#9
109% YOUR MUSIC MAGAZINE
Mensile - Anno 2 - Aprile 2013
Alkaline Trio - Pure Love Device - Ministri Off With Their Heads The Blackout - Minnies Axis Of - The Manges
BRING ME THE HORIZON Sempiternal songs
Meganoidi - Fidlar - Incite - Korpiklaani - The Virginmarys – RFC - Pornoriviste - the maine
109% MUSIC FOR HAPPY PEOPLE
Mensile - Anno 2 - Aprile 2013
#9
Bring Me The Horizon Alkaline Trio Device Ministri Off With Their Heads The Blackout Minnies Axis Of The Manges
PURE LOVE Anthemic rock
Meganoidi - Fidlar - Incite - Korpiklaani - The Virginmarys – RFC - Pornoriviste - the maine
#9
109% MUSIC & ATTITUDE
ALKALINE TRIO
Mensile - Anno 2 - Aprile 2013
Love & shame
Bring Me The Horizon Pure Love - Device Off With Their Heads Ministri - The Blackout Minnies - Axis Of The Manges Meganoidi - Fidlar - Incite - Korpiklaani - The Virginmarys – RFC - Pornoriviste - the maine
EDITO “To fans in a festival setting it’s like a picnic. You want to have a good time with your friends in that crowd. And in the background you hear the band play. Everyone is there to enjoy the afternoon and that’s about it”.
Foto Arianna Carotta
Tom Araya (Slayer)
Si è parlato molto in queste ultime settimane del fatto che quest’anno non si svolgeranno alcuni festival importanti che per anni hanno accompagnato a ritmo di rock l’estate di molti di noi. Non ci saranno quindi né l’Heineken Jammin Festival, né il Rock in IdRho e giustamente questo dispiace a molti appassionati. La notizia è diventata in pochi minuti l’argomento di discussione principale di blog, social network e forum, luoghi virtuali piacevoli in cui ci si incontra e spesso ci si scontra. Le lamentele non sono ovviamente mancate perché - è vero - è triste vedere che l’Italia continua a rimanere “piccola” rispetto al resto dell’Europa anche in fatto di festival, ma piuttosto che riempire di insulti i vari social, sarebbe meglio riflettere un attimo sulla situazione. Qualcuno dei promoter ha parlato della difficoltà di mettere in piedi un cartellone degno di nota. Ci sta. Come, allo stesso tempo, si è consapevoli della brutta situazione economica in cui versa in questo momento l’Italia. È chiaro che tutto questo dispiace e a pagarne le conseguenze sarà soprattutto la musica, che già viene abbastanza bistrattata in questo Paese. Mancherà a molti di noi la possibilità di vedere sullo stesso palco tanti artisti amati e scoprirne dei nuovi in un’unica o più giornate assieme ad amici. Personalmente non sentirò affatto la mancanza di quelli che lanciano
oggetti in direzione del gruppo non amato e cercano in tutti i modi di impedirne l’esibizione. Non vi ho mai tollerato e tutto sommato sarà un piacere non vedervi quest’anno. Detto questo, da qui a settembre ci saranno sì pochi festival ma si svolgeranno comunque tanti concerti e ci saranno parecchi grossi nomi in arrivo. Se vi piace veramente la musica, sarebbe davvero stupido perderne alcuni. Ora vi lascio alla lettura di questo nuovo numero di RockNow. Bring Me The Horizon, Alkaline Trio e Pure Love in copertina! Non male, vero? I primi due, li abbiamo sempre sostenuti “altrove” in passato e continuiamo a farlo. Il nuovo gruppo di Frank Carter è invece la nostra piccola scommessa e se il suo disco esce in Italia, è un po’ anche merito nostro… Keep on rockin’!!! Daniel C. Marcoccia @danc667 Ps: ascoltate le nostre playlist su Spotify!!!
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ROCKNOW #9 – APRILE 2013 – www.rocknow.it
06-21 PRIMO PIANO
Fidlar Incite Out Of Date / Circle Ends Here All in the name of… Rock Dischi violenti: Meganoidi Korpiklaani Pornoriviste RFC The Virginmarys Hi-Tech Games Crazy… net Open Store
22-51 ARTICOLI:
22-25 Bring Me The Horizon
www.rocknow.it Registrazione al Tribunale di Milano n. 253 del 08/06/2012
Scrivi a: redazione@rocknow.it DIRETTORE Daniel C. Marcoccia dan@rocknow.it ART DIRECTOR Stefania Gabellini stefi@rocknow.it
26-29 Alkaline Trio
30-33 Pure Love
COORDINAMENTO REDAZIONALE ONLINE EDITOR Michele “Mike” Zonelli mike@rocknow.it COMITATO DI REDAZIONE Marco De Crescenzo Stefania Gabellini COMUNICAZIONE / PROMOZIONE Valentina Generali vale@rocknow.it
34-35 Device
36-38 Ministri
40-42 Off With Their Heads
44-45 The Blackout
46-47 Minnies
48-49 Axis Of
COLLABORATORI Andrea Ardovini Arianna Ascione Giorgio Basso Andrea Cantelli Nico D’Aversa Sharon Debussy Alex De Meo Francesco Menghi Luca Nobili Amalia Noto Eros Pasi Andrea Rock Stefano Russo Piero Ruffolo Silvia Richichi Extreme Playlist FOTOGRAFI Arianna Carotta Emanuela Giurano SPIRITUAL GUIDANCE Paul Gray
50-51 The Manges
52-57 RECENSIONI
52 Disco del mese: BMTH 53 Nu rock 54 Pop/Rock 56 Metal/Punk 58-61 The Line 62 Flight case: The Maine
44RockNow RockNow
Editore: Gabellini - Marcoccia Via Vanvitelli, 49 - 20129 Milano
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PRIMO PIANO
FIDLAR Dog’s life
Divertenti, autoironici, dediti alla filosofia del “do it yourself” e festaioli all'ennesima potenza. In altre parole: punk pazzi furiosi. Loro sono i Fidlar e arrivano da Los Angeles. Di Arianna Ascione
U
n gruppo che decide di chiamare una canzone “Cheap beer”, dedicandola ovviamente alla birra economica, che realizza video lisergici su un certo Max che non sa fare surf, che fa impazzire i fan con scherzetti su Facebook e che deve il suo nome al mantra “fuck it dog, life's a risk” non può prendersi troppo sul serio: “Sì, ci divertiamo parecchio, per noi l'importante è suonare. Non bisogna essere troppo seri. 'Cheap Beer' è una canzone vecchiotta, è stata una delle prime che abbiamo scritto in assoluto. È
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un pezzo divertente, che racconta di quando vai in giro e bevi birra economica, la vita di un ventenne a Los Angeles insomma”. La scena punk losangelina odierna, però, è decisamente affollata, come ci racconta la stessa band: “Di gruppi che suonano ce ne sono un sacco e c'è un mare di buona musica. Non solo a L.A., ma anche a Orange County o a sud della città. Ci sono tante band anche perché molti si spostano dalle loro zone d'origine per venire a tentare la fortuna”. È difficile emergere oggi? “È più difficile di un tempo. Ci sono un sacco di band e molti fanno più o meno la stessa cosa. È difficile anche
rendersi riconoscibili nella massa. Per noi l'aspetto live è molto importante: abbiamo suonato tantissimo in giro, bisogna insistere. Piuttosto che suonare nelle venue classiche abbiamo preferito farci vedere anche alle feste private, ci siamo esibiti in show DIY. Oggi devi percorrere altre strade per farti notare e farti conoscere”. Il debut album dei Fidlar, omonimo, è uno dei migliori dischi punk degli ultimi tempi e anche il grande Henry Rollins deve essere stato dello stesso avviso, visto che li ha passati nel suo show radiofonico. Ma per i Fidlar anche l'aspetto visivo è molto importante. Molti gruppi oggi
privilegiano Youtube, anche per il fatto che le televisioni musicali non hanno più l'influenza di una volta: “Mettiamo video su Youtube da quando abbiamo iniziato a suonare. Oltre ai filmati divertenti che facciamo, ci sono ovviamente anche i video 'ufficiali' che curiamo noi stessi in prima persona”. Adesso poi ci sono strumenti come Spotify che possono aiutare le band emergenti: “Anche se la qualità a volte non è elevata, come nel caso di Youtube, oggi la musica è molto più accessibile. E di conseguenza se ascolti un disco che ti piace, dopo lo vai a comprare”. www.fidlarmusic.com
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PRIMO PIANO
INCITE Family feeling
Gli Incite rappresentano un’interessante nuova promessa del metal attuale, finalmente qualcosa di fresco per gli amanti del sound groovy e pesante che era in grande voga un paio di decenni orsono. Di Luca Nobili
P
otrei anche nascondermi dietro a un dito, ma che il principale motivo di popolarità degli Incite sia legato alla parentela del singer Richie Cavalera con il patrigno Max è un dato di fatto. Ma questo, anche per una valida band come gli Incite, può diventare un handicap più che un aiuto… “Non abbiamo mai lasciato che i pettegolezzi dei media influenzassero il nostro cammino come band. Non ci importa granché di quello che pensa la gente, credo che i nostri fan abbiano sempre percepito
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che questa è una band ‘vera’ e sincera. Se poi qualcuno vuole odiarci o parlare male di noi a causa di una parentela, libero di farlo… perde l’opportunità di apprezzare una killer band”. Indubbiamente un ragazzo con la testa sulle spalle e le idee chiare il nostro Richie. Oltre a essere un buon cantante metal, con un timbro e un approccio che appare influenzato parecchio dall’hardcore. “Siamo influenzati principalmente dalle sonorità di fine anni ’80, primi ’90, a cui aggiungiamo il nostro groove e la nostra aggressività per arrivare al suono che ci contraddistingue. Le nostre canzoni
ricordano al pubblico il periodo in cui l’heavy metal era al top, quando era semplice musica, senza troppe paranoie, fatta per essere suonata live violentemente e a tutto volume. Quello che rende gli Incite speciali credo sia il nostro rapporto con i fan: ci piace passare del tempo con loro e divertirci dopo i concerti, coinvolgerli in tutti gli aspetti e sono poche le band che hanno ancora questa attitudine”. “All out war”, il secondo e nuovo album del quartetto di Phoenix, è impreziosito dall’ottima produzione di Logan Mader, indimenticato chitarrista dei Machine Head che
furono. Il suo lavoro si sente, eccome, sul risultato finale e gli Incite non nascondono certo la loro soddisfazione per una così illustre collaborazione: “Logan è il migliore! Siamo realmente sulla stessa lunghezza d’onda, lavorare con lui è semplicissimo e ha sempre grandi idee per far rendere al meglio le nostre canzoni. Spero avremo ancora l’occasione di lavorare con lui, sento che con la presenza di Logan in studio non ci sono limiti alla nostra creatività e a quello che possiamo fare”. Ci vediamo nel pit, ragazzi!!”. Già, e occhio alle ossa… www.inciteaod.com
OUT OF DATE
Gli Out Of Date tornano con un EP che li consacra tra le migliori realtà del panorama hardcore melodico nazionale e non. Per saperne di più, abbiamo incontrato il loro cantante Simone. Di Giorgio Basso
Partiamo con una panoramica sulla scena tricolore osservata con gli occhi di chi la vive da anni: “C’è chi dice non ci sia una scena, o che una volta c’era e ora non c’è più e, ovviamente, c’è chi dice che non c’è mai stata. Dal nostro punto di vista, già il solo fatto che ci sia ancora voglia di suonare e di portare fuori qualcosa di proprio, significa che i cervelli e i cuori funzionano ancora, facendoci sentire a casa, in un ambiente in cui le persone sentono il bisogno di stare assieme, di esprimersi e di farlo nel modo che è loro più congeniale. Quando abbiamo iniziato, eravamo studenti ed eravamo circondati da ragazzi della nostra età, pieni di forza e rabbia, era naturale che sentissimo
THE CIRCLE ENDS HERE
e vedessimo più gruppi intorno a noi. Ora il numero di coetanei che ancora suona è calato, ma tra gli studenti nascono ancora un sacco di realtà interessanti, mentre quelli più perseveranti, trovano il riscontro che meritano”. Il ritorno degli Out Of Date coincide con un nuovo EP, “Forget to remember”: “Ci piace pensare di non essere ancora arrivati a un vero e proprio sound degli Out Of Date, e magari di non arrivarci mai. Spesso il piacere sta nella ricerca e non nel ritrovamento. Il passo avanti c’è indubbiamente stato, le nuove canzoni hanno una struttura e una densità diversa dalle precedenti, ma sin dall’inizio abbiamo visto tutto questo come un passo intermedio, come un qualcosa che avrebbe portato ad altro. Non saprei dare un’etichetta, non siamo diventati più punk/rock o hardcore, siamo più Out Of Date di prima, questo è certo”. Dopo l'ennesima esperienza discografica si torna quindi a parlare di live: “Ci stiamo muovendo per suonare in eventi abbastanza grossi e non ci dispiacerebbe neppure uscire un pochino dall’Italia”. www.outofdate.it
Difficile definire la musica della band di Udine: potenza hardcore, digressioni post-rock e una forte personalità in sede di composizione. Ne parliamo con il chitarrista Francesco murtas. Di Daniel C. Marcoccia
Le canzoni dei Circle Ends Here puntano molto sulle atmosfere, definendo così un suono molto personale: “È nato tutto in modo molto spontaneo. Quando abbiamo cominciato a suonare assieme, ormai più di tre anni fa, non avevamo un'idea molto chiara di quello che volevamo fare e due di noi erano praticamente alla prima ‘esperienza’ musicale. Inizialmente abbiamo preso il tutto come una specie di laboratorio, ci trovavamo per le prove e oltre a suonare passavamo molto tempo assieme per conoscerci e capire che strada avremmo voluto far prendere al progetto. Con il passare del tempo ci siamo ritrovati in sala prove a respirare un'intesa unica e in pochi mesi abbiamo composto il primo EP, uscito nel 2011. ‘The division ahead’ ci sembra la naturale e sincera evoluzione di questo percorso”. Sonorità in cui la fisicità dell'hardcore si fonde con aperture quasi post-rock: “Penso che ognuno debba usare la chiave di lettura che ritiene più opportuna nel momento in cui si rapporta alla musica. Personalmente penso che anche noi stessi all'interno del gruppo viviamo la nostra musica in modo diverso l'uno dall'altro. Quello che pensiamo traspaia dalla band è il sentimento di tristezza e rabbia che cerchiamo di incanalare all'interno delle nostre composizioni.
Parlando di influenze, abbiamo gusti anche molto diversi, ma i gruppi che riteniamo maggiormente importanti per noi sono sicuramente Envy, Cult Of Luna, Pianos Become The Teeth, Rinoa, Amia Venera Landscape, Neurosis e Isis… giusto per citarne alcuni”. Il disco esce per la giovane etichetta Memorial Records: “Abbiamo trovato in loro quella voglia di fare, quell'umiltà, quella serietà e attenzione che non avevamo trovato in precedenza. I dettagli del contratto sono venuti dopo e abbiamo trovato un accordo quasi immediatamente. Memorial Records ci sta dando una mano a far girare il disco e ora come ora i Paesi che sembrano averlo maggiormente apprezzato sono quelli Est europei. Abbiamo infatti organizzato un tour in Ucraina e Russia per la promozione dell’album”. Di “The division ahead”, il gruppo vorrebbe che ne venisse apprezzato il sentimento: “Abbiamo cercato di arrivare sinceramente nel profondo senza grosse pretese”. www.facebook.com/thecircleendshere
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PRIMO PIANO
s e i l e e F y h c u The To
A) lifornia (US a C , d o NOME: o w ), LaLa NZA: Holly PROVENIE a Joy (voce, chitarra nn LINE UP: A tteria) ords, campi (Ba S ), o s .T.F.O. Rec s a (G P (B E ” e ut of tim DISCO: “O 3) giugno 201 punk rock ents, GENERE: e Replacem h T , tt e J n E: Joa INFLUENZ eelies Green Day heTouchyF /T m o .c k o o www.faceb
r a t s h t r o N e h Rise Of T
NOME: ce) Paris (Fran : ic A Z N IE N hitarra), Lo (c PROVE e c ri B ), ) ithia (voce in (Batteria v e K LINE UP: V ), o s s ” EP Fab (Ba saiya style (chitarra), y m g n ti a emonstr DISCO: “D Records) (Akatsuki rave hardcore bey The B O , ts u GENERE: N z e , De E: Madball INFLUENZ m orthstar.co n e h ft o e is www.r
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All in the name of A cura di Andrea Rock
C
rock
i siamo quasi: sta per uscire il nuovo disco della mia band che s’intitolerà “Build not burn”. Tranquilli, non sfrutterò la mia colonna di “AITNOR” per farmi promozione ma credo che se state leggendo queste righe, un po’ v’interessi quello che ho da dire. Detto ciò, voglio far partire la mia riflessione di questo mese proprio dalla frase che dà il titolo al disco, che significa “Costruire, non bruciare”. È un invito a essere propositivi, ad aiutarsi a vicenda, a sostenersi l’un l’altro. Già troppe volte, anche all’interno di questa rubrica, ho parlato della grigia situazione del rock (quello 100% attitude, non quello inscatolato dalle major) in Italia. Il mio consiglio, per uscire da questo fastidioso e poco appagante periodo, è proprio quello di ritrovare la voglia di “fare gruppo”, tra artisti, gruppi, giornalisti, blogger, video maker... in generale, tutti coloro che amano la musica e non vogliono vederla sfaldarsi sotto i colpi del dubstep e di altre proposte adesso in voga. Diciamo che lo spunto per questa riflessione è la PMA portata in palmo di mano da Toby degli H2O; il movimento hardcore, in molti casi, ha posto l’accento sull'aspetto “positivo” e ha proposto una mentalità orientata al costruire, piuttosto che al distruggere o al contestare “fine a se stesso”. Credo fermamente che il tempo delle faide tra band debba finire una volta per tutte. Concordo ovviamente sul fatto che non possiamo starci tutti simpatici, ma invece di utilizzare i social network (una volta erano le message board) per lanciare insulti, potremmo semplicemente ignorare i gruppi con i quali non leghiamo e, allo stesso tempo, supportare quelli con i quali ci sono affinità. Consiglio comunque di tentare un dialogo e di non fermarsi alla prima impressione. Io stesso mi sono dovuto ricredere su alcune band e sui loro componenti, nel bene e nel male. In fondo, se i numeri del 2013 danno ragione agli artisti rap, va anche sottolineato che da parte degli stessi c’è grande collaborazione, per lo meno formalmente; magari non si sopportano, ma i featuring si sprecano. Visto che il mondo del rock è più onesto, l’ultimo invito che vi faccio è quello di collaborare e suonare insieme il più possibile. Cerchiamo di essere propositivi, cerchiamo di costruire e non bruciare…
DISCHI VIOLENTI
DAVIDE & LUCA (MEGANOIDI) di Daniel C. Marcoccia - foto Alberto Terrile
PRIMO DISCO COMPRATO:
Luca Guercio (chitarra, tromba): “Ummagumma” dei Pink Floyd in vinile a 9 anni... Considerando che non vengo da una famiglia di musicisti, mi rendo conto di essere un po' disturbato. Davide Di Muzio (voce): Kim & The Cadillacs “Rock and roll medley”.
ULTIMO DISCO COMPRATO:
L.G.: Steven Wilson “The raven that refused to sing”. D.D.: Blonde Redhead “23”.
DISCO CHE HA CAMBIATO LA TUA VITA:
L.G.: Essendo un onnivoro di musica, sicuramente mi sento almeno di citarne due: “Us” di Peter Gabriel e “Secret story” di Pat Metheny. D.D.: Meganoidi “Into the darkness, into the moda”, mi ha cambiato la vita nel vero senso della parola...
DISCO SOPRAVVALUTATO:
L.G.: Consapevole di risultare antipatico a molti, ma quasi tutti i dischi pseudo-indie-d'autore-italiani li trovo inconcludenti e privi di sostanza. D.D.: Non saprei... forse un paio di dischi degli Stones.
DISCO SOTTOVALUTATO: L.G.: Un disco che è stato sottovalutato da molti è
“Nocturama” di Nick Cave, è uno dei miei album preferiti. D.D.: Dirò il disco che sarà più sottovalutato, mi riferisco al primo album dei Masterkard, è una storia lunga...
DISCO DA VIAGGIO:
DISCO "BOTTA DI VITA":
L.G.: Karnivool “Sound awake”. D.D.: Electric Six “Fire”.
L.G.: “Talk” degli Yes. D.D.: Teddybears “Rock’n’roll highschool”.
DISCO "LASSATIVO":
L.G.: Il mio intestino non è mai felice di ascoltare un qualunque brano dei Modà, figuriamoci un disco. D.D.: Kraftwerk “Tour de France soundtracks”.
L.G.: Deftones “Deftones”. D.D.: “On the road again” dei Rockets.
DISCO PER UNA NOTTE DI BAGORDI: DISCO DEL GIORNO DOPO:
L.G.: Steely Dan “Everything must go”. D.D.: Non saprei...
DISCO CHE TI VERGOGNI DI POSSEDERE:
L.G.: Martin Gore "Counterfeit 2”. D.D.: Terence Trent D'Arby “Introducing the hardline according to Terence Trent D'Arby”.
L.G.: “Merry Christmas” di Mariah Carey... e ammetto che sotto le feste metto “All I want for Christmas is you” ad altissimo volume in macchina. Insomma... sempre rock'n'roll!!! D.D.: “Jovanotti for president” acquistato più o meno a 15 anni... senza nulla togliere all'artista.
DISCO SUL QUALE AVRESTI VOLUTO SUONARE:
CANZONE CHE VORRESTI AL TUO FUNERALE:
DISCO PER UNA SERATA ROMANTICA:
L.G.: Io avrei suonato volentieri in “Animals” dei Pink Floyd. D.D.: Nel disco “La voce del padrone” di Battiato... per il milione di copie vendute.
L.G.: “The magic bus” degli Who. D.D.: “Heroes” di David Bowie. www.meganoidi.com
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KORPIKLaANI Epic folk
Il sestetto finlandese torna in Italia, portando con sé molte novità: un nuovo disco, un nuovo membro, una nuova fonte di ispirazione. A parlarci dell'ultimo album, “Manala”, è Jarkko, bassista della band. Di Andrea Ardovini
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Korpiklaani sono una delle migliori band folk metal in circolazione. Il loro ultimo album, “Manala”, è stato giudicato da gran parte della critica come diverso rispetto ai precedenti. La band non sembra pensarla allo stesso modo, come ci rivela il bassista Jarkko. “In realtà non abbiamo fatto molti cambiamenti. Abbiamo avuto una discussione in merito al fatto di avere o meno una drinking song su ogni album. La risposta è stata negativa e questo è quello che ne è venuto fuori. Ora tutti pensano che questo sia un album più dark, ma la gente dimentica spesso
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che i vecchi album avevano tutti questo lato più dark e cupo, con l'aggiunta di un paio di drinking song! Adesso che le abbiamo tolte, tutti pensano che sia un album completamente diverso, ma non è così”. Il disco è uscito in due versioni, in finlandese e in inglese. “Ci hanno chiesto perché non facessimo più canzoni in inglese, così avevamo pensato di pubblicare due album nello stesso giorno, uno in inglese e uno in finlandese. Poi però ci siamo resi conto che non era una buona idea perché avremmo forzato i veri fan a comprare due album invece di uno. Quindi abbiamo deciso di pubblicare l'album nella versione finlandese, con l'aggiunta di undici
bonus track! In questo modo si possono comprare due CD al prezzo di uno”. I testi prendono spunto dal Kalevala, il poema epico finlandese. “Il Kalevala è stato molto usato nel metal come fonte di ispirazione, ad esempio dagli Amorphis. Noi comunque non abbiamo mai preso il poema per filo e per segno, abbiamo attinto alcune storie e personaggi dal Kalevala e li abbiamo inseriti nei nostri testi. Credo che la poesia e la mitologia tradizionale siano una buona fonte d'ispirazione, ci sono delle cose molto interessanti. Rivendicare la propria cultura sta diventando sempre più importante. In teoria dovremmo
essere tutti sotto il segno della bandiera dell'Europa, ma siamo tutti popoli diversi. Un italiano non vuole essere europeo, vuole essere italiano. Credo che dipenda anche dal fatto che i media cercano sempre di raccontarci questa cosa della globalizzazione, e la gente reagisce interessandosi sempre di più al proprio passato. Penso che questo sia uno dei motivi per cui la scena folk metal sta diventando popolare: coniugare un sound moderno con tematiche antiche, con la storia. Se una canzone rock fa sì che i ragazzi leggano un libro, allora è una buona canzone”. www.korpiklaani.com
PORNORIVISTE Duri a morire
Il leader Tommi, ormai unico membro originale rimasto, ci fa un resoconto dell’ultimo anno della band che, dopo 20 anni, è ancora un punto di riferimento del punk/rock tricolore. Di Stefano Russo Come per diversi altri colleghi, per le Pornoriviste il 2012 è stato l’anno del ritorno sulle scene dopo un periodo di pausa che rischiava di tramutarsi in definitivo scioglimento. E invece gli alfieri del punk targato Valle Olona sono ricomparsi esattamente un anno fa con ”Le funebri pompe”, il loro settimo album in studio: “Negli ultimi dodici mesi siamo stati in giro per l'Italia a promuovere il disco” ci racconta lo storico e sempre fuori dalle righe leader, Tommi. “Abbiamo fatto prove, accordato strumenti, preso aerei, treni, furgoni e altro... Sempre con un occhio all'attualità”. La più grande novità tra le fila della band varesina è sicuramente rappresentata dalla dipartita di Dani, che con Tommi ha condiviso per tutti questi anni la leadership del gruppo: “Per quanto riguarda la scrittura dei brani non si può dire che sia cambiata, ma di sicuro manca l'apporto di Dani: io ho sempre scritto le mie canzoni da solo e lui a me chiedeva al massimo una mano sui testi. Per quanto riguarda i live siamo invece migliorati grazie al Kino, preciso e incisivo, e grazie a Gianluca Amendolara, attento e spigliato. E anche grazie a Papa Francesco, cicciottello e biodegradabile”. Il loro seguito, intanto, sembra non dare segni di cedimento e, anzi, le nuove generazioni sembrano sempre essere attratte come un tempo dal loro punk/rock semplice e diretto e dalla loro stralunata poesia di strada. Ma com’è possibile, dopo 20 anni, riuscire ancora a conquistare nuovi fan? “L'unica risposta che mi viene in mente è grazie alle canzoni. Quando la gente non apprezzerà più i dischi nuovi, smetterà di seguirci e noi dovremo trovarci un lavoro normale come tutti. Per il momento non è mai successo. Anche al di fuori della musica mi trovo ad avere a che fare con ragazzi che hanno 10-15 anni meno di me, ma hanno comunque un sacco di cose da insegnarmi. Facciamo cortei, concerti, presidi o anche un cazzo. Non penso si possa decidere a tavolino di piacere alle nuove generazioni, penso di dover fare quello che mi piace, mi diverte e sento mio, sperando che venga compreso e apprezzato”. E alla classica domanda sui brani “storici” del loro repertorio e sul fatto che li abbiano o meno stufati, Tommi ha una teoria tutta sua: “Non suoniamo un sacco dei nostri brani storici dal vivo e non mi piace neanche definirli storici. Facciamo a caso in base a quanto le canzoni piacciono a noi, perché più ci piacciono più le suoniamo bene, più il concerto viene bene più il locale ci paga e la gente pensa che siamo dei fighi da paura”. www.pornoriviste.org
DJ: EDO ROSSI PROGRAMMA: Edo’s World In onda dal lunedì a venerdì dalle 16:00 alle 16:30
La sua Top 5:
ALICE IN CHAINS “Hollow” BILLY TALENT “Surprise surprise” CRASHDIET “Cocaine cowboys” RHYME “The hangman” DROPKICK MURPHYS “The boys are back”
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RFC Anima punk
Dodici anni di onorata carriera sempre all'insegna del punk/HC e un nuovo album intitolato “Ritieniti fortemente coinvolto”. Di questo e altro abbiamo parlato con Maurizio, il leader degli RFC. Di Piero Ruffolo
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l termine del tour del precedente album (“Ne voglio ancora”, ndr), gli RFC avevano deciso di comune accordo di separarsi per un po’ e di dedicarcsi alle proprie vite private: “Dopo essere stati per un bel po’ di tempo senza vederci, dalle prime riunioni è emersa subito l’idea di tirare fuori il meglio da ognuno di noi, puntando a fare dei nuovi brani che potessero abbracciare più generi ed esprimere al meglio sia quello che eravamo in quel momento, sia quello che eravamo stati in tutti questi anni. Siamo quindi partiti per il Molise dove, in
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una vecchia cascina di campagna, nell’estate del 2011 è nato il nuovo album. Un mese catapultati fuori dal mondo, noi soli e i nostri strumenti, con la voglia di sperimentare e fare della musica, quella che abbiamo sempre amato, affinandoci tecnicamente e fondendo le nostre passioni per il punk/rock, lo ska e il reggae. C’era la voglia di dimostrare a tutti, ma soprattutto a noi stessi, che potevamo dare ancora tanto”. I casertani, in questi anni, hanno visto cambiare parecchio la scena punk italiana: “Questo genere è diventato ancora più di nicchia, i vecchi ‘punkrockers’ ora ascoltano altro… ma soprattutto suonano altro. Il boom di fine anni
90 e primi del 2000 è ormai un vecchio ricordo ma sono sicuro che, siccome gira tutto, anche il punk/rock e lo ska torneranno! E noi ci saremo ancora”. Gli RFC rimangono in ogni caso una delle band più rappresentative della scena punk/HC del nostro Sud: “Da una parte questo ci sprona a non mollare. Alla nostra voglia di suonare e di esserci si aggiunge anche un velo di responsabilità: nella nostra città, come in buona parte del Sud, i gruppi nascono e muoiono, mentre chi c’era 10 anni fa con noi, non fa più punk/ rock o ha smesso del tutto. Noi vogliamo esserci, lo dobbiamo prima di tutto a noi stessi e a tutti i sacrifici fatti in questi
anni, ma anche ai tanti ragazzi del Sud che ci supportano e amano il nostro genere”. Prima di salutarci, lasciamo a Maurizio il compito di descrivere il nuovo album in poche parole: “Siamo noi al 101%! Ogni singola frase, ogni cambio di accordo è stato pensato per esprimere al meglio quello che proviamo ora alla soglia dei 30 anni di età. È una sorta di testamento, un lavoro che ci ha reso orgogliosi di noi stessi. I risultati ci danno ragione, le vendite vanno benissimo, la gente ai concerti canta le nuove canzoni con ancora più foga delle precedenti. Abbiamo centrato il nostro bersaglio”. www.rfcweb.it
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THE VIRGINMARYS
bravi e onesti
Dopo la consueta gavetta, i Virginmarys arrivano al traguardo del debut album con “King of conflict”. Li incontriamo al BarFly di Londra per una chiacchierata sul disco, sulla band e su ciò che rende la loro musica speciale. Di Silvia Richichi
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a quando si sono formati, i Virginmarys hanno dedicato moltissimo tempo ed energie all’aspetto live, cosa che ha influito anche sul loro album di debutto: “Volevamo riprodurre nel disco lo stesso suono e la stessa energia che la nostra musica trasmette dal vivo”, risponde il bassista Matt Rose, “abbiamo voluto farlo registrando in studio tutti gli strumenti nello stesso momento piuttosto che individualmente. Questo approccio è sicuramente una conseguenza dalla nostra vasta esperienza in tour”. “King of conflict” arriva dopo un paio
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d’anni dalla nascita della band, un disco che rappresenta al 100% la personalità della band, come sottolinea il cantante e chitarrista Ally Dickaty, il quale ci spiega anche il titolo scelto: “Il nome viene dal testo di ‘Dead man’s shoes’, la maggior parte delle liriche sono incentrate sull’oscurità che caratterizza la mente. L’intero disco è parecchio personale e tratta dei conflitti interiori che ognuno, chi più o chi meno, ha. Non c’è un concetto preciso alle spalle del disco, è solo il frutto di quello che mi passava per la testa in quel periodo, una sorta di diario”. La copertina dell’album raffigura una ragazza di schiena,
seduta su un letto: “Abbiamo sempre pensato di avere una figura femminile in copertina, specialmente considerando il nome della band. Spesso la gente si aspetta ungruppo di donne, non tre ragazzi che suonano rock’n’roll. La ragazza è raffigurata come se si fosse svegliata dopo un rapporto occasionale, con una sensazione di solitudine addosso”. Parlando poi del brano “You’ve got your money, I’ve got my soul”, Ally spiega che “Il brano si riferisce a chi si vende e a come i soldi e le ricchezze cambiano e rovinano la gente. Sembra che le persone dipendano dal potere; a causa del potere e del denaro spesso
si perde l’integrità. Se si lega questo discorso alla musica, il concetto è di non cambiare la propria musica per denaro”. “King of conflict” è sicuramente un album di qualità, cosa secondo la band stessa fa spiccare la sua musica? “Non credo che consapevolmente facciamo qualcosa per spiccare, ma solo quello che ci piace e la musica che vogliamo suonare in modo del tutto naturale. Non cerchiamo di essere cool o trendy, abbiamo soltanto una forte passione per quello che facciamo, cerchiamo di essere sempre noi stessi, siamo una band onesta e non costruita”. www.thevirginmarys.com
HI-TECH LENOVO THINKCENTRE EDGE 62Z
Nuova soluzione all-in-one level entry per il colosso Lenovo, che presenta il ThinkCentre Edge 62z. Ideale per chi opera in spazi ridotti, il computer, composto da schermo da 18,5 pollici con incorporata unità centrale, monta processore Intel Core i3, scheda video Intel HD Graphics e sei porte USB. Da maggio in Italia. www.lenovo.com
TREKSTOR POWER BANK 2200
SONY CMT-BT60W
Sony presenta il CMT-BT60, nome in codice per indicare l'ultimo nato nella personale serie di dispositivi audio wireless. Come il fratello maggiore CMT-BT80W (che in più integra Wi-Fi e supporto ad AirPlay), il BT60 è dotato di Bluetooth, NFC, porta USB per collegamento diretto e speaker di alta qualità ( AAC e apt-X). www.sony.it
SNAKEBYTE IDROID:CON
Smartphone e tablet hanno cambiato molte delle nostre abitudini, andando a influire non poco sul mercato gaming mobile. A quest'ultimo si rivolge l'iDroid:con, pad studiato per sistemi Android e ideale per trasformare la vostra piattaforma in una perfetta postazione di gioco in miniatura. Anche per titoli iOS con iCade Mode. www.snakebyteeurope.com
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Mai più batterie scariche sui vostri dispositivi: così si presenta il Power Bank 2200, batteria portatile di TrekStor. Dotato di 5 led in grado di aggiornare sul livello di carica disponibile, questo accumulatore agli ioni di litio permette di ricaricare via USB qualsiasi dispositivo mobile, evitando così inattesi blackout. www.trekstor.it
VIEWPAD 7E Non un semplice E-Book, precisa ViewSonic nella presentazione del suo 7e. Affermazione che trova più di un riscontro nelle caratteristiche di questo tablet da 7 pollici. Sistema operativo Google Gingerbread, schermo multi-touch ad alta risoluzione (800x600, 1080p), memoria espandibile (fino a 32 GB), Wi-Fi e Bluetooth 2.1. www.viewsoniceurope.com
A cura di Michele Zonelli
games
TOMB RAIDER
Piattaforma: X360/PS3/PC Produttore: Square Enix/Halifax Genere: Azione, avventura Lara Croft non ha certo bisogno di presentazioni. Protagonista di eventi in grado di influenzare il genere di riferimento, l'affascinante archeologa britannica torna oggi dopo un lungo silenzio e lo fa stravolgendo ogni regola. Parlare di reboot è forse banale ma, ancora una volta, necessario. Dimenticate, dunque, tutto quanto noto, e preparatevi a vivere la prima avventura di una nuova e giovane Lara. Coinvolti in un naufragio vi ritroverete in una misteriosa isola al largo delle coste del Giappone, isola che si rivelerà ben presto essere il vero antagonista da superare. Popolazione ostile, imponenti barriere naturali e imprevedibili insidie metteranno a dura prova l'inesperta protagonista, costringendola a superare più volte i propri limiti. Da spaventata ragazza a giovane avventuriera pronta a tutto per sopravvivere: questo il cammino interiore che affronterete nell'evolversi di una trama a tratti confusa ma mai noiosa. Dal forte (e cercato) impatto cinematografico, grafica e gameplay si dimostrano all'altezza delle attese. "Tomb Raider" si discosta non poco dalle precedenti prove videoludiche, avvicinandosi al genere action/adventure di ultima concezione. Alla consueta esplorazione (libera ma lineare), cui si alternano concitati combattimenti e mirabolanti arrampicate, si affianca, infine, un complesso sistema di crescita del personaggio e sviluppo dell'arsenale, che non mancherà di incuriosire anche i più scettici.
MONSTER HUNTER 3 ULTIMATE
LEGO CITY: UNDERCOVER
Fenomeno di culto in Giappone, "Monster Hunter 3 Ultimate" giunge finalmente in Europa. Presentato al lancio con bundle esclusivi, il titolo offre un'esperienza di caccia senza pari. Non un episodio inedito, dunque, ma una rivisitazione in alta definizione dell'ultimo capitolo noto. Nessun livello e nessuna classe, per crescere è necessario esplorare e cacciare, immersi in una realtà unica nel suo genere: alternativa, seducente e sterminata.
Prima vera esclusiva per la nuova Wii U, "LEGO City: Undercover" diverte e convince fin da subito, complice la totale indipendenza da qualsiasi opera già scritta e l'irresistibile fascino dei noti mattoncini. Nei panni del poliziotto Chase McCain dovrete contenere la criminalità e riconsegnare alla giustizia il fuggitivo Rex Fury, in un susseguirsi di gag e avvincenti missioni che riportano alla mente noti franchise open world.
WIIU/3DS Capcom
GEARS OF WAR: JUDGMENT
Piattaforma: X360 Produttore: Epic Games/Microsoft Game Studios Genere: Azione Chiusa con successo l'imponente trilogia ufficiale, Epic Games e Microsoft presentano lo spin off "Judgment" affidato, per l'occasione, alle cure degli sviluppatori di People Can Fly. Una scelta che, in termini di mercato, potrebbe far discutere ma che non deluderà
WIIU Warner Bros. Interactive
gli appassionati della blasonata epopea. La cornice temporale riporta al periodo immediatamente successivo all'Emergency Day: giorno che ha segnato la nascita dell'universo "Gears Of War". Accusata di alto tradimento, la Squadra Kilo (Damon Baird, Augustus "The Cole Train" Cole e le new entry Sofia Hendrick e Garron Paduk), si troverà ad affrontare avvenimenti inediti e dall'esito inaspettato. Fin dalle prime ore di gioco è evidente il diverso impatto riservato a gameplay e narrazione, quest'ultima più aperta e versatile. Lo stile si mantiene pressoché inalterato, con l'evidente
volontà di progredire aumentando velocità e frenesia degli scontri a fuoco, a favore di una sempre maggiore immediatezza e immersione. Debutta lo "Smart Spawn System": sistema che garantisce una continua e varia ridistribuzione degli avversari, pronti a mutare posizione e reazione a ogni passaggio. Sviscerata la trama dal punto di vista dei diversi protagonisti si giunge all'atteso epilogo che (in realtà) poco regala alle vicende già narrate. Rivisto ed esteso anche il comparto multiplayer, con nuove e vecchie modalità pronte ad assicurare il cercato livello di sfida.
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crazy net
A cura di Michele Zonelli
GARDEN BATTLE GNOME Torniamo a parlare di gnomi da giardino, ma niente zombie questa volta... Discendente dei figli di Odino, protetto da una impenetrabile corazza e armato di un pesante martello da battaglia, questo guerriero non teme confronti. www.amazon.com
ROCKIN' HEADPHONE SPLITTER Condividete la vostra musica con stile. Questo il motto che accompagna il Rockin' Headphone Splitter, adattatore (o sdoppiatore, come si usava chiamarli anni fa) universale per jack audio 3.5 dall'inconfondibile linea. Horns up! www.gama-go.com
SIX SHOOTER SHAVE BRUSHES ROAST MY WEENIE HOT DOG COOKER
La bella stagione si avvicina (almeno dovrebbe...) e con essa ci si prepara ai primi barbecue con gli amici. Ora, qui i doppi sensi si sprecano e per evitare di scadere nel volgare, come si dice: un'immagine vale più di mille parole. www.roastmyweenie.com
Corpo in alluminio anodizzato, spazzola rimovibile in peli di tasso, calibro .44 o .38: il Six Shooter Shave Brushes non sarà forse l'oggetto più all'avanguardia in commercio, certo è che la voglia di riscoprire abitudini passate è forte. www.sixshootershaving.com
DOOMED CRYSTAL SKULL SHOT GLASS
Stufi dei soliti e banali bicchieri da shot? Comprensibile. Ecco, allora, una soluzione ad hoc: un teschio scavato nel vetro pronto ad accogliere la giusta e desiderata quantità del vostro superalcolico preferito. Usare con moderazione... www.perpetualkid.com
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A cura di Eros Pasi
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METAL MULISHA EYEGORE Kids hoodie di Metal Mulisha con cappuccio full zip-face mask € 64,90 www.metalmulisha.com
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Nuovo modello della collezione Spring 2013 di Globe Footwear € 66,90 www.globe.tv
SANTA CRUZ SKETCHY HAND
Tavola misura 7.8" x 31.7", rivisitazione in chiave artistica della famosa mano disegnata da Jim Phillips € 54,90 www.santacruzskateboards.com
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a r e v O again an BRING ME THE HORIZON
Il gruppo di Sheffield firma con “Sempiternal” il suo capolavoro, un disco coraggiosamente diverso, in cui tastiere, melodie e perfino una ballata regalano una nuova dimensione alla sua musica. Tutto questo rimanendo marcatamente heavy. E quando il gioco si fa duro, Oli Sykes inizia a cantare. A parlare con noi è un mattiniero Lee Malia, ormai l’unico chitarrista dei Bring Me The Horizon. Di Daniel C. Marcoccia
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r e v o d an nd again
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n a Over
BRING ME THE HORIZON
Q
uesto nuovo disco segna un grosso cambiamento dei Bring Me The Horizon e rappresenta sicuramente una vera prova di maturità. Un album che spiazzerà probabilmente un po’ tutti, dai fan fino a chi era stato sempre critico con voi. Lee Malia (chitarra): Questo disco è più melodico, è sicuramente la cosa più accessibile che abbiamo mai fatto, ma il nostro suono è ancora pesante e aggressivo. Credo che rappresenti ulteriormente lo spirito di questa band. I Bring Me The Horizon non hanno mai avuto paura di sperimentare, né di integrare altri strumenti e sonorità diverse nella loro musica. Lo dimostrano i nostri precedenti due album, anche se “Sempiternal” va parecchio oltre.
La scelta, poi, di un primo singolo così atipico come “Shadow Moses” sembra andare proprio in quella direzione, ovvero spiazzare chi lo ascolta. L.M.: È stata una scelta quasi non voluta, nel senso che inizialmente non lo vedevamo come un singolo. Volevamo inserire un nuovo brano nella scaletta di alcuni concerti fatti lo scorso anno e “Shadow Moses” era perfetta
come impatto per essere suonata dal vivo: ha qualcosa di epico, dei cori molto potenti, senza avere praticamente un vero ritornello. Il nostro management ha però voluto anche realizzare un video e così “Shadow Moses” è diventato un singolo a tutti gli effetti. In ogni caso è davvero perfetto perché, oltre a richiamare nel testo il titolo dell’album, si discosta molto dalle canzoni del nostro precedente album.
L’ingresso di Jordan Fish alle tastiere sembra aver influenzato parecchio il sound di “Sempiternal” e delle sue canzoni? L.M.: Jordan ha dato delle nuove aperture alla nostra musica, questo è sicuro, e credo che lo si possa avvertire benissimo nel disco. Abbiamo sempre voluto integrare questo tipo di sonorità ma non era finora mai stato possibile perché non avevamo trovato la persona giusta per farlo. Com’è avvenuto il suo inserimento nel gruppo? Jordan ha collaborato alla composizione delle canzoni oppure le sue parti sono state inserite in un secondo tempo? L.M.: Inizialmente, il ruolo di Jordan era
quello di inserire parti elettroniche e di realizzare delle atmosfere diverse nelle canzoni che avevamo già composto. Ma fin dal primo pezzo al quale abbiamo collaborato assieme, si è creata una fantastica intesa tra di noi e a quel punto abbiamo continuato. Quello che inizialmente doveva essere un lavoro sugli arrangiamenti, è diventato anche di composizione vera e propria. Abbiamo gli stessi gusti e amiamo le stesse band, è stato quindi facile incontrarci. Tutto è avvenuto davvero in modo naturale e più si andava avanti, più diventava logico farlo entrare nella band. In queste nuove canzoni è impressionante l’evoluzione come cantante di Oli Sykes. Oltre a usare varie tonalità, canta a tutti gli effetti in molti dei brani. È stato probabilmente aiutato dal fatto che le melodie sono praticamente onnipresenti in “Sempiternal”… L.M.: Ancora prima di iniziare a scrivere questo disco c’era la volontà da parte del gruppo di mettere molta melodia nella nostra musica. Devo dire che non è mai la cosa più semplice da fare, soprattutto se sei abituato come noi a puntare molto sull’impatto e sulla potenza
“Non volevamo fare delle canzoni commerciali quanto dei veri e propri anthem con dei ritornelli forti…”
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r e v o nd delle canzoni. L’arrivo di Jordan alle tastiere è stato sicuramente di grande aiuto anche per accompagnare Oli in queste parti cantate. Oltre a non urlare, ha dovuto imparare a dare maggiore profondità al suo modo di cantare. Molte delle parti melodiche e dei ritornelli scritti da Oli sono stati poi provati da lui assieme a Jordan; hanno fatto un grosso lavoro in questo senso, provando per ore e ore prima di arrivare al risultato finale. In questo disco, rispetto ai precedenti, non ci sono ospiti. Come mai avete interrotto questa “consuetudine”? L.M.: Appunto per non farla diventare una consuetudine (ride). No, in questo nuovo album volevamo esserci solo noi e basta. A parte due amici di una band svedese post-rock, gli Immanu El, presenti solo in qualche “oooh” e “aaah” (ride). So che non volete parlare della partenza di Jonah Weinhofen (raccomandazione da parte della casa discografica, nda), ti chiedo tuttavia se cercherete di supplire alla sua assenza con le tastiere di Jordan oppure arriverà un altro chitarrista a darti manforte? L.M.: Per quanto riguarda Jonah, vogliamo solo
evitare di alimentare ulteriori polemiche. Ma non è la prima volta che si interrompono dei rapporti, sono cose che succedono. Per rispondere alla tua domanda, invece, ci sarà un secondo chitarrista che ci accompagnerà durante il tour.
Come pensi che verrà accolto “Sempiternal”, considerando che alcuni in passato avevano criticato una vostra “svolta mainstream” sia all’epoca di “Suicide seasons”, sia all’uscita del successivo “There is a hell, believe me, I've seen it. There is a heaven, let's keep it a secret”? L.M.: In questo disco ci sono sicuramente più melodie e parti che possiamo definire più orecchiabili rispetto al passato ma non nel senso che intendo io quando si parla di musica pop o mainstream. Sfido comunque chiunque a dire che il suono di “Sempiternal” non sia potente come in passato. Molti vorrebbero che la loro band preferita rimanesse sempre uguale ma a noi francamente interessa poco. L’unica evoluzione possibile dopo tutto quello che avevamo già fatto in passato era appunto nelle melodie, nelle parti vocali soprattutto. Non volevamo fare delle canzoni commerciali quanto
dei veri e propri anthem con dei ritornelli forti da cantare in coro. Credo che l’obiettivo sia stato centrato. Quanto vi pesano le critiche? L.M.: Cerchiamo di ascoltarle se sono costruttive, perché anche queste aiutano a fare di te una band migliore. Ma allo stesso tempo non devono limitare la tua voglia di fare cose diverse. Come giudichi il percorso della tua band in questi anni? L.M.: Oh, ne sono ovviamente molto orgoglioso. Se siamo popolari è soprattutto perché abbiamo lavorato duramente per molti anni. Non lo siamo diventati dall’oggi al domani, come accade spesso in questi ultimi tempi con molti gruppi nuovi, soprattutto americani, che vengono subito etichettati come la miglior band del mondo. Noi, all’inizio, eravamo anche una band piuttosto odiata da tanta gente, ma grazie ai nostri fan e lavorando duro siamo riusciti a crescere e a convincere molte persone con le nostre canzoni. www.bringmethehorizon.co.uk
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A due anni di distanza da “Damnesia”, gli Alkaline Trio ritornano con un nuovo album che conferma la qualità della loro musica. Matt Skiba ci parla di “My shame is true”, di quanto questo disco sia stato scritto a cuore aperto e di cosa vuol dire ferire chi si ama… Di Silvia Richichi
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ALKALINE TRIO
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vete raggiunto il traguardo del nono album con “My shame is true”, siete soddisfatti del risultato finale del disco? Matt Skiba (voce, chitarra): Sì, siamo sicuramente soddisfatti del risultato, fino ad ora abbiamo ricevuto riscontri molto positivi da parte di chi lo ha ascoltato. Cosa, secondo te, rende questo nuovo album unico e diverso rispetto ai precedenti? M.S.: Prima di tutto l’argomento del disco. Anche se non è la prima volta che scrivo brani che riguardano sentimenti d’amore, di perdita o di vergogna, in “My shame is true” queste tematiche sono affrontate e presentate in maniera diversa, sono più dirette e meno nascoste dietro a metafore, anche se comunque qua e là nel disco ricorrono alcuni significati metaforici. Ho l’impressione che nel corso degli anni stiamo continuando a crescere ed evolvere musicalmente e inoltre continuiamo a migliorare il nostro modo di suonare e comporre musica. Bill Stevenson ha sicuramente contribuito a far uscire il meglio di noi per “My shame is true”. Penso sia il disco migliore tra quelli che abbiamo realizzato fino ad ora. Pensi che i vostri vari progetti musicali paralleli abbiano in qualche modo rallentato la realizzazione di “My shame is true”? M.S.: In realtà i nostri altri progetti musicali non hanno mai ostacolato o influito negativamente sul trio, hanno anzi apportato benefici al nostro processo creativo e ci hanno aiutato a tenere in allenamento il lato creativo del cervello. Perché avete scelto “My shame is true” come titolo del disco? A che tipo di “vergogna” vi riferite... M.S.: Alla vergogna e al pentimento nel ferire la persona che si ama. Derek (Grant, il batterista della band, nda) ha proposto questo titolo e fin dal primo momento ho capito che sarebbe stata la scelta giusta. Come pensi che il titolo del disco possa essere collegato al suo contenuto? M.S.: L’idea di fondo dell’intero album è la vergogna, almeno per quanto riguarda i brani che ho scritto personalmente. È una sorta di nota d’amore e di scuse, sotto forma musicale, per una persona a cui ho tenuto profondamente nel corso degli ultimi anni. Abbiamo affrontato moltissime cose insieme e sono felice che faccia comunque ancora parte della mia vita e che siamo ancora in buoni rapporti. Dopo così tanti anni di Alkaline Trio e dopo aver realizzato moltissime canzoni splendide, dove continui a trovare ispirazione? M.S.: Trovo ispirazione dalle circostanze della mia vita, da ciò che mi tocca personalmente. C’è sempre qualcosa ad aspettarti dietro l’angolo, può essere una cosa positiva, una cosa negativa o magari entrambe. In ogni caso è una fonte di ispirazione. È sempre stato così. Come definiresti “My shame is true” in tre parole? M.S.: Onesto, triste e divertente. Nella canzone “I wanna be a Warhol” canti: “I want to be a little piece of history/ I wanna be a painting for all to see”. Dopo 17 anni di carriera, non pensi che gli Alkaline Trio abbiano lasciato un segno nella storia della
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musica punk? M.S.: Il brano in realtà non si riferisce proprio a questo, ho in qualche modo intenzionalmente fatto sembrare che fosse così ma la canzone invece tratta del tentativo di perfezionarsi giornalmente. Se si aumenta il proprio valore avvicinandosi così a un ideale di perfezione, ciò di conseguenza diventa incrollabile anche per la persona che si ama. Le relazioni evolvono sempre in modo complicato e le cose cambiano con facilità. Il brano tratta appunto del desidero di apparire perfetti agli occhi della persona amata, per sempre. La protagonista del video è Milla Jovovich. Come è nata questa collaborazione? M.S.: Da un paio d’anni a questa parte io e Milla abbiamo suonato e scritto musica insieme e siamo diventati davvero buoni amici. Il video è un omaggio a Kubrick, Lynch e Hitchcock ed è incentrato sul voyeurismo e l’idea di perversione. “I am only here to disappoint” è un brano davvero molto ben riuscito. Cos’ha ispirato questa canzone e, soprattutto, pensi che la superficialità della società di oggi renda più facile rimanere delusi o deludere le aspettative e ferire emotivamente chi amiamo? M.S.: Dan (Andriano, basso, nda) ha scritto questo brano, quindi non potrei dirti da cosa è stato inspirato. Abbiamo parlato di tutti i testi di ogni canzoni durante il processo di registrazione ma dovrebbe essere proprio lui a rispondere a questa domanda. Viviamo in un’epoca interessante, in un’età in cui forse si hanno aspettative troppo alte e le persone non sono all’altezza di queste. Di conseguenza, la gente viene emotivamente ferita. Personalmente, penso che quando si prova un sincero sentimento d’amore per qualcuno, che siano familiari oppure amici, se si accettano per quello che sono è difficile essere delusi, anche quando fanno qualche cavolata. Tim McIlrath dei Rise Against ha collaborato con voi per il brano “I, pessimist”. Com’è nata l’idea di duettare con lui? M.S.: Dan aveva in mente Tim mentre stava scrivendo questo brano. Da molto tempo siamo in stretti rapporti con tutti i componenti dei Rise Against, così come con Brendan Kelly (che ha collaborato a “I wanna be a Warhol”, nda), ecco come sono nate le collaborazioni con loro. Facciamo tutti parte della famiglia della Chicago old school e siamo davvero onorati che entrambi abbiano contribuito al disco. Avete registrato “My shame is true” ai Blasting Room Studios in Colorado. Quanto fisicamente avete lavorato al disco e qual è il ricordo migliore che hai di questa esperienza? M.S.: Abbiamo passato cinque settimane a lavorare a “My shame is true”. Registrare ai Blasting Room Studios è stata sicuramente un’esperienza incredibile, le mie passeggiate mattutine in moto attraverso le Montagne Rocciose sono state il preludio di eccezionali giornate in studio di registrazione. Non ho un ricordo che sia il migliore e sarebbe difficile sceglierne uno, l’intera esperienza è stata davvero fantastica. Dopo tanti anni con gli Alkaline Trio, incredibili album realizzati e progetti musicali paralleli di qualità, cosa ti aspetti per il futuro del trio?
M.S.: Per il momento posso solo dirti che abbiamo in programma le prove domani, questo è quanto so del futuro... Hai qualcosa da aggiungere per i vostri sostenitori italiani? M.S.: (Matt risponde direttamente in italiano) Grazie mille! Non avremmo una carriera senza i nostri tifosi. We love you all!!! www.alkalinetrio.com
“L’idea di fondo dell’intero album è la vergogna. È una sorta di nota d’amore e di scuse, sotto forma musicale, per una persona a cui ho tenuto profondamente nel corso degli ultimi anni”. RockNow 29
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La band composta da Frank Carter e Jim Carroll, con la pubblicazione di “Anthems”, si appresta a conquistare il pubblico rock con un tour mondiale. I concerti saranno molto intensi, anche se le sonorità sono oggi diverse rispetto ai tempi in cui il tatuato singer si esibiva con i Gallows. A parlarne con noi sono proprio i due membri del gruppo. Di Andrea Rock
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PURE LOVE
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nnanzitutto complimenti per lo splendido disco, da me già giudicato “album dell'anno” nonché disco del mese sullo scorso numero di RockNow. Nella fase di scrittura credo che abbiate preferito concentrarvi sui brani, piuttosto che cavalcare il trend di un genere musicale piuttosto che un altro... Frank Carter (voce): Decisamente sì! Quando abbiamo scritto i brani, eravamo realmente liberi; nessuna imposizione. Io scrivevo i testi sui provini musicali che mi mandava Jim. Ne è scaturito un grande rock album con un suono molto differente da quello che la gente era solita ascoltare da me. Sono molto orgoglioso di come testi e musica si leghino perfettamente tra loro. Ho trovato nuovi stimoli attraverso questo progetto; senza obiettivi e stimoli, sei solo una marionetta che fa il suo spettacolo giorno dopo giorno. Nel brano “Bury my bones” dici di “essere stanco di cantare di odio”. Di che cosa parli in queste canzoni? F.C.: Beh, alcuni brani parlano ancora di odio, ma diciamo che in linea di massima gli argomenti sono gli stessi sui quali l'uomo si interroga ogni giorno: vita, morte, sesso... Parlo di quelle sensazioni che vivo in prima persona, ma nelle quali ci ritroviamo tutti a fasi alterne. Quanto ci avete impiegato a comporre il disco? F.C.: Più o meno un anno. Nella stesura dei testi, come dicevo prima, mi sono fatto ispirare da ciò che vivevo nella mia quotidianità e da ciò che mi raccontavano le persone a me vicine. Jim mi mandava su Skype le parti musicali e io registravo dei “voice memo” che poi gli giravo. Il processo è stato quello classico di una band agli inizi: abbiamo prima dovuto trovare i membri del gruppo con i quali provare i brani che avevamo scritto; abbiamo in seguito cercato un contratto discografico che ci soddisfacesse e abbiamo scritto circa una trentina di brani. Ne abbiamo provati venti, per poi scegliere gli 11 che compongono l'album. Jim Carroll (chitarra): Volevamo che i diversi brani stessero bene nell'insieme... Comunque, scriviamo molto anche adesso e due brani sono già pronti. Possiamo definire “Anthems” un disco di brit-rock? J.C.: Perché no? Molte band etichettate così mi piacciono molto e del resto siamo una rock band per metà inglese. Io vengo dagli States e il mio suono è stato molto influenzato dal rock USA (il vecchio gruppo nel quale militava Jim erano gli Hope Conspiracy di Boston). F.C.: Nel suono che siamo andati a creare ci siamo fatti molto influenzare da ciò che ci piaceva da ragazzi. Possiamo anche definirlo brit o pop-rock, sono comunque le canzoni a tratteggiarne un profilo unico. Qual è il testo o la frase della quale sei più orgoglioso? F.C.: Oh man, domanda bella ma difficile. Posso dirti che amo il testo di “Burning love”, ma forse la canzone che preferisco
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“Con i Pure Love è l'intensità delle canzoni a infiammare il pubblico!” in assoluto è “Anthem”. La scrissi in un momento particolare della mia vita, nel quale ero molto confuso sotto tanti punti di vista. Vi invito a leggere quel testo, mi piace molto e si sposa perfettamente con un certo tipo di stato d'animo. J.C.: Anche per me “Anthem” rappresenta il brano migliore del disco, anche dal punto di vista dell'arrangiamento e del suono. Anche l'aspetto video è molto curato... prendiamo ad esempio il clip di “Beach of diamonds” J.C.: Il video l'ha diretto Russ Cairns insieme a Frank. I due avevano già lavorato insieme e quindi è stato semplice trovarsi subito nello stesso ordine d'idee. In quel periodo avevamo appena rivisto “Sexy beast – L'ultima mossa della bestia”, film di Jonathan Glazer del 2000 e ci siamo fatti molto influenzare per lo storyboard. Quando ho saputo che c'era un nuovo progetto che coinvolgeva Frank Carter dal nome “Pure Love”, mi sono detto: “È sicuramente uno scherzo!”. Il nome pensavo fosse stato appositamente scelto per disorientare il pubblico, ma mai immaginavo che dietro queste due parole si nascondesse una matrice rock al 100%... J.C.: Volevamo tenere un alone di mistero attorno alla band. Molti si aspettavano sicuramente un disco più heavy ma ora i nostri fan si dimostrano ancora più entusiasti, anche se la sonorità può essere definita come pop-rock. L'approccio live è cambiato molto, rispetto a quando eri parte dei Gallows? F.C.: Assolutamente no. Con i Pure Love è l'intensità delle canzoni a infiammare il pubblico! La gente che viene ad ascoltarmi ora è la stessa di sempre. Sono cambiati i brani ma il nostro obiettivo è sempre lo stesso: fare sì che la gente si diverta il più possibile. Come vi muoverete nei prossimi mesi? J.C.: Inizialmente negli States, perché in Inghilterra abbiamo già tenuto una serie di date a febbraio. Vorremmo girare anche l'Europa e magari fare una data in Italia, ma succederà dopo l'estate, ad autunno inoltrato. Le date inglesi erano tutte dei “club shows”; come vi trovate a suonare nei festival? J.C.: Bene! Ovviamente l'aspetto intimo del club ci piace molto, ma quando lo scorso anno abbiamo preso parte ai festival di Reading e Leeds in cui c'era un sacco di gente, ero veramente contento! www.therealpurelove.com
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DEVICE Archiviato il capitolo Disturbed e deciso a dare forma a sogni finora accantonati, David Draiman, supportato da amici e collaboratori di tutto rispetto, presenta la sua nuova creatura: diamo il benvenuto ai Device. Di Piero Ruffolo - Foto P.R. Brown
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artiamo dall'inizio: come e quando nasce il progetto Device? David Draiman (voce): È nato quasi per caso. Geno Lenardo (Filter, nda) stava lavorando ad alcuni brani per la colonna sonora di "Underworld: Awakening" e mi ha contattato per propormi una collaborazione. Mi ha inviato la traccia e mi è subito piaciuta. Successivamente ci siamo incontrati a Chicago e abbiamo realizzato un secondo brano. Ben presto mi sono reso conto dell'enorme potenziale di quanto fatto e ho proposto a Geno di protrarre la collaborazione e di scrivere un intero disco. Non ci è voluto molto perché i Device prendessero forma.
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Nuova realtà musicale e nuova attività parallela, cosa puoi dirci del tuo recente impegno come produttore? D.D.: In passato non avevo mai avuto modo di approfondire questo aspetto della mia carriera, ora ho il tempo per farlo e sto lavorando con i Trivium. Stiamo registrando nel mio studio, Matt (Heafy, nda) e gli altri in questo momento sono nella stanza accanto a provare. Sono davvero entusiasta di come stanno andando le cose. Tornando al disco, ulteriore valore aggiunto: la presenza di numerosi e importati ospiti. L'ennesima concretizzazione di un sogno nel cassetto? D.D.: In un certo senso sì. Gli artisti coinvolti sono persone che ammiro, che ho avuto modo di incontrare e conoscere nel corso degli anni e con le quali ho stretto importanti legami di amicizia. Quando ho iniziato a parlare del nuovo progetto si sono dimostrati tutti entusiasti e l'idea di prendervi parte è stata sincera e spontanea.
Futurist
"Device" rappresenta il tuo primo passo dopo l'era Disturbed, passo atteso da più parti e la cui consapevolezza, immagino, abbia generato non poche pressioni... D.D.: Oh sì, un sacco di pressioni. Si tratta della prima volta che la gente ascolta qualcosa di completamente mio e si tratta del primo passo dopo la fine dei Disturbed dunque, come dici, le attese sono molte e ne sono più che consapevole. Ma sono anche consapevole di quanto fatto. Mi piace lavorare sotto pressione e non vedo l'ora di ricevere i primi feedback dai fan... Speriamo bene (ride). Pensi di avere ancora qualcosa da dimostrare? D.D.: Abbiamo sempre qualcosa da dimostrare. Con ogni nostra azione, con ogni scelta, con ogni album... Con questo disco forse più che in passato. Ho lavorato molto ai brani di "Device" e il risultato rappresenta al meglio ciò che sono.
Chi è David Draiman oggi? D.D.: Lo stesso ragazzo di 17 anni fa. Un po' più vecchio, un po' più selvaggio e, spero, un po' più saggio. Sono successe molte cose da che ho iniziato e altrettante sono cambiate. Sono maturato, ho una famiglia, uno studio, ti sto parlando dalla mia casa, c'è mia moglie in una stanza, i Trivium nell'altra, cos'altro posso volere (ride)?!? Ormai puoi considerarti un veterano della scena musicale; dall'alto della tua esperienza hai qualche consiglio da offrire? D.D.: Fate qualcos'altro (ride)! No, dico sul serio, fate altro. Ma se proprio avete deciso, ricordate che questo è il periodo più difficile, competitivo, selettivo ed economicamente cupo per cercare di affermarsi. Seguite il vostro cuore, scrivete le vostre canzoni, fatelo con passione e non lasciatevi condizionare. Nessuno vi regalerà mai nulla e niente è facile da conquistare. Preparatevi ad affrontare sacrifici, continui ed enormi sacrifici, ogni giorno, ogni notte, ogni volta che decidere di provarci o di salire su un palco. Credo nel destino e credo nell'uomo: siamo noi a scrivere il nostro futuro. www.deviceband.com
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MINISTRI
ieri,, oggi e domani
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Se nulla ha più valore, a questo punto tanto vale provarci. Comunque. Con “Per un passato migliore” i Ministri tornano in pista con un disco che arriva dritto al cuore. Di Arianna Ascione
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Che bella la tua nuova banca, ti prestano la penna e poi non te la chiedono più”… non so perché ma mi suona familiare come immagine. E non solo a me. Qualcuno di voi ha comprato casa? Federico Dragogna (chitarra): Ho vissuto davvero quella cosa! Ho cambiato banca: in quella vecchia quando compilavi un versamento, ti chiedevano subito indietro la penna, in quella nuova invece l'impiegato non me l'aveva ancora chiesta. Davide Autelitano (voce, basso): In posta ti mangiano un dito invece! F.D.: No, ti inseguono proprio... “Ha rubato una penna!”. Comunque una parte di vita è finita sicuramente nei testi, mentre gli altri sono frutto dell'unico viaggio pazzo che ho fatto nel corso di quest’ultimo anno. Sono andato in America, da solo, nel deserto. Il disco vecchio risale ormai a tre anni fa se non sbaglio… F.D.: Avevamo bisogno di staccare, di isolarci un po' da tutto. Volevamo venissero fuori dei nuovi motivi per andare in giro. Perché non si può star sempre in giro, non puoi essere sempre eccitato tipo uno speaker in radio. Michele Esposito (batteria): I ritmi oggi sono serratissimi, hai bisogno di fermati un attimo per riflettere. Anche per lui (indicando Federico, nda) che scrive i testi. Quando sei in tour, alla fine vedi sempre le stesse cose, non possiamo fare canzoni sui compressori! Anche perché altrimenti un argomento come “la crisi”, di cui parlate anche voi, rischia di essere raccontato sempre con le stesse parole F.D.: Con “I soldi sono finiti” ne parlavamo in tempi non sospetti. È da quando sono nato che mi si parla di crisi. C'è un punto in cui bisogna alzare l'asticella, anche come visione della storia. Ci vuole un'analisi più esistenziale del nostro tempo perché la storia torna sempre. Adesso la crisi è addirittura pop, salgono tutti sul “carro della crisi”. D.A.: La crisi come argomento è in voga anche tra artisti che rappresentano la peggiore ipocrisia. Nascendo nella scena indipendente, ci siamo abituati. Mi chiedo invece cosa loro riescano a vedere di questa crisi. Qualche settimana fa avete fatto sold out all'Alcatraz, mentre anche altre date del vostro tour stanno avendo un ottimo successo. Cosa ne pensate del - possiamo chiamarlo così? - “effetto Ministri”? F.D.: È stato un lavoro di comunicazione che ha funzionato da paura! Negli ultimi tre mesi abbiamo lavorato molto. Così, insieme ai nostri fan storici, ne sono arrivati tanti altri. Come vi trovate da indipendenti, anche se siete distribuiti da Warner? F.D.: Quando abbiamo detto alla nostra casa discografica che volevamo fare un disco più rock, un disco suonato possibilmente tutti assieme, loro ci hanno detto semplicemente di no. O meglio “eh, no, ma...”. D.A.: Che poi i “no” delle case discografiche sono sempre molto contorti. M.E.: Quindi quando poi ci hanno chiesto “Allora rifirmate?”, siamo stati noi ad aver detto “no”. D.A.: Il progetto aveva già dato quello che cercavano. Con la nostra vecchia casa discografica non abbiamo trovato la quadra con i nostri interessi e i loro. F.D.: Abbiamo scelto le nostre strade: nonostante tutto eravamo tranquilli, anche se non sapevamo ad esempio con chi sarebbe uscito il disco. I pezzi che avevamo preparato, però, ci piacevano ed eravamo convinti della nostra decisione. “Per un passato migliore” suona molto live, più diretto. F.D.: C'è stato un lungo lavoro prima: abbiamo studiato come dei matti, eravamo prontissimi. Comunque sì: il disco lo abbiamo suonato tutti assieme, tipo seduti in cerchio. Abbiamo imparato a distinguere le cose più importanti da quelle che lo erano meno. Come il suonare “a click” ad esempio, anche correggendo la batteria digitalmente con il Pro-Tools. Ci sembrava importantissimo un tempo. Invece eravamo noi che non sapevamo suonare bene. Oggi lo sappiamo fare meglio e non ci interessa più essere troppo precisi. Volevamo dare molta più identità al disco. I dischi migliori in realtà sono quelli più imperfetti, più umani... D.A.: I dischi vanno suonati. Con questo avevamo un'urgenza. Volevamo recuperare più calore rispetto ai dischi precedenti che erano più cesellati
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MINISTRI
“I dischi vanno suonati. Con questo avevamo un'urgenza. Volevamo recuperare più calore rispetto ai dischi precedenti…”
Foto Emanuela Giurano
a tavolino. Forse in modo eccessivo. Abbiamo fatto un disco che ti arriva più in faccia. Siamo una band più “urgente”, più calda. F.D.: Con questo disco abbiamo imparato molte cose che useremo anche per i prossimi lavori. Siamo andati ogni giorno in questa sala prove che ci è stata prestata dai Casino Royale. M.E.: Uno si immagina la vita delle rockstar... F.D.: Non so se avete presente il programma che fanno sulla vita dei Club Dogo? Io non l'ho visto perché me l'hanno raccontato e non so se la loro sia davvero così, ma se ci avessero ripresi durante la lavorazione del disco sarebbe stata più una cosa da bar, con noi che ordiniamo il caffè, che parliamo.
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Come band, come vi inserite nell'eterna diatriba - tutta italiana sulla musica indie? F.D.: Io sono un rompipalle sull'uso corretto delle parole e “indie” è una di quelle. Arriva dalle etichette indipendenti inglesi, che avevano un peso serio, non è sinonimo di “sfigato”. Io mi chiedo due cose. L’indipendenza da cosa dovrebbe essere? E poi perché le band del “nostro mondo” non possono confrontarsi con il resto della musica italiana? www.iministri.com
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OFF WITH THEIR HEADS L’uscita di “Home”, secondo lavoro della band da quando è entrata nella scuderia Epitaph, è senz’altro il più facile dei pretesti per rubare un po’ di tempo al bassista Robbie Swartwood e farci raccontare qualcosa sulla loro ultima fatica. Di Stefano Russo
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inalmente avete un nuovo disco fuori, siete eccitati per questo nuovo album? Robbie Swartwood (basso): Certamente! Ormai è passato un po’ di tempo dall’ultimo album e inoltre questo nuovo lavoro è stato registrato quasi un anno fa, quindi è rimasto a fermentare per un certo periodo. Ad ogni modo, suonare I nuovi pezzi è stato fantastico, siamo molto felici di ciò che abbiamo realizzato. È il vostro secondo disco pubblicato da Epitaph: come vi sentite ad essere parte di un così importante pezzo di storia del punk rock? R.S.: È grandioso, penso che in questo momento non potremmo essere in un posto migliore di questo!
Se diamo uno sguardo alle band che Brett Gurewitz (proprietario di Epitaph e chitarrista dei Bad Religion, nda) ha firmato negli ultimi anni, siete tra le poche punk band della lista: pensate che, nonostante le nuove direzioni musicali intraprese, la Epitaph sia ancora un punto di riferimento nel mondo del punk? R.S.: Direi proprio di sì. Solo perché si sono allargati a nuovi orizzonti pubblicando dischi di generi diversi, non significa affatto che l’integrità di tutte le altre band sia stata compromessa in qualche modo. Inoltre è una cosa assolutamente necessaria da fare di questi tempi se vuoi sopravvivere come etichetta ora che più nessuno compra musica. Spiegaci il significate del titolo “Home”. R.S.: È stata un’idea di Ryan (Young, cantante/ chitarrista e leader della band, nda), se n’è uscito con questo concetto perché siamo stati così tanto in giro (10 mesi all’anno per gli ultimi 5 anni) che l’idea di “casa” è diventata una cosa in continuo mutamento e a tratti totalmente inattendibile. Sono stato senza casa per 5 anni, dormendo su divani sia durante i tour che nei periodi di pausa dall’attività live. Questo fino a non molto tempo fa. E ora, credo proprio che tornerò a farlo. È un costante stato d’instabilità. Cosa mi dici del video di “Start walking”? Di chi è stata l’idea degli schiaffi? R.S.: Sempre un’idea di Ryan, pare che cerchi sempre di farsi colpire da qualcosa di commestibile! In fondo, a chi non piace una sana lotta con il cibo? E del video di “Seek advice elsewhere”? Anche quello è piuttosto strano… R.S.: Entrambi sono stati realizzati con il nostro amico Andrew Seward degli Against Me!, in qualche modo tra lui, Ryan, Zack e un nostro amico in Florida che gestisce una pista di pattinaggio sono riusciti a tirare fuori quel video. C’era chiaramente nell’aria una qualche specie
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l Feels
like home
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OFF WITH THEIR HEADS di evocazione spiritica o di magia perché è davvero uno dei video più strani, e allo stesso tempo migliori, che io abbia mai visto. Avete pubblicato ben tre video prima che l’album uscisse: quali erano le vostre intenzioni? Avevate in mente una sorta di promozione virale o qualcosa del genere? R.S.: Hai risposto tu stesso magnificamente alla tua domanda. I video sono piuttosto economici da realizzare e noi siamo fottutamente al verde! Il disco è stato prodotto da Bill Stevenson, è stato eccitante per voi lavorare con lui? R.S.: Sì, avere la possibilità di lavorare con lui
è stato fantastico, considerando la sua storia e tutte gli altri album che ha registrato in quello studio. Abbiamo avuto questa opportunità e non ce la siamo fatti scappare. Ha aggiunto qualcosa di nuovo al vostro sound? Con i Broadway Calls, ad esempio, ha di recente fatto un ottimo lavoro sul loro ultimo album “Comfort/Distraction”… R.S.: A livello di suoni è senza dubbio il nostro album migliore. Quel disco dei Broadway Calls poi è davvero un grande album, sinceramente mi ha davvero folgorato. Non solo lui, ma anche Jason Livermore e tutte le altre persone che lavorano in quello studio, sono alcuni tra i migliori nel loro campo.
“È sempre difficile trovare persone disposte a mettere la band prima di uno stile di vita stabile e alle volte anche del proprio benessere”
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Avete avuto numerosi cambi di line-up negli scorsi anni: avete finalmente trovato una formazione stabile? R.S.: In realtà sui dischi la line-up è sempre stata pressoché la stessa, tranne per il fatto che questa volta ho suonato il basso. In tour invece la questione è differente: è sempre difficile trovare persone disposte a mettere la band prima di uno stile di vita stabile e alle volte anche del proprio benessere durante i periodi on the road. Comunque fidati, più stabilità c’è e meglio è. Spero davvero che questa formazione resista. www.facebook.com/owth42069
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THE BLACKOUT
I gallesi tornano a farci ballare con “Start the party”, quarto full length all’insegna di canzoni super orecchiabili che sicuramente vi faranno venir voglia di iniziare la festa!
Party Di Silvia Richichi Foto Tom Barnes
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onsiderando il risultato di “Start the party”, come pensi sia evoluta la vostra musica dagli inizi a oggi? Gavin Butler (voce): Penso che in ogni album realizzato abbiamo inserito un buon mix di generi diversi. Molte persone sostengono che “The Blackout! The Blackout! The Blackout!” fosse un disco veloce e pesante, in realtà contiene uno dei brani più pop che abbiamo mai scritto: “It’s high tide baby”. La nostra musica è influenzata da così tanti generi, partendo dal pop, passando al rock fino ad arrivare al metal e sicuramente ci sarà sempre qualche elemento più leggero nei nostri dischi. Non sarebbe interamente vero dire che nel corso degli anni non siamo cambiati, ogni band nel tempo cresce ed evolve in qualcosa in cui si sente maggiormente a proprio agio. Penso che “Start the party” rappresenti la sicurezza che abbiamo acquistato in noi stessi e nello scrivere un album che rifletta pienamente cosa la nostra band è sempre stata e continuerà ad essere: grandi riff dal vivo e soprattutto tanto divertimento.
Quanto tempo avete dedicato alla lavorazione di “Start the party”? G.B: A dire la verità abbiamo iniziato a scrivere il disco molto presto, più di quanto fosse necessario. In seguito a un tour in Aprile 2011, in cui eravamo
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headliner, abbiamo avuto un periodo di riposo durante il quale abbiamo iniziato a lavorare al materiale. Avevamo in programma di entrare in studio a marzo 2012 ma il tutto è stato posticipato fino a maggio. Abbiamo poi dovuto aspettare sei mesi per la realizzazione. Il disco fa parte delle nostre vite da più di un anno... Sul comunicato stampa hai dichiarato: “Quel che so è che questo album racchiude i brani migliori che abbiamo mai scritto”. Cosa rende questo disco così speciale? G.B: Parlando della canzone “Start the party”, penso che sia uno dei migliori rock anthem che da tempo ci siano in circolazione. Un brano sfacciatamente semplice, con riff travogenti, che invoglia a cantare e sicuramente s’imprime nella testa. L’album intero è composto da canzoni molto semplici, da melodie dirette e coinvolgenti. Come ho detto prima, abbiamo iniziato a lavorare al disco dopo essere tornati da uno dei migliori tour fatti da headliner. Eravamo ancora eccitati ed elettrizzati e quando abbiamo iniziato a scrivere il nuovo materiale, sia le melodie sia i testi dei brani sono risultati molto allegri e ottimistici, focalizzati sull’idea di divertisti e godersi la vita.
y hard Guardando il video di “Start the party” sembra che vi siate divertiti molto a girarlo. Mentre eravate a Ibiza è successo qualcosa di particolarmente memorabile o divertente? G.B: L’intero periodo trascorso a Ibiza è stato divertente, sicuramente uno dei momenti migliori in assoluto. Il video di “Start the party” è praticamente il risultato delle riprese di noi mentre ci sbronzavamo e divertivamo ed è stato davvero tutto così pazzo. Come potrai ben immaginare, abbiamo ricordi un po’ ofuscati ma a un certo punto uno dei nostri amici era nudo su un balcone a guardare Example all’Ibiza Rocks Hotel.
Nell’album non vi siete fatti mancare una ballata romantica, “You”... G.B: Questo brano è stato scritto per le nostre fidanzate. Siamo con loro da parecchio tempo ormai e hanno sempre condiviso questa nostra passione e supportato quello che amiamo fare, sono incredibili... Per questo disco avete ancora una volta lavorato con Jason Perry. G.B: Questo è infatti il terzo album con Jason, diciamo che ormai fa
quasi parte della band! Rappresenta orecchie fresche che entrano in gioco verso la fine del processo di scrittura. Avere un’influenza esterna è fondamentale soprattutto per aggiungere nuove idee alle canzoni. Lavorare a un disco di continuo è come vivere insieme ai brani da tantissimo tempo, talmente tanto che non si ha più una visione ampia ma bensì una ristretta e molto statica.
Nei prossimi mesi sarete nuovamente in giro a suonare. Quanto è importante l’aspetto live per voi e qual è la band con cui in assoluto vorresti condividere il palco? G.B: La nostra band è sempre stata focalizzata sulla performance dal vivo, abbiamo iniziato così ed è suonare dal vivo quello che amiamo fare. Mi piacerebbe poter suonare con i Queen. Una volta ho visto i My Chemical Romance con Brian May e ogni componente della band aveva il sorriso più grande che tu possa immaginare. Vorrei tanto poter essere anch’io così felice come lo erano loro in quel momento. www.theblackout.net
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MINNIE’S “Ortografia”, l’atteso nuovo disco della punk-rock band milanese, segna un nuovo inizio ripartendo dalle basi e da un’iniezione di entusiasmo. Ne parliamo con il chitarrista Yuri. Di Nico D’Aversa
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iete una delle band più longeve della scena indipendente italiana. Il vostro segreto per trovare sempre stimoli nuovi ad andare avanti? Yuri (chitarra): Direi che i segreti sono diversi e fanno tutti riferimento alle relazioni che riesci a instaurare nel tempo. Intendo dire che prima di tutto è un progetto che condividi con i tuoi migliori amici ed è un favoloso pretesto per confrontarsi con il mondo, assieme e con forza. Poi c’è il discorso sul riconoscere le soddisfazioni, che nel nostro caso spesso non hanno a che fare con fama e soldi, ma piuttosto con le emozioni e l’energia che sei riuscito a smuovere. Insomma, ultimamente dico sempre più spesso che il nostro è un “modo di fare” musica che prescinde quasi dalla musica stessa. Insomma, è dura ma è troppo più bello avere una band che non averla. Pare che i vostri amici dicono che suonate “punk/rock d’autore”, una definizione che ritengo davvero azzeccata. È questa la chiave per conservare freschezza suonando un genere che pare al limite della saturazione? Y.: La definizione è stata coniata da Francesco Roggero (Da rozzo criù) che è un caro amico che ci segue da anni. Il senso credo fosse quello di definire un genere non molto diffuso in Italia, l’energia del punk/rock con dei testi delicati e onesti. La freschezza è data dalla tensione, dall’insoddisfazione, dalla rabbia e dalla consapevolezza di non essere mai nel posto giusto. “Ortografia” è il titolo dell’album e del brano che maggiormente si stacca dal resto della produzione. Ci spiegate il significato di questo titolo e com’è venuto fuori questo incredibile pezzo? Y.: L’ortografia è una delle prime cose che ti insegnano a scuola e sulle quali spesso ti confronti con dolore, grandi segni rossi sui temi. Abbiamo voluto riprendere le basi dalle quali siamo partiti e riproporle con una visione attualizzata. Per noi questo disco è un nuovo inizio e l’intenzione è quella di suonarlo su ogni palco come fosse sempre il primo concerto. Il brano è venuto fuori nel modo più spontaneo possibile, lo abbiamo improvvisato e poi riprodotto con la stessa attitudine della “prima volta”. La sua origine è quindi di fatto la definizione del titolo stesso. Grazie per l’incredibile, se anche la mia maestra d’italiano avesse usato lo stesso aggettivo davanti a un mio tema forse sarei diventato uno scrittore. Raccontate con originalità storie e tragedie quotidiane. Mi incuriosisce la traccia d’apertura “Quanto costa una domanda?”, un brano un po’ criptico… Y.: Immortala un momento, un istante in cui avviene qualcosa tra due persone. Una domanda e il tentativo di una risposta. Con il
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piatto sul tavolo parliamo d’altro… oppure stravolgi tutto e dai la risposta giusta che manda tutto all’aria. Il video di “Tragedia” è girato all’interno di una libreria, a conferma della vostra vocazione per così dire “letteraria”. Come è nata l’idea e come si rapporta il video alla canzone? Y.: Il video è stato girato da Rossetti, che è un negozio di libri e dischi usati. In quel posto incastrato tra le vie di Milano ci andiamo da tanti anni a comprare dischi a prezzi ragionevoli e di buona qualità. Ci piaceva l’idea di rappresentare il momento esattamente prima di una tragedia,
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qualcosa che si percepisce prima che esploda. Il video è una suggestione resa nella maniera più semplice e diretta possibile, una camera fissa davanti alla tragedia. Poi ci piace leggere ed essere letti oltre che ascoltati, per questo la libreria funziona. Avete cambiato line-up: una bassista nuova di zecca e un batterista alla prima registrazione con voi. Quanto ha influenzato il vostro entusiasmo e il vostro sound? Y.: Direi che la nuova line-up ha rinvigorito la nostra voglia di spaccare tutto. Ale è una mina e Viole un trattore. Il nostro sound è sempre una
Riforma rtografica sintesi delle nostre diverse personalità e questo vuol dire tanto lavoro e fatica che porta ad un risultato che ognuno di noi sente profondamente suo. Questa è la cosa più bella di tutte: avere qualcosa che è tanto tuo quanto degli altri, che è diverso da dire che è nostro!
Il vostro disco precedente, “L’esercizio delle distanze”, fu ristampato nel 2010 da una major e vi ha dato una certa notorietà “mainstream”. Cosa vi ha lasciato quella sbornia e com’è andata la ripartenza con la coproduzione di addirittura tre label? Y.: Nessuna sbornia in realtà, dopo un po’ che
bevi poco ma con regolarità ti puoi considerare un alcolista ma non uno sbronzo. Diciamo che abbiamo sempre creduto che l’autoproduzione è una conquista e non una rinuncia, in quest’ottica essere riusciti a fare questo disco con persone che realmente credono nel nostro progetto è qualcosa di inappagabile. Le major vanno bene per chi si immagina che le cose belle arrivino da sole e invece bisogna cercarsele e spesso prendersele. To Lose La Track, Fallo Dischi e Neat Is Murder sono tre cose belle e fatte bene. Un vostro vecchio pezzo s’intitola “Milano è peggio”. Deduco un rapporto d’amore/odio nei
confronti della vostra città. Y.: In realtà è un rapporto di amore e basta. Se ami il luogo in cui sei nato e ti accorgi che ami qualcosa che non cresce come vorresti ti fa incazzare. Poi vai in giro per il mondo e riconosci tante cose che potrebbero essere Milano ma Milano non sono; quindi ti sbatti affinché diventino anche Milano, ma Milano non lo vuole perché ha scelto di essere un’altra Milano; allora tu la ami ancora e ti piace di più quando torni da un lungo viaggio, ma poi speri sempre di ripartire e tornare in una Milano che hai sempre lottato per avere. www.minnies.it
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Ging burr roc AXIS OF
Gi bu r
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ger rito ck
r e g n i ito r r u ck ro
Tra le rivelazioni di quest'anno troviamo certamente gli Axis Of, band nordirlandese di cui stiamo parlando su RockNow ormai da diversi mesi. Il gruppo è appena uscito con l'album di debutto “Finding St Kilda” e abbiamo colto l'occasione per parlarne direttamente con il bassista Ewen Friers. Di Alex de Meo - Ciara Mc Mullan
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l vostro disco è finalmente uscito dopo una lunga attesa. Puoi raccontarci qualcosa del processo di produzione? L’album contiene canzoni scritte e già diffuse sul Web da tempo: questi brani rispecchiano ancora il vostro punto di vista “artistico”? Ewen Friers (basso): Sicuramente i brani ci rappresentano perfettamente: ogni pezzo che scriviamo come gruppo è un pezzo degli Axis Of in tutto e per tutto. Di sicuro c'è stato il rischio di dover mettere assieme canzoni che sono state create in 2-3 anni, ma crediamo che il “tema” fra di loro sia assolutamente coerente, col vantaggio di aggiungere un elemento di diversità all'interno del disco. Qual è il tuo brano preferito nel disco? Ci sono pezzi che avete dovuto lasciare fuori dall'album che vorresti comunque poter suonare live? E.F.: Devo dire che nessun pezzo a cui tenevamo di più è stato lasciato fuori. Le canzoni di “Finding St Kilda” sono state messe assieme dopo 3 anni a scrivere e scartare. Siamo certi che le 11 tracce che abbiamo scelto siano le migliori e che di conseguenza siano quelle che vogliamo suonare dal vivo. Il mio brano preferito è “Edge of the canebrake”, perché racchiude tutte le sfaccettature del nostro sound.
Cosa caratterizza i tour degli Axis Of? L'odore sul furgone? Il pessimo cibo? C'è uno di voi che a fine concerto si deve sempre sorbire il classico personaggio strano che fa mille domande? E.F.: Credo che l'aspetto più caratterizzante dei nostri tour sia la quantità incredibile di capelli che abbiamo tutti e tre assieme e la velocità con la quale crescono. Per quanto riguarda le persone, adoriamo parlare con tutti e ascoltare: la verità è che siamo noi quelli che rompono le scatole agli altri facendo domande sui luoghi in cui vivono e cercando di vendere i nostri dischi. La peggiore esperienza in tour? E.F.: Distruggere il furgone in Germania. È stato davvero difficile sia psicologicamente che economicamente. Eravamo bloccati lì senza soldi e senza poter tornare a casa. Alla fine ce l'abbiamo fatta ma è stato un momento veramente difficile.
Quali sono i gruppi con i quali vorresti andare in tour e quali sono le band con cui sei sicuro che litighereste in tour? E.F.: Mi piacerebbe tantissimo andare in tour con i Mastodon, soprattutto perché sono un gran gruppo con tantissima gente che li va a vedere. Credo litigheremmo con i Two Door Cinema Club: la lotta per il ruolo di maschio alfa dai capelli rossi con loro sarebbe tremenda.
Pensi che essere madrelingua inglese sia un grosso vantaggio nel momento in cui si deve scrivere un brano rock? Hai mai ascoltato band che fanno questo genere in altre lingue? E.F.: Non c'è dubbio sul fatto che aiuti. Oltretutto l'inglese è una delle lingue più parlate al mondo, quindi ti dà la possibilità di raggiungere tante persone. C'è da dire che comunque la maggior parte delle band del nostro livello direbbe che andare in tour in Europa è meglio che farlo in Inghilterra, quindi sarebbe forse meglio essere conosciuti in Germania: sapere il tedesco potrebbe aiutare! Vi piace cucinare? Ache se non fosse così, gli Axis Of che piatto sarebbero? E.F.: Adoriamo cucinare! Tutti noi abbiamo lavorato in ristoranti messicani, quindi ti direi un burrito! www.facebook.com/Axisof
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THE MANGES Con 20 anni di attività alle spalle, gli spezzini The Manges sono una delle punk rock band italiane più apprezzate nel mondo. In vista delle prossime importanti apparizioni live con Rocket From The Crypt e Bad Religion, non ci siamo fatti sfuggire l’occasione di una chiacchierata con due veterani come Andrea e Mass. Di Stefano Russo
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iete sempre stati il più lontano possibile dai riflettori: c’è un motivo particolare? Andrea Caredda (voce/chitarra): Abbiamo iniziato nei primi anni 90, quando fare punk aveva ancora il profumo dell'anticonformismo. In realtà tutto si spiega con una scelta per lo più estetica: tanti dei nostri gruppi preferiti sono band che hanno sbagliato tutto e oggi sono al nostro stesso livello di non-popolarità. La verità è che facciamo le cose che riteniamo interessanti e belle per noi, e siccome, per scelta, per nostri limiti o per destino, non siamo professionisti, evitiamo accuratamente tutto ciò che altri farebbero per guadagnarci in fama e consenso. Poi anche noi non sempre siamo d'accordo, ad esempio la scelta di aprire due date dei Bad Religion è stata discussa e non tutti i membri del gruppo sarebbero andati. In passato abbiamo rifiutato i vari Rock in Idro e simili, non perché siamo pazzi ma semplicemente perché sappiamo che in certi eventi siamo un po' fuori posto. Massimo Zannoni (basso): Alla fine, molte delle band che ci hanno ispirato o che ascoltiamo, sotto i riflettori non ci sono mai state. Veniamo da quella scuola e crediamo nel rispetto. La nostra tendenza non è di rimanere il più possibile lontano dai riflettori, ma dalle cagate. Siete considerati, ormai da anni, dei veterani della scena punk/rock: qual è il vostro giudizio sullo stato di salute odierno del genere? C’è qualche nuova band che vi ha colpito? A.C.: Onestamente credo che il punk/rock per come lo intendiamo noi sia praticamente scomparso. È rimasto un genere musicale che ha ancora molto da dire e un pubblico di gente appassionata e spettacolare. Ma è comunque un cliché e le nuove band sembrano fare molta fatica, complice anche un mercato musicale difficile da interpretare. Non basta più attaccare volantini e salire su un palco per farsi notare, o almeno credo. Aspetto da tempo che arrivino dei ragazzini cazzuti che mi convincano del contrario, ma per ora o non ci sono, o forse sono già arrivati ma io non li ho capiti. M.Z.: No, no, speriamo non torni più di moda il punk/rock. Quanta perdita di tempo in quegli anni… e quanta miseria dopo. Va bene così. Chi oggi c'è, c'è... e chi non c'è più significa non che doveva esserci più. Qual era il vostro rapporto, ai tempi dell’epoca d’oro del punk italico, con band come Derozer, Pornoriviste, Punkreas, Shandon (giusto per citare le più conosciute)? In fondo, voi e la scena spezzina siete in qualche modo sempre stati l’altra faccia della scena nostrana… A.C.: Conosciamo i Derozer da quasi 20 anni e li rispettiamo molto. Non cantiamo in Italiano, non ci piacciono gli slogan politici di facile presa, non ci interessava vendere tanto per vendere e non abbiamo mai avuto la stoffa delle star. Alla fine il pubblico ha fatto sì che diventassimo una cult band sconosciuta, con pochi fan fedelissimi in ogni parte del mondo, mentre altri gruppi hanno riscosso grande e talvolta meritato successo in Italia. Quel genere di punk mainstream all'Italiana non ci appassiona ma se piace e lo suona tanta gente in gamba, massimo rispetto. Ma non è il nostro mondo, noi ci sentiamo sempre fan dei Ramones prima che punk rock band. Pensate che formando una punk band oggi sia ancora possibile raggiungere un traguardo simile? A.C.: Quando noi abbiamo iniziato, il 77 era già passato da un pezzo, e i “grandi” della scena ci davano dei matti a voler fare punk/rock perché la scena era morta da anni. Poi è riesploso tutto poco dopo, quindi fare previsioni è impossibile. Oggi non so quali possano essere gli sviluppi futuri, ma tanto l'unica cosa che consiglierei è di suonare e divertirsi. E se suoni con il solo scopo di avere successo e lo ottieni, il tuo gruppo probabilmente fa cagare. M.Z.: I ragazzi troveranno sempre nuovi modi per incontrarsi, esprimersi e fare musica. Questo è punk/rock. I Ramones hanno insegnato che ti servono solo due strumenti dentro un sacchetto della spesa ed un garage per esprimerti. God bless the Ramones. Spegnere la testa e fare questo è già un bel traguardo. L'unico traguardo che una band deve avere è di essere fedele a se stessa. Se poi hai la fortuna di fare questo a 17 anni e a 37 con la stessa gente, sei molto fortunato. www.manges.it
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We do grow
on’t wanna
w up!
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DISCO DEL MESE
Bring Me The Horizon “Sempiternal” (RCA/Sony) ★★★★
Alcuni dicono che i Bring Me The Horizon o li ami o li odi. Non so se essere d’accordo con questa affermazione, forse perché io li amo, ma prima di amarli li ho ascoltati con sufficienza, può darsi con superficialità, eppure non li ho mai odiati. Facevano parte di quella nutrita schiera di band metal/deathcore dai visi graziosi, piene di tattoo e di piercing che a fiotte sono nate nell’ultimo decennio. Un po’ se ne mischiavano, e, come spesso accade, finivano per essere etichettati come il nuovo fenomeno delle facce belle che incantano il pubblico con garbo e virilità, senza (per quanto mi riguarda) lasciare il segno. E si sa, la superficialità talvolta ha fatto più danni del petrolio. Ora sono qui a dire che “Sempiternal” è uno dei migliori
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dischi usciti negli ultimi mesi. E non servono più ascolti per accorgersene. È tutto così ben confezionato e lustrato a dovere che, forse, l’unico neo potrebbe proprio essere che è un album troppo perfetto. “Iperprodotto”. Ma il bello è che nel momento in cui tutti vorrebbero essere i Bring Me The Horizon, loro giocano a reinventare se stessi e, sul serio, ci riescono alla grande. La band finalmente gioca con i colori, mixando ciò che di “vecchio” ha fatto di loro la band di successo che sono - hardcore e metal, growl e screaming disperati, riffing intensi - a ciò che di “nuovo” poteva migliorarne l’ascolto: una maggiore apertura alle tastiere e all’utilizzo di elementi electro, concedendosi sonorità appetibili anche per orecchie delicate.
recen Indubbiamente, uno degli elementi fondamentali di questo album è l’apporto del nuovo tastierista/ programmer della band, Jordan Fish. Se l’influenza delle sue tastiere è evidente in tutto l’album, il suo apporto diventa incredibilmente forte in brani come la bellissima opener “Can you feel my heart?” e nella closing “Hospital of souls”. Così come in “Sleepwalking”, il secondo singolo dell’album, e in “Go to hell, for heaven’s sake”, Fish aggiunge e diversifica, amplificandolo, il sound evocativo della band. “Shadow Moses”, il brano prescelto per anticipare l’album, sintetizza alla perfezione la dualità dell’intero lavoro: tastiere ma anche riff violenti e sincopati, campionamenti ma allo stesso tempo ritmica incalzante e inflessibile. Risultato: double win. Personalmente trovo che “Anti-vist” sia una bomba ad orologeria che ti esplode in mano, che manco te ne accorgi, tanto lo fa in fretta. Una straordinaria strada spianata verso la rabbia. Forse più vicina ai “vecchi” BMTH, anche se molto più matura nella scrittura e nella produzione. “Seen it all before” e “Crooked young” sono forse le uniche track senza particolari intuizioni armoniche, ma
rimangono comunque piacevoli da ascoltare e non tolgono nulla all’economia di un disco che è e rimane davvero notevole. Indubbiamente, è il primo disco dei BMTH bello dall’inizio alla fine, con Oli Sykes che ha finalmente trovato il modo di liberare le sue corde vocali e di regalarci un range decisamente più interessante. È nella sua dualità che “Sempiternal” diventa davvero un masterpiece. Potrei dire che questo è un album che respira di più e meglio di tutti i loro lavori precedenti, portando i Bring Me The Horizon decisamente a un livello superiore: la band è fatta e finita, godiamoceli esattamente così come sono. Sharon Debussy
nsioni ADEPT
musica e strutture, in grado di abbracciare i generi citati senza scadere nel banale e senza perdere identità all'interno di un panorama più che affollato. Michele Zonelli
"Silence the world" (Panic&Action/Soulfood)
★★★
Vogliamo semplicemente suonare, non ci preoccupiamo troppo del resto: questa la dichiarazione d'apertura del comunicato dedicato a "Silence the world". Parole che trovano riscontro tra le note del disco. Post-hardcore, metalcore e nu rock tracciano i confini entro cui gli Adept si muovono. "Forever and a day", "Established 2004" e "Secrets" riassumono i concetti espressi in seguito. In bilico tra growl, screamo e pulito, il cantato ben si adatta alle diverse situazioni, dimostrando attenzione per i dettagli e crescita artistica. Lo stesso si può dire di
NEROARGENTO “Underworld” (Coroner Records)
★★★★
Artista poliedrico e ispiratissimo Alessio Neroargento, al centro di molteplici progetti tra i quali – ovviamente – la propria creatura personale. In “Underworld” ci troviamo dinnanzi a una produzione moderna e accattivante che sa osare e decisamente atipica all’interno del roster da sempre metal oriented di Coroner Records. Neroargento è cresciuto con
KILLSWITCH ENGAGE ‟Disarm the descent” (Roadrunner/Warner)
★★★★
“Disarm the descent” vede il ritorno del cantante Jesse Leach a più di dieci anni di distanza da “Alive or just breathing”, prima di essere poi sostituito da Howard Jones. Sebbene questo nuovo album continui a rispettare le caratteristiche musicali che hanno da sempre contraddistinto i Killswitch Engage all’interno della scena metalcore, si nota una rinnovata freschezza nei brani e una carica di energia ancora maggiore rispetto agli ultimi lavori della band. Sin dalla prima “The hell in me” si ha un’esplosione di potenza che non accenna a diminuire nel corso di tutto il disco. Batteria incalzante e riff di chitarra marcati sono la giusta formula per un album con i “contro attributi”. L’alternanza di cantato melodico ed urlato è inoltre sapientemente applicata da Jesse in brani come “Beyond the flames”, “In due time” o “You don’t bleed for me” , tanto per citarne alcuni. In “Disarm the descent” i Killswitch Engage hanno inoltre azzeccato la disposizione dei brani all’interno del disco, i cui toni si placano sul finale con “Always”. Insomma, un album che sicuramente bisogna mettere nello stereo e ascoltare tutto d’un fiato. Silvia Richichi
nu rock elettronica, d'n'b e rock nel sangue, elementi che trovano ampio spazio nella sua testa e di conseguenza nella sua musica. Sonorità che ritroviamo all'interno di questo disco, prodotto in maniera egregia e ricco di spunti interessanti che potrebbero portare Neroargento tra i nomi più interessanti della scena electro/ alternative nazionale. Un bel lavoro fatto su misura per essere proposto nei club di mezza Europa, dai ritornelli accattivanti e che ha le vibrazioni giuste per far smuovere chi ascolta. Giorgio Basso
NEAERA
“Ours is the storm” (Metal Blade)
★★
Non so se sono l'unico a trovarsi in questa situazione: ci sono gruppi che ascolto, ma che non mi hanno mai entusiasmato. Band di passaggio. Non me ne voglia la band teutonica, ma per me i Neaera rientrano un po' in questa cerchia. Il loro nuovo lavoro, “Ours is the storm”, mi ha fatto la stessa impressione degli album precedenti. La produzione è egregia. Il disco è ben suonato. Tutto è al suo posto, dove deve essere. Non mancano neanche alcuni bei passaggi e ci sono momenti in cui accenno qualche movimento con la testa. Il disco fila via liscio, forse anche troppo, dato che dopo averlo ascoltato non mi resta molto. D'altra parte, i fan del genere e della band apprezzeranno di sicuro. Andrea Ardovini
SCENARIO
“Music is honest. Scenario is lying” (Alternative Factory Records)
★★★
Lavoro decisamente interessante questo “Music is honest. Scenario is lying" dei romani Scenario. Il disco alterna con estrema disinvoltura sonorità hard rock, come nel brano “Octopussy”, ad altre più hardcore/metal come in “The big rodeo”, senza sottovalutare alcune digressioni più "discotecare", proponendo appunto come singolo “Disco disco!”. Dieci pezzi che mi hanno trasportata dai Nickelback per la voce estremamente accattivante, agli Your Hero per le sonorità più HC, come non ne ascoltavo da tempo. Di forte impatto dal primo all’ultimo brano, inserendo anche una sorta di ballad (“Vault 101”), assolutamente nel loro stile e mai fuori luogo. Nel complesso un buon lavoro. Amalia “Maya” Noto
STONE SOUR
“House of gold & bones part 2" (Roadrunner/Warner)
★★★★
Seconda e ultima parte dell'ambizioso progetto "House of gold & bones". Ambizioso ma indubbiamente alla portata degli autori che dimostrano (se ancora necessario) un valore ormai assodato. Oscura e sofferta, "Red City" apre l'opera. Ancora una volta, Corey Taylor è protagonista di una prova sopra le righe, e con lui i suoi compagni di viaggio. Gli inconfondibili riff della coppia Root/ Rand animano "Black John", mentre i groove di Mayorga e Bolan dettano legge in "Sadist"... e siamo solo all'inizio. Paragonati al predecessore, ora i toni si fanno riflessivi, cupi, meno diretti ma più incisivi. L'omonima "House of gold & bones" (dalle forti affinità con la nota "RU486") segna la conclusione di una storia magistralmente narrata. Piero Ruffolo
THIS MELTING ROMANCE “Mrs. Maybridge" (This Is Core Music)
★★★
Se fino a qualche anno fa il connubio elettronica/metal faceva accapponare la pelle solo al pensiero, oggi è cosa ormai di prassi, almeno tra le nuove leve e soprattutto d'Oltreoceano. L'Italia come sempre non si fa mancare nulla, ed eccoci quindi a questo EP di tre brani dei triestini This Melting Romance, acerbi sotto diversi aspetti ma se non altro attenti a mettere insieme un prodotto professionale, dai suoni fino alla cura posta sull'artwork. Una produzione metalcore oriented, dove tra growl e breakdown trovano spazio voce melodica e spezzoni djent che ridefiniscono completamente gli standard. Scelte a parte, ciò che si può dire è che il coraggio nel loro caso non manca, così come la poca esperienza che non permette ai musicisti di esprimersi ancora al meglio, soprattutto nelle parti più heavy dove sono ancora scolastici nell'approccio. Se siete soliti ascoltare questo tipo di proposte i This Melting Romance potrebbero essere una nota piacevole, se al contrario fate parte della frangia "duri e puri" passate tranquillamente oltre. Giorgio Basso
RockNow 53
ROCK/POP APPINO
“Il testamento”
(La Tempesta/Universal)
★★★
Già dal titolo l’atteso album da solista della voce dei Zen Circus promette di rappresentare il lato oscuro della band toscana. Ma soprattutto è un disco enormemente autobiografico, dove l’artista mette a nudo il suo difficile passato familiare, le sue idee e i suoi fantasmi. Il violino di Rodrigo D’Erasmo introduce la title-track dedicata a Mario Monicelli. Segue il singolo “Che il lupo cattivo vegli su di te”, una sorta di ninna nanna al contrario. Ottime le grintose “Specchio dell’anima” e “Fuoco!”, mentre “La festa della liberazione” è un inno cantautorale vecchia maniera. “Schizofrenia” parte in acustico e si tramuta in una scarica
di furore in stile Teatro Degli Orrori (basso e batteria sono Giulio Favero e Franz Valente). Ma è l’intero disco che spesso si accosta a quel tipo di electro-rock molto in voga, alternando episodi validi ad altri più interlocutori. Ai testi introspettivi e complessi manca forse quell’ironia che ha reso unici i Zen Circus. Nico d’Aversa
BLACK REBEL MOTORCYCLE CLUB “Specter at the feast” (Cooperative Music)
★★★★
Per quelli che non ne fossero a conoscenza, il Black Rebel Motorcycle Club è la banda di motociclisti che crea scompiglio
MINISTRI
“Per un passato migliore” (Godzilla Market/Warner)
★★★★
Il loro stile è diventato un modello per molte nuove band, proprio come accadeva un tempo quando quelli da imitare erano Afterhours, Marlene Kuntz e Subsonica. Giunti al quarto album e giacché il futuro l’hanno già ingurgitato, tanto vale rivolgersi al passato per riprendersi almeno il presente. Allo stesso modo con la musica: perché rinnegare una ricetta esaltante fatta di ritmi incalzanti e ritornelli liberatori? I brani più veloci sono addirittura più heavy del solito, le tastiere spariscono dalla circolazione. Anche le ballate hanno un’anima rock, mai intrise di retorica. Il lato più originale dell’album si presenta subito, l’ottima “Mammut” dall’incedere quasi tribale. Poi “Comunque”, il singolo perfetto che racchiude il meglio della poetica esistenziale dei Ministri. Tredici brani da scoprire con prepotenza e riassaporare con calma. Dio ce li conservi così. O per qualcuno è già ora che cambino? Nico D’Aversa
recen nel film “Il selvaggio”, pellicola rivoluzionaria del 1954 con protagonista Marlon Brando. Anche la band, come i ragazzi difficili del film, possiede una personalità tormentata. Questa sofferenza interiore si riflette nel nuovo lavoro: dodici tracce molto intense, che dal punto di vista musicale non si distaccano troppo dal miscuglio di rock, blues, noise e tanto altro ancora che ha sempre caratterizzato (a parte l'episodio di “Howl”, per me inarrivabile) il sound della band. Un ottimo disco, molto ispirato, che conferma i BRMC tra i capisaldi del rock di questo ultimo decennio. Andrea Ardovini
da Ben Hillier), che parte in maniera impetuosa con la bellissima “Welcome to my world”, dal crescendo epico e dai toni quasi apocalittici. A seguire, tra i momenti particolarmente inspirati troviamo sicuramente l’electro/ blues (ormai vero marchio di fabbrica della band) di “Slow” e “Angel”, il pop intriso di soul di “Heaven” e “Soothe my soul”, l‘oscura “Broken” e la ruvida “Soft touch/Raw nerve”. Dave Gahan è come sempre superlativo (mentre Martin Gore si concede invece una passabile “The child inside”) e i Depeche Mode non deludono neppure questa volta le attese. Daniel C. Marcoccia
BRIGITTE
“Mutuo Perpetuo”
“Et vous, tu m’aimes?” (3°Bureau/Wagram/Self)
★★★★
Queste due fanciulle francesi sono assolutamente geniali! Con classe e gusto hanno confezionato un album di motivetti in cui emergono sonorità varie (dal pop al disco/funk passando per il folk) e soprattutto dei testi brillanti, ironici quanto taglienti al punto giusto. “Et vous, tu m’aimes” è ammaliante e capace di mettere di buon umore grazie a brani quali “Battez-vous”, “La vengeance d’une louve”, “Oh la la” o ancora la personalissima cover di “Ma Benz” dei compaesani rapper NTM. Accattivanti, divertenti e divertite, per niente arty/chic come potrebbe suggerire la loro immagine, Sylvie Hoarau e Aurélie Saada aka Brigitte regalano una freschezza salutare alla musica pop. Scopritele anche nelle rivisitazioni particolarmente riuscite (“I want your sex”, “Walk this way” et “Ne me laisse pas l’aimer” di Brigitte… Bardot) del bonus CD. Daniel C. Marcoccia
DEPECHE MODE “Delta machine” (Columbia/Sony)
★★★★
Considero da sempre la “trilogia” composta da “Music for the masses”, “Violator” e “Songs of faith and devotion” l’apice della carriera dei Depeche Mode, mentre gli album successivi sono lavori più o meno riusciti con, in ogni caso, alcuni episodi particolarmente azzeccati. “Delta machine” è sicuramente un buon disco (ancora una volta prodotto
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LA COLPA (Autoproduzione)
★★★
EP d’esordio per la band milanese. Cinque brani tiratissimi, veloci, essenziali. Un giro di basso infuocato è l’incipit della title-track, manifesto programmatico di un gruppo calato perfettamente in questi tempi bui. “La dittatura degli anestesisti” è più sibillino ma altrettanto combattivo. Nella generazionale “Il nostro passo”, il timbro vocale si ingentilisce. “Piano biblico di salvezza” si fa notare per gli interessanti cambi di ritmo, infine “L’impero” è un elettrico inno alle disillusioni. L’influenza dei Ministri si sente parecchio, nel sound e in un certo tipo di tematiche. Non a caso Davide Autelitano è fra gli autori di due pezzi. Il primo album ci dirà se questa assonanza diventerà una colpa. Nico D’Aversa
LITRO
“Art is freedom: free yourselves” (Volcan Records)
★★★
Se vi piacciono le composizioni dagli arrangiamenti spesso crepuscolari e dalle atmosfere malinconiche e invernali, allora resterete affascinati da questo EP di debutto dei Litro. Mogwai e Sigùr Ròs sono stati sicuramente più di una semplice influenza per la giovane formazione romana, la quale riesce comunque a non sembrare troppo derivativa e arricchisce le proprie composizioni con quella urgenza espressiva che rende sempre particolarmente affascinanti i dischi d’esordio (quando, come in questo caso, c’è alla base una certa personalità). Tanti ottimi
nsioni spunti emergono infatti da brani come “Schmetterling”, “Fragile” o ancora dalla spigolosa “Jonium", lasciando ben sperare per il futuro di questa interessante band. Amalia "Maya" Noto
PANKOW
“And shun the cure they most desire” (Out Of Line/Audioglobe)
★★★
Trent’anni di carriera, tra pause e cambi di formazioni, ma sempre animati dallo stesso spirito degli esordi. I Pankow, veri pionieri dell’elettronica in Italia, non temono il confronto con nessuno neppure ora che il genere vanta parecchi bravi rappresentanti. Tutto merito della personalità del gruppo toscano e della sua anarchia compositiva, di quella sua abilità nel lasciare confluire nella sue composizioni sonorità industrial, EBM e richiami al krautrock, oltre ad aperture più orecchiabili disseminate qua e là. I Pankow del 2013 ci “tramortiscono” con le superlative “Crash and burn”, “Kein entkommen” e “Regenerated degenerated” e si lasciano anche “manipolare” nei remix (a cura di Tying Tiffany, Ambassador 21, Ritualz…) presenti sul bonus CD assieme a riletture di alcuni classici. Piero Ruffolo
I feel I’ll float away” e la toccante “Faultline”). Un buon lavoro e una band che ritroviamo con grande piacere. Arianna Ascione
THE VIRGINMARYS “King of conflict” (Cooking Vinyl/Edel)
★★★★
I Virginmarys arrivano finalmente al loro debut album, “King of conflict”, realizzato in Europa sotto Cooking Vinyl. Un lavoro di cui il trio può andare più che fiero, considerando che sin dalla prima canzone i brani scorrono rapidamente senza mai perdere di tono ma bensì caratterizzati da un susseguirsi di potenza ed energia. Il disco esplode come una bomba con “Dead man’s shoes”, un pezzo rock’n’roll semplice ma penetrante. Difficile poi non farsi trascinare dai ritmi forti e accattivanti di “Just a ride”, “Bang, bang, bang”, “Portrait of red”, per poi riprendere il respiro con canzoni più riflessive e lenti come “Lost weekend” e “Dressed to kill”. Insomma, con un inizio di elevata qualità come “King of conflict” possiamo aspettarci grandi cose dai Virginmarys. Silvia Richichi
LOUD NINE “Revelations”
SUEDE
(Autoproduzione)
(Warner)
Gruppo vecchia scuola i Loud Nine, gente abituata a sporcarsi le mani con l’olio motore di qualche hot-rod e con la bottiglia di whiskey sempre a portata di mano. Immaginario comune che emerge spontaneo dopo aver ascoltato “Revelations”, un disco che tatua in maniera indelebile sulle loro pelli il marchio stoner/ rock’n’roll. I riferimenti sono evidenti: gente come Queens Of The Stone Age e, perché no, Foo Fighters hanno dato molto a questa band, abilissima nel proporre con disinvoltura brani dal taglio deciso e sfacciato, come tradizione insegna. Registrazione tipica di un live-show e voglia di spaccare il mondo, i Loud Nine in fondo sono tutto ciò, prendere o lasciare. Fossero venuti fuori negli anni ’80 probabilmente staremmo parlando di un nome di punta del movimento alternative rock, ma poco importa: in fondo “Revelations” ci piace anche in un periodo così “moderno”. Giorgio Basso
“Bloodsports”
★★★
Precursori del brit-pop (in effetti c’erano già prima), ma comunque ottimi rappresentanti di quella scena, gli Suede seguono l’esempio dei colleghi Blur e Pulp tornando assieme dopo una lunga pausa, anche se in questo caso c’è pure un disco nuovo oltre al tour. Ascoltando “Bloodsports” sembra che il tempo si sia fermato (anche se poi basta vedere una foto recente della band per affermare il contrario…) a lavori come “Coming up” e “Head music”. Infatti ritroviamo tutti gli elementi che hanno reso accattivante il pop/rock della band londinese: il cantato manierato e inconfondibile di Brett Anderson, gli arpeggi delle chitarre e quegli arrangiamenti che rendono eleganti sia i momenti più tirati (“Hit me”, “It starts and ends with you”) che le immancabili ballate (“Sometimes
★★★
ROCK/POP
METAL NIGHTFALL “Cassiopeia” (Metal Blade)
★★★
Questo disco è tutto fuorché brutto, mal suonato o malscritto. Dico di più, mi sento anche di raccomandarlo ai fan più accaniti del death metal melodico, essendo i greci Nightfall una buona band e, soprattutto, una di quelle certamente più rodate ed esperte su certe sonorità (il primo album risale al 1992). Non riesco però ad apprezzare “Cassiopeia” più di così. Poco o tanto che sia, lascio a chi legge giudicare: mi limito ad osservare che queste undici tracce suonano fin troppo omogenee (unico picco l’ottima “Stellar parallax”), che le melodie marchio di fabbrica del genere ci sono tutte ma che ci sono “n” band oggi in grado di fare meglio. Forse il punto più a favore dei Nightfall sono i “vocals” del sempiterno Efthimis Karadimas, l’unico veterano di una band che non riesce a smarcarsi più dalla agguerrita concorrenza. Luca Nobili
LORDI
“To beast or not to beast” (AFM Records)
★★★
I Lordi sono sempre stati considerati qualcosa che va al di là della musica in sé. Si sottolinea sempre il loro aspetto e la loro teatralità. Ovviamente tutto questo non può essere tralasciato, ma credo che spesso quando si parla di loro si ecceda con un giudizio puramente estetico, dimenticando che stiamo parlando di un'ottima band. Con questo “To beast or not to beast” i Lordi ricordano a tutti, anche a quelli che non sono dei patiti del genere, che oltre a indossare dei costumi sanno scrivere belle canzoni. Il disco è probabilmente il più “pesante” di sempre, anche se non mancano i consueti ritornelli. Nel complesso un po' ruffiano, come da tradizione peraltro, ma sicuramente piacevole. Andrea Ardovini
JESTER BEAST “The infinite Jest” (Zapping Productions)
★★★
Nome storico del panorama metal di casa nostra, i Jester Beast hanno impiegato una
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ventina d’anni per riformarsi e dare un seguito a “Poetical freakscream” uscito nel 1991. “The infinite jest”, disponibile dalla fine dello scorso anno in formato digitale e ora disponiblie anche in CD, vede una formazione rinnovata (a fianco del del cantante Steo Zapp e del chitarrista C.C. Muz troviamo il bassista Piero Grassilli e batterista Roby Vitari). Il gruppo torinese ci propone sonorità thrash pesantissime e vicine a quelle dei canadesi Voivod (su tutte “Lost in space” e “Cyrus cylinder”), senza tuttavia privarsi di aperture melodiche (in evidenza nell’ottima “The ultimate pilgrimage”). Due decadi di assenza cancellati dalle canzoni di questo riuscito EP. Piero Ruffolo
PSYCHOFAGIST "Songs of faint and distortion" (Memorial Records)
★★★
recen Mi trovo decisamente in difficoltà. Descrivere la musica degli Psychofagist è opera che va oltre le capacità umane, tanto è alto il livello di pazzia ed eterogeneità delle undici tracce di “Songs of faint and distortion” (complimenti per il titolo, grandioso!). Certo, l’influenza del metal estremo e dell’hardcore la si sente nei riff di chitarra e nel cantato di Marcello Sarino… ma andare oltre e citare riferimenti è arduo e temo non renderebbe l’idea del “rumore musicale” che questi ragazzi sanno generare. Ulteriormente impreziosito/sporcato/deviato dalla partecipazione all’album dei cechi Napalmed, “Song of faint and distortion” è quello che ascolteranno i nostri bis-bis-bisnipoti a un concerto rock nel 2813. Se, e solo se, saranno abbastanza coraggiosi… Luca Nobili
ROTTING CHRIST “Kata ton daimona eaytoy” (Season Of Mist)
★★★
“Kata ton daimona eaytoy”, che significa “fai ciò che vuoi” (frase cara ad Aleister Crowley), è l'ultimo lavoro dei greci Rotting Christ, da sempre bandiera del black metal. Il nuovo album ha un sapore davvero epico, un'atmosfera che si addice moltissimo ad una band che proviene da una terra che di epica ne ha prodotta a non finire. Novelli Ulisse, i Rotting Christ ci accompagnano alla scoperta della propria e di altre culture, da quella Inca a quella rumena, passando per Babilonia e la Persia. Un viaggio ipnotico, che tocca alcuni lidi inesplorati ed altre ponde invece ben note, ovvero quelle che hanno consacrato la band ellenica nel pantheon del metal in venticinque anni di carriera musicale. Andrea Ardovini
VOLBEAT
“Outlaw gentlemen & shady ladies”
★★★★
(Universal Music)
Avessi dei soldi da scommettere, li punterei tutti sui Volbeat. I danesi sono per quanto mi riguarda i candidati più promettenti a “next big thing” del panorama metal per il 2013… e se di sicuro in passato qualche abbaglio me lo sono preso, mi sento sereno nel rischiare questo impegnativo pronostico! Partire da una base di 750.000 copie vendute con il precedente “Beyond hell/Above heaven” è già un traguardo, ma sono fondamentalmente certo che “Outlaw gentlemen & shady ladies” farà anche meglio. E non tanto perché ci si trovi di fronte a particolare salto in avanti artistico per il quartetto, quanto per la bontà del materiale e l’estro che da sempre i Volbeat hanno dimostrato. Eh sì, questa band ha quel “non so che” che separa i leader dai follower, i bravi ma sfortunati dai vincenti: probabilmente per il personalissimo sound fatto di metal contaminato con rockabilly e country rock (dove la trovate un’altra band così!), o forse solo perché provenienti dalla Danimarca e non dalla California o da Londra. Uno di qui gruppi che, quando lo ascolti, non puoi confondere con nessun’altro, sebbene non puoi nemmeno definirne rivoluzionaria la musica. Che aggiungere? Che in “Outlaw…” c’è pure una canzone in collaborazione con King Diamond e che l’ex Anthrax Rob Caggiano si è unito in pianta stabile alla band. Adesso uscite a comprarlo, punto e stop. Luca Nobili
nsioni
PUNK/HC
ALKALINE TRIO “My shame is true” (Epitaph/Self)
★★★★
Un ritorno in grande stile per gli Alkaline Trio che, a distanza di due anni dal precedente “Damnesia”, ci propongono un disco che può sicuramente essere definito uno tra i migliori che la band abbia realizzato negli ultimi anni. “My shame is true”, uscito sotto Epitaph, vanta la collaborazione del leggendario Bill Stevenson per la registrazione. Un disco che parla di amore e delusione, dal contenuto molto personale e in cui gli elementi più “punkettosi” che hanno reso inconfondibile la musica degli Alkaline Trio si fondono armoniosamente con sonorità più rock, il tutto contornato da liriche intense e introspettive. Il disco inizia con brani energici e difficili da dimenticare, come “She lied to the FBI” o “I wanna be a Warhol” (che vede la colaborazione di Brendan Kelly). I toni diventano più malinconici e i ritmi più lenti verso la fine del disco, con canzoni come “One last dance” e “Until death do us part”. Ben riuscito il brano “I, pessimist” cantato assieme a Tim McIlrath dei Rise Against. “My shame is true” conferma che, in un modo o nell’altro, gli Alkaline Trio ci azzeccano sempre. Silvia Richichi
BRAVE
“Comfort/Distraction” (This Is Core Music)
★★★
Partiamo da una considerazione legittima: l’Italia in fatto di hardcore è tornata ai fasti di un tempo. La qualità media si è alzata parecchio, al punto che da qualche anno a questa parte vantiamo nomi di assoluto spessore a livello europeo (vedi Strength Approach e Startoday, tanto per fare due nomi). Il caso dei Brave riassume perfettamente il tutto, un nome nuovo in una scena in pieno fermento capace nel giro di un solo anno di vita di presentarsi con stile attraverso l’EP “Count of casualty”. Il suo contenuto è ciò che ci si aspetta da una produzione hardcore: canzoni in your face senza fronzoli e tanta energia, ricalcando fedelmente lo stile new school proveniente da Oltreoceano. Registrato agli Hell Smell Studio (una garanzia in chiave alternative), questo EP ha tutte le caratteristiche necessaria
per farsi apprezzare da chi è solito ascoltare questo genere di proposte. Avanti così! Giorgio Basso
INSANITY ALERT “Second opinion” (Glorious Thrash Records)
★★★★
A distanza di un anno esatto dal primo lavoro (“First diagnosis”), tornano con un nuovo EP i trasher tirolesi Insanity Alert. Sei tracce velocissime che partono via come cartucce una dopo l’altra e senza mai raggiungere i due minuti. Trash metal/hardcore pompatissimo che farà felici i fan di band come Municipal Waste, D.R.I. e Bones Brigade. Gli Insanity Alert, nati come side project di Kevin Aper (qui diventato Heavy Kevy) della celebre punk/rock band olandese The Apers, e capaci in pochissimo tempo e a suon di concerti di ritagliarsi un posto nel cuore dei fan del thrash di tutta Europa. Disco perfetto per fare
festa e andare in skate (e mica ho detto poco!!). Andrea “Canthc” Cantelli
SINCLEAR
“From low to loud” (This Is Core Music)
★★★
I novaresi Sinclear sono ciò che ogni nostalgico definirebbe “una garanzia”. Sono personaggi vecchia scuola, alla buona insomma. Musicisti cresciuti col punk-rock nel cuore e spinti da una passione che sembra non volerli abbandonare mai, almeno dal ’99 a oggi. “From low to loud” è forse il loro disco più maturo e riuscito: le sbavature dovute alle inesperienze di gioventù sono ormai lontani ricordi e ciò che si ha di fronte oggi è una band quadrata, con delle buone idee e una manciata di inni punk-rock da far scoprire al mondo. Un lavoro intenso, veloce e sporco al tempo stesso, come la tradizione impone, dove sound e voce si amalgamano bene e in cui lo
spirito ribelle di un tempo trova ancora posto nei testi. Se ancora non li conoscete, questo è sicuramente il momento adatto per farvi avanti. Non vi deluderanno. Giorgio Basso
OFF WITH THEIR HEADS "Home”
(Epitaph/Self)
★★★★
Alla loro seconda prova marchiata Epitaph, gli Off With Their Heads di Ryan Young sfornano un serissimo candidato al titolo di miglior album punk/rock del 2013. Il lavoro in studio del leggendario Bill Stevenson e del suo team è ottimo e i suoni cupi e aggressivi del disco si sposano alla perfezione con gli accordi veloci, la voce roca e graffiante e i testi carichi di disagio del cantante/chitarrista, autore della sua miglior prova di sempre in veste di songwriter. Il carico emozionale è pesante ed espresso senza mezzi termini, come nel refrain dell’opener “Strat walking”: “It’s a long way back to be anything that anyone could love”. Forse è ancora presto per dire se di consacrazione definitiva trattasi, ma siamo di fronte a una band tutt’altro che fuori di testa. Stefano Russo
TERROR
"Live by the code" (Victory/Self)
★★★ Tra i massimi esponenti della scena hardcore newyorkese, i Terror sono ancora oggi un punto di riferimento ideale per vecchie e nuove glorie del genere. Immune all'inesorabile incedere del tempo, la band di Scott Vogel ci ha abituato a lavori di grande valore e "Live by the code" non è da meno. Chi da anni segue le gesta del combo sa bene cosa aspettarsi: brani schietti, veloci, violenti e abili nel dimostrarsi attuali senza abbandonare le inequivocabili e personali origini. Se da un lato i suoni abbracciano le più moderne produzioni, dall'altro, composizione ed esecuzione seguono la linea tracciata ormai 10 anni fa. Hardcore di alta scuola: questo basta per descrivere episodi come "Not impressed", "The good die young", "Invasion" e la stessa title-track. Michele Zonelli
RockNow 57
THE LINE
In collaborazione con Extreme Playlist
EUROPEAN WINTER X GAMES Gli European Winter X Games, giunti a questa quarta edizione e svoltisi in Francia in Val d’Isère - precisamente a Tignes - hanno regalato come sempre uno spettacolare show per tutti gli spettatori accorsi a vedere questo evento 6 stelle TTR, il primo della nuova stagione del World Snowboard Tour. Testo di Markino - Foto Red Bull
S
ono stati tre giorni molto intensi per tutti i 150 riders snowboarder e skier invitati, che hanno partecipato allo slopestyle e al superpipe, maschile e femminile. Oltre ai nomi d’élite che troviamo sempre in questo tipo di competizione forse non tutti sanno che l’età media dei riders si sta abbassando anno dopo anno. Arielle Gold di 16 anni arrivata terza in superpipe, Yuki Kadono giapponese di 16 anni, Max Parrot 17 anni americano gareggiava nello slopestyle e il gold medal nello ski superpipe Torin Yater-Wallace di 17 anni. Dopo un paio di giorni di training, il meteo ha iniziato a complicare un po’ le qualifiche e la finale di superpipe femminile ma le condizioni avverse con vento e neve pesante non sono bastate a fermare la campionessa Kelly Clark che con 62 vittorie alle spalle si aggiudica la gold medal. Il tempo finalmente dopo un paio di giorni è migliorato e lo show si è scaldato con le finali Men e Women Ski slopestyle e della tanto attesa finale di Superpipe Maschile. Ampiezza e perfezione nell’esecuzione delle manovre ma soprattutto tantissimo entusiasmo per il nuovo trick chiuso per la prima volta in una competizione da Iouri I-Pod Podladtchikov, il primo Cab Double Cork 1440 della storia ovvero 3 giri e mezzo e 2 flip in switch. Nonostante la sua 4° posizione, IPod durante la breve intervista a fine run ha espresso con un adrenalinico rock’'n’roll!!! Ottima
58 RockNow
riuscita del trick. Vincitore del Superpipe: l’americano Louie Vito con un esecuzione perfetta della sua run, a seguire il rider francese Arthur Longo e terzo il giapponese Taka Hiraoka. Anche per lo ski slopestyle lo show non è stato da meno, tutti i riders hanno regalato il meglio dando sfogo alla propria creatività su tutte le strutture. Per il terzo e ultimo giorno, in mattinata si sono svolte le finali di snowboard lopestyle maschile nelle quali il canadese Sebastian Toutant è riuscito ad avere la meglio su Mark McMorris e sul neo campione Overall del World Snowboard Tour Peetu Piiroinen. Tutti super tecnici nell’esecuzione di tutti gli ultimi trick che si possono vedere negli eventi di questo genere e anche per le ragazze c’è stata una notevole progressione del livello agonistico dato che si sono potuti vedere double backflip e cab underflip e persino un 1080. Il primo posto del podio è andato alla norvegese Siljie Norendal dopo la sua perfetta esecuzione sulla maggior parte delle strutture. In serata si sono svolte le finali di ski superpipe, i riders erano super gasati nelle qualifiche! In testa c'era il campione olimpico Kevin Roland ma alla fine dopo una battaglia di tricks ha avuto la meglio il 17ne Torin YaterWallace. Ottimo inizio per il World snowboard tour, tutti i riders hanno dato del loro meglio anche per la vista delle prossime olimpiadi e per questo secondo appuntamento degli Xgames! Enjoy and ride more!
RockNow 59
THE LINE
60 RockNow
Extreme Playlist
Ogni mercoledĂŹ, su rocknrollradio.it dalle 19 alle 21, Markino e Fumaz ci raccontano cosa succede nel mondo degli action sport attraverso le parole e i gusti musicali dei suoi protagonisti. Stay tuned!!!
RockNow 61
FLIGHT CASE
Un disco, un tour, un disco, un tour… Questa è più o meno la routine per molti degli artisti che avete incontrato nelle pagine precedenti. Ed è proprio ai concerti che è dedicata questa rubrica, con tuttavia una piccola differenza: questa volta vi portiamo dietro il palco alla scoperta di piccoli rituali e abitudini varie.
KENNEDY BROCK
(THE MAINE)
Di Michele Zonelli
stato davvero bello.
Qual è stato finora il concerto più bello che avete fatto e perché? Kennedy Brock (chitarra, voce): Sono sempre molto orgoglioso quando torniamo nella nostra città e suoniamo davanti al pubblico di casa, alle persone con cui siamo cresciuti e alle nostre famiglie. È un momento incredibile, che mi permette di mostrare agli amici il risultato del duro lavoro svolto. Sono sempre molto eccitato e stupito quando qualcuno si presenta ai nostri show, quindi è davvero difficile scegliere...
Qual è il pubblico più strano che avete incontrato? K.B.: Abbiamo suonato in una scuola elementare appena fuori Boston. È stato abbastanza bizzarro esibirsi davanti a tutti quei bambini. Ridono e urlano a ogni tua parola!
Il concerto peggiore? K.B.: Uno dei nostri primi show di sempre. Eravamo in tour in Virginia e abbiamo suonato per una sola persona, che già conoscevamo. È stato semplicemente imbarazzante. In realtà, la cosa peggiore è stata evitare alcuni ragazzi che fumavano crack vicino al nostro furgone.
Come passi il tuo tempo tra una data e l’altra? K.B.: In diversi modi. Quando viaggiamo di notte, beh, di solito dormo. Durante il giorno: guardo la TV, suono la chitarra o, se arriviamo abbastanza presto al locale, visito la città.
Il posto più bello in cui avete suonato? K.B.: Ricordo con piacere un concerto nello Utah, abbiamo suonato all'aperto, circondati dalle montagne, in una splendida giornata. È
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Cosa non dimentichi mai di portare con te in tour? K.B.: Soffro d'asma, dunque devo sempre avere con me un inalatore. Non ne ho quasi mai bisogno, solo nelle emergenze.
Cosa non deve mai mancare nel vostro camerino? Avete richieste particolari? K.B.: Di solito patatine e altro cibo spazzatura. Non ho bisogno di niente in particolare, forse solo qualcosa di alcolico: fiducia liquida.
Avete delle regole da rispettare sul tour bus? K.B.: Tutto è permesso, il nostro tour bus è sinonimo di libertà! Una sola regola: niente di solido nella toilette. C’è una cover che vi piace suonare durante il soundcheck? K.B.: Ci piace molto suonare canzoni di Neil Young, "Down by the river" è una delle preferite. Avete un rito particolare prima di salire sul palco? K.B.: Ci carichiamo l'un l'altro, applausi in cerchio, in sostanza: "we like to party". Qual è la figuraccia peggiore che hai fatto dal vivo? K.B.: Alcuni anni fa, durante uno show di Halloween, ho indossato una maschera da alieno sopra il mio costume da Zorro... Davvero una pessima idea. Non riuscivo a vedere ne la chitarra ne la pedaliera! È stato un incubo, mi sono tolto tutto quasi immediatamente. www.wearethemain.net
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