RockNow #7

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107% MUSICA IN LIBERTÀ

Mensile - Anno 2 - Febbraio 2013

#7

Bad Religion - Converge Hatebreed - Vanilla Sky Rhyme - The Menzingers

LINEA 77 Evoluzione 2.0

Royal Republic – Free Fall – DragonForce – Veracrash - What A Funk – Evenoire – Filth In My Garage


Mensile - Anno 2 - Febbraio 2013

#7

107% PUNK ATTITUDE

BAD RELIGION Giù al nord

Linea 77 - Converge - Hatebreed - Vanilla Sky Rhyme - The Menzingers

Royal Republic – Free Fall – DragonForce – Veracrash - What A Funk – Evenoire – Filth In My Garage


107% LOVE & HARDCORE

Mensile - Anno 2 - Febbraio 2013

#7

Linea 77 Bad Religion Hatebreed Vanilla Sky Rhyme The Menzingers

CONVERGE Rabbia e amore

Royal Republic – Free Fall – DragonForce – Veracrash - What A Funk – Evenoire – Filth In My Garage



EDITO

Ci sono dei gruppi con i quali si instaura un rapporto particolare nel corso degli anni e per vari motivi. A parte le ovvie questioni di gusti musicali, spesso entrano in gioco anche delle affinità caratteriali e il fatto di aver vissuto delle esperienze simili, magari in un ben preciso periodo. Con i Linea 77 è un po’ tutto questo. Con Rock Sound, eravamo stati tra i primi ad accorgerci di loro e sicuramente i primi a metterli in copertina (anche più di una volta). La band torinese, tra l’altro, si è sempre dimostrata riconoscente per questo e lo ha spesso sottolineato in giro (anche recentemente con il brano “Un uomo in meno” in streaming sul nostro sito). In un ambiente in cui tutto sembra dovuto, non è cosa da poco. Con i Linea 77 ci siamo conosciuti nel momento giusto, quando loro iniziavano e la già citata rivista faceva la sua apparizione nelle edicole italiane. Il linguaggio musicale era lo stesso e questo ha facilitato sicuramente l’incontro. Ho sempre apprezzato il percorso di questi ragazzi, la loro voglia di osare che li ha portati a collaborare con i Subsonica prima, con Tiziano Ferro dopo e con gli LN Ripley ora (ascoltate “La caduta” e ditemi se non è un brano coraggioso…). Ricordo tante chiacchierate, molti concerti davanti a un pubblico sempre più numeroso, una trasferta a Los Angeles ai tempi di “Available for propaganda” e molti altri momenti che vengono spesso rievocati a ogni incontro. Devo ammettere che per un attimo, in questi ultimi mesi, ho temuto anche per la sorte del gruppo. Soprattutto quando è stata annunciata la separazione da Emiliano (Ciao Emi, spero col cuore di rivederti presto con un progetto nuovo). La mia paura era che si fosse irrimediabilmente inceppato qualcosa nell’equilibrio della band. Ma è durata davvero un attimo, è bastato infatti ascoltare una sola volta “Il veleno” per capire che i Linea 77 non sono affatto finiti ma al contrario in grandissima forma. E dopo l’intervista - che leggerete più avanti - e lo showcase di presentazione di “La speranza è una trappola (Pt. 1)”, li ho trovati addirittura rigenerati. La cosa, ovviamente, non può che farci piacere. Prima di lasciarvi alla lettura di questo nuovo numero di RockNow, vi ricordo che la rivista uscirà ormai sempre a inizio mese. Come quelle “serie” che trovate in edicola, solo che noi continuiamo a viaggiare online. Keep on rockin’!!! Daniel C. Marcoccia dan@rocknow.it

Foto Claudine Strummer

Walk the line!!!

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ROCKNOW #7 - Febbraio 2013 - www.rocknow.it

06-21 PRIMO PIANO

Best of 2012 lettori Free Fall All in the name of… Rock Dischi violenti: Royal Republic Evenoire Klogr - ASIWYFA Filth In My Garage What A Funk Veracrash Local hero: Ricky’s Pub Hi-Tech Games Crazy… net Open Store

22-51 ARTICOLI

22-27 Linea 77

www.rocknow.it Registrazione al Tribunale di Milano n. 253 del 08/06/2012

Scrivi a: redazione@rocknow.it DIRETTORE Daniel C. Marcoccia dan@rocknow.it ART DIRECTOR Stefania Gabellini stefi@rocknow.it COORDINAMENTO REDAZIONALE ONLINE EDITOR Michele “Mike” Zonelli mike@rocknow.it

28-33 Bad Religion

34-37 Converge

COMITATO DI REDAZIONE Marco De Crescenzo Stefania Gabellini COMUNICAZIONE / PROMOZIONE Valentina Generali vale@rocknow.it

38-40 Hatebreed

50-51 The Menzingers

42-44 Vanilla Sky

46-48 Rhyme

COLLABORATORI Andrea Ardovini Arianna Ascione Giorgio Basso Andrea Cantelli Nico D’Aversa Sharon Debussy Alex De Meo Luca Nobili Amalia "Maya" Noto Eros Pasi Andrea Rock Stefano Russo Piero Ruffolo Extreme Playlist FOTOGRAFI Arianna Carotta Emanuela Giurano Claudine Strummer Foto copertina: Claudine Strummer (Linea 77)

SPIRITUAL GUIDANCE Paul Gray

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52-57 RECENSIONI

Editore: Gabellini - Marcoccia Via Vanvitelli, 49 - 20129 Milano

Disco del mese: The Bronx Nu rock Pop/Rock Metal/Punk

58-61 The Line 62 Flight case: DragonForce

44RockNow RockNow

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TOP252012DEILETTORIDI

ROCKNOW

HOT WATER MUSIC

HOT WATER MUSIC “Exister” STONE SOUR “House of gold and bones pt.1” GREEN DAY “¡Uno!” THE GASLIGHT ANTHEM “Handwritten” ALL TIME LOW “Don’t panic” PARKWAY DRIVE “Atlas” CONVERGE “All we love we leave behind” DEFTONES “Koi no yokan” LACUNA COIL “Dark adrenaline” THE MENZINGERS “On the impossible past” ARCHITECTS “Daybreaker” PROPAGANDHI “Failed states” PAPA ROACH “The connection” BILLY TALENT “Dead silence” PENNYWISE “All or nothing” GREEN DAY “¡Dos!” MUMFORD&SONS “Babel” SUCH GOLD “Misadventures” SHINEDOWN “Amaryllis” NOFX “Self Entitled” OFFSPRING “Days go by” TREMONTI “All I was” MARILYN MANSON “Born villain” SLASH “Apocalyptic love” THE HIVES “Lex Hives”

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TOP 10 ITALIANI LACUNA COIL “Dark Adrenaline” PUNKREAS “Noblesse oblige” STRENGTH APPROACH “With or without you” RHYME “The seed and the sewage” THE FIRE “Supernova” FILIPPO DALLINFERNO “Filippo Dallinferno” MEGANOIDI “Welcome in disagio” EXILIA “Decode” FINLEY “Fuoco e fiamme” PINO SCOTTO “Codici kappaò”


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PRIMO PIANO

FREE FALL A tutto volume

“Power & volume”, una impegnativa dichiarazione di intenti per una nuova interessante realtà del rock svedese, i Free Fall. Abbiamo fatto due chiacchiere con il chitarrista e leader della band Mattias Bärjed. Di Luca Nobili

Ora i Free Fall sono la mia unica band; con i Soundtrack Of Our Lives ci siamo sciolti di recente, il nostro concerto di commiato ha avuto luogo poco prima dello scorso Natale e ora sono concentrato esclusivamente su questo progetto”. Il chitarrista Mattias Bärjed sembra decisamente entusiasta della sua nuova avventura, come d’altronde la Nuclear Blast che sta puntando molto su questo nuovo quartetto svedese che suona un hard rock decisamente seventies e coinvolgente. “Il logo della band, la copertina dell’album (confesso che ci siamo ispirati parecchio a quella di ‘Exodus’ di Bob Marley),

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le canzoni… la nostra intenzione è quella di essere sempre diretti e semplici, senza inutili fronzoli. Anche quando mi sono messo a pensare al nome per la band volevo qualcosa di facilmente riconoscibile e poco complicato. Inizialmente la mia idea era di scegliere ‘Free Four’, sia perché è il titolo di una canzone dei Pink Floyd che amo, sia perché i Free sono una delle mie band preferite in assoluto. Ne stavo discutendo con un amico che se ne è uscito con la versione modificata ‘Free Fall’; ho convenuto con lui che era un moniker migliore di quello che avevo in mente io”. La lista di ottime hard rock ed heavy metal band provenienti dalla Svezia è sempre più lunga, tanto che viene

da chiedersi quale sia il segreto di una scena così prolifica in un Paese relativamente piccolo come quello scandinavo. “È una domanda che mi hanno fatto in molti e a cui non sono sicuro di saper rispondere”, prova a spiegarci Mattias, “per prima cosa, considera che fin dagli anni ’60 tutte le grandi band americane e inglesi hanno fatto tappa in Svezia nei loro tour, immagino perché siamo storicamente un mercato molto ricettivo per la musica rock anglosassone; questo ha certamente aiutato per la diffusione di una certa cultura nel mio paese. Inoltre, credo ci sia anche un motivo linguistico che ci facilita rispetto ad altri Paesi: in Svezia cominci a studiare l’inglese

fin dalle elementari e i film non vengono mai doppiati, sei obbligato a vederli in lingua originale ed è un esercizio importante per imparare una lingua straniera”. La musica della band è decisamente perfetta per la dimensione live, naturale quindi chiedere a Mattias quali sono i loro piani per portare in giro per il mondo le canzoni di “Power & volume”: “Per ora abbiamo in programma delle date in Scandinavia, alcune delle quali insieme ai Graveyard. Speriamo di riuscire a organizzarne alcune anche da voi in Italia, personalmente ci ho suonato cinque volte ai tempi dei T.S.O.O.L. e mi piacerebbe molto tornare”. www.facebook.com/freefallpowerandvolume


An Acoustic Evening With

SPECIAL GUEST: ZICO CHAIN MER. 27/02 > TREZZO SULL’ADDA (MI) - LIVE CLUB GIO. 28/02 > CIAMPINO (RM) - ORION steveharrisbritishlion.com

IAN HUNTER

MAR. 05/03 TRIESTE TEATRO MIELA MER. 06/03 VICENZA CLUB RETRO’ GIO. 07/03 COLOGNE BRESCIANO (BS) CINETEATRO PARROCCHIALE ianhunter.com

SOUTHSIDE JOHNNY & THE ASBURY JUKES UNICA DATA ITALIANA

southsidejohnny.com

DOM. 05/05 > MILANO - OFFICINE CREATIVE ANSALDO

JOE SATRIANI

WORLD TOUR 2013

DOM. 26/05 RIMINI - VELVET ROCK CLUB MAR. 28/05 NAPOLI - PALAPARTENOPE MER. 29/05 ROMA - ATLANTICO LIVE GIO. 30/05 TREZZO SULL’ADDA(MI) LIVE CLUB VEN. 31/05 FIRENEZE - OBIHALL SAB. 01/06 PADOVA GRAN TEATRO GEOX satriani.com

LUN. 17/06 CODROIPO (UD) VILLA MANIN MAR. 18/06 MILANO MEDIOLANUM FORUM kissonline.com

The Wörld is Yours imotorhead.com

TOUR 2013

VEN. 19/07 > VIGEVANO (PV) - CASTELLO SFORZESCO 10 GIORNI SUONATI

VE N. 10/05 > CORTEMAGGIORE (PC) - FILLMORE SAB. 11/05 > TREZZO SULL’ADDA (MI) - LIVE CLUB DOM. 12/05 > PADOVA - GRAN TEATRO GEOX

uriah-heep.com

brucespringsteen.net

GIO 23/05 > NAPOLI - PIAZZA DEL PLEBISCITO VEN. 31/05 > PADOVA - STADIO EUGANEO LUN. 03/06 > MILANO - SAN SIRO GIO. 11/07 > ROMA - IPPODROMO DELLE CAPANNELLE

GEORGE THOROGOOD AND THE DESTROYERS UNICA DATA ITALIANA georgethorogood.com

MAR. 09/07 > VIGEVANO (PV) - CASTELLO SFORZESCO 10 GIORNI SUONATI

deep-purple.com

DOM. 21/07 > VIGEVANO (PV) - CASTELLO SFORZESCO 10 GIORNI SUONATI LUN. 22/07 > ROMA - ROCK IN ROMA MER. 24/07/2013 > MAJANO (UD) - PIAZZA ITALIA

I N F O : 0 2 . 6 8 8 4 0 8 4 - B A R L E YA R T S . C O M - F A C E B O O K . C O M / B A R L E YA R T S P R O M O T I O N


PRIMO PIANO

Lafayette

NOME: ncia) Parigi (Fra : A Z N IE N rançois PROVE ot (voce), F ri o L e li a ath a), LINE UP: N lon (chitarr il P g re G a) ), itarra dot (batteri a C e Bonnet (ch in to n ), A din (basso tone/ Franck He ills” (Bad S p e it h w ie uz DISCO: “S ) Sony, 2012 ’s ck, soul 70 ro Stone : E R E N GE ens Of The e u Q , s y ra E: Bell INFLUENZ k Anansie ge Age, Skun yette.fanpa fa a /l m o .c k oo www.faceb

Selica

NOME: 
 ZA: Pesaro N IE e), Marco N E V O PR ), uario (voc n Ia to s e rn cini (basso LINE UP: E itarra), Lorenzo Guc si (ch nzo Tomas re o L Tontardini ), re e ini (tasti Mirco Vanz ero” (batteria) umber is z n r u o Y “ I: DISCH ) dotto, 2012 over, experimental 
 ro p to u a P (E cross ne9 Nu metal, ol, Earthto o T GENERE: , w ja s s E: Gla d INFLUENZ /selica.ban m o .c k o o b www.face

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All in the name of A cura di Andrea Rock

C

rock

he cosa aspettarci dal 2013? In questo periodo dell'anno, conclusi i bilanci di quello passato, è legittimo concentrare la nostra attenzione verso quelli che saranno i prossimi 12 mesi. Se il 2012 era l'anno dell'incertezza economica, della crisi e delle super tasse... purtroppo il 2013 non sembra discostarsi troppo dal “trend”. Ma in questa sede non si parla né di politica, né di economia. Musicalmente, dal 2013 mi aspetto molto. Il mio regista in radio (Andrea “Bonsa” Bonsanto) è un semi-sensitivo e ha “ottimi presentimenti” relativi a “possibili sconvolgimenti ai vertici”. Io voglio intendere queste premonizioni in tal senso: mi piacerebbe assistere nel 2013 al crollo totale e definitivo di quelle aziende del settore musica (e soprattutto del settore rock) che, da troppi anni ormai, si trascinano senza mai proporre nulla di nuovo. Se è vero che il mercato della musica che amiamo è in crisi, attribuisco la maggior parte delle responsabilità a una cattiva gestione da parte di coloro che hanno il controllo del prodotto su scala nazionale: etichette discografiche, booking agency, televisioni... Nel 2012, ho assistito a un vero e proprio sperpero di denaro attorno a progetti che si sono rivelati fallimentari. Chi si trova ai vertici delle aziende dell'intrattenimento e del mercato musicale non ha idea di come affrontare questo momento storico, dove i budget sono limitati, certo, ma le idee e le risorse tecniche per realizzarle sono moltissime. Se a breve, come diceva Tracy Chapman, “the tables are starting to turn”, assisteremo a una vera “rivoluzione dei ruoli”, dove saranno finalmente i giovani a proporre qualcosa. È illogico pensare che coloro che gestivano “la macchina-musica” 20 anni fa possano essere oggi competitivi e propositivi nei confronti di generazioni troppo distanti dalla loro. Detto questo, mi avvio a un altra serata, dove metterò i dischi dopo le performance di 3 tribute band: Europe, Bon Jovi e Aerosmith. Massimo rispetto per queste grandi realtà... ma non è forse ora di aggiornarsi su tutta la linea?


DISCHI VIOLENTI UNICA DATA IN ITALIA 16/02 ROCK’N’ROLL ARENA (ROMAGNANO SESIA - NO)

JONAS ALMÉN & PER ANDREASSON (ROYAL REPUBLIC) Testo e foto Daniel C. Marcoccia

PRIMO DISCO COMPRATO:

Jonas Almén (basso, voce): Questa è facile, “Loud” dei Metallica. Per Andreasson (batteria, voce): Il mio primo CD... un regalo di Natale, se non sbaglio... Prima domanda e sono già in difficoltà, si trattava sicuramente di una band svedese, ma proprio non ricordo.

ULTIMO DISCO COMPRATO:

J.A.: Il primo album dei Graveyard, band di Göteborg. Sono incredibili, il loro stile è riconducibile a Led Zeppelin e Black Sabbath. Cercavo da tempo questo disco e lo consiglio vivamente. P.A.: Sono un grande fan di Spotify e non compro CD da molto. Adoro creare le mie playlist e solitamente colleziono singoli. Ascolto album completi solo se davvero interessato al progetto in questione. Il mio ultimo acquisto è “Brothers” dei Black Keys.

DISCO CHE HA CAMBIATO LA TUA VITA:

P.A.: “Sailing the seas of cheese” dei Primus, chi lo conosce sa di cosa sto parlando. J.A.: Suonerà come un cliché ma... Metallica “The black album”. P.A.: Anche i Beatles sono stati importanti per me. Mio padre era un grande fan e li ascoltava spesso. Da piccolo non capivo, crescendo ho iniziato a comprendere e apprezzare la loro musica. E, infine, ricordo con piacere la prima volta che ho ascoltato “Dookie” dei Green Day.

DISCO SOPRAVVALUTATO:

J.A.: “We are the Royal”... (ride). Seriamente,

“Chinese democracy” dei Guns N’ Roses. Non può essere in alcun modo paragonato ad “Appetite for destruction”. Capisco le pressioni: tornare con un nuovo disco dopo 15 anni non è semplice, soprattutto se ti chiami Guns N' Roses, ma proprio non condivido l'entusiasmo suscitato da questa produzione.

DISCO SOTTOVALUTATO:

P.A.: “Teenage dream” di Katy Perry... Non sto scherzando. Ci sono un sacco di canzoni ammiccanti, è vero, ma anche ottimi passaggi come “Circle the drain”. Sono convinto che lo stesso brano suonato e prodotto da una rock band avrebbe riscosso molto più successo.

DISCO “BOTTA DI VITA”:

J.A.: At The Gates “Slaughter of the soul”, per me una delle migliori realtà estreme al mondo. P.A.: Se parliamo di adrenalina, qualsiasi cosa dei Queens Of The Stone Age. Se, invece, parliamo di scaldarsi prima di uno show, dipende dal mood della giornata: posso passare da Robbie Williams ai Cannibal Corpse.

DISCO “LASSATIVO”:

P.A.: Bob Dylan, mi spiace per i fan ma proprio non lo reggo. J.A.: Mi è capitato di recente di ascoltare un disco così, ma era talmente noioso che non ricordo il titolo... P.A.: Ora mi farò odiare: l'ultimo dei Foo Fighters. Amo i Foo Fighters, considero “The colour and the shape” uno dei dischi migliori mai pubblicati, ma “Wasting light”... manca qualcosa, non sono loro.

ALBUM DA AVERE:

P.A.: Come appena detto, “The colour and the shape” dei Foo Fighters. J.A.: Tom Petty “Wildflowers”.

MIGLIOR DEBUTTO:

P.A.: Tocca a me, “We are the Royal”! E il primo disco dei Killers. J.A.: “Graveyard” dei Graveyard.

DISCO SUL QUALE AVRESTI VOLUTO SUONARE:

P.A.: Vi ho già parlato del mio amore per “The colour and the shape” dei Foo Fighters?!? J.A.: Sai cosa? Ti assecondo e “The colour and the shape” sia.

DISCO PER UNA NOTTE DI BAGORDI:

J.A.: “Haddaway” di Haddaway... “What is love, Baby, don't hurt me...” (cantano).

DISCO DEL GIORNO DOPO:

J.A.: Bon Iver “For Emma, forever ago” P.A.: Sul serio? J.A.: Provare per credere!

DISCO CHE TI VERGOGNI DI POSSEDERE:

J.A.: Nessuno, valuto attentamente i miei acquisti. P.A.: Lo stesso vale per me, vista poi la mia recente propensione per il digitale non ci metto molto a sbarazzarmi di ciò che non mi interessa. www.royalrepublic.net

RockNow 11


PRIMO PIANO

EVENOIRe il colore blu

Grandi e melanconiche atmosfere ci regalano in “Vitriol” i cremonesi Evenoire, un’altra band metal di casa nostra che non ci fa certamente sfigurare in confronto ai mostri sacri stranieri del genere. Di Luca Nobili

Non saprei davvero come definire lo stile Evenoire. Sicuramente prog e symphonic sono la nostra base, tratti folk ogni tanto, forse quella che ci piace meno è la troppo inflazionata etichetta gothic che non identifica bene il colore che vogliamo dare al nostro sound”. Così esordisce Marco Binotto, bassita degli Evenoire e nostro interlocutore insieme alla singer Lisy Stefanoni. La band ha pubblicato l’anno scorso “Vitriol” (esordio sulla lunga distanza, dopo l’EP “I will stay”) ricevendo ottimi riscontri sia dal pubblico metal che dalla stampa specializzata. Un disco apprezzato anche grazie all’ottima produzione

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che ne ha impreziosito il risultato finale. “La cosa che valorizza uno studio di registrazione è la capacità di chi registra e mixa, di capire ed esaltare la personalità dell’artista; non lavorare con troppi preset ma entrare in ciò che la band vuole esprimere e metterlo in risalto. Tutto questo l'abbiamo trovato al Dreamsound, ma credo che in Italia ci siano studi altrettanto qualificati. La scelta di andare a Monaco è stata dettata soprattutto dalla curiosità di fare un’esperienza fuori dall'Italia e dal curriculum di tutto rispetto dello studio: Jan Vacik e Mario Lochert, produttori del disco, hanno lavorato con nomi tra cui Kamelot, Graveworm, Visions of Atlantis, Edenbridge, Evergrey e Serenity”. Un ottimo

sound e anche un immagine di impatto, grazie a un artwork curato che ben si adatta alle atmosfere “sognanti” del disco... “Il colore blu è il colore dell'acqua dei mari, dei fiumi, dei laghi, è l'elemento fondamentale per la nostra vita e si presenta in tutti i nostri brani come ambientazione delle leggende che narriamo. Il bonsai è simbolo di vita, lo sfondo nebbioso e grigio lo fa risaltare, come l'emblema di una rinascita: sintesi perfetta del concetto alchemico racchiuso nell’acronimo V.I.T.R.I.O.L., una sorta di discesa nel nostro io per attuare una profonda ricerca interiore”. La band è originaria di Cremona ed è indubbia l’influenza padana nelle atmosfere malinconiche che trasudano da

tutte le tracce di “Vitriol” e come testimonia la stessa Lisy: “Mi piace andare a scovare leggende e storie particolari legate ai nostri territori o a luoghi che mi hanno colpito e che amo. Sono i laghi che più di tutti mi ispirano, sedermi sulle loro rive mi dà un senso di tranquillità e benessere. In ‘Vitriol’ c’è un brano incentrato su una leggenda legata al lago d’Iseo, un altro che si basa sulla nascita di un lago dolomitico a 2200 metri, e una canzone, ‘Days of the blackbird’, che si riferisce alla tradizione padana dei ‘giorni della merla’: gli ultimi 3 giorni di gennaio, considerati i più freddi dell’anno, che hanno originato un ricco folklore legato ai fiumi Adda e Po”. www.evenoire.it


KLOGR

Avevamo già parlato della band emiliana sul primo numero di RockNow, ma l’uscita di un nuovo EP è un buon motivo per scambiare nuovamente quattro chiacchiere con il loro frontman. Di Daniel C. Marcoccia

R

iprendendo grafica e in parte il titolo dell’album “Till you decay”, l’EP "Till you turn” sembra voler fare da ponte verso i Klogr che verranno, come ci conferma in effetti Rusty: “Assolutamente. C'è un filo conduttore anche nelle tematiche.
Se l’album denunciava quanto il ‘sistema’ possa condizionare la psiche dell'uomo,
’Till you turn' inizia a dare segni di reazione per non subire più questo meccanismo. Credo ci sia la voglia di reagire”. I 4 brani inediti vedono la produzione suddivisa tra Olly dei Fire e la Dysfunction. Due approcci diversi ma che potrebbero assieme tracciare le linee direttive del suono dei Klogr di domani? “Le due produzioni sono diverse ma a legarle è la scrittura dei brani. Anche se gli approcci sono stati differenti, il carattere e la filosofia del progetto non è mai stato tradito.
I Klogr di domani credo che saranno la fusione di queste 3 esperienze produttive, 'Till you decay', interamente prodotto da me, e 'Till

you turn' con le due diverse produzioni. Non escludo che il prossimo disco possa essere prodotto da tutte queste realtà”. I primi due brani dell’EP vedono il coinvolgimento dei Timecut. Una scelta del tutto particolare: “Ormai i Timecut sono entrati a far parte del progetto al 100%.
Subito dopo la promozione di 'Till you decay' i precedenti componenti della band sono tornati a lavorare ai loro rispettivi progetti.
Io ero l'unico che aveva come priorità i Klogr. I Timecut sono un trio già affiatato e con un carattere ben definito.
Rimarranno comunque sempre due progetti separati che vivranno di vita propria.
Quindi posso anticiparti che la formazione del prossimo disco rimarrà questa e che la scrittura, come tutti i lavori dei Klogr, verrà fatta buttando sul piatto ognuno la sua idea! Credo che sia questo a creare il suono di una band a differenza di un progetto solista”. www.klogr.net

And So I Watch You From Afar

Uno dei gruppi col nome più lungo in circolazione, And So I Watch You From Afar sono attivi addirittura dal 2005, ma in Italia davvero in pochi li conoscono. La band di Belfast, apprezzatissima dalla critica di Regno Unito e Irlanda, sta per pubblicare il proprio terzo full length ufficiale. di Alex de Meo

Non prendiamoci per il culo: And So I Watch You From Afar non hanno né un nome che fa presa sui “giovani” né diventeranno mai le new sensation di MTV (o qualsiasi rete musicale che ancora passa effettivamente musica). Perché? Perché sono decisamente brutti e perché fanno musica strumentale. Non preoccupatevi però: non fanno un genere “cervellotico” da invasati dell'indie, ma suonano gli strumenti come se dovessero dargli fuoco a ogni accordo o colpo di rullante. Quello che stupisce di questo gruppo è il loro modo di lavorare, scrivendo incessantemente: “Non facciamo mai le prove nel vero senso della parola: giusto qualche volta prima di un concerto o di un tour. Questo perché ogni volta che ci troviamo in sala prove finiamo a scrivere materiale nuovo: sembra inevitabile ormai”. La band, capitanata dal carismatico chitarrista Rory Friers, ha girato tutta l'Europa e il Nord America (con tappa all'immancabile SXSW in Texas), ma è ad

est, soprattutto in Russia, che sembra aver trovato il maggior consenso: “La gente lì è fuori di testa. C'è tantissimo in comune tra gli irlandesi e i russi, soprattutto quando si tratta di bere: l'unica differenza è che loro parlano inglese meglio di noi! Sono davvero grandi: sono così presi bene dal fatto che una band si faccia lo sbattimento di arrivare fino lì che ai concerti fanno di tutto!”. Non perdeteveli, perché in tour verranno anche in Italia ad aprile per presentare il loro nuovo album “All hail bright future”, in uscita il 15 marzo prossimo. www.facebook.com/andsoiwatchyoufromafar

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PRIMO PIANO

FILTH IN MY GARAGE Il cerchio del tempo

Sono milanesi e hanno appena pubblicato un nuovo EP intitolato “12.21.12”. Se la fine del mondo non c’è stata, il percorso dei Filth In My Garage è invece appena iniziato… Di Daniel C. Marcoccia

I

l nuovo EP della band milanese racchiude canzoni decisamente complesse, con una componente metal maggiormente in evidenza rispetto al passato. A risponderci è Matteo, chitarrista dei Filth In My Garage: “Sicuramente le composizioni di ‘12.21.12’ risultano ben più complesse a livello di struttura rispetto al precedente lavoro ‘Crawling through the animals’, dato che i tre pezzi sono stati i primi frutti della sinergia di tutti e cinque i membri della band (il disco precedente era stato invece scritto in gran parte solo da tre dei componenti attuali). C’è stata sicuramente un’evoluzione del nostro sound, anche se in realtà la componente metal che ne è scaturita non è stata particolarmente cercata

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in fase di scrittura, ci siamo semplicemente ‘lasciati andare’ e abbiamo attinto dai nostri vari ascolti senza troppo curarci prettamente di un genere quanto delle nostre sensazioni”. I tre brani, "Future", "Past" e "Present", vanno a costituire un concept in linea con lo stesso titolo dell'EP: “L'idea di stravolgere il concetto di tempo che ritroviamo nei titoli dei pezzi nasce dal voler dislocare dal contesto umano l'esperienza di un evento, di una situazione. Togliamo l'importanza al corso degli eventi focalizzandoci invece sulla loro eterna consequenzialità e ridondanza: per comprendere il passato, il presente e il futuro non dobbiamo vederli come momenti separati di un evento, ma semplicemente come parti di esso. Il 12 dicembre 2012 si pensava dovesse finire tutto... e noi abbiamo deciso

di far uscire un disco proprio quel giorno, proprio perché da lì sarebbe iniziato un nuovo periodo, una nuova storia. La fine non è nient'altro che un nuovo inizio. I pezzi sono infatti tutti legati tra di loro da dei suoni caotici, non esiste mai un punto di silenzio, piuttosto il caos lega le tre canzoni, il passato al presente, come l'ultima canzone che va poi a riallacciarsi alla prima. È un cerchio. ‘12.21.12’ rappresenta anche un punto di svolta per la band: ci sono stati periodi di ‘tensione’ durante la scrittura e prima dell'uscita del disco, ma il lavorare assieme a questo progetto ci ha aiutati tantissimo a ritrovare noi stessi e quel feeling che sembrava si fosse un po’ nascosto”. Il concept sviluppato nell’EP non verrà comunque ripreso ulteriormente nel prossimo album dei FIMG: “In

realtà cerchiamo di costruire un lavoro partendo da un concetto ogni volta diverso, in base a quello che sentiamo in un determinato momento. Cosa certa è che i nostri album non sono e non saranno mai una semplice raccolta di canzoni buttate dentro a caso, cerchiamo di estrapolare il filone logico sia a livello di testi che, soprattutto. a livello musicale”. Nel frattempo, i concerti sono la priorità del gruppo: “Vogliamo suonare il più possibile in giro, cercando di ampliare il nostro raggio d’azione soprattutto all'estero. A fine febbraio saremo in Germania per un mini tour con i Give Her The Blues e oltre alle varie date sparse per la prossima primavera suoneremo al Noize Fest. Pensiamo di partire poi per un altro tour europeo più lungo nell'estate 2013”. www.facebook.com/filthinmygarage


WHAT A FUNK Living colours

I What A Funk hanno da poco pubblicato il loro secondo EP “Javao” e, a sentir loro, nel 2013 sono pronti a riempirci di lividi… Di Sharon Debussy - foto Daniela Ferretti I What A Funk sono da molti considerati una delle band-promessa del panorama alternative italiano. Per loro, il 2012 è stato un anno di grandi conferme, nuove release e vita on the road. Ne parliamo con Hasma, l’eclettico bassista e lead vocalist della band, partendo dall’inizio, da quando nel 2010 decidono di risorgere dalle ceneri di una cover band: “Era ora di fare pezzi nuovi per noi stessi… creare qualcosa di nuovo che ci piacesse e non proporre semplicemente qualcosa scritto da altri”. Da qui al primo EP la strada è breve. La band comincia a girare live, a farsi conoscere, raduna uno stuolo di fedelissimi che la segue ovunque, suona su palchi prestigiosi (tra tutti quello dell’Heineken Jammin’ Festival nel 2011). La macchina è in moto. Nella dimensione live, i tre moschettieri del funk sembrano dei vampiri mascherati pronti a farsi succhiare il sangue dal pubblico: un’esplosione di colori e teatralità che non passa inosservata. “La parte visiva dei What A Funk è frutto del discorso di un gruppo più ampio di persone. Maschere, video, proiezioni, illustrazioni sono merito di parte della nostra ‘crew’, artisti che ci sostengono e contribuiscono attivamente al discorso visivo della band: Filippo Gasparini (VideoMaker), Max Messori (visual e sito) Elis Bonini (l' ideatore delle maschere)… e a proposito di maschere, ognuna descrive chi la porta, ma il significato è segretissimo”. Nel 2012, dopo un cambio di line-up, esce finalmente “Javao” (“Un ep che è il collegamento tra ciò che eravamo e ciò che sentirete nel nuovo disco”) e l’entrata nel roster Bagana Rock Agency: “Quando hai dei professionisti che lavorano con te, le cose cambiano… e poi condividiamo il roster con alcune tra le band italiane più fighe in circolazione, vedi Destrage e Filippo Dallinferno”. “Javao” combina le diverse influenze musicali dei tre componenti: “Siamo molto distanti ad ascolti ma con alcune cose in comune. Più che un genere, ci accomuna un gusto per alcuni particolari e quindi ci troviamo ad ascoltare assieme Kool & The Gang, Justin Timberlake, Daft Punk, piuttosto che i Tool o Marilyn Manson. Ma a tutti e tre piace contaminarci a vicenda, e quando ‘jammiamo’ e componiamo diventiamo tutt’uno”. E arriviamo così al 2013: “Quest’anno uscirà una videotrilogia di ‘Javao’, faremo un tour in appoggio all’EP e ci butteremo in studio per fare uscire al più presto l’album più doloroso che voi possiate immaginare! Abbiamo già i lividi adesso”. We’ll see! www.whatafunk.net

DJ: NASTY

PROGRAMMA: Nasty Hour In onda dal lunedì al venerdì dalle 17:00 alle 18:00

La sua Top 5:

BUCKCHERRY "Gluttony" THE ROLLING STONES "Doom and gloom" TEXAS HIPPY COALITION "8 seconds" KID ROCK "Chickens in the pen" STONED JESUS "Indian"

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PRIMO PIANO

VERACRASH Cyberstoner

torna la stoner band milanese con un secondo album intitolato “My brother the godhead” e Un sound molto più profondo e scuro rispetto all’esordio. Come dire: dal deserto si è precipitati direttamente all’inferno. Di Nico D’Aversa

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l disco è stato prodotto in Svezia da Niklas Källgren, chitarrista dei Truckfighters. Un incontro determinante, a detta della band: “Circa due anni fa ci è capitato di essere invitati al Live At Heart, festival che si tiene ad Orebro. Il caso ha voluto che fosse la città dove vivono i Truckfighters. Niklas ci ha chiesto se volevamo produrre il nuovo disco da lui. Non ce lo siamo fatti dire due volte. Sicuramente è stato determinante ai fini del risultato registrarlo in Svezia. È stata una sfida con noi stessi: avevamo solo due settimane e un produttore che non parlava la nostra lingua. Abbiamo imparato tantissimo e il suo supporto e la sua esperienza ci

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sono stati di grande aiuto”. Anche a livello di sound, la location ha inciso parecchio: “Volevamo un disco compatto, che avesse botta e arrivasse dritto al punto, senza tanti giri di parole. In questo la produzione di Nik e il rigidissimo clima svedese sono stati fondamentali. Questo album risulta quindi più heavy rispetto a ‘11:11’. Ancora è molto presente la forma canzone, ma c’è più sperimentazione, come a volersi slegare dai generi, pur restando nell'ambito stoner. Credo che più passerà il tempo e più andremo verso una cosa diversa rispetto a questi due album”. In effetti le influenze di Kyuss e Queens Of The Stone Age sembrano avvertirsi sempre meno: “Ci annoiava sentirci paragonare sempre ai QOTSA.

Anche per questo motivo ‘My brother the godhead’ suona diverso. L'importante per noi è riconoscerci in quello che suoniamo. E non è sempre facile. È un lavoro che richiede compromessi”. I Veracrash prestano da sempre attenzione anche ai messaggi che la loro musica lancia: “Il disco ha un taglio un po' sci-fi/cybergnostic. È influenzato dal pensiero di autori come PK Dick, Burroughs e tanti altri. Traspare poca speranza, ma allo stesso tempo è un invito ad andare oltre i confini della comune percezione e a ridiscutere il nostro sistema di valori. Le liriche sono sempre state un po' ermetiche e sono delle rielaborazioni per immagini di determinate cose che in quel momento ci ispirano.

Sicuramente il cospirazionismo estremo, l'occulto, la letteratura sci-fi e il cinema in generale sono nostre influenze marcate”. Insomma, si può notare un evidente stacco rispetto al panorama indipendente italiano: “Da noi non è che non ci siano le band, è che tutto è più difficile, non parliamo poi del rock, manca totalmente un vero mercato che si occupi dei giovani talenti. Noi abbiamo sempre voluto guardare oltre confine e il nostro pubblico si trova in Germania, Polonia, USA, Sud America, Russia. Poi se avremo riscontro anche qui in Italia tanto meglio. Piuttosto mi sembra che il gusto di quei giovani, che vanno dai 15 anni ai 25, si stia spostando sempre di più verso proposte spesso imbarazzanti”. www.veracrash.com


LOCAL HERO

Riprendiamo il nostro giro dei locali in cui si suona e ascolta della buona musica rock. Questa volta ci fermiamo al Ricky’s di Villa del Conte, in provincia di Padova, il noto pub tutto al femminile gestito dalle due grintose sorelle Gottardo. “Girls got rhythm” cantavano gli AC/DC… e avevano proprio ragione. Di Stefano Russo

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l vostro locale è da molti anni un punto di riferimento per molte band italiane che suonano punk o metal. Com’è cambiato il vostro lavoro negli anni e quali sono le difficoltà oggi? Nel corso degli anni sono cambiate molte cose, ma la filosofia R'N'R resta una costante. Il nostro pensiero è sempre rimasto lo stesso: divertire le persone con buona musica di qualità e farle sentire a casa. Cercare ancora di coinvolgerle vista la "poco serena" realtà quotidiana. È incoraggiante vedere che la musica è comunque da sempre un pensiero felice! Quali sono secondo voi i punti di forza del Ricky's e, se è il caso, cosa dovete invece migliorare? Il fatto di essere noi stesse ogni giorno, essere affiancate da uno staff unico che ci supporta sempre! Credere nel nostro lavoro senza pretese e vivere la musica! Migliorare??? (ridono) Qualche lavoretto ci sarebbe da fare… ma poi non sarebbe più "originale" così com’è!

ANNAMARIA & PAOLA GOTTARDO RICKY’S PUB

le 2 quando il Ricky's chiude!!! Come si fa a suonare al Ricky's? O meglio come viene fatta la selezione degli artisti che suonano sul vostro palco? Per suonare al Ricky's da sempre chiediamo una demo che sarà ascoltata

ed eventualmente presa in considerazione. La selezione spazia dall’hard rock al punk fino al metal, inedito e non, cercando di evitare tutto quello che per noi è troppo "commerciale"! It's only Ricky's pub... but I like it!!! www.rickyspub.com

Quali sono i vostri dischi preferiti del momento? Al momento "on air" al Ricky's non può mancare "House of gold & bones - Pt. 1" degli Stone Sour e "Apocalyptic love" di Slash! Horns up!!! Quale concerto al Ricky's ricordate con particolare affetto e perché? In verità non c’è in particolar modo un concerto... diremo che sicuramente più di qualcuno lo ricorderemo per sempre, o per il locale strapieno di gente e qualcuno costretto anche a rimanere fuori, o per la qualità e la professionalità dei musicisti... o ancora per l'amicizia che ci lega ad alcune band! Le serate che non scorderemo mai sono quelle che rimangono nel cuore anche dopo

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HI-TECH ANDROID PHONE WATCH "ROCK"

Presentato in un'inedita veste ispirata alle Forze Speciali americane, l'Android Phone Watch "Rock" unisce le caratteristiche degli smartphone di ultima generazione alla comodità degli orologi da polso. Schermo da 2 pollici, sistema operativo Android 2.2, fotocamera da 2 MP, memoria esterna da 8 GB e Bluetooth. www.chinavasion.com

SAMSUNG VACUUM TUB SOUNDBAR Appartiene alla nuova generazione di dispositivi audio Samsung il Vacuum Tub Soundbar: amplificatore dalle elevate prestazioni e dall'accattivante design. Tra le caratteristiche principali: collegamento via

DIESEL VEKTR ON-EAR HEADPHONES Design unico e insolito per queste cuffie ad alte prestazioni. Sebbene caratterizzate da un aspetto tipicamente modaiolo (condizionato dalla collaborazione con Diesel), le Vektr di FeelBeats mantengono inalterate le ben note qualità audio del produttore, assicurando comfort e performance impeccabili. www.feelbeats.com

ACER

ICONIA B1

Nuovo tablet Android economico per Acer. Il prezzo (circa € 130,00) dell'Iconia B1 è giustificato dalle non elevate prestazioni, che riescono, ad ogni modo, a rivaleggiare all'interno del mercato di riferimento. Schermo 7'', Wi-Fi, GPS, Bluetooth, processore da 1,2 GHz, 512 MB di RAM e memoria espandibile da 8 GB. www.acer.it

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Bluetooth, giroscopio interno, funzione AirtrackON e controlli integrabili con il telecomando della TV. www.samsungtomorrow.com

TRUSTMASTER Y-GAMING HEADSETS

Trustmaster debutta nel mercato delle cuffie per videogiocatori con la linea Y-Gaming. Pensate per PC, PS3 e Xbox 360 (ma compatibili anche con console portatili, smartphone e lettori MP3), le cuffie montano diffusori da 50 mm, microfono unidirezionale rimovibile e ampi auricolari per il cercato isolamento acustico. www.trustmaster.com


A cura di Michele Zonelli

games

DMC DEVIL MAY CRY

Piattaforma: X360/PS3/PC Produttore: Ninja Theory/Capcom/ Halifax Genere: Azione, avventura

Punto di riferimento per gli amanti degli hack and slash, Devil May Cry torna con un nuovo e determinante capitolo. Le prime notizie legate a un deciso restyling hanno generato non poche polemiche, polemiche che oggi perdono forza a fronte dei molti sforzi compiuti e dell'eccellente risultato raggiunto. Affidata l'importante sfida al team inglese Ninja Theory, Capcom presenta "DmC Devil May Cry": titolo che anticipa temporalmente le vicende narrate nelle precedenti opere e introduce un Dante inedito, figlio di un angelo e un demone caduto e invischiato in un piano di vendetta che lo porterà a scontrarsi con il re dell'inferno. Graficamente ben curata, la narrazione, suddivisa in 20 capitoli, non riserva grosse sorprese per quanto riguarda la trama, ma offre numerosi spunti creativi e un grande impatto scenico. Il level design è curato fin nei minimi dettagli e favorisce sezioni platform frenetiche e spettacolari. Il gameplay poco si discosta dalla serie e questo rincuora. Il vario e non scontato utilizzo delle numerose armi a disposizione, le cui peculiarità saranno spesso al centro dell'azione, aumenta sfida e interesse, soprattutto se deciderete di affrontare il titolo in una delle modalità più difficili e cruente tra le 5 a disposizione. Riscrivere un franchise di simile portata non è facile e i rischi sono molti, ma "DmC" non delude, riservando più di qualche piacevole sorpresa.

FAR CRY 3 X360/PS3/PC Ubisoft

DEAD SPACE 3

Piattaforma: X360/PS3/PC Produttore: Visceral Games/EA Genere: Azione, avventura Tra i progetti più attesi di questo inizio 2013, "Dead Space 3" debutta in tutto il suo oscuro splendore. Consapevoli delle molte (e giustificate) attese, i responsabili di Visceral Games hanno fatto il possibile per non snaturare la propria creatura, senza rinunciare per questo alle auspicabili evoluzioni. Dopo la USG Ishimura e The Sprawl, tocca ora al pianeta ghiacciato Tau Volantis fare da cornice alle vicende narrate. Isaac Clarke e lo spietato militare John Carver si troveranno ad affrontare nemici sempre più letali e proibitive condizioni ambientali, con l'unico obiettivo di scoprire le origini dei necromorfi e porre fine una volta per tutte alla loro minaccia. L'ambiente di gioco amplia notevolmente l'azione, favorendo esplorazione e missioni secondarie di svariata entità. L'esperienza acquisita nel corso delle passate avventure tornerà utile in più occasioni, permettendo a Clarke di combinare, riconfigurare e aggiornare le armi in possesso, fino a crearne di nuove. Importante novità: il sistema "drop-in/drop-out", grazie al quale è possibile giocare in modalità cooperativa inserendosi in qualsiasi momento nell'avventura. Anche il gameplay è stato rivisto, con l'aggiunta di meccaniche di copertura e schivate, ad accentuare un'inedita derivazione action. Radice che, ad ogni modo, non compromette lo spirito originale della serie: cupa, brutale e spaventosa al punto giusto.

Caratterizzato da ottimi spunti e interessanti qualità, il marchio Far Cry non è mai riuscito a brillare all'interno del competitivo mondo degli sparatutto in prima persona. Sorte destinata a mutare grazie alla terza prova su strada: vero e proprio gioiello di casa Ubisoft. Correggere tutte le indecisioni passate a favore di un prodotto maturo, esteso e dal forte carattere: questo l'obiettivo preposto, questo il traguardo raggiunto e ampiamente superato.

ALIENS: COLONIAL MARINES X360/PS3/PC Sega/Halifax

Twentieth Century Fox Consumer Products e Gearbox Software presentano "Aliens: Colonial Marines": fps che si annuncia come sequel ideale di Aliens. Vestiti i panni di un esperto Marine, vi muoverete in un mondo ostile e dalle molte e celate insidie, braccati senza sosta da temibili xenomorfi. Ambientazioni ispirate alla pellicola di James Cameron, ampio arsenale, un complesso sistema di potenziamenti e un corposo comparto co-op tra i punti di forza.

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crazy net

A cura di Michele Zonelli

THE REMOTE CONTROLLED ROBOTIC BULL SHARK

THE DARK KNIGHT BOOKSHELVES

Studiato per riprodurre i movimenti del più efficiente predatore in natura, questo squalo robot ha tutte le carte in regole per allietare la prossima stagione balneare. Nel frattempo, anche la vasca da bagno può rivelarsi habitat adatto. www.hammacher.com

I NEED SOME FUCKING GROCERIES BAG What the fuck should I make for dinner? Domanda esistenziale e nome più che esaustivo del brand che propone l'ecologica borsa della spesa in esame. Realizzata a mano, lavabile in lavatrice e perfetta per ogni occasione. www.cafepress.com

KOHLER MOXIE SHOWERHEAD SPEAKER

Ascoltare in tutta liberta la musica preferita sotto la doccia senza restare folgorati? Semplice, basta utilizzare il Moxie Showerhead di Kohler. Erogatore in silicone accessoriato con uno speaker da 1,5 watt e connessione Bluetooth. www.gearhungry.com

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È dedicata al Cavaliere Oscuro di casa DC questa caratteristica libreria. Ok, lo spazio offerto forse non è molto, ma non è certo un problema a fronte dell'assicurato effetto. Ideale per soggiorni, camere da letto e batcaverne. www.etsy.com

BOOMBOX SET PILLOW

Caratterizzati da un inconfondibile design, i 3 cuscini che vanno a formare questo nostalgico set non offrono nulla a livello tecnologico, ma strapperanno più di un sorriso a chi ha ancora nel cuore i vecchi stereo a cassette. www.meninos.com


A cura di Eros Pasi

SANTA CRUZ “SIDEWALK SCREAMER”

OPEN STORE

Mini cruiser. Tavola in acero da 25,5" completa di griptape, trucks Bullet 107 e ruote OJ Insane-A-Thane 54mm 87A. Disponibile in diverse colorazioni. € 128,50 www.santacruzskateboards.com

FAMOUS “KEEP THE PEACE” TEE

Ecco altre T-shirt della nuova collezione di Famous, marchio di proprietà del noto batterista dei Blink-182, Travis Barker! € 32,90 www.famoussas.com

METAL MULISHA “POTTER CRIME” TEE

Gli amanti del freestyle motocross, ma anche quelli che prediligono l’abbigliamento street, apprezzeranno queste T-shirt della nuova collezione Metal Mulisha! € 26,50 www.metalmulisha.com

STARTER “NLBM EASTWEST” CAP Cappellino della linea Starter “Negro League”, che celebra la storica lega di baseball americana esistita tra la fine dell’800 e gli anni ‘60. € 32,00 www.starter.com

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LINEA 77 Da un momento difficile si può passare direttamente a un altro di massima creatività. L’importante è credere sempre in se stessi e affidarsi al proprio istinto. “La speranza è una trappola” è la migliore prova che potevano darci i Linea 77 dopo i recenti cambiamenti che ne hanno accompagnato la storia. Motivati, carichi e con una grande voglia di suonare. A questo punto le chiacchiere stanno a zero. Di Daniel C. Marcoccia foto Claudine Strummer

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LINEA 77 “Chi verrà a vederci dal vivo, si troverà davanti sei cazzoni che si divertono come se avessero 15

anni”.

Dade: In passato avevo scritto qualcosina qua e là, soprattutto sul precedente lavoro ma i testi erano più una prerogativa di Nitto ed Emiliano. Su “10”, poi, non c’era neppure troppa collaborazione tra loro due, era più un testo di Nitto e uno di Emi, e via così a seguire. Nitto: Sì, lavorando a questo nuovo EP abbiamo visto che quello che cercavamo era proprio ritrovare i Linea 77, quello che erano una volta, volevamo condividere qualsiasi cosa. Chinaski (chitarra): Volevamo scrivere canzoni senza l’inibizione dei ruoli, tipo tu sei il chitarrista e fai le tue parti, tu sei il bassista e fai quello. Questa volta, invece, ogni contributo era considerato utile e di conseguenza tutto è avvenuto attraverso un percorso collettivo. Non volevamo una situazione del tipo “io non mi pronuncio sulle chitarre e tu non farlo sui testi”. Forse, più inconsapevolmente che non in maniera razionale, negli anni siamo invece andati sempre più in quella direzione. A un certo punto abbiamo deciso di dire basta. È vero quello che tu dicevi prima in merito ai testi: volevamo essere più diretti, più comprensibili, semplicemente perché le canzoni devono emozionare. Volevamo riuscire a dire delle cose che fanno venire la pelle d’oca e i primi a testare il risultato di ciò che scrivevamo, siamo stati noi. Viviamo un momento di grande agitazione e quello che volevamo, senza entrare poi nelle polemiche varie, era fondamentalmente non concepire i testi come un esercizio di stile, altrimenti rischi di diventare un po’ morboso e di non essere più obiettivo nel valutare quello che stai facendo. Infatti, in questi sei brani è sempre molto chiaro di cosa state parlando. Dade: Volevamo semplicemente dare l'idea di essere una band diretta sia nella musica sia nei testi. Per quanto riguarda la musica lo siamo quasi sempre stati, fin dall’inizio, mentre per i testi, ci eravamo un po’ persi tutti nei meandri di ego trip vari. Nitto: Proprio perché appunto non c’era più condivisione.

scoltando le nuove canzoni, oltre all’impatto della musica, colpiscono immediatamente i testi. Non sono mai banali, né scontati, dicono qualcosa e lo fanno senza troppi giri di parole. Si avvertono una grande rabbia e una forte voglia da parte vostra di urlarla. Sono parole dirette, spesso rivolte al sistema e alla società in cui viviamo. Sembra quasi cambiato il vostro approccio alla scrittura… Dade (voce): È questa la cosa importante. Questa volta, anche per il fatto che erano meno pezzi, abbiamo lavorato molto su ogni singola canzone. Abbiamo anche avuto meno tempo a disposizione, con tutto quello che è successo, ma abbiamo deciso di concentrarci molto sui testi, prendere un argomento per ogni canzone e focalizzarci su quello. Avevamo un’idea di disco con un clima sempre ben centrato su quello che stavamo provando, senza per forza fare un concept. Poi, diciamocelo, c’è poco da ridere in questo periodo… Nitto (voce): Inutile prenderci per il culo, viviamo una triste realtà e certe facce continuano a riproporsi. L’Italia ha la memoria breve… Dade: Il discorso di Mario Monicelli (pronunciato in TV da Michele Santoro, nda), dal quale abbiamo tratto il titolo del disco, ci aveva molto colpito. Eravamo rimasti impressionati dalla sua tempra e dalla sua lucidità. Vedere quell’energia in un ottantenne e guardare i giovani d’oggi, ti fa pensare che effettivamente c’è qualcosa che non va, che siamo un po’ intorpiditi.

Veniamo appunto alla partenza di Emi. Ricordo ancora le tensioni evidenti che c’erano con lui all’epoca di “Available for propaganda”, quando ci siamo visti a Los Angeles durante la lavorazione di quel disco. Infatti mi stupisco che questa separazione non sia avvenuta prima… Chinaski: Pensa, sono passati otto anni! Chi infatti negli anni ha avuto modo di starci più vicino, come te, ha abbastanza presente queste cose. Dade: Siamo arrivati fin dove ce l’abbiamo fatta, poi a un certo punto… Nitto: Non abbiamo più retto. Dade: Era troppo palese, ma credo che sia stata una liberazione pure per lui. È una cosa che doveva succedere perché era nell’aria da troppo tempo e perché si stava sempre più logorando il rapporto tra di noi. Non eravamo più una band ma cinque individui che convivevano, cercando di andare d’accordo. C’era un tassello fuori posto e da parecchio tempo, alla fine il problema era quello. Sinceramente, a un certo punto ci sentivamo stanchi, stufi e anche un po’ stupidi nel cercare di tirare avanti in quella maniera. Ci siamo guardati tutti negli occhi e ci siamo detti: “noi vogliamo fare questo!". Noi siamo questo, musicalmente come nei testi. C’è una coesione molto forte tra noi quattro e c’era un distacco direi assoluto da parte sua e l’ha ammesso, nel senso che ce l’ha proprio detto. E quindi basta. Fondamentalmente io credo che non abbia avuto il coraggio di andarsene ma in fondo era la cosa che voleva. Alla fine ci abbiamo pensato tutti assieme, proprio come quando non ami più una donna con cui vivi da dieci anni. O continui, fai dei figli e passi una vita di merda, oppure ti guardi negli occhi e dici “rimaniamo amici”.

Dade, questa volta eri coinvolto in prima persona, visto che questi testi ti toccava pure cantarli.

Ma come l’avete vissuto questo periodo piuttosto frenetico? C’è stato un momento in cui avete pensato di smettere e di mandare tutto a

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LINEA 77 quel paese? Nitto: È stata una delle estati peggiori degli ultimi 20 anni, credo… Dade: Direi anche tutto l’anno in generale. A un certo punto, in effetti, ci siamo detti se non era forse il caso di smettere. Nitto: Avevamo un sacco di pezzi pronti, registrati e non riuscivamo a trovare la quadra per tirare fuori tutto. A un certo punto, in questi casi, il cambiamento diventa l’unica cosa che può aiutare a svoltare le situazioni. Dovevamo per forza avere una scossa. Dade: In realtà, è riiniziato tutto - perché questa è una nuova vita dei Linea 77 - nello stesso modo in cui era partito all’epoca, ovvero per gioco. Stavamo già pensando a cantanti sostitutivi o di andare avanti solo con Nitto alla voce, quando un giorno ho detto per scherzo “canto io” e ovviamente mi hanno preso per il culo… Nitto: Alla base di tutto, e quindi anche di questa idea, c’è una cosa fondamentale: nessuno di esterno poteva prendere in mano il microfono, altrimenti l’avremmo vissuta in maniera troppo strana, troppo forte. E per fortuna che c’è gente abbastanza pazza a 35 anni per uscirsene con un’idea del genere, che si butta a fare il cantante. Dade: È stata una pazzia ma sono contento. Sai qual è la cosa che mi prende molto bene? È che tra di noi c’è un clima veramente spettacolare. Chi verrà a vederci dal vivo, si troverà davanti sei cazzoni che si divertono come se avessero 15 anni. Non è una cosa da poco… Nitto: Ma è esattamente come eravamo una volta, come quando abbiamo

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iniziato, quando ci siamo conosciuti. Va bene la musica, il music business ma noi volevamo solo divertirci sul palco. Quello era lo spirito e lo stiamo ritrovando in piccole cazzate, come quando giriamo un video ad esempio. Prima accennavate a brani già scritti. Alcuni sono finiti in questo EP? Dade: Avevamo praticamente scritto un intero disco, a giugno 2012 avevamo dodici pezzi pronti che abbiamo buttato via. Di questi sei pezzi nuovi contenuti nell’EP, tre facevano parte di quel disco, mancavano dei testi. Abbiamo ricominciato daccapo e in tre mesi abbiamo fatto tutto. Abbiamo scritto, suonato, composto e registrato giorno e notte, in un clima ottimo e con un casino di energia. Adesso, a due settimane dalla partenza del tour, devono metterci le catene al collo perché non vediamo l’ora di iniziare. Anche perché, nel mio caso, devo scoprire che cazzo vuol dire stare sul palco (ride). Avere due cantanti rende più facile la sostituzione di uno? Oltre a non snaturare troppo l’identità della


band. (vedi anche gli Alice In Chains, nda) rende probabilmente più facile l’inserimento di quello nuovo… Dade: Ci tengo a sottolineare che il collante di tutta questa band è sempre stato Nitto, lui è il centro focale dei Linea 77 a livello umano… Nitto: Anche a livello umorale… (ride) Dade: Nel momento in cui è crollato lui, è crollato tutto il resto. Non riesco proprio a pensare ai Linea 77 senza Nitto. Avevamo anche discusso sul fatto di cambiare nome, ne avevamo parlato pure con amici e collaboratori stretti e tutti ci hanno detto che era una sciocchezza.

Nitto: Alla fine saremmo comunque sempre stati quattro dei Linea 77. Questa cosa del frontman è normale ed è automatico focalizzarsi su chi canta, ma noi non ci siamo mai visti così. Io ed Emi ci siamo sempre considerati come altri due strumenti della formazione, come parte di un collettivo. L’EP esce per la vostra etichetta, INRI, dopo due album su major. Una scelta quasi d’obbligo visti i tempi che corrono e che vi permette di prendere decisioni particolari, come uscire in un primo tempo solo in download e di regalare il primo singolo “Il veleno”… Dade: Usciamo prima con l’EP in digitale mentre il CD potrà essere comprato solo ai nostri concerti. Poi, in un secondo tempo, si troverà anche nei negozi e più avanti ci sarà anche qualche sorpresa, ma non voglio anticipare nulla. Nitto: Fondamentalmente, vogliamo rimanere così, non essere più legati a delle tempistiche. Vogliamo tenerci proprio liberi di registrare un pezzo e buttarlo subito in Rete. Dade: Abbiamo un piccolo studio e questo ci permette, in un giorno, di registrare un pezzo, mixarlo e poi farlo uscire. Non dobbiamo più impazzire con i tempi e tutto il resto. Solitamente registri un disco e devi poi aspettare un anno prima che esca. È tutto sbagliato. In passato avete sempre osato nei vostri dischi. Ricordiamo infatti la collaborazione con i Subsonica e quella con Tiziano Ferro. Questa volta siete andati ben oltre. Nel disco ci sono archi e tanta elettronica, ma soprattutto un brano decisamente atipico come “La caduta”, fatto assieme agli LN Ripley. È probabilmente la cosa più sperimentale fatta dai Linea 77, un crossover tra electro/dubstep e metal. Dade: Guarda, secondo me quello che abbiamo fatto ora con questo EP è solo l’inizio. Se ci pensi, abbiamo scritto e composto questo disco dal 17 luglio in poi e il 20 novembre era masterizzato. Praticamente tutto in pochi mesi. Con “La caduta” ci siamo veramente spinti molto in avanti e il risultato è davvero sorprendente.

“siamo comunque coscienti di dare messaggi, a volte in maniera anche molto forte, come in questo disco…”

Tornando ai testi, “Avevate ragione voi” ci riporta a Genova e al triste G8 del 2001… Dade: Questo brano è il frutto di una collaborazione con il nostro amico Domenico Mungo, un poeta, scrittore e critico musicale torinese. Mi piace molto quello che scrive. La canzone non è la trascrizione delle sue poesie, ma ne prende spunto. Lui ha un’attitudine proprio punk e hardcore nello scrivere e quindi andava benissimo per quello che era il pezzo più incazzato. Poi, era da anni che dovevamo scrivere di quel fattaccio, noi quel giorno stavamo proprio andando a suonare a Genova con i Modena City Ramblers. Eravamo quasi arrivati quando ci hanno telefonato per dirci di tornare indietro perché il palco era stato distrutto durante gli scontri. Una volta tornati a casa abbiamo poi visto quelle immagini bruttissime. Chinaski: La cosa che fa più arrabbiare è che, come sempre accade in Italia, poi non succede nulla. Come diceva già Tommaso di Lampedusa: cambiare tutto perché non cambi niente. Dopo i fatti del G8, i vertici sono tutti stati premiati, promossi. È sconcertante. Di solito, se fai una cazzata, per lo meno ti dimetti, non sei più idoneo per dirigere. Con le nostre canzoni non vogliamo catechizzare, ma piuttosto informare. Dade: Non stiamo vendendo patate e nella nostra piccola storia siamo comunque coscienti di dare messaggi, a volte in maniera anche molto forte, come in questo disco dove abbiamo usato spesso anche la parolaccia. Questi siamo noi, è quello che pensiamo, se piace va bene, altrimenti ce ne facciamo una ragione. “La musica è finita” è il pezzo più scanzonato, anche se con una sua ironia di fondo? Dade: È l’unico spazietto che ci siamo ritagliati nel disco per essere ironici. Ovviamente non siamo noi a odiare tutto, anzi, a noi piace tanta roba e siamo gente molto aperta. Nitto: Contrariamente a tanti, se una cosa non mi piace, non ci dedico del tempo per parlarne male su Facebook. È un invito a prendere le cose per la giusta importanza. Sui social network, in questi mesi, abbiamo infatti letto molti commenti del tipo “non siete più i Linea 77 di una volta”. Avete qualcosa da rispondere a chi pensa questo di voi? Dade: Neanche voi siete i fan di una volta. www.linea77.com

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BAD RELIGION

Benvenut

L’uscita del sedicesimo album in studio delle leggende del punk californiano è senza dubbio un’ottima scusa per disturbare nientemeno che il signor Epitaph in persona, Mr. Brett Gurewitz! Lo abbiamo raggiunto telefonicamente nel suo ufficio di Los Angeles per fare una chiacchierata su “True north” e altro. Di Stefano Russo

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ti al nord

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BAD RELIGION

Ma se, ad esempio, prendi la poesia Haiku (una forma di poesia giapponese, nda), hai una struttura ben precisa e definita entro la quale scrivere e questo ti permette di liberare la tua mente dal pensiero della forma e di concentrarti sulla creazione dei contenuti.

Esiste un punto in cui la fedeltà a un certo sound caratteristico diventa in qualche modo un limite al processo creativo? B.G.: Penso che alle volte questo possa essere vero, se sei troppo chiuso nella tua interpretazione di come le cose vadano fatte puoi finire con l’essere limitato. Allo stesso tempo, però, se ti crei una struttura all’interno della quale lavorare può essere davvero liberatorio. Pensa alla poesia: se decidi di scriverne una senza una struttura, finisci con l’avere troppa scelta, troppe direzioni possibili.

Qual è il concept che sta dietro “True north”? B.G.: Più che un concept è una filosofia di base che sta dietro a tutti i brani: gira attorno ai valori che definiscono la struttura di cui ti parlavo poco fa, e ci ha portato in fase di songwriting a fare “economia”, a essere brevi ed essenziali e a non perderci in sprechi di nessun tipo. Metaforicamente, l’idea che sta dietro alle canzoni dei Bad Religion è di togliere tutto il grasso fino all’osso, lasciando solo la carne. In origine il punk era una reazione all’indulgenza e al disinteresse che negli anni settanta caratterizzava generi come la disco o il prog rock. La filosofia del punk era “fanculo tutto questo, tiriamocene fuori e mettiamo in una canzone di due minuti il massimo del rock’n’roll e della passione possibili”. È da quella idea che nacquero i Bad Religion, ed è ancora il pensiero principale che

True north” è davvero ottimo, un disco 100% Bad Religion: sei soddisfatto del risultato finale? Brett Gurewitz (chitarra): Sì, sono davvero molto contento. Abbiamo lavorato sodo affinché fosse il più possibile fedele al tipico suono dei Bad Religion, rimanendo sempre molto vicini ai valori e alle idee che ci hanno contraddistinti fin dagli inizi. Abbiamo preferito puntare sui contenuti invece di sperimentare nuove soluzioni musicali e penso che il risultato sia davvero vibrante.

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anima la band. Questo è il concept, fare il più possibile con il meno possibile. A proposito di economia, la crisi monetaria e il movimento di “Occupy Wall Street” hanno in qualche modo influenzato i testi di “True north”? Cosa ne pensi di questa situazione? B.G.: Sì, ci sono un paio di canzoni che parlano di quello: “Robin Hood in reverse” tratta proprio di ciò che è accaduto a Wall Street, mentre “Land of endless greed” si riferisce alla crisi finanziaria. La mia opinione è che a livello mondiale si deve fare qualcosa per regolamentare i mercati, per assicurare un po’ di tutela per i più poveri e limitare il potere dei più ricchi. Per “The dissent of man” non avete girato nessun videoclip: è una scelta precisa che porterete avanti anche per “True north”? B.G.: Sì, gireremo il video della title-track e siamo molto eccitati! Ma, se devo essere onesto, non credo che i Bad Religion siano molto bravi nel fare video, di sicuro non è uno dei nostri punti di forza!

Questo non è vero! Avete dei video niente male e lo dico da fan. Personalmente amo il video di “Los Angeles is burning”… B.G.: (ride) Grazie! Ti dirò, è che non ci piace molto girarli e di solito veniamo davvero di merda! (ride ancora) Più di 30 anni fa, agli inizi della vostra carriera, pubblicavate un disco dal titolo “How could hell be any worse?” in cui erano incluse canzoni come “We’re all gonna die” e “Fuck armageddon this is hell”. Dopo tre lustri e dopo aver constatato che i Maya si erano sbagliati, credi che i testi di questi brani possano ancora essere attuali? B.G.: Penso proprio di sì. Sai, sul primo album e sul primo EP ci sono alcuni testi di cui siamo ancora molto orgogliosi. È anche vero che ce ne sono altri che, riascoltati oggi, risultano un po’ imbarazzanti, ma furono scritti quando eravamo solo degli adolescenti, quindi penso sia piuttosto normale. Sei il boss di una delle più grosse etichette indipendenti del mondo, il che

“La filosofia del punk era ‘fanculo tutto questo, tiriamocene fuori e mettiamo in una canzone di due minuti il massimo del rock’n’roll e della passione possibili’. È da quella idea che nacquero i Bad Religion, ed è ancora il pensiero principale che anima la band”. RockNow 31


BAD RELIGION presumo significhi avere un’agenda molto fitta di impegni: sei riuscito a seguire tutto il processo creativo di scrittura e registrazione di “True north”? B.G.: Sì, assolutamente! Io e Greg (Graffin, il cantante della band, nda) siamo stati i due più coinvolti nella realizzazione del disco. Ho scritto diverse canzoni che poi abbiamo sviluppato assieme a livello di musica e testi. Quando si tratta di andare in tour sono meno coinvolto, ma in studio sono il più attivo di tutta la band. Sono stato sempre presente, fin dal primo giorno di registrazione. Non ti è mai capitato di pensare, durante tutti questi anni di attività come musicista e discografico di altissimo livello, che tutto questo sia troppo per un solo uomo? B.G.: Oh no, assolutamente, penso basti concentrarsi sulle cose più importanti. Per quanto mi riguarda, rendo meglio sotto pressione: avere molte cose da fare mi spinge a lavorare meglio, ad essere più produttivo e a portare sempre a termine tutte le cose che ho da fare.

Foto Arianna Carotta

Un sacco di band di oggi sono formate da musicisti che non erano nemmeno ancora nati quando i Bad Religion muovevano i primi passi. Non è che questa cosa ti fa sentire vecchio ogni tanto? O magari ti vedi più come un saggio, un veterano del punk? B.G.: Sì, mi sento senza dubbio vecchio! Ho a che fare tutti i giorni con band e artisti, il mondo della musica è un business molto giovane e questo mi fa sentire proprio un vecchio bastardo! (ride) Ogni volta che mi guardo allo specchio non riesco a credere a quanto cazzo sia diventato vecchio!

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Sarete headliner al Groezrock Festival e nel bill ci sono parecchi nomi nuovi: c’è qualche band che ti piace particolarmente tra le nuove leve? B.G.: (per la cronaca, la risposta inizia, cito testualmente, con: “Yeah, fuck off!”, seguito da una grossa risata, nda) No, non ho una band preferita tra quelle più giovani. Una cosa divertente, però, è che queste band hanno di me un’immagine diversa da quella che ho io guardandomi allo specchio, che come ti dicevo è più o meno quella di un vecchio. Amo lavorare con loro e amo avere qualcosa da offrirgli, è una delle parti più gratificanti del mio lavoro. Ma ai loro occhi non sono solo un discografico, sono anche un artista e questo mi permette di instaurare con i miei gruppi un rapporto differente: non mi vedono come uno di quelli che se ne stanno dall’altra parte della scrivania, ma come uno di loro. Presto sarete in tour nel nostro continente: hai un posto in particolare in cui ti piace suonare quando siete in tour in Europa? B.G.: Purtroppo anche questa volta non prenderò parte al tour europeo, starò a casa con mia moglie con la quale ho appena avuto un altro figlio. Ad ogni modo, dovendo scegliere, ti dico Milano, i fan sono fantastici laggiù! Sul serio? Io sono di Milano! B.G.: Oh davvero? Amo quel posto: la gente, il cibo, tutto! Mi piace molto anche suonare ad Amsterdam, anche perché lì hanno sede gli uffici della nostra sede europea ed abbiamo un sacco di amici. www.badreligion.com


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Foto Adriano Catozi

CONVERGE

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Lettera aperta Il parcheggio del Traffic si trasforma nel salotto privilegiato della mia chiacchierata con Jacob Bannon, voce dei Converge. L'occasione è la data romana della band, in giro per l'Europa per promuovere il loro ultimo lavoro, l'intensissimo “All we love we leave behind”. Di Andrea Ardovini

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envenuti a Roma! È la vostra prima volta qui? Avete avuto un po' di tempo per vedere la città? Jacob Bannon (voce): Solo questo parcheggio, quel cumulo di immondizia laggiù e il cemento. Poteva andare meglio. Quando ascolto la vostra musica non riesco a classificarvi, si sente che avete un sacco di influenze diverse. Quali sono? J.B.: Siamo in giro da molto tempo, da più di vent'anni ormai. Credo che come band non siamo più al punto in cui subiamo l'influenza diretta di qualcuno. Al momento siamo mutati in una band aggressiva, che si riconosce in un'ampia gamma di elementi che sono identificativi del punk e dell'hardcore metal. Non credo che possiamo più essere classificati in un genere ben preciso. È proprio quello che intendevo. Leggo in giro che siete una band metalcore, ma penso sia abbastanza limitativo classificarvi come tale. J.B.: C'è un sacco di gente a cui piace classificare e di solito lo fa con quello che non capisce. I gruppi che mi piacciono di solito vanno oltre i limiti della classificazione. Per me la band “A” è la band “A”, non fa metalcore o qualche altro genere ben preciso. Oltre che un cantante, sei anche un visual artist. Prendi spunto anche dalle altre arti quando scrivi i tuoi testi? J.B.: No, quando scrivo cerco solamente di esprimere quello che sono, nient'altro. Il risultato è perlopiù frutto di introversione. In effetti i tuoi testi sono molto introspettivi. Non si avverte quasi nessuna connessione con la politica, con ciò che ti circonda. Personalmente sono rimasto molto scioccato da quello è successo qualche giorno fa a Newtown, Connecticut. La strage nella scuola elementare. Ho sentito un sacco di cittadini americani dire che le armi non sono il problema, che la vostra società funziona perfettamente, che i matti sono ovunque. Cosa ne pensi? Sei d'accordo con Obama, che ha dichiarato di voler limitare la vendita di armi?

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CONVERGE

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“Il punto è che esiste un sacco di violenza non necessaria e i motivi sono molti. C'è di tutto: dalle dottrine religiose, al proprio credo personale, alla malattia mentale, all'irresponsabilità, alle disfunzioni familiari ed educative. Non c'è nessuna risposta facile al problema” J.B.: Sono d'accordo con me stesso. Sono d'accordo con la mia moralità ed etica personale. Cerco di essere una persona educata, civile, rispettosa, e cerco di fare le mie scelte con queste cose bene in mente. Succedono molte tragedie in tutto il mondo. Ad esempio: la situazione negli Stati Uniti quando si è abbattuto l'uragano Sandy era terribile, ma lo stesso giorno in Egitto dieci bambine sono saltate in aria a causa di una bomba mentre andavano a scuola. Tutto quello che volevano fare era andare a scuola. Il punto è che esiste un sacco di violenza non necessaria e i motivi sono molti. C'è di tutto: dalle dottrine religiose, al proprio credo personale, alla malattia mentale, all'irresponsabilità, alle disfunzioni familiari ed educative. Non c'è nessuna risposta facile al problema. Ci sono 1400 persone con il porto d'arma da fuoco nella città in cui vivo e non c'è mai stata una sparatoria in dieci anni. Il problema è molto complesso. Credo che l'unico modo per frenare veramente questo tipo di cose sia quello di essere estremamente consci di se stessi, estremamente compassionevoli e allo stesso tempo intensamente concentrati sui possibili pericoli. Cambiamo argomento. Il titolo del vostro ultimo album, “All we love we leave behind”, sembra quasi voler dire che è molto difficile fare il musicista, perché a volte sei costretto a deludere le aspettative delle persone che ami. Ha effettivamente qualcosa a che fare con questo? J.B.: C'è quest'idea. Ho scritto di un punto specifico della mia vita. È quasi una lettera aperta che parla di tutte le cose che ho dovuto abbandonare per continuare a fare quello che faccio; non solo quella legata alla musica, ma in generale. Passi attraverso molte fasi della tua vita, ti senti frammentato e ti rendi conto delle responsabilità che hai in questa perdita. È parte del mio processo di presa di coscienza di chi sono come persona. Ultima domanda. Il disco è stato prodotto da Kurt (Ballou, chitarrista della band). Sentite di avere maggior controllo sui pezzi in questo modo? J.B.: Kurt è un ottimo ingegnere del suono. Credo che essere un membro della band e avere allo stesso tempo l'abilità di catturare la nostra musica a livello sonoro essendo in possesso delle conoscenze e dell'esperienza per farlo lo rende il miglior candidato. È sempre stato così, anche quando eravamo ragazzini e cercavamo di capire come fare musica, registravamo tutto con un registratore a quattro tracce. La nostra attitudine DIY è nata dalla necessità, ma crescendo si è trasformata più in un modo di fare le cose, in una visione. www.convergecult.com

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HATEBREED

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Solidi propositi

“The divinity of purpose” è arrivato sugli scaffali dei dischi e ha segnato il ritorno dei re del crossover hardcore-metal. Non è facile mantenere lo scettro per tanti anni, ma gli Hatebreed non hanno nessuna intenzione di abdicare e all’orizzonte non si vede l’erede... Di Luca Nobili

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l titolo del nuovo album mi incuriosisce (“The divinity of purpose”), perché l’avete scelto? Frank Novinec (chitarra): È un titolo che abbiamo scelto per fare in qualche modo riflettere le persone, se vuoi è sulla stessa lunghezza d’onda di quello che fu utilizzato per il disco di debutto degli Hatebreed (“Satisfaction is the death of desire”). Penso che tutto quello che ci succede nella vita, siano cose positive o cose negative, abbia uno scopo... una ragione di essere. Quando prendi consapevolezza di quanto questa affermazione sia vera e soprattutto ineluttabile, vedi la tua vita e quello che ti circonda con un occhio diverso. Insomma il concetto è questo, un po’ filosofico se vuoi... Anche la copertina è particolare, abbastanza diversa rispetto a quanto avete fatto in passato... F.N.: Esatto, questa volta volevamo cambiare un po’ e provare con un artwork diverso rispetto ai nostri standard. Abbiamo quindi optato per un dipinto molto di impatto, ci piace molto ma devo ammettere che non ha nessun significato particolare o legame con i testi dell’album. Qual è il pezzo che più ti piace di “The divinity of purpose” e che meglio lo rappresenta? F.N.: È davvero difficile rispondere a questa domanda, ogni canzone dell’album mette in risalto un aspetto diverso del sound degli Hatebreed e non c’è una sola canzone che in qualche modo riesca a mostrarli tutti. Abbiamo girato recentemente un video per “Put it to the torch”, che è uscito come primo singolo... e sarà seguito da “Honor never dies”; queste sono ufficialmente le canzoni che presenteranno il disco al pubblico. Personalmente mi piace molto “Before the fight ends you”, un pezzo bello hardcore e arrabbiato che mi sento di eleggere a mio preferito dell’intero album, ma non credo lo rappresenti meglio degli altri, e sono abbastanza sicuro che se parli con gli altri ragazzi della band riceverai da ognuno una risposta diversa. Gli Hatebreed sono considerati tra i migliori nel connubio tra hardcore punk e metal (se non il migliore in assoluto!), con fan da entrambe le parti della barricata. Quale delle due componenti pensi influenzi di più la musica e l'attitudine della band? F.N.: Credo che se oggi poni questa domanda a un qualsiasi metallaro ti risponderà che gli Hatebreed sono una hardcore band. E al contrario un fan dell’hardcore punk ti risponderà che gli Hatebreed suonano musica

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HATEBREED

heavy metal... Per me, questa è la prova che siamo come hai detto tu un connubio di questi due stili musicali in modo più o meno paritetico. Non c’è un aspetto che sovrasta l’altro e lo considero una cosa davvero positiva. Siamo stati la band hardcore di maggior successo che ha saputo conquistare anche la scena metal e ne siamo dannatamente orgogliosi! È importante per noi continuare su questa strada, sappiamo bene di avere un’audience mista e non vogliamo deludere né una né l’altra “fazione” degli “Hatebreeders”: bilanciare le due componenti è sempre stato un nostro obiettivo, più o meno intenzionale. Credo in particolare che “The divinity of purpose” centri perfettamente il bersaglio. Frank, nella tua carriera hai sempre suonato in band di rock estremo (Frank è entrato a far parte degli Hatebreed nel 2006; prima ha suonato con Ringworm, Terror e Integrity, nda): hai mai sentito il desiderio di suonare altro, magari un tipo di musica completamente diverso da quanto fatto finora? F.N.: A me piace molto la musica country, piuttosto che le band degli anni ’80 o i classici della Motown, per farti alcuni esempi. Ed essendo circondato da heavy music per gran parte del mio tempo lavorativo (quello che suono con gli Hatebreed piuttosto che le band che aprono i nostri concerti, etc) devo ammettere che nel mio tempo libero ascolto più spesso “altro” che rock/metal/punk. Nonostante questo non ho mai

pensato di suonare qualcosa di diverso o più soft: da una parte perché sono molto impegnato (e felice di esserlo!) con gli Hatebreed e il poco tempo libero lo voglio passare con la mia famiglia… dall’altra perché sono da così tanti anni in questo ambiente che mi sentirei un po’ spaesato. Penso proprio che se anche un giorno decidessi di dedicarmi a un side-project oltre agli Hatebreed, sarà sempre qualcosa hardcore/metal! Gli Hatebreed si avvicinano ai vent’anni di onorata carriera e con sette dischi all’attivo avete molto materiale da cui pescare per i vostri concerti: che criterio utilizzate quando decidete la set-list di un nuovo tour? F.N.: Una cosa che pochi sanno è che gli Hatebreed non hanno una set-list definita quando suonano dal vivo. Saliamo sul palco, Jamie (Jasta, cantante della band, nda) al microfono annuncia “this next song is” ed è in quell’esatto momento che il resto della band sa quale canzone sta per suonare! È una caratterista degli Hatebreed che adoro, ogni concerto che facciamo è diverso ed è quindi un evento unico per chi viene a vederci. In un’era in cui basta fare una ricerca su Internet per sapere la scaletta dei pezzi che la tua band preferita suonerà stasera, ritengo sia un “plus” non indifferente. www.hatebreed.com

“Penso che tutto quello che ci succede nella vita, siano cose positive o cose negative, abbia uno scopo...”

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18 FEBBRAIO 2013 Jesolo Pala Arrex

19 FEBBRAIO 2013 Milano Mediolanum Forum


VANILLA SKY

Non è film

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è un m...

C'è aria di rinnovamento in casa Vanilla Sky. Nuovo album in studio (“The band not the movie”), nuova etichetta discografica, un tour in giro per l'Italia, Cisco che torna a suonare il basso nella band. Ecco cosa ci hanno detto riguardo al loro presente e al loro futuro. Di Andrea Ardovini

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l nuovo disco è stato pubblicato dalla vostra neonata etichetta, The Alternative Factory. Visto che le copie fisiche saranno solo 1000, mi chiedevo: da dove nasce la scelta di uscire quasi unicamente in digitale? È frutto di una spending review mirata o pensate che il CD sia ormai obsoleto? Vinx (voce, chitarra): Entrambe. Il CD è ormai un freddo ricordo simbolo di un ventennio che ha visto la musica rock cadere nel più grande dei baratri industriali. A nostro avviso il modello digitale ha da tempo surclassato quello fisico: servizi come Spotify, iTunes Match, Pandora sono esempi di come nel mondo la musica si muova in modo del tutto differente dagli stereotipi che le major per anni hanno cercato di mantenere con ogni mezzo. Siete soddisfatti dei risultati che l'album sta ottenendo? Cisco (basso): Sembra che l'album sia piaciuto molto a tutte quelle persone che ci conoscono da anni e che hanno seguito tutta l'evoluzione musicale dei Vanilla Sky. Penso sia molto importante riuscire a piacere a quelli che ascoltano questo genere da sempre e che rispettano i Vanilla Sky per quello che hanno costruito negli anni. Questo album è un ritorno alle origini, non è stato scritto per i fan "stagionali", non ci sono cover e non ci sono paraculate. Ci sono solo canzoni che rappresentano quello che i Vanilla Sky vogliono fare e che riescono a fare meglio. Il fatto che vi produciate da soli vi fa sentite più liberi rispetto al passato, meno sotto pressione? Brian (voce, chitarra): Se parliamo di brani, in realtà anche quando eravamo con Universal abbiamo avuto sempre la massima libertà creativa e compositiva. Ci siamo sempre prodotti i CD per conto nostro, e se qualcuno in passato è rimasto un po' stupito per le "venature" pop che a volte la nostra musica assume, possiamo tranquillizzare (o terrorizzare) tutti dicendo che è proprio farina del nostro sacco. In questo disco abbiamo soltanto cercato di metterci dei paletti per dare alla nostra vena creativa uno stampo in stile Vanilla Sky dei primi tempi. Quello che invece ci lascia molta più libertà è il fatto che il

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VANILLA SKY “Questo album è un ritorno alle origini, non è stato scritto per i fan 'stagionali', non ci sono cover e non ci sono paraculate”. CD sia uscito sotto la nostra etichetta e che al momento siamo una vera band DIY. Il periodo non è semplice e di questi tempi se vuoi mantenere vivo un progetto di questo tipo devi imparare a fare tutto ciò che fa parte del music business. C'è qualche disco uscito di recente a cui vi sentite particolarmente legati, che pensate possa aver influito sul mood del nuovo album? Vinx: Abbiamo tutti influenze molto diverse. Per quanto mi riguarda, sicuramente metterei al primo posto Yellowcard e Gaslight Anthem. I primi perché sono una band a cui siamo particolarmente legati e con cui abbiamo un particolare rapporto, i secondi perché nell'ultimo anno mi hanno colpito con la loro genuinità e "crudezza". Dopo qualche avvicendamento Cisco è tornato al basso. Resterà come membro stabile della band? Cisco: Il mio rientro nella band è frutto di una voglia di tornare sul palco con i Vanilla a suonare le canzoni che sono un pezzo della mia vita. Finché riuscirò a conciliare gli impegni della band con il resto, mi vedrete sicuramente nei Vanilla Sky.

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Da metà dicembre sono iniziate le date con gli Electric Diorama e gli Anthem. Il nome del tour è “Punk is dead”: è sintomo che qualcosa non funziona nel panorama musicale italiano? Jacopo (batteria): Diciamo che abbiamo preso ispirazione da un tour a cui i Vanilla Sky hanno partecipato svariate volte nel corso della carriera. Il nome "Punk is dead" lo abbiamo utilizzato non tanto per testimoniare la morte di un genere, bensì è una sorta di denuncia verso la gente che ormai ha perso interesse nell'ascoltare e partecipare a eventi underground. In questo caso il termine punk non si riferisce al genere, ma alla musica in generale e nello specifico intendiamo che tutto il movimento che c'era una volta attorno ai concerti è andato man mano scemando. Nonostante tutto, noi siamo qui a portare in giro quello che sappiamo fare meglio: suonare. Cosa deve aspettarsi il vostro pubblico nei prossimi mesi? Jacopo: Innanzitutto abbiamo finalmente le copie fisiche in tiratura limitata di 1000 copie, disponibili nel nostro webstore (vanillasky.bigcartel. com). Dopodiché faremo uscire più video possibili per promuovere al meglio i brani del disco e sicuramente continueremo a portare la nostra musica dal vivo nei locali europei e non. Quindi rimanete sintonizzati sui nostri social network e sarete costantemente aggiornati sulla nostra vita da band. www.vanillaskyrock.com



Foto Ivano Tomba

RHYME

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y v a e H n o i t c a re


Il combo italiano ritorna con un secondo album pesante nei suoni come nelle tematiche affrontate. “The seed and the sewage” è sicuramente uno dei migliori dischi di heavy rock usciti in questi ultimi mesi. Da comprare, ascoltare e riascoltare… Di Daniel C. Marcoccia

The seed and the sewage” appare subito più “pesante” nelle sonorità rispetto al primo disco. E allo stesso tempo più oscuro. Come nascono quindi queste nuove canzoni? E quanto risentono del fatto di aver suonato parecchio in giro? Riccardo Canato (basso): “The seed and the sewage” racchiude in sé tutte le emozioni negative che la crisi economica iniziata nel 2008 ci ha lasciato e ci sta tuttora infliggendo. Le nuove canzoni riflettono esattamente questo, utilizzando soggetti differenti che agiscono nel contesto globale: il politico, il banchiere, il lavoratore, la modella, gli "aficionados" dei party. In tour i Rhyme si sono compattati, abbiamo vissuto la realtà insieme e questo è il risultato di quanto raccolto con le esperienze. La nostra vera natura è uscita anche in studio e negli arrangiamenti: molto scarni e duri, da band live. Rispetto a “Fi(r)st”, il nuovo disco sembra anche un lavoro maggiormente focalizzato, più da band… R.C.: “Fi(r)st” è un disco scritto da me e Teo (Magni, il chitarrista, nda) quando a malapena avevamo un nome. Gab (Gozzi, nda), il nostro cantante, è arrivato a tre mesi dalle registrazioni del debutto, mentre Vinny (Brando, nda), il nostro nuovo batterista, è nei Rhyme da un anno esatto: in tempo per arrangiare insieme “The seed and the sewage”. Anche per riflettere i testi e il contenuto sociale di questo disco, abbiamo scelto l'approccio da sala prove. Il messaggio questa volta era forte e rivolto all'esterno. Volevamo essere uniti anche nell'esecuzione affinché si sentisse questa condivisione di intenti. Abbiamo suonato tutti insieme in studio e questo è il risultato. A caratterizzarvi è anche il fatto di essere poco italiani nell’approccio. Rispetto all’immobilismo di molte band nostrane, i Rhyme reggono senza problemi il confronto con molte produzioni estere. Come giudicate il panorama metal italiano e quali sono i vostri obiettivi?

R.C.: Sinceramente? Lo giudico male. Siamo ancorati a ciò che funzionava quindici anni fa e ancora mi chiedo perché... In Italia il nostro "top" è il "medio basso" che c'è negli States o nel resto d'Europa. Sia chiaro che lì non è tutto rose e fiori: i videoclip, le registrazioni, il look, tante volte sono scarsi quanto quelli in Italia. La differenza è che loro hanno anche Godsmack, Alice In Chains, Royal Republic, tanto per dire band di tre periodi diversi. I nostri obiettivi sono esattamente questi: uscire da qui, emergere e sperare che anche in Italia si possa comprendere il valore che alcune band nazionali (poche, ma ci sono) hanno. Penso sempre ai Lacuna Coil e trovo assurdo che in Italia abbiano meno successo che nel resto del mondo. Poi guardo la situazione tricolore negli altri settori - giuridico, politico, scolastico - e capisco: abbiamo proprio una cultura triste, bassa, indegna di tutto ciò che l'Italia ha saputo essere nel suo corso storico. Avete suonato in America, confrontandovi con band locali. Quali sono state le vostre impressioni nel ritrovarvi in un ambiente sicuramente più ideale alla vostra musica? R.C.: In realtà il nostro stage era abbastanza affollato di band "nostalgiche" degli '80s, che per me è stata una mezza condanna al martirio. Però abbiamo potuto assistere da vicino agli show di Staind, Skillet, Black Label Society, Papa Roach e molti altri che ci hanno letteralmente folgorato. Negli USA non ho trovato una via di mezzo: o sei bravo o sei una sega. Sia come promoter, che come musicista. Questo è affascinante ed estremamente meritocratico. Qualche aneddoto relativo a band straniere con cui avete suonato? R.C.: I Papa Roach sono dei fratelli con cui è stato bello far festa su e giù dal palco. Mi piacerebbe rivederli per ricordarci insieme dell'aftershow di Varsavia, perché io sinceramente ho un po' di vuoti… Ricordo poi il nostro stupore quando, in un aeroporto, Jerry Horton (chitarrista dei Papa Roach, nda) è

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RHYME arrivato verso di noi con un carrello con sopra le chitarre dei Rhyme. Le aveva scaricate lui. Piccolezze che ti fanno grande, a prescindere dalla musica che fai o da dischi belli e meno belli che scrivi. Un altro, vero signore, è Dez Cadena, che in tour ci ha chiesto di poter restare a parlare con noi "giovani", invece di fare festa con gli altri Misfits. Ci ha raccontato mille aneddoti con un'educazione commovente. Non a caso è del New Jersey e ha suonato nei grandi Black Flag. In Italia, i media concedono poco spazio alla musica metal preferendo altre sonorità, situazione sicuramente frustrante. Cosa manca a questo paese rispetto alle altre nazioni in cui il disco è uscito e in cui avete suonato? R.C.: In Italia i media non concedono nessuno spazio alla musica rock, diciamolo chiaramente. A questo paese manca una cultura rock di base: non abbiamo avuto la portata rivoluzionaria di Elvis, figuriamoci se potremo recepire mai qualcosa di nuovo. Noi prendiamo tutto con il contagocce, non scommettiamo sul nuovo, non facciamo ricerca. Diciamo ancora che Celentano è rock. Noi abbiamo la Pausini e i suoi cazzo di turnisti. Non siamo un paese che si entusiasma per la chitarra elettrica. Nei locali cosa manca? Il pubblico. La poca cultura porta a cercare soluzioni comode, ovvero tribute e cover band. È il pubblico che deve migliorare; le tribute/cover band sono solo fatte da musicisti deboli d'autostima che pur di salire sul palco e guadagnare due soldi rinunciano alla propria dignità artistica. Se il pubblico un giorno si sveglierà e sceglierà l'orgoglio (e ha tutte le carte per farlo), le cose cambieranno. Raccontateci del recente tour in Russia? Che accoglienza avete trovato e cosa vi ha colpito particolarmente? R.C.: Il pubblico di quei posti è pazzesco. Caldo, devoto. Amante della musica. In Russia, la gente si menava davanti ai nostri occhi durante il concerto. È stata una bellissima esperienza che ripeteremo tra nemmeno molto tempo credo. La situazione tecnica dei locali è invece abbastanza deludente, ma non è un paese ricco. Siamo stati ben attenti a non mancare di rispetto a nessuno. E poi siamo una band rock'n'roll, ci adattiamo a tutto e ci divertiamo ovunque. Nel nuovo disco troviamo anche una cover particolarmente riuscita di “Wrong”. Come nasce questa rivisitazione molto personale? R.C.: La suoniamo da quando è uscita, nel 2009. Adoro il testo, il video, il brano e la voce di Gahan. Una cover che ci portiamo dietro da quasi quattro anni, da quando ci siamo formati. L'avevamo già registrata per “Fi(r)st” e poi ri-registrata con nuove accordature per “The seed and the sewage”, includendola come bonus-track nella prima edizione. Il che significa che dovete comprare il nuovo album ora, perché nella ristampa non la metteremo!

“Il nuovo disco racchiude in sé tutte le emozioni negative che la crisi economica iniziata nel 2008 ci ha lasciato e ci sta tuttora infliggendo” 48 RockNow 48

Dovendo scegliere un unico brano da “The seed and the sewage” per fornire una chiave di lettura della band, quale sarebbe e perché? R.C.: Io dico "Victim of downturn": racconta di un uomo che si toglie la vita, sommerso dai debiti con le banche, schiacciato dai media che non parlano di altro se non di disperati come lui. Ascoltare il mixaggio finale ha commosso tutti noi. È un pezzo arrabbiato, straziante e impegnativo. Amo tutte le canzoni di questo disco, ma dopo avere co-scritto quella, la mia coscienza come autore sarà serena a vita. www.rhymeband.com


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THE MENZINGERS

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Raccolti i frutti dell’acclamato “On the impossibile past”, per i Menzingers è tempo di rimettersi al lavoro e di pensare al nuovo disco. Noi, nel frattempo, abbiamo un po’ tirato le somme del loro 2012 assieme al cantante e chitarrista Tom May. Di Stefano Russo

life e

È

passato quasi un anno ormai dall’uscita di “On the impossibile past”, il vostro ultimo disco: cosa è cambiato nelle vostre vite, come band e come individui, in questi mesi? Tom May (voce, chitarra): Sono cambiate un sacco di cose nell’ultimo anno! Siamo cresciuti molto, sia come band sia come persone, e senza dubbio non siamo dei ragazzi arrabbiati e incasinati come prima. Abbiamo ancora molto da imparare sulla musica e su noi stessi, ma ogni mattino quando mi sveglio mi sento più forte. Ovviamente abbiamo qualche rimpianto e qualche errore alle spalle, ma non penso sia possibile crescere senza averne qualcuno. Ad ogni modo, è stato davvero un anno incredibile. Suonare in un sacco di posti diversi, dividendo il palco con numerose band, vi ha in qualche modo influenzato artisticamente e personalmente? Dobbiamo aspettarci qualcosa di nuovo, o di diverso, nel vostro prossimo disco? T.M.: Sì, siamo diventati piuttosto esperti nel girare il mondo. Dopo essere venuti a contatto con così tante persone, band, culture e paesi abbiamo assolutamente allargato la nostra visione del mondo e aperto molto di più le nostre menti. Per quanto riguarda il nuovo disco, dovrete aspettarvi sia qualcosa di nuovo che di diverso rispetto ai precedenti lavori… e per noi tutto questo è molto eccitante. L’album è in cima a tutte le classifiche dei migliori dischi punk/ alternative del 2012: pensi che questa cosa possa diventare causa di pressione psicologica durante la lavorazione del suo successore? T.M.: Questa è un’ottima domanda. Dire che non ci stia portando a sentire un nuovo tipo di pressione psicologica sarebbe un’enorme bugia. Dovrà essere dannatamente buono, capisci cosa intendo? Ma sinceramente credo che non avremo problemi a guardare le cose in prospettiva e a lavorare in modo rilassato. Dopotutto, noi scriviamo canzoni, è questo che facciamo, dobbiamo solo ricordarcelo e non farci travolgere. Quali dischi metteresti nella tua personale Top 3 del 2012 invece? T.M.: “Floral green” dei Title Fight, “Giant orange” dei Cheap Girls e “Awkward breeds” dei Sidekicks. Qual è stato il momento migliore e quale il peggiore di questi ultimi dodici mesi? T.M.: Il momento migliore è stato senza dubbio il tour da headliner assieme proprio ai Cheap Girls e ai Sidekicks. Abbiamo girato molto anche con i Bouncing Souls e i Luther, ed è stato esagerato! I momenti peggiori sono legati più che altro a vicende personali, ma in effetti anche essere derubati del furgone non è stato per nulla divertente. A proposito della vostra disavventura (il loro furgone è sparito, assieme a tutta la strumentazione e agli effetti personali, dopo una data in Inghilterra, nda), avete raccontato in diverse interviste che un sacco di persone vi hanno aiutato economicamente a rimettervi in piedi: vi aspettavate un supporto così grande e concreto? T.M.: No, non ci saremmo mai aspettati una reazione simile, è stato pazzesco! Beh, è la prova che lo spirito di unione è ancora vivo all’interno della scena punk… T.M.: Assolutamente. Non potevamo crederci, gente da ogni parte del mondo è corsa immediatamente in nostro aiuto. È stato davvero commovente. C’è una band in particolare con la quale vorresti dividere il palco tra quelle con cui non lo avete già fatto? T.M.: Oh sì, vorrei davvero riuscire a suonare con i Rancid! E di quelle con cui avete suonato invece cosa mi dici? Ce n’è una in particolare che preferisci? T.M.: Non sono solito fare gerarchie nella musica e poi finirei col nominarti probabilmente le peggiori! Quali sono i prossimi piani? Avete in programma di registrare qualcosa di nuovo già quest’anno? T.M: Beh, per ora abbiamo in programma di fare altri concerti e nel frattempo inizieremo a scrivere nuovo materiale. Se tutto va secondo i piani, saremo pronti per registrare già quest’anno. E non vedo l’ora. www.facebook.com/themenzingers

RockNow 51


DISCO DEL MESE

THE BRONX “IV”

(ATO Records/Self)

S

★★★★

e il disco del mese dello scorso numero (“True north” dei Bad Religion, nda) ci aveva spinto a un elogio della “fedeltà alla linea”, questa volta siamo invece stati fulminati da una band che con il suo nuovo album (il quarto in dieci anni di carriera) ha fatto della propria evoluzione stilistica un inequivocabile punto di forza. Con “IV”, il quartetto losangelino (visto recentemente qui da noi come opener degli Hives) centra un disco che senza dubbio si candida a essere uno dei migliori di questo 2013 appena iniziato. L’hardcore degli inizi è ancora ben presente in termini di attitudine e di aggressività sonora (soprattutto nel riffing delle chitarre che si distinguono per un suono sporchissimo e per nulla artefatto,

52 RockNow

al contrario di come ormai spesso capita nei generi più estremi), ma la verità è che stiamo parlando di un disco maledettamente rock’n’roll. I Bronx fanno ormai parte di diritto di quella (purtroppo) poco nutrita schiera di band che riescono a far quadrare perfettamente una complessa formula composta dalle influenze più disparate, senza mai rischiare di annoiare l’ascoltatore per un eccesso di ostentazione delle stesse o ancora peggio finendo con l’essere oltremodo prolissi. Non sono molti, difatti, i gruppi in circolazione che riuscirebbero a miscelare così tanta varietà di sfumature e personalità in un suono così energico e compatto, e soprattutto che riuscirebbero a infilare poi il tutto in un disco che ti arriva come un pugno in

recen faccia, fermando le lancette del cronometro poco più in là dei 35 minuti. Durata che, già di per sé, rivela comunque quanto la vena punk sia ancora pesantemente marcata. Maledettamente rock’n’roll, dicevamo, perché questo “IV” può fregiarsi non solo di un songwriting altamente sopra la media, ma anche di testi mai banali (senza tuttavia neppure essere troppo seriosi o pesanti), contribuendo così, assieme alle ottime melodie vocali, a creare un mood da festa selvaggia. L’opener “The unholy hand”, “Ribcage” o il singolo “Youth wasted” ne sono probabilmente i migliori esempi, e all’interno della tracklist sono sapientemente alternate a brani più carichi che spesso rimandano ai Gallows di “Grey Britain” (“Too many devils”, “Under the rabbit”) e a episodi più tranquilli come la weezeriana “Torches” e la sorprendente punk ballad “Life less ordinary”. Forse ad alcuni il paragone sembrerà parecchio azzardato, ma alle nostre orecchie i Bronx suonano più o meno come i nipotini hardcore dei Motörhead, con una passione

nemmeno troppo segreta per i Nirvana di “In utero” e le linee vocali tipiche dell’hard rock anni ’80 (proprie degli episodi più punk di Skid Row e Guns n’ Roses). Di sicuro qualche fan della prima ora, più affezionato a un certo tipo di hardcore più fedele alle radici, potrebbe storcere il naso, ma “IV” è un disco che sarà in grado di conquistare ammiratori nei più disparati microcosmi della galassia del rock. Destinato, molto probabilmente, a diventare in breve tempo un piccolo oggetto di culto.



 Stefano Russo


nsioni CIRCLES TAKES THE SQUARE

"Decompositions: volume number one" (Gatepost Recordings)

★★★

FOREVER ENDED YESTERDAY “Imiarma”

(This Is Core Music)

★★★

Al primo impatto con “Imiarma”, il pensiero è subito volato alla fine degli anni 90, quando la scena emo/screamo iniziava a prendere piede anche in Italia, grazie soprattutto a band come gli Hopes Die Last che per certi versi potremmo definire i pionieri del genere. Il caso dei Forever Ended Yesterday è molto incline a quanto detto qui sopra, in quanto il loro

Foto Claudine Strummer

Sedici mesi: questo il tempo trascorso dal primo annuncio alla concretizzazione di "Decompositions: volume number one". Anticipato dall'EP "Chapter 1: rites of initiation" (i cui brani costituiscono la prima parte del lavoro in esame), l'atteso full-length dei Circles Takes The Square si presenta come un intenso viaggio spirituale in bilico tra religione e mitologia. L'ascolto non è dei più facili. Screamo, post-hardcore, grindcore e melodic rock si inseguono e alternano, a formare un intreccio di suoni la cui assimilazione richiede dedizione e costanza. Superato lo sgomento

iniziale, il disco regala ottimi momenti ("Spirit narrative", "Prefaced by the signal fire", "North star, inverted") e si fa portavoce di una realtà dalle indubbie qualità. Michele Zonelli

LINEA 77

“La speranza è una trappola (part 1)”

★★★★

(Inri)

Si è parlato molto dei Linea 77 in questi ultimi mesi, cosa normale se consideriamo la popolarità del gruppo e i vari cambiamenti che ne hanno movimentato la formazione. Al centro di qualsiasi discussione, però, deve esserci sempre e comunque la musica; devono essere le canzoni a parlare e in questo atteso lavoro lo fanno nel miglior modo possibile: in maniera diretta e senza inutili giri di parole. I Linea 77 sono incazzati, hanno gli occhi sgranati su una società allo sbando, prossima al collasso e non si fanno pregare per urlare la loro rabbia. Attitudine hardcore, piglio sperimentale e la voglia di andare oltre: il risultato è racchiuso in queste sei tracce, una più bella dell’altra, tra suoni freschi e testi tra i migliori “partoriti” dal combo piemontese. “Il veleno” e la title-track dovrebbero essere suonate a Montecitorio, mentre si rivelano azzeccati gli archi in “Un uomo in meno” e gli inserimenti electro in “Avevate ragione voi”, questi ultimi estremizzati nella fantastica “La caduta”, travolgente esempio di dubstep/metal (in collaborazione con gli LN Ripley). Se poi avete ancora voglia di sparlare o farvi le seghe su qualche social network… “La musica è finita”. Dimenticavo: Dade alla voce? Perfetto. Daniel C. Marcoccia

nu rock essere molto giovani ha sicuramente dato loro quel coraggio che oggi manca a molti nomi. Puntando totalmente sulla melodia vocale e su un sound alternative rock, i nostri hanno messo in piedi un mini piacevole all’ascolto, dove i primi Silverstein hanno molto da dire in fatto di influenze. Da segnalare “Silly worm” e “Something more”, brano fatto su misura per le charts collegiali d’Oltreoceano dal ritornello ammaliante. L’ennesima band italiana da tenere d’occhio. Giorgio Basso

HINDER

"Welcome to the freakshow" (Universal Republic)

★★

Attirata l'attenzione grazie a un indovinato album di debutto, gli Hinder hanno cavalcato il successo sfornando dischi il cui destino è stato affidato (in più occasioni) a ottimi singoli radiofonici. "Welcome to the freakshow", quarta prova in studio, poco si discosta dal passato. Oggi la formula inaugurata ormai 8 anni fa ha perso mordente e interesse e l'assenza di innovazione si fa sentire. "Save me" e "Ladies come first" sono ottime opening, ma tutto si esaurisce qui. Passaggi up-tempo, grandi aperture melodiche e forti richiami alla scuola portata alla ribalta da Nickelback e affini faticano a tenere il passo. L'album perde mordente strada facendo e le poche eccezioni ("Freakshow", "Wanna be rich") non bastano a fare la differenza. Peccato. Michele Zonelli

HOLLYWOOD UNDEAD "Notes from the underground" (A&M/Octone Records)

★★★★

Terzo album per il collettivo rap-rock Hollywood Undead, "Notes from the underground" eleva e ostenta gli eclettici gusti e le particolari doti degli autori. Il singolo "We are" ben riassume l'opera, in bilico tra nu rock, elettronica, rock e (ovviamente) rap. Caratterizzati da scuole di pensiero non così distanti come si è soliti pensare, i confini entro cui il progetto si muove perdono identità, a favore di un'eterogeneità sempre più complessa. I suoni industrial di "Dead bite" offrono il perfetto trampolino per la nevrotica "From the ground". I ritmi dance di "Another way out" cambiano nuovamente le carte in

tavola e tutto procede senza regole fino alla conclusiva "Ouside". Sperimentale, poco incline ad accostamenti e degno di rispetto. Michele Zonelli

KLOGR

“Till you turn”

(Zeta Factory/Valery)

★★★★

Dopo aver esordito con l’ottimo album “Till you decay” e allineato una lunga serie di concerti (anche negli States), i nostri Klogr pubblicano ora questo EP con quattro brani nuovi e tre registrazioni dal vivo. Il gruppo di Gabriele “Rusty” Rustichelli si conferma anche questa volta molto bravo nel comporre e suonare un heavy rock moderno, potente e, soprattutto, al passo con le migliori produzioni d’Oltreoceano. Prodotte da Olly dei Fire e suonate assieme ai Timecut, “King of unknown” e “Vultures feast” sono semplicemente ottime (nella seconda troviamo pure il featuring al basso di Maki dei Lacuna Coil), mentre “Voice of cowardice” e “Guinea pigs” travolgono letteralmente (produzione della Dysfunction e mixaggio di Logan Mader). Le tracce live (“Silk and thorns”, “Bleeding” e “Green star”) sono la migliore testimonianza dell’attitudine live dei Klogr. L’EP è disponibile anche su chiavetta USB (solo 150 copie) racchiusa in una bella scatolina di metallo (giustamente). Daniel C. Marcoccia

SILVERSTEIN

"This is how the wind shifts" (Hopeless)

★★★

Sette dischi in dieci anni non sono pochi, troppi secondo alcuni e, a ben guardare, forse non è poi così sbagliato come concetto. Se le ultime prove firmate Silverstein non hanno mai realmente convinto, non è questo il caso di "This is how the wind shifts". Concept album legato alla vita e a come un singolo evento possa mutare radicalmente una persona, il disco, in bilico tra post-hardcore e nu rock, alterna ruvidi passaggi ad ammiccanti ritornelli, per poi tornare sui propri passi e offrire terreno fertile per brevi e suadenti parentesi melodiche. Le note "Stand amid the roar" e "Massachusetts" ben rappresentano il concetto. Sincero, convincente e per nulla scontato, il prodotto riporta in auge una realtà la cui dedizione merita stima e credibilità. Michele Zonelli

RockNow 53


ROCK/POP CONTINUAL DRIFT 
“Reality”

(Valery Records)

★★★

Dopo oltre dieci anni di attività, per i varesini Continual Drift è finalmente il momento della prova sulla lunga distanza. Siamo nel mondo dell’hard rock americano più moderno e riffoso, quello che mette spesso tutti d’accordo, dal metallaro più cattivo all’amante delle melodie e dei tecnicismi più tipici dell’AOR del secolo scorso. “Reality”, però, possiede anche una discreta vena alternative, avvertibile soprattutto quando il quartetto toglie il piede dall’acceleratore, e questo contribuisce ad allontanare il rischio di suonare troppo monotono alle orecchie di chi non è abbastanza

abituato a certe sonorità rock mainstream. Una buona base di partenza, ma a dirci veramente di che pasta sono fatti i Continual Drift sarà tutto quello che sapranno costruirci sopra adesso. Stefano Russo

FINLEY

“Sempre solo noi (1985 limited edition)” (Gruppo Randa)

★★★

Per festeggiare i primi dieci anni di carriera, i Finley ristampano il loro riuscito ultimo disco in una esclusiva edizione a tiratura limitata che vede l’aggiunta di un secondo CD intitolato “Sempre solo noi”. Un ottimo regalo per i tanti fan della band lombarda, sempre pronti a sostenerla anche quando questa

recen ha saputo rimettersi in gioco lo scorso anno con un disco autoprodotto. Se di “Fuoco e fiamme” abbiamo già parlato a suo tempo, “Sempre solo noi” ci conferma l’ottimo stato di forma dei quattro musicisti con un riuscito mix tra brani ritmati e ballate (prodotto giustamente ancora una volta assieme a Guido Styles). Dei primi segnaliamo “Undici” e “Le mie cattive abitudini”, mentre tra quelli più lenti sicuramente la title-track. Buon compleanno. Stefano Russo

FREE FALL

"Power & volume" (Nuclear Blast/Warner)

★★★

“Power & volume”, indiscutibilmente le basi del rock’n’roll. E insieme a una copertina altrettanto

TOMAHAWK “Oddfellowsˮ

(Ipecac/Goodfellas)

★★★

Foto Dustin Rabin

Ritmi lenti e ipnotici, cantato profondo a effetto e tanta psichedelia. Come i Black Sabbath in preda a un acido, se preferite. Così si presenta all’ascoltatore la prima traccia del nuovo e quarto lavoro dei Tomahawk, per i meno scafati un dei (tanti) pazzi progetti musicali dell’ex Faith No More Mike Patton. L’album “Oddfellows” è questo e mille altre cose. Tredici canzoni di rock realmente alternativo ed eterogeneo, a tratti sperimentale, a tratti quasi “normale”, a tratti di difficile comprensione anche per l’ascoltatore più coraggioso. Non è concesso stupirsi quindi se Mike e il resto della band (Duane Denison, John Steiner e Trevor Dunn) passano disinvoltamente dal punk rock quasi orecchiabile di “Stone letter” all’alternative rock di “White hats/Black hats”, piuttosto che dal jazz di “Rise up dirty waters” alla psichedelia malata di “The quiet few”. Qui non c’è - direi volontariamente - una forma che i Tomahawk vogliono seguire, ma solo sostanza e creatività lasciata libera di andare a esplorare i territori che più aggradano ai quattro musicisti. Come praticamente tutti i progetti musicali di Mike Patton, insomma, un disco bello ma quasi impossibile. Luca Nobili

“basilare”, la primissima impressione che questo disco vuole passarci è un’essenzialità e crudezza che trova perfetto riscontro musicale nel contenuto. Ancora una volta la Svezia ci regala un’altra band di rock grezzo che bada al sodo, di sicuro ad innovazione zero ma altrettanto indiscutibilmente valida e trascinante. I Free Fall, gruppo composto da ex membri di The Soundtrack Of Our Lives e The (International) Noise Conspiracy, sono marcatamente seventies e ruvidi nei suoni, anche se nelle loro canzoni manca a volte quel ritornello che ti si appiccica addosso. Considerando il background dei musicisti, c’è da scommettere che dal vivo spaccano! Luca Nobili

FIDLAR “Fidlar”

(Wichita/Self)

★★★★ Fossi in voi, se amate il punk rock di quello grezzo non perderei di vista i Fidlar (che significa Fuck It Dog Life’s A Risk…). Hanno da poco pubblicato il loro primo disco, con canzoni da “tre accordi” fatte come si deve… anche se sono passate ere geologiche, musicalmente parlando, dalle origini del genere. Ritornano in qualche modo a vivere i Cramps, in uno strano mix con i Germs e gli intramontabili Black Flag (come in “Whore”, “Cheap beer” o “No waves”). Ma c’è qua e là anche qualche reminiscenza Clashiana, che chiude il tutto come una perfetta ciliegina sulla torta. Consiglio ai naviganti: a marzo passeranno in concerto al Lo-Fi di Milano. Io non li perderei. Arianna Ascione

GAMBARDELLAS “Sloppy sounds”

(BigWave Records/Audioglobe)

★★★

È giunto il momento dell’esordio per questo nuovo progetto di Mauro Gambardella, batterista noto nel giro indie-rock di casa nostra (Thee Jones Bones e The R’s). “Sloppy sounds” ci regala 30 minuti di ottimo rock, con le chitarre sempre in primo piano e gli arrangiamenti decisamente gustosi e perfetti nel regalare diverse sfumature alle nove tracce. Se “Flash” ricorderà forse ad alcuni i Franz Ferdinand, “Living the night” ha invece un tiro

54 RockNow


nsioni più powerpop e danzereccio, “Freeway” sconfina addirittura nello stoner, mentre non mancano neppure momenti di rock più “classico” (“Needs”). In chiusura troviamo “Valley”, uno dei brani migliori del disco e capace a lui solo di racchiudere tutta la personalità dei Gambardellas. Amalia Maya Noto

NIAGARA “Otto”

(Monotreme Records)

★★★

Dal genio di Davide Tomat ecco l’ennesimo incantevole progetto, stavolta in simbiosi con Gabriele Ottino. Manipolando e improvvisando qua e là nasce un lavoro denso di colori, misto di pop sperimentale, elettronica e psichedelica. Da un lato si alternano pezzi dall’aria sognante e arcadica come il surreale singolo “Seal”, l’acustica “Eight” e la stupefacente “Etacarinae”, che partendo da atmosfere beatlesiane si trasforma in una cavalcata psichedelica. Dall’altro ecco percorsi cari ai N.A.M.B., come “Watershipdown”, “E.V.A.” e “Galaxy glacier”, in cui abbondano synth fragorosi. Ancora una magnifica prova della vitalità di un pianeta torinese in grado ogni volta di forgiare un impianto sonoro originale e perfettamente riconoscibile, capace sempre di emozionare. Nico D’Aversa

RAIN DOGS

“Lies alibis and lullabies” (Soffici Dischi/Audioglobe)

★★★

Il progetto Rain Dogs nasce dall’incontro tra il cantautore Andrea Ferrante e il DJ e produttore di elettronica Luigi Gori. Da questa strana accoppiata viene fuori una miscela di respiro internazionale, rock ed elettronica che si fondono con la profondità del cantautorato. Il disco scorre subito potente e compatto, a partire dal singolo “Brand new enemy”, in deciso stile Arctic Monkeys e alla cui produzione hanno partecipato Franco e Cesare dei Negrita. Degne di nota l’intensa “Idiots walk in a row”, l’ariosa “Nobody’s running (under the moonlight)”, l’elegante “The end”, l’energica “Rockin’ on my own”. Forse a fine percorso l’album suona un po’ ripetitivo, sensazione probabilmente dovuta

al massiccio utilizzo dell’elettronica. In ogni caso una piacevolissima novità. Nico D’Aversa

SONIC BOOM SIX “Sonic Boom Six” (Xtra Mile Recordings)

★★★

Se a questo giro tornano gli anni Novanta io sono più che contenta: il disco dei Sonic Boom Six sembra infatti un bizzarro incrocio tra i Chumbawamba e i Bran Van 3000, solo con qualche riff più aggressivo. Il loro sound è difficilmente classificabile dato che unisce rap, elettronica, pop, dubstep, coretti da stadio, riff power metal e, infine, suona pure molto “inglese” (e non solo perché la band arriva da Manchester). Del tipo che sarebbero stati perfetti per la colonna sonora di "Trainspotting", soprattutto con pezzi come “Karma is a bitch” o “Gary got a gun”. Non so se perché mi ricorda la mia adolescenza, ma il disco è molto godibile. Non sembrano nemmeno prendersi troppo sul serio ma, anzi, si divertono davvero moltissimo a sperimentare per ottenere risultati completamente fuori di testa. Arianna Ascione

ADAM CARPET “Adam Carpet” (Rude Records)

★★★★ Proposta particolare e decisamente accattivante quella degli Adam Carpet, progetto strumentale che vede coinvolti due batteristi di nostra conoscenza, Diego Galeri (Timoria) e Alessandro Deidda (Le Vibrazioni), assieme a una coppia di bassisti (Edoardo Barbosa e Silvia Ottanà) e un chitarrista (Giovanni Calella). I brani proposti in questo disco di debutto colpiscono per la loro eterogeneità e per quel senso di libertà compositiva che sembra alla base del progetto. Il risultato è comunque un gustoso caleidoscopio di suoni e di atmosfere. Assimilabili ai Mogwai nelle parti più elettriche (“I pusinanti”, la frenetica e bellissima “The charge”), diventano persino “ballabili” quando si lanciano in digressioni più elettroniche come in “Manmasquerade” o ancora “Carlabruni?”. Installazioni sonore da scoprire anche in chiave live. Daniel C. Marcoccia

ROCK/POP


recen

METAL CAYNE "Cayne" (Graviton)

★★★

Proprio mentre mi accingevo a scrivere questa recensione è arrivata la notizia della triste scomparsa di Claudio Leo, chitarrista dei Cayne. Una tragedia umana che spero possa non pregiudicare il futuro della band, che vi assicuro essere senza alcun dubbio una delle migliori realtà italiane in ambito hard rock. Un aspetto emerge sin dal primo ascolto: l’album dei Cayne “suona” molto internazionale. Grandiosa produzione, suoni rock decisamente moderni, canzoni che si ascoltano con piacere e possono far breccia sia nel pubblico amante del rock duro che in quello più...”casual”. Mi ha colpito in particolare l’utilizzo del violino elettrico, suonato dal tastierista Giovanni Lanfranchi: un’arma in più per i Cayne, che invito a utilizzare anche di più per il futuro. Luca Nobili

DARKTHRONE "The underground resistance" (Peaceville)

★★★

Noto con piacere che l’evoluzione dei Darkthrone continua anche nel nuovo “The underground resistance”, a sfregio dei puristi del black metal norvegese. Come già da qualche anno a questa parte, il diabolico duo Nocturno Culto & Fenriz si diverte a essere sempre meno black e sempre più metal; senza dimenticare quel po’ di punk che (coraggiosamente) sporca e rende più grezzo il sound dei Darkthrone targati 2013. Basta ascoltare la prima traccia “Dead early” per finire in un universo in cui i Venom e i Misfits jammano insieme da bravi fratelli... Scusate se è poco. Se Lemmy fosse nato a Oslo e un paio di decadi più tardi, suonerebbe più o meno quello che si ascolta in “The underground resistance”: meglio di così non ve lo posso descrivere questo disco! Luca Nobili

SAXON (UDR Records/EMI)

56 RockNow

"The living infinite" (Nuclear Blast/Warner)

★★★★

Gli svedesi Soilwork non si risparmiano certo in questo loro nono album “The living infinite”! Venti tracce di death metal suonato con ottima tecnica e un abbondante senso della melodia; non sarà un disco “infinito” come il suo titolo, ma certo non è abitudine comune far uscire un album doppio per band di questo tipo. Tanta quantità a discapito della qualità? Lo so, ve lo state chiedendo e sono lieto di rispondere con un bel no. “The living infinite” è in toto un gran bel disco metal, sotto certi aspetti un po’ più figlio degli anni ’90 che di oggi (non per nulla la band nasce nel 1996)... ma non lo dico come critica. I Soilwork viaggiano spediti sugli stessi binari percorsi da nomi del calibro di Hypocrisy, In Flames e Children Of Bodom. E per quanto mi riguarda questo significa musica metal di qualità, non certo svendersi al successo commerciale come qualche metal kid dotato di paraocchi e visione ristretta potrebbe sospettare. Ai Soilwork è sempre mancato qualcosina per sfondare definitivamente nei cuori degli amanti del genere: questa potrebbe essere la volta buona. Luca Nobili Questa è la semplice, forse banale ma efficace immagine che proietta l’album “Sacrifice” nella mente dell’ascoltatore. Il mitico singer Biff Byford, presentando il disco, afferma che la band non ha avuto paura di ispirarsi ai grandi classici del passato (cinque dei quali potrete ascoltare in versione “rivista”, se acquistate la limited edition dell’album)... e sì, devo dire che non si tratta della classica affermazione marketing di comodo ma di realtà. Certo, gli anni sono passati anche per i Saxons, e sebbene “Made in Belfast” e “Stand up and fight” non sfigurano se accostate al migliore materiale della band, il resto del disco è ben suonato e “mooolto” metal. Ma nulla più. Luca Nobili

ARMS LIKE ANCHORS

“In a golden reign” (This Is Core Music)

★★★

"Sacrifice"

★★★

SOILWORK

Corna al cielo, headbanging, air guitar, birra a fiumi. Insomma, il paradiso del metallaro!

Metalcore new school, così potremmo definire “In a golden reign”, EP di debutto dei milanesi Arms Like Anchors, un gruppo che nei cinque brani proposti si dimostra al passo coi

tempi e soprattutto abile nel proporre composizioni assai varie. Fa infatti piacere vedere come in ogni loro pezzo si passi dal classico breakdown a belle aperture melodiche, passando poi attraverso richiami al deathcore e al tanto amato hardcore. La registrazione aiuta poi i singoli strumenti a emergere all’unisono, qualità che aiuta non poco “In a golden reign”. Un esordio decisamente sopra la media. Giorgio Basso

IVAN MIHALJEVIC & SIDE EFFECTS “Counterclockwise” (Zeta Factory)

★★★

Nuovo album per Ivan Mihaljevic e i suoi Side Effects, power trio originario della Croazia che ha saputo negli anni mettersi in luce con il suo heavy rock potente e dal forte impatto. Tecnica, assoli e arrangiamenti che ci riportano verso band quali Racer X, Dokken e Mr. Big, e riuscite aperture melodiche ad ampio respiro che si inseriscono tra riff di chitarra e ritmica possente. Se vi piace il genere, allora troverete sicuramente di vostro gradimento tracce come “Build your destiny”,

“Driving force”, “Gift of life” (uno dei brani migliori del disco, epico nelle sonorità come nel ritornello) e la bella ballata “Gilded cage”. Segnaliamo pure il “masterpiece” del disco, “Eclipse” che nei suoi 12 minuti racchiude tutto il savoir faire di Ivan e dei suoi complici. Piero Ruffolo

TEKSUO “Threnos”

(Murdered Music)

★★★

Questi spagnoli in fatto di death metal melodico sanno il fatto loro. Il nuovo lavoro “Threnos” è un concentrato di elementi sonori cari al Nord Europa, amalgamati con cura a ciò che la scuola heavy statunitense ci ha donato dalla fine degli anni 90 a oggi. Ascoltando i nuovi brani si percepiscono facilmente le varie influenze, che vanno dai Killswitch Engage, per quel che riguarda la capacità di partorire riff accattivanti, ai Dark Tranquillity, per la qualità del songwriting. Anni di esperienza hanno fatto poi il resto, rendendo “Threnos” un disco adattissimo a svariate tipologie di ascoltatori. Un pregio non da poco coi tempi che corrono. Giorgio Basso


nsioni THE PHOENIX FOUNDATION “Silence”

(Passing Bells Records)

★★★

Avevo scoperto questa band finlandese qualche anno fa ad un concerto punk rock in una bettola di Helsinki e da allora non ho praticamente più smesso di ascoltarli. A conquistarmi furono le loro atmosfere cupe e malinconiche sostenute da un punk rock mai scontato di scuola Husker Du. Con quest’ultimo disco, “Silence”, la band di Turku scava ulteriormente nel suo lato oscuro abbassando un po’ i toni rispetto alle uscite precedenti e ci regala otto pezzi di ottima fattura, introspettivi e diretti. Peccato che il quartetto suoni pochissimo fuori dalla Scandinavia e quindi vederli dal vivo è una vera e propria impresa. Visto che il disco è di facile reperibilità sul Web, il mio consiglio è quello di non farvi scappare questo ottimo prodotto del panorama indipendente europeo. Andrea “Canthc” Cantelli

CARRY ALL “Drink it yourself”

(D.I.Y. ProudActions/Ammonia Records)

★★★

THE LEECHES

“Underwater”

★★★★

Foto Paolo Proserpio

(Tre Accordi Records)

Esiste un punto in cui il momento storico all'interno del quale un disco viene pubblicato assume un peso specifico superiore al valore artistico dello stesso? Io credo proprio di sì e questo nuovo album dei nostrani Carry All non fa che rafforzare la mia convinzione. Le 13 tracce in questione sono un bel mix di tutto ciò che di buono ha partorito il SoCal punk nei ’90, suonato bene e con (grazie a Dio) una certa attenzione per i ritornelli, aspetto purtroppo ormai sempre più sottovalutato. La presenza dei fiati rende inevitabili i paragoni con tutte le band ska-core del caso, dai Less Than Jake in giù, ma questo non significa che questi sette ragazzi non abbiano sufficiente talento e personalità. E, proprio per questo, è quasi un peccato che un disco del genere sia uscito nel 2013. Stefano Russo

DUFF

PUNK/HC ancora la stessa voglia di suonare degli inizi. Meglio così e i quattro musicisti cresciuti a pane e NoFx non deludono affatto i loro estimatori proponendo ancora una volta motivetti punk/rock di facile presa e dai testi caratterizzati da una sana ironia. Basta ascoltare brani come “Cristianità”, “La tua storia”, “Pasta e avanzi (di un sabato sera)” o la più che eloquente ed esilarante “Voglio diventare un hipster” per ritrovarsi in piccoli spaccati di società, tra vita di provincia, personaggi dall’immagine impostata e “veline aspiranti che per aspirare aspirano ma solo con registi importanti”. Nulla di nuovo, soprattutto a livello di suoni (un po’ ripetitivi), ma è nei testi che molti ragazzi si ritroveranno. Piero Ruffolo

un doppio CD+DVD che documenta i due show tenuti nel 2008 al Metro di Chicago. Concerti che si sono poi rivelati essere stati la scintilla che ha portato alla definitiva reunion, coronata poi in grande stile nel 2012. Una scaletta di 30 brani (24 nel DVD) che ripercorre tutta la loro carriera fino a “The new what’s next” e che ovviamente include svariati piccoli capolavori come “Remedy” e “Trusty chords”. Canzoni che, se vi professate fan del punk e/o dell’hardcore, fareste meglio a conoscere. Stefano Russo

HOT WATER MUSIC

Con una dichiarazione d'intenti come “defend pop/ punk” è difficile non capire da subito di che pasta siano fatti questi baldi romagnoli. Con l'EP “This is who we are”, i Now.Here mostrano idee e brani accattivanti, sulla scia di primi Green Day e Blink-182. I loro pezzi sono da gustare tutto d'un fiato e senza troppi pensieri, ritmicamente lanciati a velocità vietate dal codice stradale e da una tonalità melodica nel cantato decisamente accattivante. Il fattore live ha inciso molto sulla crescita di questo gruppo, ormai pronto al grande passo chiamato album. Giorgio Basso

“Live in Chicago”
 (No Idea Records)

“Ci sono gente che non stanno bene” (Indiebox/Venus)

★★★

Da Cosenza con coerenza! Quindici anni legati alla scena punk di questo paese e

★★★★

Gli Hot Water Music di Chuck Ragan, tornati alla ribalta lo scorso anno con il superbo “Exister” (uno dei dischi più acclamati anche da noi in redazione e da voi lettori), collaborano con la loro vecchia label per dare alle stampe

A distanza di due anni dall’ottimo “Get serious”, tornano con un nuovo album i Leeches confermandosi una delle migliori realtà punk in Italia. Il quartetto di Como si affida all’esperta produzione del newyorkese Daniel Rey (Misfits, Ramones) e il risultato è un punk rock adrenalinico, ruvido e velocissimo. Ventotto minuti per tredici pezzi che vengono sparati uno dopo l’altro come proiettili e lasciano un segno indelebile nelle orecchie e nell’animo di chi li ascolta. Tra i brani che meritano menzione particolare, segnalo la traccia d’apertura “I’m everything to me” che da un’idea ben precisa della piega che prenderà il disco da lì in poi. “Standing on my tomb” potrebbe essere la loro “Pet semetery” (e il paragone non è solo un fatto di cimiteri), mentre “Too hungry to pray” è forse un po’ meno serrata nel ritmo, ma con una di quelle melodie che ti riecheggia in testa per giorni e giorni. Il mio giudizio non può essere che estremamente positivo: “Underwater” è un ottimo disco di punk rock duro e puro. Per goderne appieno, andatevi a sentire i pezzi dal vivo, la band sta facendo un lungo tour italiano. Andrea “Canthc” Cantelli

NOW.HERE

“This is who we are” (This Is Core Music)

★★★

TOTALE APATIA
 “Sempre al top” (IndieBox)

★★★ Ridendo e scherzando, i Totale Apatia sono ormai parte attiva e integrante della scena italica da ormai 15 anni, e questo non può che far loro onore in un paese dove fare musica punk implica necessariamente una lunga serie di difficoltà e impedimenti di vario tipo. Un nuovo punto a loro favore è questo nuovo EP, conferma di una fedeltà a quel punk rock tricolore che tanto furoreggiò nei tardi anni ’90 e che è stato poi rinnegato da non poche band in cerca di maggiore fama. Sei tracce veloci, una manciata di accordi e testi schietti e onesti come meglio si confà al genere. Se è vero che esiste ancora un pubblico che ama tutte queste cose, allora queste sei canzoni non faticheranno troppo ad accontentarlo. Stefano Russo

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THE LINE

In collaborazione con Extreme Playlist

Anche quest'anno nel mese di gennaio a Davos, nella svizzera tedesca, si è svolto l’O’Neill Evolution, uno dei contest di snowboard più spettacolari d'Europa che nella sua ultima edizione, grazie alla partecipazione dei migliori rider mondiali, ha visto innalzarsi il livello del freestyle. Testo di Markino - Foto by O'Neill

L

'evento facente parte del circuito TTR (Ticket To Ride) World Snowboard Tour si divide in due categorie, maschile e femminile e nelle discipline di Big Air e Halfpipe. Sei giorni dedicati allo snowboard, con training per i riders, meeting, qualifiche e i tanto amati party (all night long) che si sono conclusi con la finale notturna sul gigantesco kicker. Per tutti gli appassionati che non hanno potuto partecipare di persona durante la settimana c’è la possibilità di seguire le finali in diretta live sul sito ufficiale. Format di gara standard per l’Halfpipe e un format “man-on-man” (uno contro uno) per il Big Air che comprendeva anche l’esecuzione di trick sui rail posti nelle due strutture appena dopo il landing del kicker. Questo incredibile evento ha fatto parlare molto di sé soprattutto perché

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per la prima volta in una gara europea sono state effettuate due manovre estremamente difficili e tecniche: “Backside Triplo Cork 1440” realizzato dal diciottenne canadese Maxance Parrot, vincitore assoluto della gara, e “Triplo Frontside Rodeo” del quindicenne americano Kyle Mack che ha conquistato la seconda posizione. Per capire meglio quello di cui stiamo parlando fatevi un giro sul sito ufficiale (www.oneill.com) e guardate con i vostri occhi queste spettacolari evoluzioni!!! Nella categoria Halfpipe maschile si sono aggiudicati i primi posti Jan Scherrer e Kyle Mack mentre per la femminile la prima posizione è andata a Varena Rohrer accompagnata sul podio per il Big Air dalla giapponese Miyabi Onitsuka. Rider di casa nostra che purtroppo non è riuscito ad arrivare in finale ma che ha comunque fatto

onore allo snowboard italiano è il giovane Stefano “Munny” Munari. Durante la settimana si è svolta anche una competizione in Halfpipe a cui hanno partecipato numerosi rider della scena old school, tutti riuniti con l'intento di salutare e ringraziare lo storico Gian Simmen, snowboarder di Davos con alle spalle 23 anni di carriera professionistica e detentore di innumerevoli vittorie tra cui la medaglia d’oro alle olimpiadi di Nagano nel 98, che ha scelto questo evento per concludere con gli amici di sempre l’attività agonistica. Questa edizione, anche se priva dei nomi più conosciuti della scena snowboard vista la concomitanza con le pre qualificazioni olimpiche, ha fatto sì che spiccassero nuovi talenti della new generation e ha di nuovo fatto pensare a tutti... which will be the next level?


O’NEILL

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THE LINE

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Extreme Playlist

Ogni mercoledĂŹ, su rocknrollradio.it dalle 19 alle 21, Markino e Fumaz ci raccontano cosa succede nel mondo degli action sport attraverso le parole e i gusti musicali dei suoi protagonisti. Stay tuned!!!

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FLIGHT CASE

Un disco, un tour, un disco, un tour… Questa è più o meno la routine per molti degli artisti che avete incontrato nelle pagine precedenti. Ed è proprio ai concerti che è dedicata questa rubrica, con tuttavia una piccola differenza: questa volta vi portiamo dietro il palco alla scoperta di piccoli rituali e abitudini varie.

FREDERIC LECLERCQ (DragonForce)

Di Arianna Ascione - Foto Barbara Francone Qual è stato finora il concerto più bello che avete fatto e perché? Frederic Leclercq (basso): Mi è sempre piaciuto suonare in Giappone: non so se per il pubblico, per la cultura del Paese o se per un mix di tutti e due gli aspetti. Il concerto peggiore? F.L.: Uno degli show dell’Ozzfest, nel 2006. Ma non per colpa del pubblico o per il modo in cui abbiamo suonato. Solamente perché stavo davvero malissimo. Io sono allergico alle arachidi e sfortunatamente non avevo prestato attenzione al menu del pranzo. Il posto più bello in cui avete suonato? F.L.: È difficile dirlo. Risponderei ancora il Giappone. Ma parlando di venue, mi ricordo di quei due festival all’aperto in cui abbiamo suonato in Italia nel 2009 con Cathedral e White Skull. Qual è il pubblico più strano che avete incontrato? F.L.: Durante alcuni concerti nel sud est asiatico c’erano persone sedute sulle sedie. È stato strano anche se loro sembravano divertirsi. Alla fine li abbiamo obbligati ad alzarsi e venire più vicini al palco. Cosa non dimenticate mai di portare con voi in tour? F.L.: Io mi dimentico sempre qualcosa, ma l’importante è avere con me il mio spazzolino da denti, il telefono e il caricabatterie, un buon libro, l’iPad o un laptop, paracetamolo e Imodium… Che altro… calzini e mutande, prodotti per capelli… preservativi! E un adattatore per le prese. Se potessi porterei tonnellate di pane francese con me, ma non durerebbe a lungo! Come passate il vostro tempo tra una data e l’altra? F.L.: Se facciamo un tour con un bus, generalmente festeggiamo dopo lo show nella venue. Poi spostiamo il party sul tour bus, e poi andiamo a dormire. Mentre se stiamo facendo un tour che prevede voli da un Paese a un altro, festeggio dopo lo show, vado a dormire in albergo, non sento la sveglia, mi alzo ancora sbronzo e vado a riprendermi in aeroporto. Cosa non deve mai mancare nel vostro camerino? Avete richieste particolari? F.L.: Nessuna arachide! Di solito è scritto bello grande in rosso sul nostro rider backstage. Poi se c’è una bottiglia di whisky e una bottiglia di vino sono felice. Avete delle regole da rispettare sul tour bus? F.L.: Le stesse cose delle altre band: niente di solido nel gabinetto, non fumare (qualche volta lo faccio quando è tardi e sono ubriaco ma zitti… resti tra noi), non fare rumore quando gli altri dormono, anche se alcuni membri della band (ciao Sam!) tendono a dimenticarlo. C’è una cover che vi piace suonare durante il soundcheck? F.L.: Salgo presto sul palco così posso suonare cose diverse: se ho in mano il basso suono qualcosa dei Thin Lizzy o degli Iron Maiden. Ma anche canzoni non rock, come “Wake me up before you go-go” degli Wham!, “Blame it on the boogie”, il tema di “Love story” (perché lo trovo divertente). Se invece ho in mano la chitarra suono Morbid Angel, Whitesnake, Faith No More. Come band, credo che abbiamo rifatto da “Unskinny bop” dei Poison a “For whom the bell tolls” dei Metallica. Direi una selezione di musica piuttosto varia. Avete un rito particolare prima di salire sul palco? F.L.: Uno shot di whisky e un po’ di dopobarba. Mi sento come, non so, come quando vai a un appuntamento… (ride). Qual è la figuraccia peggiore che avete fatto dal vivo? F.L.: Ne ho fatte un bel po’! Una volta mi sono bevuto quasi una bottiglia intera di Ouzo sul palco a Milwaukee. Sempre in quel tour andavo in giro vestito grunge, ma ho anche suonato truccato quando siamo stati per la prima volta in Norvegia perché adoro il black metal.

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www.dragonforce.com


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