RockNow #8

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Mensile - Anno 2 - Marzo 2013

#8

108% metal E DINTORNI

BULLET FOR MY VALENTINE Welsh flavor Killswitch Engage - The Bronx - Biffy Clyro - Hardcore Superstar Soilwork - Silverstein - The Datsuns - Kvelertak - The Leeches Asking Alexandria – Metz – Shai Hulud – Reel Big Fish – Tremonti – blastema – totale apatia


108% ANOTHER KIND OF MAG

Mensile - Anno 2 - Marzo 2013

#8

Bullet For My Valentine The Bronx Biffy Clyro Hardcore Superstar Soilwork Silverstein The Datsuns Kvelertak The Leeches

KILLSWITCH ENGAGE Così come eravamo

Asking Alexandria – Metz – Shai Hulud – Reel Big Fish – Tremonti – blastema – totale apatia


Mensile - Anno 2 - Marzo 2013

#8

108% punk, tigri & mariachi

Bullet For My Valentine Killswitch Engage Biffy Clyro Hardcore Superstar Soilwork Silverstein The Datsuns Kvelertak The Leeches

THE

BRONX Quarto potere

Asking Alexandria – Metz – Shai Hulud – Reel Big Fish – Tremonti – blastema – totale apatia



EDITO

“The only truth is music” (Jack Kerouac)

Fare una rivista di musica significa interagire continuamente con addetti ai lavori, ovvero discografici, uffici stampa e promoter vari. Sono più di quindici anni che faccio giornali (essenzialmente di musica) e questo mi permette di avere una visione lucida di quella che è la situazione attuale della discografia e dell’editoria nel nostro Paese. Questi due settori non se la passano troppo bene, come dimostrano le vendite di dischi e allo stesso tempo i numeri delle riviste classiche, quelle fatte di carta per intenderci. Se nel secondo caso può valere ancora la scusa che in Italia non siamo grandi lettori (anche se molti giornalisti dovrebbero mettere da parte la spocchia e andare più spesso ai concerti…), nel primo si sta pagando forse il prezzo di una politica sbagliata fatta negli anni precedenti, di un atteggiamento molto conservatore (e presuntuoso) quando tutt’attorno si avvertiva aria di cambiamento. Basta dire che molti discografici - piccoli, medi e grandi - non hanno ancora capito cos’è RockNow (discorso che vale anche per BNow)… Fare un magazine di musica rock in Italia, oggi, è una vera follia. Però sa essere ancora divertente. Lo è quando ascolti in loop il disco di una giovane band (ebbene sì, può ancora capitare…), quando impagini un articolo con delle foto bellissime (aspetto spesso sottovalutato da molti gruppi italiani… Vero, Stefi?) o quando decidi di dare la copertina a un nome nuovo o ancora poco conosciuto. Alla fine, comunque, l’unica verità rimane la musica. Bene, non mi dilungo ulteriormente e vi lascio alla lettura di questo nuovo numero di RockNow. Keep on rockin’!!! Daniel C. Marcoccia @danc667 PS: da questo numero sarà possibile accompagnare la lettura di RockNow con una playlist su Spotify.

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ROCKNOW #8 - Marzo 2013 - www.rocknow.it

06-19 PRIMO PIANO

Asking Alexandria Metz Now.Here / Blastema All in the name of… Rock Dischi violenti: Reel Big Fish Shai Hulud Totale Apatia People: Ricetterock.com Hi-Tech Games Crazy… net Open Store

20-49 ARTICOLI:

20-24 Bullet For My Valentine

www.rocknow.it Registrazione al Tribunale di Milano n. 253 del 08/06/2012

Scrivi a: redazione@rocknow.it DIRETTORE Daniel C. Marcoccia dan@rocknow.it ART DIRECTOR Stefania Gabellini stefi@rocknow.it

26-29 Killswitch Engage

30-33 The Bronx

COORDINAMENTO REDAZIONALE ONLINE EDITOR Michele “Mike” Zonelli mike@rocknow.it COMITATO DI REDAZIONE Marco De Crescenzo Stefania Gabellini COMUNICAZIONE / PROMOZIONE Valentina Generali vale@rocknow.it

34-35 Biffy Clyro

36-37 Hardcore Superstar

38-39 Silverstein

40-42 Soilwork

44-45 Kvelertak

46-47 The Datsuns

COLLABORATORI Andrea Ardovini Arianna Ascione Giorgio Basso Andrea Cantelli Nico D’Aversa Sharon Debussy Alex De Meo Francesco Menghi Luca Nobili Eros Pasi Andrea Rock Stefano Russo Piero Ruffolo Extreme Playlist FOTOGRAFI Arianna Carotta Emanuela Giurano SPIRITUAL GUIDANCE Paul Gray Editore: Gabellini - Marcoccia Via Vanvitelli, 49 - 20129 Milano

48-49 The Leeches

50-55 RECENSIONI

50 Disco del mese: Pure Love 51 Nu rock 52 Pop/Rock 54 Metal/Punk 56-57 Tattoo Covention 58-61 The Line 62 Flight case: Mark Tremonti

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PRIMO PIANO

ASKING

ALEXANDRIA Youth gone wild

Sicuramente una delle giovani band più amate in ambito metalcore, gli inglesi Asking Alexandria continuano il loro lungo tour che li sta portando in giro per il mondo da più di un anno. In attesa di un nuovo album IN USCITA tra qualche mese… Di Daniel C. Marcoccia Foto Arianna Carotta

D

i tappa a Milano, dove si sono esibiti in una fredda domenica di inizio febbraio assieme a Betraying The Martyrs, Motionless In White e While She Sleeps, gli Asking Alexandria sono stati accolti da un pubblico numeroso e decisamente giovane, a testimonianza della fama raggiunta dai cinque inglesi anche nel nostro Paese. A parlare con noi, nei camerini dell’Alcatraz sono Sam Bettley e James Cassells, rispettivamente bassista e batterista del gruppo del North Yorkshire. Il suono della band si è

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molto evoluto con l’ultimo lavoro “Reckless & relentless”, con quel riuscito mix tra potenza e melodia e una chiara apertura metal: “Sì, era inevitabile d’altronde, visto che tra un disco e l’altro passiamo praticamente quasi tutto il nostro tempo a suonare in giro. Questo ti permette di migliorare come musicista ma soprattutto di crescere come band. Poi, quando abbiamo iniziato, eravamo poco più che dei teenager e con il tempo acquisisci una maggiore sensibilità e quella confidenza che ti porta a sperimentare maggiormente e a provare nuove strade” ci spiega Sam. Il cantante Danny Worsnop ha recentemente

dichiarato che il prossimo album degli Asking Alexandria sarà paragonabile a un mix tra Slipknot e Mötley Crüe, un’ipotesi alquanto interessante… La parola passa a James: “Non so se ricorda quelle due band ma in effetti non sarebbe male. Diciamo che la componente più prettamente metal è emersa parecchio negli ultimi anni. Lo dimostrano anche le cover degli Skid Row che abbiamo registrato due anni fa (per l’EP “Life gone wild”, nda). Sul prossimo disco ci saranno comunque molti riff di chitarra e parecchi breakdown. La cosa interessante, sicuramente, è il fatto di aver fatto parecchia pre-produzione rispetto al passato.

Abbiamo lavorato alle canzoni mentre eravamo in tour, con uno studio mobile che ci siamo portati dietro. Questo ti permette anche di mantenere quell’energia particolare che hai in quel momento rispetto a quando, solitamente, ci ritrovavamo tutti in un cottage nel mezzo del nulla per mettere a posto le canzoni”. Il terzo album degli Asking Alexandria è in dirittura d’arrivo come sottolinea Sam: “Ci piacerebbe farlo uscire a maggio, ci sono solo alcuni dettagli da sistemare ma è praticamente pronto e non vediamo l’ora di suonare queste nuove canzoni dal vivo”. www.askingalexandriaofficial.com


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PRIMO PIANO

METZ Sub noise

Una delle migliori scoperte dello scorso anno, in tour in Italia per promuovere il disco d'esordio, i Metz ci raccontano come tutto è iniziato. Tra show adrenalinici, attitudine DIY e una voglia sfrenata di trasmettere il loro vero “io”. Di Andrea Ardovini

I

Metz sono stati una delle rivelazioni del 2012. La loro è una storia molto normale, come ci spiega il cantante Alex. “È la classica storia di tre ragazzi che sono cresciuti ascoltando la stessa musica. Hayden (batteria) ed io ci siamo incontrati crescendo nella stessa città, andando agli stessi concerti e alla fine abbiamo deciso di suonare insieme. Tutto è iniziato quando ci siamo trasferiti a Toronto e abbiamo cominciato a passare il nostro tempo con Chris (basso). Con lui le cose hanno preso un nuovo significato”. La band non si aspettava un tale successo

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all'esordio. “Credo che l'unica cosa che sapessimo è che ciò che facevamo piaceva a noi stessi. Abbiamo sempre fatto musica che credevamo valesse la pena fare. Non avevamo alcuna aspettativa, volevamo solo fare la cosa migliore possibile, di cui potessimo essere orgogliosi. Perché non sai mai cosa possa piacere o meno al pubblico, può cambiare di mese in mese. E suona finto alle orecchie di chi ascolta”. La loro musica viene definita “indie”, ma “Sembra che la parola abbia preso completamente un altro significato rispetto all'inizio. Adesso significa qualcosa del tipo 'assomigli a questo', piuttosto che 'fai le cose

in modo indipendente'. Noi siamo sotto contratto con un'etichetta, quindi non ci riconosciamo nella vecchia definizione del termine. Ma credo che comunque noi abbiamo sempre lavorato in un modo che ci permette di avere il controllo su tutto, dalla musica fino all'artwork. Volevamo essere 'nostri', non volevamo essere la creatura di qualcun altro. Abbiamo sempre pensato che non fosse una nostra responsabilità dire alla gente che tipo di musica facciamo. Credo che questa sia una cosa importante per chi sta recensendo un album o per qualcuno che sta facendo un'intervista e deve trovare dei termini giusti per

descrivere un disco, ma per noi no. Non credo sia il nostro lavoro. Noi facciamo la nostra musica, lasciamo agli altri il compito di dire a che genere appartiene”. La band è famosa per i suoi show incendiari, come ci conferma Alex: “Credo che suonare live sia una delle cose che preferiamo. È un nostro vanto mettere tutte le nostre energie nei concerti e credo che le nostre canzoni necessitino di essere suonate in un certo modo, altrimenti suonerebbero terribili. Poterci esibire davanti a tutte queste persone speciali, in tutte queste bellissime città è qualcosa che non ci saremmo mai aspettati”. www.metzztem.com


BLASTEMA Non ce l'hanno fatta a conquistare il pubblico del Festival di Sanremo ma la band originaria di Forlì si è classificata quarta nella sezione Giovani con il brano “Dietro l'intima ragione”. Di Arianna Ascione

Archiviata l'esperienza sanremese, è il momento di tornare on the road: “L'aspetto live per noi è tutto: una band come la nostra si sviluppa dal punto di vista live anche quando compone” ci ha raccontato durante la kermesse il cantante Matteo Casadei. “È in questo modo che impari a suonare, impari a sentire come deve vibrarti la musica dentro. Non possiamo prescindere dal fatto di suonare insieme ed è più bello quando suoni insieme ad altre persone, oltre che tra di noi”. La band, composta anche da Alberto Nanni (chitarre, cori), Luca Marchi (basso) e Daniele Gambi (batteria), ha già in programma due

NOW.HERE

anteprime: “Per noi è prioritario continuare a suonare dal vivo. La prima data sarà il 19 marzo alla Salumeria della Musica di Milano e l'altra il 20 marzo al Circolo degli Artisti di Roma. Questo ponte ci porterà poi verso il tour estivo e il successivo tour invernale”. I Blastema, reduci dalla collaborazione con la Nuvole Production di Fabrizio De André (diretta da Dori Ghezzi), nascono nel 1997: “Siamo partiti da band come Beatles, Nirvana, Pearl Jam, Radiohead, Muse… Ogni disco bello insomma noi l'abbiamo ascoltato”. E in cantiere c'è un nuovo lavoro, anche se ora viene ripubblicato “Lo stato in cui sono”, l’album uscito lo scorso anno, con l’aggiunta del brano sanremese: “Non abbiamo ancora nulla di pronto per il nuovo lavoro. C'è qualche abbozzo. Stiamo cercando di capire quale sarà il prossimo mood: improvvisando in sala prove cerchiamo di capire quali sono le sonorità e i ritmi che ci interessano. Ci vorranno poi due o tre mesi di lavoro a testa bassa”. www.blastema.it

Dalla riviera romagnola arriva l’ennesima testimonianza del buono stato di salute della scena pop/punk nazionale: i Now.Here! Di Giorgio Basso

Con l’EP di debutto “This is who we are” la giovanissima formazione si è presentata al grande pubblico, conosciamoli meglio attraverso le loro parole: “L'idea è nata dopo lo scioglimento della vecchia band in cui suonavamo. Volevamo dar vita a qualcosa di diverso e abbiamo cercato musicisti interessati al progetto. Inizialmente trovammo Franco (bassista) e Michele (chitarrista, che da qualche settimana ha lasciato la band - ndr). Successivamente, curiosando in Rete abbiamo visto un video cover fatto da Enan (voce) che ci colpì parecchio. Da lì a breve eravamo già in sala prove a scrivere i primi pezzi”. Il nuovo EP ci mostra tante buone idee e voglia di crescere in fretta, come ci spiegano i diretti interessati: “In pochi mesi abbiamo scritto parecchio materiale nuovo e non vedevamo l'ora di fare uscire qualcosa di nostro. È stato un processo molto naturale, ognuno di noi arrivava in sala prove con un’idea e da lì mettevamo un po' del nostro in tutti i pezzi. Il risultato finale è un EP composto da 5 pezzi, molto pop/punk e con una propria ‘identità’. Rispecchiano moltissimo ciò che siamo, da qui il titolo è ‘This is who we are’. Ogni pezzo evidenzia i nostri ascolti, che variano dal rock, passando per le varie sfaccettature del pop/punk americano fino al metalcore. Qualche nome? New Found Glory, Set Your Goals e Four Year Strong”. Infine trattiamo l’argomento più caro ai Now.Here, quello live: “Abbiamo da poco annunciato il “Pop Punk Elite Italian Tour” in collaborazione con Ghost Agency e This Is Core, dove gireremo per tutta Italia con i nostri amici Foolish Pride. La prima data è il 16 marzo al Live Forum di Assago (MI) con Broadway Calls, Gnarwolves, NoTimeFor e Great Cynics. Non vediamo l'ora, suonare live è la cosa che più ci piace e siamo veramente contenti per questo tour”. www.facebook.com/nowhere.poppunk.1

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PRIMO PIANO

One Ok Rock

NOME: pone ta NZA: Giap itarra), Ryo h PROVENIE (C ru o T aka (voce), LINE UP: T ria) oya (Batte m tch, o T ), o s s wa” (A-Ske (Ba u k o b te e k insei ka DISCO: “J rdcore 2013) ck/post ha ro e v ti a rn alte , Foo GENERE: l Romance a ic m e h C E: My INFLUENZ ucc Fighters, M krock.com www.oneo

Linterno

NOME: gna oce), NZA: Bolo (Chitarra/v re o PROVENIE L ), e c o (Batteria) o atte (v ri a M : D P ), U a rr E LIN hita ne, horus Of O sso), Zed (C Stanga (Ba down for comfort” (C ay DISCO: “L 2012) , nk/hardcore ere, Good Riddance u p : E R E N GE nywh E: Strike A INFLUENZ rfers hc Satanic Su k.com/linterno.punk o o www.faceb

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All in the name of A cura di Andrea Rock

S

rock

ulla carta, siamo fottuti. Politicamente, economicamente e musicalmente. Questo 2013 è iniziato con le peggiori premesse, anche quando si parla di musica. Eh si, perché non ci sono buone notizie all'orizzonte. Si vocifera, sempre più insistentemente, che quest'anno salteranno parecchi festival: Heineken Jammin’ Festival, Gods of Metal... Si salveranno Rock In Idrho e I-Day? Nulla di ufficiale, sia ben chiaro, ma le voci girano e questo è già un primo allarmante dato. Parlando del mercato del disco, inutile ricordarvi che le grandi catene stanno per chiudere; il digitale si sta diffondendo leggermente, ma ci vorrà ancora del tempo. E del “music biz”, che dire? Molti canali televisivi hanno chiuso e altri sono in grande difficoltà; le riviste del settore non vendono più e gli uffici stampa, per sopravvivere, parlano di dischi che dieci anni fa avremmo giudicato a livello di “demo tape”. E quindi? Vi ricordate il detto: “Quando si chiude una porta si apre un portone?”. Io la penso così. Va tutto male è vero, ma da un lato la situazione non può che migliorare! Se il pubblico del mondo dell'intrattenimento oggi consuma poco e in maniera superficiale è perché mancano altri tipi di sicurezze sociale e quindi il venerdì e il sabato sera è meglio non pensare, non fare programmi e buttarsi nel primo locale affollato in cerca di un'avventura o semplicemente del giusto quantitativo di cocktail per dimenticare una settimana pesante... Non crediate che stia giudicando malamente chi si comporta così; per certi versi lo trovo comprensibile. Da ragazzino, però, a me bastava un concerto, anche underground, per rimettermi in pace col mondo. Provateci anche voi! Dite ai vostri amici che andare ad ascoltare musica rock è ancora più liberatorio. La crisi tocca tutti, ma non lasciate che intacchi il vostro buon gusto.


A ALI T I IN ATA 03 D o CA 17/ Milan I N U y, tor c a F

DISCHI VIOLENTI

AARON BARRETT (REEL BIG FISH) Testo Michele Zonelli - Foto Jonathan Thorpe

PRIMO DISCO COMPRATO:

Aaron Barrett (voce, chitarra): La colonna sonora di “Ghostbusters”, in vinile. Era il 1985. ULTIMO DISCO COMPRATO: A.B.: Il disco di Dan P. and the Bricks. DISCO CHE HA CAMBIATO LA TUA VITA: A.B.: “Open up and say… ahh!” dei Poison.

DISCO “BOTTA DI VITA”: A.B.: Schleprock "America's Dirty Little Secret". DISCO “LASSATIVO”: A.B.: “Contra” dei Vampire Weekend. DISCO PER UNA SERATA ROMANTICA: A.B.: “The teaches of Peaches” di Peaches.

DISCO SOPRAVVALUTATO: A.B.: “Pet sounds” dei Beach Boys.

DISCO SUL QUALE AVRESTI VOLUTO SUONARE: A.B.: Su “Permission to land” dei Darkness.

DISCO SOTTOVALUTATO: A.B.: “Up” dei Right Said Fred.

DISCO PER UN VIAGGIO: A.B.: “Concert in the Park” di Paul Simon.

DISCO PER UNA NOTTE DI BAGORDI: A.B.: “Mechanical animals” di Marilyn Manson. DISCO DEL GIORNO DOPO: A.B.: The Congos “Heart of The Congos”. DISCO CHE TI VERGOGNI DI POSSEDERE: A.B.: Non mi vergogno di nessuno dei dischi che ho! CANZONE CHE VORRESTI AL TUO FUNERALE: A.B.: “Mothersbaugh's canon” dalla colonna sonora di “The Royal Tenenbaums” www.reel-big-fish.com

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PRIMO PIANO

SHAI

HULUD

Oltre il sole

Quattro album in quasi vent'anni di onorata attività possono sembrare pochi, ma chi segue la band e conosce la storia degli Shai Hulud sa bene che nulla è prevedibile o scontato. Di Michele Zonelli Foto Nathaniel Shannon

Reach beyond the sun" si erge a testimonianza di una realtà la cui influenza è del tutto estranea a giudizi o critiche. Dal 1997 (anno della pubblicazione del loro primo album) a oggi, gli Shai Hulud hanno influenzato e contaminato scene e band, abili nell'unire diverse scuole di pensiero e complici della nascita di movimenti ancora oggi attuali e ammirati. A cinque anni dal precedente "Misanthropy pure" ecco "Reach beyond the sun": non un album di metalcore moderno, ma un lavoro in bilico tra hardcore e metal, ricco di invettiva e spunti originali, legati a un passato ancora attuale e a un presente degno di essere vissuto. "Con 'Reach beyond the sun' abbiamo raggiunto il culmine

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della nostra carriera. Possiamo tranquillamente parlare di suono definitivo degli Shai Hulud. Il disco racchiude ciò che siamo e che siamo stati, le nostre influenze, i diversi stili, ogni cosa, ribadendo (definitivamente) i concetti che da sempre animano questa band". A rendere il tutto ancora più allettante, il ritorno di Chad Gilbert, chitarrista dei New Found Glory e voce degli Shai Hulud nell'album di debutto "Hearts once nourished with hope and compassion". Una lunga genesi quella che ha portato alla realizzazione dei nuovi brani, genesi le cui prime avvisaglie risalgono a quasi dieci anni fa, con riff scritti e poi accantonati per essere ripresi solo in un secondo momento dal chitarrista Matt Fox. 2008, Shai Hulud e New Found Glory dividono il palco per alcune date in America: terreno ideale

per riallacciare i rapporti e proporre materiale inedito. "Chad è salito sul palco durante il nostro soundcheck, così ne abbiamo approfittato per fargli ascoltare alcuni nuovi passaggi. Gli sono subito piaciuti...". Passano altri tre anni e, alla fine del 2011, Fox e compagni ricontattano Gilbert. "Gli abbiamo inviato i brani e lui ha immediatamente riconosciuto i riff ascoltati nel 2008". All'inizio si parlava unicamente di produzione, ma alcune settimane dopo l'allora cantante degli Shai Hulud decide di seguire altre strade. Valutate numerose ipotesi, tra cui quella di affidare i pezzi a diversi ospiti, la band richiama Chad, a un mese dall'ingresso in studio: "Siamo pronti, ma ci manca un frontman...". Superata l'esitazione iniziale, la telefonata che ha sciolto ogni dubbio: "Ok, facciamolo! Canterò e produrrò il disco". L'idea

di coinvolgere altri artisti non è stata, ad ogni modo, abbandonata. Jay Pepito (Reign Supreme, Blacklisted) ha contribuito alla realizzazione di "A human failing", John Vigil (The Ghost Inside) è presente nel brano "If a mountain be my obstacle", Louis Hernandez (Alpha & Omega) in "Man into demon", mentre "Medicine to the Dead" vede insieme Matt Mazalli, Damien Moyal e Geert van der Velde, cantanti con alle spalle importanti trascorsi negli Shai Hulud. La band tornerà presto on the road, con loro alla voce Justin Krauss (With Life In Mind). "Chad ha molti impegni e Justin resterà con noi per un po'. Non sappiamo per quanto, anche lui ha un'altra band. Ma non preoccupatevi: al momento opportuno sarà nostra premura trovare qualcuno in grado di rendere merito ai nuovi brani". www.facebook.com/shaihuludofficial


TOTALEAPATIA Over the top

Quindici anni vissuti all’insegna del punk/rock e un nuovo EP intitolato “Sempre al top”. A parlare con noi è Russu, il simpatico cantante e chitarrista della band bresciana. Di Stefano Russo Inevitabile partire subito dal titolo del disco (e di uno dei brani in esso contenuto): “Ogni giorno siamo costretti a essere sempre al top, della forma fisica e mentale per poter far fronte alle aspettative che gli altri hanno di noi… che sia il tuo datore di lavoro, tua moglie o la tua ragazza, i tuoi amici, la tua band. Forse tra tutti, proprio la band, i Totale Apatia sono stati i più comprensivi e proprio questo è il segreto di tanta costanza e lungimiranza”. Il gruppo ha ormai all'attivo ben 15 anni di carriera. Chiediamo a Russu come si sente nel ruolo di veterano della scena? “Vecchio e ingrassato di 15 chili, come gli anni che siamo attivi nella scena tricolore. A parte questo, mi sento di conoscere a menadito il pubblico a cui ci rivolgiamo e ‘come gira’ con le agenzie. Avere dei riconoscimenti da chi ci vede per la prima volta e che probabilmente è un fratello minore di chi ci seguiva sin dagli esordi fa piacere. Come d’altronde tutte le buone recensioni avute da parte degli addetti ai lavori al nuovo EP”. Cos’è cambiato in questi 15 anni nell'attitudine DIY tipica della scena punk, con le nuove tecnologie che rivoluzionano costantemente il modo di fare e ascoltare musica? “Cambia il sound, completamente! Oggigiorno registrazioni DIY non sono nemmeno lontanamente paragonabili al nostro primo demo. Stare al passo coi tempi non vuol dire perdere quell’attitudine tipica di chi come me con BigRedAgency va avanti curando personalmente tutto, dai rapporti con le agenzie e le altre band ai locali dove andare a suonare, ai rapporti con i media… E in tutto questo, l’avvento di Internet, di MySpace prima e di Facebook o Twitter adesso ha reso tutto più semplice, veloce e immediato. Il gusto di fare un manifestino con ritagli di giornale, fotocopiarlo in quantità, smazzarlo in giro ai concerti, conoscere nuova gente lo si può ritrovare nell’aprire Photoshop, creare il flyer, fare l’evento su Facebook e invitare tutti i tuoi contatti. Basta che tutto ciò sia in funzione della band, alla quale mi dedico da mezza vita ormai. I programmi dei Totale Apatia per i prossimi mesi del 2013 sono ben chiari: “Continuare a suonare e portare avanti così un progetto del quale difficilmente potremmo fare a meno. Dopo i primi concerti del quindicennale a cui ha partecipato anche Daniel, il nostro primo chitarrista, andremo avanti in 4, almeno fino a fine estate. Trovate tutte le date aggiornate sulle nostre pagine di MySpace e Facebook”. www.totaleapatia.it

DJ: ANDY

PROGRAMMA: Andysmi In onda il martedì dalle 23:00 alle 24:00

La sua Top 5:

FLUON “L'assassino è il maggiordomo” DAVID BOWIE “Where are we now?” QUEENS OF STONE AGE “I'm designer” EELS “New alphabet” ROXY MUSIC “Do the strand”

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PEOPLE

ricetterock.com Di Daniel C. Marcoccia

Da qualche mese è online un nuovo sito di cucina in cui troverete ricette gustose e saporite di rock. Avete mai mangiato uno spaghettino alla Red Hot Chili Peppers o spirali di trota alla Nirvana? È il momento di farlo! Ne abbiamo parlato con uno dei “rockchef”, Andrea Bariselli. Come nasce l'idea di Ricetterock.com? Cosa porta alcuni rocker dietro ai fornelli? Andrea Bariselli: L’idea di questo sito nasce da un gruppo di amici “metallari” a cui piace in primis mangiare, che più o meno sanno cucinare e che intorno a una tavola superimbandita hanno iniziato a scambiarsi ricette tra un aneddoto musicale e un boccone.
Quanto trovi su RicetteRock è l’esatta fusione del tutto: tanto cibo, tanti aneddoti e tanta buona musica. Gli altri rockchef sono Enrico Salvini, Gianmarco Colloca, Vittoria Fitz Williams. Quali particolarità devono avere le ricette pubblicate sul sito? A.B.: Tutte le ricette hanno un cuore musicale che può essere legato a un artista, a una singola canzone, a una colonna sonora, a un album... insomma ci piace prendere ispirazione dalla musica anche per riscrivere ricette classiche… che con l'apporto musicale diventano uniche. Come si evolverà il progetto? A.B.: Mi piacerebbe che RicetteRock diventasse un punto di riferimento a livello culinario e non solo per gli amanti della musica così da far scoprire agli altri, artisti che magari non hanno mai sentito.
Il prossimo passo sarà la versione worldwide, quindi tutta tradotta in inglese all'indirizzo rockrecipe.com a cui sto già lavorando. Quali sono gli ingredienti giusti del rock? A.B.: Nel rock la giusta miscela per essere esplosivi è sudore, passione al limite del maniacale, tenacia, giusta tecnica, immagine e faccia da culo... 
Per avere successo però serve anche una grande fortuna e almeno una persona che crede nell'artista. Vi va di dare una ricetta rock ai nostri lettori? A.B.: Ti voglio dare una delle prime ricette che ho scritto per RicetteRock.com in quanto riassume lo spirito del sito e quanto ho cercato di spiegare sin ora perché oltre la ricetta particolare, semplice e davvero buona, c'è un aneddoto divertente che ti racconta qualcosa del gruppo a cui è dedicata e che magari ti fa venir voglia di approfondire. Per voi, quindi, suggerisco un bel risotto alla Mötley Crüe, con pere e noci… (potete trovare la ricetta su www.rocknow.it/ricette-rock) www.ricetterock.com

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HI-TECH PANASONIC SC-PMX9

Nuovo prodotto di punta della gamma Panasonic PMX, il sistema Hi-Fi SC-PMX9 garantisce eccellenti prestazioni audio grazie a diffusori a 3 vie, tweeter di alta qualità e all'innovativo impianto di amplificazione digitale Full Digital Amplifier System. Possibilità di collegare supporti mobile via Bluetooth, AirPlay e DLNA. www.panasonic.it

AUTO MEE S

Arriva dal Giappone l'Auto Mee S: gadget pensato e ideato per spazzolare e pulire gli schermi touch, sia smartphone sia tablet. Dai 4 agli 8 minuti: questo il tempo che impiega il robottino ad assolvere al meglio il proprio compito (tempo legato alle dimensioni della superficie su cui è utilizzato). www.takaratomy.co.jp

NOKIA LUMIA 620

Considerato tra i migliori cellulari entry-level in commercio, il nuovo Nokia Lumia 620 (basato su sistema operativo Windows Phone 8) annovera tra le caratteristiche principali: schermo da 3.8'' con risoluzione 800x480, processore Snapdragon S4 da 1GHz, fotocamera 5 megapixel, connettore micro USB 2.0, Bluetooth 3.0 e Wi-Fi. www.nokia.com

ARCADIE MINI CABINET

SAMSUNG ATIV TAB

Schermo da 10.1 pollici, 570 grammi di peso, piattaforma ARM, Windows 8 RT, Snapdragon S4 Plus Dual Core da 1.5 GHz, 2 GB di RAM, 16 GB (espandibili) di archiviazione, Wi-Fi N, Bluetooth 4.0,

GPS, NFC e batteria da 8.200 mAh per l'ATIV Tab: tra gli ultimi tablet nati in casa Samsung. Preinstallata la suite Office 2013. www.samsung.com

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Nulla di estremamente tecnologico per l'Arcadie Mini Cabinet, accessorio essenziale per i nostalgici dei vecchi cabinet anni 80. Ideato per iPhone e iPod Touch e corredato da joystick a 8 direzioni e dagli immancabili bottoni frontali, questo singolare supporto trasforma il dispositivo in una sala giochi d'altri tempi. www.doxbox.it


A cura di Michele Zonelli

games

BIOSHOCK INFINITE

Piattaforma: X360/PS3/PC Produttore: Irrational Games/2K Games/Take-Two Genere: Gioco di Ruolo, FPS Posticipato in più occasioni e anticipato da svariati trailer in grado di rendere spasmodica un'attesa già di per sé elevata, la nuova creatura di Irrational Games giunge finalmente sul mercato. Terzo capitolo della serie BioShock, "Infinite" sposta ed eleva (nuovamente) il tiro, dando vita a quello che già in molti etichettano come capolavoro assoluto. Trama, storia e ambientazioni sono state completamente riviste e, al contrario di quanto fatto in precedenza, nulla di ciò che qui è narrato si rifà alle esperienze passate. Cornice dell'avventura: la città volante Columbia, maestoso simbolo degli ideali nazionalisti americani del 1912. Protagonisti: Booker DeWitt, ex agente dell'agenzia investigativa Pinkerton, ed Elizabeth, giovane donna imprigionata da sempre nella città. Ancora una volta, il rapporto umano tra i due personaggi si svilupperà e consoliderà nel corso della narrazione, fino a divenire parte essenziale di trama e gameplay. Tra steampunk e tradizione, le ambientazioni sono una vera gioia per gli occhi: ampie, completamente esplorabili e ricche di colori e dettagli. I vigor, poteri di cui sarete dotati e dei quali presto non potrete più fare a meno, affiancati alle molte armi a disposizione permettono combinazioni d'attacco pressoché illimitate. Chiudono il cerchio i combattimenti: dinamici, frenetici e in grado di offrire anche ai più esigenti la sfida tanto cercata.

FIST OF THE NORTH STAR: KEN'S RAGE 2 X360/PS3/WIIU Tecmo Koei/Halifax

Ken il Guerriero è stato protagonista di innumerevoli giochi, a Tecmo Koei il plauso di aver reso finalmente merito a uno dei personaggi più noti e amati del vasto panorama manga/anime. Dal primo incontro con Lynn e Bart allo scontro con Caio, l'intera saga è qui riproposta nei minimi dettagli. Il gameplay non è dei più vari, ma rivivere le gesta dell'erede della divina scuola Hokuto in prima persona fa passare in secondo piano ogni altro aspetto.

NARUTO SHIPPUDEN: ULTIMATE NINJA STORM 3

Piattaforma: X360/PS3 Produttore: Namco Bandai Genere: Azione, avventura

Le trasposizioni videoludiche di prodotti legati ad altre forme d'arte, che si tratti di film, albi a fumetti o manga (come in questo caso), non hanno mai goduto di grande fama. Ma la storia insegna che esistono le eccezioni e mai

THE CAVE

X360/PS3/PC /WIIU/ANDROID "The Cave" segna il ritorno del veterano Ron Gilbert e si presenta come un'avventura punta e clicca dove la vera protagonista è la Caverna che ospita le gesta dei protagonisti. Scelti 3 dei 7 personaggi a disposizione, inizierete l'esplorazione. Ambienti dal design unico, numerosi enigmi e la necessità di tornare sui vostri passi con team diversi (alcuni luoghi sono accessibili solo grazie a capacità specifiche) vi terranno impegnati per molte ore.

come negli ultimi anni tali eccezioni hanno fatto ricredere da più parti. Ne è un chiaro esempio la serie "Naruto Shippuden: Ultimate Ninja Storm". Che siate o no seguaci delle mirabolanti e spettacolari gesta dei ninja di Masashi Kishimoto poco importa, quello che conta è che l'opera in questione riesce a dissipare ogni ombra e a sdoganare il titolo dimostrandosi allettante non solo ai fan (per i quali è, ovviamente, indispensabile). Come da tradizione, la trama ripercorre quanto narrato su carta e tutto riparte da dove il secondo capitolo si era concluso. Al centro: gli scontro tra i protagonisti, mai così spetta-

colari e devastanti. Esaurita la modalità storia è possibile sfidare IA e amici secondo i canoni dei più classici picchiaduro. A sorprendere, le molte migliorie apportate a grafica, fluidità e trasporto emotivo. I quick time event non sono ora limitati unicamente agli scontri con i boss (sempre più impressionanti e divisi tra azioni in game e scene tratte dall'anime ufficiale) ma intervengono in più occasioni durante battaglie minori, permettendovi di sfruttare appieno le abilità innate dell'alter ego di turno. In definitiva: la più epica e fedele esperienza di Naruto vista su console.

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crazy net

A cura di Michele Zonelli

MARSHALL FRIDGE

D'accordo, non è tra gli oggetti più strani che è possibile trovare in rete, ma... un frigo della Marshall, a forma di amplificatore Marshall, realizzato con parti originali Marshall, autenticato Jim Marshall... Dobbiamo continuare? www.marshallfridge.com

TOY BOARDERS

Ispirati agli indimenticabili soldatini in vinile, i Toy Boarders lasciano i campi di battaglia per dedicarsi ad attività più pacifiche e ricreative. Per ora solo in versione skate, presto disponibili anche snow, surf e BMX. www.toyboarders.com

KATANA BOOKENDS

Di fermalibri ne esistono di ogni forma e misura ma il Katana Bookends non passa certo inosservato. In fase di produzione e in commercio entro la fine di marzo, questo insolito prodotto farà la gioia del ninja che è in voi. www.justmustard.com

SUITCASE STICKERS

Progettati per adattarsi alle dimensioni e ai materiali della maggior parte delle valigie in commercio, gli originali Suitcase Stickers renderanno unico e inconfondibile il vostro bagaglio. I produttori declinano ogni responsabilità. www.thecheeky.com

T-REX! HEAD

Saranno anche estinti, ma i dinosauri continuano ad affascinare e, allora, perché privarsi di una testa di T-Rex da appendere in casa? E se il primordiale carnivoro non fa al caso vostro, il sito offre numerose e accattivanti alternative. www.whitefauxtaxidermy.com

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A cura di Eros Pasi

SANTA CRUZ SIMPSONS HOMER FACE CRUZER

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Rivisitazione in chiave Simpsons della storica tavola disegnata da Jim Phillips per lo skater Rob Roskopp! € 169,90 www.santacruzskateboards.com

STARTER SATIN JACKET

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t o i R

BULLET FOR MY VALENTINE

La band gallese ritorna con un quarto album dalle sonorità più dirette e canzoni dal forte impatto. Dall’Australia, dove i Bullet For My Valentine avrebbero suonato poche ore dopo al Soundwave Festival, ci ha chiamato il simpaticissimo bassista Jason James. Di Daniel C. Marcoccia

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act

BULLET FOR MY VALENTINE S

ono passati tre anni dal precedente “Fever”. Con quale spirito avete affrontato il ritorno in studio? Jason James (basso): Sai, fondamentalmente, per noi fare un nuovo disco significa soprattutto rimetterci in gioco e provare a fare meglio del precedente. Cerchiamo di partire dalle cose che ci sono piaciute e di andare oltre. Abbiamo capito, soprattutto suonando molto dal vivo, che una regola molto valida in sede di composizione è quella del “meno è troppo” e così cerchiamo di mettere nelle nostre canzoni solo quello che serve. Secondo me, questo è sicuramente un segno di maturità. Certo, ci sono degli elementi caratteristici dei Bullet For My Valentine, come alcuni arrangiamenti o un particolare tipo di armonie vocali che sono alla base del nostro suono, ma non cerchiamo più di mettere all’interno di uno stesso brano troppi riff che vanno in tutte le direzioni o di usare il doppio pedale ovunque. Preferiamo concentrarci maggiormente sulle parti vocali e sulla struttura delle nostre canzoni. E questo lo capisci suonando dal vivo? J.J.: Sì, perché durante i concerti ti accorgi subito quali sono i brani che funzionano meglio, quelli che coinvolgono maggiormente il pubblico. L’impatto dei ritornelli e delle melodie sono sempre stati molto importanti per noi, forse per via dei gruppi che abbiamo ascoltato da ragazzi. Band come i Metallica e gli Iron Maiden hanno sempre avuto un sound potente ma allo stesso tempo delle fantastiche melodie. Questo nuovo disco sembra fatto proprio per essere suonato dal vivo, secondo me esalterà parecchio i nostri fan durante il prossimo tour. Brani come “Riot” e la stessa title-track, non a caso scelti come primi singoli, hanno anche un taglio più diretto e dal forte impatto. J.J.: Sì, sono anche due brani un po’ atipici e tra l’altro hanno dato via ad alcune discussioni su Internet. Ma il resto del disco è secondo me piuttosto cupo, sia nelle liriche che nelle atmosfere. Come ti dicevo, i nuovo brani sono più spogli rispetto a quelli di “Fever” e questo li rende allo stesso tempo più diretti e freschi. Non ci interessa affatto scrivere sempre le stesse canzoni, ripetere gli stessi dischi all’infinito. Avvertite di più la pressione prima di entrare in studio o una volta che il disco è finito, mentre siete in attesa della risposta del pubblico? J.J.: La pressione che puoi sentire entrando in studio è solitamente creativa, può spronarti a dare il meglio di te. Quando invece il disco è terminato ed è nei negozi non puoi più fare nulla: si tratta più che altro di curiosità e non di pressione, ti interessa la reazione che la gente avrà ascoltando le nuove canzoni. Alla fine, come per tutte le band, ci preme avere un pubblico sempre più vasto ai concerti e per questo cerchiamo di portare freschezza alla nostra musica, senza deludere comunque chi ci segue fin dall’inizio. Abbiamo letto molta merda sul Web ma francamente cerchiamo di non farci influenzare da queste cose. Soprattutto se siamo molto soddisfatti di un disco. Come pensi che si sia evoluto il gruppo dal punto di vista della composizione? J.J.: Credo che l’evoluzione di una band sia

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“Non cerchiamo più di mettere all'’interno di uno stesso brano troppi riff che vanno in tutte le direzioni o di usare il doppio pedale ovunque”

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BULLET FOR MY VALENTINE sempre legata alla crescita personale dei suoi componenti. Siamo maturati come individui, abbiamo avuto la fortuna di fare parecchie esperienze, di viaggiare e questo inevitabilmente si riflette anche nel modo di comporre. Dai tempi di “Poison” fino a oggi direi che abbiamo imparato a scrivere delle canzoni migliori, anzi possiamo chiamarle proprio canzoni nel vero senso della parola. Anche se può sembrare scontato affermarlo, ritengo che questo sia il migliore album dei Bullet For My Valentine. Avete lavorato al disco in posti diversi, perfino in Thailandia, che non sembra essere un luogo particolarmente legato alla musica heavy… J.J.: Sì, la scrittura è iniziata proprio in Thailandia, dove sono andati inizialmente Matt (Tuck, cantante e chitarrista) e Moose (batteria). Abbiamo avuto la possibilità di lavorare in uno studio davvero super, con dell’ottima attrezzatura e veramente poco costoso. Sono tornati con alcune idee e parti di chitarra e batteria già registrate e a quel punto abbiamo iniziato a lavorare tutti a queste canzoni, ultimando il disco in uno studio del nostro paese. Come per il precedente “Fever”, avete nuovamente lavorato con Don Gilmore? J.J.: Aveva fatto un bel lavoro sul nostro terzo album e ci piace molto il suo approccio allo studio. Lui ci conosce ormai bene e viceversa, sa perfettamente cosa abbiamo in testa e riesce a portarci in quella direzione. Questa volta è stato anche più facile lavorare assieme, mentre ai tempi di “Fever” tendeva a scontrarsi frequentemente con Matt. Ricordo che era un continuo testa a testa ma una volta superato questo problema, sono riusciti a lavorare molto bene e a ottenere quello che avevano entrambi in mente. Questa volta Don ha fatto un passo indietro e ha lasciato fare a Matt le sue cose. Conoscendolo, questo vuol dire che aveva una grande fiducia nel nostro cantante. Pensando al cammino della band, cosa ti rende maggiormente orgoglioso? J.J.: Sono contento che i Bullet For My Valentine non siano il gruppo di una sola canzone o di un solo disco. Abbiamo costruito questa band partendo dal suolo e crescendo album dopo album, abbiamo realizzato qualcosa di molto solido e lo conferma il fatto che dopo quattro dischi siamo ancora qui. Ora siete in Australia per il Soundwave Festival e suppongo che subito dopo partirete nuovamente per un lungo tour? J.J.: Sì, ora ci godiamo l’atmosfera che c’è qui in Australia ed è anche l’occasione giusta per presentare dal vivo le nuove canzoni. Poi seguiranno molte date e sicuramente qualche festival estivo. Non ti nascondo che non mi dispiacerebbe far passare meno tempo tra questo disco e il prossimo. A presto in Italia, Jason. J.J.: Sicuramente. Prima di salutarti, ne approfitto per presentare la linea di magliette che ho da poco lanciato. Trovi tutto su www. amp-ink.co.uk. Grazie. www.bulletformyvalentine.com

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“Abbiamo imparato a scrivere delle canzoni migliori, anzi possiamo chiamarle proprio canzoni nel vero senso della parola”.


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KILLSWITCH ENGAGE

Reden

Dopo una lunga attesa, i Killswitch Engage tornano capitanati nuovamente da Jesse Leach, frontman dagli esordi fino al 2002, anno in cui fu sostituito da Howard Jones. Incontriamo Adam e Jesse durante un tipico sabato mattina londinese per parlare del loro sesto lavoro “Disarm the descent�. Di Silvia Richichi

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nzione

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KILLSWITCH ENGAGE

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I

l vostro precedente disco era uscito nel 2009. Pensando ai Killswitch Engage di oggi, come li definiresti rispetto a quelli di quattro anni fa? Adam Dutkiewicz (chitarra): Sicuramente i Killswitch Engage di oggi sono molto diversi, penso che sia cambiata la mentalità e che al momento abbiamo maggior entusiasmo e passione rispetto al 2009. Quattro anni fa era evidente che Howard fosse esausto e demotivato e avere ora Jesse nella band ha portato una ventata di novità. Questo tipo di eccitazine nuova nel gruppo è sicuramente positiva per noi. Jesse, sei tornato nella band dopo 10 anni di lontananza, come ti senti ad essere parte dei Killswitch Engage dopo tanto tempo? Jesse Leach (voce): È una cosa incredibile ed eccitante per tutti noi, un'esperienza totalmente differente rispetto ai primi miei anni con loro. Non è stato duro ritornare, soprattutto grazie al supporto degli altri che mi hanno accolto e incoraggiato sin da subito. Tutto sta andando alla grande ed è perfino più semplice di quanto immaginassi. Ti senti mai a disagio nel cantare materiale di Howard? J.L.: Non ho alcun problema adesso. All’inizio pensavo che non sarei stato pienamente a mio agio a cantare materiale non mio, diciamo che è proprio per questo che ho deciso di fare l’audizione, per dimostrare che, anche se inizialmente avevo esitazioni, avrei potuto farcela. Mi sono immerso nei brani e “The arms of sorrow” mi ha subito colpito e fatto innamorare del resto del materiale, con cui ho poi preso familiarità. Pensando alla tua prima esperienza fino al 2002 con i Killswitch Engage e a quella attuale con “Disarm the descent”, cosa pensi sia cambiato nelle tue capacità vocali, nel tuo approccio alla musica e in come lavori con il resto della band? J.L.: Per quanto riguarda lavorare con gli altri membri della band, l’intesa è decisamente migliore rispetto a prima. In dieci anni posso dire di avere acquisito più fiducia in me stesso come individuo e questo ha sicuramente avuto influenza anche sulla mia performance. La mia voce è inoltre migliorata

La copertina del disco è molto interessante. Come si relaziona al contenuto e, soprattutto, perché la donna rappresentata è in fiamme? J.L.: Il nostro bassista, Matt, ha originariamente avuto l’idea per l’artwork e il concept del titolo. “Disarm the descent” è un modo accorto per dire che la redenzione rivendica un risollevamento della vita. La donna è sia il male che il bene e il modo in cui sono posizionate le mani è rappresentativo: la mano che si protrae in avanti sembra offrire aiuto mentre l’altra si ritrae all’indietro e non si capisce cosa stia per fare. C’è una sorta di ambiguità: la donna è un angelo o un demone, ti amerà o ti spezzerà il cuore? Il fuoco è un elemento che può essere affiancato all’idea di purificazione, il fuoco può uccidere ma nello stesso tempo è la risorsa di cui non potremmo fare a meno. Mentre scrivevo “Beyond the flames”, avevo davanti l’immagine della copertiva e pensavo “cosa si nasconde al di là della fiamma del genere umano? Cosa si nasconde dietro le nostre passioni?”. Non avevo mai detto questo prima d’ora. Qual è il significato del testo di “The hell in me”? J.L.: L’Inferno è qui (si indica il petto, nda), al di sotto del cuore. Il testo è figurativo e si riferisce al lato oscuro di ogni individuo, la parte maligna, i demoni che ci sono dentro di noi. Prendendo coscienza della parte oscura del nostro essere, arriviamo a voler essere salvati da noi stessi. Questo è il succo della canzone. Ascoltando I brani, sembra che siano in qualche modo collegati l’un l’altro. Cosa voluta? J.L.: Sì, c’è una relazione tra i brani, a partire dal titolo che si riferisce alla redenzione. L’album inizia il suo viaggio con “The hell in me” fino ad arrivare verso la conclusione con “Always” e con il brano finale “Time will

“Il titolo del disco è un modo accorto per dire che la redenzione rivendica un risollevamento della vita”. grazie alle esperienze di tour che ho fatto con altri gruppi, ho scoperto uno strumento del tutto nuovo e ho ora una miglior padronanza della mia voce rispetto a dieci anni fa. Ho inoltre imparato che devo prendermi cura di questa se voglio mantenerla, con tanto riposo ed evitando troppe feste. Sono il nonno della band: bevo tè, leggo libri ed evito di andare ripetutamente al pub. Ne vale la pena però. Il vostro nuovo lavoro “Disarm the descent” è in uscita. Adam, ancora una volta hai rivestito anche il ruolo di produttore, qual è stata la cosa che più vi ha messo alla prova? A.D.: Trovare il tempo di lavorare al disco, essere in tour ha reso tutto più stressante e inoltre trovare ispirazione per Jesse che ad un certo punto era un po’ esaurito... J.L.: Confermo, il tutto è stato molto stressante: tornare nella band, iniziare a scrivere, andare in tour, tornare dal tour, continuare a scrivere. Prima di partire per il tour, stavo lavorando molto bene e avevo cinque o sei canzoni in mente; dopo la tournée, invece, il tempo per scrivere altro materiale era ristretto. Ho dovuto trovare ispirazione da cose che normalmente non avrei considerato e Adam mi è stato di grande aiuto. Guardando indietro, ammetto che è stato faticoso ma penso che alcune delle migliori canzoni del disco ne siano state il risultato: “Beyond the flames”, “New awakening” and “You don’t bleed for me” sono nate prendendo spunto dal mondo, da cose intorno a me. Durante una sessione ho lavorato così duramente al punto di danneggiarmi le corde vocali. Mi sono dovuto fermare per due settimane. “New awakening”, una delle canzoni più intense del disco, è stato il risultato di quella sessione... Jesse, mentre lavoravi al nuovo dico hai mai sentito la pressione del paragone con Howard oppure di voler eguagliare il successo di “Alive or just breathing”? J.L.: No, sinceramente non voglio fare caso a questo tipo di cose perché se lo facessi allora sì che impazzirei! I paragoni con Howard sono andati avanti per dieci anni ed è una cosa fastidiosa. Io cerco solo di dare il meglio di me e di fare quel che ritengo giusto, non m’importa se mi amano o mi odiano: prendere o lasciare!

not remain”. Abbiamo deciso l’ordine dei brani in modo che si narrasse una sorta di viaggio che culminasse con l’ultimo brano. Paragonata al resto dei brani, “Always” risulta come una ballata lenta, inoltre penso abbiate scelto la posizione perfetta per un brano diverso dal resto... J.L.: Appena l’ho ascoltata sono stato spazzato via perché è totalmente differente, per questo io e Adam abbiamo deciso di posizionarla alla fine del disco. Non eravamo certi che avrebbe funzionato ma questo brano è talmente bello, epico e diverso. Volevo che non sembrasse solo una canzone d’amore ma qualcosa di più grande, una canzone d’amore per le persone che abbiamo perso, per i ricordi che abbiamo di loro e per quella sensazione di vicinanza che si continua a sentire quando si perde una persona cara, quando si sa che lo spirito continua a esserti vicino. È una canzone spirituale più che d’amore. Ho anche pensato che sarebbe perfetta come colonna sonora per un film. Per quanto riguarda la posizione nel disco, sono contento tu l’abbia apprezzato, abbiamo speso molto tempo a pensare a questa canzone e a dove inserirla... A.D.: Mentre lavoravamo al disco pensavo fosse una buona idea avere un brano così perché dava una diversa atmosfera e direzionava verso una sorta di chiusura rispetto al resto delle canzoni che risultano più veloci ed energiche. Adam, dopo tanti anni nella band, qual è il segreto per manterene sempre una buona armonia? A.D.: Essere rispettosi l’un l’altro e dei fan, sono loro il motivo per cui possiamo continuare a fare musica. Inoltre, non comportarsi da cretini e non avere timore di comunicare tra di noi ma soprattutto… bere tanta birra (ride)! www.killswitchengage.com

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THE BRONX

L'anno della tigre Il quarto album in studio del combo losangelino, uscito lo scorso mese, si è già candidato di prepotenza come uno dei migliori dischi di questo 2013. Jorma Vik, batterista della band, ci racconta la sua genesi, ma anche il suo amore per Spotify e una piccola disavventura milanese dello scorso dicembre. Di Daniel C. Marcoccia

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THE BRONX>

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l vostro nuovo album è finalmente uscito, quali sono le tue sensazioni su questo quarto lavoro dei Bronx? Jorma Vik (batteria): Oh, ne siamo super orgogliosi, siamo davvero contenti di quello che è il risultato finale. Per noi è l’evoluzione naturale del disco precedente, ne siamo senza dubbio entusiasti. Cosa mi dici della copertina? Ha un significato particolare? J.V.: La copertina è opera di Joby, il nostro chitarrista: è lui che ha disegnato gli artwork di tutti i nostri dischi. Di recente si è avvicinato alla cultura cinese e a quel tipo di opere create ritagliando la carta e credo proprio che il design della nostra copertina derivi quindi da quel tipo di creazioni. Dovendo descrivere in breve “IV” lo definirei un disco piuttosto aggressivo ma allo stesso tempo molto festaiolo, con una spiccata attitudine rock’n’roll. Sei d’accordo? J.V.: Assolutamente! Come ti dicevo, non abbiamo mai avuto l’intenzione di fare due volte lo stesso disco. Siamo cresciuti sia come persone sia come musicisti, come è normale che sia, e di questo, ovviamente, te ne puoi accorgere anche dai testi. Crescere ti porta naturalmente a esplorare anche territori diversi da quelli in cui ti eri mosso fino a quel momento e questa volta abbiamo finito con l’avere questa vena molto rock’n’roll! Questo significa che siete entrati in studio con delle idee ben precise? J.V.: In realtà no, solitamente non entriamo in studio dicendo “ok, vogliamo fare questo tipo di disco!”. Il nostro processo creativo vive più sul momento: Joby arriva con dei riff di chitarra, Matt con delle idee di linee vocali, dopodiché ci sediamo tutti assieme per lavorarci sopra ed è li che il disco prende forma, proprio mentre lo scriviamo e lo registriamo. Non pianifichiamo nulla, i nostri dischi nascono dal flusso degli eventi che ci circonda durante la loro creazione. Un’altra delle sensazioni, rispetto ai vostri precedenti lavori, è che ci sia anche molta meno rabbia… J.V.: Si, penso che proprio per via del nostro metodo di scrittura ci risulti impossibile fare finta di essere arrabbiati o tristi se non lo siamo realmente. Il modo in cui creiamo le canzoni viene diretto dal cuore, non è qualcosa che puoi forzare. Sarebbe facile tornare alle atmosfere aggressive dei nostri lavori precedenti, ma non sarebbe onesto. Avete in programma di girare un video? J.V.: Si! (ride) Si, avremo un video fuori nelle prossime settimane e sto ridendo perché devi credermi se ti dico che sarà davvero divertente e selvaggio (e in effetti aveva ragione, andatevi a vedere il video di “Youth wasted”, nda). Ci saranno anche delle tigri? J.V.: A dire il vero si! Veramente?! J.V.: (ride) Sì, ma non voglio rovinarti la sorpresa! C’è un motivo particolare per questi 5 anni di distanza tra “IV” e il suo predecessore? J.V.: In realtà quasi non ci eravamo accorti che

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fosse passato così tanto tempo. Ci stavamo divertendo un sacco con il nostro side project mariachi (non è uno scherzo, se non li avete mai sentiti si chiamano Mariachi El Bronx, ndr) e alla fine abbiamo aspettato il momento in cui fossimo stati davvero ispirati per scrivere un nuovo disco dei Bronx. Non abbiamo voluto forzarlo, né abbiamo voluto accelerare le cose in nessun modo. Questa cosa del progetto mariachi ha sorpreso un po’ tutti, per noi era un divertimento assoluto e siamo finiti col registrare due dischi dei Mariachi El Bronx tra “III” e “IV”. Il tempo è davvero volato e quando ce ne siamo resi conto, ci siamo guardati e ci siamo detti “Cazzo, è davvero tempo di rimboccarsi le maniche per il nuovo disco!”. Quando ci siamo messi al lavoro è stato tutto molto naturale, eravamo molto ispirati e riattaccare le chitarre per risuonare finalmente ad alto volume è stata una gran bella sensazione. Avete mai pensato a un altro side project folle almeno quanto i Mariachi El Bronx? J.V.: Chi lo sa cosa può riservarci il futuro! Questo side project è una gran cosa, ha portato un’enorme quantità di nuova linfa vitale ai Bronx. Dopo l’ultimo disco e dopo il tour che ne è seguito, non avevamo un’idea precisa di quale direzione avremmo preso. In quel momento questa nuova avventura è stata rivitalizzante per tutti, ci ha mantenuto uniti e ci ha aiutato tantissimo a capire quale fosse l’immediato futuro della band. Spotify è appena sbarcato qui in Italia e pare che rivoluzionerà molte cose sia per gli artisti sia per i fan: qual è la tua opinione personale sulle nuove tecnologie che stanno mutando così radicalmente il music business? J.V.: Quando abbiamo iniziato la nostra carriera, Internet e la musica in formato mp3 dovevano ancora prendere il sopravvento. A quell’epoca non avevamo in testa nulla che riguardasse il vendere i nostri dischi e farci dei soldi: semplicemente ci piaceva suonare ed era esattamente quello che facevamo, guadagnandoci da vivere con i concerti. Per quanto riguarda Spotify e tutte le altre novità, il cambiamento per noi, come band, consiste solo nel mondo in cui verranno commercializzati i nostri dischi. So che forse è brutto considerare solo l’aspetto economico, ma all’interno dei Bronx è, in realtà, l’unico che ne subisce l’influenza. E tu? Lo usi? J.V.: Assolutamente sì, anzi a dire il vero sono l’unico della band a usarlo e sto pian piano cercando di convincere tutti gli altri! Lo adoro, è uno strumento fantastico per scoprire nuove band e nuova musica, ci starei incollato tutto il giorno. L’ultima volta che vi abbiamo visto da queste parti eravate in tour con gli Hives, cosa mi dici di quell’esperienza? J.V.: Oh eri al concerto di Milano, giusto? Vuoi sentire una storia pazzesca? Certo che si! J.V.: Avevamo un day off il giorno prima del concerto di Milano e la sera siamo arrivati in città per raggiungere i ragazzi degli Hives per cena. Stavamo cercando di capire dove parcheggiare il tourbus, impazzendo con mappe e cartine e senza sapere una parola di italiano,

"Non pianifichiamo nulla, i nostri dischi nascono dal flusso degli eventi che ci circonda durante la loro creazione" e a un certo punto questi quattro tizi escono da un edificio poco distante. Non stavo prestando molta attenzione a loro, ma tutti avevano degli oggetti in mano e stavano venendo verso di noi con un passo piuttosto sostenuto. Ci hanno detto qualcosa ma noi non capivamo una parola e quando abbiamo chiesto se parlassero inglese hanno iniziato a urlarci addosso, così abbiamo alzato le mani e ci siamo messi a indietreggiare verso il bus. Uno di loro aveva un martello e altri due avevano coltelli e cose simili, ci urlavano chissà cosa in italiano e noi non capivamo assolutamente cosa stessero dicendo. Gli dicevamo: “siamo americani, non abbiamo idea di cosa stia succedendo!”. Siamo saltati sul bus e siamo partiti di corsa prima che ci prendessero, per poi realizzare che eravamo stati scambiati per tifosi di una squadra di calcio avversaria che avrebbe giocato lì la sera successiva. Incredibile! (E complimenti a quei quattro imbecilli che non mi va di chiamare tifosi, ndDan). Tornerete in Europa anche quest’anno? J.V.: Lo spero davvero! Stiamo pianificando il tour e ci sono buone probabilità di tornare entro la fine dell’anno. www.thebronxxx.com


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BIFFY CLYRO Per il loro sesto album in studio, “Opposites”, gli scozzesi Biffy Clyro si sono superati. Non un solo disco ma due che racchiudono un concept quasi autobiografico. Ne abbiamo parlato con il frontman Simon Neil. Di Piero Ruffolo

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ome e quando avete pensato di registrare un concept album? Simon Neil (voce e chitarra).: Direi che è accaduto quasi per caso. Quando abbiamo scelto le migliori venti canzoni sulla quarantina che avevo scritto, ci siamo resi conto che racchiudevano quasi un tema comune, un concept che le legava tra di loro. A quel punto ci sembrava interessante prendere quella direzione e sviluppare due dischi con una loro identità comune ma allo stesso tempo ben definita.

pena. Anche questi momenti ti fanno crescere e ti formano. “The sand at the core of our bones” appare decisamente più dark e cupo rispetto al secondo CD, “The land at the end of our toes”. Quest’ultimo è infatti maggiormente incentrato sulle esperienze positive, sui rapporti con le persone che ci sono più vicine e che ci aiutano a superare i problemi. Se abbiamo realizzato qualcosa in questi anni è anche merito loro. Vedi “Opposites” come un disco che apre nuove porte per il futuro della band? S.N.: Ti sorprenderò, forse, ma credo che sia invece il disco che chiude il percorso all’insegna del rock intrapreso dai Biffy Clyro in tutti questi anni. In questo disco abbiamo capito che possiamo spingerci oltre e

Avete deciso di pubblicare un doppio album, una scelta alquanto azzardata in questi tempi di crisi. S.N.: Sì, me lo dicono in tanti ma francamente avevamo registrato davvero tante canzoni e molte di queste ci piacevano parecchio. Era davvero difficile per noi fare un’ulteriore selezione tra la ventina che ci sembravano le migliori tra quelle scritte. Sono passati tre anni tra “Only revolutions” e “Opposites”, un periodo piuttosto lungo e trascorso per la maggior parte on the road. S.N.: Sì, appena pubblicato “Only revolutions” siamo partiti per un lungo tour e di conseguenza abbiamo iniziato a registrare il disco all’inizio del 2012 nei Village Studios di Los Angeles, assieme a GGGarth Richardson, lo stesso produttore di “Puzzle” e del precedente disco. Ci troviamo particolarmente bene a lavorare con lui. Alla fine del tour eravamo davvero spompati, svuotati e allo stesso tempo quasi alienati. Questi sentimenti sono finiti inevitabilmente in “Opposites”. Raccontaci appunto di “Opposites” e dei due dischi che lo compongono? S.N.: Racchiudono sentimenti opposti, per quanto riguarda i testi. In “The sand at the core of our bones” raccontiamo essenzialmente le esperienze vissute da un punto di vista negativo, e che ci hanno fatto diventare quello che siamo oggi. Parliamo di cose che fanno male, che ti portano a farti delle domande e a chiederti se quello che fai ne vale veramente la

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degli opposti


uscire dai binari del rock per spostarci verso altre sonorità. Invitare dei musicisti mariachi su “Spanish radio” o inserire le cornamuse in un brano come “Stingin’ belle” testimoniano bene lo spirito libero che regna in questo nuovo lavoro. Quando ascolti queste canzoni, oppure “Trumpet or tap”, non sembra che a suonare siano gli stessi Biffy Clyro di sempre. Come credi che sia cambiato l’approccio alla composizione del gruppo in questi anni? S.N.: Cerco di non analizzare troppo quello che componiamo, anche perché la musica deve arrivare in maniera naturale, quasi istintiva. Più fai dischi e più diventa difficile rimanere freschi e avere sempre delle idee nuove. I Biffy Clyro sono nati sui banchi di scuola e hanno la fortuna di esistere ancora dopo più di quindici anni. Oggi siamo ben più di una semplice band o di un progetto musicale: siamo una vera famiglia. www.biffyclyro.com

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HARDCORE SUPERSTAR La festa non è ancora finita per gli street rocker svedesi guidati dall'affascinante Jocke Berg. Proprio lui abbiamo torchiato per voi in vista dell'uscita del loro nuovo lavoro. Di Arianna Ascionne

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el 2011 dicevate “The party ain't over 'til we say so”… Beh, tra poco esce il vostro nuovo disco, “C'mon take on me”! Jocke Berg (voce): È sempre bello quando esce un disco nuovo, e ovviamente ne siamo molto orgogliosi. Sarà molto divertente supportarlo quando partiremo per il tour e incontreremo tutti i nostri fan in giro per l'Europa e nel resto del mondo. Vedremo se loro sono d'accordo con noi! Avete lavorato con Randy Staub (Metallica, Nickelback, Bon Jovi), che tipo di lavoro ha fatto sul disco? J.B.: Abbiamo affittato uno studio a Göteborg per le registrazioni, ci sono voluti cinque mesi. Mentre registravamo il disco abbiamo parlato del sound e a Martin (Sandvik, il bassista – nda) è venuta l'idea di contattare Randy Staub. Tutti abbiamo pensato che sarebbe stato figo perché lui ha mixato moltissimi bei dischi in tutto il mondo, tra cui “Dr. Feelgood” e il “Black album” dei Metallica. È andato tutto benissimo, Randy è davvero molto professionale, non c'è stato nessun problema: ha ascoltato tutte le nostre idee e ha fatto esattamente quello che noi avevamo in mente. È bello avere il suo nome sul nostro disco: penso che questo possa anche darci una specie di riconoscimento negli States, perché lui è il migliore in quello che fa. L'intro, “Cutting the slack”, è completamente diversa come sound dal resto del disco, com'è nata? J.B.: L'idea per l'intro l'ha avuta Adde (il batterista, nda): voleva che suonasse come una specie di circo, raccapricciante e malato. Così abbiamo chiamato un nostro amico svedese, Anders, che sta a Berlino, e che ha già fatto delle intro per noi in passato. Noi volevamo soltanto un'intro figa e gli abbiamo lasciato carta bianca. E il risultato ci è davvero piaciuto un sacco! Come mai avete diviso in due parti il brano “Won't take the blame”? J.B.: Abbiamo pensato fosse interessante dividere la canzone in due sezioni: l'idea per la seconda è arrivata una notte, avevamo bevuto qualche birra in studio e tutta la nostra attrezzatura era pronta per registrare. Come si può sentire, abbiamo cantato il ritornello un sacco di volte. Abbiamo registrato tutto dal vivo, tutto insieme, invece che una parte per volta. Non so se è stata la sbronza che ci ha aiutati con l'idea, ma pensiamo sia stata grandiosa! Comunque il sound del disco è molto particolare: mi sembra che abbiate abbandonato un po' le sonorità più heavy metal - quelle di “Beg for it” per capirci - e invece recuperato quelle di “Hardcore Superstar”, più classic hard rock e più glam. J.B.: Sì, ho capito cosa vuoi dire. Penso che abbiamo mantenuto il nostro tipico sound. Questo è un po' più melodico rispetto a “Beg for it”. Abbiamo cercato di soddisfare i fan e noi stessi, sarebbe stupido ripetere sempre lo stesso disco. Ogni album ha bisogno del suo tocco. Ci sono comunque anche influenze grunge: se ascolti “Stranger of mine” puoi sentire qualcosa degli Stone Temple Pilots. Oppure in “Long time no see” ci sono influenze dei Mother Love Bone. Spero che ai fan piacciano! Tra poco partirete con un nuovo tour. Ovviamente fa tutto parte del vostro lavoro ma mi chiedo: vi divertite ancora ad andare in giro a suonare per mesi, oppure vivete la cosa come 'lavoro' e basta? J.B.: Suonare dal vivo e incontrare i fan è sempre molto divertente, quando stiamo sul palco un'ora e mezza ogni sera. Non lo sentiamo come un dovere, ma come puro piacere! L'aspetto peggiore però è passare ore e ore sul tourbus, viaggiando e aspettando. Sarebbe bello se potessimo fare come in Star Trek: andare sul palco e subito dopo essere a casa. Dopo tutti questi anni, hai mai pensato a una carriera da solista? J.B.: No, sono più un “uomo da band”. L'unica cosa da solista che faccio è quando suono per mio figlio. www.hardcoresuperstar.com

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SILVERSTEIN Decisi a non rinunciare alla propria identità, i Silverstein presentano "This is how the wind shifts": sicura presa di posizione e importante punto fermo in una carriera in grado di resistere alle insidie di tempo e mercato. Di Michele Zonelli - Foto Mark Luciani

Pubblicare oggi un concept album non sorprende, quello che colpisce nella vostra interpretazione è l'approfondita analisi degli scenari in esame, scenari che non lasciano nulla al caso... Shane Told (voce): Basta un singolo episodio per cambiare la vita di una persona per sempre. "This is how the wind shifts" sviscera il "cosa sarebbe successe se" a cui prima o dopo tutti pensiamo. Contrariamente al concetto comune legato a simili opere, il disco non racconta una storia dall'inizio alla fine ma analizza una serie di situazioni da due differenti punti di vista. Il lato A e il lato B della vita. Quanto di te è presente nelle vicende narrate? S.T.: Sono autobiografico in tutto ciò che scrivo, sebbene, in questa particolare occasione, abbia dato la priorità a storie di persone a me vicine. Che sia o meno d'accordo con le scelte descritte poco importa, quello che conta è il risultato: come le decisioni prese abbiano condizionato i momenti a venire. Pensi mai a "cosa sarebbe successo se..."? S.T.: Ci penso continuamente... Cosa sarebbe successo se non avessimo mai spedito il primo demo? Cosa sarebbe successo se dopo la dipartita di Richard (McWalter, chitarra) avessimo mollato? Al momento non sembravano decisioni così importanti, ma col senno di poi si sono rivelate decisive. Dove saremmo oggi se non avessimo agito come abbiamo fatto? Domande forse inutili per alcuni, ma inevitabili per altri. Non sono un fan del destino, ma a volte è difficile non credere, soprattutto quando cerchi di motivare sviluppi imprevedibili di situazioni in apparenza banali. I cambiamenti mi spaventano. È vero: penso spesso a "come sarebbe andata se", ma è altrettanto vero che se tornassi indietro mi comporterei esattamente allo stesso modo. Sebbene non privo di innovazioni, "This is how the wind shifts" mantiene inalterate le caratteristiche del suono che vi accompagna fin dagli esordi, rafforzando e consolidando quello che può essere considerato il vostro "marchio di fabbrica"... S.T.: Le mie radici affondano nella scena hardcore, ma ho sempre trovato ispirazione anche in arte e poesia. La fusione di questi tre elementi crea, per me, qualcosa di speciale . L'idea di base era testare strade diverse senza stravolgere completamente l'essenza della band. Non ci interessava sperimentare giusto per il gusto di farlo e nemmeno adottare soluzioni inusuali e troppo strane per noi. Un esempio? Abbiamo giocato parecchio con accordature e toni, poi ci siamo fermati, abbiamo osservato il quadro dall'esterno e ci siamo chiesti "questo è davvero meglio che alzare il Marshall?". Non ci siamo fatti prendere la mano e non abbiamo mai perso di vista l'obiettivo. Da questo punto di vista posso dire che siamo stati molto coscienziosi. Per quanto riguarda, invece, il lavoro in studio, abbiamo utilizzato quanto la tecnologia mette a disposizione a nostro favore, sempre senza esagerare. Giusto qualche effetto, ma nulla più. Per il resto ci siamo mossi come in passato. I primi due album ("When broken is easily fixed" e "Discovering the waterfront", nda) sono stati i più difficili. Eravamo tesi e sicuramente più inesperti. Con questo non voglio dire che oggi affrontiamo con leggerezza le nuove sfide, anzi. Voglio solo dire che da allora siamo cresciuti. L'ingresso di Paul (Marc Rousseau, chitarra) e le idee espresse in "This is how the wind shifts" ci hanno spronato e ora siamo qui, pronti, come allora, a dimostrare che possiamo ancora prendere a calci qualche culo. www.silversteinmusic.com

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SOILWORK Un simpatico e un po’ timido Ola Flink racconta a RockNow l’ascesa dei Soilwork nel panorama metal europeo. Da bravi outsider del death metal scandinavo a band ormai di primo piano, grazie a un senso della melodia fuori dal comune. Di Luca Nobili

The living infinite”, il vostro nuovo disco, mi ha sorpreso per la quantità di canzoni estremamente orecchiabili che si apprezzano fin dal primo ascolto. Pur rimanendo una band metal con molte influenze death siete insomma riusciti a rendere la vostra musica accessibile... Ola Flink (basso): Sottoscrivo al 100%. La ricerca di buone melodie è sempre stata presente nei nostri album e penso che in “The living infinite” abbiamo ulteriormente migliorato questo aspetto. Quello che più mi piace nella nostra musica è proprio l’approccio melodico, il riuscire a essere “catchy & heavy” dai riff di chitarra alle parti cantate. Un’altra caratteristica particolare dell’album è la sua lunghezza: un doppio CD con venti canzoni sono una scelta poco comune per una band death metal. Non temete possa essere una sorta di handicap per il suo successo commerciale? O.F.: In effetti quando l’idea di registrare un doppio album si è fatta strada nella band, ero un po’ scettico. Normalmente i Soilwork scrivono molte canzoni prima di entrare in studio ma poi si scelgono le 10/12 migliori. Fare uscire “The living infinite” con venti brani sembrava in prima battuta un azzardo. Il processo creativo è stato però talmente intenso ed efficace che ci siamo ritrovati senza sforzo con queste venti canzoni, tutte talmente buone che scartarle non avrebbe avuto senso. Alla fine siamo molto soddisfatti e sicuri che i nostri fan apprezzeranno l’album nella sua interezza. Dove credi che potrete arrivare con “The living infinite”? I Soilwork sono sulla scena da tempo e siete cresciuti costantemente album dopo album... O.F.: Come ho detto, siamo molto contenti di come è venuto l’album, ora abbiamo solo una cosa in mente: viaggiare il più possibile e portarlo dal vivo in giro per il mondo, farlo ascoltare a tante persone perché ne siamo realmente orgogliosi... e mi auguro di ricevere dal pubblico un buon responso, ovviamente! Se tra un anno saremo riusciti in questo mi riterrò più che soddisfatto. I Soilwork hanno iniziato nella seconda metà degli anni '90 come band death metal, ma nel corso degli anni, pur non rinnegando il death, il sound si è spostato sempre più verso la melodia. È un processo comune a molte band death nate in quel periodo, credi sia in qualche modo un percorso inevitabile? O.F.: Credo sia un percorso comune perché l’età ha molta influenza sulla musica che ti ritrovi a creare. Quando ho cominciato a suonare con i Soilwork eravamo giovani e irruenti, l’unica cosa che avevamo in mente era suonare metal aggressivo perché era quello che avevamo ascoltato fino ad allora. Poi cresci, migliori tecnicamente, cominci ad ascoltare anche altra

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La S Infin


Storia nita

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SOILWORK

musica e questo ti spinge a espandere i tuoi orizzonti: è un processo naturale, non ti basta più suonare in maniera aggressiva e cerchi di ottenere di più da quello che scrivi, non vuoi ripeterti all’infinito affidandoti ai soliti riff e alle solite ritmiche. Guardando indietro ai vostri primi album, come li vivi oggi con il classico senno di poi? O.F.: Ogni album mi ricorda un periodo della mia vita, e fortunatamente lo associo sempre a cose positive che mi sono successe. Non so, forse è per questo motivo che mi sento orgoglioso di tutto quello che ho fatto con i Soilwork, non c’è nessun album o canzone che riascoltandola oggi non mi renda comunque fiero di averci suonato.

In passato avete collaborato con Devin Townsend, uno dei personaggi più creativi dell'intera scena metal. Com'è stata questa esperienza? O.F.: Devin è assolutamente una persona fuori dal comune! Abbiamo lavorato con lui per le registrazioni dell’album “Natural born chaos”: è stata un’esperienza fantastica, è una persona con una dedizione assoluta per il suo lavoro, è capace di una focalizzazione quasi disumana su qualsiasi aspetto della produzione di un album. La cosa che più ho apprezzato è stato il suo voler fare a tutti i costi un ottimo lavoro, non si accontenta mai e continua a lavorare finché non è soddisfatto al 100% del risultato. Lui è sempre super-impegnato ma spero di poter lavorare ancora con lui un giorno. www.soilwork.org

“Non ti basta più suonare in maniera aggressiva e cerchi di ottenere di più da quello che scrivi, non vuoi ripeterti all’infinito affidandoti ai soliti riff e alle solite ritmiche” 42 RockNow


Quando Quandoililpensiero pensiero supera superail ilgesto... gesto...

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KVELERTAK La band norvegese, esplosa un paio di anni fa con il bellissimo album omonimo, torna con un nuovo disco e un tour che li porterà presto anche in Italia. A parlare con noi è il chitarrista Vidar Landa. Di Andrea Ardovini - Foto Stian Andersen

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i aspettavate il successo di pubblico e di critica dopo il disco d'esordio? Vidar Landa (chitarra): No, veramente no. Eravamo già felici di pubblicare un disco! Il nostro piano era quello di andare avanti e cercare di suonare il più possibile dal vivo, quindi le recensioni positive e tutto il resto sono state una grande sorpresa per noi. Hanno fatto sì che potessimo continuare ad andare in tour e fare quello che volevamo. So che avete firmato da poco con Roadrunner. Cosa rappresenta per voi questa collaborazione? V.L.: Il nostro rapporto con loro è iniziato già nel 2011, la prima volta che siamo andati a suonare negli Stati Uniti. Gente dell'etichetta veniva a vedere i nostri show e tutti erano molto entusiasti di noi. Quando è giunto il momento di parlare con una nuova etichetta, loro sono stati i primi ad avvicinarsi ed erano veramente molto eccitati di poter lavorare con noi. Questo ci ha fatto sentire sicuri che avrebbero fatto un buon lavoro. “Meir”, il vostro secondo album, uscirà il 26 Marzo. Cosa lo differenzia dal precedente, secondo te? V.L.: Appena finite le registrazioni ci siamo resi conto che il nuovo album ha qualcosa in più da tutti i punti di vista. È più estremo: ci sono più armonie di chitarra, le melodie catchy del primo album lo sono diventate ancora di più. Abbiamo ampliato la nostra musica in entrambe le direzioni. I testi del primo album erano tutti in norvegese ed erano connessi con la mitologia nordica. Sarà così anche con “Meir”? V.L.: I testi del nuovo album hanno poco a che vedere con la mitologia nordica. Non volevamo metterci da soli in un angolo da cui non poter più uscire! Quest'album ha dei testi che parlano di temi molto diversi tra loro. Personalmente sento molte influenze nella vostra musica, dagli Hellacopters all'hardcore punk fino agli Entombed. Da dove arriva questo mix? V.L.: Ascoltiamo tutti cose molto differenti. Il risultato finale dipende dall'abilità di Bjarte, uno degli altri chitarristi. È lui che scrive la maggior parte delle canzoni e che riesce a mescolare le influenze di tutti e le cose che ci piacciono, mettendole insieme. È questo che determina il nostro sound. L’artwork di entrambi i dischi è stato curato da John Baizley dei Baroness. Com'è iniziata la collaborazione tra di voi? V.L.: John è venuto in possesso di un nostro demo mentre stavamo ancora registrando il primo album e ci ha contattato chiedendoci se volevamo che lavorasse all'artwork. Noi eravamo suoi fan e ci piacevano i suoi lavori, così gli abbiamo lasciato carta bianca. Per “Meir” abbiamo deciso di avere una continuità ed è stato quindi naturale chiamare di nuovo John. Per la registrazione dei pezzi siete tornati nuovamente da Kurt Ballou. Com'è lavorare con lui? Vi ha aiutato nella creazione del vostro sound? V.L.: Le canzoni erano già pronte prima di entrare in studio, ma Kurt è veramente bravo nel trovare il giusto sound, sia che parliamo di batteria, di chitarra o di qualsiasi altro strumento. È molto concentrato sulle armonie, sui dettagli, ed ha contribuito molto alla creazione del nostro sound. È davvero una persona incredibile con cui lavorare, molto professionale ed onesto. Ho visto il video girato durante un vostro concerto a Singapore, dove siete finiti a suonare per strada! Qual è la cosa più incredibile che è successa durante un vostro show? V.L.: Beh, a Singapore stavamo suonando l'ultima canzone e nel locale faceva davvero caldo, così ho deciso di uscire per strada. La gente ci ha seguito fuori, quindi ci siamo ritrovati tutti per strada a suonare e abbiamo bloccato il traffico. È come vogliamo che siano i nostri show, devono avere quel tipo di energia che fa sì che succedano cose impreviste. Ma ci sono successe un sacco di cose incredibili. Una volta in Norvegia qualcuno si mise a fare sesso in prima fila. www.kvelertak.com

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boogie

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Torna la band Neozelandese con il suo quinto album a quattro anni dall'ottimo "Head stunts". Registrato in Svezia da Nick Royale, ex Hellacopters, "Death rattle boogie" si presenta come il disco più completo della band a livello di suoni e composizione. Di Francesco Menghi

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iete arrivati al quinto disco. Cosa vi aspettate da "Death rattle boogie"? Phil Somervell (chitarra): Guarda, non ci aspettiamo niente! Per noi suonare è solo piacere, non facciamo mai un disco pensando a come possa andare o meno. Abbiamo la fortuna di fare qualcosa che ci piace e non pensiamo al resto. Facciamo dischi quando possiamo e perché ci piace, tutto qua. Considera anche che viviamo in città e paesi diversi e quindi non abbiamo la possibilità di vederci spesso. Com’è possibile riuscire a tenere insieme la band vivendo in paesi diversi? P.S.: Non ce ne preoccupiamo assolutamente. Io vivo in Nuova Zelanda, Ben a Londra, Dolf in Svezia (Cole e De Borst, rispettivamente batterista e cantante/bassista dei Datsuns, nda) ma questo non ci crea problemi. Francamente, non so dirti come facciamo. A volte ci capita che prima di partire per un tour di due mesi facciamo una sola prova! Lo so, sembra assurdo, ma abbiamo questa speciale alchimia che ci permette di provare poco e comporre a distanza. Quando ci penso, mi rendo conto che è una cosa molto speciale. "Death rattle boogie" suona crudo e diretto, ma meno "punk" rispetto ai precedenti e ci sono anche dei pezzi più melodici e psichedelici. Com’è avvenuta questa trasformazione? P.S.: Sì, è vero, nel disco ci sono canzoni più psichedeliche se vuoi nell’approccio, che è a tratti meno aggressivo rispetto al passato, ma mantiene comunque il nostro marchio di fabbrica in un modo o nell'altro. Ci piace aprirci a sensazioni diverse. In questo disco, ad esempio, il blues delle origini è molto presente. Sai, il nostro suono cambia con noi, in base anche alle nostre esperienze e sensazioni del momento. Credo sia la cosa più bella del suonare: fare esattamente quello che vuoi, quello che ti viene e che ti fa star bene. Ricordo quando uscì il vostro disco di debutto. Era un momento di revival per un certo tipo di rock'n'roll e sinceramente lo ricordo con piacere. Oggi sembra esserci molto meno interesse verso il rock in generale. Cosa ne pensi? P.S.: Anche qui sono d'accordo con te. Mi ricordo bene quel periodo, noi avevamo avuto un successo che non ci aspettavamo assolutamente e lo ricordo come un momento fantastico della nostra carriera. Abbiamo girato il mondo e suonato all'Ozzfest con Korn e Marilyn Manson e poi abbiamo aperto per i Metallica al Big Day Out Festival. Ricordo che c'era un’attenzione fremente su tutte le band che uscivano. Noi non abbiamo mai seguito la moda, ma semplicemente goduto dell'opportunità (ride). Devo dire, però, che negli anni la nostra fan base ci ha seguito con costante interesse e sono per loro i dischi che facciamo. L'amore che ci danno i fan è la nostra linfa vitale. Ora il rock viene ascoltato meno, è vero, i DJ e la musica elettronica spopolano, ma per me non è un problema, sono solo dei cicli. Poi detto fra noi, vedere un DJ che "suona" mi trasmette ben poco, ma probabilmente alcuni sono anche molto bravi. Il disco è stato prodotto in Svezia da Nick Royale, l'ex frontman degli Hellacopters. Cosa puoi raccontarci a riguardo? La mano di Nick ha influenzato molto il risultato finale secondo te? P.S.: Nick è un amico e registrare da lui è stato fantastico. Ti mette completamente a tuo agio e ti lascia fare tutto quello che vuoi, non entra nel gioco in modo invasivo, non stravolge il tuo suono, né cerca di plasmarlo. Semplicemente ti registra e ti lascia fare. Certo, a volte qualche consiglio glielo chiedevamo, ma fra noi e lui il rapporto è così bello che tutto veniva naturale. Poi sai, gli Svedesi sono pazzeschi. Sono dei musicisti eccezionali, in Svezia tutti suonano da Dio, è incredibile. Ci mettono una precisione e un amore, davvero invidiabili. Quali sono ora i vostri immediati progetti futuri come band? P.S.: Suonare tantissimo ovunque con "Death rattle boogie" e poi una volta tornati a casa concentrarci sulle altre nostre band e rispettivi progetti. Tutti noi suoniamo in altre band. Suonare è la cosa che ci fa vivere, in tutti i sensi. Semplicemente non possiamo stare senza suonare, non voglio nemmeno pensarci, per me è troppo importante. www.thedatsuns.com

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THE LEECHES

Torna una delle migliori punk rock band italiane con un album molto bello intitolato “Underwater�. Un buon motivo per scambiare quattro chiacchiere con Massi, il loro cantante e bassista. Di Andrea Canthc Cantelli

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Mondi sommersi


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nnanzitutto complimenti per il vostro ultimo disco “Underwater”. Sta andando parecchio bene, almeno per quanto riguarda le recensioni: sembrate aver messo tutti d’accordo. Massi (voce/basso): Grazie per i complimenti! Siamo molto soddisfatti del disco e di come è stato accolto, Sai, mentre lo fai non sei mai sicurissimo del fatto che possa piacere o meno, quindi per il momento direi che va tutto bene! Com’è nata e come si è svolta la collaborazione con il produttore newyorkese Daniel Ray? M.: Daniel aveva già collaborato con i Valentines, un'altra band della nostra etichetta, la Tre Accordi Records. Quindi, quando abbiamo iniziato a parlare del disco, ci siamo detti che sarebbe stato bello provare a chiedergli di collaborare con noi. Neanche a farlo apposta, proprio in quel periodo abbiamo aperto il concerto di CJ Ramone e ad accompagnarlo alla chitarra c'era proprio Daniel, cosi ci siamo conosciuti e gli abbiamo proposto di produrre il nostro disco. Lui ha accettato subito e la collaborazione tra di noi si è svolta in modo veramente spontaneo e semplice. Daniel si è rivelato una persona molto tranquilla e in studio c'è sempre stato un bel clima! E non solo meteorologico… State facendo un lunghissimo tour Italiano in questo periodo, quindi avete sicuramente un’idea abbastanza globale sulla nostra scena. La vedete in salute in questo periodo? M.: Più o meno, ci sono sempre persone che si sbattono per organizzare le cose e ci sono molti gruppi interessanti, ma manca però una cosa fondamentale, a mio parere: i ragazzini, una sorta di ricambio generazionale. Capita spesso, infatti, ai concerti di essere tutti dai 30 anni in su e la cosa non è che faccia ben sperare... Detto questo, non ci scoraggiamo di certo e cerchiamo comunque di arrivare in tutti i modi ai ragazzi!

Ho visto che siete molto apprezzati anche all’estero. Avete in programma di espatriare prossimamente? M.: Abbiamo in programma un tour in Germania per la fine di aprile, di cui dovremmo avere conferma ufficiale in questi giorni. Poi abbiamo delle date in Austria e dei contatti in Inghilterra, speriamo si concretizzi tutto! Noi non vediamo l'ora! Mostri marini, ragazzi piranha… v’ispirate ai vecchi film di fantascienza? M.: Vecchi e nuovi! Ma anche horror, commedie e un sacco di altre cose. La regola che cerco di seguire è quella di guardare un film al giorno, tutto questo poi si riflette nelle canzoni e nel tipo di humor che ci mettiamo dentro. Siete sulla scena da più di dieci anni, avete visto passare molte mode e trend e non vi siete mai fatti scalfire o contaminare… È questo il vostro segreto? M.: Mi sembra che i Motörhead dicessero che non essere mai di moda è come esserlo sempre. Per quel che riguarda, noi diciamo che non essere mai di moda è come non esserlo mai. Ma facciamo quello che ci piace e quello di cui siamo capaci, tutto qui! Per il prossimo futuro cosa possiamo aspettarci dai Leeches? M.: Un bel po’ di concerti e poi chissà, sono undici anni che andiamo avanti e finché c'è la salute... canto! www.theleeches.it

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DISCO DEL MESE

Pure Love “Anthems” (Mercury/Universal)

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I Pure Love sono il nuovo gruppo di Frank Carter, l'ex cantante dei Gallows. E qui la finirei di parlare della sua ex band, in quanto a me musicalmente non sono mai piaciuti. Scrivo questo perché sarebbe troppo semplice e risulterebbe fazioso omaggiare il nuovo progetto di un artista che già apprezzavi in altre vesti. Vesti, tra l’altro, completamente inedite quelle indossate da Frank in questa nuova band: ha smesso di urlare, di autoflagellarsi dal vivo, di suonare dissonante e ha scelto di cantare pulito, benissimo, e di sposare un suono rock al 100%, senza l'obbligo di seguire un trend. A condividere con lui il progetto Pure Love c'è Jim Carroll, ex membro degli Hope Conspiracy. Quando ascoltai il loro secondo singolo virale (“Handsome Devils Club”),

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urlai al miracolo: mi ricordava i Menzingers nel suono, ma il testo era decisamente più tagliente. La conferma arriva con “Bury my bones”: arrangiamento quasi hard rock, melodia catchy e uno statement fondamentale fin dalla prima frase: “I'm so sick of singing about hate, It's never gonna make a change”. Sono assolutamente d'accordo con te, Frank! Prima della fine del 2012, altri due singoli vennero pubblicati, nei digital store e su YouTube: “Riot song”, quasi clashiana nel testo (“There's a riot on the streets of England!”) e “Beach of diamonds”, il brano migliore del disco, accompagnato da un video molto esplicito, come in realtà piace sempre fare a Mr. Carter. Il resto dell’album scorre benissimo: “She (makes the devil run through me)” è brit rock

recen allo stato puro, come si faceva negli anni '90, ma con la produzione del 2013: suona infatti molto potente. L'inizio di “The hits” potrebbe farvi pensare a un brano tirato, ma con l'ingresso della batteria, i toni e i bpm tornano sui livelli del resto del lavoro; il risultato finale è un altro singolo molto radiofonico. La title-track rappresenta il momento più intimo del disco, mentre “Heavy kind of chain” riporta il suono in contesti brit; provate a pensare agli Ocean Colour Scene, arrangiati in chiave punk. “March of the pilgrims” è il brano più orchestrale, con grandi aperture, ottimo come colonna sonora di un film sulla fine del mondo. All'appello mancano solo “Burning love” e “Scared to death” che confermano quanto detto in precedenza in quanto a immediatezza e sonorità; il secondo brano forse si avvicina, più dei precedenti, ai Primal Scream più rock. In sostanza, negli 11 brani del disco, troviamo 11 potenziali singoli (il titolo “Anthems” è decisamente azzeccato). Il lavoro dei Pure Love mi ha riappacificato con il rock inglese, grazie forse anche all'influenza chitarristica d'oltreoceano di Carroll e ho

apprezzato la presa di posizione del leader della band. Frank Carter si è trovato a prendere una decisione importante circa due anni fa: continuare con i Gallows, girando il mondo, riempiendo le venue di media grandezza, rischiando la vita e la gola a ogni performance, spingendosi sempre oltre, fino a diventare il nuovo GG Allin... Oppure cambiare direzione, dimostrare al mondo di saper cantare alla grande e scrivere il disco migliore del 2013. Grazie al cielo, ha optato per la seconda soluzione. Andrea Rock


nsioni FUNERAL FOR A FRIEND "Conduit" (Distiller)

★★★★

Realtà tra le più longeve e influenti in ambito post-hardcore, i Funeral For A Friend tornano con "Conduit": ennesima e inattaccabile dimostrazione del valore di Davies e compagni. Un ritorno alle origini da non confondere con un passo indietro. Il recente passato non è stato accantonato e le melodie introdotte in "Memory and humanity" e "Welcome home armageddon" sono ancora presenti, ora poste in secondo piano, a favore di strutture più complesse e articolate. L'ennesimo cambio di line-up, con l'ingresso del batterista Pat Lundy (Rise To Remain), ha portato una

ventata di freschezza e bastano le eccelse "Best friends and hospital beds" e "Nails" per riassumere ed elevare 12 anni di onorata carriera. Lunga vita ai FFAF! Michele Zonelli

SHAKA PONK

“The geeks and the jerkin' socks” (Tôt ou Tard/Audioglobe)

★★★★

Questa band è semplicemente fantastica. Enorme. E questo terzo album, uscito da qualche tempo e pubblicato ora in Italia in questa nuova edizione con un DVD aggiunto, racchiude nel migliore dei modi tutto l’universo sonoro degli Shaka Ponk. Rock, metal, funk, pop, richiami reggae ed escursioni electro sono gli ingredienti che i sei francesi e la loro onnipresente scimmia

BULLET FOR MY VALENTINE ‟Temper temperˮ (RCA/Sony)

★★★

Vita difficile quella dei Bullet For My Valentine: amati, odiati e (spesso) nemmeno presi in considerazione. Uno degli errori di Tuck è stato paragonare fin da subito la sua creatura ai mostri sacri del metal... Errore di gioventù, inutile continuare ad accanirsi. Guardando indietro: "The poison" e "Scream aim fire" restano le opere di riferimento, "Fever" il passo falso a furor di popolo. E "Temper temper"? Si tratta sicuramente di un buon lavoro, non eccelso, ma nemmeno da sacrificare a testa bassa. Metal, thrash e imponenti melodie sono sempre in primo piano. "Breaking point", la nota title track, "Leech" e "Riot" si ergono a capisaldi: trascinanti e caratterizzate da passaggi difficili da ignorare. "P.O.W." e "Dead to the world" spezzano l'incedere: controverse (ma non superficiali) ballate a cui la band sarà sempre legata. Composizione e struttura abbandonano le molte (troppe) divagazioni del passato a favore di linearità e impatto. La questione è semplice: amate il metal classico, quello che ha fatto scuola e che mai sarà surclassato? Non ascoltate i BFMV. Amate le soluzioni contemporanee, le correnti nate negli ultimi anni oltreoceano e gli approcci più melodici ed emozionali? Date una possibilità a questa band. Michele Zonelli

nu rock virtuale, Goz, mischiano con disinvoltura per ottenere un suono decisamente originale. Abili musicisti e guidati dal carismatico Frah e dalla sensuale e grintosa Samaha, gli Shaka Ponk hanno saputo conquistare un grosso pubblico con esibizioni live incredibili e una serie di singoli particolarmente riusciti come l’energica “Let’s bang”, la coinvolgente “I’m picky”, il cyber/ reggae di “My name is stain”, l’electro/disco di “Sex ball” e, chicca finale, la travolgente “Palabra mi amor” con l’azzeccato featuring dell’ex Noir Désir Bertrand Cantat. Assolutamente geniali. Non male per una band nata da un delirio tra amici. Daniel C. Marcoccia

SYD

“See you downtown” (Etnagigante)

★★★★

Dopo una lunga gestazione esce finalmente il primo album dei SYD, o meglio di Marco Pettinato A.K.A John Lui A.K.A. SYD, appunto, visto che il progetto ruota completamente attorno a questo personaggio. “See you downtown” è un lavoro moderno, accattivante nelle sue cupe sonorità electro/rock che richiamano i Nine Inch Nails (“I hold you”), alle quali vengono aggiunti, a seconda delle neccessità, groove da dancefloor (“Broken generation”) o richiami stoner (“How many reason”). Se “Every grain” potrebbe essere un brano degli Outkast riarrangiato da Trent Reznor, “Killing depression” è invece una frizzante scappatella pop, mentre altre piacevoli mazzate electro arrivano con “To the deeper space” e la strumentale “Trip to Miami”. “Frozen” è invece la gemma del disco, un bellissimo brano rock venato di soul. Pubblicato dall’etichetta di Roy Paci, che produce il tutto assieme allo stesso SYD, e mixato come si deve da Marco Trentacoste. Daniel C. Marcoccia

The Blackout “Start the party” (Cooking Vinyl/Edel)

★★★

A due anni di distanza da “Hope”, la band gallese torna con “Start the party”, quarto lavoro che già dal titolo preannuncia la sua sostanza: brani orecchiabili e trascinanti, ritmi semplici ma con un’energia tale che vi faranno venire voglia di iniziare a far festa, o per lo meno di cantare e muovere la testa. In “Start the party” si ritrovano elementi già noti dello stile musicale dei Blackout, mescolati a riff e scelte ritmiche azzeccate per rendere

questo album ancora più catchy dei precedenti. Si alternano brani che travolgono come “Take away the misery”, “We live on” e la stessa title-track a brani più lenti come la ballata “You”. Divertimento ed energia, questo è in poche parole “Start the party”. Silvia Richichi

THE CIRCLE ENDS HERE “The division ahead” (Memorial Records)

★★★

Quintetto di Udine già autore di un promettente EP di debutto nel 2011 (“Where time leaves the rest”), i Circle Ends Here giungono ora alla tappa importante del primo album. Dobbiamo riconoscere che il gruppo ha saputo mettere bene a fuoco il proprio suono in questi due anni e le canzoni di “The division ahead” sono qui a dimostrarlo. Partendo da una base metal, i cinque musicisti hanno creato un insieme di sonorità complesse e poco incline al compromesso, che alternano ritmi sostenuti e violenti ad aperture melodiche che regalano un po’ di respiro alle trame spesse delle canzoni, e che ben si amalgamano con un cantato potente e duttile. Segnaliamo “Remiss”, “Monument”, “Porcelain” e “Transcend”. Metalcore evoluto? Daniel C. Marcoccia

The Used “Vulnerable (II)”

(Hopeless/Rude Records)

★★★

Ristampa con secondo disco bonus per l'ultimo album di The Used, “Vulnerable”, pubblicato nel 2012 da Hopeless, dopo ben dieci anni di major con Reprise per il gruppo dello Utah. Di fatto si ripropone un buonissimo album ricco di emo, post hardcore e alternative, ovvero il mix vincente che la band capitanata da Bert McCraken porta in giro per il mondo da anni. La motivazione che mi porta a dare la semplice sufficienza al disco è che il secondo CD è un'accozzaglia di brutte b-side, remix dubstep di dubbio gusto e versioni acustiche che fanno certamente conoscere una dimensione un po' differente di The Used, ma che non ne migliorano in nessun modo l'impatto. Il consiglio, se avete già “Vulnerable”, è di lasciar perdere questa uscita. Invece se non ce l'avete, risparmiate e prendete la prima versione del disco, perché nel secondo CD troverete poco o niente di buono. Alex de Meo

RockNow 51


ROCK/POP Axis Of

“Finding St Kilda” (Smalltown America)

★★★★

Io e una parte della redazione di RockNow aspettavamo frementi l'uscita del debutto di uno dei gruppi di cui abbiamo parlato certamente per primi in Italia e che Rock Sound UK ha già elogiato da tempo. Gli Axis Of pubblicano finalmente “Finding St Kilda”, un album che raccoglie i brani scritti dalla band nordirlandese negli ultimi due anni, di cui alcuni già presentati con successo più di un anno fa sulla BBC: è un po' come se il più grezzo gruppo post punk suonasse live sulla RAI ed entusiasmasse tutta la stampa di settore? Utopia. “Finding St Kilda” è l'autentico capolavoro dei tre di Portstewart: pezzi come “The world's oldest computer”, migliore

traccia del disco, “Lifehammer” e “Aung” lo dimostrano già dopo pochi secondi di ascolto. Mischiate i Refused e gli At The Drive-In con un pochino di attitudine da “festa alcolica” e avrete il sound di un gruppo del quale sarebbe davvero una grave mancanza non parlare. Alex de Meo

ISIS

“Temporal”

(Ipecac/Goodfellas)

★★★

I fan degli Isis attendono da anni il loro ritorno sulle scene. Per ora possono soltanto accontentarsi, si fa per dire, di questa gustosa raccolta doppia (più DVD) targata Ipecac che contiene anche tracce inedite. Una vera e propria summa della band, che copre poco più di un decennio (1999-2011).

BIFFY CLYRO “Opposites”

★★★★

(14th Floor/Warner)

Per quello che è il loro sesto lavoro in studio, gli scozzesi Biffy Clyro hanno addirittura deciso di pubblicare un doppio album suddiviso in “The sand at the core of our bones” e “The land at the end of our toes”. Prodotto dall’esperto GGGarth Richardson, “Opposites” racchiude così la bellezza di ben venti canzoni (due strumentali in più nella versione “deluxe”) che permettono al trio guidato da Simon Neil (chitarra e voce) di regalarci il meglio del proprio repertorio, ovvero un rock elettrico, potente ma sempre melodico, venato di (power) pop e dai ritornelli sempre efficaci. Se avevate già apprezzato i due singoli estratti, “Stingin’ belle” (con le sue cornamuse) e “Black chandelier”, allora non rimarrete neppure delusi ascoltando “Modern magic formula”, “Different people” e “A girl and his cat”, brani dinamici che, a tratti, possono ricordare sia i Foo Fighters che gli Snow Patrol. Non mancano le ballate ad ampio respiro come “Opposite” e la bellissima “Accident without emergency”, nonché momenti più atipici come “Spanish radio” con le sonorità Mariachi. Esiste anche una versione “singola” con quattordici tracce pescate dai due CD. Sharon Debussy

recen Nel primo disco ci sono demo e versioni alternative, mentre il secondo contiene anche remix, brani già editi (tratti dallo split con i Melvins), cover (“Streetcleaner" dei Godflesh e “Hand of doom" dei Black Sabbath) e la versione acustica di “20 minutes/40 years”. Chi non ne avesse abbastanza può andare anche sul sito della label, per scaricare un terzo disco che contiene cinque demo. Arianna Ascione

BLACK BEAT MOVEMENT

“Black Beat Movement” (Maninalto! Records)

★★★

I Black Beat Movement sono un combo di musicisti noti e non - che hanno unito le loro forze con l’intento di dare il via a un progetto ambizioso, sperimentando a più non posso. I territori esplorati in questo EP d’esordio sono svariati: si va dalla drum’n’bass al rap, passando da ritmi black a beats tipicamente funk. Insomma un bel mix di elementi che una volta uniti hanno dato risultati decisamente interessanti: brani come “Kerouac” e “Slow” potrebbero infatti far parte della tracklist di qualsiasi artista internazionale inerente al genere. Per la tipologia di proposta potremmo dire che l’Italia va stretta a questo sestetto, a nostro avviso molto più a suo agio in territori più abituati a questo tipo di proposte come Regno Unito e Francia. Un EP ben riuscito, a questo punto non resta che attendere gli sviluppi futuri di un nome in sicura ascesa. Giorgio Basso

MALLORY KNOX "Signals"

(A Wolf At Your Door)

★★★

Piacevole sorpresa i Mallory Knox, band inglese alla prima prova sulla lunga distanza. Assimilabile a Don Bronco e Deaf Havana ma più pesante (se mi passate il termine), il combo propone un rock emozionale impreziosito da strutture pop e animato da parentesi dal vago sapore punk-rock. "Beggars" introduce al meglio tutto quanto è presente in "Signals". Autore di una prova priva di sbavature, il cantante Mikey Chapman si dimostra abile e versatile nell'interpretare sia i momenti più dolci e pacati sia i passaggi più ruvidi e intensi ("Death rattle"). L'insidia della ripetitività è sempre dietro l'angolo, ma la band riesce, ad ogni modo, a non cadere

52 RockNow

nel tranello e a confezionare un prodotto da non sottovalutare. Piero Ruffolo

MARCO D’ANDREA “Everything I have to say” (Autoprodotto)

★★★

I dischi strumentali fatti dai chitarristi, soprattutto quelli in libera uscita dalla propria band, servono spesso ad appagare il loro ego. Possono tuttavia essere realizzati con abbastanza gusto da risultare persino piacevoli. È il caso di “Everything I have to say”, disco del chitarrista dei bravi Planethard (autori del riuscito “No deal” uscito lo scorso anno), un lavoro che, oltre a evidenziare ancora una volta la bravura di D’Andrea, ci regala brani dai colori diversi, che alternano momenti più hard rock (“Sandstorm”, “The journey”) ad altri maggiormente introspettivi come la lenta “Why”. Ottime pure la tiratissima “Is this blues?” e “Esperanza”, nonché “A deep breath” che chiude il disco in maniera perfetta, con le sue belle atmosfere e l’esplosivo assolo finale. Piero Ruffolo

MINNIE’S “Ortografia”

(To Lose La Track/Fallo Dischi/Neat Is Murder)

★★★★

Torna la storica band milanese, una delle più longeve della scena indipendente italiana. “Ortografia” racchiude le diverse anime del gruppo, da sempre in bilico tra il punk rock e un’attitudine per così dire “d’autore”. La magia dei Minnie’s sta appunto nel raccontare storie di ordinari disastri senza perdere per un attimo la freschezza. Il disco è un crescendo di brani intriganti, come il singolo “Tragedia”, accompagnato da un bellissimo video girato in una libreria. “È la quotidianità”, “Daccapo” e “Capodanno” emergono per un sound infuocato che promette scintille dal vivo. Ma è la title-track “Ortografia” a sorprendere di più: una cavalcata post-rock di sette minuti da togliere il fiato. I Minnie’s ci confermano che la qualità fa sempre la differenza e può restituire vigore a un genere a rischio asfissia. Nico D’Aversa

MISACHENEVICA

“Come pecore in mezzo ai lupi” (Dischi Soviet Studio/Audioglobe)

★★★

Album d’esordio per la band padovana, che propone un lavoro grintoso e diretto, registrato in analogico


nsioni e in presa diretta. Un disco dal taglio decisamente britpop, concepito però con un’attitudine garage. Il lato più originale e interessante di “Come pecore in mezzo ai lupi” è il lavoro fatto sui testi, che affrontano disillusioni generazionali e problematiche contemporanee senza mai scadere nel banale. “Figlio illegittimo di Kurt Kobain”, “Retromania”, “Il nostro paese diviso in due”, “La partita di calcetto infrasettimanale” sono titoli e pezzi stimolanti che meritano di essere approfonditi con attenzione. Sarà pure una generazione disorientata (come pecore in mezzo ai lupi, appunto), ma perlomeno reclama l’urgenza di continuare a suonare ed essere rock come le pare e piace. Nico D’Aversa

POLAR FOR THE MASSES “Italico”

(La Grande V Records/Audioglobe)

★★★

Quarto lavoro per la granitica band vicentina, ennesimo caso di gruppo da esportazione ancora poco conosciuto in patria. Con quest’album però vogliono rimediare alla grande: non solo per la prima volta i testi sono in italiano, ma addirittura titolo e contenuti fanno riferimento al bel Paese. Parlano infatti, come sempre meno accade, di politica e denuncia sociale, oltre che di vita e di morte. Che dire poi del sound? Dicono di ispirarsi alla drone-music, per capire cos’è basta ascoltare i loop di chitarra e basso che percorrono l’album. Un tappeto sonoro che fa pensare all’elettronica, in realtà trattasi di chitarra, basso & batteria, registrati in analogico. Ascoltate “Miseria e nobiltà”, “Un uomo un voto”, “Ruvido”, “Mia patria”. E’ noise, è il suono del rumore. Nico D’Aversa

TBP

“Universe of emotions” (Zeta Factory/Venus)

★★★

Primo album per il progetto TBP del musicista romano Mario Contarino, ex batterista dei Ladri Di Carozzelle e al quale fu diagnosticato all’età di 5 anni la distrofia muscolare di Duchenne. Oggi, attraverso “Universe of emotions”, Mario ci invita in un affascinante viaggio strumentale (registrato grazie alle moderne tecnologie digitali) fatto di arrangiamenti accattivanti e spaziando tra territori

sonori vari, che vanno dalla fusion all’hard rock, con digressioni nel blues e nel prog. Un disco che va lasciato scorrere traccia dopo traccia (su tutte “Jungle island”, “Damn war” e “The power of mind”) per apprezzarne pienamente le tante atmosfere e i suoni accattivanti. Musica fatta con grande passione. Piero Ruffolo

TWENTY ONE PILOTS "Vessel"

(Fueled By Ramen/Warner)

★★★★

Osannati alla stregua di veri e propri eroi nazionali nella nativa Columbus (Ohio), Tyler Joseph e Josh Dun, al secolo Twenty One Pilots, debuttano su Fueled By Ramen con "Vessel", terzo album della loro carriera. Voce, batteria e tastiere: questi gli ingredienti di una ricetta tanto semplice quanto innovativa. Pop ed elettronica sono i generi di riferimenti, qui in continua evoluzione. Ogni brano è una storia a sé e una continua scoperta. Aperture dance lasciano il posto a dolci ritornelli, scalzati a loro volta da liriche scanzonate (a volte rappate) e da moderne soluzioni in equilibrio tra le due scuole. Non mancano perle di follia come "Fake you out", animata da beat propri delle prime console di casa Nintendo. Piero Ruffolo

VIVA LION

“The green dot” (Cosecomuni)

★★★★

Se siete amanti delle belle canzoni acustiche dal taglio neo folk molto in voga di questi tempi, allora andate a colpo sicuro con questo EP di Viva Lion, nick dietro al quale si “nasconde” il bravo musicista romano Daniele Cardinale. “The green dot” racchiude cinque tracce dagli arrangiamenti semplici (in alcuni casi minimali) che le rendono particolarmente accattivanti fin dal primo ascolto. “Some investments are recession proof”, “Even if” o ancora “Goodmorning goodnight” dipingono paesaggi (americani…) che sembrano scorrere dai finestrini di una macchina, tra suoni morbidi e belle armonie vocali. Chicca finale, una particolare cover di “Footloose”, fatta assieme a Pierluigi Ferrantini dei Velvet (che produce l’EP). Viva Lion, un nome da seguire e canzoni che resteranno. In barba alle mode. Daniel C. Marcoccia

ROCK/POP


METAL AEON

“Aeons black” (Metal Blade)

★★★

Leggenda ben diffusa e radicata tra molti amanti della musica rock è che il death metal sia essenzialmente “casino con un losco figuro a ruttarci sopra”. Come ogni luogo comune ha una sua base di verità, non lo nego… ma di sicuro gli Aeon potrebbero far cambiare idea a molti. La band svedese è in possesso di tecnica fuori dal comune, il lavoro delle chitarre è grandioso e solo un sordo potrebbe rifiutarsi di ammetterlo. Il solo ascolto della opening track “Stll they pray” vince ogni resistenza, uno dei migliori pezzi death dell’anno! Perché allora un misero “3” a “Aeons black”? Semplice: suddette grandi capacità tecniche e la valanga di riff pazzeschi non sono sfruttati come dovrebbero. Troppo legati ai cliché del genere gli Aeon, un autolimitarsi che faccio fatica a comprendere. Come un motore Ferrari sul telaio di una Punto… Luca Nobili

BUCKCHERRY "Confessions"

(Seven Eleven Music)

recen

★★★★

Suppongo che nessuno tra i fan dei Buckcherry si possa aspettare nulla di diverso che un disco come “Confessions”. Il quintetto losangelino è tra quei gruppi di oggettivo successo con un suono ben riconoscibile, definito e fondamentalmente immutabile. E un ascoltatore medio che non si aspetta altro che “quello”… Ovvio, non tutte le ciambelle (per quanto collaudate) riescono con il buco e anche i Buckcherry con il precedente “All night long” hanno toppato, nonostante tutto. “Confessions” per fortuna non deluderà i suddetti conservatori fan: queste nuove tredici canzoni sono decisamente più riuscite di quelle un po’ mollicce del precedente disco, con brani più grintosi e decisi (il nuovo singolo “Gluttony” spacca), molto spesso ruffiani come dei veri eredi degli Aerosmith devono per forza scrivere. Addirittura Josh Todd si cimenta in una sorta di concept album a livello lirico, sviscerando lungo l’album i sette peccati capitali. Un esperimento interessante per una band così “leggera”, che non appesantisce il risultato finale. I delusi da “Music from another dimension” troveranno pane per i loro denti proprio qui: è arrivato il momento in cui gli allievi superano i maestri. Luca Nobili

FALL CITY FALL "Victus" (Victory)

★★★

Punto di incontro tra Every Time I Die, Converge e The Dillinger Escape Plan: questo è "Victus", questi sono i Fall City Fall. Mai come in questo caso, parlare di metalcore è riduttivo sebbene, ancora una volta, necessario. Necessario per delineare (sommariamente) l'ambiente di riferimento. Metal, math e hardcore la fanno da padrone, in un succedersi di veloci e violenti passaggi caratterizzati da un doppio cantato mai banale e scontato. Non la solita formula tra pulito e distorto, ma un solido intreccio in bilico tra screamo e growl. Grezza e difficile da prevedere, la forma dei brani spiazza di continuo, a favore di un incedere caotico in grado di trasmettere le emozioni proprie di un debutto più che promettente. Michele Zonelli

HARDCORE SUPERSTAR

“C'mon take on me” (Nuclear Blast/Warner)

★★★

Gli Hardcore Superstar sono sempre una certezza e confermano la loro efficacia come band anche nel nuovo disco. È un lavoro

54 RockNow

che recupera a livello di sound per lo più l'inconfondibile (e classico) marchio di fabbrica glam/street rock, con qualche apprezzabile esperimento, come il singolo “One more minute”, non rappresentativo del disco, o “Won't take the blame”, canzone divisa in due parti. Notevoli l'intro “Cutting the slack”, da vero “creepy sick circus” (cit. Jocke Berg, vedi intervista ndr) e le citazioni dal sapore grunge sparse qua e là. Però, da fan della band, non era male la pseudo-svolta metallazza di “Beg for it” del 2009. Fossi stata in loro non l'avrei abbandonata così presto. Arianna Ascione

INFERNAL POETRY "Paraphiliac"

(Bakerteam Records)

★★★

Ci sanno fare gli Infernal Poetry. Non si arriva al quarto album e si superano i 10 anni di attività suonando (death) metal in Italia… a meno che tu non abbia qualità. E perseveranza! “Paraphiliac” porta ulteriormente avanti le intuizioni sonore presenti nel precedente album “Nervous system failure”, senza per questo scadere nel banale. Il death metal più stereo-

tipato degli esordi è da tempo un ricordo, e non certo per strane svolte melodico/commerciali: gli Infernal Poetry sono cresciuti senza rinunciare ad essere “estremi”, riuscendo a mutare il loro attacco sonoro in una miscela originale di death, metalcore e industrial. Menzione merita poi la copertina di “Paraphiliac”, tra le più belle e inquietante che ho visto ultimamente! Luca Nobili

KVELERTAK “Meir”

(Roadrunner/Warner)

★★★★

In un momento di incertezza assoluta come quello che sta vivendo il nostro paese in questi giorni, “Meir” è davvero un toccasana. Il secondo album in studio della band norvegese non delude infatti le aspettative, pur alte, che nutrivo nei suoi confronti. Le undici tracce si vanno a situare nel solco già tracciato dall'album d'esordio, nel quale si potevano degustare note di hardcore, black metal, cori da stadio e chitarre alla Hellacopters e Turbonegro, il tutto tritato e mescolato alla perfezione. In “Meir” c'è un pizzico di hard rock in più, che

conferisce all'album un sapore nuovo e deciso. Menzione d'onore per “Snilepisk”: adatta forse a palati poco fini, ma dal gusto davvero succulento. Andrea Ardovini

NEWSTED "Metal"

(Chophouse Records)

★★★

“Metal” è composto da soli 4 pezzi e ha una durata complessiva di 22 minuti. Trattasi di thrash metal piuttosto classico: riff granitici, voce graffiante, ritmica quadrata. Il disco rappresenta una summa delle diverse esperienze musicali di Jason Newsted, dai Voivod ai Tallica, passando per i Motörhead e i Black Sabbath. Quindi alterna i riffoni tosti e martellanti, cari alla Bay Area degli anni ’80, ai pezzi mid-tempo che vengono da un paio di lustri prima. Complessivamente lo stile è compatto e diretto, anche se a volte troppo prolisso. Considerando che stiamo probabilmente parlando di un progetto di transizione, forse questo EP andrà valutato alla luce di ciò che verrà. Le premesse ci sono, aspettiamo il power trio al traguardo del primo album. Sharon Debussy


nsioni BROADWAY CALLS

“Comfort/Distraction” (No Sleep Records)

★★★★

Dopo l’ottimo “Good views, bad news”, targato 2009, questo terzo lavoro dei Broadway Calls arriva con l’intento di confermare il power trio dell’Oregon come una delle realtà più solide del panorama pop/punk americano. E non c’è che dire: questi 11 nuovi brani, dal suono molto fresco ma allo stesso tempo anche pesantemente influenzati dai primissimi Green Day e più in generale dal tipico suono della Lookout “early 90s”, centrano pienamente l’obbiettivo. Grazie anche alla sapiente produzione di Bill Stevenson dei Descendents, il suono è compatto e le melodie funzionano ottimamente soprattutto su brani come “Bring on the storm”,

“Sorrounded by ghosts”, “Hardly swinging” e “I’ll be there”. Una bella lezioncina a chi si fregia un po’ troppo gratuitamente del titolo di “defender”. Stefano Russo

ICEAGE

“You’re nothing” (Matador/Self)

★★★

Secondo full length per i danesi Iceage, che già si erano fatti notare poco meno di due anni fa con il loro album d’esordio “New brigade”. Il giovanissimo quartetto di Copenhagen è autore di un post-punk graffiante e caotico, con influenze hardcore e new wave che lo rendono cupo e aggressivo quanto basta per entrare nelle grazie di chi mal sopporta le declinazioni più pop del genere. Un disco pretenzioso che nel complesso supera senza dubbio il già piuttosto notevole predecessore, e che nonostante

PUNK/HC una ricerca un po’ più raffinata suona comunque sufficientemente sporco e ruvido. Piccola chicca: “Morals” contiene una riconoscibilissima citazione de “L’ultima occasione”, famoso brano degli anni ’60 di Mina. Stefano Russo

OUT OF DATE

“Forget to remember” (This Is Core Music)

★★★

Nome noto della scena hardcore melodica nazionale quello degli Out Of Date, che dal '99 a oggi diffondono il loro verbo con buoni risultati anche sul suolo estero. “Forget to remember” è un EP che ha il sapore di antipasto, in attesa della portata principale - l'album - prevista per fine 2013. Cinque i nuovi brani, che evidenziano la raggiunta maturità del gruppo milanese ottenuta attraverso sperimentazione e scelte coraggiose. Maggior spazio alle parti

SHAI HULUD

"Reach beyond the sun"

★★★★

Foto Nathaniel Shannon

(Metal Blade)

Veterani della più dura scena hardcore, precursori (ma non rappresentanti) del moderno metalcore, autori di opere in grado di resistere all'inarrestabile trascorrere del tempo... gli Shai Hulud sono tornati! Magistralmente interpretato e forte del rientro (solo in studio) alla voce di Chad Gilbert (già con la band nell'album di debutto "Hearts once nourished with hope and compassion" e oggi anche produttore), "Reach beyond the sun" colpisce duro: chiara dimostrazione di come metal e hardcore devono e dovrebbero coesistere. Non mancano aperture thrash e arrangiamenti melodici, inconfondibili, questi ultimi, dell'ormai noto e impeccabile gusto del chitarrista Matt Fox (vero e proprio simbolo della formazione). Le dichiarazioni legate al desiderio di limitare elementi tecnici e progressive e di riportare le emozioni di un tempo in primo piano trovano il cercato riscontro. Complessi, eterogenei e caratterizzati da architetture in continua evoluzione (difficile trovare ripetizioni o assonanze di alcun tipo), momenti quali "I, Saturnine", "Man into demon...", "To suffer fools" e "Monumental graves" racchiudono anni di esperienza e passione, impartendo più di una semplice lezione. Nulla di scontato, nessun compromesso, nessuna similitudine, solo e semplicemente Shai Hulud. Michele Zonelli

melodiche e una consolidata affidabilità in fatto di velocità sostenute sono il fiore all'occhiello di questo EP, decisamente in linea con ciò che i volti noti della scena d'Oltreoceano ci propinano e adattissimo a chi cerca adrenalina e passione sotto forma di musica. Avanti così! Giorgio Basso

RFC

"Ritieniti fortemente coinvolto"
 (La Canzonetta/Self)

★★★

Dodici anni di attività non sono pochi, soprattutto per una band ska-core come gli RFC. Il gruppo di Caserta, che pubblica oggi il suo quarto album, non si è mai lasciato scalfire dalle mode (che si sa, vanno e vengono) e ha continuato imperterrito il suo percorso con lo stesso genuino spirito che animava il disco d’esordio “Anarchia sentimentale”. “Ritieniti fortemente coinvolto” (da qui l’acronimo del gruppo) racchiude l’essenza della musica degli RFC: ritmi in levare, riff efficaci, ritornelli che vanno a colpo sicuro e testi che dipingono un quadro socio-economico non sempre esaltante. Piccole storie intitolate “Salvati”, “Nessuno ti capisce”, “Via da qui” e “Arde il cuore”, quest’ultima con il featuring di Olly dei Fire. Piero Ruffolo

STEREO AGE “Strong enough” (This Is Core Music)

★★

Giovanissimi e con la passione per il pop/punk questi Stereo Age. In attesa del debutto discografico previsto per il 2013, il quartetto piemontese presenta tre nuovi brani in “Strong enough”, classico lavoro all'americana fatto di melodie ammiccanti, ritornelli easy listening e adrenalina a raffica. Seppur preparati, i quattro protagonisti mostrano ancora qualche limite, soprattutto la difficoltà di rendere uniche le proprie canzoni. Un alone di “già sentito” aleggia infatti minaccioso in questo mini, cosa che non permette a brani tutto sommato piacevoli di spiccare il volo. Macchia che – viste le potenzialità espresse – potrà ben presto essere cancellata con l’imminente album. Giorgio Basso

RockNow 55


18th Milano Tatt

EVENTI

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too Convention

Anche quest'anno la Milano Tattoo Convention non ci ha sicuramente deluso: tatuaggi, mostre, spettacoli, tre giorni dedicati all'arte del tatuaggio e non solo.

Testo Stefania Gabellini - Foto Arianna Carotta

H

a compiuto 18 anni la Milano Tattoo Convention, riconfermandosi uno dei più importanti appuntamenti europei e mondiali. Quest'anno, oltre a ospitare più di 200 tatuatori di fama internazionale (Italia, Stati Uniti, Francia, Svezia e Finlandia, Russia e Polonia, Giappone, Spagna, Inghilterra…) erano presenti anche alcune mostre molto interessanti: quella fotografica dedicata allo stile chicano e alle street gang di Los Angeles, "Tattoos From The Street Of Los Angeles" di Andres Herren; la mostra "By All Means Necessary" con tavole eseguite da vari tatuatori in omaggio alla musica underground; "Woodcut Portraits"con ritratti realizzati dal famosissimo tatuatore londinese Alex Binnie; e infine gli scatti con protagonista la bellissima modella di Las Vegas Sabina Kelley, immortalata per l’edizione 2013 del Calendario Tattoo Energy. Non sono mancati gli spettacoli, come la danza acrobatica della compagnia Aves, le esibizioni di fusione e danze urbane del gruppo Le Soeurs Tribales Dance Company, l’airbrush di Lorenzo Dossena - in arte Dox -, le performance di Lucky Hell, mangiatrice di spade e il concerto del progetto benefico Punk Goes Acoustic con Andrea Rock, speaker di Virgin Radio e firma di RockNow, a fare gli onori di casa. Senza dimenticare il consueto tattoo contest e il concorso Miss Tattoo Convention. Sempre più numerosi i presenti, dai molti curiosi interessati all'argomento ma non al punto di farsi "marchiare" la pelle, fino ai tanti appassionati che non hanno esitato invece a farsi tatuare seduta stante.

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THE LINE

In collaborazione con Extreme Playlist

Due volte all'anno, in localitĂ sempre diverse, Volcom organizza l'ormai leggendario rail contest Peanut Butter and Rail Jam che dĂ la possibilitĂ a tutti gli snowboarder di vincere premi in denaro, materiale tecnico e soprattutto di accedere alla finale europea.

Testo di Markino - Foto Roberto Benis

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T U N A E P D N A R E T T U B M A J L I A R L

a prima tappa si è svolta al Play Park di Borno e la prossima si svolgerà il 3 marzo in Abruzzo, al Magnola Snowpark di Ovindoli. Io e Fumaz abbiamo dato il nostro contributo per la riuscita di questa prima tappa… A lui il ruolo di speaker della gara e a me quello di giudice dei rider, entrambi col compito di fomentare i rider a più non posso. Come sempre la parola d'ordine è “free” perché il tutto è completamente gratuito. Il pacchetto comprende l'iscrizione, caramelle, cioccolatini, bibite e un bel panino con wurstel e salse che fanno vivere a tutti i partecipanti una gran bella giornata. Reduce dalla fiera agricola di Brescia e da una comparsa nel nuovo video degli Andead a Milano parto in direzione Val Camonica. Cena con tutto lo staff e poi tutti a letto. La sveglia alle 8 del mattino dopo ci riserva una bella sorpresa, fuori dalla finestra... nevica!!! Una volta arrivati in cima con tutta quella neve fresca non possiamo resistere e ci lanciamo nella powder. Tornati a rapporto al Park, tutto è pronto per l'inizio della gara: la musica è ad alto volume, i rider sono arrivati, tutti si iscrivono e iniziano il training sulle tre strutture tra cui un rainbow, un down rail e un doppio tubo diritto. Io raggiungo la mia postazione e inizio a guardare cosa combinano i rider. Le categorie della gara sono under 15, 16+, girls e open. Diamo un piccolo vantaggio di giudizio ai giovanissimi e alle ragazze e cerchiamo di essere un po’ più duri con le altre due categorie perché noi vogliamo vedere precisione e creatività sulle strutture. A parte il tempo uggioso che ogni tanto ci graziava con qualche spiraglio di sole, il tutto si è svolto nel migliore dei modi, tutti i rider si sono divertiti e hanno ricevuto in omaggio la T-shirt dell'evento. Ulteriore premio per i primi cinque classificati di ogni categoria è l'iscrizione automatica alla finale europea che si terrà ad Avoriaz. Dopo le premiazioni e le foto di rito è ora di prendere gli scatoloni pieni di gadget e lanciarli dalla casetta del Park come chiusura di una giornata spettacolare. Per noi è tempo di smontare gli stand, caricare la motoslitta e non ci resta altro che farci un'ultima discesa in mezzo ai boschi pieni di neve con l'ultimo scorcio di sole che ci rende visibile la pista. È grazie a eventi come questo che coinvolgono dai più piccoli alle ragazze e ai ragazzi più esperti che lentamente sta crescendo la scena snowboard italiana, dando la possibilità di confrontare il proprio livello con quello dei rider di tutta Europa.

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THE LINE

Extreme Playlist

Ogni mercoledĂŹ, su rocknrollradio.it dalle 19 alle 21, Markino e Fumaz ci raccontano cosa succede nel mondo degli action sport attraverso le parole e i gusti musicali dei suoi protagonisti. Stay tuned!!!

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FLIGHT CASE

Un disco, un tour, un disco, un tour… Questa è più o meno la routine per molti degli artisti che avete incontrato nelle pagine precedenti. Ed è proprio ai concerti che è dedicata questa rubrica, con tuttavia una piccola differenza: questa volta vi portiamo dietro il palco alla scoperta di piccoli rituali e abitudini varie.

MARK TREMONTI

(Alter Bridge, Creed & Tremonti) Di Daniel C Marcoccia Foto Richard Booth Qual è stato finora il concerto più bello che avete fatto e perché? Mark Tremonti (chitarra, voce): Quello dell’Heineken Music Hall che abbiamo filmato per il DVD degli Alter Bridge. Credo che rappresenti bene quello che facciamo ogni notte. Il concerto peggiore? M.T.: Ogni volta che salgo sul palco è per me una favola. Qual è il pubblico più strano che avete incontrato? M.T.: Finora sono stato molto fortunato e tutti i fan che ho incontrato sono stati davvero tranquilli! Cosa non dimentichi mai di portare con te in tour? M.T.: Un buon libro! L’ultimo che ho letto è stato "Ready player One" di Ernest Cline. Come passi il tuo tempo tra una data e l’altra? M.T.: Passo molto del mio tempo sul tour bus o in una stanza d’hotel a suonare la chitarra. Cosa non deve mai mancare nel vostro camerino? Avete richieste particolari? M.T.: Nulla di assurdo! Solo del buon cibo e un posto tranquillo in cui scaldare la mia voce e strimpellare la mia chitarra. Avete delle regole da rispettare sul tour bus? M.T.: Non servono regole quando ciascuno rispetta gli altri. C’è una cover che vi piace suonare durante il soundcheck? M.T.: Non proprio recentemente. Passiamo molto del tempo a disposizione durante il soundcheck per scrivere nuove canzoni e lavorare ad alcune idee. Avete un rito particolare prima di salire sul palco? M.T.: Una birra o due con i ragazzi della band, riscaldamento, controllare il gruppo che apre, ancora riscaldamento e quindi… rock!!! Qual è la figuraccia peggiore che hai fatto dal vivo? M.T.: Sono caduto durante il primo concerto a Chicago del tour di “AB III”. Era proprio all’inizio di “Come to life”, il mio piede è scivolato dal monitor e tutto quello che ricordo sono Myles e Ernie che mi aiutavano a rialzarmi. www.marktremonti.net

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