RockNow #5

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105% LOVE, PRIDE & NOISE

Mensile - Anno 1 - Novembre 2012

#5

The Fire Parkway Drive Skunk Anansie Machine Head Danko Jones Less Than Jake As I Lay Dying While She Sleeps

D N I L B ST: TAEntiv-Fslagrd

Deftones Japanese whispers

wca

Yello

The Devil Wears Prada – We Came As Romans – Title Fight – Bad Bones – Dave Hause – Pino Scotto


105% PLAY IT LOUD

Mensile - Anno 1 - Novembre 2012

#5

the

Deftones Parkway Drive Skunk Anansie Machine Head Danko Jones Less Than Jake As I Lay Dying While She Sleeps

fire Evoluzione stellare

D N I L B ST: TAEntiv-Fslagrd ca

w Yello

The Devil Wears Prada – We Came As Romans – Title Fight – Bad Bones – Dave Hause – Pino Scotto


105% metalcore & fun

Mensile - Anno 1 - Novembre 2012

#5

Deftones The Fire Skunk Anansie Machine Head Danko Jones Less Than Jake As I Lay Dying While She Sleeps

D N I L B ST: TAEntiv-Fslagrd wca

Yello

parkway drive Giorni bui

The Devil Wears Prada – We Came As Romans – Title Fight – Bad Bones – Dave Hause – Pino Scotto



EDITO

Caught in the Web I

nternet! Che universo affascinante. Lo dico seriamente, anche se questa affermazione farà sicuramente sorridere chi mi conosce bene e mi ritiene una persona poco incline a qualsiasi evoluzione tecnologica richiedente l’utilizzo di più di due tasti. Sbagliato! Adoro le diavolerie elettroniche e le nuove tecnologie... soprattutto se non mi complicano troppo la vita invece di semplificarmela. Per questo mi “deprimo” ad ogni aggiornamento di software che mi obbliga di continuo a cambiare certe piccole abitudini ormai acquisite (vale anche per il “passaggio al diario” di Facebook…). Con RockNow, io e la mia socia Stefania, due tipi “old school” legati all’editoria classica, o cartacea per intenderci, abbiamo avuto in questi mesi la conferma delle reali potenzialità della Rete, convincendoci ulteriormente della bontà del nostro progetto. Nel team ci sono poi anche “navigatori incalliti” (vecchi lupi della Rete) che hanno contribuito non poco alla crescita di questo nuovo magazine. Da Mike, ideatore e custode delle chiavi del sito, a Ste Russo (se uso Twitter, è merito suo), Arianna A. (che vive praticamente sul Web), Luca (che inizia a ridere appena sente il binomio “Marcoccia/tecnologia”), Nico (in un certo senso, l’avventura online è partita da lui), Alex (in esilio a Belfast ma sempre vicino e coinvolto proprio grazie a Internet) e tutti gli altri che ogni mese collaborano alla realizzazione di RockNow. Cosa manca? In primis un maggiore coinvolgimento da parte dei lettori. Siete un po' mosci, cavolo... Scriveteci di più, criticateci pure, aprite polemiche, dibattiti o quello che volete. Infine, vorrei un più convinto contributo da parte delle etichette per realizzare servizi fotografici e interviste diverse, creare qualcosa di esclusivo che può far comodo a noi come a loro. Un po' come il blind test con Anti-Flag e Yellowcard fatto da Andrea Rock su questo stesso numero. Ma ce la faremo a cambiare le regole, ne sono convinto. Intanto godetevi questo nuovo numero. Keep in rockin'!!! Daniel C. Marcoccia

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ROCKNOW #5 - Novembre 2012 - www.rocknow.it

06-19 PRIMO PIANO: We Came As Romans Bad Bones Axis Of/Warbeast All in the name of… Rock Dischi violenti: Pino Scotto Dave Hause Cancer/Psychofagist Title Fight Rock For Emilia Hi-Tech Games Crazy… net Open Store

20-51 ARTICOLI:

20-23 Deftones

www.rocknow.it Registrazione al Tribunale di Milano n. 253 del 08/06/2012

Scrivi a: redazione@rocknow.it DIRETTORE Daniel C. Marcoccia dan@rocknow.it ART DIRECTOR Stefania Gabellini stefi@rocknow.it

24-27 The Fire

28-30 Parkway Drive

COORDINAMENTO REDAZIONALE ONLINE EDITOR Michele “Mike” Zonelli mike@rocknow.it COMITATO DI REDAZIONE Marco De Crescenzo Stefania Gabellini COMUNICAZIONE / PROMOZIONE Valentina Generali vale@rocknow.it

32-33 Skunk Anansie

34-36 Machine Head

38-39 Danko Jones

40-42 Less Than Jake

44-45 Anti-Flag vs Yellowcard

46-48 As I Lay Dying

COLLABORATORI Andrea Ardovini Arianna Ascione Giorgio Basso Clarissa Canato Andrea Cantelli Nico D’Aversa Sharon Debussy Alex De Meo Luca Nobili Amalia "Maya" Noto Eros Pasi Andrea Rock Stefano Russo Piero Ruffolo Extreme Playlist FOTOGRAFI Arianna Carotta Emanuela Giurano Andrea Cantelli Foto copertina (The Fire) : Emanuela Giurano SPIRITUAL GUIDANCE Paul Gray Editore: Gabellini - Marcoccia Via Vanvitelli, 49 - 20129 Milano

foto Federico Romanello

50-51 While She Sleeps

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52-56 RECENSIONI:

Disco del mese: Dftones Nu rock Pop/Rock Metal/Punk The Line Flight case: TDWP

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Tutti i diritti di riproduzione degli articoli pubblicati sono riservati. Manoscritti e foto, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Il loro invio implica il consenso alla pubblicazione da parte dell'autore. È vietata la riproduzione anche parziale di testi, documenti e fotografie. La responsabilità dei testi e delle immagini pubblicate è imputabile ai soli autori. L'editore dichiara di aver ottenuto l'autorizzazione alla pubblicazione dei dati riportati nella rivista.



PRIMO PIANO

WE CAME AS ROMANS L’età matura

I We Came As Romans non sono più una realtà emergente, ma una band solida e matura della scena metalcore. Con noi David Stephens, uno dei due cantanti della formazione del Michigan. Di Michele Zonelli Foto Adam Elmakias

È

trascorso ormai un anno dalla pubblicazione di "Understanding what we've grown to be" e i We Came As Romans iniziano a guardare al futuro, senza per questo rinunciare al presente e a ciò che il disco può ancora donare loro. "Mi piace molto presentare live i brani dell'ultimo album, anche se ormai sono parecchi mesi che li portiamo in giro. Ora siamo pronti ad andare avanti e stiamo già sperimentando nuove soluzioni... il desiderio di suonare qualcosa di diverso comincia a farsi sentire". Desiderio per la cui concretizzazione dovremo

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attendere, sebbene le prime idee abbiano già preso forma. "Abbiamo già fatto diverse riunioni e parlato parecchio riguardo quella che sarà la prossima prova in studio. Penso inizieremo a lavorare seriamente al progetto una volta conclusi gli show in programma. Questa è una delle cose su cui siamo tutti d'accordo: vogliamo fermarci e dedicarci unicamente all'album. Abbiamo provato a comporre in tour ma, per vari motivi, non riusciamo mai a trovare la giusta concentrazione". Da questo punto di vista viene in aiuto la tecnologia, protagonista dell'era che stiamo vivendo. "La tecnologia ha cambiato ogni cosa. Ricordo le prime volte che ho provato a

registrare qualcosa di mio, era praticamente impossibile. Dovevi possedere un sacco di strumentazione ed ero solo un bambino, non potevo certo permettermi uno studio. Oggi bastano un computer e una chitarra, per realizzare demo o abbozzare i primi riff non ti serve altro". Dopo solo due dischi, David e compagni hanno iniziato la personale scalata al successo, una via non facile da percorrere ma che inizia a portare i frutti sperati. "Le cose stanno andando bene ora ed è così da un paio di anni a questa parte. Stiamo crescendo e il nostro pubblico con noi e oggi possiamo finalmente parlare di carriera. Se credi veramente in ciò che fai devi dare tutto te stesso, non basta

provarci, devi faticare e lo devi fare senza riserve. E questo non vale solo per la musica. La vita è una sfida e non puoi affrontarla alla leggera. Molte persone, soprattutto chi non ha dimestichezza con il nostro ambiente, pensa basti poco per emergere e non ha la minima idea dei sacrifici e della passione che le persone investono nella propria musica. Da un lato mi fa rabbia, dall'altro comprendo la totale estraneità ai fatti. Quando però mi sento dire: 'sono arrivati dal nulla e ora suonano in un'arena' non posso stare zitto. Nessuno arriva dal nulla e nessuno suona in un'arena senza essersi fatto il culo prima". www.wecameasromans.com



PRIMO PIANO

BAD BONES Let there be rock

Più popolari in California che qui da noi, i cuneesi Bad Bones tagliano il traguardo del terzo disco con una prova assolutamente convincente! Hard rock volutamente “old school”, sanguigno e graffiante... Di Luca Nobili

I Bad Bones sono un miscuglio di quello che ascoltavamo da adolescenti: Kiss, Thin Lizzy, Motörhead, ZZ Top, Iron Maiden. La vecchia scuola insomma” mi racconta il bassista Steve Bone, un personaggio che sprigiona amore per la musica da tutti i pori, con cui ho avuta una piacevole chiacchierata al termine di un live della band al Rock’n’Roll Club di Milano. Steve non è certo un novellino e vanta un passato musicale di assoluto rispetto. Uno spessore artistico non banale nel panorama rock italico, spesso popolato da personaggi

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poco preparati tecnicamente e culturalmente... “Ho fatto quattro tour con Nicko McBrain (il batterista degli Iron Maiden, nda) e, credimi, è stata una grandissima esperienza suonare con lui. Per me è come un maestro, non solo musicalmente ma anche di vita: mi ha insegnato a vivere il rock and roll, non è roba da poco! Successivamente ho suonato quattro anni nei White Skull (band power metal tuttora in attività, nda), un’altra esperienza entusiasmante con delle persone umanamente stupende. Anche se non suono più con loro, i rapporti sono rimasti ottimi; non per nulla ‘Follow the rain’, la ballad del nostro nuovo album, è stata scritta da me e

Danilo Bar, il loro chitarrista: è stato come farci un regalo a vicenda”. La novità che più caratterizza il nuovo album della band, “Snakes and bones”, è l’ingresso del cantante Max Bone. Un arrivo che ha portato letteralmente nuova linfa vitale, senza cui il disco non avrebbe forse visto la luce. “Il maggiore pregio dei Bad Bones è sempre stato quello di essere onesti, con il pubblico e con noi stessi. Quando ci siamo ritrovati tutti e tre per cominciare a lavorare al nuovo album, abbiamo capito che non avevamo più l’energia giusta, la scintilla per creare qualcosa che fosse all’altezza di quello che volevamo: ovvero crescere e fare un disco migliore sia di ‘Smalltown

brawlers’ che di ‘A family affair’! Te lo dico in totale onestà: fossimo rimasti ancora solo noi tre, l’album nuovo sarebbe stato inevitabilmente la copia di quello precedente. Ci siamo innamorati dell’idea di avere un cantante e di poterci concentrare - io e il chitarrista Meku - solo sui nostri strumenti ed esplorare nuove strade. La scelta di far entrare Max, poi, non è stata nemmeno… una scelta: sapevamo ancor prima di chiederglielo che sarebbe stato lui il nostro nuovo singer, è un nostro amico e conoscevamo perfettamente le sue capacità e la sua attitudine. Era la persona perfetta per completare i Bad Bones”. www.badbones.it


Di Alex De Meo

Se i colleghi di Rock Sound UK li hanno definiti “Il miglior gruppo attuale, se non di sempre, dell'Irlanda del Nord”, un motivo valido ci sarà. Esauriti gli echi delle bombe, il fervore artistico di quest'area tanto martoriata dai conflitti interni si è fatto strada in maniera rapidissima e gli Axis Of sono certamente una delle nuove band “locali” da tenere d'occhio anche a livello europeo. “La scena musicale in Irlanda del Nord spacca. C'è un forte senso di unione tra band e musicisti, ma soprattutto locali, promoter e media ottimi, con grandi artisti che spaziano su tantissimi generi. Noi, come band, l'unico spunto che prendiamo a livello politico da ciò che ci circonda è quello di unità ed uguaglianza a prescindere da religione, razza, orientamento sessuale o status sociale” afferma con orgoglio il bassista e cantante Ewen Friers. L'album di debutto “Finding St Kilda” uscirà a fine anno su Smalltown America Records, preceduto da un tour assieme ai Bronx, settima esperienza on the road del gruppo tra UK ed Europa: “Adoriamo stare in tour. Della prima volta che siamo stati in Europa con la band non dimenticheremo mai la prima data. Eravamo ad Aarschot, in Belgio, e ci siamo resi conto di quanta professionalità mista ad un grande spirito di accoglienza ci siano nel resto d'Europa. La sera stessa ci siamo bevuti dell'ottima birra locale in un piccolo skatepark fuori dal locale, godendoci l'aria fresca di una sera d'estate e pensando che seguire il nostro sogno artistico fosse la migliore scelta che potessimo fare”. www.facebook.com/Axisof

Dall’underground metal texano degli anni ‘80, in cui affondano le loro radici, ecco i Warbeast. La band ha recentemente esordito nel nostro Paese di supporto ai Down. Di Arianna Ascione

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ortemente voluti da Phil Anselmo, che li ha messi sotto contratto con la sua label Housecore Records, i Warbeast sono in realtà in giro dal 2006, anche se con un altro nome: Texas Metal Alliance. “Tutto nasce da una collaborazione tra amici, tutti con un background pesantemente influenzato dal thrash metal degli anni 80. Alcuni di noi provenivano infatti dalla scena underground di quel periodo” ci ha raccontato la band al completo, poco prima di esibirsi. “Nel corso degli anni abbiamo cambiato qualche membro della line-up, ma ora eccoci qua. È grandioso poter suonare in giro insieme ai Down. Era da tempo che speravamo di venire a suonare in Europa e siamo molto contenti che il pubblico ci abbia accolti con entusiasmo. Ogni show, a suo modo, è stato speciale, in ogni città e in ogni Paese”. I Warbeast hanno pubblicato un paio di anni fa il loro disco “Krush the enemy” e ci spiegano che presto pubblicheranno il loro nuovo lavoro: “Negli show che stiamo facendo in Europa suoniamo già i nuovi pezzi, diciamo che li proviamo sul pubblico

foto Ivano Tomba

Axis Of

Se per alternative rock intendete certe stronzate cervellotiche, girate pure pagina perché qui si parla di cose serie. Immaginate di mettere insieme il garage punk più grezzo, un po' di post hardcore alla Refused e un'attitudine decisamente punk rock e otterrete il sound degli Axis Of, orgoglio di Portstewart, Irlanda del Nord.

WARBEAST

in sala. In programma abbiamo uno split, in cui ci sarà anche Phil, che collaborerà su due pezzi, in uscita all’inizio del 2013. Invece il disco vero e proprio, che si intitolerà “Destroy”, sarà nei negozi a febbraio 2013. Siamo molto soddisfatti di tutto il lavoro svolto e non vediamo l’ora di farvelo ascoltare”. www.warbeast.org

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PRIMO PIANO All in the name of A cura di Andrea Rock

Foto Ilaria Magliocchetti Lombi

P

Rivolta

NOME: cchia A: Civitave Z ), Luca N IE N E V PRO oce, basso (v i ll re u a (batteria) abriel M LINE UP: G a), Giordano Tricamo arr 012) Laudi (chit (singolo, 2 ” ro e ti n e s DISCO: “Il Clyro rock OTSA, Biffy GENERE: Q , rs te h ig E: Foo F INFLUENZ t odirivolta.i www.temp

s g o D t e W e h T

NOME: se NZA: Vare zo Testa PROVENIE ce), Loren o (v ti n e rando eb Form sso), IldeB a (b i tt o ll LINE UP: F e c Silvano An (chitarra), 011) itarra) Records, 2 s s e in Donati (ch s u s" (B he WetDog DISCO: "T mmer rock, punk s, Joe Stru b m GENERE: o B S U , Billy Bragg Influenze: rocks.com g o td e .w w ww

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rock

er la rubrica di questo mese prendo spunto da una videointervista pubblicata recentemente su YouTube dal titolo “Overload”. Venni intervistato anch’io, come molti altri artisti e addetti ai lavori, ma per motivi di tempistiche eccessive, il mio intervento non è stato inserito. L'argomento di discussione del terzo capitolo del documentario di Daniele Farina verte sulla “scena rock in Italia”. La domanda “cosa ne pensi della...”, o l'abbiamo posta o ce l'hanno fatta molte volte da quando ci occupiamo di musica. All'inizio del filmato, una serie di illustri amici e colleghi concordano sullo stato catastrofico della realtà rock del nostro Paese; queste riflessioni, rafforzate da una colonna sonora apocalittica, hanno messo ansia anche a me. Ma fermi tutti! Se la situazione è veramente così grave, come mai c'è tutto questo movimento e tutto questo seguito attorno al mondo rock di casa nostra? Cioè, stiamo vedendo un terzo capitolo di una serie di “Web episodes” di quasi un'ora ciascuno che, addirittura, per motivi di eccessiva durata, sono stati riassunti e tagliati! E ne sto ora parlando a voi su un webmagazine già molto seguito che arriva dopo l'esperienza decennale di una rivista di nome Rock Sound, penultima nata nella storia dell'editoria rock italiana! E su RockNow non c'è nemmeno abbastanza spazio per parlare delle tante realtà rock nostrane. E la radio? Ricevo un numero di demo/dischi/singoli digitali altissimo ogni giorno, al quale è quasi impossibile dare ascolto in tempi brevi. Insomma amici: uscirsene con frasi come “non si può parlare di scena rock”, “Il rock in questo paese non esiste” mi sembra irrispettoso nei confronti di tutti coloro che si sbattono a produrre musica, organizzare concerti o che acquistano dischi, magliette, biglietti... rock e trovo inoltre che sia una facile maschera dietro la quale nascondere la frustrazione di “non avercela fatta”.


PINO SCOTTO

DISCHI VIOLENTI Supporta anche tu il progetto Rainbow Belize:

www.rainbowbelize.org

Di Sharon Debussy

PRIMO DISCO COMPRATO:

Più che comprato, rubato: vivevo poco fuori Napoli, negli anni ‘60 in cui imperavano Gianni Morandi e Adriano Celentano... In un piccolo negozio rubai “Jailhouse rock” di Elvis Presley, una vera rivelazione. Poco dopo rubai anche 50mila lire a mio padre per comprarmi tutta la sua discografia...

ULTIMO DISCO COMPRATO:

“Turn around” di Jonny Lang, un capolavoro che consiglio a tutti.

DISCO CHE HA CAMBIATO LA TUA VITA: Vedi sopra, “Jailhouse rock” di Elvis Presley.

DISCO SOPRAVVALUTATO:

Ce ne sono talmente tanti che non saprei quale scegliere... Tra le "grandi cagate", sicuramente l'ultimo degli Aerosmith, un'accozzaglia di suoni senza senso.

DISCO SOTTOVALUTATO:

Tutti i dischi di Gary Moore, il chitarrista più sottovalutato della storia.

DISCO "BOTTA DI VITA": AC/DC "Let there be rock".

DISCO "LASSATIVO":

Per andare a cagare consiglio un qualsiasi disco di Fiorella Mannoia.

DISCO PER UNA SERATA ROMANTICA:

Negli anni '70, ricordo che quando andavo alla mitica montagnetta di S. Siro ad intrattenermi romanticamente con le giovani fanciulle, ero solito ascoltare Barry White... Ricordo in particolar modo la sua versione di “Just the way you are”.

DISCO SUL QUALE AVRESTI VOLUTO SUONARE: “Burn” dei Deep Purple.

DISCO DA VIAGGIO:

Tutta la nuova scena country rock.

DISCO PER UNA NOTTE DI BAGORDI:

Non dovrei dirlo io... perché io non ascolto i miei dischi!!!

DISCO DEL GIORNO DOPO:

“Ace of spades” dei Motörhead, un vero capolavoro!

DISCO CHE TI VERGOGNI DI POSSEDERE:

Nessuno. Se un disco non mi piace, lo faccio volare fuori dal finestrino della macchina. Anche se non è mio...

CANZONE CHE VORRESTI AL TUO FUNERALE: “Closing time” di Tom Waits... Adoro tutto di lui! www.pinoscotto.it

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PRIMO PIANO

DAVE

HAUSE Cuore e stomaco

Con l’uscita del suo primo disco solista, il frontman dei Loved Ones ha passato l’ultimo anno e mezzo a girare il mondo assieme ad alcuni amici più o meno illustri. Una buona scusa per raccontarvi un po’ di lui. Di Stefano Russo

B

elgio, Groezrock Festival, Aprile 2012. All’interno della tenda adibita per ospitare le esibizioni acustiche, un piccoletto con la giacca di jeans sale sul palco, solo e armato esclusivamente della sua chitarra. Il palco non è proprio grande, neppure alto, e non ci sono transenne o altre barriere tra il pubblico e l’artista. La tenda è, inaspettatamente, gremita. Il piccoletto si presenta velocemente, attacca con il primo pezzo in scaletta e nel giro di 30 secondi è talmente emozionato da essere sul punto di piangere,

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perché tutta la gente che ha di fronte sta cantando ogni singola parola della canzone. Quel piccoletto risponde al nome di Dave Hause, classe 1978, originario di Philadelphia, e questo episodio lo descrive molto meglio di quanto qualsiasi biografia possa fare. Frontman dei Loved Ones, ottima punk band della scuderia Fat Wreck, negli ultimi due anni ha intrapreso una carriera solista che lo ha portato a pubblicare l’album “Resolutions” nel gennaio 2011: “I Loved Ones erano un po’ esausti dopo i vari tour e volevano prendersi una pausa. Nel frattempo avevo scritto un po’ di canzoni che pensavo non fossero

adatte per quello che sarebbe stato il nostro prossimo disco e quindi una cosa ha tirato l’altra…”. E se è vero che una cosa tira l’altra, non stupisce il fatto che nel giro di pochi mesi Dave sia passato dai piccoli pub ad aprire alcuni live dei Social Distortion: “Condividere con loro lo stesso palco è stato incredibile. Sono stati molto gentili e mi hanno trattato in modo davvero amichevole. È stato piuttosto strano che i membri di una delle mie band preferite di tutti i tempi siano venuti a chiedermi una maglietta con il mio nome”. Nel mezzo, troviamo anche l’edizione 2011 del Revival Tour assieme a Chuck Ragan degli

Hot Water Music, Brian Fallon dei Gaslight Anthem e Dan Andriano degli Alkaline Trio (“Tutti artisti con cui ho un profondo legame e che rispetto molto, amo la loro musica e amo suonare sul loro stesso palco”), e diverse date di supporto a Flogging Molly e Bouncing Souls. Segno di quanto, nonostante le sonorità da cantautorato rock a stelle e strisce, Dave rimanga legato a doppio filo al mondo della musica punk in cui e con cui è cresciuto, e di cui mantiene mantenendone intatta l’attitudine. Un artista tutto cuore e stomaco, sincero come pochi ne abbiamo visti ultimamente. www.davehause.com


Tre ragazzi della Svizzera tedesca che si ritrovano, più o meno all’improvviso, a girare il mondo con un’icona del pop punk come Mike Herrera e il progetto MxPx All Star. Di Stefano Russo

Q

CANCER

uesta è la mini favola punk rock dei Cancer, power trio il cui sound deve molto alla band di Bremerton: “È stato grandioso, un sogno che diventa realtà! Amiamo Mike, gli MxPx e anche i Tumbledown! Questa opportunità ci ha migliorato molto come band, come puoi immaginare l’esperienza di Mike come musicista è enorme, è stato come un fratello maggiore per noi”. La creatura di Joel Bader, cantante e tuttofare della band (“Faccio tutto da solo, compresi booking e management”), ha già all’attivo un album e un EP (che trovate recensito in questo numero), ma nonostante alcuni giretti per l’Europa ancora non era riuscita ad arrivare alle orecchie del pubblico italiano. Per fortuna, nonostante il periodo non sia esattamente favorevole, talento e duro lavoro talvolta portano ancora i loro frutti ed è così che, anche arrivando da una nazione che di certo non è nota per sfornare gruppi punk, si può ambire a un posto rilevante all’interno della scena europea: “Ci sono alcune band davvero ottime, la scena è piuttosto piccola ma non è per niente male. Noi siamo di sicuro uno dei gruppi che più si è dato da fare, ma altre formazioni stanno iniziando a seguire i nostri passi ed è di sicuro una buona cosa”. Amanti dei tre accordi, segnatevi questo nome alla voce “da tenere d’occhio”. www.cancerband.ch

I Psychofagist sono l’esempio concreto dell’Italia che spopola in terra estera, nonostante sonorità convulse e un mood tutt’altro che amichevole nei loro dischi. Di Giorgio Basso

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a ormai diversi anni il trio di Novara regala ai propri fan produzioni di spessore, merito sicuramente di una forte alchimia: “Non esiste un equilibrio assoluto. L'equilibrio è dato da micro-movimenti, oscillazioni, aggiustamenti. L’abbandono credo sia più una conseguenza alla vera moda di formare gruppi a caso. Lo squilibrio è il motore del mondo” ci spiega il bassista Marcello Sarino. A circa un anno dall'uscita dello split con gli Antigama, eccoli tornare con “Unique.Negligible.Forms”, un 7” che regala nuovi input in attesa del prossimo album: “Si tratta di brani nuovi, totalmente germogliati dalle fasi compositive successive allo split con gli Antigama. Eccovi uno scoop: sono state selezionate in quanto brani dalla durata più breve tra tutte le nostre produzioni recenti. Senza alcuna logica o volontà precisa, le prime cose scritte dopo lo split tendevano alla forma della suite, che poco si adatta a un EP. Il formato 7” è molto richiesto, non ci siamo fatti scappare l'occasione, specie nello sbandierarlo per bene

durante il tour. Per il resto, deteniamo storicamente il record di lentezza compositiva”. All’interno del mini, troviamo anche una cover dei Naked City, scelta naturale a detta loro: “‘Torture garden’ è il loro disco che più ci ha segnato, un album senza fronzoli! Chi altro nella storia ha avuto il coraggio di presentare ‘Yamatsuka eye’ ai festival jazz più tradizionalisti al mondo? Pur senza ascoltarli quotidianamente, il loro concetto di abbattere le barriere e porsi longitudinalmente su tutto quanto vale il massimo rispetto”. Tra split e peripezie varie, pare che i tempi per dare un seguito all’ormai datato full lenght, “Il secondo tragico”, siano ormai maturi: “Sì, se tutto dovesse andare come programmato, riuscirà a essere un disco abbastanza anomalo: roba da intenditori. L'ennesimo nostro tentativo di allontanarci alla velocità dell'iperspazio dal music business e da qualsiasi più bieca scena”. www.psychofagist.com

PSYCHOFAGIST

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PRIMO PIANO

TITLE

FIGHT Pollice verde

Il loro secondo lavoro “Floral green” è senza dubbio una delle uscite più interessanti del 2012 in ambito post-hc/emo. Ecco cosa ci ha raccontato il bassista Ned Russin a proposito della genesi di questo disco. Di Stefano Russo Foto Johnny Bouchard

A

giudicare dalla loro discografia non si direbbe, ma i Title Fight compiranno 10 anni di attività il prossimo anno. Decisamente sufficienti, per molti, per inserirli di diritto nella lista dei nomi più rilevanti del sottobosco di quella scena che mischia post-hardcore e pop-punk, inizialmente etichettata come “emo”… prima che il termine venisse snaturato in diverse declinazioni negli anni duemila. La band di Kingston, Pennsylvania, è arrivata quest’anno alla seconda prova sulla lunga distanza. E che

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prova! Dopo gli ottimi risultati ottenuti dal primo album “Shed”, questo nuovo “Floral green” ha mantenuto le aspettative generate dal suo predecessore (uscito solamente un anno e mezzo prima) ed è entrato di diritto tra i migliori dischi punk-hardcore dell’anno. “Non saprei dire perché il disco è piaciuto tanto alla gente” ci racconta il bassista Ned Russin, “a me piace molto perché abbiamo fatto le stesse cose che avevamo già fatto in passato, ma le abbiamo fatte meglio. È altresì vero che è difficile ascoltare il proprio materiale con orecchio critico perché si tende a essere sempre e comunque di parte. Ma credo

che sia un disco interessante, anche grazie al fatto di aver spinto noi stessi in diverse direzioni”. E, in effetti, già dal primo ascolto si riescono a cogliere delle differenze nette rispetto al vecchio materiale: “lo abbiamo registrato in modo totalmente diverso, le canzoni sono differenti ma l’obiettivo rimane lo stesso. A livello sonoro è un passo avanti, ma in fin dei conti differisce dal disco precedente un po’ in tutto”. Sul perché, invece, ci abbiano messo ben 8 anni a pubblicare il primo album, la spiegazione è piuttosto semplice: “Beh, devo ammettere che ogni volta che abbiamo avuto l’opportunità di registrare, siamo diventati

piuttosto ansiosi a riguardo e quindi abbiamo sempre optato per registrare tre canzoni e metterci subito a suonare dal vivo. Così, quando ci siamo ritrovati a pensare sul serio a un LP, ci siamo concessi tutto il tempo che volevamo e tutta la lavorazione è stata davvero lunga. Queste cose, sommate, spiegano perché abbiamo impiegato tutto questo tempo”. I piani, ora che anche il secondo disco è finalmente fuori, sono quindi quelli di passare gran parte del 2013 suonando in giro per il mondo. E se vi capitasse l’occasione di vederli dal vivo, non fate l’errore di perderli. www.facebook.com/titlefight


ROCK FOR EMILIA Put another dime…

Alcuni artisti e addetti ai lavori della scena underground hanno registrato qualche mese fa una cover di “I love rock’n’roll” di Joan Jett con lo scopo di aiutare le zone colpite dal terremoto. Ce ne parla Marco Foradini, bassista degli Artemista, gruppo ideatore del progetto. Di Daniel C. Marcoccia

R

ock For Emilia è un’iniziativa che meriterebbe sicuramente una maggiore esposizione e, a pochi mesi dall'uscita del brano su iTunes, Marco ribadisce che c’è ancora molto da fare per sensibilizzare la gente: “Il progetto ha goduto di una discreta visibilità su Internet grazie al passaparola sui social network e al video su YouTube. Purtroppo, però, non abbiamo avuto un buon riscontro in termini di vendita del brano, i cui proventi, ricordiamo, vanno completamente a sostegno della Rete del terzo settore di Modena, un'associazione attiva sul territorio. Questo, purtroppo, credo sia un po' colpa del fatto che in Italia si fa ancora fatica ad acquistare musica, maggiormente se in formato digitale”. Eppure l'iniziativa partita dagli Artemista ha visto l'adesione di una cerchia di persone che gravitano nel sottobosco musicale italiano: “È stata un'iniziativa partita da noi, con il supporto di Erika Grapes di E-Grapes Promotion, che ha coinvolto alcune validissime band (Several Union, The Last Fight, What A Funk). Abbiamo anche avuto il piacere di ospitare le chitarre dell'amico Tommy Massara degli Extrema, la voce di Alteria (di Rock TV, nonché ex No More Speech) e gli scratch di Dj Aladyn (Radio Deejay).
Anche alcuni amici di radio e stampa si sono prestati, come Davide Biagini (ANB Radio), Arianna Ascione e Ricky Koppo (Hell Yea Radio), Rossella Romano (Rockol) e un certo Daniel di RockNow...
 Infine, grazie ad Alessandra Grimoldi e Bad Spirit, siamo riusciti a convolgere anche due calciatori, Luca Antonini del Milan, presente con la moglie, e Davide Brivio dell’Atalanta.
Il tutto è nato ed è stato realizzato in appena 15 giorni, grazie anche alla disponibilità di tutti i partecipanti.
Infine, un grosso ringraziamento a chi ha curato la parte tecnica che di solito passa sempre in secondo piano. Il brano è stato registrato, mixato e masterizzato al V3 Recording da Davide Ghione, il quale, assieme a Matteo Maddaleno, ha poi registrato le voci al Jungle Sound Station. È anche stato realizzato un videoclip, con gli sforzi congiunti di Paolo Bonfanti, Davide Debenedetti (Monkey Factory), Filippo Gasparini, Max Messori, Saverio Luzzo.
Per ultimi, ma non certo meno importante, vorrei ringraziare Rusty e Zeta Factory per il supporto all'iniziativa”. Se a monopolizzare l'attenzione sono sempre e solo i grossi eventi con la "crema" della musica italiana, andrebbero comunque evidenziati la passione e l’impegno Artemista di realtà più piccole proprio come Rock For Emila: “Il concerto di Campovolo è stato sicuramente un catalizzatore, sia per la fama degli artisti che vi hanno partecipato che la portata dell'evento stesso. La nostra iniziativa non aveva sicuramente la pretesa di competere con realtà così grandi, ma solo dare un piccolo contributo. E a quel punto non ci sono artisti o eventi di serie A e di serie B, ma solo persone con un grande cuore. Ci sono state molte manifestazioni in favore delle popolazioni colpite dal terremoto e questo è un bel segnale. Tra tutte, siamo molto legati a Emilia Calling: sono già state organizzate diverse serate a cui abbiamo partecipato con entusiasmo”. L'attualità di Marco riguarda anche la sua band, gli Artemista (sicuramente una delle migliori formazioni pop/rock italiane, nda) il cui album “Vivere immobile” è stato pubblicato a inizio anno: “È appena uscito il nostro nuovo singolo, ‘Rivoluzione/Stasi’, con videoclip annesso. Ne andiamo molto orgogliosi perché è stata una scommessa, nostra e di tutto lo staff. È un brano con un testo sull'attuale situazione del nostro Paese, speriamo possa essere uno stimolo alla riflessione”. A questo punto, amici lettori, “put a dime” in iTunes…

DJ: MARI K

PROGRAMMA: Street’s Connection Diretta ogni giovedì Dalle 19:00 alle 20:00

La sua Top 5:

Skunk Anansie “I believed In you” Street Sweeper Social Club “Mama said knock you out” Pearl Jam “Got some” Vintage Trouble “Blues hand me down” Primus “Tragedy’s a’ comin”

www.artemistaweb.it www.facebook.com/RockForEmilia

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HI-TECH CALL OF DUTY: BLACK OPS II PS3 CONTROLLER

Bigben Interactive presenta una nuova linea di prodotti ispirati a "COD: Black Ops II", tra questi un inedito controller Bluetooth per PS3. Pad 6 assi con tecnologia tilt sensor, 2 motori vibranti e manopole antiscivolo sono alcune delle caratteristiche principali. Disponibili anche dedicati case per smartphone. www.bigbeninteractive.it

SQUIER BY FENDER STRAT GUITAR

Debutta la Squier by Fender Strat Guitar: speciale modello di Stratocaster dotato di un amplificatore digitale integrato che affianca alla comune uscita passiva un ingresso USB e un ingresso jack 3,5mm per cuffie. Compatibile con PC, Mac e iOS (per il quale è stato realizzato un software dedicato). www.fender.com

SPEAKER BLUETOOTH I.H.R.

L'azienda italiana I.H.R. rinnova la personale gamma di speaker e immette sul mercato 4 nuovi modelli: iNdium (finiture in gomma, 5 ore di autonomia, azione 10 metri), iRidium (wifi e via cavo, comandi touch), iHydrogen (in alluminio ed estremamente compatto) e iRon (cassa in metallo, comandi integrati). www.ihr.smartroom.it

JAYS

Arrivano dalla Svezia gli indistruttibili auricolari JAYS. Frutto di studi sulla dinamicità del corpo umano e testati sul campo dalle forze speciali, i prodotti Jays vantano un cavo rivestito in kevlar, una guaina di schermatura 10 volte più fitta del normale e una raffinata resa audio HD. www.jays.se

LENOVO THINKPAD USB 3.0 SECURE HARD DRIVE

La sicurezza prima di tutto. Con il nuovo ThinkPad USB 3.0 Secure Hard Drive di Lenovo (capacità 1TB) potrete archiviare e proteggere ogni file, senza incorrere in perdite dati o manomissioni. Alte prestazioni, 16 RockNow cifratura hardware in tempo reale e tastierino numerico per password di protezione. www.lenovo.com

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A cura di Michele Zonelli

LEGO IL SIGNORE DEGLI ANELLI

games

X360/PS3/WII/DS/3DS/PS VITA/PC Warner Bros. Interactive Entertainment

Rilette ormai gran parte delle opere videoludiche e cinematografiche degli ultimi anni, gli amati mattoncini non potevano certo ignorare la saga fantasy per eccellenza. Ecco allora: "LEGO Il Signore degli Anelli". La trilogia vista su grande schermo è qui interamente riproposta e (ovviamente) sviluppata secondo i canoni che hanno reso celebri i titoli LEGO. Tra enigmi, vasti ambienti, personaggi sbloccabili e oggetti collezionabili non avrete di che annoiarvi.

SILENT HILL BOOK OF MEMORIES

MEDAL OF HONOR WARFIGHTER Piattaforma: X360/PS3/PC Produttore: Danger Close/EA Genere: FPS

PS VITA Konami/Halifax

Deciso cambio di direzione per Silent Hill che nel capitolo dedicato all'ultima console portatile nata in casa Sony si presenta in una veste del tutto inedita. Visione isometrica dall'alto, trama nuova e originale, ritorno di alcune tra le più famose creature del marchio Konami e, per la prima volta, l'introduzione di un multiplayer collaborativo e personalizzabile. Una terrificante avventura horror che non deluderà i fan in attesa del ritorno su next gen.

Considerata a ragione una delle serie di punta di casa Electronic Arts, Medal Of Honor torna quest'anno in una veste rivista sotto molti punti di vista, forte dei passati successi e deciso a rinnovare un marchio che non ha certo bisogno di mirabolanti introduzioni. Sulla carta, dunque, nulla da dire e le premesse sono certo tra le migliori, ma bastano poche ricerche mirate per accorgersi di come il titolo sia stato accolto con poco sfarzo, complici uno sviluppo definito "frettoloso" da più parti e un gameplay che non sembra offrire nulla più di quanto già noto. I Tier 1 e i Navy SEAL tornano protagonisti in questo "Medal Of Honor Warfighter", impegnati in missioni (scritte da veri Tier 1 con esperienze sul campo) dislocate in tutto il mondo e i cui obiettivi ripercorrono i ben noti canoni ampiamente trattati in simili prodotti. Il comparto tecnico non delude e chi lamenta bug e scarsa intelligenza artificiale non deve perdere di vista il quadro completo. La longevità della campagna single player, resa interessante solo dalle diverse location e da un approccio decisamente frenetico, regala poche ore di gioco, confermando l'intenzione di portare in primo piano l'esperienza multiplayer. Quest'ultima si dimostra varia e piacevole, offrendo la cercata unicità. Buone idee e interessanti spunti non mancano e questo Warfighter riuscirà comunque a soddisfare parte dei desideri di chi ama (e continuerà ad amare) MOH.

CALL OF DUTY: BLACK OPS II

Piattaforma: X360/PS3/PC/WIIU Produttore: Treyarch/Activision Genere: FPS Introdotto come "il più ambizioso Call Of Duty di sempre", "Call Of Duty: Black Ops II", sequel del gioco per console più venduto nella storia di Xbox 360 e PS3, giunge finalmente sugli scaffali, pronto a mantenere molte delle promesse fatte. Anno 2025, l'ex boss del narcotraffico Menendez, ora tra gli uomini più pericolosi e ricercati dagli Stati Uniti, è a un passo dallo scatenare quella che per molti sarà la terza Guerra Mondiale. Nei panni di Mason senior prima e Mason junior poi, affronterete missioni dislocate in varie parti del globo, con l'intento di sventare i piani del citato terrorista. La trama e il comparto narrativo colpiscono fin da subito. Magistralmente diretta da David Goyer, la storia abbandona ben presto la classica linearità offrendo numerose scelte e bivi che porteranno a svariati finali e a inattesi sviluppi il cui esito dipenderà dalle azioni compiute in precedenza. Lo stile di gioco, dinamico, immediato e coinvolgente, si divide tra presente e futuro, mettendovi a disposizione armamenti e supporti differenti e perfettamente allineati con il periodo storico che state affrontando. Le missioni, ben congeniate,

non saranno mai ripetitive e potranno persino mutare durante il proseguo, portandovi al conseguimento di un obiettivo differente da quello inizialmente introdotto. A sostenere le vostre azioni a terra, infine, l'incursione di unità di supporto su cui fare affidamento nei momenti più difficili. Senza lasciare nulla al caso, Treyarch centra nuovamente l'obiettivo confezionando uno dei migliori sparattutto bellici attualmente in commercio.

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crazy net

A cura di Michele Zonelli

BLOOD PUDDLE PILLOW Farsi trovare addormentati sulla scrivania dal proprio capo o concedersi un pisolino sul pavimento di casa non è sempre consigliato, ma se proprio non potete farne a meno, il cuscino Blood Puddle Pillow potrebbe rivelarsi un'arma vincente. www.fromkeetra.com

THE WIZARD OF OZ RED RUBY SLIPPERS DOORSTOP

Stanchi della porta che non sta mai aperta? Potete sempre infilarci sotto la cattiva Strega dell'Est. Prodotto da MMP Living (e venduto via Amazon), questo fermaporta assolve al proprio dovere con innegabile stile. Ritorno in Kansas escluso. www.amazon.com

BANDIT GUNS: RUBBER BAND SHOTGUN

Il lancio dell'elastico, sport cui tutti prima o poi dedichiamo la nostra attenzione. Ancora in fase di sviluppo (donazioni e preordini attivi), la Rubber Band Shotgun porta a un nuovo livello quanto eravamo abituati a fare con oggetti di fortuna. www.kickstarter.com

KNUCKLECASE

Da usare solo come accessorio per il vostro smartphone, come sottolineano nelle note i produttori, ed è facile intuirne il motivo... Realizzato in alluminio, il Knucklecase è disponibile in diversi colori e adatto per iPhone 4 e 4s (5 a breve). www.knuckelcase.com

ZOMBIE FOOT DOG TOY

Ed eccoci nuovamente a parlare di Morti Viventi... Non siate egoisti, anche il vostro amico a quattro zampe ha diritto al proprio

feticcio horror. Per lui un piede di Zombie in vinile da rosicchiare in attesa della prossima invasione. www.thinkgeek.com

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GLOBE INFANTRY

OPEN STORE

giacca invernale street style dagli alti standard qualitativi, firmata dal marchio australiano leader nel settore skate/surf. www.globe.tv

GLOBE OVERPASS:

new entry della collezione Globe Footwear, scarpa da skate in pelle scamosciata per gli amanti dei modelli più slim. www.globe.tv

SANTA CRUZ BART SLAHER

INDEPENDENT CARVE

tavola da skate old school. La grafica è una rivisitazione in chiave Simpsons della mitica “Slasher”, uscita per celebrare il 500esimo episodio della serie animata più famosa del mondo. www.santacruzskateboards.com

tradizionale felpa con cappuccio con il logo dello storico marchio stampato sul petto. www.independenttrucks. com

INDEPENDENT STICKER SKULL TEE inedito modello di t-shirt dell’ultima collezione Independent, che riprende i classici teschi raffiguranti i “dios de los muertos” messicani ma sempre con l’inconfondibile stile Indy. www.independenttrucks.com

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DEFTONES

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Atto d’


Settimo album per la band di Sacramento con questo “Koi no yokan”, un lavoro che si inserisce nella scia del precedente e fortunato “Diamond eyes”. Un disco di cui sarà facile innamorarsi, dando così piena conferma al titolo in giapponese (premonizione d’amore…). Ecco cosa ci ha raccontato Frank Delgado, il DJ e tastierista dei Deftones. Di Daniel C. Marcoccia

’amore

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DEFTONES

Q

uando avete iniziato a lavorare al nuovo disco? Frank Delgado (DJ/tastiere): Praticamente un mese dopo aver concluso il tour di “Diamond eyes”, il nostro precedente album. Siamo stati in giro per circa un anno e mezzo ma fin dall’inizio c’era la voglia di rimetterci subito a scrivere nuovo materiale. Alla fine è stato quasi come continuare a suonare senza mai fare un vero break, ma va bene così quando hai le motivazioni e soprattutto l’inspirazione giuste per farlo. Considerando che in passato non tutti i vostri dischi sono stati registrati in maniera “rilassata”, cos’è cambiato nel vostro approccio alla realizzazione di un album? F.D.: È probabilmente dovuto al fatto che abbiamo lavorato in modo diversa con “Diamond eyes”. Tutto si è svolto in maniera efficiente. Solitamente ci rinchiudiamo in una stanza e iniziamo a suonare, a fare delle jam finché non viene fuori un’idea capace di entusiasmarci tutti. Può essere un beat, un riff, una linea melodica… A quel punto iniziamo a lavorarci sopra e a costruire una canzone. Da quel momento non importa più da chi è partita l’idea perché diventa una cosa comune. È un processo che ripetiamo in continuazione fino ad avere una serie di brani allo stato embrionale sui quali torniamo a lavorare di continuo e fino a quando non raggiungono la loro forma definitiva e di cui siamo tutti soddisfatti. La regola è in pratica quella di suonare costantemente. È facile bruciarsi con la routine “disco, tour, disco, tour” ma per quanto ci riguarda, anche se siamo arrivati al nostro settimo album, siamo ancora eccitati all’idea di entrare in uno studio di registrazione. Avete deciso di lavorare nuovamente con Nick Raskulinecz, già presente in “Diamond eyes”. Vi piace creare lunghi sodalizi con i vostri produttori (i primi quattro dischi della band sono stati infatti stati prodotti da Terry Date, nda)? F.D.: Abbiamo deciso di continuare anche per questo nuovo disco con Nick perché l’esperienza precedente ci era piaciuta particolarmente. Si era integrato perfettamente nel processo di lavorazione e lo ha confermato anche in questo caso. Era quindi la scelta più logica e ovvia. Ad accomunare i due dischi, oltre allo stesso produttore, è pure il clima ideale in cui sono stati registrati. Vedo infatti “Koi no yokan” come il passo successivo a “Diamond eyes”, la sua naturale evoluzione. Chino Moreno lo ha addirittura paragonato a “White pony”, il vostro album di maggior successo. F.D.: Ha detto così? (ride) Ci sono alcuni elementi caratterizzanti della nostra musica che ritornano inevitabilmente nei nostri dischi, come l’alternarsi di brani potenti con altri più atmosferici, ma concettualmente, sono due dischi piuttosto differenti. “White pony” rappresentava per noi il tentativo di fare qualcosa di diverso rispetto a quello che andava all’epoca e in cui eravamo finiti per essere catalogati anche noi. Stai parlando della scena nu metal? F.D.: Sì, della quale non ho nulla di male da dire, anzi, ma ci sembrava riduttivo essere raggruppati tutti in quell’unico contenitore. Non volevamo essere solo una band all’interno di una scena ma piuttosto essere liberi di variare il nostro raggio d’azione. Per questo fu molto caotico realizzare quel disco. Chino e Steph, il nostro chitarrista, dovettero mediare molto in quel periodo e credo che alla fine quelle tensioni furono sicuramente salutari alla band.

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“Oggi, tutte quelle che erano le regole della promozione dei dischi non hanno più valore. Sono cambiati i tempi e i modi di fruire la musica, e anche le major si sono dovute adeguare”.


Dopo il buon successo, anche di critica, di “Diamond eyes”, avete avvertito un po’ di pressione? F.D.: No, se non quella normale che c’è sempre quando devi fare un nuovo disco. Ma come ti dicevo prima, l’approccio alla scrittura delle canzoni che abbiamo ci ha dato una maggiore confidenza in noi stessi. Era logico continuare così, è come una specie di etica del lavoro in cui ognuno sfida se stesso a dare il massimo e a confrontarsi con gli altri componenti della band. Questo porta a una grande collaborazione ma soprattutto alla convinzione di essere parte di qualcosa che ci unisce ancora di più e ci fa crescere. Per questo, più che paragonare “Koi no yokan” ad altri nostri dischi, preferisco dire che abbiamo lasciato libero sfogo alla creatività e cercato di coglierla al momento giusto. Non siete stati contagiati neppure dalla moda del dubstep… F.D.: (ride) Non ho nulla contro il dubstep e mi piace la musica elettronica, una passione comune ad altri componenti della band, Chino in primis. Ma francamente sono più interessato ad altri tipi di elettronica, soprattutto a quella degli anni 80. Abbiamo poi quasi tutti dei progetti paralleli (Frank fa parte del collettivo di DJ chiamato Decibel Devils, nda) in cui sviluppiamo altre idee o proviamo altri suoni, e quindi non abbiamo bisogno di farlo con la musica dei Deftones. Questo non vuole dire, comunque, che non c’è spazio per la sperimentazione anche nel gruppo, anzi. Prima dell’uscita del nuovo album avete regalato il brano “Leathers” in free download e poi pubblicato “Tempest” come singolo. Il modo di promuovere i dischi, oggi, è radicalmente cambiato? F.D.: Per forza di cose, direi. Oggi, tutte quelle che erano le regole della promozione dei dischi non hanno più valore. Sono cambiati i tempi e i modi di fruire la musica, e anche le major si sono dovute adeguare. La musica deve sfruttare tutti i canali a disposizione, soprattutto quelli nuovi, per arrivare alla gente. Direi che tutto questo rappresenta uno scossone, probabilmente salutare, all’interno delle case discografiche. Lo scorso anno avete anche realizzato un album di cover (intitolato… “Covers”, nda), esclusivamente in vinile e a tiratura limitata, in occasione del Record Store Day. F.D.: Sì, ci sembrava carino fare questa cosa dal momento che siamo tutti dei grandi appassionati di musica e di dischi. Facciamo poi parte di quella generazione che comprava ancora vinili e quindi siamo particolarmente sensibili a operazioni del genere. Nel disco spaziate dagli Smiths ai Cure, dai Japan a Sade, fino ai Duran Duran. Siete molto legati agli anni 80? F.D.: È per tutti noi il periodo in cui ci siamo avvicinati alla musica, è la nostra adolescenza. Sarebbe troppo facile riprendere i Misfits, i Black Sabbath o i Pantera, ovvero gruppi che ci hanno influenzato non poco all’inizio, ma anche l’ascolto di formazioni più pop o new wave ha contribuito alla definizione della musica dei Deftones. Non ascoltiamo solo un determinato genere e questo credo che sia stato chiaro fin dal nostro primo disco. Tornando a “Covers”, la difficoltà non era tanto nella selezione delle canzoni quanto nel suonarle con un tocco personale e senza rovinarne la bellezza. Alla fine, comunque, ci divertiamo sempre molto a fare queste cose. www.deftones.com

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Foto Emanuela Nicola Allegri

THE FIRE

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Champagne supernova I Fire sono da anni uno dei migliori gruppi rock italiani, con il loro sound quadrato, senza troppi fronzoli e altamente travolgente. “Supernova”, il terzo album da poco uscito, è il lavoro maturo di una band che non deve dimostrare più nulla. A parlare con noi c’è ovviamente il loro leader. Di Daniel C. Marcoccia & Stefano Russo

Supernova” arriva a tre anni da “Abracadabra” e si presenta come un disco più “mainstream” rispetto ai precedenti. È stata una scelta fin dall’inizio? Olly (voce/chitarra): Sono brani che sono stati abbozzati o scritti 3 o 4 anni prima, delle demo e delle canzoni che vengono poi terminate molto più avanti nel tempo. Non sempre, quindi, sono “sorelline” di quelle che componevano il disco precedente. Per esempio “Paralysed”, il brano lento e forse più mainstream del nuovo disco, l’avevo scritto per il cantante dei Gotthard, che poi purtroppo è venuto a mancare. Aveva in cantiere un disco solista e mi aveva chiesto se volevo scrivere qualche brano per lui. Avevo quindi pensato a questa canzone un po’ alla Bon Jovi. Sarà l’età o non so cosa, ma ho già dimostrato di sapere strillare con “Loverdrive” e “Abracadabra” e adesso non me frega più un cazzo. Vorrei invece godermi l’aspetto canzone che in anni di punk rock e riff metallozzi mi sono gustato meno. E quando ti soffermi sulla forma canzone, questo ti porta più facilmente verso il mainstream.

Sono forse cambiati i tuoi ascolti in questi anni? O.: A dire la verità, sono anni che ascolto cose trasversali che vanno dall’R&B ai Napalm Death. Quando scrivo, cerco sempre di essere me stesso e se le mie mani e le mie orecchie sono andate in quella direzione, nessun problema e soprattutto nessuna paura di deludere qualcuno o di creare diverbi con il pubblico. Le pippe di quando hai vent’anni e vuoi accontentare la nicchia di cui fai parte sono veramente passate, non me ne importa più nulla. Adesso scrivo per me e se non piace a nessuno, pazienza. Quando compongo una canzone, spesso non lo faccio pensando ai Fire, scrivo e basta. “Waltzin’ Monnalisa”, ad esempio, non c’entrava nulla con i Fire ma chi se ne frega, ci piaceva e l’abbiamo tenuta. Negli anni ‘70 Frank Zappa o i Deep Purple facevano quello che volevano con la loro musica ed è esattamente quello che voglio fare io con la mia. Se sei sincero quando scrivi, allora anche il disco lo sarà. Se pensi troppo, succede il contrario. Questo album è forse il più sincero che ho scritto negli ultimi 15 anni.

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Foto Emanuela Giurano

THE FIRE

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Sei preoccupato di come verrà accolto? O.: No, perché sono soddisfatto. Magari non venderà nulla ma almeno avrò il sorriso. Se invece non vendi e in più non sei neppure soddisfatto, allora ti girano i coglioni. Sono nella fase in cui non sono più un ragazzino, voglio scrivere per me e salire sul palco per suonare canzoni che ritengo fighe di brutto. Ed è esattamente quello che sto facendo. L’approccio è molto più rilassato. Adesso me la vivo così, non sono più perennemente incarognito. È cambiato qualcosa anche nel tuo approccio alla produzione? O.: Sì, perché se in passato registravo io i dischi e poi li facevo mixare a Icio (Maurizio Baggio, nda), questa volta abbiamo prodotto l’album insieme. Io faccio questo di mestiere, ascolto la musica degli altri e sistemo quello che non va. È più difficile però farlo con la propria musica perché si tende a essere poco oggettivi. Avevo bisogno di una persona che non si fa troppi problemi a dirmi che una canzone fa schifo. Icio, in questo, era la persona giusta perché lo conosco da anni, mi fido di lui e so che non ha peli sulla lingua. Infatti, un paio di canzoni ho dovuto rifarle perché non gli piacevano proprio. Ha smontato alcuni arrangiamenti, proposto altre cose e questo mi ha dato ulteriore entusiasmo. È stato un piacere condividere questa cosa, soprattutto per me che sono sempre molto geloso del mio lavoro.

Molte canzoni sono dei potenziali singoli che in un altro Paese funzionerebbero alla grande. Mi viene da dire che suonare spesso all’estero come fate voi sia sicuramente salutare. O.: Sì, non tanto per i soldi quanto per il tornare a casa pensandoti un po’ più artista e un po’ meno come quello che suona in giro e si diverte. Perché in Italia è così che vieni visto. Metti un piede in Svizzera e sei un artista, torni qua e sei uno che suona. Anche la reunion degli Shandon è stata una parentesi salutare? O.: Solo per la mia testa (sorride). Avevo bisogno di fare pace con alcune situazioni, non persone, ma soprattutto situazioni che erano come ferite mai chiuse bene. Non avevo troppa voglia però di salire sul palco, era un po’ come rivedersi con una ex con la quale scambi quattro parole ma poi ti levi subito di torno. Avevo però bisogno di questo “medicinale” per chiudere serenamente la porta e ripartire con i Fire con ancora più entusiasmo. Invece noi, la porta, l’avevamo chiusa un po’ in malo modo, come quando vai via senza avere salutato bene alcune persone. Adesso l’abbiamo fatto. Sul disco ci sono anche un paio di brani in italiano. È un esercizio che non pratichi molto spesso mentre i discografici spingono al contrario all’utilizzo della nostra lingua. O.: Parlando con Filippo (Dallinferno, chitarrista dei Fire, nda) che ha fatto un disco in italiano, ci siamo resi conto che, metricamente, le parole, quando sono serrate, riescono ad avere un certo tipo di aggressività che puoi mettere in un genere come il nostro. Con l’inglese posso invece permettermi delle note più lunghe. Quelli che affermano che basta cantare in italiano e poi una forma la si trova, dicono una cazzata. Se fai i Foo Fighters in italiano, fa cagare, se fai i Misfits, idem. Abbiamo una lingua che è troppo piena di medie a livello di suoni, le consonanti sono troppo aperte, mentre in inglese è sempre molto chiuso e serrato e puoi permetterti un certo linguaggio. Il Teatro Degli Orrori, i Prozac+, gli Scisma e gli stessi Subsonica, sono gruppi che hanno trovato una forma di scrittura e un modo di suonare in italiano. Se dovessimo tradurre i testi dei Fire in italiano, non avrebbero lo stesso impatto che hanno in inglese. Ma è lo stesso se fai Lenny Kravitz in italiano… Orietta Berti è più rock. Parlaci delle collaborazioni con Alteria e Pino Scotto? O.: “Follow me” è un pezzo uscito nell’ultimo mese e mezzo perché, come ti dicevo, Icio aveva bocciato un paio di canzoni. Ho pensato subito che era perfetta per Alteria (ex cantante dei No More Speech, nda), con la quale giro spesso con i Rezophonic. L’ha ascoltata e ha subito voluto cantarla. Con Pino, invece, avevo già collaborato al suo ultimo disco (“Codici kappaò”, nda), producendolo. “Business trash” era una delle canzoni scartate da “Supernova” perché ritenuta troppo pesante ma perfetta per il disco di Pino. Però la volevo anche io e alla fine l’abbiamo aggiunta nel nostro disco come bonus. Cosa rappresenta “Supernova” nel percorso artistico dei Fire? O.: Personalmente, mi ha regalato un momento di relax dopo anni di tensione. Per me questo disco è come fare l’amore mentre il vecchio repertorio è scopare. www.thefiremusic.com

“Magari il disco non venderà nulla ma almeno avrò il sorriso. Se invece non vendi e in più non sei neppure soddisfatto, allora ti girano i coglioni”.

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PARKWAY DRIVE

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o i v r La t A


i d a l o t e n a t t l A

Li avevamo incontrati alcuni mesi fa, per quella che fu un'intervista a 360°. Oggi con l'uscita di “Atlas” giunge nuovamente il momento di incontrare il combo australiano, attraverso le parole del frontman Winston McCall. Di Eros Pasi

P

artiamo con una domanda insolita: cosa hai combinato negli ultimi sei mesi? Winston McCall (voce): Diverse cose! Ho finito di comporre il disco, registrato il tutto, surfato onde pazzesche e ora sono in attesa di veder pubblicato “Atlas” e percepire le vibrazioni dei nostri fan! Quanto siete cambiati dal debut “Killing with a smile” ad “Atlas” a tuo avviso? W.M.: Enormemente. In partenza è cambiato il modo di scrivere i brani, oggi sono più completi e hanno riff che, quando li ascolto, li trovo sempre molto belli. Siamo migliorati individualmente come musicisti e ovviamente col passare degli anni siamo maturati molto come persone, cose che ci hanno cambiato parecchio anche nei gusti personali e nelle influenze musicali. I Parkway Drive di “Killing with a smile” sono lontani anni luce da quelli di “Atlas”, non ci sono dubbi. A proposito di “Atlas”, ti ritieni pienamente soddisfatto di quanto fatto? W.M.: Al 100%. Comporre musica è sempre una sfida e io amo le sfide. Per il nuovo disco volevamo andare oltre, arrivare a un livello mai toccato in fatto di songwriting. Per questo motivo abbiamo utilizzato nuovi strumenti e tecnologie avanzate che hanno contribuito a rendere fattibile questa evoluzione, arrivando anche a modificare il nostro modo di comporre. Tutti questi elementi sono presenti in “Atlas”. Potremmo definire il nuovo disco come la naturale evoluzione del suo predecessore, “Deep blue”? W.M.: Concordo. “Deep blue” è stato a mio avviso il punto di partenza di una nuova era all'interno della band, in quanto il processo evolutivo partì proprio da quel disco... L'anno zero. Sviluppammo nuove idee, ci confrontammo con le persone a noi vicine, cose che non eravamo soliti fare in precedenza. Questa metodologia di lavoro oggigiorno è stata notevolmente affinata, ma i meriti vanno tuttti al nostro disco precedente. Qual è l'apice di “Atlas” a tuo avviso? W.M.: La titletrack. È un brano molto differente da qualsiasi canzone scritta dai Parkway Drive, penso abbia in sé tutte le caratteristiche che ti ho descritto prima, sia sul piano sonoro che lirico. Per ottenere tutto ciò sono serviti due anni, ma siamo molto fieri di quanto ottenuto. Quali sono i temi trattati nei tuoi testi? W.M.: Rispetto a “Deep blue” non ho focalizzato la mia attenzione su un concept specifico, ma ho cercato di raccontare ciò che ho vissuto e visto di persona nell'ultimo periodo. Ho visitato ogni angolo del globo, visto coi miei occhi come girano le cose in moltissimi Paesi sia a livello politico che umano, posti meravigliosi, persone di ogni tipo. Tutto ciò ha influenzato i testi di “Atlas” in maniera considerevole. Avete scelto Matt Hyde come produttore. A cosa

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PARKWAY DRIVE dobbiamo questa scelta? W.M.: Matt non è un produttore, è il produttore. Inizialmente la scelta cadde su di lui perché fondamentalmente è un bravo ragazzo, ma una volta entrati in contatto ci siamo subito resi conto di quanto sia speciale. Nel modo di gestire e sviluppare il lavoro non ha eguali e credo fermamente che nessun altro produttore sarebbe riuscito a fare ciò che ha fatto lui in “Atlas”. Qual è il pregio e il difetto della tua band? W.M.: La cosa migliore è che siamo amici, veri amici. La cosa peggiore è che non ci fermiamo mai. La situazione più imbarazzante vissuta nel corso degli anni on stage? W.M.: Beh, rompere i propri pantaloni durante uno show di fronte a 4.000 persone non è cosa da poco! Qual è il tuo primo ricordo legato alla musica? W.M.: I miei famigliari che ascoltano Bob Marley e i Rolling Stones. Ricordo che amavano ascoltare “Jumping Jack Flash”, probabilmente avevo 3 anni visto che mio fratello e mia sorella non erano ancora nati (ride)! Quali artisti ti hanno segnato musicalmente? W.M.: Tom Waits, sia a livello umano che musicale. Com'è passare gran parte del proprio tempo all'interno di un tour-bus? W.M.: È un ottimo modo di viaggiare a mio avviso, le controindicazioni sono però molte: convivi con odori di ogni tipo, non puoi cucinare ciò che vuoi e la privacy è praticamente azzerata. Che opinione hai in merito al download illegale? Molti artisti lo ritengono un mezzo di comunicazione utilissimo oggigiorno... W.M.: Tutto ciò non mi dispiace, ma ciò che mi preoccupa è la mentalità delle persone che utilizzano questi servizi. Ho sentito moltissime persone dire che gli artisti dovrebbero ritenersi fortunati ad avere fan che scarichino la loro musica illegalmente, in quanto fanno già molti soldi attraverso le case discografiche. Ma la cosa che nessuno capisce è che per far parte di una band e creare musica servono tempo e denaro. Ogni gruppo ama scrivere canzoni, ma per farlo spende dei soldi. Personalmente credo che se una band spende i suoi soldi per mettere in piedi un disco è normale che chi l'ascolti paghi il giusto per poterlo fare. Se poi una band decide di metterlo in download gratuito, sono molto felice per loro perché a mio avviso è effettivamente un'operazione grandiosa. Ma per favore non pensiamo che registrare un disco sia economico o gratuito, oppure semplice e senza alcun impatto sulla vita personale di ogni musicista o, infine, completamente finanziato da un'etichetta. Le band, per registrare, spendono sempre il proprio denaro. Chi pensa che esistano gruppi che suonano totalmente spesati vive in un mondo tutto suo. L'Australia è il sogno del 99% delle persone in Europa: bellissime spiagge, sole e surf... C'è qualcosa di marcio da voi? W.M.: ll razzismo e un governo di merda, due piaghe che non riusciamo proprio a toglierci di dosso. Escludendo i soliti nomi noti in campo alternative, quali band australiane ci consigli? W.M.: Te ne dico tre: I Exist, Survival e Mindsnare. www.parkwaydriverock.com

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“Ho cercato di raccontare ciò che ho vissuto e visto di persona nell'ultimo periodo. Ho visitato ogni angolo del globo, visto coi miei occhi come girano le cose in moltissimi Paesi sia a livello politico che umano…”


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SKUNK ANANSIE

In occasione dei concerti in Italia degli Skunk Anansie, abbiamo fatto quattro chiacchere con Skin ed Ace. Si punzecchiano, si completano le frasi a vicenda e si scambiano battutine, come se lo scioglimento del gruppo non fosse mai avvenuto. Le loro incazzature preferiscono farle convergere nei testi di “Black traffic”, uscito a settembre. Ce l'hanno soprattutto contro i politici e le false aspettative dei votanti. Di Clarissa Canato - Foto Stuart Weston

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entornati in Italia! “Black traffic” sta avendo un buon riscontro. Mi ha colpito “I will break you”, è in bilico tra punk e metal... Skin (voce): Hai detto bene. Pensa che all'inizio suonava in modo completamente diverso. Il ritmo era molto ma molto lento. Volevamo fare tuttavia qualcosa di diverso, quindi abbiamo velocizzato il basso, la batteria...

Siete fan del punk per caso? Ace (chitarra): Ci piacciono molto i Sex Pistols, i Rancid, i Clash... Ci siamo ispirati a loro e a quello che fanno i Green Day.

Siete fan di questi ultimi? Skin: Dei primi che ti abbiamo citato, forse. Non dei Green Day. Per carità, sono fantastici ma no... no, no. Voi siete inglesi ma è innegabile che la campagna elettorale americana abbia toccato un po' tutti. Il vostro brano “I believe in you” fa riferimento alla delusione di chi ha sostenuto e votato i politici. Che cosa consigliate a queste persone? Votare o stare a casa, la prossima volta? S.: Assolutamente votare qualcuno. E se il voto di quella singola persona facesse la differenza? Sempre più spesso si vince per una manciata di voti... A.: È importante avere un'opinione, sempre. Consiglio anch’io di andare a votare, anche se i candidati non vi rappresentano. “Sad sad sad” è forse la perla del disco. Ne farete un video? S.: Abbiamo fatto uscire un “lyric video” prima dell'arrivo del disco. In Spagna, se ben ricordo, è stato persino un singolo. Per il momento non sappiamo se ci sarà un videoclip.

Per l'Italia avete scelto “I hope you get to meet your hero” e “I believe in you”. Come mai? A.: Ci piaceva l'idea di dare a ogni nazione, la canzone più adatta. L'aiuto dei discografici dei vari paesi è stato utilissimo! Per l'Italia ci hanno consigliato di partire con un pezzo più calmo, rispetto a “Sad sad sad”. Così è uscita “I believe in you”.

Vesto i panni della guasta feste per un minuto e mi immedesimo in coloro che dal rock si aspettano solo pezzi veloci e potenti. Non ci sono troppe ballate? S.: Ma sono solo due. Sono troppe per una rock band? No, dai. A.: Sai che non ci abbiamo fatto caso? Non siamo stati lì a dire: “Oh, ci servono due ballate, un pezzo sul punk, uno sul metal...”. È venuto tutto spontaneamente. S.: Posso dire una cosa senza che i fan si offendano? Onestamente siamo arrivati a un punto che non ci interessano le critiche o quello che si aspettano i nostri supporter. Noi scegliamo i pezzi che secondo noi sembrano i migliori, se piacciono, tanto meglio.

Non sono una vostra fan, ma il disco mi è piaciuto. Voi quanto siete soddisfatti? S.: Come non sei una nostra fan? No (faccina triste). A.: Siamo molto contenti. Soprattutto perché siamo di nuovo insieme a far buona musica. Dopo i sold-out in Italia di qualche mese fa ed altri tre concerti nel vostro paese, come non potremmo essere felici? www.skunkanansie.net

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Tra


affic jam RockNow 33


MACHINE HEAD

Decisi a consolidare e prolungare il grande successo ottenuto con "The blackening" e "Locust", i Machine Head presentano "Machine fucking Head live", tributo live ai citati lavori e ai fedeli e sempre più numerosi fan. La parola a Robb Flynn. Di Piero Ruffolo

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Fro de pal

"

Machine fucking Head live" è il secondo live ufficiale del tuo gruppo dopo "Hellalive" (2003). Cosa vi ha spinto verso questa pubblicazione? E perché ora? Robb Flynn (voce, chitarra): Gli show legati all'ultimo album sono stati incredibili. L'intensità provata ci ha riportato indietro nel tempo e dovevamo in qualche modo documentare quanto stavamo vivendo. Sono passati otto anni da "Hellalive" e ancora non avevamo pubblicato "Through the ashes of empires". Con "Elegies" avevamo in qualche modo documentato quel disco, ma non "The blackening" o "Locust", così ci è sembrato un

buon momento per una simile produzione, ed eccoci qui. Ti sei occupato personalmente della produzione, come ormai stai facendo dal citato "Through the ashes of empires". Trovi sia più difficile fare tutto da solo piuttosto che affidarsi all'aiuto di un professionista esterno? R.F.: L'audio è stato registrato da Bozz Porter, il nostro "uomo del suono", mentre io e Juan Urteaga ci siamo occupati del mix. È stata una bella esperienza, mi piace produrre e me la cavo bene. Per quanto riguarda i Machine Head è stata più una necessità che altro.


onte el lco

Abbiamo avuto a che fare con così tanti produttori mediocri che alla fine abbiamo deciso di seguire noi ogni fase e da "Through the ashes of empires" ci siamo mossi di conseguenza. Comporre, suonare live e produrre la propria musica: abbiamo chiuso il cerchio. Le tracce presenti in "Machine fucking Head live" sono state registrate durante diversi show: quali città, Paesi e fan è possibile ascoltare e con quali criteri sono stati scelti? R.F.: Principalmente si tratta di tour in America e Inghilterra, non ricordo con precisione ma è

chiaro fin da subito quando uno show emerge sugli altri, soprattutto a livello sonoro. Abbiamo scelto i concerti basandoci sulla nostra performance e sul trasporto del pubblico: a volte cantano così forte i nostri brani che ho la pelle d'oca. Siete stati costretti ad escludere qualcosa dall'opera? R.F.: Non che io ricordi... Esiste la possibilità futura di una simile produzione in DVD? R.F.: Al momento non abbiamo deciso nulla a riguardo e sicuramente non pubblicheremo

altro nell'immediato. Ma abbiamo un sacco di materiale video e in un prossimo futuro potremmo decidere di utilizzarlo. Qual è il tuo Paese preferito in cui suonare? R.F.: È sempre una domanda difficile a cui rispondere. La metà delle volte ti svegli dopo aver dormito qualche ora in uno scomodo tour bus e non hai idea di dove ti trovi. Cerchi solo di capire dove si trovano i camerini e come recuperare qualcosa da mangiare. Poi sali sul palco e dai tutto te stesso per ricavare il meglio da ogni singolo momento. I nostri fan sono sparsi ovunque ed è fantastico: quale sia il nome della città o la dimensione della folla

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MACHINE HEAD che ci attende non ha importanza per me, tutto ruota intorno all'energia che il pubblico ci trasmette e a ciò che noi possiamo offrire in cambio.

“Quale sia il nome della città o la dimensione della folla che ci attende non ha

importanza

per me, tutto ruota intorno all'energia che il

pubblico ci trasmette e a ciò che noi possiamo offrire in cambio”.

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Come ingannate il tempo prima di uno show? R.F.: C'è chi si riscalda con qualche esercizio fisico, chi fa una corsa, chi chatta online con la famiglia e chi fa interviste e si occupa della promozione. Dipende sempre da dove ci troviamo, dagli impegni personali e dal tempo a disposizione. E prima di salire sul palco? Qualche rito particolare? R.F.: Mi riscaldo molto. Suono la chitarra per un'ora o più, esercito la voce per 15 minuti circa e inizio a bere vodka e coca: mix perfetto. Siete sulla scena ormai da molti anni, affrontate ancora i tour come un tempo o dagli esordi a oggi avete radicalmente mutato il vostro approccio alla vita on the road? R.F.: In realtà ci comportiamo esattamente come in passato. Sono ormai 25 anni che facciamo tour e, non dico sia diventata un'abitudine, ma sicuramente è una parte essenziale delle nostre vite. Se proprio vogliamo cercare delle differenze: oggi le sistemazioni sono migliori e più comode, cibo e vino sono più buoni e, grazie a Internet, comunicare con i propri cari anche quando si è dall'altra parte del mondo è molto più semplice.

Questa estate l'arresto di Randy Blythe (Lamb Of God) ha scosso la comunità metal e in più occasioni hai parlato a suo favore dichiarandone l'innocenza. Qual è stato il tuo primo pensiero appena appresa la notizia? Hai mai dovuto affrontare una simile esperienza in prima persona? R.F.: Non riesco nemmeno a ricordare quante volte qualcuno è stato spinto giù dal nostro palco, soprattutto quando eravamo agli inizi e incoraggiavamo lo stage-diving. Eravamo conosciuti per la nostra propensione alle zuffe, più di una volta siamo scesi tra la folla per far valere le nostre ragioni. Ma dopo quanto è successo a Dime... quel terribile episodio ha davvero cambiato tutto, ancora oggi non sai davvero cosa pensare. È una tragedia quando succede, ma continuo, e continuerò, a sostenere l'innocenza di Randy. State già pensando al prossimo album? Qualche indiscrezione? R.F.: Ho una tonnellata di riff in cantiere e un sacco di canzoni abbozzate nel mio iPhone, ma non siamo ancora riusciti a trovarci per qualche jam. Io e Dave (McClain, batteria - ndr) ci siamo incontrati qualche giorno fa per la prima volta da quando siamo rientrati dall'ultimo tour, abbiamo discusso di molte cose ma nulla è ancora definitivo. www.machinehead1.com


LUNEDÌ 18 FEBBRAIO 2013 Jesolo - Pala Arrex MARTEDÌ 19 FEBBRAIO 2013 Milano - Mediolanum Forum

1 FEBBRAIO 2013 MILANO - Magazzini Generali Venerdì

bankspaulbanks.com


DANKO JONES

Q

uando avete iniziato a lavorare al nuovo disco, “Rock and roll is black and blue”? JC (basso): Abbiamo iniziato a lavorare sui pezzi nuovi nell’estate del 2011, qualche mese dopo l’ingresso nella band di Atom (Willard, il nuovo batterista che ha sostituito il dimissionario Dan Cornelius, ndr). Poi ci siamo buttati in una sessione di scrittura durata tre giorni di fila, per sei ore al giorno, che è iniziata a Malmö, poi a Stoccolma e Toronto. Infine, nell’autunno del 2011, abbiamo fatto un tour europeo e continuato a scrivere e a lavorare sui pezzi durante i nostri soundcheck. Per questo, a volte, duravano 2 o 3 ore… Perché secondo voi il rock’n’roll è “nero e blu”? JC: Quel modo di dire significa che è stato preso a botte ed è tutto acciaccato. Negli anni abbiamo visto il rock perdere terreno nei confronti della musica più popolare e usare quell’espressione è un modo per accendere i riflettori sulla cosa e dire che noi siamo ancora qui a combattere la “battaglia del rock”.

In effetti, a mio parere, i brani sono un po’ più melodici ma riescono ad essere ancora cattivi e rabbiosi. JC: Grazie, è stato esattamente quello che volevamo fare: un disco heavy ma allo stesso tempo anche melodico. Avevamo da parte un sacco di canzoni, ma abbiamo scelto in fase di realizzazione quelle che secondo noi avrebbero dato all’album anche quello stile più propriamente “alla Danko Jones”. Recentemente è stato anche pubblicato un libro su di voi, che si intitola “Too much trouble - A very oral history of Danko Jones”. JC: Si tratta della biografia della band scritta da Stuart Berman e raccontata da tante persone diverse, come Lemmy, Dizzy Reed, Ralph Macchio, Philomena Lynott e altri. È la storia dei 15 anni di vita della band, dagli inizi a Toronto fino ai tour in tutto il mondo, senza dimenticare i problemi e i casini che abbiamo dovuto affrontare durante tutto questo tempo. Tra l’altro, sempre a proposito dei vostri 15 anni di vita: qualche mese fa è uscito anche un DVD live, “Bring on the mountain”. Assieme al libro è forse un modo per guardarsi indietro a livello di band? JC: 15 anni sono un periodo lungo e io li ho vissuti intensamente. L’aver pubblicato sia il libro che il DVD è stato un modo per far piacere ai nostri fan, ma anche per presentare la band a un nuovo pubblico che non ha mai sentito parlare di noi o che non ci ha mai visti dal vivo. Così, grazie a 90 minuti di

Beat it Un gruppo da sberle in faccia, su disco e sul palco: vogliamo anche noi continuare a combattere la “battaglia rock” insieme ai Danko Jones. Considerazioni sparse insieme a JC aka John Calabrese. Di Arianna Ascione - Foto Calle Stoltz

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documentario e alla lettura del libro, potranno sapere molto di più sui Danko Jones che ascoltando un solo disco. Poi è la prima volta che pubblichiamo nel giro di poco tempo un DVD, un libro e un CD di inediti. È molto esaltante per noi. A proposito di live… Dato che vedervi dal vivo è sempre un’esperienza imperdibile: passerete dalle nostre parti? JC: Abbiamo in programma un nuovo tour nella primavera del 2013, ci piace sempre venire a suonare da voi. Immagino sia difficile comunque racchiudere tutta la vostra energia on stage in un “semplice” documentario come quello che avete pubblicato. JC: Sì, è vero. Penso che per una band come la nostra pubblicare un DVD o un CD live sia qualcosa di molto difficile. Ma la cosa bella è che in questo documentario si racconta la storia della band, e sia io che Danko ne parliamo. Ci sono filmati inediti e un cortometraggio, più i video che abbiamo girato per il disco “Below the belt”, così come i nostri videoclip e 14 performance live. www.dankojones.com

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LESS THAN JAKE

20 anni di carriera e un nuovo disco, pubblicato in Europa dall’italianissima Rude Records: il 2012 della band di Gainsville sembra andare davvero a gonfie vele! Ecco cosa ne pensa il batterista e membro fondatore Vinnie Fiorello. Di Stefano Russo

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C

osa si prova a pubblicare un disco a 20 anni dalla formazione della band? C'è ancora, da qualche parte, l'emozione delle prime volte? Vinnie Fiorello (batteria): La passione e la chimica della band sono ancora tutte lì. Quando formi un gruppo per amore della musica, questo non può andarsene, giusto? 20 anni sono un sacco di tempo e ci sono volte in cui non riesco a credere che ne sia passato così tanto. Sembra davvero ieri! Credete che il segreto per una carriera così longeva possa risiedere anche nella fedeltà a un certo sound? V.F.: Credo che il segreto per stare in giro così a lungo sia la lealtà verso i fan che permettono alla band e alla sua musica di andare avanti. La fedeltà a un sound, a volte, suona come una cosa stupida, un gruppo è la somma di tutte le sue parti nel momento esatto in cui registra un disco. Non avete mai avuto la tentazione di cambiare il vostro sound in modo radicale? V.F.: Ci siamo cimentati nell’espansione dei confini del nostro sound e non mi sento di certo limitato da quello che la gente e i fan si aspettano dai Less Than Jake. Cambiare per il semplice gusto di farlo, però, non ha molto senso. Quello che per me ne ha, invece, è cambiare a seguito delle evoluzioni della vita, musicale e privata. Parlateci dell'ultimo disco: c'è qualcosa di particolare che dobbiamo sapere oltre al fatto che suona esattamente come un disco dei Less Than Jake? V.F.: Lo abbiamo registrato e prodotto tutto da soli e le canzoni sono in effetti 100% Less Than Jake, dall’inizio della scrittura alla fine della registrazione. Continuare a essere creativi è liberatorio, ma solo alle nostre condizioni. Abbiamo già fatto questa domanda a Frederik dei Millencolin, ma ci

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LESS THAN JAKE piacerebbe conoscere anche la vostra risposta. Quest'anno, oltre a voi, celebrano il ventennale altre grandi band come appunto i Millencolin, gli MxPx e i Rancid: credete che sia solo un caso, oppure il 1992 è stato un ottimo anno per fondare un gruppo? V.F.: Nel 1992 succedevano un sacco di cose nel mondo della musica punk. Sotto la spinta delle band più aggressive, anche quelle più melodiche stavano uscendo sempre più allo scoperto. Inoltre, etichette come la Lookout stavano crescendo in maniera esponenziate. È stato in quel momento che le band iniziarono a girare gli Stati Uniti in lungo e in largo facendo molti più tour e, contemporaneamente, crescere anche le scene indipendenti delle città più piccole.

“Per noi l’accusa è sempre stata quella di rovinare il punk aggiungendo dei fiati. Oggi questa cosa sembra davvero stupida, se ci pensi, dal momento che il punk viene mescolato ormai abitualmente a generi molto più estremi”.

Celebrerete in qualche modo particolare questo anniversario? V.F.: Festeggeremo tutto l’anno! 20 anni in una band necessitano di un sacco di celebrazioni!

Il nuovo disco è in realtà la somma di due EP: come credete sia cambiato, a livello indipendente e non, il modo di pubblicare musica e di farla arrivare al pubblico? V.F.: A causa delle innovazioni della tecnologia, le modalità con cui un disco era tradizionalmente pubblicato e promosso vanno necessariamente cambiate. La voglia e il bisogno di musica è così immediato che le lunghe attese e le campagne marketing dilatate non funzionano più. A oggi posso dirti che il contatto diretto con i fan e le distanze relativamente ridotte tra le uscite dei dischi sembrano aver fatto una grossa differenza per noi. Dietro al mixer questa volta c’era il vostro bassista

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Roger Manganelli, ma in passato avete avuto esperienze con nomi piuttosto importanti come, ad esempio, Rob Cavallo. Che differenze ci sono tra il fare tutto da soli e lavorare con un produttore? V.F.: Rob è tipo uno scienziato pazzo, ha una conoscenza davvero vasta della musica e della sua storia e ci ha insegnato molto. Lavorando con un produttore, hai un punto di vista esterno sulle canzoni che stai scrivend. Quando lavori da solo, al contrario, non hai l’aiuto di un orecchio esterno ma allo stesso tempo hai quella passione incondizionata per le tue canzoni che solo tu puoi avere. Siete felice della ritrovata collaborazione con la Fat Wreck Chords per il mercato americano? V.F.: Amiamo la Fat e Fat Mike, lui ha un grande senso di lealtà verso le sue band. Se a questo sommi il suo livello di onestà nel giudicare la musica, tornare a lavorare con lui è davvero una boccata di aria fresca. Johnny Quest pensa ancora che siate dei venduti? V.F.: Come si dice, “haters will be haters”. A un certo punto, ogni band si ritrova ad avere dei detrattori e per noi l’accusa è sempre stata quella di rovinare il punk aggiungendo dei fiati. Oggi questa cosa sembra davvero stupida, se ci pensi, dal momento che il punk viene mescolato ormai abitualmente a generi molto più estremi. Attualmente lo ska punk non è di certo il genere prediletto dalle nuove leve… C'è tuttavia qualche nuova band che vi piace e che pensate possa seguire le vostre orme, magari arrivando un domani a ereditare il vostro scettro? V.F.: Per quanto riguarda lo ska punk, i We Are The Union sono sicuramente i prossimi che erediteranno la corona. Se invece parliamo di punk rock melodico, sono convinto che i Red City Radio stiano per fare il botto. www.lessthanjake.com


JOHN MAYALL + THE CYBORGS

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DOM. 09/12 > TREZZO (MI) - LIVE CLUB LUN. 10/12 > PADOVA - GRAN TEATRO GEOX

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The Wörld is Yours imotorhead.com

GIO. 28/02/2013 > MILANO - ALCATRAZ SAB. 02/03/2013 > PADOVA - GRAN TEATRO GEOX

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VEN. 19/07/2013 > VIGEVANO (PV) - 10 GIORNI SUONATI

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MER. 06/03/2013 > SEGRATE (MI) - CIRCOLO ARCI MAGNOLIA

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LUN. 17/06/2013 > CODROIPO (UD) - VILLA MANIN MAR. 18/06/2013 > MILANO - MEDIOLANUM FORUM

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DOM. 21/07/2013 > VIGEVANO (PV) - 10 GIORNI SUONATI LUN. 22/07/2013 > ROMA - ROCK IN ROMA MER. 24/07/2013 > MAJANO (UD) - PIAZZA ITALIA

I N F O : 0 2 . 6 8 8 4 0 8 4 - B A R L E YA R T S .C O M - FAC E B O O K .C O M / B A R L E YA R T S P R O M OT I O N


Anti-Flag Y vs

Blind test

Uno è il frontman di una band che ha incorporato il delicato suono del violino all'interno del pop punk; l'altro è il cantante e chitarrista di un gruppo che, a livello sociale, non scende a compromessi. Ecco il risultato del nostro “blind test” con Ryan Key degli Yellowcard e Justin Sane degli Anti Flag. Di Andrea Rock - Foto Stefano Russo

Billy Bragg “The power in a union” (1 secondo) Justin Sane: Billy Bragg! Ryan Key: Ok, le indovinerà tutte lui! J.S.: No! Vai tranquillo... È chiaro che alcuni brani rispecchieranno le mie influenze e altri le tue. Bragg, ad esempio, è proprio la più grande fonte d'ispirazione nel songwriting degli Anti-Flag.

Mumford & Sons “Little lion man” (3 sec.) R.K.: Mumford & Sons? J.S.: Visto? R.K.: Beh, amo questo disco, soprattutto l'ultima traccia “After the storm”. In un periodo nel quale mi ero allontanato dagli Yellowcard, ascoltavo tantissimo queste sonorità... Adoro il folk punk!!!

Face To Face “Disconnected” (5 sec.) R.K.: Face To Face! Nella prima band in cui ho suonato facevamo questo brano come cover. Abbiamo spesso condiviso il palco di recente e solo il fatto che ci invitassero a bere birra con loro era per noi qualcosa di fantastico!!!

Stiff Little Fingers “Alternative Ulster” (1 sec.) J.S.: Ce l'ho! R.K.: Al primo accordo? J.S.: Sì. Mio padre è irlandese e fu molto coinvolto nella lotta per l'indipendenza dell'Irlanda del Nord dall'esercito inglese. Per me il punk è strettamente legato alla politica e al sociale e questo fu uno dei brani più importanti per me come attivista e come musicista. Inoltre sono un grande fan del songwriting e della voce di Jake Burns.

Falling In Reverse “Good girls, bad guys” (2 sec.) J.S.: La so! R.K.: Davvero? J.S.: Si, amo i Cobra Starship! Non sono i Cobra Starship...

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Yellowcard s R.K.: Ah ecco! Infatti pensavo fossero i Falling In Reverse. Li ho visti al Warped Tour. J.S.: Mi scuso con i Cobra Starship. R.K.: Non so nulla di loro. Li ho visti suonare, so che forse il cantante è stato arrestato e che il chitarrista faceva “shredding” con la chitarra su una sedia a rotelle perché aveva avuto un incidente. È tutto quello che so...

No Use For A Name “Soulmate” (0 sec.) R.K. & JS: Uff… (Tony Sly dei NUFAN era deceduto da un paio di settimane quando abbiamo incontrato Ryan e Justin, nda) J.S.: Voi gli avete reso tributo al Warped, vero? R.K.: Sì, l'abbiamo scoperto tutti un paio di giorni dopo, quando la notizia si è diffusa su Web e tra gli addetti ai lavori. “Leche con carne” è stato il disco che mi ha aperto la mente verso un certo tipo di songwriting. Non riesco a credere che Tony non sia più qui tra noi.

Social Distortion “Mommy's little monster” (1 sec.) J.S.: Social D! Abbiamo suonato proprio questo pezzo ieri sera durante il soundcheck. Se non fosse per Mike Ness, probabilmente adesso non starei suonando la chitarra. Ha creato un lifestyle grazie al suo songwriting...

Green Day “Oh love” (15 sec.) R.K.: Green Day? (al momento dell'intervista il singolo era uscito solo da un mese, nda) È il nuovo singolo? Io non ragiono a singoli... aspetto che esca l'album completo! (schiaccia un 5 a Justin, nda). Comunque ho riconosciuto il brano dal tipico suono di chitarra... Sono una delle band migliori di sempre. J.S.: Concordo.

Chuck Ragan “Nomad by fate” (40 sec.) R.K.: Brian Fallon? J.S.: Chuck Ragan! Non l'ho mai visto dal vivo, anche se me lo sono promesso da almeno 5 anni: Ma ad un festival stavamo tenendo una signing session e lui suonava sul palco, esattamente alle mie spalle. Quindi, in un certo senso, l'ho “ascoltato” dal vivo... Ma non l'ho ancora visto.

Frank Turner “Glory Halleluja” J.S.: Frank Turner? È un grande! È incredibile il fatto che abbia fatto uno show sold-out allo stadio di Wembley, a Londra, con il suo/mio idolo Billy Bragg ad aprire per lui! Adoro tutti questi songwriter come Frank o Chuck. È bellissimo vedere qualcuno che proviene dalla scena hardcore, suonare folk punk... www.anti-flag.com www.yellowcardrock.com

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AS I LAY DYING

Ris ve gli

Puntuali come sempre, gli As I Lay Dying tornano con "Awakened", un disco in grado di riassumere e concretizzare tutto quanto la band ha da sempre sostenuto. Abbiamo incontrato Tim Lambesis in occasione del recente show con Trivium e Caliban. Di Michele Zonelli - Foto Ty Watkins

L

'accoglienza riservata a "The powerless rise" non è passata inosservata e rientrare in studio dopo un grande successo non è mai facile. Come avete affrontato questa produzione? Tim Lambesis (voce): Siamo arrivati alle registrazioni davvero preparati e si è trattato di un processo molto "ufficiale", se mi passate il termine. Ci siamo divisi tra due studi, uno in Colorado, dove abbiamo inciso chitarre e batteria, e uno a San Diego, dove abbiamo chiuso voci e basso. Questa volta il tempo era dalla nostra e, come detto, eravamo sicuri riguardo al cammino da percorrere. Al vostro fianco c’era Bill Stevenson, una scelta inusuale se si pensa ai suoi trascorsi con band come NOFX, Rise Against e Anti Flag... T.L.: A conti fatti, è stata per noi un'ottima decisione. Bill ha compreso fin da subito la nostra musica. È riuscito a osservare l'intera opera dall'esterno e a delineare un quadro completo, senza limitarsi ai passaggi che solitamente caratterizzano un disco metal. Come avete scelto i brani da utilizzare e con quale criterio avete stilato l'ordine secondo cui oggi è possibile ascoltarli? T.L.: Scegliamo quelli che rappresentano al meglio ciò che siamo in quel preciso momento. A volte scartiamo ottimi brani perché non completamente in linea con il nostro stile. Altre

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AS I LAY DYING “Ho cercato di raccontare ciò che ho vissuto e visto di persona nell'ultimo periodo. Ho visitato ogni angolo del globo, visto coi miei occhi come girano le cose in moltissimi Paesi sia a livello politico che umano…” volte diamo la priorità a passaggi che, semplicemente, suonano bene insieme. Decidere l'ordine non è facile. Noi diciamo la nostra, ma ascoltiamo anche altre opinioni. Alla fine dei lavori, il nostro giudizio è inevitabilmente contaminato da ore di ascolti e il parere di chi sente per la prima volta il disco è determinante. Pensate di avere ancora qualcosa da dimostrare? T.L.: La scena musicale a cui apparteniamo ha visto nascere un grande numero di band metal giunte al successo più o meno contemporaneamente. L'ascesa per molti è stata rapida, tanto quanto lo è stata la discesa... Con questo disco vogliamo dimostrare che non siamo una realtà effimera. "Awakened" è la prova di ciò che siamo, di ciò che siamo sempre stati e di ciò che continueremo a essere. Cosa ha fatto nascere in te il desiderio di entrare a far parte di questo mondo? T.L.: Ricordo che quando ero piccolo ascoltavo molto la radio, Metallica e Guns N' Roses erano tra le band più famose al mondo, Testament e Megadeth muovevano i primi passi verso il successo e i Pantera si preparavo

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a esplodere. Ero molto curioso ma non avevo mai preso in considerazione l'idea di creare una band, fino al mio primo concerto punk. In molti, già allora, criticavano la scena punk per la semplicità della musica proposta. Ok, gli accordi non sono molti, ma vogliamo parlare dell'energia che si respira durante gli show? Ne sono stato completamente travolto e non dimenticherò mai le emozioni provate la prima volta che ho visto suonare i Bad Religion. Quando hai capito che la musica avrebbe sempre fatto parte della tua vita? T.L.: Al tempo del primo tour ero iscritto al college. Dopo tre anni on the road siamo finalmente rientrati e l'intenzione era di completare gli studi. L'ho fatto presente a etichetta e agenzia e dalla reazione ho capito che qualcosa stava davvero cambiando. Il loro punto di vista era chiaro: avevamo un'opportunità unica, eravamo giunti al fatidico punto di non ritorno e potevamo portare l'intero progetto su un nuovo e più alto livello ma dovevamo farlo senza perdere altro tempo. Alla fine ho deciso di seguire la carriera musicale. Non me ne sono mai pentito. www.asilaydying.com


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WHILE SHE SLEEPS

o t s e s Ilelemento il loro is the swixre”,nce Taylor e is h “T i d scita il cantante La loro storia e le esi dalld’u tto, o la b e A pochiam i m d Weulsh ci raccontan u lb o im ott ta Mattin tour. o il chitarrpis enze ela Giuran ri e loro es “Maya” Noto - Foto Emanu Di Amalia

te ttualmen in Italia, a te a n o u s paese. lta che conda vo el vostro ca di r? È la se scena hardcore d , l’atmosfera è cari o alla u to il o d n d a re a n ll d ce a e d n d ia n a i p a m n ta re con ndi no ome s alia è u calore. Il tour sta condivide a due gra rnare in It assieme Taylor (voce): To mpre con grande mpagni di viaggio e stati problemi se e o Lawrenc bblico ci accoglie ndo degli ottimi co eights non ci son on gli H no rivela a e il pu adrenalin Architects si stan gare così tanto. C ustraliano. cio li le G i di approc ur a to n u grande! ci ha permesso d in Che tipo . ro k lo n u n p co porto loro il bus iamo già suonato picamente album? nostro rap b itudine ti de un’att e del vostro primo rumenti in mano, il e six”, il nostro perché ab iu h c c ra gli st e six” sizion his is th lare, “This is thzzato nella compo ando abbiamo presorealizzazione di “T un obiettivo partico ato rc avete utili h (chitarra): Da qu sto invariato. Per la ci siamo posti ness resto abbiamo ce i il o d Matt Wels ca è rimasto piutt ente lo stesso: non ttosto heavy. Per e per molte band iu si d con la mu è stato sostanzialm mpre su tonalità p come spesso acca elle approccio llo di mantenerci se una scatola, così solite stori e in n sono le lle persone che ci o n e se non qu ere troppi genere nel nostro stile. ch i, a tt dire i r i test di non me i rimanere semplic o simile anche pe o l’opportunità di d cors bbiam is a d i n cu u oggi, ma recchio in re o spazi iamo fa già da pa L.T.: Poss fidanzate ma uno ia avviato unti deboli? s o tt e g re . st sulle no ciò che pensiamo vostro proali sono i vostri p risale al 2006, ra che il u e ascoltano ete, semb ile She Sleeps? Q attuale formazion n articolo n o p i v i in cu i Wh lo di u anni. L’ Dal modo sa potete dirci su eme da quasi 10 me è tratto dal tito genere. Volevamo mo l si o o tempo. C i di noi suonano in ile She Sleeps. Il n no, o qualcosa de anni appena, ci sia . Il n n L.T.: Alcu o di nascita dei Wh sua moglie nel so ravamo giovani, 16 i e farsi due risate mo rs e n il vero an un tizio che uccis igliore di questo? E ritrova per ubriaca heffield che ricordiaai te riguardan ttivi, quale nome marn, nda) in cui ci siè la nostra amata S attende al ritorno d stra o risultare cain un locale (The B motivo si intende, arn appunto, che ci ore, insieme alla n e conosciuti to debole, a livello conda casa, The B mo sempre nel cu ia n e nostro pu i testi e la nostra se di cose che ci port ensate ch e e modo p h c sempre n Questo è il genere In i? r. obiettiv nostri tou ai nostri amici. prossimi . o i vostri n o s li o a i obiettivo famiglia e u lcun tipo d per il nostro prossim ol futuro: q evolvere? a l a o m to a ia s n s o vu p a o n s o im m s n o re ci o p Dal pa n i se st o s u e ampo ma qu rima, n sound il vostro e abbiamo detto p o dirvi che tipo di st voluzione si fermi, e m erna? M.W.: Co enza non sappiam mo che la nostra u l più mod lia ena meta parti in urlato, Di conseg uramente non vog a più soft. c s a ll e n g i ponete e se ci sono molte che la rende lavoro. Sic nderemo una pie e come v re originali a band metal. Anch nella nostra musica dire che p re e s s e i qualcosa ensate d eriamo un In cosa p altà non ci consid . Penso che ci sia erta re ca n In a .: m . n .W ito una c o o M di certo n lico molto più vast te acquis e ia v d a lo ro e d m n la mo l’oppo i da qua a un pubb ente abbia olto più i concert tr lm s a accessibile o p v ci I n ri ti ia ersone! P in tour con band m abbiamo no camb nti a 10 p Come so ? o più dava one, perché siamo tour da headliner e di suonare m tà ri ia n la o o p su n n tà po ers mo fatto u olte più p nzitutto no la possibili L.T.: Inna onare davanti a m io di anni fa abbia o abbiamo avuto a p p o su d i n … d u o to n pio, l’an mbia tunità Per esem 0 fan, poi lcosa è ca importanti. ni sera davanti a 2 e! Come vedi, qua g n o o 0 pers suonato n oltre 40 in luoghi co

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DISCO DEL MESE

recen

DEFTONES “Koi no yokan” (Reprise/Warner) ★★★★

I

Deftones, oggi, sono un po’ un’entità a parte. Soprattutto se prendiamo in considerazione le altre band che sul finire degli anni 90 hanno - volenti o nolenti - animato quella scena musicale che rispondeva al nome di nu metal. Molte sono sparite, alcune non hanno più le idee troppo chiare e non convincono, altre continuano invece a fare dischi decisamente notevoli che non ne intaccano la reputazione. Il gruppo di Sacramento fa ovviamente parte di quest’ultima categoria e, a due anni dal riuscitissimo “Diamond eyes”, tornano con questo settimo sigillo della loro discografia. “Koi no yokan” appare subito all’altezza del suo predecessore, con la conferma di Nick Raskulinecz alla produzione. Da notare che i Deftones sono piuttosto abitudinari nella scelta di chi deve sedersi al mixer: Terry Date aveva infatti prodotto i primi 4 album della band, Raskulinecz

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gli ultimi due; in mezzo il mediocre “Saturday night wrist” affidato a più produttori, tra i quali Bob Ezrin (Pink Floyd, Alice Cooper, Kiss…). Altro elemento di continuità con “Diamond eyes” è sicuramente la presenza del bassista Sergio Vega (già nei Quicksand e sempre in sostituzione dello sfortunato Chi Cheng), ancora più a suo agio nella band dopo mesi di tour. Certo, qualcuno potrà anche dire che i dischi dei Deftones ripetono ormai sempre la solita formula con riffoni spessi e heavy che vanno ad amalgamarsi in maniera incredibilmente splendida con atmosfere più eteree. Ma non è affatto così (o almeno non solo). C’è innanzitutto una scrittura raffinata e personale che rende comunque queste canzoni inequivocabilmente belle e, poi, c’è quella voce inconfondibile di Chino Moreno, sempre duttile quanto versatile nel passare da esplosioni di rabbia a momenti di incantevole

pacatezza. Le canzoni di “Koi no yokan” racchiudono ancora una volta tutte queste caratteristiche, rievocando in alcuni momenti anche quel capolavoro di “White pony”. “Swerve city”, che apre il disco, lascia subito ben sperare. Il brano parte in maniera potente ma si apre in modo fantastico e accattivante nel ritornello, facendo quasi da introduzione alla sensuale “Romantic dreams”. Di “Leathers” sapete sicuramente già tutto, dal momento che era già stata regalata in free download dalla band. Mi limito a dire che si tratta di una bella botta sulle orecchie in puro stile Deftones: incedere heavy alternato ad aperture melodiche e qualche richiamo ai Tool. Un’altra bella sorpresa arriva dal groove malato e travolgente di “Poltergeist” (preparatevi a pogare di brutto durante i prossimi concerti), prima di lasciare spazio a “Entombed”, una di quelle belle

ballate “atmosferiche” di cui Chino e compagni sembrano avere il segreto. Riff a iosa arrivano nuovamente con “Graphic nature” e “Gauze”, con in mezzo il primo singolo “Tempest” e le sue digressioni psichedeliche. Un altro picco creativo viene raggiunto sicuramente con “Rosemary”, che parte lentamente e si sviluppa in un crescendo di elettricità e loop elettronici impressionanti (e qui va sottolineato l’apporto di Frank Delgado nel regalare ulteriore spessore/tensione alla musica del gruppo). Il disco si chiude con le esplosioni post-hardcore di “Gone squad” e la sperimentale (nei ricami delle chitarre come nella ritmica particolare) “What happened to you?” (ricorda alcune cose degli A Perfect Circle). Cos’altro dire? I Deftones non sembrano invecchiare mai e soprattutto continuano a sfornare dischi belli. Vi sembra poco? Daniel C. Marcoccia


nsioni 30 MILES

"The smiles of rage & paranoia" (This Is Core Music)

★★★★

Semplicemente ottimi questi 30 Miles. Non vedo altri termini da usare per una band che ha sfornato un riuscito album quale "The smiles of rage & paranoia", concentrato di rabbia ed emozioni forti in salsa alternative. Il loro è un prodotto dal taglio internazionale: produzione e mixaggio degni dei big mondiali, brani carichissimi e assai vari tra loro. Arrivando a fare rapidi paragoni, li metterei al cospetto dei primi Billy Talent per foga distruttrice e Subways dei tempi d'oro per quel che riguarda la capacità di mettere in piedi brani tremendamente efficaci in chiave rock, con ritornelli immediati e un cantato sgraziato che rende ancor più

"vero" il tutto. Cercando una collocazione, i 30 Miles si posizionano tra l'hardcore melodico e il rock più alcolico made in UK, qualcosa di molto adrenalinico insomma. Non si sentiva da tempo tanto ottimo rumore in un disco d'esordio: ascoltateli, meritano davvero la massima attenzione. Giorgio Basso

DESIGN

“Technicolor noise” (Zeta Factory/Venus)

★★★

Le sorprese piacciono anche a noi, soprattutto se arrivano da gruppi italiani all’esordio. È il caso dei Design, nati in provincia di Ancona, che ci propongono un primo album di tutto rispetto. Nu rock dalle chitarre sempre incisive e ritmica

OBEY THE BRAVE “Young blood" (Epitaph/Self)

★★★★

Nati per volere di ex membri di Despite Icon e Blind Witness, gli Obey The Brave debuttano su Epitaph con "Young blood": disco che ripaga le molte attese e che, senza riscrivere nulla, riesce a farsi notare all'interno dell'affollato panorama di riferimento. Sonorità e cambi di ritmo possono essere tranquillamente ricondotti alla moderna scena metalcore, ma le radici affondano in quella mai dimenticata dell'hardcore newyorkese. Costanti digressioni sono all'ordine del giorno, supportate da sonorità che non hanno nulla da invidiare a chi da anni propone simili soluzioni. Melodia (in primo piano solo in alcune e ben delineate situazioni) e cori (davvero ben riusciti) agevolano l'ascolto senza compromettere in alcun modo l'integrità e la struttura dei brani. Abile nell'evitare l'insidioso tranello del "già sentito", questo disco riesce dove in molti hanno fallito, a dimostrazione che non serve essere alla moda o seguire semplicemente la corrente per creare un prodotto degno delle sperate attenzioni. Brutali, veloci, affabili e per nulla scontati, episodi come "Lifestyle", "Live and learn", "Time for a change" e "Burning bridges" convincono fin da subito, dando infine ragione ai rodati interpreti e a chi da tempo ne segue le gesta. Michele Zonelli

nu rock corposa (“Thinking people”, “Painter”), tra le quali si inseriscono parti elettroniche che rendono ancora più possenti le canzoni del gruppo (l’ottima “Hank”, “(Turn off the) Sun”). I Design dimostrano di avere infine delle ottime capacità compositive (da ascoltare la bellissima “Straight at you”, uno dei picchi del disco che alterna momenti melodici ad altri più esplosivi, in un crescendo di suoni e atmosfere) e un cantante decisamente bravo, nei momenti heavy come in quelli più melodici. Sono qualità che il gruppo saprà affinare ulteriormente nel tempo. Intanto vi consigliamo questo “Technicolor noise”. Piero Ruffolo

PSYCHOFAGIST

“Unique.Negligible.Forms” (Autoproduzione)

★★★★

Semplicemente eccezionali. Già dai tempi di Rock Sound decantavamo le lodi dei Psychofagist, trio di terroristi sonori capaci di sfornare sempre piccoli capolavori. Come nel caso di “Unique.negligible.forms”, 7” in vinile trasparente a edizione limitata contenente 3 brani che spiegano alla perfezione il termine avant-core. Prendete il noise, aggiungeteci abbondanti dosi di jazz e unite al tutto il grind, shakerate bene ed ecco un cocktail esplosivo. I Psychofagist si sono fatti da soli e continuano a essere fieri portabandiera del DIY made in Italy, con produzioni di spessore e live in tutto il Continente. Baciamo le mani. Giorgio Basso

THE DEVIL WEARS PRADA “Dead & alive” (Roadrunner/Warner)

★★★

Dopo quattro album e una popolarità ormai ben consolidata, i Devil Wears Prada pubblicano il loro primo disco dal vivo, registrato lo scorso marzo durante la data di Worcester, Massachusetts, del loro “Dead throne tour”. Proprio con la poderosa title-track del loro ultimo disco si apre questo “Dead & alive”, per poi continuare a ritmo sostenuto con “Untidaled” e “Escape” (dal loro EP del 2010, “Zombie”). Il gruppo dell’Ohio riesce a riproporre dal vivo tutta la potenza del suo metalcore (cristiano), con il bravissimo cantante Mike Hranica in bella evidenza tra urla e parti più “tranquille” (e sempre ben sostenuto dal chitarrista Jeremy DePoyster per le “clean vocals”).

“Sassafras”, “Dez Moines”, “Assistant to the general manager” e “Dogs can grow beards all over” sono sicuramente tra i momenti migliori di questo CD che ha il pregio di presentare anche un DVD con tutto il concerto e alcune riprese “behind the scenes”. Daniel C. Marcoccia

WHILE SHE SLEEPS

“This is the six”

(Search And Destroy Records)

★★★★

“This is the six” è l’accattivante album di debutto di una delle formazioni inglesi più promettenti del momento. Composto da 12 tracce ben strutturate, il disco dei While She Sleeps, presenta sonorità hardcore/ metal che ci trasportano direttamente nelle vie di Sheffield, dai cori da stadio tipici fino ai riff caratteristici della scena odierna, ma sempre con una marcia in più. L’esplosione di violenza della chitarra ritmica e la voce tagliente e corrosiva del vocalist Lawrence Taylor sono le caratteristiche che fanno del disco uno dei capolavori del metal contemporaneo. L’unico difetto dell’album è forse la semplicità nella composizione di alcuni brani, che nel complesso si amalgamano comunque piuttosto bene tra loro. “This is the six” ha già catturato l’attenzione di mezza Europa e costituisce un biglietto da visita di assoluto valore per i cinque di Sheffield. Amalia "Maya" Noto

WITHIN YOUR PAIN “Little stars and the perfect yellow keys” (To React Records)

★★★

Dopo diversi anni spesi tra palchi e studi d’incisione il viaggio dei Within Your Pain giunge al termine. La band vigevanese saluta tutti con un nuovo EP intitolato “Little stars and the perfect yellow keys”, chiara testimonianza degli evidenti passi in avanti compiuti già col precedente “Ten steps behind” in fatto di metalcore. Un’opera sincera e carica di entusiasmo quella appena rilasciata dai cinque musicisti, abili come sempre nel far sorridere con titoli azzeccati (“We are not so proud of this song but our label asked us a cool song like an Emmure song” è sicuramente il più ispirato) e a dar sonore legnate in salsa As I Lay Dying/Neaera ai fan. Un bel prodotto insomma, licenziato gratuitamente sui canali ufficiali To React Records e della band. Giorgio Basso

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ROCK/POP AT THE WEEKENDS

“Close to the highlights” (Mafi Srl)

★★★

Credo che fare il musicista in Italia oggi rappresenti la sfida ultima al delirio socio-economico in cui siamo immersi. Il sogno di avere non un contratto a tre mesi, ma un miliardo di groupie ad aspettarti nel backstage. Fama. Soldi. Per fare musica bisogna tirare fuori quello che hai dentro, senza paura. A mio parere, gli At The Weekends ci riescono. Il risultato è un indie-rock ben fatto, con un vago retrogusto anni '90. Si sente l'influenza di molte band, ma senza volerne scimmiottare nessuna. Ben prodotto e infiocchettato, “Close to the highlights” è senza dubbio un buon disco

d'esordio, consigliato soprattutto ai fan del genere. Andrea Ardovini

BORDERLINE SYMPHONY

“Ragazze con pistole” (Autoproduzione/Resisto)

★★★

Duo “bordeline” italosvizzero davvero curioso e interessante. È evidente la loro attitudine per la new wave e la psichedelia, ma una strizzatina d’occhio a un certo indie tanto di moda (vedi i Cosmetic) rende questo lavoro più moderno che mai. Si parte col cinema e l’omaggio a Morricone di “Per qualche euro in più”, seguito dalla bellissima pop song “La notte del dottor dolce vita”. “Settimana snob” e “Non un agente” riportano

recen immediatamente al presente le lancette del tempo. Meraviglioso il singolo “Terrorismo!”, in perfetto stile New Order. Ottime anche le generazionali “Bella per noi” e “Gioventù senza gioventù”. Si chiude in bellezza con la sognante “Fiume d’oro” e la lunga cavalcata psichedelica “It's all about being in and stepping out”. Una piacevole sorpresa che avrebbe meritato perlomeno l’attenzione di un produttore. Nico D’Aversa

DINOSAUR JR. “I bet on sky”

(Jagjaguwar/Goodfellas)

★★★

Gruppo culto dell’indie rock americano di inizio anni novanta, con album fari quali “You’re living all over me” e “Bug”, i

Dinosaur Jr. tornano oggi con un nuovo disco, a tre anni dal precendente “Farm” che segnava il ritorno della formazione originale con, oltre al leader J Mascis, il batterista Murph e il bassista Lou Barlow. La band sprigiona tutta la sua ritrovata verve già nella prima traccia del disco, quella “Don’t pretend you didn’t know” che ripropone quel mix tra noise con accenni punk e folk dei tempi migliori. Non da meno è il power pop di “Pierce the morning rain”, mentre “Watch the corners” e “Recognition” sconfinano piacevolmente nel garage rock. C’è spazio, infine, anche per le ballate folk/grunge tipiche del gruppo (“Almost fare”, “See it on your side”). Nulla di nuovo, roba già sentita e risentita, ma nessuno si lamenta. Piero Ruffolo

IL CARICO DEI SUONI SOSPESI

“Non pratico vandalismo”

THE FIRE “Supernova”

★★★★

Foto Emanuela Giurano

(Valery Records)

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Chiusa definitivamente l’epopea Shandon, Olly torna a dedicarsi a tempo pieno ai suoi Fire con questo terzo album che arriva a ben 3 anni dal precedente “Abracadabra”. Fin dal primo ascolto, colpisce subito l’apertura al mainstream da parte della band e, credetemi, non è affatto un male perché “Supernova” è un grande disco dalle sonorità americane, di quelle che ascolti sulle onde FM a Stelle e Strisce. Da quelle parti, lo chiamano AOR, che sta per “adult oriented rock” e nel caso dei Fire, possiamo dire che hanno raggiunto quell’età adulta proprio con queste nuove canzoni: dal potenziale singolo “Claustrophobia” a quello ufficiale “Follow me”, da “See you next time” fino a “Dynamite”, non c’è nulla fuori posto o fatto male. E in mezzo a riff e assoli mai troppo invadenti, nonché ritornelli di facile prese (di quelli che piacerebbero tanto a Bon Jovi… non scherzo, e nemmeno vuole essere una critica), trovate anche una bella ballata come “Paralyzed”. In bonus, due tracce in italiano: “Business trash”, già sull’ultimo disco di Pino Scotto (presente anche qui) e “Tu sei solo mia” (nel disco c’è anche la versione inglese, “Out of here). Un ottimo disco, che farà sicuramente discutere… Ma chi se ne frega. Daniel C. Marcoccia

(Autoproduzione)

★★★

Secondo disco per la band fiorentina che non lesina energie proponendo addirittura diciotto brani. E inevitabilmente spazia tra diversi generi: rock, funk, elettronica, persino nu metal. Per questo l’album finisce per suonare molto Nineties, come comprovato da incursioni “cinematografiche” tratte da film cult dell’epoca come Fight Club e Trainspotting. La grintosa voce di Sara (che ricorda Marzia degli Jolaurlo) ci rivela di sentimenti (“Re-Nata”, “Di-Gestione”, “Aerfect”), riflessioni sulla vita (“La scia”, “Condizionata”, “Sacha Danz”) e sul lavoro (“Giuliano the cat”). Non mancano pezzi sul mondo in cui viviamo, che ci satura di ansie inutili (“L'età dell'ansia”) e stili di vita imposti (“Tesla D’NB”, “MDMA (carne trita)”, “Mondo reale”). Ma a mio avviso è “Pseudocattolica” il brano più interessante, per l’incedere e il tema toccato. Un buon lavoro, in cui si respira un’indole di protesta sempre meno in voga negli ultimi tempi. Nico D’Aversa

INTERIÒRA

“Tra gli alberi e gli dei” (Autoproduzione)

★★★

Questo EP che segna l’esordio dei torinesi Interiòra è una “colonna sonora di emozioni”, dove il cantato trova ampia libertà di


nsioni espressione grazie alla grande cura nella composizione strumentale che predomina in questi 5 brani e a testi più poetici che musicali, insolitamente in italiano. Il lavoro nasce come un concept che narra l'incontro tra i musicisti e la nascita della loro band, anche se al primo impatto può sembrare una spassionata dichiarazione d’amore verso la Natura. Un gruppo tutto da scoprire, che dal vivo riesce a ricreare un'atmosfera leggera e anche un po’ mistica. Dai Deftones a Cristina Donà: un mix reso possibile dagli Interiòra. Amalia "Maya" Noto

PAUL BANKS “Banks”

(Matador/Self)

★★

Dichiarato defunto Julian Plenty, l'ostia che a questo giro Paul Banks ci offre è quella servita a una messa per iniziati. L'anima che il newyorkese vuole mettere a nudo appare trattenuta, fuori fuoco. Non che l'assenza di omogeneità debba necessariamente coincidere con assenza di idee. Ma mancano gli apici, le variazioni sul tema non sono particolarmente ispirate, piuttosto velleità animose che non rapiscono. Non a caso le track più centrate sono quelle che rievocano i trascorsi Interpoliani ("The base", "No mistakes" e "Summertime is coming"), dove si intravede solo traccia di quei tempi in cui i loro dischi erano consumati con ammirazione reverenziale. Che questo sia un disco di transizione non ne abbiamo prova, ma il dubbio è legittimo. Triste, andante, ma non troppo. Sharon Debussy

PLAN DE FUGA “Love°pdf”

(Carosello Records)

★★★

I Plan de Fuga, una delle realtà italiane più interessanti attualmente in circolazione, hanno da poco confezionato “Love°pdf”, ottimo successore del loro disco d’esordio. Un delizioso lavoro di ampio respiro internazionale, lanciato in radio dall’etereo singolo “Touché”. Tutte le tracce rimandano alla tradizione rock alternative, con un intenso piglio emozionale (“Make it”, “This was your bad”, “Head games”),

coinvolgente e non banale. E per contribuire all’aspetto visual – che dovrebbe già essere suggerito dalle atmosfere delle canzoni – allegato al disco c’è un DVD, che racchiude un cortometraggio composto da 10 videoclip, e diretto da Davide Fois. Non possiamo che fare loro i complimenti. Arianna Ascione

VIZA

“Carnivalia”

(Architects Of Melody Records)

★★★

Da quando li ho visti all’opera come supporter della data milanese di Serj Tankian (che è anche salito sul palco sotto mentite spoglie a cantare con loro) mi piace ribattezzare i Viza come i “Gogol Bordello metal”, grazie alle loro canzoni più aggressive rispetto alla gypsy punk band. Ma, nonostante le contaminazioni, l’immaginario circense e vaudeville resiste e, come nella produzione artistica del loro mentore, non mancano le classiche sonorità greco/ armene. Anche in “Carnivalia”, che è il loro quarto disco, uscito ormai da un anno. Protagonista assoluta di tutti i brani è la chitarra, elettrica e power (metal) nei riff e negli assoli, e acustica, come da perfetta tradizione folk. Arianna Ascione

MELODY’S ECHO CHAMBER

“Melody’s Echo Chamber” (Domino/Self)

★★★★

Ci sono dischi che incuriosiscono già dalla copertina e poi sorprendono anche una volta inseriti nello stereo. È proprio il caso del primo lavoro di Melody’s Echo Chamber, giovane fanciulla francese (vero nome: Melody Prochet) proveniente dalla quieta Provenza, che riesce a deliziarci con una serie di brani indie/pop capaci di illuminare e rendere meno triste l’attuale stagione. Chitarre che alternano momenti noisy ad altri più all’insegna dello space-rock, tastierine strambe e ritmica essenziale accompagnano la voce leggera, sognante e parecchio accattivante della cantante, creando piccole gemme come “I follow you”, “You won’t be missing that part of me”, “Bisou magique” e “Be proud of your kid”. Sublime. Daniel C. Marcoccia

ROCK/POP


METAL ANGRA

“Best reached horizons” (SPV/Audioglobe)

★★★

Un "best of" contenente un solo inedito - la cover discretamente riuscita di "Kashmir" dei Led Zeppelin - non sono esattamente un investimento azzeccato per spendere i propri euro: i fan degli Angra sono avvisati, chi ha già tutto (o quasi) della metal band brasiliana può serenamente passare a leggere la prossima recensione. Per il resto del mondo invece questo doppio CD può rappresentare un bel modo di conoscere il gruppo, magari non fondamentale per questi ultimi vent'anni di metal mondiale ma certamente interessante. In particolare il periodo con André Matos come singer (il CD #1 di questa

raccolta) ha lasciato in eredità brani vibranti, un ibrido power/ prog metal condito da influenze musicali della tradizione brasiliana che non sarà stato al livello dei maestri Dream Theater... ma che svetta di un paio di spanne sopra la media della scena. Di allora e di oggi. Luca Nobili

BAD BONES

"Snake and bones"

(Bagana Records/Audioglobe)

★★★

Cuneo come Los Angeles? Parrebbe di sì, ascoltando il terzo disco dei Bad Bones... il primo come quartetto, complice l’ingresso del cantante Max Bone nella band (che per inciso se la cava benissimo!). I cuneesi sono realmente un caso unico nel panorama metal italiano, una delle pochissime band che

recen ascoltandola non ha nulla, ma proprio nulla, da invidiare ai gruppi hard rock/street provenienti dalla città degli angeli. Guns N’ Roses, L.A. Guns, Faster Pussycat, Mötley Crüe: queste le coordinate musicali intorno a cui gravitano i nostri eroi, che non sfigurano sono pronto a giurarlo, anche sotto tortura - se messi a confronto con i mosti sacri dell’hard rock che fu. E diciamocelo, la cosa è quasi incredibile considerando che Max, Meku, Steve e Lele sono nati e cresciuti nel “bel paese” e non sotto il sole californiano. Ci sono davvero canzoni che meriterebbe più di quello che forse avranno, “Gasoline rock”, “Snake & bones” e “Follow the rain” qualche anno fa negli USA sarebbero finite in classifica senza passare dal via. Oggi, realisticamente, così non sarà, ma credo che i Bad Bones si toglieranno grandissime soddisfazioni. In Italia e all’estero. Luca Nobili

CIEMENTIFICIO “Marcia marcia” (Dysfunction Records)

★★★

SAXON

“Heavy metal thunder - The movie” (UDR Music/Audioglobe)

★★★★

Più di 40 anni di onorata carriera, 19 album all’attivo (il ventesimo è previsto nel 2013) e una vita passata sui palchi di mezzo mondo: la storia dei Saxon meritava ampiamente di essere documentata su pellicola. È cosa fatta con “Heavy metal thunder”, il film pubblicato inizialmente nel Regno Unito in edizione limitata “solo per fan” e finalmente disponibile anche nel resto dell’Europa. Gli esordi e l’evoluzione artistica di questi alfieri della New Wave Of British Heavy Metal vengono raccontati dagli stessi protagonisti, con la partecipazione di colleghi (Motörhead), manager e fan (Lars Ulrich dei Metallica). “Heavy metal thunder” è un lungo viaggio, iniziato nel South Yorkshire, che racconta le vicissitudini di questa band dalle origini operaie (il carismatico cantante Biff Byford ha lavorato in mineira) capace di conquistare il mondo con dischi quali “Wheels of steel”, “Denim and leather” e “Innocence is no excuse”. Tanti aneddoti, tanti ricordi e l’amore infinito per l’heavy metal e i propri fan.Il secondo DVD racchiude invece concerti (al Beat Club nel 1981 e al Shepherd’s Bush Empire di quattro anni fa), mini documentari e altro materiale da archivio. Un bel regalo per i tanti fan di questa banda di grossi bevitori di… tè. Daniel C. Marcoccia

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Prendete il thrash della Bay Area e rendetelo ancor più cafone e irriverente di quanto lo sia già di natura, aggiungeteci poi una buona dose di umorismo ed eccoci quindi a “Marcia marcia” dei pescaresi Ciementificio. Che dire di questo lavoro? Semplicemente geniale in tutta la sua goliardia, suonato con la giusta dose di passione e forte di testi che solo menti malate possono tirare fuori. Qualche esempio? Leggetevi il testo di “I love you thrash metal” o di “Tronista sei il primo della lista” e capirete ben presto di cosa stiamo parlando. Sorrisi e buona musica, due elementi che non si trovavano a braccetto da anni in campo metal e che oggi finalmente si sono riuniti. Bravi ragazzi! Giorgio Basso

NIGHTWISH

"Imaginaerum - The score” (Nuclear Blast/Warner)

★★★★

“Imaginaerum” è il titolo dell’album dei Nightwish uscito lo scorso anno. Ma è anche quello di un film del genere fantastico ispirato al suddetto disco e in uscita nelle sale cinematografiche a fine

anno. Ma attenzione, con il sottotitolo “The score” si intende la colonna sonora di tale film, ad opera (ma dai?) dei Nightwish in collaborazione con il flautista finlandese Petri Alanko. Confusi? Anche io, ma a parte la quantità di materiale che il concept “Imaginaerum” ha prodotto, è spiazzante per il rocker medio questo “The score” in sé e per sé: non un normale ennesimo album dei symphonic-metallers Nightwish ma una colonna sonora di quelle vere! Musica da film nel più stretto senso del termine e non una compilation di canzoni che finiscono a fare da soundtrack per marketing discografico. Consideratevi avvisati: affrontare l’ascolto di un album del genere presuppone amiate la musica sinfonica come e quanto il rock&roll, abbiate grande passione per il cinema e per le colonne sonore che lo accompagnano e vi sciogliate ascoltando un lavoro di Morricone o Badalamenti. Se così è, l’ascolto di “Imaginaerum - The score” sarà un’esperienza assolutamente entusiasmante. In caso contrario passate ad altro senza remore. Luca Nobili

TESLA

"Twisted wires & the acoustic a sessions..." (Scarlet)

★★★

Non molti oggi se lo ricordano, ma furono proprio i Tesla con il bellissimo album “Five man acoustical jam” che nel lontano 1990 furono tra i “colpevoli” della moda del live acoustico... su cui poco dopo MTV si buttò a pesce. La band americana, evidentemente, ama ripetersi visto che dopo diversi anni si riaffaccia sul mercato proprio con un nuovo disco acustico. In questo frangente non registrato dal vivo ma in due diversi momenti in studio (alcune tracce nel 2011, altre nel 2005 con il chitarrista originario Tommy Skeoch), “Twisted wires & the acoustic a sessions...” ripropone numerosi classici della band reinterpretati in chiave acustica, saggiamente scelti evitando i pezzi che vent’anni fa’ finirono su “Five man...”. Complice anche due ottimi inediti, il disco è indubbiamente azzeccato, piacevole e suonato divinamente come solo le band degli scorsi decenni ora sono in grado di fare. Rock’n’roll di quello buono, americano e orecchiabile, per un album che è dannatamente facile da ascoltare e da amare. Luca Nobili


nsioni

PUNK/HC tracce presenti si passa da episodi pop-punk ad altri dal mood decisamente più heavy), permettendo così di apprezzare il buon lavoro svolto sia in fase di songwriting che lirico. I tempi d’oro dell’hardcore melodico sono ormai lontani, ma sicuramente questi Foolish Wives sanno il fatto loro. Giorgio Basso

FRANK TURNER

“Last minutes and lost evenings”

★★★★

(Epitaph)

Dopo essere stato eletto “principe del popolo della poesia punk” dagli autorevoli colleghi di NME, dopo aver conquistato il pubblico inglese prima ed europeo poi, dopo aver sublimato il suo successo in patria con un indimenticabile live da headliner alla Wembley Arena lo scorso aprile, per Frank Turner è arrivato il momento di sbarcare in America! Ecco i motivi per cui ci ritroviamo tra le mani questo “Last minutes e lost evenings”: celebrare quello che finora è stato il culmine della carriera del cantautore inglese e allo stesso tempo facilitare il suo ingresso ufficiale nel mercato statunitense. Il CD racchiude 15 tracce scelte personalmente da Frank, tra cavalli di battaglia e qualche rarità, ed è sicuramente l’ideale per chi ancora non ha avuto modo di apprezzare i suoi quattro bellissimi album. Il DVD, invece, è il documento della notte da ricordare di cui sopra, nonché un modo infallibile per provare il suo valore in termini di performance dal vivo. Se ci avete dato retta e siete già dei suoi fan, la parte interessante per voi sarà ovviamente il dvd dal vivo, che vi assicuriamo essere stato realizzato con particolare cura. Se, invece, i vostri rapporti con il mondo di Frank Turner sono ancora ad un livello superficiale, o peggio ancora del tutto inesistenti, questo potrebbe essere un ottimo modo per innamorarsi della sua musica e delle sue parole. Stefano Russo

GREEN DAY “¡Dos!”

(Reprise/Warner)

★★★

Nonostante i piani dei Green Day siano stati scombussolati dal “rehabgate” di Billie Joe Armstrong, eccoci giunti al secondo capitolo di questa discussa trilogia. “¡Dos!”, come da premesse, rappresenta una sterzata rispetto alle sonorita poppunk/powerpop di “¡Uno!” e si presenta con chitarre garage molto sporche alternate a riff di stampo puramente fifties. Il fatto che assomigli molto ad un ipotetico secondo album dei Foxboro Hot Tubs era già cosa nota e, difatti, non stupisce. A stupire, invece, è il fatto che, eccezion fatta per le due o tre mosche bianche, ad essere più incisivi nell’economia del disco siano i brani più ruvidi, quelli che puzzano più di Stooges che non di “Happy days”, mentre al contrario gli episodi più rocknrolleggianti si rivelano in fin dei conti esserne gli anelli deboli. Canzoni come il singolo “Stray heart”, oppure la più-che-esplicita “Fuck time”, risultano divertenti ma anche un po’

trite e banalotte per una band il cui songwriting è sempre stato ampiamente sopra la media. Questa volta a fare la differenza sono i brani più “down and dirty“ come la meravigliosa “Ashley”, “Lady cobra” o “Makeout party”, ma anche la british-oriented “Lazy Bones” e la particolarissima “Amy”. Per farvela breve: pezzi riusciti solo a metà (o non riusciti del tutto, come la semi-incomprensibile e inutile “Nightlife”) ce ne sono, ma quelli riusciti valgono da soli tutto il disco. Stefano Russo

CANCER

“The weight of the world” (This Is Core Music)

★★★

Segnatevi questo nome, perché questi tre ragazzi della Svizzera tedesca hanno le carte in regola per diventare qualcuno all’interno della vasta scena punk europea. No, non per il fatto che Mike Herrera li abbia scelti per il suo progetto MxPx All Stars: quella, semplicemente, è solo una delle conseguenze del fatto che i Cancer abbiano del talento, e per di più

RAGGI ULTRAVIOLENTI “È tutto un fake” (Autoproduzione)

★★★

all’interno di un genere che poco perdona alle carenze in termini di songwriting. Riguardo a questo EP, siamo certi piacerà a tutti i fan del sound tipico della band di Bremerton di cui sopra. Per il resto, non rimane che attendere di essere confermati o smentiti dal prossimo lavoro sulla lunga distanza, previsto per un non meglio precisato periodo del 2013. Stefano Russo

FOOLISH WIVES

“Stay angry! Stay foolish!” (This Is Core Music)

★★★

Nati con l’intento di introdurre l’hardcore melodico in una scena - quella friulana - da sempre incline al punk-rock, i Foolish Wives si presentano con “Stay angry! Stay foolish!”. Un prodotto dal forte gusto californiano che come da tradizione - paga pegno ai mostri sacri del genere di casa Fat Wreck, mostrandosi ispirato e interessante di tanto in tanto. Piace la volontà della band di non focalizzarsi troppo su un determinato stile (nelle dodici

"Fake" è la parola d’ordine di “È tutto un fake” dei Raggi Ultraviolenti. A livello di tematiche non ci sono rivelazioni sorprendenti, al di là di una facile presa in giro della società già dal titolo (per questo non parlerei di vero e proprio "impegno"). La realtà che la band racconta, nonostante l’apparente spensieratezza, è essa stessa un "fake", e quasi si prende in giro da sola. I brani attraversano un po’ tutti gli ambiti sociali di questo scalcagnato Paese, tra veline, Parlamento, rabbia giovanile e previsioni Maya. Eppure la band risulta all’ascolto molto più reale di tante altre band dalla carriera ultraventennale, che propongono brani sulla stessa linea. Chi è allora il vero fake? Arianna Ascione

THE JIM JONES REVUE “The savage heart” (Pias/Self)

★★★

Terza prova sulla lunga distanza per i britannici The Jim Jones Revue, già beniamini della critica grazie all’ottimo “Burning your house down” del 2010. Rispetto ai due predecessori la ricetta non cambia: rock’n’roll, nel senso letterale ed originario del termine, e una marcatissima vena garage, il tutto sottolineato da una registrazione che senza dubbio non è stata contaminata dai magheggi tecnologici della nostra era. Se proprio vogliamo trovare una piccola differenza nel sound di questo nuovo lavoro, allora vale la pena sottolineare come il pianoforte di Henri Herbert, nuovo innesto della formazione, accentui ancora di più l’influenza del Jerry Lee Lewis di turno. Sporco, energico, stiloso, divertente. In una parola: rock’n’roll. Stefano Russo

RockNow 57


N A I L TI A SKATE P U C

THE LINE

In collaborazione con Extreme Playlist

Ogni anno, come di rito, per il weekend dei morti si svolge a Modena lo "Skipass", il salone del turismo e sport invernali, della durata di 4 giorni. Noi, ovviamente, c’eravamo!

Testo di Markino - Foto Federico Romanello

L

a fiera prevede quotidianamente eventi action sport e dato che durante la giornata della finale di snowboard ero impegnato, sono riuscito ad andarci solo l’ultimo giorno così da poter assistere a quella di skate di "The Italian Street Cup" supportata da Vans. Erano presenti parecchi spettatori e skaters al contest che si sviluppava in tre strutture, con un montepremi suddiviso per ognuna di queste per un totale di 3000 euro. Il rumore degli skate era supportato dal sound rock’n’roll di Machete e dalla voce inconfondibile del Gros! Io ho assistito alla finale della struttura più difficile: la "stairset", una scalinata composta da due muretti laterali e un passamano centrale. Si è aggiudicato la vittoria il milanese Jacopo Carozzi, seguito dal francese Timotej Lampe Ignjic e da Filippo Baronello. Sul "bumb to bumb" ha vinto invece Fabio Montagne mentre la gara di "manual" se l’è aggiudicata Andrea Colzani. Il francese Timotej, oltre a portarsi a casa il secondo posto sulla "stairset", è arrivato secondo anche per la gara di "manual" e si è portato a casa il premio "best overall". Subito dopo le premiazioni mi sono diretto verso l'area esterna della fiera dove era in azione lo show della Daboot! Erano presenti un po’ di amateur del team di FMX con i veterani del gruppo: Massimo Bianconcini, Vanni Oddera e l’amico Carlo Caresana (guest nella scorsa stagione ad Extreme Playlist, nda). Ospite dello show la medaglia d’oro agli Winter Xgames del 2010: Justin Hoyer, che con la sua motoslitta ci ha emozionati dal vivo con un backflip girato perfettamente! Altro show che ha fatto parlare allo Skipass è stato il "Nissan stomp it" che ha visto vincitore il canadese Max Parrot! Nulla da fare per i rider di casa nostra: Simon Guber, Kevin Kok, Marco Grigis e Manuel Pietropoli che purtroppo, sebbene abbiano sfoderato dei trick d’eccellenza, non sono riusciti a qualificarsi sul kicker. Oltre a questi show nella fiera mi ha molto colpito vedere quanta gente si soffermava a provare la slakline e l’indoboard, altre due varietà di extreme sport...

58 RockNow


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THE LINE

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Extreme Playlist

Ogni mercoledì, su rocknrollradio.it dalle 19 alle 21, Markino e Fumaz ci raccontano cosa succede nel mondo degli action sport attraverso le parole e i gusti musicali dei suoi protagonisti. Stay tuned!!!

XXXIII SUPERBOWL SUPERCROSS 2012

Foto Nicolò Mattaliano

Testo Markino - Foto Arianna Carotta Sabato 3 novembre, nel capoluogo ligure, si udivano le onde del mare e... un gran ruggito che proveniva dal palazzetto dello sport: era il rumore delle moto che partecipavano al "Superbowl Supercross", l'evento indoor di motocross organizzato da Monster Energy! Appena arrivato al palazzetto, ho preso posto tra i 9.000 appassionati e mi son goduto le semifinali e le finali! La "SX1" l'ha vinta l’americano Justin Brayton su Yamaha mentre la "SX2" è andata al francese Valentin Teillet. Nella categoria "SX2", si è aggiudicato il terzo posto l'italiano Samuele Bernardini! Tra una gara e l'altra, ho assistito anche a due show di freestyle motocross dove gli italiani Massimo Bianconcini e Vanni Oddera, e il norvegese Andrè Villa si sono sfidati su un unico jump a suon di tricks. Tramite l'applausometro del pubblico, la vittoria è stata assegnata a Villa, che grazie a un "backflip cliffhanger" si è portato a casa una bella targhetta. Questo è un evento molto ambito per i più appassionati e da vedere almeno una volta nella vita per coloro che sono curiosi di questo extreme sport!

RockNow 61


FLIGHT CASE

Un disco, un tour, un disco, un tour… Questa è più o meno la routine per molti degli artisti che avete incontrato nelle pagine precedenti. Ed è proprio ai concerti che è dedicata questa rubrica, con tuttavia una piccola differenza: questa volta vi portiamo dietro il palco alla scoperta di piccoli rituali e abitudini varie.

mike hranica & chris rubey (THE DEVIL WEARS PRADA)

Di Daniel C. Marcoccia - Foto Emanuela Giurano Qual è stato finora il concerto più bello che avete fatto e perché? Mike Hranica (voce): In ogni tour c’è sempre stato un momento particolarmente bello per una serie di motivi. Non è facile sceglierne uno in particolare. Avere l’onore di partecipare al Download Festival rimarrà comunque per molto tempo uno dei nostri ricordi più belli. Chris Rubey (chitarra): il Download lo ricorderò anche per come eravamo tesi all’idea di suonare lì (ride). Sì, è un bel ricordo, come lo sono in genere tutte le “prime volte”: il primo concerto, la prima volta che suoni all’estero o che suoni prima di una band che ti piace. Il concerto peggiore? M.H.: Mmh, il primo concerto del tour di supporto ai Killswitch Engage, alla House Of Blues di Boston. Non è mai facile iniziare un tour, puoi provare giorni e giorni e pensare di essere pronto ma non è mai così. Il posto più bello in cui avete suonato? C.R.: In Uruguay, in Nuova Zelanda, in Australia, in Giappone… A dire il vero non dipende dal posto ma piuttosto dall’impatto con una cultura differente. È affascinante, soprattutto nel caso del Sudamerica e del Giappone.

62 RockNow

Qual è il pubblico più strano che avete incontrato? M.H.: In Sudamerica, senza esitare. Sembravamo una fottuta boy band per come la gente ci ha accolto. Vanno completamente fuori di testa. Era una cosa veramente surreale e alla quale non siamo abituati. Cosa non dimenticate mai di portare con voi in tour? C.R.: Fondamentalmente il mio laptop e i miei videogiochi. Mike ha sicuramente cose meno banali… M.H.: Libri, tanti libri. Leggo molto e quindi ne porto sempre un bel po’ in tour. Capita anche di comprarli in giro. Come passate il tempo tra una data e l’altra? C.R.: Generalmente dormiamo perché sono spesso viaggi notturni tra una data e l’altra. Altrimenti beviamo e guardiamo film. Cose normali. Cosa non deve mai mancare nel vostro camerino? Avete richieste particolari? M.H.: Red Bull e energy drink in generale. C.R.: Niente di particolare o strano, vogliamo solo avere la possibilità di farci qualche sandwich col burro di arachidi se abbiamo fame. Altrimenti patatine e cose simili.

Avete delle regole da rispettare sul tour bus? M.H.: Direi delle regole tacite ma universali, fondamentalmente non comportarti da stronzo. C.R.: Fai attenzione alle cose e rispetta gli altri che viaggiano con te. C’è una cover che vi piace suonare durante il soundcheck? C.R.: In questo tour non facciamo soundcheck, visto che non siamo headliner (aprono per gli August Burns Red, nda), ma solitamente non suoniamo mai cover. M.H.: Facciamo sempre i nostri pezzi. Siamo super noiosi (ride). Avete un rito particolare prima di salire sul palco? C.R.: Ci abbracciamo in cerchio e Mike dice una veloce preghiera per tutti quanti. Qual è la figuraccia peggiore che avete fatto dal vivo? M.H.: È successo al Mayhem festival, dove suonavamo prima di Motörhead, Slayer e Slipknot: Andy, il nostro bassista, è scivolato sul palco durante il nostro concerto. È ovviamente finito su Youtube. www.tdwpband.com


OUT

NOW

www.bnow.it



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