#10
PLAY IT LOUD, READ IT NOW
Mensile - Anno 2 - Maggio 2013
Airbourne - Extrema Drowning Pool - Deez Nuts Gerson - Cannibal Corpse The Flatliners
Blind test: Salmo
JOEY
CAPE Bad, Loud & Punk
Terror – This Century – Filippo Dallinferno – Polar For The Masses – Adept – Concrete Block - Hellyeah
PLAY IT LOUD, READ IT NOW
Mensile - Anno 2 - Maggio 2013
#10
Joey Cape Extrema Drowning Pool Deez Nuts Gerson Cannibal Corpse The Flatliners
Blind test: Salmo
airbourne Dog’n’Roll
Terror – This Century – Filippo Dallinferno – Polar For The Masses – Adept – Concrete Block - Hellyeah
Mensile - Anno 2 - Maggio 2013
#10
PLAY IT LOUD, READ IT NOW
extrema Rabbia, cuore e metal
Blind test: Salmo Joey Cape Airbourne Drowning Pool Deez Nuts Gerson Cannibal Corpse The Flatliners
Terror – This Century – Filippo Dallinferno – Polar For The Masses – Adept – Concrete Block - Hellyeah
EDITO
Foto Emanuela Giurano
È tutta scena…
Una cosa che mi ha sempre fatto molto sorridere in tutti questi anni alla guida di riviste rock è il continuo parlare di scena, soprattutto in Italia. Mi diverte questo volere rivendicare spesso l’appartenenza a una cerchia di musicisti amici e legati da una comune passione o “fede” musicale. Alla fine, provate a parlare con il 90% dei diretti interessati e scoprirete che stanno sempre a criticare tutto e tutti. Il grosso, vero problema è che ognuno pensa solo ed esclusivamente al proprio orticello e magari fa pure bene. In tempi di crisi come questi, è sicuramente meglio piantare i propri ortaggi che riceverli addosso. Il discorso vale pure per l’editoria, soprattutto quella musicale (sia cartacea, sia digitale). Qua non ci stiamo dividendo una torta ma le briciole. Sono però convinto che se ognuno fa bene il proprio lavoro e ottiene qualche risultato, sarà anche a beneficio di tutti gli altri. La musica, in ogni caso, è fatta di passione e solo i più bravi riescono a mantenerla intatta. A Joey Cape non manca di certo e lo dimostra sia nell’intervista che leggerete più avanti, sia nei tanti progetti che lo vedono coinvolto.
Come non manca neppure agli amici Extrema, tornati finalmente con un nuovo riuscito album. Loro, alle critiche, rispondono in modo piuttosto chiaro (Non si fanno queste cose!!! Nda). Infine, sempre su questo numero, troverete un personaggio che vi sembrerà poco in linea con questa rivista. State tranquilli, con Salmo non vogliamo assolutamente aprirci all’hip hop (genere che comunque piace a parecchi di noi) ma solo presentarvi un artista il cui background è decisamente vicino al nostro. E quindi benvenuto su RockNow. Keep on rockin’!!! Daniel C. Marcoccia dan@rocknow.it @danc667 Ps: ascoltate le nostre playlist su Spotify!!!
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ROCKNOW #10 - MAGGIO 2013 - www.rocknow.it
06-21 PRIMO PIANO
Terror Adept S.O.C.S. All in the name of… Rock Dischi violenti: F. Dallinferno Concrete Block This Century Polar For The Masses Gear: Phil Demmel Hi-Tech Games Crazy… net Open Store
22-49 ARTICOLI:
22-26 Joey Cape
www.rocknow.it Registrazione al Tribunale di Milano n. 253 del 08/06/2012
Scrivi a: redazione@rocknow.it DIRETTORE Daniel C. Marcoccia dan@rocknow.it ART DIRECTOR Stefania Gabellini stefi@rocknow.it
28-31 Airbourne
32-36 Extrema
COORDINAMENTO REDAZIONALE ONLINE EDITOR Michele “Mike” Zonelli mike@rocknow.it COMITATO DI REDAZIONE Marco De Crescenzo Stefania Gabellini COMUNICAZIONE / PROMOZIONE Valentina Generali vale@rocknow.it
38-39 Drowning Pool
40-42 Blind test: Salmo
44-45 Deez Nuts
46-47 Gerson
48-49 Cannibal Corpse
50-51 The Flatliners
COLLABORATORI Andrea Ardovini Arianna Ascione Giorgio Basso Andrea Cantelli Nico D’Aversa Sharon Debussy Alex De Meo Michele Fenu Francesco Menghi Luca Nobili Eros Pasi Andrea Rock Stefano Russo Piero Ruffolo Ralph Salati Silvia Richichi Extreme Playlist FOTOGRAFI Arianna Carotta Emanuela Giurano Claudine Strummer FOTO DI COPERTINA Emanuela Giurano (Extrema) Claudine Strummer (Joey Cape) Martin Philbey (Airbourne)
52-57 RECENSIONI
52 Disco del mese: Sound City 53 Nu rock 54 Pop/Rock 56 Metal/Punk 58-61 The Line 62 Flight case: Hellyeah
44RockNow RockNow
SPIRITUAL GUIDANCE Paul Gray Editore: Gabellini - Marcoccia Via Vanvitelli, 49 - 20129 Milano
Tutti i diritti di riproduzione degli articoli pubblicati sono riservati. Manoscritti e foto, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Il loro invio implica il consenso alla pubblicazione da parte dell'autore. È vietata la riproduzione anche parziale di testi, documenti e fotografie. La responsabilità dei testi e delle immagini pubblicate è imputabile ai soli autori. L'editore dichiara di aver ottenuto l'autorizzazione alla pubblicazione dei dati riportati nella rivista.
PRIMO PIANO
TERROR Keep the faith
È da poco uscito il nuovo disco dei Terror, un lavoro all’insegna dell’hardcore senza compromessi e in linea con l’attitudine della granitica band di Los Angeles. Di Michele Fenu
U
n titolo come “Live by the code” sembra racchiudere un significato personale e legato al credo dei Terror: “È molto soggettivo, quello che ‘il codice’ può significare per me, può non significare niente per le altre persone. Noi, come gruppo, abbiamo determinate situazioni legate all’hardcore e le abbiamo documentate in questo nuovo disco. Non vogliamo che qualcuno pensi che ciò che intendiamo noi come ‘codice’ sia la legge suprema da accettare per forza. Vogliamo solo far capire la naturalezza della
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scena hardcore. Questo nuovo disco è fatto di rabbia, emozioni aggressive e tanto cuore”. I Terror sono una delle band più influenti della suddetta scena e tra le più amate dal pubblico, come confermano i numerosi e continui tour: “Abbiamo un rapporto molto particolare con chi viene ai nostri concerti. Il pubblico diventa parte dello show, è questa la differenza tra l’hardcore e qualsiasi altra musica. Il rapporto tra le persone sul palco e quelle davanti è di rispetto assoluto. È molto importante e veramente speciale”. Negli ultimi anni, tantissimi gruppi si sono riempiti
la bocca con la parola “hardcore” senza sapere minimamente di cosa si stia parlando. La risposta di Martin non si fa attendere: “È tutta una questione di partecipazione. È sempre stato così con l’hardcore. Se per partecipazione si intende solo suonare con la propria band, scrivere la parola ‘hardcore’ sulle magliette e poi stare seduti a non fare niente per sostenere la scena quando la tua band non sta suonando… che opinione si può avere di una band così? Così facendo, non dai nulla alla scena e di conseguenza non puoi pretendere niente da essa. È un’equazione piuttosto
facile da capire”. I membri della band militano anche in vari progetti paralleli, ma come ci spiega il chitarrista: “Nessun impegno è più importante dei Terror, questo gruppo ha sempre la priorità e gli altri, appunto, sono solo side-project che ci tengono occupati quando non siamo in tour”. Prima di lasciarci, Martin ha un messaggio per i fan italiani: “Tra non molto saremo nuovamente in Italia con il nuovo tour. Ascoltate band italiane come Cripple Bastards, Raw Power, Strength Approach e tante altre”. Respect! www.terrorlahc.com
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PRIMO PIANO
ADEPT Enjoy the silence
A “Silence the world”, terzo disco per gli Adept, è affidato il compito di sdoganare, una volta per tutte, la promettente formazione svedese. Obiettivo non da poco il cui esito sembra essere tutt'altro che incerto. Di Michele Zonelli Presentato come un nuovo e importante capitolo nella storia della band, “Silence the world” si erge a caposaldo di un'evoluzione giunta oggi alla sua massima espressione, forte di soluzioni non sempre innovative ma precise e ispirate quanto basta per non passare inosservate. Non solo musicalmente. “Siamo stanchi di tutte quelle persone che cercano di condizionare il pensiero altrui professando le proprie convinzioni come le uniche da seguire”, ci spiega il bassista Filip Brandelius. “Ci dicono come ragionare, come agire, come vivere... quasi fosse pericoloso pensare con la propria testa.
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Preferiamo costruire il nostro destino piuttosto che seguire un'ideologia già confezionata, per questo abbiamo deciso di intitolare l'album ‘Silence the world’. Volevamo un disco più ritmato, più veloce e più pesante, un prodotto in grado di rompere i cliché tanto in voga. Ci siamo avvicinati ancora più alle nostre radici hardcore, preferendo strutture classiche ai modelli compositivi ordinari. Alla fine abbiamo ottenuto un mix di tutto quanto fatto in precedenza”. Come per “Another year of disaster” e “Death dealers”, alla produzione il veterano Fredrik Nordström (In Flames, Bring Me The Horizon, At The Gates), affiancato, per l'occasione, da Henrik Udd. “Lavorare con Fredrik e Henrik ci
ha aiutato molto. Non hanno mai paura di dire ciò che pensano e sono incredibili in ciò che fanno. Non si sono limitati a registrare e giocare con mix e master, ci hanno dato consigli, hanno studiato i brani con noi e ci hanno indirizzato verso il miglior risultato possibile. Abbiamo sviluppato insieme ogni singolo brano e per questo non li ringrazieremo mai abbastanza”. Il crescente interesse per la formazione svedese trova riscontro negli ottimi risultati della campagna avviata su PledgeMusic, piattaforma cui sempre più artisti si appoggiano per sostenere e realizzare le proprie opere con l'aiuto dei fan. “È un ottimo canale per promuovere e dare vita a un progetto. I nostri album
non sono disponibili in tutti i Paesi e in passato non sempre siamo riusciti a soddisfare le molte richieste legate alla distribuzione. Ora, invece, tramite PledgeMusic tutti possono ricevere il disco, indipendentemente da nazione e territorio. L'industria musicale sta mutando rapidamente e non gode certo di ottima saluta. Il download ha radicalmente cambiato le carte in tavola, adattarsi è l'unico modo per sopravvivere. I nostri fan ci hanno aiutato a giungere alla fine di questa avventura: senza di loro non ce l'avremmo fatta. Finanziare un disco non è cosa da poco, basti pensare che ora l'unico modo per racimolare qualcosa è andare in tour e vendere merchandise”. www.adeptofficial.com
S.O.C.S.
Il loro moniker, Sheeps On Creamy Spermwhale, è stato ispirato dal flyer del locale londinese Trash Palace appeso in saletta. Lo copo della band: fare più casino possibile! Di Arianna Ascione - Foto Claudine Strummer
Danko Jones, i QOTSA e gli Adolescents in salsa nostrana! Nati nel 2007 su iniziativa di Orange (voce/chitarra) e Koppo (batteria) per “fare più casino possibile” con una formula deflagrante di riff punk e stoner a caldo, senza troppi fronzoli sulla forma canzone e sul testo, con un approccio molto garage, i S.O.C.S. sono una realtà ancora piccola, ma decisamente interessante. Dopo aver reclutato Trap, un amico di vecchia data, la band, inizia a mettere insieme brani inediti pieni di “nonsense”, accompagnati da una visione cruda, cinica e spesso sarcastica della realtà. Dal primo EP del 2010, “Anal rock”, si arriva ad “Alan Rock”, che più che un disco è un fratello cattivo. I testi parlano rigorosamente di storie realmente accadute. Storie di vita on the road su e giù per la Lombardia ad esempio: “Il brano '20 bucks' parla di un aftershow: nel parcheggio di un locale, un'auto ci ha tamponati. Il conducente, palesemente ubriaco, come chiunque altro sul posto, riesce ad accordarsi con Koppo per una constatazione amichevole stipulata con le scuse, l’acquisto di un CD e tutto il denaro del proprio portafoglio. Ovvero una banconota da 20 Euro… che poi la Band userà per il carburante”. O storie di rapporti umani, come in “Evetybody loves somebody”, “Broken bicycle” o “Injustice for hole”. La cover di “Alan Rock” è stata creata da Frart, un giovane writer/disegnatore e artista milanese, mentre l’artwork è stato curato da Len, amico fraterno della band e tour manager: “Volevamo una serie di persone 'qualunque' ma al tempo stesso contraddittorie (un cuoco cinese, un poliziotto sorridente, un rocker di mezza età, un businessman, nda), che stessero a significare che Alan Rock può essere chiunque o nessuno di noi allo stesso tempo, e che il rock è anche andare in contraddizione rispetto ai canoni. L’artwork è volutamente scarno perché crediamo che nell’epoca di estrema digitalizzazione in cui ci troviamo, ora più che mai sia importante il contenuto, ovvero la musica, più che la forma”. www.facebook.com/socs.rock
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PRIMO PIANO
t h g i F t s a L e Th
NOME: bardia NZA: Lom IE N E V O R P hitarra), Ale ). c e e c o (v ames atteria LINE-UP: J ssio (basso), Gigi (b . Ale a settembre a it (chitarra), c s u in ovo album DISCO: Nu k rock/fatroc rs, The GENERE: Foo Fighte , ro ly C fy E: Bif INFLUENZ Strokes stfight.it www.thela
Amarionette
.) NOME: gas (U.S.A e V s a L : A nes NZ randon Jo B PROVENIE ), e c o sso), (v uin White n Wells (ba Q o : R P ), a -U E rr a IN it L (ch Nick Raya (chitarra), eria). us oklyn (batt ro B n ti my dangero s u d J n a s e m ti angerous DISCO: "D (2013). ways" EP rock ore GENERE: ive, Param rv u S a c ir E: C INFLUENZ onette.com www.amari
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All in the name of
A cura di Andrea Rock
A
rock
mici di RockNow, bentrovati. Questo mese, l'oggetto del nostro disquisire è un termine amato (poco) e odiato (molto) dai rocker di tutta Italia: contest. Il termine deriva dall'inglese e significa gara, concorso o competizione. Nel nostro paese, è stato utilizzato in ambito musicale come “movente” per operazioni di sfruttamento da parte di alcune agenzie legate all'intrattenimento. Bene o male, ci siamo cascati in molti. A 15/16 anni ti promettono di fare almeno tre serate nell'arco di uno o due mesi, alle quali è legata la possibilità di vincere “la produzione e la stampa di un CD singolo”, piuttosto che “X numero di ore in uno studio di registrazione professionale”... Sulla carta, è sicuramente un bel pacchetto. Ma (c'è sempre un “ma”) la band ha degli obblighi: vendere più prevendite possibili per la serata (perché parte della votazione avviene attraverso “alzata di mano”, quindi, più amici vengono, più possibilità hai di vincere) e pagare una quota di partecipazione. Sia ben chiaro, questo non succede per tutti i contest, ma per quelli con cui sono entrato in contatto da ragazzino la formula era questa o variava di pochissimo. Oggi, con il Web a farla da padrone, è tutto più semplice e molto più economico. RockNow, il mese scorso, ha promosso un contest molto interessante: quello legato alla scelta della band di apertura per il concerto degli Strife. Come funzionava? Bastava mandare un link a un video di YouTube che mostrasse la band dal vivo, in un videoclip o in studio. La valutazione sarebbe poi stata fatta dal direttore, da alcune firme del magazine e dal promoter. Apriti cielo. C'è stato chi ha scritto “era meglio il pay-to-play (pagare per suonare)”, chi ha detto “non facciamo questo genere per essere giudicati”... Grandi parole in bocca a gente alla quale si chiedeva semplicemente: “Sei libero il 21 aprile? Ti va di suonare prima degli Strife? Mi fai sentire qualcosa di tuo?”. Zero spese, zero richieste. Se questo è il risultato, la prossima volta, chiederò dei soldi...
DISCHI VIOLENTI
FILIPPO DALLINFERNO di Daniel C. Marcoccia
PRIMO DISCO COMPRATO:
Filippo Dallinferno: Per il mio settimo compleanno ho chiesto “The best of The Doors”.
ULTIMO DISCO COMPRATO:
F.D.: Ultimamente compro solo vinili. L'ultimo preso è “Happy trails” dei QuickSilver Messenger Service.
DISCO CHE HA CAMBIATO LA TUA VITA: F.D.: “Let it Bleed” dei Rolling Stones è il disco che mi ha fatto capire che prima o poi avrei suonato la chitarra.
DISCO SOPRAVVALUTATO:
F.D.: Penso ai dischi italiani che piacciono tanto in Sudamerica… Uno a caso della culona (non conosco i titoli).
DISCO SOTTOVALUTATO: F.D.: Ovviamente il mio! (ride)
DISCO “BOTTA DI VITA”:
F.D.: Stone Temple Pilots “Core”, pochi dischi mi gasano così tanto.
DISCO “LASSATIVO”:
F.D.: Biagio Antonacci di solito è di grande aiuto quando devo andare al cesso.
DISCO PER UNA SERATA ROMANTICA:
F.D.: “Mezzanine” dei Massive Attack, non ci sono chitarre quindi riesco a metterlo nel lettore e poi occuparmi di altre questioni senza distrarmi troppo.
DISCO SUL QUALE AVRESTI VOLUTO SUONARE:
F.D.: Led Zeppelin “Physical graffiti”, visto che lo hanno registrato senza di me… me lo suono a casa da solo e godo.
DISCO DA VIAGGIO:
F.D.: Eagles “Desperado", ovviamente si parla di un viaggio a cavallo nel vecchio West.
DISCO PER UNA NOTTE DI BAGORDI:
F.D.: “And out comes the wolves” dei Rancid, è il mio gruppo punk preferito di sempre, il sound californiano concilia l'abuso alcolico.
DISCO DEL GIORNO DOPO:
F.D.: “Kid A” dei Radiohead, giusto per ricomporre le caselle celebrali. Credo sia clinicamente certificato, tipo Mozart con le vacche da latte.
DISCO CHE TI VERGOGNI DI POSSEDERE:
F.D.: Mi vergogno quindi non te lo dico.
CANZONE CHE VORRESTI AL TUO FUNERALE:
F.D.: “To Sheila” degli Smashing Pumpkins. Se bisogna piangere, facciamolo sul serio. Comunque visto che gran parte dei presenti saranno colleghi, scatta la Jam!!! www.facebook.com/filippo.dallinferno
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Concrete Block
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Niente proclami
Dopo cinque anni di silenzio, tornano i Concrete Block e il carismatico leader della band, Saverio, ci racconta un po’ di retroscena sulla realizzazione del nuovo lavoro “Twilight of the Gods”. Di Andrea “Canthc” Cantelli
“
Tutto questo tempo è trascorso per i numerosi cambi di formazione, praticamente uno scioglimento, e della formazione originaria sono rimasto solo io. In questi anni mi è stato molto difficile trovare dei musicisti attenti a ciò che fanno, come compongono. Cerchi nel metal e dopo due concerti credono che arriva un talent scout di un'etichetta e non lavori più per tutta la vita; cerchi nell'hardcore e trovi incapaci
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attenti solo all'abbigliamento... Ripeto, non è stato facile trovare una formazione stabile e riuscire a fare un album”, esordisce così Saverio, per spiegare la lunga pausa avuta dalla sua band. Sulla collaborazione con FOAD Records, l’etichetta di Giulio dei Cripple Bastards, dice invece questo: “Mi sono proposto a loro dopo che avevo monitorato un po' cosa c'era in giro. Credo che un progetto come Concrete Block abbia bisogno di una visibiltà maggiore e di un'etichetta capace di coprire delle nicchie di mercato
trasversali: loro corrispondevano ai requisiti e, soprattutto, ci hanno dato fiducia. Pranda e Giulio li conosco da anni, però sai com'è, quando amicizia e denaro si incontrano, il rischio di perdere amici e denaro si fa realistico”. In merito al nuovo disco, ci anticipa che nei Concrete Block il livello tecnico dal primo album è salito, anche se hanno anche cercato di mantenere una certa fruibilità nel songwriting, pur cercando di essere il più pesante possibile. A questo punto, è d’obbligo una domanda personale a Saverio,
icona storica dell’hardcore italiano, ovvero cosa lo lega a questa scena dopo tutti questi anni? “Alla mia età, devo dire ben poco a parte le vecchie amicizie e il fatto che continuo a organizzare piccoli concerti nella mia città. Sono stufo di tutti quei proclami stupidi, con soluzioni altrettanto stupide, le omelie moraliste dal palco... E poi, che ti devo dire, io negli anni '80 c'ero veramente e non ho nostalgia, sono quelli che non c'erano che si fanno troppe seghe mentali”. www.concreteblockhc.com
THIS CENTURY quei bravi ragazzi
Vengono dall'Arizona e non hanno la pretesa di rivoluzionare il mondo della musica moderna ma di ritagliarsi il loro spazio.
DJ: NICOLA
PROGRAMMA: Hang the DJ In onda ogni venerdi dalle 22.00 alle 23:00
La sua Top 5:
BLACK KEYS “Sister” SAVAGES “Husbands” VAMPIRE WEEKEND “Diane Young” CHVRCHES “Recover” NEW ORDER “Bizarre love triangle”
Di Alex De Meo Chiamatelo pop rock o pop punk, oppure chiamatelo “materiale da radio”: questo movimento, seppur in calo di consensi tra i kids (in favore di sonorità forse un po' più hard), ha ancora abbastanza da dire. In un panorama dallo spazio così ristretto come si collocano i This Century e quale segreto hanno per imporsi su tutti gli altri? “Non sono sicuro che ci sia un segreto. Se ci fosse mi piacerebbe sapere qual è. Io credo solamente che finché si è genuini e ci si diverte, la gente si interesserà alla band. Vedo troppi gruppi pop che fanno questa musica per tutte le ragioni più sbagliate: la gente alla fine se ne accorge e pian piano si dilegua. Fare le cose con passione cambia completamente tutte le carte in tavola” dice Joel Kanitz, cantante della band. I This Century sono in fase di pubblicazione del loro secondo disco, “Biography of heartbreak”, distribuito in Europa dall'italianissima Rude Records. Nel frattempo Joel parla anche della vita in tour e delle aspirazioni della band: “The Maine sono certamente i migliori con cui siamo stati in tour e sono degli ottimi amici. Anche girare con i Cartel è stata un'ottima esperienza, soprattutto perché i loro live sono veramente ottimi: ho imparato molto da loro. Certo, se dovessi esprimere un desiderio, vorrei andare in tour con i Coldplay, che sicuramente al momento sono il gruppo più famoso al mondo: mi piacerebbe conoscerli e capire come fanno ad essere così bravi”. Speriamo che i This Century sappiano essere bravi anche senza Chris Martin e soci... www.thiscenturyband.com
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PRIMO PIANO
POLAR FOR THE MASSES Svolta italica
Dopo aver cantato a lungo in inglese, la strepitosa band vicentina torna con “Italico”, un album in italiano e in qualche modo dedicato al bel paese. Di Nico D’Aversa
“
Avevamo bisogno di nuovi stimoli e al tempo stesso volevamo cercare di spostare l’attenzione sui nostri testi, dato che cantando in inglese non ci sembrava venisse resa loro giustizia dagli ascoltatori. Non sapevamo se saremmo stati in grado di scrivere in italiano. A pensarci è incredibile, ma non eravamo abituati a scrivere canzoni nella nostra lingua. Il risultato comunque ci sembra più che soddisfacente”. I P4TM parlano di politica, di denuncia sociale. Cosa sempre più rara persino nella scena indipendente, dove sembra ci sia solo spazio per temi strettamente personali e introspettivi: “Ogni artista parla di ciò che gli sta più
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a cuore, di ciò che gli fa scattare l’esigenza di comunicare. Noi parliamo della realtà che viviamo quotidianamente e cerchiamo di fare la musica che ci piacerebbe ascoltare e che nessuno fa. Non ci interessa parlare del nostro ombelico, di quanto amiamo le nostre donne e roba del genere. Perché la musica, oltre che far muovere le gambe, non può far pensare? In Italia la musica di denuncia è sempre stata ghettizzata nel cliché del ‘complesso del primo maggio’. Noi non siamo così e ne siamo ben felici, dal momento che siamo convinti che il dovere dell’artista sia quello di innovare, inventarsi mondi nuovi, cose che non esistevano. Gridiamo la nostra incazzatura e il nostro stupore per
le assurdità che ci circondano e, a quanto pare, non sono in molti a fare altrettanto nel panorama musicale italiano”. “Un uomo un voto” parla di ineluttabile, sembra che il presente non lasci spazio alla speranza nonostante l’impegno di ciascuno: “Questa canzone è una sorta di filastrocca su come sia naufragato il sogno democratico nato nel dopoguerra. I nostri nonni, partigiani, hanno avuto dei sogni, delle speranze. Noi non abbiamo sofferto come loro, ma sicuramente non abbiamo un centesimo dei loro sogni e delle loro speranze. La situazione italiana attuale è assurda. Potremmo essere il paradiso e invece non riusciamo nemmeno a essere un vero inferno. Siamo un purgatorio immobile, in cui non
solo non si può fare qualcosa, ma non si può nemmeno sperare di fare qualcosa. Quando un popolo non sogna e non spera più, la cosa migliore che gli possa capitare è l’estinzione”. I P4TM sono una tipica band d'esportazione, conosciuti e recensiti in Europa in modo entusiastico: “Diciamo che siamo una band molto apprezzata da critica e addetti ai lavori. Qualche volta anche dal pubblico. Dobbiamo dire, però, che la percezione nei nostri confronti sta lentamente cambiando e che probabilmente il tempo ci darà ragione. Fortunatamente se gli italiani non ci apprezzeranno potremo sempre emigrare in Germania, lì siamo sempre stati accolti benissimo!”. www.polarforthemasses.com
gear Non la solita intervista. Ecco cosa vogliamo proporvi in questa nuova rubrica. Si parla di musica ma da un punto di vista più tecnico e coinvolgendo direttamente i musicisti. Anzi due: Phil Demmel, chitarrista dei Machine Head, intervistato dal suo collega dei Destrage, Ralph Salati. in occasione del tour clinic promosso dalla Jackson presso il negozio di strumenti Lucky Music di Milano.
PHIL DEMMEL R
alph Salati: In questi anni sei stato parte essenziale del meccanismo di composizione di importanti metal band. Vorrei che mi parlassi del tuo approccio alla composizione? Phil Demmel: Parto principalmente dalla chitarra, ma capita anche che parta da un groove di batteria o da un idea melodica che ho in mente registrandola sul mio smartphone: ta da da! (e mi canta un riff, nda). Sviluppo poi l'idea con il resto della band seguendo il mood o la sonorità che cerchiamo, basandoci sulle nostre sensazioni o sui testi.
R.S.: Cosa ne pensi dei nuovi sistemi di amplificazione digitale come il fractal, ne fai uso? Ci sono differenze tra il tuo gear live e in studio? P.D.: Dal vivo utilizziamo l'Axe FX diretti sul banco. Dall'Axe abbiamo programmato il suono della 5150 ma continuo a usare i pedali per gli effetti gestiti da un sistema di switch della Custom Audio Electronic. In studio e in sala prove usiamo invece le nostre vecchie 5150. R.S.: Quali sono le tue maggiori influenze? P.D.: Tutto è iniziato quando ho ascoltato “Detroit rock city“ dei Kiss e poi ho continuato con gli AC/DC fino ad arrivare al motivo per cui suono la chitarra: Randy Rhoads, il mio preferito in assoluto. Un altro chitarrista che ascolto volentieri è Michael Schenker. Poi, dall'hard rock sono passato a Judas Priest, Iron Maiden e Metallica. R.S.: Cosa gira di più recente sul tuo iPod ? P.D.: Mi piacciono molto i Kyng, fanno una sorta di stoner. Poi trovo fantastico l'ultimo disco dei Killswitch Engage. R.S.: Ho visto la tua demo al Musikmesse di Francoforte, sono rimasto impressionato dalla tua precisione ritmica e per il suono enorme. Parlaci della tua complice numero 1: la tua Jackson Demmelition. Quali caratteristiche cerchi in una chitarra? P.D.: Voglio che sia molto “reattiva“ rispetto al mio playing e i pick up EMG mi danno questa sensazione. Mi piace il manico non rifinito, ma quelle che trovi in negozio hanno la finitura lucida classica. Per il body ho sempre usato la forma King-V, che trovo molto comoda ed è in ontano, tastiera in ebano, e monta un floyd rose originale con sellette e blocco delle molle in titanio. R.S.: Progetti futuri da solista o con la band? P.D.: No, attualmente sono impegnato in questo tour clinic per promuovere le chitarre Jackson. Io sono solo il chitarrista dei Machine Head e i progetti strumentali guitar-oriented non fanno per me. (Risate!)
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HI-TECH BLUETOOTH STEREO SPEAKERS - BBS305
Design vagamente retrò, 2 altoparlanti da 2.5 W, batteria al litio (25 ore di ascolto) e ricarica via micro USB per il BBS305: nuovo speaker Bluetooth di BeeWi. Con comandi touch e un raggio d'azione di 10 metri, il dispositivo si adatta a numerosi device. Interessante, infine, la possibilità di utilizzo come vivavoce. www.bee-wi.com
SHUTTR
In fase di sviluppo e supportato da una campagna su Indiegogo, lo Shuttr si dimostra essere idea tanto semplice quanto meritevole di attenzioni. In poche parole: un piccolo telecomando Bluetooth per autoscatti (foto e video) compatibile con sistemi operativi di casa Apple e Android. Nessun software aggiuntivo richiesto. www.mukulabs.com
SONY HANDYCAM HDR-GW66VE Decisa a non abbandonare il mercato delle videocamere compatte e sicura che prodotti dedicati possano ancora fare la differenza, Sony presenta la sua nuova Handycam. Registrazioni in Full HD 50p (il doppio del formato Blu-Ray), obbiettivo G Lens con stabilizzatore SteadyShot, resistenza all’acqua e a temperature sotto zero. www.sony.it
NINES BLK: TACTICAL 9MM
POKKET MIXER MOBILE MINI DJ MIXER
Il PokketMixer si presenta come il primo mini mixer portatile per DJ. Facile da usare, si adatta a qualsiasi supporto (lettori MP3, tablet, laptop, smartphone, PC, lettori CD...) e può funzionare senza alcuna fonte di energia ausiliaria. Al momento disponibile solo in America (via Amazon), sarà presto importato in altri Paesi. www.amazon.com
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Frutto di accurati studi ingegneristici, gli auricolari Nines di Munitio assicurano un suono puro e privo di interferenze. Corpo in titanio, rifiniture in Kevlar e minuziosa cura dei particolari. Adatti anche per smartphone grazie a pulsante per effettuare chiamate. Non ultima, l'inconfodibile forma: proiettili da 9mm. www.munitio.com
A cura di Michele Zonelli
games
DEAD ISLAND RIPTIDE Piattaforma: X360/PS3/PC Produttore: Deep Silver/Koch Media Genere: Azione, avventura
Presentato nel 2011 e accolto con tutti gli onori da una nutrita schiera di giocatori, tanto da guadagnare il titolo di "Game of the year", il primo capitolo dell'allora neonata saga Dead Island è riuscito a distinguersi nell'affollato panorama dei survival horror. Dopo un fortunato DLC giunge il tanto atteso sequel. Sicuri di poter tornare finalmente alla civiltà, Xian Mei, Sam B, Logan e Purna non faranno molta strada. Catturati e trasportati su una portaerei militare per essere studiati, i nostri naufragheranno su Palanai, isola dello stesso arcipelago della già nota Banoie, ovviamente, infestata da zombie. Se da un lato la trama non si discosta molto dalle classiche opere sui generis, dall'altro è chiara la volontà degli sviluppatori di raggiungere un più alto livello narrativo, distribuendo meglio momenti chiave e colpi di scena. La giocabilità si dimostra nuovamente punto di forza della serie. Interamente esplorabile, l'isola nasconde non poche insidie, ma anche porti sicuri nei quali è possibile incontrare abitanti non contagiati pronti ad assegnare le immancabile quest secondarie (ottime per aumentare esperienza e recuperare equipaggiamento di buona qualità). Interessante, infine, l'interazione con le diverse tipologie di armi, il cui utilizzo si ripercuoterà non solo sulla quantità di danni inferti ma anche sul gameplay che varierà a seconda della precisione e della maneggevolezza dell'oggetto in uso.
INJUSTICE: GODS AMONG US
DRAGON’S DOGMA: DARK ARISEN
Dagli stessi autori dell'ultimo e fortunato "Mortal Kombat" arriva "Injustice: Gods Among Us": picchiaduro che ne eredita le dinamiche e le trasferisce al mondo DC Comics. Metropolis è stata rasa al suolo, Superman, ingannato dal Joker, ha ucciso Lois e instaurato una dittatura. Alla resistenza, capitanata da Batman, il compito di ribaltare la storia. Spettacolari scontri diretti, minigiochi alternativi e una più che longeva story mode.
Si rinnova l'appuntamento con Capcom e il suo "Dragon's Dogma". Il mondo di Gransys torna protagonista, in un'inedita avventura ambientata nell'isola maledetta di Bitterblack. Nuove armi, nuovi nemici, nuove abilità, la possibilità di importare personaggi e salvataggi del gioco originale e molto altro ancora. In definitiva: non una semplice espansione ma una corposa e impegnativa avventura pronta a risvegliare l'Arisen che è in voi.
WIIU/PS3/XBOX360 Warner Bros. Interactive Entertainment
STAR TREK
Piattaforma: X360/PS3/PC Produttore: Paramount Pictures/Namco Bandai Games Genere: Azione, avventura Ispirato al reboot del 2009 diretto da J. J. Abrams, "Star Trek" porta su PC e console le vicende dell'equipaggio della U.S.S. Enterprise, offrendo ai giocatori la possibilità di impersonare Kirk e Spock. Presentato come uno sparatutto tattico diviso tra azione e combattimenti, il titolo vanta una storia originale e inedita, appositamente
PS3/XBOX360 Capcom/Halifax
redatta da Marianne Krawczyk (vincitrice del premio BAFTA e autrice di numerose trame, tra cui alcune legate al franchise "God Of War"). Gli eventi seguono quanto visto su grande schermo (con gli stessi attori chiamati a doppiare i propri alter ego digitali) e vi vedranno impegnati nell'esplorazione di un nuovo universo, tra pianeti esotici, giungle pericolose e remote stazioni spaziali. Vostri antagonisti: i Gorn, qui presentati in una nuova e più temibile versione. Vostro compito: impedire alla nota razza aliena di
conquistare (e soggiogare) la galassia. Molte e varie le situazioni in cui vi troverete, a favore di un gameplay poco incline alla ripetitività. Come auspicabile, tutte le armi della serie sono a vostra disposizione, combinabili con le abilità speciali del personaggio in uso. Grande importanza assume l'aspetto cooperativo, punto di forza attorno cui è stata sviluppata l'intera opera e che vedrà i protagonisti interagire a aiutarsi a vicenda per superare le insidie del momento. Indubbiamente dedicato ai molti proseliti, "Star Trek" non deluderà le attese.
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crazy net
A cura di Michele Zonelli
ISKULL GRAMOPHONE Di amplificatori analogici per iPhone ne esistono a bizzeffe, ma pochi possono vantare un design come quello sfoggiato dall'iSkull Gramophone. Ingegno e cura dei particolari: alle orbite oculari il compito di amplificare il brano del momento. www.schreerdelights.com
COWBOY GUN KEY
Cowboy e indiani: da sempre tra i costumi più gettonati dell'infanzia... già, ma presentarsi oggi in ufficio vestiti da Billy the Kid potrebbe non essere una mossa saggia. Possiamo sempre consolarci con le nostre nuove chiavi di casa... www.frenzkeys.com
LIQUID BOOKMARK
Ideato dal designer Kouichi Okamoto, il Liquid Bookmark offre un'alternativa insolita e di assoluto effetto ai consueti e spesso improvvisati segnalibri. Realizzato a mano e venduto in tre colori: rosso, bianco e grigio. www.designboom.com
BLACK LEATHER BANDAGES
Se siete tra coloro che seguono il credo "i dettagli fanno la differenza", allora potreste essere interessati a questi cerotti studiati per assomigliare a veri e propri accessori alla moda. Disponibili anche in versione Luis Vitton. www.amronexperimental.com
GOMIBA GO REMOTE CONTROL GARBAGE CAN
Arriva dal Giappone (e la cosa non ci sorprende affatto) il Gomiba Go: cestino per spazzatura radiocomandato... Idiozia totale o idea geniale? Difficile dirlo, certo è che un simile oggetto merita almeno una menzione. www.japantrendshop.com
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OPEN STORE
A cura di Eros Pasi
ARTISAN S
Ipath è un marchio pensato per tutti gli amanti degli sport su tavola, che realizza le sue scarpe mantenendo un occhio di riguardo per l’ambiente. € 78,20 www.ipath.com
BOYZ N THE HOOD COLLECTION Da Starter una collezione dedicata al film di culto diretto da John Singleton che vedeva come protagonisti Cuba Gooding Jr. e il rapper Ice Cube. (“Problem” snapback cap € 32,90, “Problem” tee € 35,50, “Logo” tee € 35,50) www.starter.com
PARTANEN RITUAL 3D
Tavola da skate 8.1“ x 31.9“ della serie “Ritual” di Creature, con grafica e occhialini 3D. € 54,90 www.creatureskateboard.com
PASSPORT VULC
Scarpe da skate prodotte in California da Vox, uno dei marchi più core della scena. € 65,90 www.voxfootwearinc.com
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JOEY CAPE Un tour, tre band, cinque musicisti: è con questa formazione da battaglia che Joey Cape fa ritorno in Italia e noi, ovviamente, non ci siamo fatti scappare l’occasione di farci raccontare dei suoi nuovi progetti, dei Lagwagon e del suo passato. Ma anche, cosa più importante di tutte, di un amico che non c’è più. Di Stefano Russo & Matteo Carriero Foto Claudine Strummer
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Joey divisi
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JOEY CAPE
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ome procede il tour? È una cosa un pochino differente dal solito… Joey Cape: Sta andando bene. Sai, è diverso questa volta: siamo tre band (Bad Loud, Armchair Martians e Scorpios, nda) ma in realtà siamo solo in cinque musicisti e ci vuole un po’ di tempo per sistemare il palco e fare un soundcheck decente. Inoltre, per questioni di spazio, stiamo girando senza un fonico e quindi c’è un bel carico di lavoro: dopo un soundcheck di un paio d’ore ci sono ben tre ore e mezza di live e io, suonando in tutte e tre le band, sono costantemente sul palco. Non fraintendermi, non sto dicendo che sono stanco o altro, solo che mi piacerebbe avere un po’ più di tempo per magari gironzolare e fare anche altre cose. Ma a parte tutto questo, è un bel tour, davvero divertente. Com’è nata l’idea dei Bad Loud? J.C.: Stavo portando avanti diversi progetti tutti assieme quando è nata l’idea dei Bad Loud. Molte delle canzoni che avevo scritto e stavo scrivendo avevano un sound molto più rock che non punk, ma non avendo una band con cui suonarle finivo sempre per registrarle in acustico. Quando è nato il progetto, usare del materiale che avevo già scritto è sembrata la cosa più semplice da fare. Questo però è quello che sto provando a non fare più: prendere tutte queste canzoni e registrarle con tutte queste band diverse credo generi
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troppa confusione, soprattutto per il pubblico, quindi sto cercando di smettere. Immagino che questa sia l’ultima volta che succede una cosa del genere. L’idea ora è di portare avanti i Bad Loud, ne sono molto orgoglioso e voglio continuare a dedicarmi a questo progetto, perciò proverò a utilizzare con loro tutto il materiale che scriverò e che non sarà adatto per i Lagwagon. Sarà molto più semplice, piuttosto che dividermi tra i miei dischi da solista, i Bad Astronaut e tutte le altre cose che ho fatto negli ultimi anni. Credo di essere arrivato a qualcosa come otto progetti, invece ora saranno solamente tre e ci sarà molta meno confusione. Vedremo. E per quanto riguarda Lagwagon e Me First And The Gimme Gimmes? J.C.: I Lagwagon e i Me First And The Gimme Gimmes sono ormai quasi una sorta di aziende sotto certi aspetti, sono progetti avviati da lungo tempo e continuano semplicemente ad andare avanti, senza il bisogno di essere pubblicizzati o
“L’idea ora è di portare a proverò a utilizzare con scriverò e che non sarà a
avanti i Bad Loud, perciò loro tutto il materiale che adatto per i Lagwagon”.
altro. Ci sono anche altre cose che voglio fare e che in un certo senso sono molto più personali e significano parecchio per me, perché sono quello che voglio fare in questo momento della mia vita. Sto cercando di unire tutte queste cose ma, in effetti, questo tour non rappresenta molto bene questa cosa! (ride, nda). Però è fantastico, Jon Snodgrass è uno dei miei migliori amici e suoniamo assieme negli Armchair Martians da ormai 20 anni, non siamo mai stati in Europa ed è bello che la gente abbia la possibilità di vederci dal vivo. Dovranno accontentarsi della formazione ridotta con me al basso, ma purtroppo non c’era abbastanza spazio nel furgone! Che mi dici invece degli Scorpios? J.C.: Io e Jon stiamo facendo dei tour acustici ormai da anni. Penso sia un ottimo modo di chiudere la serata perché possiamo suonare canzoni a richiesta e improvvisarne altre che magari non verrebbero suonate in altri contesti. Suoniamo infine anche dei brani di Tony Sly e penso sia una bella cosa, sono delle canzoni davvero stupende. Si sta parlando molto di un album tributo a Tony… J.C.: Sì, ne stanno discutendo proprio in questi giorni e penso che sarà davvero bello. In realtà non so quante informazioni siano già state rese pubbliche a riguardo. Fat Mike ha pubblicato la notizia sul sito della Fat Wreck… J.C.: Ha spiegato anche come sarà realizzato questo tributo? Ha solamente annunciato l’uscita e nominato
alcune degli artisti che vi prenderanno parte… J.C.: Ok. Sai, in quasi tutti i tribute album ci sono semplicemente altre band che risuonano i brani originali e non penso che la gente sia così interessata a sentire le stesse canzoni suonate da altri. Voglio dire, hanno già le canzoni dei No Use For A Name suonate dai No Use For A Name, come potrebbero essere meglio di così? Un normale tributo probabilmente sarebbe un po’ noioso e di sicuro non sarebbe una cosa così speciale. Questo lo è invece, perché Mike ha avuto questa idea di far suonare i brani dei No Use in acustico ad artisti solisti, come ad esempio Frank Turner, e le canzoni acustiche di Tony alle band, ma riarrangiate in elettrico. Sarà una cosa completamente differente, credo che sarà eccezionale. Non è così speciale sentire una band suonare una canzone di un’altra band, anche perché credo che la versione perfetta sarà sempre e solo quella originale, Ma se la reinterpreti in un modo totalmente diverso, allora crei qualcosa di totalmente nuovo e onori chi ha scritto quel brano in un modo veramente speciale. Cosa mi dici invece del prossimo disco dei Lagwagon? J.C.: Non abbiamo ancora registrato nulla al momento. Non voglio parlarne troppo, preferisco tenere l’acqua in bocca ancora per un po’ perché non voglio che la gente si aspetti che io stia a casa a scrivere il nuovo disco invece di essere in tour con tutti questi altri progetti e poi se ne esca tra un anno chiedendo “Hey! Dov’è il disco di cui parlavi un anno fa?!”. È sempre un processo piuttosto lento e non voglio dire troppe cose… troppo presto. Ovvio, tutti nella band vogliono fare un nuovo album, ma ci vuole del tempo e di certo non voglio farne uno brutto. Scrivo un sacco, ma alle volte escono delle canzoni adatte ai Lagwagon e altre volte no. Sei uno di quegli artisti che scrive canzoni anche quando è in tour? J.C.: No, non mi piace scrivere quando sono in tour. Sono sempre pieno d’impegni ed è difficile essere davvero creativi. Divento un po’ stupido, quindi per iniziare a scrivere sul serio ho sempre bisogno di andare a casa e fare un po’ di ordine nella mia testa. Mentre sono in giro capita magari che mi vengano in mente idee per delle melodie, ma non mi metto subito a scrivere dei testi. Lo facevo una volta, quando ero più giovane, ma è una situazione talmente particolare che risulta difficile trovare un qualsiasi tipo di privacy e quindi riuscire a restare da soli per potersi concentrare. Cosa pensa il Joey Cape di oggi del suo passato e del percorso che lo ha portato a diventare un musicista e un punkrocker? J.C.: Sono davvero orgoglioso delle cose che la mia band è riuscita a fare e, allo stesso tempo, mi sento molto fortunato: ero nel posto giusto al momento giusto. Nella mia città c’era una bella scena e amo il fatto di aver avuto la possibilità a quei tempi di dedicarmi alla musica, allo skateboard, al surf e a tutte le altre cose che adoravo e che adoro ancora oggi. Poi, ad un certo punto, mi sono ritrovato a guadagnare più dei miei genitori. Sì, sono proprio fortunato, non poteva essere meglio: ho fatto tutto quello che volevo fare e alla fine è diventato il mio lavoro. È fantastico. Guardo alla mia vita e… non voglio dire che sia una benedizione, perché non sono molto religioso, ma è qualcosa del genere. Mi
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JOEY CAPE piace quello che ho realizzato con la mia band, non credo che qualcuno di noi abbia mai fatto qualcosa di cui non andare orgogliosi. Siamo stati sempre molto attenti a tutto, ci siamo presi il nostro tempo arrivando anche a pause di cinque anni tra un disco e il successivo. Pensi sia diverso oggi? J.C.: Penso che sono otto anni che non faccio un disco con i Lagwagon e non so ancora quando riusciremo a pubblicare il prossimo! (ride, ndr) È diverso perché al momento per me è più difficile pensare a quel disco che non a una cosa totalmente nuova, come ai miei dischi solisti o ai Bad Loud. Questo perché non ci sono regole e quindi posso fare esattamente quello che mi sento di fare, posso seguire il mio cuore ed è una cosa importantissima. Quando hai una band come i Lagwagon, ti ritrovi a pensare se una canzone suoni o meno nel modo giusto. Forse
è difficile da spiegare a parole, ma in qualche modo non puoi allontanarti troppo dal sound originale senza che quello che stai creando suoni “sbagliato”. Cosa diresti ai teenager che potrebbero provare a seguire lo stesso percorso? J.C.: Non fatelo, è una pessima idea! Era meglio quando hai iniziato tu? J.C.: No, no, sto solo scherzando. Penso che ora sia più difficile, ma il lato positivo è che avviene una sorta di scrematura e rimangono solo le persone che lo fanno per i giusti motivi. Quando i tempi sono più duri ed è più difficoltoso ottenere successo, in realtà è una buona cosa perché chi lo fa segue il bisogno di farlo, non ha altra scelta e questo crea una specie di selezione naturale. www.joeycape.com
“I Lagwagon e i Me First And The Gimme Gimmes sono progetti avviati da lungo tempo e continuano semplicemente ad andare avanti, senza il bisogno di essere pubblicizzati o altro”.
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Gli australiani hanno l’hard rock nel sangue e il loro ultimo lavoro lo conferma. Simpaticissimi e molto disponibili, i fratelli O’Keeffe ci parlano di “Black dog barking” e della loro passione per la musica, che dura sin da quando erano ragazzini e venivano ripresi dalla madre perché rimanevano svegli la notte a fantasticare su tour e concerti... Di Silvia Richichi - Martin Philbey
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ome pensate sia evoluta la musica degli Airbourne in questi ultimi anni? Ryan O’Keeffe (batteria): Il nostro stile non è cambiato molto, suoniamo lo stesso genere di musica anche se penso che l’ultimo album sia leggermente più colorato e che ogni canzone abbia qualcosa di individuale e distintivo. Ogni brano ha un proprio spazio all’interno del disco e nonostante ce ne siano alcuni in perfetto stile Airbourne, come per esempio “Cradle to the grave”, allo stesso tempo penso sia stato introdotto qualcosa di diverso. Ci piace pensare che ogni canzone del disco abbia portato qualcosa di nuovo. E il vostro modo di comporre? R.O’K.: Abbiamo sicuramente acquisito maturità con l’esperienza e soprattutto ci siamo costruiti un vasto catalogo di idee. Al momento abbiamo tantissimi riff, sia registrati che in testa. A volte capita che abbiamo una linea per un ritornello e che nello stesso tempo mi tornano in mente riff che Joel aveva composto anni fa, così li riprendiamo, li proviamo e li adattiamo a quel ritornello su cui stiamo lavorando. Diciamo che, oltre a una maggiore maturità, ci sono più idee tra cui scegliere. Le idee non saranno mai troppe... Nel corso degli anni, pensate di essere anche migliorati tecnicamente con i vostri rispettivi strumenti? Joel O’Keeffe (voce, chitarra): Negli anni abbiamo imparato ad aggiustare la nostra macchina, la “Airbourne rock machine”, con miglioramenti interessanti ma nulla di troppo eccentrico. Pensiamo infatti che la nostra band sia come il motore di un’automobile che definiamo appunto “Airbourne rock machine” o “Airbourne rock engine”. La macchina fondamentalmente consuma la stessa quantità di combustibile e siamo noi a controllarla in modo da poterla fare andare più veloce, più forte, più a lungo, siamo noi che la aggiustiamo a nostro piacimento. Veniamo a “Black dog barking”, per quanto tempo avete lavorato al disco e come mai avete deciso di includere una nuova versione di “Ready to rock”? R.O’K.: Abbiamo lavorato al disco per circa un anno e mezzo ma abbiamo accumulato le idee nel corso degli anni durante i tour, nel retro del bus, quando scrivevamo nuovi riff e nuovo materiale. Basti pensare che “Ready to rock”, il brano che apre il disco, tecnicamente è stato pubblicato appunto 10 anni fa su un EP... J.O’K.: Sono passati 10 anni da quando “Ready to rock” venne registrata per l’EP. Questo brano ha sempre ricevuto buoni riscontri quando lo suonavamo dal vivo e pensiamo che in passato non abbia mai ricevuto la visibilità che avrebbe meritato. Mentre stavamo lavorando a quest’ultimo disco, ci siamo resi conto che c’era qualcosa che mancava, per caso mi è capitato di suonare il riff di “Ready to rock” e insieme a Ryan abbiamo iniziato a combinare vari riff e creato la nuova versione della canzone che, nonostante abbia lo stesso titolo, è diversa da quella precedente. Diciamo che abbiamo aggiunto un cilindro extra per fare andare ancora più veloce il motore della macchina, con il risultato che questo brano ora apre il disco. Pensando al nome del disco, chi è il cane nero che abbaia? R.O’K.: Nella storia, il cane nero è una sorta di simbolo, è un qualcosa che sta arrivando, è aggressivo ma nello stesso tempo sottolinea un messaggio... J.O’K.: Nell’industria musicale, quella del Rock’n’Roll, penso che noi stessi siamo il “cane nero” o per lo meno questo è quello che stiamo cercando di fare con la nostra musica. Ci sono talmente tante cose che stanno andando male nel mondo del rock’n’roll e pensiamo che sia il momento per il “cane nero” di fare il suo ingresso... Cosa intendete con “cose che stanno andando male nel mondo
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AIRBOURNE
Foto Martin Philbey
"Gli Airbourne sono un gruppo coinvolto nella lotta per il rock'n'roll e per la difesa di tutte le giovani band che desiderano suonare e che meritano un futuro"
del rock’n’roll”? R.O’K.: Molti locali stanno chiudendo, grattacieli e palazzi vengono costruiti alle spalle di locali storici, le persone si lamentano per i volumi e per il rumore della musica… Per questo sempre più locali stanno chiudendo. J.O’K.: Esattamente! In questo modo, band emergenti non hanno dove potersi esibire e non potranno avere un futuro perché non ci sono più posti in cui suonare. Noi stessi lo abbiamo provato sulla nostra pelle. La mitologia dietro all’immagine del “cane nero” vede questa creatura arrivare di notte e pesare terribilmente sul petto al punto che, quando ci si sveglia, ci si trova improvvisamente di fronte ad essa (mi mostra il cane raffigurato nella copertina del disco, nda). Gli Airbourne sono un gruppo coinvolto nella lotta per il rock'n'roll e per la difesa di tutte le giovani band che desiderano suonare e che meritano un futuro. Nessuno dovrebbe essere ostacolato se vuole fare musica e alcuni programmi televisivi famosi non dovrebbero avere il diritto di fare quel che fanno, ovvero sfruttare i sogni dei giovani solo per fare soldi. In questo momento il nostro “cane nero” dovrebbe arrivare... C’è qualcosa che vi è rimasto particolarmente impresso mentre eravate in studio a registrare? J.O’K.: La targa di “The razors edge” degli AC/DC appesa sulla parete, la vedevamo ogni volta che entravamo in studio, vicino a “Pump” degli Aerosmith. Vedere ogni giorno le targhe di questi due album che amiamo ci ha dato grande ispirazione per lavorare al nostro disco. Per “Black dog barking” volevamo avere un suono caratterizzato
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da grandi cori e ritmi di batteria da stadio, mantenendo comunque le nostre sonorità. Con Brian Howes come produttore non c’era modo di sbagliare, ama la musica che amiamo noi ed è stato come avere un quinto componente nella band. Ci sono stati casi in cui avevamo pareri discordanti che hanno però portato a risultati molto positivi. Brian è un rocker ed è davvero appasionato in quello che fa. Avete appena parlato di gruppi emergenti che non hanno la possibilità di farsi conoscere. Voi che avete avuto la fortuna di poterlo fare, come vi sentite? R.O’K.: Sicuramente è una cosa travolgente che non si deve mai dare per scontata. Ricordo che nostra mamma veniva sempre nella nostra camera alle tre del mattino a dirci di andare a dormire perché il giorno dopo dovevamo andare a scuola. Quello che io e Joel abbiamo fatto durante tutta l’età adolescenziale è stato passare le notti a parlare di quanto sarebbe stato bello avere un tour bus, registrare con un produttore... J.O’K.: Quando siamo arrivati in studio e abbiamo visto le targhe sulla parete ci siamo detti “oh wow”, ma subito dopo “ok, ora dobbiamo impegnarci per cercare di creare un prodotto che rispetti il livello di quei dischi che tanto ammiriamo”. Volevamo che il nostro album potesse essere appropriato nel caso fosse inserito nella stessa mensola accanto ai dischi degli AC/DC. Per questo motivo sia Brian che tutti noi abbiamo lavorato duramente e senza sosta, anche arrivando a sfinirci fisicamente, per completare al meglio questo disco. www.airbournerock.com
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EXTREMA
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Se gli Extrema sono da ormai tre decenni la heavy metal band italiana per antonomasia, “The seed of foolishness” è il perfetto manifesto di riaffermazione della loro essenza più pura. Diretto, quasi spietato, violento, complesso e tecnicamente impeccabile, l’album sarà presto ricordato come uno dei lavori più incazzati della band. A parlare con noi sono i co-fondatori, Tommy Massara e Gielle Perotti. Sharon Debussy & Daniel C. Marcoccia - Foto Emanuela Giurano
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EXTREMA “Il nostro è un sistema che possiamo paragonare a una macchina impazzita. Siamo ormai alla follia, il cui seme è il potere: una volta che l’hai acquisito non ne puoi più fare a meno”
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artiamo dalla copertina: un concept grafico che non lascia spazio all’immaginazione, diretto ed efficace almeno quanto il resto dell’album. Tommy Massara (chitarra): Abbiamo commissionato l’idea a tre artisti diversi. La proposta che ci ha folgorato è stata quella di Barbara Aversa, che già gestiva i nostri spazi web: l’immagine dell’uomo vestito in giacca e cravatta con la testa da caprone aveva centrato perfettamente il messaggio dell’album. Può piacere o meno, ma non può non colpire, ed è proprio quello che volevamo. Parliamo del concept dell’album… Gielle Perotti (voce): Sono anni che mi documento sulle società “occulte”. Il mio lavoro di ricerca, favorito dalla rete, mi ha portato ad approfondire le teorie sui cosiddetti massoni illuminati che dal secolo scorso definiscono alle nostre spalle gli standard sociali ed economici mondiali. Una sorta di complotto che ci ha portato alla crisi mondiale di oggi. Ogni pezzo dell’album è una valvola di sfogo in cui affronto temi diversi nel tentativo di trasferire il mio mood rispetto a questi argomenti… senza voler imporre il mio pensiero ma per denunciare ciò che dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti. Come ha influito questo concept sul processo di stesura dei testi? G.P.: Pensavo di avere più difficoltà ma non appena ho capito in che direzione saremmo andati ho avuto perfettamente chiaro cosa dovevo fare. Sul titolo, ad esempio, ho combattuto fin da principio: il nostro è un sistema che possiamo paragonare a una macchina impazzita. Siamo ormai alla follia, il cui seme è il potere: una volta che l’hai acquisito non ne puoi più fare a meno! Questo è il senso di ciò a cui siamo arrivati oggi. Musicalmente, invece, come si è sviluppato l’album? T.M.: È stata una gestazione piuttosto complessa, durata quasi quattro anni. Sono partito registrando dei riff ben strutturati, spesso con doppia chitarra, che sintetizzavano l’idea del pezzo; li mandavo agli altri e se piacevano a tutti si cominciava a lavorare per la costruzione del brano. Per la prima volta abbiamo preso uno studio fisso dove, non appena possibile, ci ritrovavamo per provare e sviluppare le composizioni. Per due anni e mezzo abbiamo smembrato, rielaborato e ri-registrato interi pezzi. A un certo punto, ero talmente stressato da tutto questo processo che pensavo di dovere azzerare tutto e ripartire dall’inizio. Ma non l’ho fatto e ora sono molto soddisfatto del risultato finale. G.P.: Se da una parte la lontananza tra noi 4 membri della band non ha velocizzato i lavori, devo dire che l’avvento dell’era digitale con i suoi nuovi tool di registrazione e condivisione dei file ci ha aiutato molto, consentendoci di lavorare in remoto, ognuno a casa propria, e di assemblare il tutto senza bisogno di incontrarci fisicamente, almeno nella prima fase di scrittura. Se doveste scegliere un pezzo per descrivere l’album? G.P.: Sicuramente “Pyre of fire” perché è il primo pezzo che abbiamo sviluppato fino in fondo ed è anche il singolo che anticipa l’album, ma il brano su cui punterei, anche per avere un riscontro commerciale, è invece “Bones”. T.M.: “Bones” è il primo pezzo che ho composto per l’album. Sveliamo però una cosa: il secondo singolo sarà “Again and again”! “The seed of foolishness” è un album in cui nulla è lasciato al caso; eppure il disco non appare mai iper-prodotto, diretto ed impeccabile senza diventare mai troppo celebrale… T.M.: È assolutamente così: è un album contemporaneo, con suoni moderni, ma prodotto con una scrittura “alla vecchia”. La composizione dei pezzi è molto complessa, ma la musica è tutta spontanea, suonata. Non è un disco asettico, al contrario è divertente e soprattutto non è un lavoro monoblocco. Come dice un nostro amico di Nuclear Blast Germania, “Lo stile degli Extrema è quello di non avere uno stile”, ogni canzone dell’album è un mondo a sé… Sono passati 4 anni da “Pound for pound”… T.M.: In realtà il disco è stato scritto in 2 anni e mezzo e registrato in 25 giorni spalmati su 4 mesi… In questi 4 anni abbiamo fatto un sacco di live e anche cambiato bassista. Gabri Giovanna, che ha sostituito Mattia (Bigi, nda) al basso, è stato determinante nella definizione del nuovo suono degli Extrema. Non voglio fare confronti ma con Gabri abbiamo finalmente trovato la quadratura del cerchio:
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EXTREMA un bassista vero, preciso, compatto, solido. G.P.: C’è stato subito feeling con Gabri, che inizialmente sostituiva Mattia nelle date live. Stavamo per organizzare delle audizioni per trovare il nuovo bassista ma poi ci siamo guardati e le abbiamo annullate. Era lui l’uomo per noi. T.M.: I cambi di line-up hanno sempre migliorato il sound della band e secondo me in questo momento siamo gli Extrema migliori di sempre. Anche Paolo (Crimi, nda) è oggettivamente un batterista eccezionale, il migliore che potesse capitarci. Ed è una delle persone più simpatiche e umili che io abbia mai conosciuto. G.P.: Paolo è il motore degli Extrema. Non va infine dimenticato Gabri Ravaglia, il nostro co-produttore: è essenziale per il suono della band e in questo album ha fatto davvero un ottimo lavoro. Se poteste tornare indietro, cosa cambiereste? T.M.: Con “Tension at the seams” avevamo firmato il contratto con la Contempo Records. Eravamo da poco tornati dagli U.S.A. dove avevamo fatto una serie di live quando all’improvviso ci arrivò una telefonata di Sylvia Rhone, che ai tempi aveva sotto contratto Skid Row, Pantera, AC/DC e voleva gli Extrema. Dovevamo però cedere il master del disco e la Contempo, come è intuibile, volle gestire la cosa… Fecero una proposta economica assurda alla Rhone e l’affare andò in fumo. Ancora oggi mi chiedo cosa ne sarebbe stato di noi se questo episodio si fosse chiuso in maniera diversa. G.P.: Avremmo dovuto rubare quel master! L’ultimo brano dell’album, “Moment of truth”, sembra vivere di vita propria… T.M.: Vero. I 9/10 dell’album raccontano di eventi pesanti, negativi, che emergono soprattutto a livello di testo. Oltre ad essere decisamente fuori dal tipico stile Extrema, vuole fare da contraltare al resto. Il pezzo, che nasce da un’idea di Gielle, mi ha subito ispirato armonie molto southern style e l’idea di un coro finale cantato da tutte le persone a cui vogliamo bene… G.P.: Questo brano nasce una mattina in cui ho cominciato a canticchiarlo a mia figlia… Nel pomeriggio ho registrato una semplice parte di chitarra e l’ho mandata agli altri. Con mia grande sorpresa è piaciuto ed è diventato l’anthem finale dell’album. È il pezzo di speranza alla fine del buio. www.extremateam.com
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“I cambi di line-up hanno
sempre
miglio rato il sound della band e secondo me in questo
momento siamo gli
Extrema migliori di sempre” HAI FAME DI MUSICA? ENTRA IN NEWSIC.IT Stanco di perder tempo alla ricerca delle NOVITÀ MUSICALI di tendenza? Il menu completo te lo offre NEWSIC.IT: è completamente nuovo e ti tiene aggiornato su tutti i fatti della musica in tempo reale. Siamo sempre aperti, 24 ORE SU 24 , 7 GIORNI SU 7.
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DROWNING POOL Caparbi come pochi, i Drowning Pool. Passati attraverso tragedie e incomprensioni che sono costate ben quattro cantanti diversi in cinque album, la band texana è ancora qui a suonare e vendere dischi. Forse allora è vero: quello che non uccide rende più forti… Di Luca Nobili - Foto David Jackson
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iete una band texana spesso orgogliosa di dichiararlo: quanto credi che questa terra abbia influenzato e influenzi la musica dei Drowning Pool? C.J. Pierce (chitarra): Sì, tutti noi viviamo a Dallas in Texas, anche se personalmente sono nato e cresciuto a New Orleans: è comunque talmente tanto tempo che vivo qui che mi considero perlomeno “mezzo-texano”. Certamente un’influenza sulla musica c’è, dove vivi e cresci non può che finire anche in quello che suoni. Io, per esempio, ho ereditato dalla mia città natale la passione per il jazz e il blues… e da mio padre, un vero metallaro degli anni ’70, quella per Led Zeppelin e Black Sabbath. Non direi però che l’influenza abbia a che fare con la geografia, quanto piuttosto con le persone che hai intorno mentre cresci e maturi. Come possiamo descrivere “Resilience” ai vostri fan che ancora non l’hanno sentito? Che direzione musicale ha preso il nuovo lavoro rispetto ai quattro precedenti? C.J.P.: Per prima cosa direi che questo album è il più aggressivo e metal che abbiamo mai registrato, abbiamo curato il suono in modo da renderlo il più potente possibile. Inoltre, a livello lirico credo che abbiamo fatto un grande passo avanti, “Resilience” è un disco molto intimo e onesto, in ogni canzone viene trattato un argomento che ci sta a cuore e sentiamo nostro. In particolare, parliamo anche di alcuni brutti episodi che ci sono accaduti in passato e ci hanno segnato la vita. Ci racconti com’è avvenuto l’ingresso del nuovo cantante Jasen Moreno nella band? C.J.P.: In passato siamo stati un po’ preoccupati e sotto pressione a ogni cambio di singer. Sai, hai sempre paura che il pubblico non accetti il nuovo entrato e non faccia che rimpiangere chi nella band non c’è più. Devo dire che per questo nuovo disco e quarto “singer-switch” non abbiamo invece subito alcun stress particolare: forse perché siamo estremamente soddisfatti e confidenti nella nuove canzoni, forse perché il nuovo arrivato si è integrato così facilmente nei Drowning Pool. O forse perché ormai abbiamo tanta esperienza alle spalle e ne abbiamo viste troppe per preoccuparci! Jasen è come noi, un veterano della scena rock di Dallas, lo conosciamo tutti quanti almeno dal 1996 e abbiamo anche suonato insieme alcune volte in tour passati. Senza dirci nulla ha mandato un suo demo tape nel periodo in cui stavamo facendo audizioni per trovare un nuovo cantante ed è risultato il migliore tra quelli (molti) che abbiamo ascoltato. In particolare ci ha colpito il rispetto che ha mostrato per il nostro passato, per le vecchie canzoni e chi in precedenza le aveva cantate: Jasen ha studiato moltissimo il vecchio materiale e, grazie anche alle sue ottime capacità vocali, riesce a interpretare tutto il nostro catalogo alla perfezione! Finalmente con lui ci sentiamo una vera band di nuovo, è un ragazzo in completa sintonia con quello che vivono e sono i Drowning Pool.
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Ha avuto il tempo di contribuire anche al processo compositivo oppure le canzoni erano già pronte quando Jasen si è unito alla band? C.J.P.: Assolutamente sì, Jasen ha dato un grandissimo contributo! La prima parte del processo compositivo ha avuto luogo senza di lui, questo sì, in quanto ancora non era materialmente entrato a far parte della band: eravamo solo io, Stevie (Benton, basso) e Mike (Luce, batteria) in sala prove a cercare di porre le basi per il sound del nuovo album. Era un periodo di frustrazione per noi, sia per l’ennesimo cambio di cantante che stavamo per affrontare, che per alcuni ulteriori problemi
legati al music business e alle nostre stesse vite private: proprio a causa del nostro stato d’animo di quel periodo le canzoni di “Resilience” suonano così heavy e aggressive. Dopo qualche mese, Jasen è entrato nella band ed è stato come mettere “il gelato sulla torta” (modo di dire americano corrispondente al nostro “ciliegina sulla torta”, nda): con la sua voce e le sue idee ha reso le canzoni che stavamo creando migliori, tanto che posso tranquillamente affermare che “Resilience” è frutto del lavoro di noi quattro, e non solo del trio storico dei Drowning Pool. www.drowningpool.com
Cambio definitivo RockNow 39
blind test - salmo È uno dei nomi più caldi del momento della scena musicale italiana. È un rapper, è vero, ma con un’attitudine hardcore, figlia delle sue esperienze passate. In occasione dell'uscita del suo nuovo disco, “Midnite”, abbiamo incontrato l'artista e, tra una birra e l'altra, lo abbiamo sottoposto al nostro “blind test”. Di Andrea Rock
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o t k c Ba roots e h t kin'
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nds a e frie “Tru , è ancor ino? : e c i g w d l a e l e r m c A h e i fai im re ch ase c a”, d Of It It All. 'è una fr “famigli ello che è un valo f Sick c) O qu ica ed ick o c etto di (9 se e in o. oiS s bran : Son i questo ”. Il conc musica della mu oinvolgon o m l a c a e u i r t Sa esto d e im m r a h l t p el he Nel t lways be esente n ne ancora rogetti c p Salmo will amente pr mily” vie , in tutti i eat f a ” f no e e “ t r d for dea di ti semp g! So dea 'i ing aturin v e i f S.: L mo avan l n he ou portia o fatt of t ro? ché qui h ight . . . N a “ r e, ve t ry spet dcor n loro pe a r A mo a ! h e o i N o M o t h c t ? c e e o s id h p i , n T ad bra o ris almo ack K in) parte re questo è un terz HC di S empre (1 m omeb e r C e i o NY iès anta alco ono !! rend S.: S Memory! glia di p celto di c i su un p hio grupp suono. M . g e s c o t e o g t c v t h o o e e s T a H v i perm ncor a que in (il faccio i me! Hai a a parte d ello che To Ed Ge , tornerò core te lo u p d i F r a Q r a : n . h i! o e S e e l' amic di far evo c sono che fac metterò mi al limit o r s ll e o e g d in qu quan di sp nda); ta l'idea ... iu casa c ” pia to da video? nel mio ula iu a ag l' ie e Dr un do Zomb Chie e rio ch esce bie “ ails? Domani itare Rob magina quello ch Zom N h c im : r c ) l' Rob ec) In e i r w p d e e e r p e o in N iù ch elt ec (50 s no? I (Machet !!! Ho sc ppunto) p da presa hi so ie a S.: C ea Folino ob Zomb ombie", macchina Z Andr h! Ma è R lo (“Rob dietro la S.: A do singo si mette ” n own seco a quando icista. me d s z u iz mi il m t ag u iama come 't dr le, ch è lui a Don i “ c o n es tio rsion tor brizio i è a Fa disto l Dis “ a : i i c c ial, m simo e m d i c d o So ec) , S ” ck dei re tantis ferisco a ess? edne (20 s rafia a e ike N brano “R iscog atti ascolt sh; lo pr M d È la : a l f a e C t S. t a N y u h t ! n li n o . to Esat Ness…” n possied r fan; me i amo Joh a storia. Mike vero. No era supe come lu ocker dell S.: È Ed Gein . Anche io ro punk r o dei T to dentro primo ve rimas È stato il e! . ” iacer Elvis .. atti p . f i. N.E.S t . o n O n e . .M pon e li han amo più e “R.A m li i com m nes sa! ia uno de Ramones esso non il tuo no a c a d r i Ramoec) d lb a e e o i O p t h s c d a iu g (40 s econdo a portato a .. Vedi, an to che qu i spellin nei ipico S.: S Abbiamo amones. ente tan so tipo d a di t s lm R s o : a i . e t lc t F s A. h, sono scoltati qua ni 90. 'è lo n È un S.: A ltà li ho a disco, c nes. no negli a o a o m e a a R v i In r ell'ultim a a od uon . Ma n .L.M.O”.. l'ho pres elli che s “S.A ì, ma non utto di qu t S.: S r, soprat rappe d loo “Goo
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blind test - salmo
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DEEZ NUTS Legati alle radici dell’hardcore, con influenze punk e hip hop, i Deez Nuts sono diventati in pochissimo tempo una realtà affermata nel panorama underground. Ne è la prova questo terzo disco, “Bout it”, pieno zeppo di ospiti importanti. Ne abbiamo parlato con JJ Peters, simpatico cantante e fondatore della band di australiana.
A good shot Di Michele Fenu
È
appena uscito il vostro nuovo album, un misto tra hardcore, punk e hip hop. Com’è stata la lavorazione del disco? JJ Peters (voce): Semplicemente favolosa. È stata la prima volta che abbiamo scritto e registrato un disco come una band, invece di fare tutto da solo: quindi direi che è stato fantastico. In più abbiamo lavorato con un nuovo produttore. È stato eccitante! In “Bout it” ritrovo le sonorità del vostro primo EP “Rep your hood”. Sbaglio? JJ.P.: Non direi… Penso che ogni album sia un passo in avanti rispetto al precedente, almeno per le mie orecchie. Specialmente perché “Rep your hood” è stato il mio primo lavoro in cui ho scritto, registrato e cantato questa musica e dopo sei anni mi sento molto più preparato. Comunque penso che ognuno possa avere la propria opinione…
Di solito la scena hardcore è legata alla filosofia straight edge. Vivere questa musica dall’altra parte della linea vi ha mai creato problemi? JJ.P.: Lo straight edge è parte dell’hardcore, ma non è fondamentale. L’hardcore è una forma di espressione, non conforme agli standard dettati dai media. Non è mai stato un problema per me. Ho un sacco di amici straight edge che rispettano la mia scelta e io rispetto la loro. Sono inoltre l’unico vegano nei Deez
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Nuts, ognuno è libero di credere in quel che vuole. Nell’ultimo anno avete suonato in Italia 5 volte in 5 diversi tour… Possiamo dire che la chiave del successo è non fermarsi mai? JJ.P.: Sì, è sicuramente una cosa importante. Lavoriamo molto duramente e per questo ci sentiamo a casa… quando siamo “on the road”! Nessuno ti regala niente, quindi siamo pronti a lavorare tanto per arrivare agli obiettivi che ci poniamo. Personalmente ho sempre seguito questa band, sin da quando si diceva che senza gli I Killed The Prom Queen non avresti fatto un passo. Fortunatamente hanno dovuto ricredersi… JJ.P.: (ride) Non ci ho mai dato troppo peso, ho dato vita a quella band e ho formato i Deez Nuts. Quando questi ultimi smetteranno, probabilmente formerò un'altra band e continuerò a lavorare. Sono troppo impegnato a fare quello che voglio e ad essere creativo per dare ascolto a queste stronzate! Al momento tra i tuoi ascolti c’è più hip hop e hardcore o spazi tra i generi? JJ.P.: Assolutamente sì, non mi piace fossilizzarmi. Non è che non ascolto hip hop o hardcore, ma al momento Ryan Adams è il più ascoltato sul mio iPod.
In “Bout it” ci sono un sacco di collaborazioni, come sono nate? JJ.P.: Tutti gli ospiti sul disco sono prima di tutto degli ottimi amici e questa è la cosa più importante. Siamo stati molto fortunati ad avere come amici le band che abbiamo sempre ascoltato durante la nostra crescita. Durante i vari tour abbiamo buttato giù le idee, quindi è stato poi del tutto naturale coinvolgerli. Con il 7” di “Bands of brothers” ho ricevuto un regalo: un bicchierino da shot, firmato Deez Nuts. È forse un invito al tuo esclusivo DTD (Drunk Till Death) club? JJ.P.: (ride) No, direi di no… DTD è una crew di amici che ho messo su grazie alla musica. Ma tu sei più che benvenuto per bere e supportare! Grazie mille per aver comprato il vinile e fai buon uso del bicchiere! Come ultima domanda, ti chiedo un consiglio, ovvero un drink da bere durante uno show dei Deez Nuts e uno per l’after-party… J.P.: Questa è semplice! Qualche shot di tequila durante lo show, per entrare nella giusta dimensione, e dei gin tonic con succo di pompelmo per un dopo show da spaccarsi il culo! www.deeznutshardcore.com
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GERSON
Lost
Freschi di stampa del loro nuovo album “Generazione in difficoltà”, i quattro milanesi sono di nuovo pronti a girare la penisola con i loro show ad alto tasso di rock’n’roll. Ne abbiamo parlato con il batterista Sergio. Di Stefano Russo
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generation C
ome procedono gli affari in casa Gerson? Sergio Maramotti (batteria): Siamo arrivati fin qui ancora vivi e non ci avremmo mai scommesso, quindi direi splendidamente. Anche questa volta le vostre canzoni, attraverso dei testi più che diretti, non la mandano certo a dire. Con chi ve la siete presi in particolare in "Generazione in difficoltà"? S.M.: Non sappiamo con chi prendercela, né abbiamo delle ricette da dare per cambiare le cose. Di fatto, non ci capiamo quasi un cazzo! Però sappiamo che le cose che vediamo e che viviamo non ci piacciono, e questo lo diciamo chiaro nei nostri pezzi. Rimanendo in tema di generazioni, gli adolescenti di oggi non comprano più i dischi, vanno poco ai concerti e per lo più riempiono le serate electro/dubstep… Semplice evoluzione dei gusti, ricambio generazionale e delle mode, oppure il livello
della cultura musicale si sta abbassando sempre di più? S.M.: Beh, in realtà non sono solo gli adolescenti a non comprare più i dischi, la verità è che nessuno li compra più se non pochi affezionati. Poi per quel che riguarda i concerti, noi sappiamo che le persone ai nostri live ci vengono, adolescenti e non. Magari la sera dopo vanno a una serata dubstep o a una dancehall reggae, ma va bene avere gusti vari. Dopo tutto il punk/rock è una musica profondamente liberatoria e il punkrocker vive anche di contaminazioni, quindi ci sta che ognuno trovi più strade per esprimere il suo malessere e soddisfare il suo sano bisogno di adrenalina. A proposito di difficoltà, sembra sempre di più che suonare punk/rock in Italia sia una lotta alla sopravvivenza: come vivete questo aspetto del fare musica in Italia? S.M.: A noi pare che sia sempre più difficile suonare live più che altro, indipendentemente dal genere. La crisi dei grandi locali è sotto gli occhi di tutti, complici tantissimi fattori, e da un
pezzo abbiamo smesso di contare i locali che hanno chiuso in questi ultimi anni. Poi non è una cosa nata ieri, va avanti da anni, e accanto a un locale che chiude spesso ce n'è un altro che apre, quindi diciamo che ci abbiamo fatto il callo a questa situazione. Palchi ce ne sono ancora tanti, e pure belli. Tornando al vostro ultimo lavoro, la vena rock'n'roll nei vostri brani è sempre più marcata: cosa influenza maggiormente il vostro suono in fase compositiva e cosa è cambiato dai primi dischi a oggi? S.M.: Il primo disco è di undici anni fa, in mezzo è cambiato il mondo e noi pure. Con gli anni guadagni esperienza e perdi immediatezza, ma come dici tu il rock'n'roll è il vero timone della nostra musica. Diciamo che con gli anni è uscita sempre di più la vera essenza dei Gerson, questo è un disco che ci riflette in maniera molto più completa rispetto ai precedenti lavori. www.gerson.it
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CANNIBAL CORPSE Sarà anche un po’ naif la loro fedeltà al death metal a tutti i costi in questi 25 anni di onorata carriera, ma i Cannibal Corpse sono una delle band più oneste e coerenti in circolazione. “Love it or leave it”, come dicono gli anglosassoni! Di Luca Nobili - Foto Alex Morgan
Death met I
l 16 marzo è stato pubblicato il vostro bellissimo “anniversary box set”. Racconti ai lettori di RockNow chi della band ha avuto questa idea e come avete messo insieme il materiale e il packaging? Alex Webster (basso): L’idea di pubblicare un box set è venuta al nostro manager, era un modo per celebrare degnamente i 25 anni di carriera dei Cannibal Corpse. Ci è sembrato giusto e naturale che fossero tutti i nostri dischi a essere gli assoluti protagonisti: oltre ai CD, nel box ci sono anche tutti gli artwork di Vince Locke in formato “extra”, tutti i testi e un calendario dove viene rappresentato per ogni mese uno dei nostri dodici album.
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In questi venticinque anni, la band non ha cambiato granché il suo brutale approccio musicale e le proprie liriche violente. È un pregio o un difetto, secondo te? A.W.: La consistenza che tu citi la vedo sicuramente una forza e non una debolezza! È anzi uno degli aspetti più apprezzati dai nostri fan. Io in prima persona mi considero tuttora un metal kid e so quanto significa ed è importante che una band rimanga fedele al suo stile originario senza vendersi. Il nostro è sempre stato e sempre sarà gore death metal puro e incontaminato, come testimoniano bene i nostri dodici album. E il nostro pubblico ci adora anche per questo!
Il vostro ultimo album in studio (“Torture”) ha raggiunto addirittura il numero 38 della classifica degli album più venduti negli U.S.A. nella prima settimana di pubblicazione. Ricordo che quando lo vidi sul sito di Billboard non potevo credere ai miei occhi… Come avete vissuto questa sorta di “evento”? A.W.: Certamente la cosa ci ha fatto molto piacere, ma siamo consapevoli che entrare nelle classifiche di vendita nel 2012 non è difficile come lo era dieci o venti anni fa. Le vendite di musica sono in declino per tutti i generi musicali, ma il metal, per fortuna, ha subito un decremento molto meno marcato e non è quindi più miracoloso vedere una
tal deluxe band come i Cannibal Corpse in posizioni di alta classifica. Per capirci, il nostro disco “Evisceration plague” del 2009 vendette 9.600 copie negli Stati Uniti nella prima settimana di lancio, raggiungendo la posizione numero 66 della Billboard Chart; “Torture” uscito nel 2012 ha venduto esattamente lo stesso numero di copie, ma è entrato in una posizione di classifica decisamente più alta. Non mi stupirà se tra qualche anno vendere 10.000 copie in una settimana basterà per entrare in top 10! Indubbiamente, la dedizione e la passione dei fan del metal è il motivo principale di questo fenomeno: loro sono più legati a una concezione “classica” della musica rispetto al pubblico amante di altri
generi, vogliono godere del packaging fisico degli album, vogliono poter leggere i testi e amano supportare anche economicamente le band che meritano. Credo invece che per i fan del pop, l’importante sia avere della musica di sottofondo da ascoltare distrattamente e a tale scopo anche canzoni scaricate illegalmente vanno benissimo, no? I Cannibal Corpse sono anche in qualche modo famosi per l’incredibile numero di copertine e canzoni censurate in varie parti del mondo. Come vivete questo tipo di problemi nella band? A.W.: Non è poi così male, anche se è indubbio che la censura che subiamo in
Germania ci crea non pochi problemi! Se un disco è bannato in quel paese, diventa difficile venderlo anche nel resto dell’Europa per ragioni organizzative: è questo il motivo per cui l’edizione europea del box sarà ridotta. Abbiamo dovuto escludere quegli album che sono stati censurati in Germania ed è un peccato perché in questo modo pagano le conseguenze della censura tedesca i fan di tutto il Vecchio Continente. È frustrante avere questo tipo di problemi, ma in un certo qual modo ci siamo abituati e cerchiamo sempre di gestirli nel migliore dei modi. www.cannibalcorpse.net
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THE FLATLINERS In occasione dell’ennesimo tour europeo di questi quattro talentuosissimi canadesi del team Fat Wreck, il cantante e chitarrista Chris Cresswell ci ha concesso una breve ma piacevolissima chiacchierata a proposito della sua band e del loro nuovo disco in arrivo per l’estate. Di Stefano Russo - Foto Claudine Strummer
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La sottile linea punk A
llora, come procedono i lavori per il nuovo album? Chris Cresswell (voce e chitarra): Alla grande! Il disco è quasi pronto, abbiamo ultimato le registrazioni e siamo più o meno in fase di mix e mastering, a seconda di quanto gli impegni del tour ce lo permettano. Comunque manca davvero poco, se tutto va bene uscirà in estate, ma non so ancora dirti una data precisa.
dubbio gli A Wilhelm Scream. Adoro quei ragazzi, siamo molto amici e in più sono dei musicisti pazzeschi! Suonano davvero in modo incredibile, i loro due chitarristi sono eccezionali! Anzi, a pensarci bene forse questo è per noi l’unico lato negativo del suonare con loro! Tra l’altro faremo un tour assieme quest’estate, ma purtroppo sarà solo negli Stati Uniti e in Canada quindi non torneremo così presto a trovarvi.
Siete quel genere di band che continua incessantemente a scrivere nuovo materiale anche durante i tour? C.C.: No, non molto in verità. Capita ovviamente che delle idee per riff o linee melodiche nascano mentre siamo in tour, ma non siamo il tipo di band che si mette a fare jam session durante i soundcheck o cose del genere. Quando sei in tour hai talmente tante cose a cui pensare e così tante distrazioni, che mi riesce davvero difficile concentrarmi sulla scrittura dei brani.
Con questo tour celebrate la prima decade di attività della band: dove e come immagini i Flatliners tra altri 10 anni? C.C.: Probabilmente a fare le stesse cose che facciamo ora. Non riesco davvero a immaginarmi altri scenari, questo è ciò che amiamo fare e che ci tiene uniti e sinceramente non ho intenzione di fare altro per ora. Siamo una band ma siamo prima di tutto degli amici e non c’è per noi modo migliore di questo di vivere le nostre vite.
In tutti questi anni, infatti, avete suonato molto in giro per il mondo dividendo il palco con decine di band: ce n’è una in particolare con cui vi piace suonare o andare in tour? C.C.: Se devo sceglierne una, ti dico senza
Quali sono i primi tre dischi che ti vengono in mente ripensando a come hai scoperto il punk/rock e hai deciso di diventare un musicista? C.C.: Di sicuro “And out come the wolves” dei Rancid! Quel nastro mi ha totalmente cambiato la vita! Un disco meraviglioso dal
primo all’ultimo pezzo, posseggo ancora la musicassetta che acquistai da ragazzino e incredibilmente funziona ancora nonostante l’abbia ascoltata un milione di volte. Poi fammi pensare… beh, il “Blue album” dei Weezer. Rivers Cuomo è un songwriter geniale. Quando sentii per la prima volta il sound di quel disco ne rimasi folgorato, quel modo unico di suonare gli accordi sulla chitarra creava questo sound pazzesco che mi mandava fuori di testa. Il terzo… ah certo, “Dookie” dei Green Day. Quel disco probabilmente ha contribuito a formare migliaia di band, mostrando a tutti quanto poco bastasse per prendere in mano uno strumento ed esprimere se stessi. Devo dire, però, che crescendo arrivi poi ad apprezzare anche un sacco di altre cose, andando a ritroso negli anni e finendo spesso per ripescare i vecchi dischi che tuo padre ti faceva ascoltare da bambino. Quando sei teenager e sei attratto da questo genere di musica cerchi più che altro aggressività, ribellione, qualcuno che dia voce ai tuoi disagi, ma più diventi adulto più impari a gustarti un sacco di altre sfaccettature e aspetti che ti permettono di apprezzare dischi che mai avresti pensato ti potessero piacere. www.theflatliners.com
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DISCO DEL MESE
AA.VV.
"Sound City - Real to reel" (RCA/Sony)
★★★★★
Dave Grohl custode della storia del rock? L’immagine di un Dave Grohl in armatura da cavaliere del disco rotondo (possibilmente in vinile…) è sicuramente divertente e neppure priva di senso. Basta dare un’occhiata veloce alle tappe del suo percorso artistico per farsene una ragione. Si parte dal punk/hardcore degli Scream (e prima ancora di Mission Impossible/Dain Damage) per fare una sosta breve quanto fondamentale per la scrittura di uno degli ultimi capitoli eclatanti della storia del rock - il grunge, i Nirvana - e arrivare infine ai giorni nostri e a quella macchina potente chiamata Foo Fighters. In mezzo, tanti episodi che lo vedono coinvolto in collaborazioni di tutto rispetto (Tenacious D, Queens Of The Stone Age, Tom Petty, tanto per citarne alcune…) e progetti inediti come i Probot (con la
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crema del metal) e Them Crooked Vultures assieme a Josh Homme (QOTSA) e John Paul Jones dei Led Zeppelin (dicevamo della storia del rock…). Una vita, quindi, dedicata a un’unica passione, alla sua salvaguardia e a portarne avanti la fiamma. L’ultimo capitolo in ordine di tempo è questo documentario su uno degli studi di registrazioni più mitici d’America. Le mura dei Sound City Studios, siti in Van Nuys, a Los Angeles, hanno visto sfilare dal 1969 fino alla sua chiusura nel 2011, una miriade di artisti: Fleetwood Mac, Tom Petty, Grateful Dead, Cheap Trick fino ai più recenti Slipknot, Kyuss, Nine Inch Nails, QOTSA, Arctic Monkeys e Mastodon. A Sound City, infine, è stato registrato anche “Nevermind” di chi sapete tutti voi. E a questo punto, è facile capire la motivazione del caro Dave nella realizzazione di
recen questo documentario che, in più di un’ora, racconta la storia di questa “fabbrica del suono” (a proposito, Dave ne ha acquistato la mitica console Neve 8028, usata anche per la colonna sonora) attraverso i racconti di tutte le persone che ci hanno lavorato, dai musicisti ai tecnici fino alle receptionist. Una pellicola assolutamente da vedere. E siccome Dave Grohl non fa mai le cose come chiunque, oltre al DVD è stata realizzata anche una specie di colonna sonora. Ma non si tratta di una facile compilation di canzoni tratte dai dischi di chi ha registrato lì, negli anni, ma di brani nuovi che vedono coinvolti proprio quegli artisti (dando così vita al supergruppo Sound City Players). Il risultato è un disco “multicolore” con delle formazioni che nemmeno il più assurdo dei sogni avrebbe potuto immaginare. Dave Grohl è giustamente presente in ogni traccia. I due leader dei Black Rebel Motorcycle Club lo raggiungono in “Heaven and all”, mentre in “Time slowing down” ci sono Chris Goss (Masters Of Reality) e i due Rage Against The Machine Brad Wilk e Tim Commerford. E poi Stevie Nicks,
Rick Springfield, Lee Ving, Rick Nielsen e molti altri, compresi i vari membri dei Foo Fighters che, anche quando sono in vacanza, hanno sempre gli strumenti a portata di mano. Segnaliamo comunque la già nota “Cut me some slack” con Paul McCartney, Krist Novoselic e Pat Smear, “Mantra” con Trent Reznor e Josh Homme e infine la splendida ballata “From can to can’t” con un Corey Taylor sempre fenomenale alla voce. Alla produzione, giustamente, c’è Butch Vig. Insomma, un vero must da guardare e ascoltare. Daniel C. Marcoccia
nsioni DEVOTION. "VideoStreet" (Bagana Records)
★★★
È dedicato ai fan e alle band della scena underground "VideoStreet", terzo album dei vicentini Devotion. Senza abbandonare le radici post rock e alternative, i nostri compiono l'ennesimo passo avanti confezionando un prodotto solido e competitivo. Chiaro e volutamente espresso l'amore per il credo professato da Deftones e Thursday, quasi un tributo, come dimostrano ""Wolf theory", "Delay" e le successive "Ghost" ed "Envy". Cupe melodie ("Candle of life") e introspettive distorsioni permeano l'album, in bilico tra
sofferenza, rabbia e redenzione, mentre costruzioni post hardcore e i mai abbandonati richiami alla scena degli anni 90 chiudono il cerchio. Nessuna tregua, nessun rimpianto, fino alla conclusiva "Traditional skin". Piero Ruffolo
DROWNING POOL "Resilience"
(Eleven Seven Music/EMI)
★★★
Come recitava un cantautore nostrano qualche anno fa: “ci vuole un fisico bestiale”. E di sicuro i Drowning Pool ce l’hanno, non è che sopravvivere a quattro cambi dietro il microfono (di cui il primo causato da una tragedia) sia una passeggiata: in
DEVICE “Device” (Warner)
★★★
David Draiman, io ti adoro. Ti adoro per la tua voce inimitabile, ti adoro nonostante quella orrenda cover di “Shout” che hai voluto fare con i Disturbed. Quando, ancora in lutto per la fine dei succitati, è uscita la notizia che saresti tornato con un nuovo progetto industrial, giuro, ho esultato. Quindi qualche settimana fa quando ho scartato il disco dei tuoi Device, puoi ben capire con che carico di aspettative l’ho fatto. E quando ho dovuto riascoltarlo da capo perché non ci volevo credere che avevi fatto una copia appena sufficiente di un disco dei Disturbed, la mia memoria è subito andata a mio padre. “Non ti aspettare mai troppo, così non rimarrai mai delusa”, mi diceva. E poi, pure tu, che ti presenti con un primo singolo intitolato “Vilify”… Come puoi pensare che le nostre semplici menti non pensino subito a quella bomba di canzone che è “Stupify”. I casi sono due: o ti viene fuori un’altra bomba di pezzo, oppure cambiagli titolo. I brani sono pure carini, il disco suona abbastanza bene, però… non aggiunge proprio nulla. Sharon Debussy
nu rock “Resilience” è la volta di Jasen Moreno che, devo dire, se la cava anche bene. Nonostante la stima che provo per la band, però, questo quinto album non mi convince al 100%. Canzoni coinvolgenti ce ne sono, segno che i Drowning Pool non hanno dimenticato come si scrivono pezzi di successo (“One finger and a fist”, “Saturday night”, “Low crawl”)… ma ahimè la svolta hard rock non riesce troppo bene e il confronto sullo stesso terreno con band quali Stone Sour o Shinedown non sorride al quartetto texano. Che ai tempi di “Sinner” e dell’ondata nu-metal sapeva coinvolgere decisamente di più. Luca Nobili
EARTHTONE9 "IV"
(DIY/PledgeMusic)
★★★★
Gli earthtone9 tornano dopo 13 anni con il loro quarto album. Chi ha avuto modo di conoscerli in passato sa bene come Middleton e compagni siano riusciti a emergere grazie a una formula personale in bilico tra hardcore, metal e nu rock (e al ben noto amore per i Tool). Detto questo, una precisazione: "IV" è tutto fuorché un banale tributo a ciò che è stato. "March of the Yeti" e "Preacher" indorano la pillola. Nei due brani ritroviamo tutto quanto abbiamo amato e intuiamo che qualcosa è cambiato. Col procedere, la melodia prende il sopravvento e strutture pronte ad abbracciare svariate correnti (stoner, post grunge, post hardcore), senza mai favorirne alcuna, si alternano in un incessante (e invidiabile) elogio a innovazione e sperimentazione. Michele Zonelli
FALLSTAR "Backdraft" (Facedown)
★★★
Forti di un nuovo contratto con Facedown Records, i Fallstar presentano "Backdraft": album che stravolge i recenti trascorsi della band e che premia gli evidenti sforzi compiuti. Alle radici hardcore si affiancano soluzioni proprie della moderna scuola metalcore, fatto che potrebbe far risentire i fan della prima era ma che, col procedere, da ragione agli autori, in grado di rinnovare la propria
proposta senza rinunciare alla cercata indipendenza. Veloci e violenti passaggi cedono spesso il passo a ricercate aperture melodiche per poi tornare, esaurite le sperimentazioni del momento, dove tutto ha avuto inizio. Coraggio e crescita artistica sono da elogiare e archiviare il tutto sulla base di banali preconcetti potrebbe rivelarsi poco sensato. Michele Zonelli
HEARTIST
"Nothing you didn't deserve" (Roadrunner/Warner)
★★★
Prima apparizione discografica per gli Heartist, che debuttano su Roadrunner con l'EP "Nothing you didn't deserve". I cinque californiani si sono fatti le ossa altrove prima di dare vita a questo progetto e l'esperienza acquisita gioca un ruolo essenziale. Il primo impatto è abbastanza scontato: metalcore di buona fattura con alcuni interessanti spunti. Granitici riff, groove incalzanti, accattivanti ritornelli e continui cambi di ritmo: tutto come da copione, insomma. Degna di nota, la buona prova del cantante Bryce Beckley, davvero abile nel pulito (non poche le similitudini con Spencer Sotelo dei Periphery) e a proprio agio anche nei momenti più duri. Senza aggiungere nulla di nuovo, i nostri convincono per dedizione e premesse. Amalia “Maya” Noto
DEISLER
“Try to look back” (This Is Core Music)
★★
Partiamo da una premessa: questi Deisler hanno potenzialità e buone capacità tecniche, tratti distintivi che danno un senso a questo “Try to look back”. Il genere proposto è un post-hardcore di ultima generazione, dove l’elettronica e il metalcore hanno il loro spazio e dove il cantato screamo è il protagonista assoluto. Sette brani diretti e pensati per lo scenario live, dove i breakdown fomenteranno il pit mentre i ritornelli easy listening coinvolgeranno i meno facinorosi. Detto questo, arriviamo alla domanda finale, molto in voga di questi tempi: perché abbassare la qualità di un prodotto molto interessante con una registrazione low-cost? Giorgio Basso
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ROCK/POP
BELLADONNA
“Shooting dice with God” (Autoproduzione/Goodfellas)
★★★
Hanno il loro charme i Belladonna, un fascino oscuro (noir, per riprendere una parola a loro cara) e intrigante che avvolge buona parte delle loro canzoni. La loro musica è un rock melodico, a tratti heavy (“In my demons’ name”, “I set my controls to overdrive”) e curato negli arrangiamenti come nella produzione che vanno a creare atmosfere dark (merito delle tastiere che si inseriscono a meraviglia tra le trame più ruvide delle chitarre). Ad emergere dalle composizione di “Shooting dice with God” è ancora una volta la bella voce di Luana Caraffa, capace di caratterizzare i brani più ritmati (“Ishtar blues”, “Primal
dream”), come le ballate (“If I was God”, “Wonderlust”). E poi due piccole gemme, poste a inizio disco: “Karma warrior” e “Abduction” che racchiudono perfettamente l’essenza dei Belladonna. Michele Zonelli
CASO
“La linea che sta al centro” (To Lose La Track/Audioglobe)
★★★
Terzo disco in studio per il cantautore bergamasco Caso (pseudonimo di Andrea Casali), artista che viene dalla scena punk e poi ha cominciato in solitudine questo progetto acustico che lo sta portando ormai da anni a toccare ogni città della nostra penisola. Con “La linea che sta al centro”, Caso sperimenta, per la prima volta e in qualche traccia, sonorità al di fuori
ROB ZOMBIE
“Venomous rat regeneration vendor” (Universal)
★★★★
Il non-morto è tornato tra noi, il re di tutto quello che è divertimento rock and roll nel millennio numero tre: dischi dal grande artwork, titoli che spaccano abbondantemente e a prescindere (“Teenage Nosferatu pussy”… Come non amare una canzone del genere, anche senza ascoltarla?), testi irriverenti e divertenti, riff e cori che possono rendere orgogliosi i maestri Kiss e smuovere un cadavere. Senza dimenticare un sound che è la definizione stessa di heavy rock moderno da più di una decade, da quando cioè “Astro creep: 2000” ha fatto la comparsa sul pianeta Terra. Poche storie, “Venomous rat regeneration vendor” sarà uno dei dischi più cool che abbiate ascoltato ultimamente, per lo meno se la contaminazione tra rock duro e musica elettronica non la aborrite. Questo è il miglior album solista di Rob dai tempi del debutto (“Hellbilly deluxe”), una manciata di canzoni realmente travolgenti e un suono che non ho problemi a definire tecnicamente perfetto. Ascoltate a tutto volume “Ging gang gong de do gong de laga raga”: pago da bere a chi resiste senza muoversi! Luca Nobili
recen della dimensione acustica e il risultato è eccellente. Il suono è più completo e curato ma non distoglie troppo l’attenzione dai testi che sono veramente ben scritti e introspettivi, dove esperienze personali diventano canzoni che ascoltandole ti fanno ripercorrere episodi di vita vissuta. Un disco molto sincero come purtroppo oggi se ne sentono pochi e capace di far riflettere chi ascolta… seppur lasciando un po’ l’amaro in bocca, ma a volte è proprio questo che si cerca. Andrea “Canthc” Cantelli
FALL OUT BOY “Save rock and roll” (Island/Universal)
★★★
Questo disco ha letteralmente spaccato in due la redazione – io ve lo dico – tanto che per un attimo si è pensato di fare una recensione doppia: una “pro” e una “contro”. Sì, siamo proprio a questi livelli, ma l'ultimo lavoro dei Fall Out Boy non è quello che si definirebbe ad un primo ascolto un “brutto disco”. È un album godibile, con un po' di riffoni martellanti che ti fanno muovere la testa a ritmo, su e giù… se non fosse che “Save rock and roll” è dannatamente pop/ punk e per certi versi ricorda le cose che i Good Charlotte facevano cinque anni fa o giù di lì. “Salvate il rock and roll dai Fall Out Boy” ha detto qualcuno. Ma secondo me sono stati ironici loro per primi. Arianna Ascione
KETTY PASSA & TOXIC TUNA “#cantakettypassa” (103 Edizioni Musicali)
★★★
Pop! È squisitamente pop questo lavoro della bella e brava Ketty Passa, sempre accompagnata dai suoi complici Toxic Tuna. I brani sono orecchiabili e prodotti in maniera ideale per accattivare un gran numero di ascoltatori. Ovviamente questo non è una critica, tutt’altro, ma solo la conferma che il disco potrebbe avere una grande e meritata esposizione con un minimo sforzo promozionale. Le canzoni, pop appunto, si arricchiscono di elementi ska, reggae e swing, lasciando poi trasparire un approccio nell’interpretazione degno della migliore tradizione delle cantanti italiane. Tra i momenti migliori segnaliamo
54 RockNow
“Criminale”, “Mi arrendo per te”, “Come devo vivere” e ancora la bellissima “Un attimo solo”, mentre nei guest troviamo Olly, Ferdi Masi, GG Man e Mattia Boschi. E brava Ketty. Daniel C. Marcoccia
MUDHONEY “Vanishing point” (Sub Pop)
★★★
Lasciando da parte il fatto che “Mudhoney” è uno dei dischi che più ha cambiato la mia vita di adolescente “pre-sconvolgimento-punk”, i Mudhoney dimostrano che anche nel 2013, per quanto se ne dica, il grunge ha ancora parecchio da dire. E con la parola “grunge” non intendiamo quello scatolone in cui l'industria discografica ha infilato un po' di tutto, ma quei gruppi dal sound più spiccatamente hardcore/noise. “Vanishing point” è una nuova conferma e restiamo in attesa di qualche passaggio live sui lidi nostrani. Con Mark Arm in cartellone si va sul sicuro. E i Nirvana, se Kurt Cobain non avesse azzeccato quel riff, oggi sarebbero in tour insieme, magari su quel famoso palchetto laggiù in Brianza. Arianna Ascione
PARAMORE
“Paramore” (Warner)
★★
Quale chiave di lettura dare a questo nuovo album dei Paramore? Certo, era facile prevedere qualche cambiamento dopo la partenza dei fratelli Farro, ma qui ci troviamo davanti a una band decisamente diversa. I suoni si sono fatti più pop (“Grow up”, “”Ain’t it fun”, “Still into you”), in alcuni casi “danzerecci” (“Now”, “Proof”) e meno inclini al rock un po’ emo e venato di punk degli esordi. Tra i brani più vicini ai nostri gusti ci sono sicuramente “Fast in my car”, “Part II”, “Anklebitters”, la bellissima ballata “Hate to see your heart break” e la lunga “Future” posta in chiusura. Hayley Williams emerge prepotentemente da queste nuove canzoni, confermando le sue doti di abile frontwoman capace di muoversi con agilità tra un genere e l’altro (come fa da anni Gwen Stefani, paragone tutt’altro che azzardato). Pregevole anche il lavoro del chitarrista Taylor York, malgrado il fatto che le sonorità del disco non siano le nostre preferite. Daniel C. Marcoccia
nsioni THE COMPUTERS “Love triangles hate squares” (One Little Indian/Self)
★★★★
Non è sicuramente facile farsi notare suonando del sano garage rock di chiara matrice punk. Eppure, in questo loro secondo album, gli inglesi The Computers dimostrano di avere raggiunto una maggiore consapevolezza dei propri mezzi osando così l’inserimento di elementi rockabilly (“Call on you”) e soul (“Single beds”) nelle loro canzoni. Il risultato è un disco diretto, immediato e particolarmente accattivante, merito anche di una produzione particolarmente azzeccata e affidata a Mark Neill (già con i Black Keys). Possono a volte ricordare gli Hives (“Point of interest”) o i Primal Scream più rock (la title-track), ma canzoni quali “Mr. Saturday Night”, “Call on you” o ancora “Sex texts” con il suo piano indiavolato, hanno un tiro pazzesco. E poi una band che apre il proprio album con un brano intitolato “Bring me the head of a hipster” non può che esserci simpatica. Stesso discorso per “Disco sucks”, il primo singolo. Ovviamente non sono solo i titoli a piacere. Silvia Richichi
SALMO “Midnite”
(Tanta Roba)
★★★★ Un rapper tra le pagine di RockNow?! Sarete probabilmente in molti a farvi questa domanda e qualcuno avrà già iniziato a storcere il naso. Sì, Salmo è su questa rivista e se siete arrivati fin qui senza aver letto il “blind-test” qualche pagina prima, allora forse è il caso di tornarci e trovare proprio lì la risposta migliore. Salmo è hardcore, per via del suo background (To Ed Gein), della sua attitudine e probabilmente del suo approccio alla composizione. E molti gruppi che si professano tali non arrivano nemmeno all’altezza delle sneaker del rapper sardo. Il mio invito è quindi di andare a scoprire le sue canzoni, vedere i video e magari comprare il suo disco.
Ottimo flow, grande personalità nei testi (ricchi di riferimenti alla musica amata da chi legge solitamente questo mag) e la capacità di scrivere della società e di raccontare il malessere come pochi altri attaverso brani crudi e sinceri quali “Russel Crowe”, “Yoko Ono”, “Rob Zombie” o ancora “Redneck”. Se Salmo è su RockNow non è quindi un caso. Daniel C. Marcoccia
THE FLAMING LIPS “The terror” (Bella Union)
★★
I Flaming Lips sono in giro ormai da parecchi anni e vantano anche da noi un discreto pubblico, anche se alla fine rimangono un gruppo di nicchia. Da sempre molto prolifici, il leader Wayne Coyne e
ROCK/POP compagni hanno messo a segno il sedicesimo disco della loro carriera proprio in occasione del trentennale. Fin dal primo brano “Look… the sun is rising” si è invasi da un'onda anomala di reminescenze floydiane, riesumate dal synth e da una chitarra rabbiosa. Questi due elementi, insieme alla batteria, contribuiscono ad accentuare una distanza implacabile dalla linea vocale, quasi a rimarcare un profondo senso di solitudine assoluta. Segnaliamo anche “Butterfly, how long it takes to die”, “Turning violent” e “Try to explain”. Arianna Ascione
The Maine
“Forever Halloween” (Rude Records)
★★★
L'evoluzione artistica per alcune band porta ad alcuni cambiamenti abbastanza scioccanti. Avevo conosciuto i Maine ai tempi di “Can't stop, won't stop” e risentirli ora con il loro nuovo album “Forever Halloween” mi ha lasciato un po' sorpreso. Se chiudo gli occhi e mi immagino la band suonare le stesse canzoni live a Glastonbury con il pubblico ricoperto di fango, vuol dire che il sound è “british”: i Maine, americani, sono effettivamente diventati britannici. Il loro buon vecchio pop rock si è tramutato in un gradevole indie rock dal sound decisamente europeo. Ho detto gradevole? Sì, confermo, però mi rimane qualcosa che non mi convince del tutto di questo album, che a tratti sembra un po' costruito per piacere ad un pubblico un po' più esigente: il mio brano preferito rimane infatti “Blood red”, forse perché più diretto e più “vecchia scuola”. Alex de Meo
THE STROKES “Comedown machine” (RCA/Sony)
★★
Cosa sta succedendo agli Strokes? Avrei voluto considerare il precedente “Angles” come l’incidente di percorso che può capitare anche ai migliori, ma questo nuovo lavoro non fa che sottolineare le perplessità di allora. Gruppo stanco? Che non ha il coraggio di staccare la spina? Chi può dirlo. E con questo non voglio far parte della cerchia di nostalgici che dicono che “erano meglio prima”. D’altronde mi erano piaciuti (anche parecchio) quando avevano preso una piega diversa con il terzo lavoro “First impressions on earth”. Qui, invece, sono irritanti quando vogliono
rievocare a tutti i costi il peggio degli anni 80 con brani come il primo singolo “One way trigger e “Happy ending”, mentre lasciano davvero nulla le varie “Welcome to Japan”, “50/50” e “Partners in crime”. Alla fine si salvano il secondo singolo “All the time”, “80’s comedown machine” e la discreta “Slow animals”. Davvero poca roba. Daniel C. Marcoccia
TRACER "El pistolero" (Mascot)
★★★
Successore di "Spaces in between", album che è valso il riconoscimento “Best New Band” dal mensile Classic Rock, "El pistolero" compie un importante passo avanti, confermando le ottime premesse e le molte speranze riposte nel progetto. Power trio australiano, i Tracer combinano alla più classica scuola rock elementi grunge e stoner, a favore di una formula personale e slegata dai più comuni e inflazionati trand. Se da un lato è inevitabile avanzare gli accostamenti di rito, Soundgarden ("Secret garden"), Stone Temple Pilots e QOTSA su tutti, dall'altro è altrettanto inevitabile riconoscere il talento degli interpreti. Un tuffo nel passato con un occhio sempre rivolto al presente per un disco sincero e privo di cadute, da ascoltare senza riserve. Michele Zonelli
VELVET
“La razionalità” (Cosecomuni)
★★★★
I Velvet sono un’ottima band e questo lo sappiamo da un bel po'. Hanno inoltre il grande pregio di migliorare con il tempo, come ben testimoniano queste 5 tracce accattivanti sia nei suoni sia nella scrittura, che evidenziano quella libertà compositiva raggiunta dal gruppo negli anni: i Velvet possono fare quello che vogliono, torturare le loro chitarre o flirtare con l’elettronica, passare dal rock più ritmato ad atmosfere più pacate. “La razionalità” è un brano formidabile, ballabile e con un basso che ricorda quello di Peter Hook dei New Order. “Cento corpi” (proposta anche in inglese, “I’ve dreamt about your love”) arricchisce la lunga lista di splendide ballate firmate dai Velvet, mentre “Evoluzione” è un riuscito electro-rock dal testo impegnato. I Velvet fanno infine loro, e con gusto, “Le case d’inverno” di Luca Carbone. Piacevoli conferme. Daniel C. Marcoccia
RockNow 55
METAL “Black dog barking”
EXTREMA
★★★
(Fuel Records/Self)
AIRBOURNE (Roadrunner/Warner)
A tre anni di distanza da “No guts. No glory” gli australiani Airbourne tornano con “Black dog barking”, prodotto da Brian Howes. Un disco che conferma lo stampo musicale che ha da sempre caratterizzato la band. Questo album è infatti un susseguirsi di brani hard rock’n’roll dal forte impatto ed energia, caratterizzati da voce acuta, riff graffianti e batteria martellante. Il contenuto di “Black dog barking” è in perfetta sintonia con l’immagine in copertina: brani veloci, potenti e aggressivi proprio come il cane nero raffigurato. Le canzoni sono da ascoltare tutto d’un fiato e rendono il disco perfetto per essere sparato a tutto volume durante una festa. Azzeccatissima la scelta di mettere “Ready to rock” in apertuta del disco, mentre spiccano brani come “Firepower” e “Cradle to the grave”. Silvia Richichi
“The seed of foolishness”
★★★★
recen
Inutile perdersi in chiacchiere o in sterili polemiche sul Web, gli Extrema sono e rimangono i migliori esponenti della musica metal di casa nostra. Hanno un suono loro, ben identificabile, ma sempre al passo coi tempi grazie a una produzione molto attenta e attuale a ogni loro uscita discografica. La band torna oggi con “The seed of foolishness”, sesto sigillo di una carriera che dura da più di 25 anni (per ora) e lavoro stracolmo di riff e assoli del “maestro” Tommy Massara e dai testi particolarmente ispirati interpretati dal carismatico Gielle Perotti. Con i due membri storici c’è una poderosa e precisa sezione ritmica composta dal batterista Paolo Crimi e dal bassista Gabri Giovanna, quest’ultimo al suo primo disco con il gruppo. Il risultato è un thrash metal moderno che trasuda energia come nelle cavalcate di “Between the lines”, “Pyre the fire” e “Deep infection”, ma capace di aprirsi anche alla melodia (la bellissima “Bones”, le cui atmosfere richiamano gli Alice In Chains). Perfetta nel racchiudere queste due caratteristiche è sicuramente “Sick and tired”, brano che ha l’effetto di una sberla/carezza/sberla e quell’efficacia che la candida a potenziale singolo. In chiusura, “Moment of truth”, inedita ballata dal sapore sounthern e coro finale di amici. Tutto perfetto. Daniel C. Marcoccia
ATLANTIS CHRONICLES
“Ten miles underwater” (Coroner Records)
★★★★
Piacevolissima sorpresa questo combo parigino che dal niente si presenta con uno riuscito concept-album che trae spunto dalla storia di William Beebe, esploratore marino che nel 1934 fu vittima di allucinazioni e strane visioni durante una perlustrazione a 934 metri di profondità a bordo di un mini-sommergibile. Le vicende sono narrate con entusiasmo e rese ancora più poderose da una colonna sonora di tutto rispetto a base di prog-death metal suonato con ferocia e tecnica cristallina. Prodotto da Joshua Vickman (Within The Ruins, Knights Of The Abyss...) e con un artwork anch'esso ispiratissimo ad opera di Par Olofsson (Job For A Cowboy, Exodus...), “Ten miles underwater” non farà fatica a farsi notare. Giorgio Basso
HEAVEN SHALL BURN "Veto"
(Century Media/EMI)
★★★★
Sicurezza, continuità e coerenza: sappiamo tutti cosa aspettarci da un disco degli Heaven Shall Burn eppure, ogni volta ci stupiamo di quanto questa formazione riesca a
56 RockNow
convincere senza abbandonare la formula che da ormai sette album promuove e professa. Deathcore, melodic death metal, o come vi pare, la sostanza poco cambia e gli ingredienti sono sempre gli stessi: riff brutali, ritmiche serrate, aperture dal vago sapore melodico e liriche incisive e mai fuori luogo. I passi avanti non mancano e, ancora una volta, i nostri riescono a migliorare quanto è già stato definito eccelso su più fronti. Ben presto una sensazione di famigliarità (non ripetitività) pervade l'intera opera e tutto appare chiaro, ennesima conferma di un conclamato successo. Michele Zonelli
ROOTS OF PAIN
“Countdown to armageddon” (Memorial Records)
★★
Disco d’esordio per i parmensi Roots Of Pain, combo dedito a un death/thrash molto 90’s e di scuola statunitense. Registrato, prodotto e mixato dal chitarrista Marco Benedetto, “Countdown to armageddon” mostra i classici pregi e i difetti tipici dei debut, dando in pasto all’ascoltatore brani aggressivi al punto giusto ma penalizzati da suoni non sempre ottimali che smorzano non poco soprattutto le chitarre. Incentrato sulla famosa profezia dei
Maya, il disco vanta alcuni episodi degni di nota come “Cyanotic aurora” e “Reverse chrysopoeia”, entrambe influenzate da band come The Sorrow e Killswitch Engage e dalla sezione ritmica particolarmente ispirata. Ma come detto in precedenza, nonostante la foga distruttrice dei protagonisti, qualcosa sembra mancare e quasi di sicuro è una maggior cura (esperienza?) in fase di produzione. Da rivedere. Giorgio Basso
SCREAMING EYES “For whom the sins are over” (This Is Core Music)
★★★
Modern metal made in Italy. I piemontesi Screaming Eyes sono tra i migliori autori odierni di questa nuova corrente sonora in Italia, bravi nell’unire potenza e melodia in un solo contesto. “For whom the sins are over” è un EP che ci mostra un combo in continua evoluzione, molto più abile che in passato nel dare una forma decisa ai propri brani e tendenzialmente in linea con ciò che va per la maggiore all’estero. La qualità medio-alta dei tre brani è un incipit che deve portare i nostri a continuare su questa strada, fatta di death metal melodico, breakdown e dualismo vocale. Attendiamo fiduciosi il disco! Giorgio Basso
THE DILLINGER ESCAPE PLAN "One of us is the killer" (Sumerian Records)
★★★★
Se esiste il “mathcore” (definizione orrenda ma di meglio non trovo) è soprattutto grazie ai The Dillinger Escape Plan. Pazzi furiosi o geni inarrivabili, casinari senza scopo o musicisti sublimi: di tutto si può leggere su questa band e forse tutti i punti di vista hanno una parte di ragione. Certo non lasciano mai indifferenti e, probabilmente, anche “One of us is the killer” dividerà e spiazzerà il pubblico del rock. Questo nuovo lavoro prosegue nell’umanizzazione del sound del quintetto e, pur non rinunciando alle spettacolari dissonanze e ai ritmi di chiara ispirazione free-jazz, le pazzie noise-intellettuali più sterili sono state sacrificate nel nome di una maggior presenza di melodia (la title track è quasi “commerciabile”!) e della forma canzone. Con buona pace dei puristi, questo disco rappresenta una grande evoluzione compositiva: assemblare con classe melodia e mathcore non è semplice e i TDEP ci sono riusciti al 110%. Luca Nobili
nsioni CONCRETE BLOCK
“Twilight of the Gods” (FOAD Records)
imbatterà. Insomma, disco consigliatissimo e che il massacro abbia inizio. Andrea “Canthc” Cantelli
FRANK TURNER
★★★
“Tape deck heart”
Dopo cinque anni di silenzio e svariati cambi di formazione, sono tornati a demolirci le casse i torinesi Concrete Block e lo fanno in grandissimo stile, mettendo insieme un mix letale di potenza e passione. Raramente in questi ultimi anni ho sentito miscelare con tanta sapienza hardcore e metal e il risultato è un disco crudo, violento e pesantissimo che spero vivamente non passi inosservato. Merita veramente tanto ed è al livello con le migliori produzioni estere in circolazione. Trentacinque minuti di tempesta, senza mezzi termini, con sette inediti e una cover dei Carnivore (“Armageddon”) che lasceranno il segno nei timpani di chi ci si
(Interscope/Universal)
★★★★
Nemmeno tutto il recente successo è riuscito minimamente a far vacillare l’attitudine di un cantautore sincero, passionale e dannatamente pieno di talento come Frank Turner: “Tape deck heart” è l’ennesima raccolta di piccoli capolavori di songwriting. Come lui stesso lo ha definito, questo suo quinto album è un “break-up record”, uno di quei dischi scritti nel turbine della confusione emozionale derivante dalla fine di una relazione amorosa. E, leggendo i (bellissimi) testi, viene quasi da ringraziare l’ignota donna che albergava nel suo
PUNK/HC cuore e nella sua testa per averlo ispirato. Devo ammettere, però, che per chi scrive il punto più alto del disco è rappresentato da “Four simple words”: un inno di amore per il punk rock e il vaffanculo più figo di sempre alla scena hipster e ai suoi inutili trend! Long live Frank Turner! Stefano Russo
NAILS
“Abandon all life”" (Southern Lord Records)
★★★
Capita a volte di trovarsi davanti a opere che incarnano meglio di qualsiasi discorso lo spirito del tempo, lo zeitgeist (come va molto di moda dire ultimamente) di una determinata epoca. Il secondo full length dei Nails, a mio avviso, sarebbe un ottimo candidato al ruolo di emblema del momento storico attuale. Nei diciassette minuti di “Abandon all life” è condensato
DEEZ NUTS
“Bout it”
(Century Media/Emi)
★★★★
tutto lo sdegno e la frustrazione generati da un'era in cui il mondo che conosciamo è sull'orlo del fallimento, sia dal punto di vista economico sia, soprattutto, dal punto di vista sociale. Le dieci canzoni che compongono il disco sono iconoclastia allo stato puro: un miscuglio di hardcore, grind e crust da far rizzare i peli. Andrea Ardovini
NIKOLA SARCEVIC “Freedom to roam” (Stalemate Music)
★★★
Nuovo album solista per Nikola Sarcevic, già mente e voce dei Millencolin, inattivi dal punto di vista discografico da circa un lustro. Nikola è stato uno dei precursori della nutrita truppa di cantanti punk/rock che si sono cimentati in un disco solista (Joey Cape, Chuck Ragan e il compianto Tony Sly, solo per citarne alcuni). La sensazione che mi lascia “Freedom to roam” è la stessa che mi trasmettono alcuni monumenti italiani, troppo spesso abbandonati a sé stessi. Si respira chiaramente la magnificenza, un passato glorioso e quel pizzico di malinconia di chi vede i propri giorni migliori svanire nella memoria. Un buon disco, che non si discosta molto dai suoi predecessori. Voto di stima. Andrea Ardovini
WAVVES
“Afraid of heights” (Mom+Pop Music)
★★★★
Se si ascolta hardcore, dischi come questo “Bout it” sono dei gran toccasana. Perché in fondo diciamocelo, di coretti melodici, breakdown e trovate super alla moda ci siamo stufati tutti. Un bel disco ignorante, veloce, che fa cantare e divertire, un disco che ascolti e ti mette voglia di concerti e circle-pit. L’essenza dell’hardcore in fondo. Il nuovo dei Deez Nuts non è un disco epocale, sia ben chiaro, è semplicemente ciò che ogni patito del genere cerca in una band, che poi possa piacere o meno è del tutto personale. Ciò che importa è che in JJ Peters si sia trovata quella figura capace di dare un’anima a testi e sound, alternando furia NYHC alla sua mai nascosta vena rap, meno presente in questo nuovo capitolo discografico. “Bout it” ci mostra una band affiatata, veloce, politicamente scorretta e tremendamente efficace, capace di partorire alcune tra le loro più efficaci canzoni mai scritte come “Band of brothers” (dove troviamo in veste di guest Sam Carter degli Architects), “Shot after shot” e “Go fuck yourself”. L’animo party dei nostri è sempre presente in ogni canzone, storie di vita quotidiana vissute e raccontate in maniera semplice e reale, senza atteggiamenti da star. Ottimo disco e grande band: niente più, niente meno. Eros Pasi
Arrivano direttamente da San Diego, California, le good vibrations degli Wavves, sapientemente racchiuse nel nuovo album “Afraid of heights”. A tre anni dalla comparsa dell'apprezzato “King of the beach”, il nuovo album è una ventata salmastra di indie, punk rock, lo-fi, surf rock e chi più ne ha più ne metta. Melodie orecchiabili, chitarre storte, atmosfere leggermente anni '90 rendono i quaranta minuti e spiccioli di ascolto un'esperienza piacevole. Il sound mi fa tornare alla mente i vecchi Weezer e anche qualcosa (non so perché) dei Descendents. Un lavoro di tutto rispetto, con cali d'intensità pressoché nulli, che può diventare una delle colonne sonore migliori dell'estate in arrivo. Andrea Ardovini
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THE LINE
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In collaborazione con Extreme Playlist
FIAT NINE KNIGHTS La stagione invernale è giunta alla fine ma a Livigno c’è ancora qualcosa che bolle in pentola. Benvenuti nel castello. Testo di Marco Sala
A
rrivato alla sua quinta edizione, il “castello” del FIAT Nine Knights è sempre più gigante e spettacolare. Un vero e proprio castello costruito solo per i migliori freeskier della scena mondiale e per pochi fortunati fotografi che hanno potuto immortalare l'evento. Per la sua realizzazione è stato necessario utilizzare quello che rimaneva della struttura della scorsa stagione che, grazie a dei teli termici, ha fornito il 50 % della neve necessaria. La crew di shaper è stata impegnata per ben tre settimane al fine di terminare i lavori e dar forma a una mastodontica costruzione realizzata con più di 100.000 metri cubi di neve. Durante la settimana soleggiata tutti i rider hanno utilizzato al meglio ogni centimetro del castello composto da numerosi salti, halfpipe e rail, il tutto fotografato e ripreso dai migliori filmmaker e da due elicotteri. Peccato che la sera prima del contest a Livigno sia sceso quasi un metro di neve che ha dato molto da fare alla crew di shaper preposta al monitoraggio della struttura. Il maltempo ha reso impossibile lo svolgersi della gara e l’evento è stato dirottato su una jib session perfettamente riuscita. Io sono arrivato al castello in tarda mattinata e c’era già molta gente ad aspettare l'inizio dello show; dopo un paio di passate con il gatto e un bel po’ di sale sulle rampe, i rider hanno iniziato a saltare impressionando il pubblico che applaudiva ad ogni trick. A dare un po’ di brio alla giornata uggiosa ci ha pensato lo stand Red Bull con un po’ di sano rock’n’roll che in questi eventi dà sempre la giusta carica. Prima delle premiazioni tutti gli spettatori, me compreso, sono stati invitati sotto il castello dove oltre a Red Bull c’erano altri stand, tra cui Smith, che regalavano gadget a tutti. Tra i rider presenti al Nine Knights sono da menzionare i local livignaschi Raffaele e Davide Cusini e l’alto atesino Christof Schenk, mentre Alessandro “ALO” Belluscio si è aggiudicato il Best Action, una delle categorie del photocontest. E come si fa a finire in bellezza un evento del genere? Ovviamente con un bel party, con della buona musica nello storico locale di Livigno, Cielo, da poco riaperto. Infine la Contour prima della gara vera e propria, sul web ha dato la possibilità a tutti i freeskier di qualificarsi per il contest semplicemente mandando una video part che verrà giudicata e darà la possibilità al vincitore di competere con i pro... Chissà mai che potremmo vedere uno di voi volare sul castello. Do you wanna be a Knights? Enjoy!
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THE LINE
Extreme Playlist
Ogni mercoledĂŹ, su rocknrollradio.it dalle 19 alle 21, Markino e Fumaz ci raccontano cosa succede nel mondo degli action sport attraverso le parole e i gusti musicali dei suoi protagonisti. Stay tuned!!!
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Foto David Malacrida
Foto David Malacrida
Foto David Malacrida
FLIGHT CASE
Un disco, un tour, un disco, un tour… Questa è più o meno la routine per molti degli artisti che avete incontrato nelle pagine precedenti. Ed è proprio ai concerti che è dedicata questa rubrica, con tuttavia una piccola differenza: questa volta vi portiamo dietro il palco alla scoperta di piccoli rituali e abitudini varie.
VINNIE PAUL
il erto c n o nc EAH i 6/2013 no Sesia Y L L E H 23/0 omagna e) ym iR ENA d ng act: Rh R A R i RN (open
Di Daniel C. Marcoccia Qual è stato finora il concerto più bello che avete fatto e perché? Vinnie Paul (batteria): Ho suonato al Monsters Of Rock in Russia nel 1992 con i Metallica e gli AC/DC. Nessuno sapeva chi fossero i Pantera ma il pubblico ci ha trattati come se eravamo i Led Zeppelin. Il concerto peggiore? V.P.: Il primo concerto a Donington con gli Hellyeah. Nessuno dei monitor funzionava ed è stato un incubo, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Il posto più bello in cui hai suonato? Perth, in Australia. Qual è il pubblico più strano che hai incontrato?
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(Hellyeah)
Beh, molti di loro sono sconosciuti ma hanno tutti una cosa in comune: amano la musica. Cosa non dimentichi mai di portare con te in tour? Del deodorante!!! Non partire mai di casa senza deodorante!!! Come passi il tuo tempo tra una data e l’altra? Sul tourbus! Si viaggia veramente tanto. Cosa non deve mai mancare nel vostro camerino? Avete richieste particolari? Solo una bottiglia di vodka. Avete delle regole da rispettare sul tour bus? Non fumare e rispetta gli altri, la band e la crew allo stesso modo.
C’è una cover che vi piace suonare durante il soundcheck? Solitamente non facciamo il soundcheck ma sarebbe sicuramente divertente farlo suonando “The number of the beast” degli Iron Maiden. Avete un rito particolare prima di salire sul palco? Mi riscaldo solo e mi faccio due shot di vodka. Ascolto dell’heavy metal old school, roba alla Judas Priest, per intenderci, Mi carica come si deve. Qual è la figuraccia peggiore che hai fatto dal vivo? Mai fatta una dal vivo. Ci vediamo presto in tour. www.hellyeahband.com
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