del New Jersey ha da sempre fatto della contaminazione la propria forza e il nuovo disco non è da meno. Le influenze latine sono sempre presenti, ma a stupire è il forte impatto metal dei singoli brani: duri, violenti e diretti come non mai. La melodia propria delle linee vocali lascia spesso e volentieri il posto a growl gutturali dal forte impatto, sorretti da passaggi strumentali che si discostano dal nu metal degli albori per strizzare l'occhio a un attuale modern metal. Ridefinire il latin metal? Obiettivo pienamente raggiunto. Michele Zonelli

AT THE SKYLINES "The secrets to life" (Roadrunner/Warner)

PARKWAY DRIVE “Atlas”

(Epitaph/Self)

★★★

In dieci anni di attività, iParkway Drive hanno raggiunto traguardi impressionanti, che vanno ben oltre le più rosee aspettative di una qualsiasi metalcore band alla moda. Eppure da qualche anno a questa parte qualcosa sembra venir meno anche da una macchina perfetta come la loro: i dischi. “Atlas” - quarta uscita per il quintetto di Byron Bay soffre fortemente di dipendenza da “Deep blue”, suo fortunato predecessore che ha evidenziato l'inaspettato indurimento sonoro attuato dalla band australiana e proprio per questo motivo un ottimo passo in avanti ai tempi della sua uscita. Tornando ad “Atlas”, ascoltandolo si ha come l'impressione di avere a che fare con i brani scartati di quel disco talmente la linea artistica è simile: esempi lampanti sono la scelta di porre di tanto in tanto cori ad alto tasso melodico e i suoni praticamente identici. Il sempre ottimo growl di Winston McCall non aiuta la causa, rendendo ancor più standard il tutto. Più che una mezza delusione insomma, specie per chi – come il sottoscritto – li segue da quel “Killing with a smile”, che a modo suo ha segnato un'intera generazione. Un dato è certo: in fatto di metalcore i Parkway Drive rimangono i punti di riferimento per l'intera scena, ma fa un po' tristezza notare quanto una band così talentuosa si sia voluta sedere sugli allori... Eros Pasi

★★★★

Sestetto californiano al debutto discografico, gli At The Skylines sono arrivati al sottoscritto col sibillino commento del boss Daniel “diventeranno grandi”. Non che non mi fidi del sommo capo di RockNow, ma per esperienza so che la “next big thing” musicale viene annunciata circa un paio di volte al mese nella scena rock. E si rivela puntualmente una sola... Mi sono però ricreduto nel giro di una quarantina di secondi di ascolto, e sebbene non in grado di prevedere il futuro, mi sento di fare i complimenti a questa giovanissima band: il disco è ottimo e fa intravedere delle potenzialità di prim’ordine!!! Una band indubbiamente dal suono metalcore (quindi non esattamente rivoluzionaria) che riesce però meglio del 98% dei concorrenti a coniugare potenza e melodia, scream/growl con cantato pulito, chitarre potentissime e influenze elettroniche ed industrial. Alla Roadrunner hanno

tra le mani una possibile grande band, mi auguro la sappiano gestire come si deve! Luca Nobili

THE ANTHEM “High five”

(Nerdsound/Bullion Records)

★★★

Una recensione scontata e un po' con la puzza sotto il naso che ho letto di recente diceva che probabilmente gli Anthem funzionerebbero meglio negli Stati Uniti. Il collega in realtà non si è accorto di avere di fatto dato grande credito al gruppo romano: il sottoscritto, d'accordo con l'involontario elogio, è quindi felice di poter dire che gli Anthem di “High five”, con il loro pop rock, stanno certamente più in alto della media italiana e soprattutto riescono a fare cose molto buone in un genere dove le band di casa nostra non hanno effettivamente mai brillato più di tanto. La produzione del disco, affidata a Brian dei Vanilla Sky, risulta molto credibile, soprattutto perché di suoni “finti” se ne sentono pochi, sintomo che anche dal vivo gli Anthem sanno sicuramente il fatto loro. Se volete andare subito al sodo, godetevi pezzi come “Cambodia”, “Draw you over” e il singolo “The best is yet to come”. Promossi! Alex de Meo

THE AMITY AFFLICTION "Chasing ghosts" (Roadrunner/Warner)

★★★★

Preceduto da "Youngbloods" (da noi disponibile in digitale), "Chasing ghosts" si erge a debutto internazionale degli Amity Affliction. Connazionali dei più noti Parkway Drive, i nostri, forti del contratto con Roadrunner, offrono una valida e solida alternativa al predominio esercitato da McCall e compagni. Com’è facile intuire, post-hardcore e metalcore la fanno da padrone. Granitici riff e ritmiche serrate dettano l'incedere, mentre incursioni industrial arricchiscono strutture già sature senza appesantire quanto proposto. Menzione dovuta alle liriche, abili nell'alternare growl dal ruvido impatto screamo a passaggi melodici pronti a sottolineare le buone doti canore di Joel Birch e Ahren Stringer. Da non sottovalutare. Piero Ruffolo

RockNow 53


ROCK/POP 4 AXID BUTCHERS “Villa Gasulì”

(G-04 Records/Audioglobe)

★★★

Tra i primi a proporre in Italia sonorità che vanno oggi per la maggiore (vedi i triestini Trabant), questi cosmopoliti “macellai” hanno definito il loro genere “freaky dance”: praticamente un mix di funk, disco, reggae/steady, pop/ punk. Concepito tra Berlino e la loro villa dei bagordi tra le colline bresciane, il nuovo lavoro sembra privilegiare il lato pop/ punk, tranne per il prescindibile reggae di “My free country” e l’acustica “Keine angst” (cantata in dialetto lombardo). Il resto dell’album ha davvero un bel tiro e scorre veloce e adrenalinico.

“Gasulì”, “Let it burn”, “A globetrotter’s song” arrivano dritte al cervello e promettono di incendiare dal vivo un pubblico eterogeneo che li ha già ammirati sui palchi di mezza Europa e addirittura in Sudafrica. Nico D’Aversa

RICHIE SAMBORA "Aftermath of the lowdown" (Dangerbird/Audioglobe)

★★★

Richie Sambora è serenamente nella Top 20 dei migliori chitarristi rock in attività. Qualsiasi sia la vostra opinione su quanto ha realizzato musicalmente con i Bon Jovi, credo che la sua abilità come musicista e songwriter sia fuori discussione. Con così tanto talento non stupisce che questo suo

recen nuovo (e terzo) lavoro solista non sia meno che un ottimo album, undici canzoni di rock (a tratti hard)-blues-pop ben scritto, ben suonato e perfino ben cantato dallo stesso Richie. "Aftermath of the lowdown" non fa fatica a emozionare e coinvolgere (sugli scudi le tracce "Seven years gone" e "I'll always walk beside you"), un lavoro certamente consigliabile ai fan dei Bon Jovi e in generale a chi adora quello che una volta si chiamava AOR... Tutto perfetto quindi? Sì e no, perché confesso di sentirmi come molti dei miei insegnanti, che di fronte a mia madre non facevano che ripetere "il ragazzo è intelligente ma potrebbe fare di più". Già, con i Bon Jovi Richie Sambora ha dato di più come compositore, e la sensazione di trovarmi di fronte a undici “outtakes” degli ultimi album dei BJ non riesce proprio ad abbandonarmi. Luca Nobili

FILIPPO DALLINFERNO “Filippo Dallinferno”

★★★★

(Bagana/Sounday)

54 RockNow

Esordio da solista per il chitarrista dei Fire (e Rezophonic) e fin dal primo ascolto questo disco coinvolge e sorprende. Intanto, si apre con la lenta “Non è colpa di nessuno”, provocando il timore di ritrovarsi davanti all’ennesimo esercizio in stile “neo cantautorale” che va tanto di moda (dicono…). Ma bastano meno di due minuti e la successiva “Come on John” per beccarsi una scarica di chitarre elettriche e un brano travolgente come pochi. Riff a volontà e ritmica martellante, con tanta melodia e ritornelli azzeccati (“Festa”, “Rimorso”): una ricetta sicuramente non nuova, ma bisogna essere bravi nel dosare gli ingredienti e dare quel tocco personale che fa la differenza. Filippo ci riesce benissimo, addirittura in maniera superlativa con “Signorina Dallinferno”, il singolo geniale che manca a molti gruppi rock e l’esempio perfetto di come scrivere un brano tirato rimanendo allo stesso tempo orecchiabili e un po’ ruffiani. Da notare che il musicista se la cava egregiamente anche con i testi, sempre in bilico tra ironia e cinismo. Segnaliamo infine le comparsate di Olly e Pino Scotto nella sfrontata “Il pop italiano” e la riuscita e davvero personale cover di “Caruso” di Lucio Dalla. Uno dei migliori dischi rock cantati in italiano usciti quest’anno. Daniel C. Marcoccia

...AND YOU WILL KNOW US BY THE TRAIL OF DEAD "Lost songs" (Richie/Superball)

★★★

Avvicinarsi a una creazione degli ... And You Will Know Us By The Trail Of Dead non è semplice e lo è ancora meno prevedere gli esiti dell'ascolto che si sta per affrontare. La prima cosa a stupire di "Lost songs" è la sua immediatezza. Questa volta il combo texano va subito al sodo, senza perdersi in esagerati preamboli. Rock, post-rock ed eclettiche cavalcate sono sempre presenti, ma ora la struttura dei brani è chiara, coesa e ben delineata. Una lunga corsa, dalla convincente "Open doors" alla soave "Time and again", una corsa all'insegna di ottimi costrutti, buoni intermezzi e impeccabili cambi di direzione che danno spazio a inedite soluzioni ("Opera oscura") senza mai allontanarsi dal passato. Un prodotto non per tutti ma in grado di regalare più di una sorpresa. Michele Zonelli

PLACEBO “B3 EP” (Universal)

★★★

In attesa del nuovo album, previsto per il prossimo anno, i Placebo cercano di placare la fame dei tanti fan con questo EP. Se la title-track è piuttosto riuscita, con il suo synth grezzo in apertura e le chitarre che entrano poi in maniera distorta, non si può dire la stessa cosa della cover assolutamente dispensabile di “I know you want to stop” dei Minxus. Per fortuna arriva “The extra”, una ballata molto bella e cupa, che poggia inizialmente su una struttura piuttosto spoglia, per poi arricchirsi di altri strumenti. “I know where you live” è un altro brano dalle atmosfere darkeggianti (le chitarre richiamano vagamente Cure e Joy Division, prima del finale distorto e noisy), con un testo dai toni politici e decisamente carichi di rabbia che contrasta con il cantato pacato di Molko. Chiude “Time is money”, altra ballata dalle atmosfere mutevoli e con un bellissimo pianoforte che si insinua tra gli altri strumenti per tutta la durata


nsioni della canzone. Per concludere: qualche brano lascia ben sperare, ci sono alcune idee molto interessanti, ma la fame rimane. Daniel C. Marcoccia

KOPEK

“White collar lies” (Another Century)

★★★

Album di debutto per il trio irlandese, oggi su CD ma già disponibile dal 2010 in versione digitale. Guidati dalla vocalità versatile e graffiante del frontman Dan Jordan, i Kopek propongono un rock consistente, che si muove bene tra riff aggressivi e sonorità più melodiche, centrando l’obiettivo di proporre un album attuale e coinvolgente anche sulla lunga distanza. Incisiva nelle track più spinte come la trascinante “Love is dead”, la band convince anche con le atmosfere più rarefatte della title track. Evocando Backyard Babies, Black Stone Cherry, Stereophonics, i Kopek mantengono sempre una forte personalità e nell’attuale panorama, non è poco. Sharon Debussy

THE XX “Coexist”

(Young Turks/Self)

★★★★

Il gruppo londinese (oggi diventato trio dopo la dipartita della chitarrista/ tastierista Baria Qureshi) continua ad accattivare con il suo indie pop dalle melodie fragili, volutamente down-tempo, e con gli arrangiamenti semplici, spesso epurati di tutto il superfluo, ma perfetti nel mettere in risalto le bellissime voci della chitarrista Romy Madley Croft e del bassista Oliver Sim. Bastano la cristallina “Angels” e l’incedere pacato di “Unfold” per capire lo spettro sonoro in cui si muovono gli XX in questo disco. Certo, le similitudini con il primo lavoro non mancano, ma ci sono anche momenti in cui i tre si lasciano andare verso altri territori o nella sperimentazione, come ad esempio in “Reunion”, uno dei brani migliori di “Coexist”, con le due voci che trascinano il brano su una base davvero minimale, oppure nelle sonorità di “Tides” e dell’ipnotica “Swept away”, con richiami a Cocteau Twins, Everything But The Girl e

Siouxsie (evidenti anche in altri momenti del disco). Un’ottima seconda prova. Piero Ruffolo

NOT FOR SALE “Calma piatta” (Vrec/Venus)

★★★

Quarto lavoro per la band mantovana, un disco che dovrebbe regalarle una maggiore visibilità. In effetti le dieci tracce del disco sono ben scritte e prodotte, presentano arrangiamenti funzionali al genere proposto (un riuscito power rock melodico, venato di punk e dal riff facile) e testi che ben illustrano una situazione sociale comune a molti giovani: illusioni, voglia di cambiamento e malessere di fronte a una società statica e in crisi. Ben vengano quindi tracce come “Per dare un calcio a questa vita”, “L’orgoglio del domani” e “Il giorno zero”. Interessante infine l’esperimento fatto con il rapper Virgo in “Antologia”, brano che sposta i Not For Sale su sonorità vicine ai primi Linkin Park (due voci, una rappata… ci siamo capiti?) e potrebbe aprire nuove prospettive alla musica del quartetto. Piero Ruffolo

SUNDAY RECOVERY “Coma”

(Mazepa Records)

★★★

Tipico esempio di band apprezzata oltreconfine prima ancora di essere conosciuta in Italia, i Sunday Recovery sono quattro ragazzi romani emigrati a Londra. Propongono un rock dal respiro internazionale abbastanza mainstream, ben prodotto e arrangiato, con una cura dei particolari che evoca un’estetica quasi progressive. La rovente voce di Mirko azzarda con successo virtuosismi in stile Matthew Bellamy. I passaggi meglio riusciti sono a mio avviso i brani più “sporchi” come “Pornstar” o “Young blood”. Interessante anche l’incedere di “I know better” e “Life_sweet. com”. “Coma” è uscito in UK nel 2011 e solo oggi qui da noi. Il disco vanta la collaborazione di Colin Edwin dei Porcupine Tree, che suona nell’ipnotica “In front of you” e nella raffinata “Side C”. Nico D’Aversa

ROCK/POP


METAL AS I LAY DYING "Awakened"" (Metal Blade)

★★★★

Mettiamo subito le cose in chiaro: "Awakened" rappresenta esattamente tutto ciò che sono gli As I Lay Dying. Non amate il metalcore? Non vi piacciono le produzioni di Lambesis? Allora lasciate perdere e dirigetevi altrove, senza accanirvi inutilmente su un'opera che tiene fede alle attese e farà la gioia dei fan. Vero, questo sesto disco non aggiunge nulla di nuovo alla formula che conosciamo ma prosegue con passione quanto proposto in "The powerless rise". I nuovi brani sono veloci, brutali, affabili, melodici quando serve e adulatori al punto giusto. Non

mancano richiami a thrash e modern metal (sottolineiamo “richiami”), utili ad arricchire un insieme già di per sé completo. "Cauterize", "No lungs to breathe" e "Defender" tra i momenti migliori. Michele Zonelli

AVATAR

"Black waltz" (Gain/Sony)

★★★

Pubblicato a inizio anno in Scandinavia e America, il quarto album degli Avatar giunge in Europa. La biografia ufficiale li descrive come il perfetto connubio tra Rammstein, In Flames e System Of A Down. Per chi non li conosce, tale affermazione può sembrare

KISS "Monster" (Universal)

★★★★

I Kiss, nel corso della quarantennale carriera, non si sono fatti mancare nulla: dischi che definire “classici” è un eufemismo negli anni ’70 (“Alive” e “Destroyer” dovrebbero essere materia di studio alle elementari), svolta pop-rock senza trucco negli ’80, dischi quasi heavy metal nei primi ’90 e poi il noto ritorno al makeup con tanto di reunion tour nel 1996... culminato con un disco fondamentalmente inutile come “Psycho circus”. Talmente inutile che persino due ego smisurati come Gene Simmons e Paul Stanley hanno capito che forse era il caso di continuare con i tour ma di lasciare perdere lo studio di registrazione per un po’. Ce ne fossero di band così sagge, aggiungo io... Beh, la storia recente è nota e il ritorno a fare nuova musica del 2007 (“Sonic boom”) è coinciso con un disco finalmente degno di portare il nome Kiss stampato sopra. Inutile dire che “Monster” era per la storica band la prova del nove... prova assolutamente passata, e con scioltezza aggiungo! Udite udite che i Kiss non si sono ri-persi per strada, le hit ci sono e abbondano e il meglio risponde al nome di “Hell or Hallelujah”, “Freak”, “All for the love of rock & roll” e “Take me down below”, il sound è grezzo e potente e non trovo davvero difetti evidenti per poter esercitare il ruolo di “critico-con-la-puzza-sotto-il-naso”. Correte a comprarlo, il party rock è merce rara di questi tempi e non vorrete perdervi la festa, vero? Luca Nobili

56 RockNow

recen decisamente pretenziosa, ma, con le dovute precisazioni, è possibile ritrovare le citate realtà in "Black waltz". Generalizzando al massimo, la formazione entra di diritto nel calderone melodic death metal scandinavo, ma addentrandosi nello specifico, i nostri sperimentano senza sosta sfornando un riuscito mix che di black metal ha ben poco. Industrial, modern metal, rock'n'roll mid tempo e thrash si mischiano senza sosta, spinti da incalzanti digressioni e precisi cambi di ritmo. Eclettico e innovativo. Piero Ruffolo

LOCKED IN “The rebellion” (This Is Core Music)

★★★★

Più passano gli anni e più i Locked In migliorano. Con “The rebellion”, il combo metalcore raggiunge livelli altissimi in fatto di ispirazione e cattiveria, regalando agli amanti di queste sonorità dieci tracce semplicemente devastanti. Merito di una band ormai rodata che, a furia di dividere il palco con gentaglia come Death Before Dishonor e Carpathian, ha imparato a far male con bordate sonore degne dei migliori artisti americani. A metà strada tra la scuola bostoniana e quella teutonica, “The rebellion” sferra un attacco a testa bassa che non lascia indifferenti, coadiuvato da Tommaso dei Fleshgod Apocalypse che nel brano che da il titolo al disco dona il suo growl animalesco alla causa. Un bel lavoro, chapeau! Giorgio Basso

ESKIMO CALLBOY "Bury me in Vegas" (Redfield)

★★★

Gli Eskimo Callboy si affacciano sul mercato con una proposta innovativa e non convenzionale, che ha già portato alla creazione di nuovi termini, uno su tutti: electrocore... Cosa voglia effettivamente dire non ci è chiaro, anche se è possibile intuirlo. Dunque? La band tedesca unisce sapientemente metalcore, post-hardcore, death-core e industrial, andando a confezionare brani che richiamano ora i più recenti Bring Me The Horizon, ora gli Asking Alexandria o i We Came As

Romans, il tutto condito con un'impressionante dose di elettronica. Una combinazione che cela non poche insidie. A favore del combo, la capacità di non dare nulla per scontato e l'abilità di rendere appetibile ciò che in apparenza sembra non poter coesistere. Michele Zonelli

MACHINE HEAD

"Machine fucking Head live" (Roadrunner/Warner)

★★★

Registrato durante l'ultimo tour mondiale, quello legato a "Unto the locust", "Machine fucking Head live" si presenta come il primo CD live dei Machine Head da "HellaLive" (2003). Simili opere hanno da sempre diviso pubblico e critica e questo caso potrebbe non essere da meno, se non fosse che qui si parla di una delle realtà metal più influenti e importanti della scena internazionale. La cura del prodotto dimostra quanto detto. Il disco raccoglie alcuni dei momenti migliori dell'intera tournée. Dalle più recenti "I am hell (Sonata in #C)" e "Be still and know" alle ormai classiche "Aesthetic of hate" e "Davidian", per un'opera in grado di aggiungere adrenalina e trasporto a una discografia che non ha certo bisogno di essere nuovamente elogiata. Piero Ruffolo

MONUMENTS “Gnosis”

(Century Media)

★★

Chitarre sincopate, sessione ritmica energica, progressive groove metal, i Monuments cavalcano il genere del momento, e lo fanno bene, senza sbavature, ma senza aggiungere nulla. Nulla che non sia già stato sentito, o fatto meglio. Capiamoci: “Gnosis” è un disco ben fatto, 40 minuti di buona musica, ben suonata, ben congegnata e ben sorretta dai vocals di Matt Rose, dotato di senso melodico e di versatilità non comune. Ma fatica a distinguersi, a emergere in qualche modo. Un buon inizio che deve segnare l’avvio di un percorso più personale, che la band, stanti le premesse, può sicuramente fare. Sotto l’attenta supervisione della Century Media, che sicuramente ha intravisto le potenzialità del quintetto inglese, ci arriveranno. Sharon Debussy


nsioni GREEN DAY

“¡Uno!”

★★★★

(Reprise/Warner)

Che li amiate o meno, l’uscita di un disco dei Green Day è un evento che non passa mai inosservato dal lontano 1994. Figuriamoci questa volta, che i dischi sono addirittura tre! Questo primo capitolo della trilogia ha già fatto parecchio discutere e ha già dato modo a tutti i “Lester Bangs da social network” di darsi un tono dichiarando anzitempo il decesso artistico della band. Certo, la conclusiva “Oh love” e la clashiana “Kill the DJ” sono sicuramente due scelte molto azzardate e atipiche come apripista, ma sono un indizio inequivocabile dell’attitudine con cui Billie Joe, Mike e Trè stanno pian piano svelando al mondo la loro ultima creatura: fottendosene completamente di qualsiasi regola o teoria del mercato discografico e facendo né più né meno quello che vogliono, puntando a valorizzare il disco nella sua totalità e non come semplice contenitore di singoli. Musicalmente, l’effetto del ritorno di Rob Cavallo è evidente sin dalle prime note dell’ottima opener “Nuclear family”, ma è sulle tracce più “dookiesh” come “Stay the night”, “Let yourself go” o “Angel blue” che ci si rende inequivocabilmente conto che questo disco suona esattamente come un disco dei Green Day. Anzi, come tutti i dischi dei Green Day. Gli elementi più caratterizzanti del songwriting pre “American idiot”, Lookout era inclusa, ci sono tutti, e all’ennesima potenza. Il party è ufficialmente iniziato. Stefano Russo

PUNK/HC tipicamente 90’s, squillanti fiati tipicamente 90’s, linee vocali e cori tipicamente 90’s. Il mio compito finisce qui, nel momento in cui vi dico, senza girarci troppo intorno, che di “solitarobamafattamoltobene” trattasi. Che sia positivo o meno, dipende solo da quanto voi e i vostri gusti siate tipicamente 90’s. Stefano Russo

PROPAGANDHI "Failed states" (Epitaph/Self)

★★★

Era dal 2009 che i Propagandhi non davano alle stampe un disco nuovo e, come è facile immaginare, nell’aria c’era davvero molta attesa. Di sicuro quello che non ci si aspettava è un disco così devastante, ben rappresentato dall’immagine dell’esplosione della navetta spaziale Challenger, scelta per il booklet interno. Dodici brani di una violenza senza precedenti, che giocano ad un inseguimento senza tregua e che a volte si deliziano in virtuosismi sempre meno hardcore. In alcuni momenti, però, “Failed states” è forse un po’ troppo impegnativo (e impegnato, se guardiamo i testi), difficile da digerire se non si è veri estimatori storici della formazione canadese. Da assumere a piccoli sorsi. Arianna Ascione

STARTODAY “Good luck”

(Ammonia/This Is Core Music)

CONVERGE

“All we love we leave behind” (Epitaph/Self)

★★★

Arriveranno tra poco in Italia i Converge, freschi di pubblicazione di questo “All we love we leave behind”. Il disco, l’ottavo di studio, si posiziona prevalentemente sulla stessa linea del precedente “Axe to fall”, ma a fasi alterne. All’inizio si parte più legati al metalcore tradizionale, con qualche vena di isteria grind. Poi si passa a pezzi un po’ più noise e dalla struttura più elaborata, fino ad imbattersi qua e là in brani “di stasi” come “Empty on the inside”, che insieme a “Coral blue” e “Precipice” sembrano posizionati strategicamente a dividere le

diverse anime della band. Un disco che rappresenta più uno sguardo introspettivo, di identità. Un riassunto di quanto portato a casa finora. Arianna Ascione

LESS THAN JAKE “Greetings and salutations” (Rude Records)

★★★

Giunti anche loro (ma tutti quest’anno?!) ai 20 anni di onorata carriera, i ragazzi di Gainsville danno alle stampe con questo “Greetins and salutations” quello che è il loro ottavo full length. Lo fanno, come era lecito aspettarsi, non spostando nemmeno una virgola rispetto ai precedenti lavori: chitarroni punk tipicamente 90’s, chitarrine ska

★★★

Gli Startoday hanno l’hardcore nel sangue. Il gruppo abruzzese suona con la passione di chi ama ciò che fa e lo si nota in ogni sua produzione. In “Good luck” i nostri tornano a farsi sentire dopo diversi mesi spesi in tour, ricordando ancora una volta quanta qualità ci sia dietro a questo progetto. Il loro modo di concepire musica è assai semplice: brani al fulmicotone, con il minor numero di elementi elettronici possibile e la sola grinta a sostenere il tutto, con messaggi mai banali da inculcare all’ascoltatore di turno. Chi ama Champion, Comeback Kid e produzioni Bridge Nine non può esimersi dal dare una chance a questa band, semplicemente ottima e 100% hardcore. Giorgio Basso

TITLE FIGHT “Floral green” (Side One Dummy)

★★★

Dopo l’acclamato “Shed”, uscito poco più di un anno fa, i Title Fight tornano con un disco che potrebbe finalmente fruttargli la definitiva consacrazione all’interno del mini universo post-hardcore/post-emo. Devo essere sincero: per essere un album appartenente al suddetto microcosmo, “Floral green” ha diversi passaggi piuttosto semplici e diretti che rimandano agli episodi più punk rock dei Jawbreaker e ricordano molto da vicino sonorità orgcore di band come The Menzingers, ed è forse principalmente per questo che ve ne sto parlando bene. Certo, non mancano momenti di puro revival emo-original (no, ciuffi piastrati e smalto nero non c’entrano proprio nulla), ma il tutto è sapientemente alternato e il risultato complessivo decisamente soddisfacente. Promossi! Stefano Russo

AVENUE X “Avenue X”

(M.O.B. Dal Monte/Goodfellas)

★★★

Il debutto sulle scene degli Avenue X potrebbe presto essere ricordato come il disco che ha svelato al mondo il talento della cantante/chitarrista Dionna Dal Monte. La giovanissima italoamericana con un passato da baby attrice è difatti il motore propulsore del terzetto: il suo tocco blues sulla sei corde e la sua attitudine da perfetta riot girl potrebbero potenzialmente farne, tra qualche anno, un’ideale erede delle varie Brody Dalle e Courtney Love (“Fuck me tonight” su tutte) e non solo per le evidenti somiglianze a livello vocale. Il sound degli Avenue X è influenzato tanto dal punk rock (“You gotta go”) quanto dal blues più sporco (“Come home”) e dal rock’n’roll più classico (“Crazy”, “Never trust a junky”), e nonostante il songwriting presenti ampi margini di miglioramento (normalissimo, considerata l’età della frontwoman) siamo sicuramente di fronte ad una band da tenere d’occhio nell’immediato futuro. Piero Ruffolo

RockNow 57


THE LINE

In collaborazione con Extreme Playlist

Un tranquillo 58 RockNow


Un Tranquillo Week End Da Paura, manifestazione giunta alla sua ottava edizione, è stato come sempre l’evento skate-musicale più atteso dell’anno. L’occasione giusta per inaugurare questa nostra nuova rubrica… estrema!!! Testo di Markino - foto Diego Decol

U

weekend...

n Tranquillo Week End da Paura si è svolto nei giorni 14, 15 e 16 settembre presso il Bonassodromo di Usmate Velate, in Brianza. L’evento è come sempre organizzato dall'ormai storico skateshop Bomboclat di Monza con la collaborazione di Bastard, Analog Clothing, Red Bull Energy Drink, Quicksilver e Vans e il supporto tecnico di Enjoy skateboard, TSG protection e Theeve trucks. Ad aprire la prima giornata ci pensa un dj-set esplosivo con Ganja Cookies e Pelaselecta. A seguire, sul palco irrompono gli olandesi Dope D.O.D. che a suon di dubstep e influenze rap infiammano il pubblico. Il giorno successivo, sabato 15, via libera al contest skate di categoria B su minirampa con montepremi in materiale tecnico offerto dagli sponsor, per poi continuare nel tardo pomeriggio con il tour hardcore Hell On Earth. I primi poghi iniziano con i suoni dei Bitter Verses, Betrayal, Hundredth, si scaldano con i Death Before Dishonor e terminano con stage-diving e crowd surfing per i Walls Of Jericho, storica band metalcore proveniente da Detroit. Per l'ultimo giorno, ancora grandi sorprese con l'attesissimo contest di categoria A. Un sound energico accompagna i numerosi skater provenienti da tutto il Nord Italia nel loro intento di aggiudicarsi il montepremi di 3.000 euro: una battaglia di trick che vede come vincitore assoluto Alex Sorgente, giovane skater detentore di diversi titoli nei migliori contest mondiali. Con il suo “Mc Twist” porta a casa il best trick e i 2.000 euro in palio. Sul podio, insieme a lui, salgono Daniele Galli e Simone Verona, rispettivamente al secondo e terzo posto, che come ogni anno a questo evento danno spettacolo emozionando la folla. Si conclude così un week end davvero da paura!!!

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THE LINE

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Extreme Playlist

Ogni mercoledĂŹ, su rocknrollradio.it dalle 19 alle 21, Markino e Fumaz ci raccontano cosa succede nel mondo degli action sport attraverso le parole e i gusti musicali dei suoi protagonisti. Stay tuned!!!

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FLIGHT CASE

Un disco, un tour, un disco, un tour… Questa è più o meno la routine per molti degli artisti che avete incontrato nelle pagine precedenti. Ed è proprio ai concerti che è dedicata questa rubrica, con tuttavia una piccola differenza: questa volta vi portiamo dietro il palco alla scoperta di piccoli rituali e abitudini varie.

Stevo (Sum 41)

Di Stefano Russo - foto Emanuela Giurano Qual è stato finora il concerto migliore che avete fatto e perché? Tutti quelli del tour che abbiamo fatto con i Metallica: suonavano giusto un paio di pezzi del “Black album” e per il resto solo brani dai dischi precedenti, era incredibile! Quello è stato il miglior tour, perché dopo aver suonato potevamo guardarli tutte le sere dal lato del palco. Il concerto peggiore? Probabilmente in Congo, eravamo laggiù a suonare per quest’organizzazione che riabilita i ragazzi attraverso la musica ma la nostra performance è stata davvero pessima. Qual è il posto più bello in cui avete suonato? Giusto l’altro giorno abbiamo suonato in una vecchia arena romana a Nîmes, in Francia. Duemila anni fa la gente si riuniva lì per discutere di cose serie e noi abbiamo suonato nello stesso posto con una folla di ragazzini che pogavano. È stato davvero figo! Il pubblico più strano che avete incontrato? Non saprei, ma devo dire che quella volta che abbiamo suonato qui in Italia e c’era quel vulcano che impediva agli aerei di volare è stato pazzesco! Arrivavamo da Los Angeles e

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ci abbiamo messo un’eternità: prima abbiamo cambiato aereo a Chicago, poi siamo arrivati a Roma e abbiamo preso il treno per Milano. Siamo arrivati a destinazione solamente 20 minuti prima dello show, senza aver dormito, e quando siamo saliti sul palco e abbiamo scaricato tutta la tensione suonando, il pubblico ha percepito questa cosa restituendoci alla grande tutta quella energia. Cosa non dimenticate mai di portare con voi in tour? Solite cose: telefoni, computer, niente di particolare. Ultimamente, però, ci portiamo degli integratori di proteine, stiamo cercando di diventare muscolosissimi! Come passate il vostro tempo tra una data e l’altra? Io e Cone giochiamo un sacco a scacchi mentre siamo in viaggio sul tourbus, ma direi che principalmente passiamo gran parte dei tempi morti bevendo! Cosa non deve mai mancare nel vostro camerino? Avete richieste particolari? Una vasca da bagno piena di Perrier o di latte materno! Fanno molto bene alla pelle, sai? Una delle richieste più recenti è la maschera per il viso di cacca d’uccello, è il segreto della bellezza di Tom Cruise!

Avete delle regole da rispettare sul tourbus? Non so perché, ma su tutti i tourbus si preoccupano di non farti buttare nulla di solido nel water. Le compagnie non mettono alcun cartello, ma tutti gli autisti ti impongono questa regola. Ovviamente tutti sanno che non va fatto... eccetto che sul nostro tourbus! Noi non abbiamo regole, è tutto permesso! C’è una cover che vi piace suonare durante il soundcheck? No, non siamo soliti suonare cover durante il check, ma suoneremo una nuova cover durante il concerto di oggi. Avete un rito particolare prima di salire sul palco? S: No, non direi. Avevamo l’abitudine di pregare, ma poi abbiamo realizzato che non crediamo in Dio e quindi era inutile! Qual è la figuraccia peggiore che avete fatto dal vivo? Una volta sono caduto dal palco mentre cantavo “Pain for pleasure”. Ho messo il piede su quella che credevo fosse una spia, ma in realtà era solo un telo tra le due spie e mi sono fatto un volo di diversi metri. Ho tentato di fare finta che non fosse successo nulla, continuando a cantare, ma non sono stato molto credibile!


OUT

NOW

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