RockNow #12

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PLAY IT LOUD, READ IT NOW

Mensile - Anno 2 - Luglio/Agosto 2013

H2O Tarja Stone Sour Skid Row Soulfly

MINISTRI Passato prossimo

Dagoba – Smoke Or Fire – Emmure - Finley – 4th 'N Goal - The Wonder Years – Antillectual – Gardenjia - Luminal


Mensile - Anno 2 - Luglio/Agosto 2013

#12

PLAY IT LOUD, READ IT NOW

1993-2013 20 DISCHI PUNK ROCK ESSENZIALI

Ministri - Tarja - Stone Sour Skid Row - Soulfly Dagoba – Smoke Or Fire – Emmure - Finley – 4th 'N Goal - The Wonder Years – Antillectual – Gardenjia - Luminal




EDITO

Foto Claudine Strummer

ROCK YOUR SUMMER

Prima di iniziare a parlare del nuovo numero di RockNow voglio scusarmi a nome di tutto il team per il ritardo col quale siamo arrivati online. Sono vari i motivi, non ultimo quello che il magazine viene fatto da persone appassionate che vogliono una rivista di musica diversa, persone che hanno anche altri lavori per campare ma che dedicano comunque a RockNow molto del loro tempo. Parlare di musica è bello, farlo in un Paese come l’Italia un po’ meno. Per questo cerchiamo sempre di realizzare un ottimo prodotto e di regalarvi belle interviste con gli artisti che più ci piacciono. E in questo nuovo numero non mancano di certo, a cominciare dai Ministri, attualmente il miglior gruppo rock italiano (mi assumo la responsabilità di quest’affermazione). E poi gli H2O, autori di quell’inno (“Nothing to prove”) che è diventato da un anno a questa parte anche il nostro. Abbiamo incontrato nuovamente Corey Taylor, uno che ha sempre qualcosa di interessante da dire, e personalmente mi sono tolto la soddisfazione di intervistare finalmente gli

Skid Row. Il nostro Ste Russo si è poi dedicato a un dossier sui 20 dischi punk rock essenziali degli ultimi due decenni (la selezione è stata dura e non sono mancate le discussioni tra il sottoscritto e il nostro amico punk). Parlando di quest’ultimo genere, la Epitaph ha messo sotto contratto un artista italiano. Si chiama Shy Kidx e suona musica… electro. Una scelta che sta facendo discutere parecchio sui forum e negli ambientini punk ma che mi rende particolarmente felice. Soprattutto dopo aver ascoltato il loro remix di “Can you feel my heart” dei Bring Me The Horizon. Buona estate a tutti e ci rivediamo a settembre.

Keep on rockin’!!! Daniel C. Marcoccia @danc667

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ROCKNOW #12 - LUGLIO/AGOSTO 2013 - www.rocknow.it

06-21 PRIMO PIANO: Dagoba Smoke Or Fire Off The Air – Luminal All in the name of… Rock Dischi violenti: Finley 4th 'N Goal The Wonder Years Gardenjia Antillectual Hi-Tech Games Crazy… net Open Store

22-51 ARTICOLI:

22-25 Ministri

www.rocknow.it Registrazione al Tribunale di Milano n. 253 del 08/06/2012

Scrivi a: redazione@rocknow.it DIRETTORE Daniel C. Marcoccia dan@rocknow.it ART DIRECTOR Stefania Gabellini stefi@rocknow.it COORDINAMENTO REDAZIONALE ONLINE EDITOR Michele “Mike” Zonelli mike@rocknow.it

27-33 Punk rock 1993-2013

34-37 H20

COMITATO DI REDAZIONE Marco De Crescenzo Stefania Gabellini COMUNICAZIONE / PROMOZIONE Valentina Generali vale@rocknow.it

38-40 Tarja

50-51 Soulfly

42-44 Stone Sour

46-48 Skid Row

COLLABORATORI Arianna Ascione Giorgio Basso Andrea Cantelli Nico D’Aversa Sharon Debussy Alex De Meo Michele Fenu Luca Nobili Eros Pasi Andrea Rock Stefano Russo Piero Ruffolo Silvia Richichi Extreme Playlist FOTOGRAFI Andrea Cantelli Emanuela Giurano Foto copertina H2O Andrea Cantelli SPIRITUAL GUIDANCE Paul Gray Editore: Gabellini - Marcoccia Via Vanvitelli, 49 - 20129 Milano

52-57 RECENSIONI

52 Disco del mese: Letlive. 53 Nu rock 54 Pop/Rock 56 Metal/Punk 58-60 The Line 62 Flight case: Emmure

44RockNow RockNow

Tutti i diritti di riproduzione degli articoli pubblicati sono riservati. Manoscritti e foto, anche se non pubblicati, non saranno restituiti. Il loro invio implica il consenso alla pubblicazione da parte dell'autore. È vietata la riproduzione anche parziale di testi, documenti e fotografie. La responsabilità dei testi e delle immagini pubblicate è imputabile ai soli autori. L'editore dichiara di aver ottenuto l'autorizzazione alla pubblicazione dei dati riportati nella rivista.



PRIMO PIANO

dagoba Mortal concept

Dalla Francia continuano ad arrivare ottimi gruppi metal, segno che forse non è impossibile ritagliarsi uno spazio all’estero tra le abituali band anglosassonI. Dagoba sono sicuramente tra questi. Di Daniel C. Marcoccia foto Cradlienne

I

marsigliesi hanno da poco pubblicato il loro quinto album, intitolato “Post mortem nihil est” e prodotto da Logan Mader (Machine Head, Gojira). Un disco di metal moderno e dal suono potente. A parlare con noi è il frontman Shawter: “Avevo un’idea molto precisa del suono che doveva avere il nuovo album. Volevo un lavoro ricco di contrasti,

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che fosse oscuro ma allo stesso tempo luminoso e il suono di Logan è riuscito a fare emergere proprio questo aspetto”. Anche questo nuovo disco, come il precedente “Poseidon”, è un concept: “Sì, in questo caso il tema centrale è la fine dei tempi. Tutto ruota attorno alla morte vissuta da una decina di persone provenienti da luoghi e epoche diversi. Avevo attraversato un periodo molto oscuro della mia vita ed era arrivato il momento di metterlo in musica. Ho quindi

scritto ‘Post mortem nihil est’ in appena dieci giorni, in modo da poter concentrare un massimo di emozioni nelle canzoni e chiudere allo stesso tempo quel buco nero che dovevo attraversare”. Sono passati tre anni tra gli ultimi due dischi, un periodo di tempo che ha visto I Dagoba crescere in maniera evidente. “Siamo cambiati… in meglio, visto che abbiamo ora l’opportunità di presentare il nostro disco a più gente, che la nostra etichetta crede in noi e che

possiamo suonare di più e in posti sempre più lontani. È il tipo di vita che auguro a tutti. Nonostante i tanti sacrifici, siamo felici di suonare metal per sopperire ai nostri bisogni”. Nei prossimi mesi il gruppo francese sarà parecchio impegnato: Faremo qualche festival estivo e poi a settembre gireremo l’Europa. A novembre, invece, faremo un tour in America con I Dir En Grey. Speriamo poi di tornare a suonare anche in Italia”. www.dagobaonline.com



PRIMO PIANO

SMOKE OR FIRE a fior di pelle

Dopo due anni molto difficili, nei quali si erano praticamente sciolti, tornano in Europa con una nuova carica gli americani Smoke Or Fire. Abbiamo Incontrato in Belgio il cantante Joe McMahon. Testo e foto Andrea “Canthc” Cantelli

Dopo l’ultimo tour Europeo abbiamo avuto grossi problemi economici e quindi siamo stati praticamente obbligati a scioglierci per un po’ di tempo, tornare ai nostri lavori e raccogliere le idee. È stato un periodo molto duro, lo devo ammettere, ma ci ha dato anche il tempo per uscire dalla vita sistematica della band, tornare a comporre senza troppe pressioni

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e appena la situazione ce lo ha permesso ci siamo subito riuniti, pronti a tornare con una carica rinnovata”. Così esordisce Joe parlando del periodo di transizione appena trascorso, ma sul futuro imminente aggiunge: “In questo periodo ho scritto moltissimo e finalmente entro fine anno usciremo con un nuovo disco. Posso inoltre annunciare che continuerà la nostra collaborazione con la Fat Wreck Records che ci produce fin dai nostri esordi. Inoltre, debutterò con

un mio disco solista, dopo lo split che feci anni fa con Brendan Kelly (The Lawrence Arms) dove per lo più rifacevamo cover acustiche di pezzi delle nostre band, ora uscirò con un album di inediti”. Gli Smoke Or Fire sono una band che ha sempre avuto una particolare cura nei testi, spesso di denuncia. Su questo punto, Joe dice: “Non considero politico il nostro messaggio, più che altro è sociale, non voglio con le mie canzoni imporre il mio ideale a

qualcuno, ma piuttosto fargli porre delle domande. Credo che questo sia alla base del punk rock, il nostro non è un genere solamente musicale, è un modo alternativo per approcciarci alla vita. E se con una mia canzone posso aver aperto gli occhi anche a un solo ragazzo, posso ritenermi soddisfatto”. In conclusione posso dire che Joe sia riuscito nel suo intento in quanto grazie ai loro testi ho imparato molto. www.facebook.com/smokeorfireofficial


OFF THE AIR

Gli Off The Air sono un gruppo composto da quattro ragazzi trevigiani, uniti dalla passione sfrenata per la musica e da una forte amicizia. È da poco uscito il loro EP “Beyond the Butterfly Effect”. Di Giorgio Basso

Il pop/punk in Italia continua a mietere vittime, un genere che sembra non voler tramontare mai: “In realtà tutta la musica contemporanea ultimamente si sta muovendo verso sonorità più allegre e festose, anche dando una sbirciata verso altri generi. Probabilmente c’è un po' una voglia di semplicità e spensieratezza da parte degli ascoltatori. La scelta del sound che ci caratterizza è basata su quello che sentivamo dentro e che avevamo voglia di esprimere. E in quel momento, avevamo proprio la necessità di esprimere carica, allegria, e spensieratezza”. Con un debut EP fresco di stampa, gli Off The Air si presentano sul

mercato nazionale con la giusta grinta: “Anche se la parte adrenalinica prevale nettamente, sono stati veramente ampi i momenti riflessivi durante la composizione dell’EP. Probabilmente il ‘Butterfly Effect’ è stato il concetto più emozionante da esplorare con un brano e senz’altro è uno dei temi che più rappresentano le nostre esperienze e i nostri pensieri dei mesi scorsi. In realtà abbiamo dovuto contenere la parte riflessiva per mancanza di tempo, ma siamo sicuri che nel prossimo album troveremo un equilibrio tra adrenalina e profondità molto migliore”. Parlando della situazione musicale italiana si nota come oggigiorno le band siano sempre più predisposte a muoversi autonomamente a causa della mancanza di mezzi e spazi: “Noi suoniamo, componiamo canzoni e facciamo live perché abbiamo la passione della musica. Se dovessimo stare a galla solo per vendere dischi o guadagnarci con le date, penso ci potremo sciogliere come il 101% delle band italiane. Fortunatamente esiste ancora un panorama musicale che va avanti con la sola passione di chi ne fa parte... Firmare un contratto discografico, fare date importanti e vendere dischi dovrebbero essere un’extra per ogni band. Qualcosa in più. Non la base da cui partire”. www.facebook.com/offt

Il terzo album dei Luminal, “Amatoriale Italia”, significa rivoluzione: una line-up ridotta all’osso, un sound che si fa crudo ed essenziale, testi che arrivano dritti al bersaglio. Di Nico D’Aversa

LUMINAL

“Quando ti senti solo e stupido” ci racconta la bassista Alessandra Perna “fai cose che ti fanno sentire ancora più solo e ancora più stupido. Però le devi fare per forza. E allora le fai nella maniera più violenta possibile. Poi però scopri che ci sono persone che la pensavano come te e stavano lì sotto al vulcano ad aspettare che esplodesse. E allora quel fuoco diventa una pioggia fresca e quella solitudine un altro mondo”. Una band conosciuta e amata a Roma, che ora decide di attaccare il mondo musicale di cui fa parte, non così distante come appare da quello della televisione: “Non ci scagliamo contro la ‘scena indipendente’, ci scagliamo contro quelle persone che seguono delle regole come se si trattasse di un vangelo senza capire che fanno parte di un mondo che è nato dalla libertà e che alla libertà dovrebbe ispirarsi ogni giorno. Si va ai concerti solo per ‘esserci’, i musicisti e il pubblico sembrano usciti da giornali di moda, fare discorsi seri è diventato un tabù”. Altro tema dominante è internet e i mostri che ha generato: “Le frasi ‘Io avrei voluto vedere il mondo’ ed ‘Esci di casa Alessandra’ credo siano le più significative del disco. Internet fa parte delle nostre vite quotidiane, ma la vita vera è da un'altra parte”. Di recente i Luminal hanno partecipato al magnifico Primo Maggio di Taranto. Una città dove la gente è costretta a scegliere se morire di tumore o di disoccupazione. Ma è l’intero mondo del lavoro oggi che è fatto di piccoli e grandi ricatti e compromessi: “Quando ti convincono che ci sono solo due scelte, di solito ce ne è sempre una terza della quale non si parla mai. Per esempio fare la guerra”. “Amatoriale Italia” ha l’indole di un disco enorme, per cui scomodare paragoni con dischi epocali per il rock italiano come “Affinità/Divergenze” dei CCCP e “Catartica” dei Marlene Kuntz: “Cosa ci aspettiamo? Soldi”. www.luminalband.it

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PRIMO PIANO

E L I X E E T I P S DE

NOME: e ntini NZA: Udin IE N E V iacomo Sa O G R ), P e c o (v i ), ei Durisott ro (chitarra a rr e LINE-UP: J F a re ar Carloand ), Aleksand o (chitarra), s s a (b i z inoz Giovanni M atteria) (b rno tunno/inve u Veselinovic a , A B (T entience” DISCO: “S 2013/2014) All Deathcore il Of Maya, GENERE: e V l, e p a h E: Whitec INFLUENZ h Shall Peris .com espiteexile .d w w w : O SIT

Y E K N O M K I T THE ERO

NOME: egna a), NZA: Sard ce e chitarr o PROVENIE (v i c c u n ndrea Can pe Aledda LINE-UP: A ia (chitarra), Giusep ard eria) Corrado C ardia (batt C o rc a M 3) ), (basso buio" (201 l e d ri lo o c utti i e DISCO: "T e rock/nois v ti a rn e lt a ena GENERE: ones, Verd ft e D , a n a key E: Nirv eerotikmon INFLUENZ h /t m o .c e c . myspa SITO: www

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All in the name of

A cura di Andrea Rock

A

rock

volte, nel mondo del rock in Italia, la tomba ce la costruiamo da soli. Ripenso alla mia teoria del “costruire, non bruciare” e in questo periodo, ancor più di prima, la trovo una scuola di pensiero che debba essere condivisa da tutti, se non vogliamo soccombere. Recentemente è capitato di rovinare una bella amicizia e anni di rispetto artistico e lavorativo a causa di un post molto infelice su Facebook; ci sono rimasto male. Credo di fare tutto quello che è nelle mie possibilità, ogni singolo giorno, per dare alla musica che amiamo tutto ciò che posso offrire in termini di supporto, dedizione, diffusione... Ma molta gente questo non lo vede. È più facile incolpare l'altro, piuttosto che se stessi, se una cosa non va come speravamo. Io mi faccio molti esami di coscienza ogni volta che qualcuno mi muove una critica o giudica un mio lavoro; alcune volte, da un'analisi consapevole e costruttiva, ho imparato a migliorarmi. Non ho però mai cercato il consenso da parte di coloro che erano troppo diversi da me e soprattutto non me la sono presa se queste persone non si sono dimostrate disponibili nei miei confronti. Se mi seguite su FB, avrete capito a quale episodio mi riferisco... Non è mia abitudine però fare nomi di persone con le quali ho avuto dei diverbi; non tutti la pensano così. Costruiamo, gente, costruiamo! Se almeno tra di noi non cerchiamo di sostenerci a vicenda, siamo fottuti! Ci sono ancora molte barriere da abbattere in questa Italia, per poter portare la nostra realtà e la nostra musica a essere legittimate e rispettate dalle istituzioni. Ognuno di noi può essere utile a suo modo. Se però alle volte non ce la si fa, non scanniamoci a vicenda, non aizziamo i fan di una band contro quelli di un’altra. Perché mentre noi perdiamo tempo a farci la guerra delle noccioline dell'aperitivo, giovani rapper senza troppo talento riempiono i palazzetti e fanno featuring tra di loro, per dare una parvenza di unità alla scena... Vogliamo stare fermi a guardare?


PEDRO(Finley)

DISCHI VIOLENTI

Di Daniel C. Marcoccia - foto Marghe Gualino

Primo album comprato: "Post orgasmic chill" degli Skunk Anansie. Ho fatto fatica a staccarmi dalle musicassette e quello, stranamente, è stato il mio primo compact disc. ULTIMO DISCO COMPRATO: "Opposites", l'ultimo album dei Biffy Clyro. Ottima produzione, ma "Only revolutions" rimane tre spanne avanti. DISCO CHE HA CAMBIATO LA TUA VITA: "Punk in drublic". Velocità, melodie, rabbia e ironia. Roba che andrebbe insegnata a scuola al posto dell'ora di religione.

 DISCO SOPRAVVALUTATO: Bestemmio nel dire "Duh" dei Lagwagon!? DISCO SOTTOVALUTATO: "Defenceless" dei Friday Star. Uno dei pilastri della mia adolescenza.

DISCO “BOTTA DI VITA”: "The sufferer and the witness" dei Rise Against. La voce di Tim è una scarica dritta nel petto. In palestra, con loro nelle orecchie, riesco ad alzare pesi fuori dalla mia portata. DISCO “LASSATIVO”: Il disco di una "band" che inizia per M e finisce con À. Oltre all'effetto lassativo, è alto il rischio di un attacco di iperglicemia. DISCO PER UNA SERATA ROMANTICA: La colonna sonora di un film irlandese del 2007 chiamato "Once". I brano sono tutti firmati da quel mito di Glen Hansard. DISCO SUL QUALE AVRESTI VOLUTO SUONARE: "The colour and the shape" dei Foo Fighters. DISCO DA VIAGGIO: Eddie Vedder con il suo "Into the wild"

ha il potere di trasformare gli spelacchiati campi della provincia milanese in sterminate praterie del Nord America. DISCO PER UNA NOTTE DI BAGORDI:"And out come the wolves" dei Rancid. Con o senza cresta. DISCO DEL GIORNO DOPO: "Survival" di Bob Marley. Bisogna festeggiare il fatto di essere ancora nel mondo dei vivi. DISCO CHE TI VERGOGNI DI POSSEDERE: Nessuno. Nel mio stereo gira solo roba buona! CANZONE CHE VORRESTI AL TUO FUNERALE: Stavo pensando a qualcosa di trash… "Pedro" di Raffaella Carrà potrebbe essere perfetta. Un contrasto sublime che farebbe strappare un sorriso. www.finley.it

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PRIMO PIANO

4TH N’ GOAL Fuori dalla mischia

Reduci dal “Punk Rock Holiday” e da diverse apparizioni come opening act di illustri colleghi d’oltreoceano, i 4th n’ Goal sono pronti a conquistare la penisola, e non solo, con il loro nuovo EP “Dudes legacy”. Di Stefano Russo

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irettamente dalla Brianza, i 4th N’ Goal si stanno facendo largo a spallate nella nuova scena pop punk-easycore italiana (prendetela per buona come definizione, non si sa più come far capire alla gente da che parte state, ndr). Se seguite la suddetta scena, molto probabilmente vi sarete imbattuti nel loro nome diverse volte negli ultimi 12 mesi: “Sicuramente quest'ultimo anno è stato molto intenso per noi. Ci sono stati cambi di line-up, con

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l'ingresso di un nuovo chitarrista (che ha portato la band a quota 6 elementi) e il cambio del batterista. Lo scorso maggio è uscito ‘Dudes legacy’, il nostro secondo EP, e da aprile sino a oggi abbiamo suonato in lungo e in largo, in Italia e talvolta Europa, supportando anche grandi band come Bouncing Souls, Less Than Jake, H2O e tanti altri. Per il futuro abbiamo già pronto un nuovo tour invernale, oltre a due show di spalla a New Found Glory e The Story So Far”. Una band con una filosofia ben precisa, che trova la sua definizione proprio nel titolo

del loro secondo lavoro: “Un ‘dude’ è un amico prima di tutto, uno che adesso ti manda a fare in culo e dopo 5 minuti si sta facendo in 4 per te. Noi siamo prima di tutto un gruppo di amici: non ci si vede solo per le prove o per gli show, ma ci si trova anche per bere qualcosa, chiacchierare, giocare ai videogiochi e via dicendo… la vita è troppo piena di sbattimenti per prenderla eccessivamente sul serio, quindi cerchiamo di vivere quest'esperienza col sorriso, impegnandoci al massimo e nel più cazzone dei modi”. Definizioni a parte, comunque, le radici

musicali del combo brianzolo sono ben chiare: “Siamo figli degli anni ‘90, fondamentalmente cresciuti con NOFX e Bad Religion, ma anche con Madball, Gorilla Biscuits, Bad Brains e Minor Threat, quindi quello che suoniamo, ed ancora prima quello che siamo, è un mix di tutte queste realtà. Talvolta in Italia si pensa che la band hardcore non ascolti nessun altro genere. Al contrario, per assurdo, noi saremmo invece a nostro agio sia a uno show dei Blink 182 che a uno dei Terror”. www.dudeslegacy.com



PRIMO PIANO

THE WONDER YEARS Generazione pop/punk

Il pop/punk non è affatto morto e per fortuna ci sono band che continuano a credere in questo genere musicale. Tra questi sicuramente gli americani Wonder Years. Di Alex De Meo

S

ono poche le band che nella nuova generazione del pop punk riescono a far sentire il proprio nome più forte degli altri. I Wonder Years, dalla Pennsylvania, ci sono riusciti grazie alla costanza e alla determinazione nel voler portare avanti un “movimento” che negli ultimi anni sta subendo una certa flessione dal punto di vista del

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seguito. Il loro quarto disco si intitola “The greatest generation” ed è normale chiedersi se la band voglia sostenere di far parte di un'ottima generazione di musicisti o semplicemente di individui: “Ogni generazione dovrebbe impegnarsi per essere la migliore” sono le parole di Dan Campbell, voce del gruppo, che confermano la ferma volontà di voler fare qualcosa di grande con questa band. L'impegno di

un gruppo deve chiaramente andare oltre al semplice suonare e saltare sul palco e i Wonder Years lo sanno benissimo che contare su manager, case discografiche e uffici stampa non basta, soprattutto se si vuole avere una carriera duratura: “La maggior parte delle idee sulla promozione viene da noi e siamo parecchio coinvolti nella loro realizzazione. Essere in un gruppo non si limita al salire

sul palco. È un'attività che ti tiene occupato 24 ore su 24 e per 7 giorni a settimana”. Prima dell'uscita dell'album il gruppo, giusto per far vedere che “star fermi non ci piace”, ha fatto quattro show nell'arco di 24 ore: la loro etichetta è la Hopeless Records, ma qualche speranza di continuare sull'ottima strada percorsa finora i Wonder Years ce l'hanno di sicuro. www.thewonderyearsband.com


GARDENJIA

La violenzatradelle emozioni Sicuramente le uscite italiane più interessanti di questo 2013,

“Epo” è un album talmente ricco di sfumature che lascia quasi storditi all'ascolto.

Di Giorgio Basso

P

ossiamo infatti dire di trovarci di fronte a una band dal potenziale notevole dove prog, djent, rock e metal nella sua forma classica trovano sfogo in maniera stupefacente. A parlare con noi c’è il leader del gruppo, Raffaele Galasso: “Comporre fa parte delle nostre vite. Tutti noi siamo autodidatti, io non ho mai preso una lezione in vita mia. Per questo, conserviamo un approccio selvaggio con gli strumenti al di là dei tecnicismi. Siamo tutti ovviamente amanti dei nostri strumenti fino all'ossessione ed è questo che ci ha portati a sviluppare

una certa tecnica. Le ore spese per lo studio e l'esercizio non si contano. Oltre a questo, però, uno degli elementi che ci ha sempre tenuto insieme è l'improvvisazione e la sperimentazione. Tendiamo a incanalare nelle nostre composizioni tutto quello che ci circonda e che in un modo o nell'altro fa parte di noi. I nostri brani nascono in tutti i modi possibili, da un riff, da una melodia vocale, dalla visione di un film, da un paesaggio, un sogno. Uno dei nostri obiettivi è sempre stato l'inserimento di un tessuto melodico, epico, in contesto di violenza sonora, senza rinunciare allo sperimentalismo, alla contaminazione sonora. È un problema di contrasto. L'unione di

melodia, emozioni e follia sonora distruttiva ci ha sempre interessato, è un po' un paradigma della vita reale no?”. Una storia felice, ma che deve far fronte a una posizione geografica tutt'altro che favorevole essendo loro pugliesi: “Non è affatto facile. La situazione non è un granché, mancano gli spazi e la cooperazione tra band. Ci sono tanti gruppi che suonano con passione, ma siamo nel profondo sud ed è inutile cercare di descrivere qualcosa che non esiste. Le band qui hanno poco futuro davanti, rarissimi spazi dove poter esibirsi e poco pubblico. Abbiamo fatto molti concerti negli anni passati, in bei posti ma anche in situazioni

assurde e surreali. Purtroppo suonare qui per ora non paga. Dobbiamo anche constatare che la maggior parte dei nostri fan non sono neanche italiani ed è una nota dolente”. Una band in costante evoluzione che non si ferma di certo dinanzi a un nuovo album: “Uno dei problemi che avevamo e che ci ha ostacolato nell'organizzazione dei live era la mancanza di un bassista. Da poco tempo ne abbiamo trovato uno all'altezza e stiamo iniziando la preparazione in vista di live futuri. Per quanto riguarda la composizione, invece, non ci fermiamo mai, abbiamo quasi un album intero completamente scritto”. www.facebook.com/GARDENJIA

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PRIMO PIANO

ANTILLECTUAL Band on the run

L’instancabile trio olandese si autodefinisce “la punk rock band più iperattiva d’Europa”. Li incontriamo in Slovenia al Punk Rock Holiday per parlarci un po’ del loro imminente futuro. Di Andrea “Canthc” Cantelli foto Claudine Strummer

I

ncontriamo la band dopo l’ultima data del loro tour di supporto ai Propagandhi, è quindi il momento di tirare un po’ le somme su ciò che hanno appena vissuto: “Fare un tour di supporto ai Propagandhi è stata per noi una grandissima opportunità ma anche una responsabilità, infatti abbiamo condiviso il palco con una delle maggiori e tecnicamente migliori band della scena punk rock, inoltre

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ha reso possibile portare il nostro sound e il nostro messaggio a un pubblico di proporzioni maggiori rispetto a quello che abbiamo usualmente”. Recentemente sono stati anche nel nostro Paese per un concerto in Sicilia, hanno anche suonato diverse volte al Sud, una destinazione di solito rara per le band in tour in Italia. “Non siamo nuovi alle destinazioni inusuali, ci piace suonare in ogni situazione, paese e contesto, dai grandi festival ai club minuscoli, siamo stati praticamente ovunque nel mondo e

quel che ci interessa ora è vedere la parte che ancora ci manca. Per quanto riguarda l’esperienza a Palermo abbiamo passato dei momenti bellissimi”. Altra peculiarità della band è che per le loro uscite discografiche si appoggiano a etichette diverse per ogni nazione “Questo modo ci permette di farci distribuire e seguire da persone competenti sul territorio, che sanno dove mandare i dischi e poi dove farci suonare per promuoverli. Allo stesso tempo questa soluzione ci permette di avere il pieno controllo

sulla nostra produzione senza pressioni dall’alto e quindi essere responsabili al 100% del nostro prodotto. Nel vostro Paese ci appoggiamo a No Reason Records”. Parlando di uscite discografiche, a breve uscirà il nuovo disco: “Sì, infatti 'Perspective & objectives' uscirà il 23 di Agosto e tanto per cambiare partiremo subito in tour per la promozione. Come vedi non ci prendiamo un attimo di pausa, non siamo mica per niente la band più iperattiva d’Europa”. www.antillectual.com


13.11.13 MEDIOLANUM FORUM ASSAGO MILANO WWW.ARCTICMONKEYS.COM

18.11.2013 BOLOGNA - Teatro Duse 19.11.2013 VENEZIA MESTRE - Teatro Corso

6 DICEMBRE 2013 LIVE CLUB - TREZZO (MI)

7 DICEMBRE 2013

ESTRAGON - BOLOGNA WWW.BIFFYCLYRO.COM

Disponibile dal 17 settembre

Già disponibile


HI-TECH JVC GC-XA2

Seconda generazione per l'action cam di JVC, che amplia notevolmente quanto offerto con la precedente Adixxion. Tra le ultime caratteristiche: miglior stabilizzazione dell'immagine, luminosità e ampiezza della lente, qualità video 1080p (a 60fps) o 720p (a 120fps), possibilità di slow motion fino a 4x e schermo LCD 1,5''. www.jvcitalia.it

SONY WALKMAN NWZ-E580

La famiglia Sony Walkman si arricchisce di nuovi modelli, tra cui spicca l'NWZ-580. Mantenendo inalterate le caratteristiche proprie della serie, questo lettore introduce l'atteso supporto al formato FLAC, un sistema proprietario di cancellazione attiva del rumore, auricolari in-ear e uno schermo più ampio per la navigazione. www.sony.it

AINOL NOVO 10 ETERNAL

Pensato per i neofiti del mondo tablet, il Novo 10 Eternal di Ainol si assesta tra i prodotti di fascia bassa, con un prezzo entry level e una dotazione tecnica minima ma, ad ogni modo, non trascurabile. Display IPS da 10.1″, processore quad-core ATM, 2 GB di RAM, 16 GB di storage, Wi-Fi e Bluetooth (3G con dongle esterno). www.ainol-novo.com

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HERCULES DJ MONITOR 5

Per DJ e compositori ma ottimi anche in ambienti domestic, i nuovi monitor attivi Hercules DJ Monitor 5 si adattano al meglio alle diverse esigenze grazie al controllo separato delle frequenze e a volumi indipendenti. Corpo in legno, twetter da 1 pollice, woofer da 5 pollici, design bi-amplificato di Classe A/B, 80W RMS. www.hercules.com

TURTLE BEACH FORCE XO SEVEN E XO FOUR

Turtle Beach presenta due nuove cuffie dedicate alla nuova console di casa Microsoft (Xbox One). Audio surround, collegamento diretto al pad, microfono rimovibile e isolamento dai rumori per la Force XO Seven. Meno performante ma con le stesse caratteristiche la sorella XO Four, adatta, inoltre, per dispositivi mobile. www.turtlebeach.com


A cura di Michele Zonelli

games

SAINTS ROW IV

Piattaforma: X360/PS3/PC Produttore: Volition Inc./Deep Silver Genere: Azione Liberatasi della scomoda etichetta "clone di GTA" grazie a un terzo capitolo in grado di mettere finalmente le cose in chiaro, la serie Saints Row compie l'ennesima virata, portando all'esagerazione ogni aspetto precedentemente introdotto. Superata la parte introduttiva, "Saints Row IV" entra immediatamente nel vivo, ponendovi nei panni del Presidente degli Stati Uniti e scatenando un fulmineo, devastante e inatteso attacco alieno. Graficamente, lo stile si mantiene inalterato ma la cura ai dettagli e la pulizia a schermo aumentano notevolmente. Grande importanza assume il taglio cinematografico dell'opera, con richiami e citazioni che vi accompagneranno nel corso dell'intera avventura. Obiettivo: sfuggire da una realtà alterata e riprendere possesso del vostro Paese annientando gli ostili invasori. Per fare queste dovrete, ovviamente, portare a termine missioni di varia natura. Ma è tra una missione e l'altra che, come sempre, Saints Row dà il meglio. L'arsenale è vastissimo, tra armi consuete e assurdi oggetti in grado di regalare ore di divertimento e inusuale devastazione. Ciliegina sulla torta: i superpoteri. Potrete correre come Flash, saltare (e spaccare) come Hulk, volare come Superman e chi più ne ha più ne metta... Serve altro?

MAGIC 2014 - DUELS OF THE PLANESWALKERS PS3/XBOX360 /PC/ANDROID/IPAD Stainless Games/Wizard of the Coast Nuovo appuntamento digitale (il quarto) con il blasonato Magic. In vendita sugli store online delle piattaforme di riferimento, "Magic 2014 Duels of the Planeswalkers" permette a neofiti ed esperti di cimentarsi in lungi duelli in singolo o multiplayer. Le regole sono quelle che ormai tutti conosciamo (oltre 13 milioni i giocatori e collezionisti in tutti il mondo), a queste si affiancano carte inedite e animazioni proprie di tale versione.

FUSE

PS3/XBOX360 Insomniac Games Cyber-terroristi, aziende di spionaggio private e potenti senza scrupoli legati alle più alte sfere del governo: queste, in sostanza, le figure che animano il mondo di "Fuse". Dal forte impatto cooperativo (comanderete una squadra di 4 elementi), il titolo snocciola una trama non innovativa ma piacevole e un gameplay in linea con i migliori sparatutto in terza persona. Non molto longevo, il gioco regala comunque qualche emozione, con ancora alcune ombre da dissipare.

THE BUREAU: XCOM DECLASSIFIED Piattaforma: X360/PS3/PC Produttore: 2K Marin Genere: Azione/Avventura Dalle ceneri di XCOM nasce "The Bureau: XCOM Declassified": nuova e attesa fatica firmata 2K Marin. 1962, la guerra fredda tra America e Russia è in pieno svolgimento e il rischio di una guerra nucleare è sempre più reale. Come se non fosse abbastanza, gli equilibri sono sconvolti da un attacco extraterreste. Nei panni dell'ex agente dell'Intelligence William Carter, guiderete la forza top secret che dovrà contrastare la nuova minaccia. L'ambientazione retrò non vi impedirà di utilizzare tecnologia e armi aliene a vostro vantaggio ma, vista l'enorme superiorità bellica degli antagonisti, ruolo essenziale assumono pianificazione e scelte strategiche. Pensare a "The Bureau" come a un semplice TPS potrebbe rivelarsi ben presto un grave errore. Procedere, infatti, armi alla mano sparando indiscriminatamente a ogni movimento sospetto non porterà a nulla, se non alla morte prematura del vostro alter ego. I nemici sanno organizzarsi e agire rompendo le comuni e noiose routine. Indispensabili, dunque, le azioni tattiche che compirete durante incursioni e scontri aperti e, soprattutto, gli ordini che impartirete ai vostri compagni di squadra. Col proseguo, infine, guadagnerete esperienza e sbloccherete nuove abilità, per voi e il vostro gruppo. Un titolo originale, innovativo e impegnativo che, siamo sicuri, non mancherà di attirare la sperata attenzione.

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crazy net

A cura di Michele Zonelli

COPRI CHIAVI LOTTATORE LUCHA LIBRE

Rivisitazione di un accessorio ormai non più così diffuso, questi copri chiavi vi faranno risparmiare tempo nell'individuare senza fatica la chiave cercata. Il tutto con una classe invidiabile e in puro stile Lucha Libre. www.originalstore.it

TRANSFORMERS USB FLASH DRIVE

Mentre in Rete appaiono le prime immagini tratte dal set del quarto film della saga Trasformers, vi proponiamo questa fantastica chiavetta USB (2.0) da 8GB ispirata a Ravage, mitica mini-cassetta al servizio di Soundwave. www.headlinesandheroes.com

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Realizzati dai designer londinesi del team Thelermont Hupton, gli Stuck On You Wall Hook daranno un tocco unico alla vostra cucina. Ideali per appendere strofinacci e oggetti di uso quotidiano. Disponibili in rosso, bianco e nero. www.aplusrstore.com

AMP MUG

A guardarla non sembra certo essere la tazza più comoda del mondo e, con molta probabilità, non lo è affatto... ma, andiamo, a fronte di un simile design per una volta possiamo anche rinunciare a qualche comfort. www.thegadgetflow.com

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WALL MURAL BLOODY SPLASHES

Stufi delle solite quattro mura? Se desiderate rifare il look alla vostra casa e siete alla ricerca di una soluzione non convenzionale, le decorazioni Bloody Splashes fanno al caso vostro (anteprima personalizzata sul sito). www.pixersize.com


A cura di Eros Pasi

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Real Skateboards, all’interno del suo progetto “Action REALized”, ha realizzato una serie di tavole dedicate ai nuovi album dei Green Day, i cui proventi verranno destinati al “Children’s Hospital” di Oakland, California. € 55.00 www.realskateboards.com - www.srdsport.it

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Set di carte, dadi e fiches marchiati Spitfire, per tutti gli skaters a cui piace giocare d’azzardo. € 43.90 www.spitfireskate.com - www.srdsport.it

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Ok, non siamo proprio un mag per I fan di musica reggae ma non possiamo non segnalare I nuovi infradito dedicati al grande rasta Peter Tosh. I colori sono ovviamente quelli tradizionali (rosso, verde, oro) mentre va segnalata la taschina nascosta nella suola. € 82,00 www.reef.com

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Occhiali da sole stile Wayfarer con serigrafia Anti Hero su entrambe le astine. € 19.90 www.antiheroskateboards.com www.srdsport.it

THUNDER CHRIS COLE CHAMELEON HOLLOW LIGHTS TRUCKS Trucks super leggeri, nuovo modello del famosissimo pro-skater Chris Cole. € 59,90 (coppia) http://www.thundertrucks.com - www.srdsport.it

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MINISTRI

from the

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A qualche mese di distanza dall’uscita del loro ultimo album, era grande la voglia di tornare a parlare con i Ministri. D’altronde ci sono sempre piaciuti, sia per la loro musica, sia per la loro attitudine. Brillanti, diretti e schietti. Proprio come nelle loro canzoni e in questa intervista. Di Daniel C. Marcoccia - Foto Andrea Leone

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MINISTRI

Q

ual è il bilancio a pochi mesi dall'uscita di "Per un passato migliore"? Suonate tanto e ovunque, cosa che non possono permettersi in tanti di questi tempi... Federico Dragogna (chitarra): Come diciamo in un pezzo dell'album, noi la vita ormai la contiamo in settimane - ragion per cui ci sembra di essere in giro da un secolo, mentre dall'uscita sono passati solo 4 mesi. Facciamo fatica ad avere un quadro d'insieme, sappiamo solo che stiamo riuscendo anche stavolta a fare quello che ci piace fare e per questo dobbiamo ringraziare tutti quelli che continuano a sceglierci e a venire ai nostri concerti preferendoci al divano. È già moltissimo. Sono passati tre anni tra il precedente disco e l'ultimo ma il pubblico ha risposto "presente" ed è pure diventato più numeroso. Com'è cambiato durante questo tempo e qual è oggi il pubblico dei Ministri? F.D.: L'anno di silenzio assoluto ha fatto bene - crediamo si debba parlare solo quando si ha qualcosa da dire, e la gente se ne accorge come un cane da tartufo. Con nostra grande gioia abbiamo assistito poi a un aumento di giovani e giovanissimi: dato che difficilmente finiamo sui grandi media, vuol dire che ci hanno scoperto e coltivato come una piccola passione segreta. E le passioni a 16 anni hanno un sapore irripetibile, è un pubblico che ti dà tutto se tu gli dai tutto. L'ottima accoglienza per questo nuovo disco sta forse a significare che c'è voglia di ascoltare nuovamente rock fatto di chitarroni e ritornelli che picchiano duro? F.D.: Il rock sarà pure vecchio ma non ha un sostituto. L'hip-hop sbancherà anche le classifiche ma dal vivo funziona in media piuttosto male, non dico come numeri ma come esperienza, come coinvolgimento. Il rock è gradasso e presuntuoso ma rimane ancora uno dei migliori motivi per cui migliaia di persone si possono riunire in pace e felicità, semplicemente per cantare, sudare, spingersi. Voglio vedere chi altro riesce a fare tanto. Ok, c'è il Papa, ma fa solo cover. Alla fine i Ministri riescono a piacere a pubblico e critica più prettamente indie ma allo stesso tempo a chi predilige (noi di RockNow ad esempio) un certo tipo di rock senza troppi fronzoli né testi (finto?) paranoici/depressi. Non sono molti i gruppi che ci riescono. Come lo spiegate? Qual è secondo voi la forza della vostra musica, delle vostre canzoni, ciò che mette tutti d'accordo? F.D.: Noi amiamo molto fare canzoni. Al di là di come le suoniamo, di cosa ci costruiamo attorno e di quanto ci agitiamo sul palco, noi pretendiamo che ogni singola canzone sia un piccolo universo, che abbia un suo perché melodico e di racconto. Insomma che stia in piedi indipendentemente dai Ministri. La musica leggera in fondo va avanti su questo: melodie più o meno semplici che ci affascinano e che restano immortali mentre chi le ha cantate invecchia, sbaglia, peggiora, delude, scompare. Per troppo tempo in Italia molte band si sono nascoste dietro al sound, ai generi e a mille scuse per nascondere il fatto che non ci fosse sotto una vera, semplice canzone.

Cosa vuol dire oggi suonare rock in Italia? F.D.: Vuol dire essere testardi. Quando vediamo i DJ che si muovono con una valigetta mentre noi stipiamo il furgone di amplificatori, aste, cavi e tamburi, ci sentiamo fuori dal tempo come una famiglia di circensi. Ma ci piace, in fondo. Dopo la generazione dei vari Marlene Kuntz/Afterhours, c'erano un po' di speranze per quella dei Verdena che però non hanno trascinato molti altri gruppi con loro. Con quali band vi sentite più vicini, tra quelle nuove? Cosa pensate invece di avere in comune con i tre gruppi citati e in cosa vi differenziate? F.D.: I Verdena sono un trio irripetibile, ammiriamo la loro dedizione, la cura maniacale che ripongono nella produzione e insieme la libertà che i loro dischi mantengono intatta. Chi ha cercato di copiarli si è concentrato sul sound invece che sullo spirito, finendo a fare semplicemente del cattivo grunge. Gli Afterhours come noi credono nelle canzoni e sarebbe bello che li si ascoltasse più per quello che per grandi e antiche guerre tra mainstream e indipendente, ormai da tempo diventate logoranti guerre di trincea. Dei Marlene sappiamo poco o nulla. Per il resto, da Dente a Le Luci Della Centrale Elettrica, dagli Zen Circus ai Tre Allegri Ragazzi Morti, siamo tutti degli incoscienti che cercano di fare la loro cosa con gioia e onestà - e questo è quello che veramente ci accomuna. I vostri testi racchiudono allusioni e richiami alla politica e al sociale, senza però essere mai esplicitamente delle canzoni impegnate. Pensate di aver delle responsabilità verso chi vi ascolta, specialmente il pubblico più giovane? F.D.: L'impegno è stato usato da molti come un bollino di intoccabilità, una patina di seriosità per tener lontano chiunque avesse qualcosa da dire in contrario (tipo "ok, però la canzone fa schifo"). Diffidiamo da chi si mette in cattedra, da chi con aria cupa viene a spiegarci come vanno le cose come fosse la sua dolorosa e nobile missione, come se qualcuno gliel'avesse chiesto. Noi viviamo, soffriamo, ci indigniamo, ci esaltiamo e buttiamo tutto dentro alle canzoni - che sono insieme oneste, vanitose, esagerate, tamarre, emozionanti. E poi ci buttiamo dentro anche noi, coi nostri dubbi, i nostri

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“Per troppo tempo in Italia molte band si sono nascoste dietro al sound, ai generi e a mille scuse per nascondere il fatto che non ci fosse sotto una vera, semplice canzone” ideali e le nostre paure. Ci interessa insomma che le canzoni siano vive, non giuste. Quando i ragazzi riprendono il ritornello di "Comunque" o quello di "Spingere", che sono delle potenziali hit generazionali, vi sentite un po' come il portavoce di un malessere comune? F.D.: In quel caso saremmo portatori sani, perché in noi il malessere è spazzato via dalla voglia di fare, di provarci, di creare qualcosa che resti. Mi chiedo se sia mai esistita un'epoca o un semplice decennio liberi dal lamento e dal peso di passate età dell'oro: noi vogliamo semplicemente vivere il tempo che ci è stato dato con tutta la voglia possibile, e chi ci segue crediamo che voglia fare lo stesso, di qualsiasi cosa occupi, e che venga da noi per ricaricarsi. Qual è la più grossa cazzata che avete sentito sul vostro conto? F.D.: Che siamo ricchi. Qual è il vostro rapporto con i media e la stampa musicale in generale? In alcune canzoni ci sono anche allusioni a giornali e giornalisti, alla

comunicazione digitale che prenderà probabilmente il posto di quella classic… F.D.: Il giornalismo musicale ha il difficile compito di dimostrare di essere davvero indispensabile, di avere un senso e un compito superiore alla semplice somma dei pareri degli ascoltatori. Per questo deve tornare a essere umile, preparatissimo, appassionato, creativo, generoso - solo così sarà di nuovo autorevole. Chi non seguirà questa strada, presto o tardi, capitolerà. E noi ne saremo solo contenti. Cercherete di far passare meno tempo tra "Per un passato migliore" e il prossimo dischi? La via indipendente rimane la dimensione a voi più consona? F.D.: Da qualcuno si dipende sempre, l'importante è trovare finanziatori e collaboratori che credano in te e ti rispettino. Così è stato finora, e infatti ci prendiamo la responsabilità di ogni nostra scelta. Per il resto, aspetteremo finché le canzoni nuove che avremo davanti non ci diranno a chiare lettere "ehi, guardateci, siamo già un nuovo album". www.iministri.com

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1993-2013 20 DISCHI PUNK ROCK ESSENZIALI ntomeno ta é n , a classificnitiva lista degliue a n u è n efi No ed siva e d elle ultim d nte, ti n un’esclu ta e r c o p pli me im m e iù s p iù m p albu Sono, molto nte band che , e d cadi. dischi di altrettnai hanno lasciatoo 20 o più i 2 decesn un segn , o u negli ultoim o el punka d d o ia m r a to s a n ll u ogn indelebile ne arlo fino. E m s la p o a n me a odierneal vita, tribuendo rock, conngere la sua fonrm volta n raggiu i voi, almeno u aascoltare. che tuttfareste bene ad renza di he interfe con qualc , o s s u R cia Stefano . Marcoc A cura di Daniel C

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PROPAGANDHI

“Less talk, more rock” (Fat Wreck Chords - 1996) Con ogni probabilità una delle band più impegnate politicamente di sempre: animalisti, filo-femministi, anarchici, anti-capitalisti e chi più ne ha più ne metta. Atteggiamento, questo, applicato ovviamente anche al music business, a cui il combo canadese non si è mai piegato in nessun modo rimanendo fedele negli anni alla scena indipendente. Questo secondo disco li vede abbandonare le venature ska e reggae che caratterizzavano il fortunato ed amatissimo esordio “How to clean everything”, che conteneva tra le altre anche le famose “Ska sucks” e “Anti-manifesto”, a favore di brani più hardcore, tendenza che si sarebbe fatta via via sempre più marcata con tutti gli album successivi fino a distaccarsi quasi completamente dai primi due lavori. Il brano: "Apparently, I'm a P.C. fascist" (SR)

NOFX “Punk in drublic” (Epitaph - 1994)

H2O

“Thicker than water” (Epitaph - 1997) Uscito nel 1997 per conto della Epitaph, “Thicker than water” è il secondo lavoro dei newyorchesi H2O. Proprio con questo disco il gruppo guidato da Toby Morse inizierà a farsi conoscere dal pubblico hardcore. Non saranno forse la band più famosa della scena ma la loro attitudine, la loro umiltà e soprattutto le loro canzoni anni hanno contribuito non poco no ventidue anche se so lmente ad accattivare un discreto e, ci ffi ch di li el d, qu un ritto e Un disco di a del tuo so ol i è stato sc rg seguito anche in Europa. “Double plaidinum” cu vi in a o un ic bi or m st ca e. Vuoi to n on en no nz che Tra le canzoni migliori, (Fat Wreck Chords - 1997) i per il mom co di ogni singola ca uo V n e. ro er be et bi ifi potrai rip ato come il tutte rigorosamente sotto i il peso spec Altra band cardine della st r è pe tti ds oi re ki vu or ente sc r milioni di pubblicato, 3 minuti, segnaliamo scena melodic hardcore, enti, politicam onda, Fat fatto che pe er e ic riv pl Ir m o. se at rc per il sicuramente “Responsible”, soprattutto grazie al talento do che li ci per un neon on on m m e al as i d” pl nt be di latte e genti ed atte ata su “Rib lli “Talk too much”, “Phone compositivo del minuto ma ud te lla in co i to ol à ol la formula gi tendo assieme 17 picc ma anche m song” e “Everready”. agguerritissimo cantante e rfezionano et he pe m “T ” , ci e” an so on be e Mike ebs and a “Leave it al “Friend” è invece una leader, Joey Cape. Veloci ma ”, he te o i hi tw on w h, e nz le altre ca “White tras “Don’t call m cover dei Marginal Man, sempre volti alla melodia, ment” e tutte ute almeno un “Linoleum”, rn ri. ve vo go la ct po ca band della scena hardcore tecnici ma senza mai ostentarlo a sufficienza ers”, “Perfe sono cresci i e, ey cu M ch i n o or co sc “L e di , brews” musical . Il classico di Washington DC degli per essere inclusi nel gruppo degli del bagaglio punk rocker aggiore o fanno parte non tre, di il fratello m se anni 80. Gli H20 sono smanettoni, i Lagwagon ottengono successo y, i, tif on po zi su S ra o e ne an et ge av rn ss di te pa paio anche il gruppo punk già con i precedenti “Trashed” (1994) e n c’erano in lla io di anni ti no da pa i ra or co un fu an e da quando adolescent o rimandato di preferito del nostro “Hoss” (1995), trainando la neonata Fat nc do ba ra on di m co o X sono an tuo piccolo il compagn direttore ed era Wreck Chords (etichetta fondata da Fat o no, i NOF solo volgendo il o e on in ch sc am , an ta si o et , cass praticamente impossibile Mike dei NOFX nel 1990) e favorendone identità. Che ti definisci punk rocker di no a rc so ce ci massa in tale: se in drublic”, non metterli in questo non poco l’ascesa. È però con “Double nd fondamen i mai ascoltato “Punk ba a un gi og dossier (ndStefano). plaidinum”, quarto lavoro sulla lunga ck, e non ha cazzo. ro un nk a sc pu l pi fan de e tu non ca Il brano: “Everready” distanza, che affinano il loro sound fino a ch tà ili ib ss buone po white” (DCM) trovare la perfetta quadratura, grazie on’t call me “D o: an br Il soprattutto a brani come “Alien 8”, (SR) “Making friends” e “Twenty-seven”. Il brano: ”Alien 8” “Full circle” (SR) (Epitaph - 1997) Altra band che ha contribuito a cambio di lineup importante per la formazione di rendere la Epitaph l’etichetta Hermosa Beach: al basso troviamo difatti Randy indipendente più importante Bradbury, che prende il posto del membro “Twisted by design” del mondo, oltre che un’istifondatore Jason Thirsk, morto suicida nel 1996. (Fat Wreck Chords - 1998) tuzione nel mondo del punk A lui è dedicata la versione “tribute” dell’anthem Amatissimi da tutti i fan del rock (si, ok, ora magari un po’ “Bro hymn”, che chiude un album che vede tra i melodic hardcore, gli Strung meno, ma è un altro discorso). suoi momenti migliori altri due classici come Out diventano con questo Considerati da molti i fratellini minori dei Bad “Fight till you die” e “Society”. terzo album l’emblema del Religion, i Pennywise fanno presto breccia nel Il brano: “Society” gruppo punk “smanettone” a cuore degli amanti dei tempi veloci e delle (SR) cui il metal non fa proprio tematiche sociali. Questo quarto disco vede un schifo. Riff, assoli, parti di

LAGWAGON

PENNYWISE

STRUNG OUT

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GREEN DAY “Dookie” (Reprise - 1994)

La storiella di come quest’album portò il trio di Berkeley dallo status di idoli locali dalle parti del 924 di Gilman St. al riempire i palazzetti di mezzo mondo l’avete, molto probabilmente, già letta mille volte. Così come altrettanto probabilmente saprete che l’incredibile successo di “Dookie”, nell’ormai lontano 1994, spianò la strada a quella che fu velocemente definita la “new punk explosion”, con tutti i vari Offspring, NOFX e Rancid già prontissimi a sfruttarne la scia e a uscire dall’underground. Da lì in avanti, come si suol dire, il resto è storia. Se, però, ripercorriamo al contrario dai giorni nostri l’excursus di questo disco, ci rendiamo conto di quanto negli anni sia diventato sempre più un album seminale per tutti quelli che arrivarono dopo: tutti i gruppi pop punk che salirono alla ribalta tra la fine dei ’90 e i primi 2000, dai Blink-182 in giù, citano questa mezz’ora abbondante di ispirati (ed aspirati) inni di apatia e ribellione adolescenziale come uno dei motivi principali che li spinsero ad imbracciare gli strumenti e a formare una band. E, per un ovvio riflesso concatenato, anche tutti quelli che arrivarono dopo. Tanto basta per definirlo una pietra miliare. Dieci anni più tardi Billie Joe e soci riusciranno, poi, a bissare il miracolo, ma quella è un’altra storia. Il brano: “Basket case” (SR)

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RANCID “…And out come the wolves” (Epitaph - 1995)

Se nella “new punk esplosion” scaturita dall’esplosione dei Green Day c’era qualcuno che ancora incarnava, con le ovvie evoluzioni spaziotemporali, lo spirito del ’77 inglese, quelli erano di sicuro i Rancid di Tim Armstrong e Lars Frederisken. Nati (come Billie Joe e soci) tra le mura del 924 di Gilman St. dalle ceneri dei seminali Operation Ivy, i quattro si guadagnano sul campo il titolo di “nuovi Clash” con questo “…And out come the wolves”, disco che mescola sapientemente street punk, ska, oi! ed elementi del rock’n’roll più classico. Esattamente come piaceva fare al buon Joe Strummer. I testi di Armstrong sono pura poesia di strada pesantemente tinta di nichilismo (ma non per questo meno romantica), e sono completati alla perfezione dai riff e dai soli di Frederiksen, oltre che dagli inconfondibili giri di basso di Matt Freeman. Un sound che diventa ben presto un trademark e che, manco a dirlo, inizia a creare proseliti a non finire. Il successo dell’album scatena, ahimé ovviamente, le ire dei soliti puristi, ma tutto ciò stava ormai diventando ordinaria amministrazione per tutte le band che si ritrovavano a cavalcare quell’onda. D’altronde, quando sei in grado di scrivere delle hit come “Time bomb”, non deve essere semplicissimo rimanere fedele all’etica punk. E questo lo sapevano bene anche i Clash. Il brano: “Time bomb” (SR)

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batteria: chiunque si sia mai cimentato nel suonare una cover di un loro brano sa perfettamente che non è roba da novellini. Il disco è pieno zeppo di brani che negli anni a seguire sarebbero diventati dei live classic per la band di Jason Cruz: l’opener per eccellenza “Too close to see”, “Mind of my own”, “Exhumation of Virginia Madison”, “Ultimate devotion” e l’intensissima “Matchbook”. Last but not least, dopo questo album il loro atomo è diventato uno dei loghi più tatuati dai punkers di tutto il mondo. Il brano: “Exhumation of Virginia Madison” (SR)

giusto. n il disco giusto co to l 1994 n e e n m e o sc rniano e ivare al m o rr lif a e ca portare ic o ri d p i p Quando si il merito d io del gru degli ro in stud Day avrà co n vo is e la d re o il G rz è i Il te “Smash” ookie” de . a “D d a n re o e ll’ ve m e ri e assie cresta d aci di sc quelli cap ck sulla… esto iacciono, il punk/ro p za per qu n ci se iù , p a b e m ch o hit b g n la ri llo n e Offsp l ritorn lbum co k/rock da Infatti, è l’a se” di Billie Joe e . e h sc brani pun lo li asket ca e musica il mondo. ieme a “B fare scelt ini di tutto iofoniche ” che, ass zz a m g e e ra i st lt e o “Self o di m onde rad sh” nterà l’inn pati sulle m o p i tt soci, dive tu ay”. “Sma estratti e sa tta get aw li o ca o g ”G a n n e si u r y” ri e la p Alt out and p i vendite ra d e co m to n o a lu o “C o sono cord ass g incidon nche il re li Offsprin lpo solo il suo g ca o p e detiene a ll’ in un co nte (già, a illioni di avrà così indipende , la quale di undici m olumbia h p iù a p it p ): o E C tin la la p per la i so d e ca co d’oro o. Non a primo dis o il mond “Smash” tt … tu d n in a b te du lla copie ven gli occhi su g da avere ise subito isco degli Offsprin ro (Sony) m d 8), il lavo il munque a” del 199 n co che vuole ca e o ri n n e a ia m ff m ri ieme ad “A incline al singolo ru ss a ri a g (ma non ifiche. nd ancora i alle class di una ba tutti i cost a io h cc l’o strizzare em” “Self este Il brano: (DCM)

(Epitaph - 1994)

BLINK-182

“Enema of the state” (MCA - 1999) Tutto perfetto in questo terzo disco del trio formato fa Tom DeLonge, Mark Hoppus e Travis Barker. C’è una copertina inconfondibile, con una foto piuttosto eloquente della pornostar Janine Lindemulder vestita da infermiera e destinata a turbare i sogni di molti teenager. Ci sono le canzoni, all’insegna del pop/punk e dai ritornelli che entrano in testa dopo una frazione di secondo. E infine non mancano i singoli, gli anthem “What’s my age again” e “All the small things”, con i relativi video allegri e scanzonati. Più serio invece l’altro estratto “Adam’s dong”, a tutt’oggi una delle migliori composizioni dei Blink-182. Il gruppo fa anche un cameo nel teen movie “American pie” e il brano “Mutt” finisce nella colonna sonora. Più promozione di così!!! Il brano: “What’s my age again” (DCM)

MILLENCOLIN

“Pennybridge pioneers” (Burning heart - 2001)
 Se parliamo di punk californiano (o skate punk, se preferite), ad un certo punto dei novanta anche l’Europa ha iniziato ad avere i suoi degni rappresentanti. Su tutti, i gruppi della scuderia della

THE OFFSPRING “Smash”

Burning Heart Records, etichetta svedese capitanata proprio dai Millencolin. “Life on a plate” e “For monkeys” li lanciano nella scena internazionale, ma è con “Pennybridge Pioneers” che si guadagnano un posto nell’Olimpo, anche grazie ai singoloni “Penguins and polarbears” e “Fox”. Il loro nome, tra l’altro, è la storpiatura di un famoso skate trick chiamato “melancholy”, e chiunque sia stato uno skater dal 1995 in poi ha amato (e probabilmente ancora ama) la band di Nikola Sarcevic. Garantito. Il brano: “Penguins and polarbears” (SR)

HOT WATER MUSIC “Caution” (Epitaph - 2002)

Oggi molti di voi conoscono Chuck Ragan per la sua carriera solista, ma la sua voce rauca è però stata per anni (e fortunatamente è ancora, assieme a quella dell’altro chitarrista Chris Wollard) al servizio di questa strepitosa band proveniente dalla Florida, che prende il nome da un famoso libro di Charles Bukowski. “Caution” è probabilmente il loro lavoro migliore (anche se, a onor del vero, se la gioca con l’ultimo “Exister”) e al suo interno contiene pezzi meravigliosi come “Trusty chords” e “Remedy”.

Probabilmente una delle prime formazioni ad essere definita col termine ”orgcore”, che trova il suo punto di forza nei testi, empatici e spesso introspettivi ma senza mai correre il rischio di farvi cadere in depressione. Il brano: “Trusty chords” (SR)

NO USE FOR A NAME

“Hard rock bottom” (Fat Wreck Chords - 2002) Tutto il talento compositivo del compianto Tony Sly è rappresentato al meglio in questo album che marca, con ogni probabilità, il culmine del successo della band californiana. Certo, i kids dei 90s già li adoravano dai tempi di “Leche con carne” (1995), ma il definitivo salto di qualità compiuto con “Hard rock bottom” permette ai NUFAN di allargare il proprio seguito ben oltre la ristretta cerchia di appassionati di quello che nella seconda metà dei novanta veniva definito skate-punk. “International you day” è un piccolo capolavoro in un disco composto unicamente da piccole gemme del più classico punk melodico targato west coast. Un’influenza fondamentale anche per molte delle nuove leve di oggi. Ciao Tony, ci manchi un casino. Il brano: “International you day” (SR)

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dossier

REFUSED “The shape of punk to come” (Burning Heart – 1998)

Un titolo ambizioso, ma che contribuì a rendere, negli anni successivi, questo album un vero cult. E, in effetti, tutta la scena emo/screamo che invase la scena qualche anno dopo doveva davvero molto a queste 12 tracce, che arrivarono a contaminare anche molti altri mondi vicini al punk e all’hardcore. “New noise”, unico singolo estratto, è il manifesto perfetto per un disco che ha riscritto più di una regola: “How can we expert anyone to listen if we're using the same old voice? We need new noise, new art for the real people”. Un album che si distaccava completamente da tutte le punk band di successo di quel periodo, esplorando territori del tutto inusuali come jazz, progressive e addirittura techno. Senza dubbio lo scioglimento prematuro della formazione capitanata da Dennis Lyxzèn rese il disco, oltre che la band stessa, ancora più “mitologico”, tanto da fruttargli la 13esima posizione nella classifica dei 50 album più influenti di sempre stilata nel 2003 da Kerrang! Magazine. Consigliatissimo anche il DVD “Refused are fucking dead”, pubblicato nel 2004 in occasione della ristampa dell’intera discografia da parte della Burning Heart Records e contenente interviste ai componenti del gruppo alternate a inedite immagini amatoriali del breve tour che seguì l’uscita di “The shape of punk to come”. Il brano: “New noise” (SR)

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ALKALINE TRIO

"Good mourning" (Vagrant - 2003) Gli Alkaline Trio di Matt Skiba sono sempre stati una mosca bianca all'interno dell'universo punk rock degli ultimi 20 anni: troppo poco punk per entrare nelle grazie degli amanti delle sonorità più aggressive e ruvide, troppo poco dark per piacere ad un fan di Cure e Bauhaus. Paradossalmente, proprio questa loro unicità è stata uno dei principali motivi del loro successo, oltre all'innegabile carisma del tenebroso frontman e alle sue doti di songwriter. "Good mourning" è l'album con cui maturano definitivamente questa loro identità, che li ha resi negli anni successivi uno di quei gruppi trasversali che mettono d'accordo i fan delle più disparate declinazioni del genere. Il brano: "This could be love" (SR)

ANTI-FLAG

“For blood and empire” (RCA/Sony - 2006) Fortemente politicizzati ed attivi sul fronte sociale (senza comunque arrivare ai livelli dei Propagandhi), gli Anti-Flag hanno sempre avuto il vizio di saper anche scrivere dei ritornelli dannatamente catchy. Così catchy che ad un certo punto, nonostante i loro ideali, cedettero alle sirene delle major pubblicando per RCA (di proprietà della Sony) proprio questo “For blood and empire” ed il successivo (ma meno

valido) “The bright lights of America”, attirando come prevedibile pesanti critiche dal mondo underground. Il disco, però, è innegabilmente uno dei migliori album punk rock della decade appena trascorsa, e in fin dei conti i messaggi che contiene non sembrano aver risentito del tanto contestato contratto discografico di cui sopra. Il brano: “The press corpse” (SR)

THE GASLIGHT ANTHEM

“The ‘59 sound” (Side One Dummy - 2008) Negli ultimi anni il punk rock Americano ha iniziato sempre più di frequente a “fare pace” con quello che negli States è considerato il rock classico, un tempo detestato. Un esempio lampante sono i Gaslight Anthem, che fin da subito non fanno mistero del loro amore per il “boss” Bruce Springsteen, complice anche l’essere suoi vicini di casa (non letteralmente, sia chiaro) nel New Jersey. Questo secondo album inizia a far conoscere al mondo le favolose doti di songwriter del frontman Brian Fallon, ma mantiene allo stesso tempo l’attitudine punk che andrà poi ad affievolirsi con i dischi successivi. Mentre la tendenza del momento è tutta ciuffi e urla (e canzoni brutte), questi quattro ragazzi in jeans e t-shirt bianca riportano, grazie alla loro semplicità, l’attenzione sull’unica cosa che conta: la musica. Il brano: “Great expectations” (SR)

THE HIVES “Veni vidi vicious” (Burning Heart - 2000)

GALLOWS

“Grey Britain” (Warner - 2009)

In piena bufera metalcoreemocore-qualcosacore, questo secondo album della band capitanata da Frank Carter arriva alle orecchie dei kids di tutto il mondo forte e inaspettato come un cazzotto in piena faccia. Dopo l’ottimo esordio con “Orchestra of wolves”, targato 2007, i cinque inglesi firmano con Warner e danno alle stampe, fugando immediatamente i timori di un possibile ammorbidimento, un disco ancora più grezzo e violento del suo predecessore. Una bomba incendiaria in 13 atti, con un’anima punk primordiale che sconfina spesso in territori hardcore e post-hardcore. Un ritratto impietoso dell’Inghilterra e di tutto ciò che di marcio c’è al suo interno all’inizio del 21esimo secolo. Vi ricorda niente? Il brano: “London is the reason” (SR)

THE MENZINGERS

“On the impossible past” (Epitaph - 2012) Fare colpo su Mr. Brett Gurewitz tanto da farvi mettere sotto contratto con la Epitaph non è cosa da tutti (a meno che non facciate uno di quei generi che piacciono e, soprattutto, vendono tanto ai ragazzini di oggi, vero direttore?). Una delle ultime band a cui è riuscito il colpaccio sono i The Menzingers, attualmente una delle migliori formazioni della scena “orgcore” che abbiamo già nominato qualche disco fa. Con questo loro secondo lavoro i quattro della Pennsylvania trovano il consenso unanime di pubblico e critica, affermandosi meritatamente nella scena internazionale sulla sponda di quelli a cui frega più delle canzoni che dello shooting fotografico promozionale o dei likes su Facebook. Il brano: “Gates” (SR)

gli mancare lutamente . “Veni o s s a o n a 00 on potev to nel 20 pubblica dossier n k, ruvido In questo ro secondo album o del garage pun ll lo ie itarra il h io c Hives e ffoni di o piccolo g us” è un lodie e i ri ampio. Il quintett e io m ic v le i n id o v c iù p e a n m te e n b to a gius eleg blico al punto re un pub e per il look molto ri gruppi accattiva ti alt anch n e ta u i a g capaci di n o ti si dis ntman in mezz svedese ne un fro ifferenza i fare la d li Hives hanno infi lmqvist, vero d e c a p a c .G eA sa scena ravo wlin’ Pell della stes smatico come Ho particolarmente b ri e a icious” i c v rt i conce eni vid davvero durante i atti da “V and tr re s ly to e p a p li u in o c g s “S tra . Tre i sin ffender”, te o on i n c in ta e a n h a c c “M n come r il titolo): y I told you so”. A fare ottime e p ti n e (complim ate to sa eranno a e la hit “H s continu omunque demand” uccessivi gli Hive rimane c ” s u io ic s v i i h c id ente. loro dis di “Veni v assolutam l’impatto o da avere o”. cose ma c is d n U bile. you s insupera say I told “Hate to Il brano: (DCM)

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H2O

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Come hell or high water Gli H2O sono una delle band che pi첫 di tutte mantiene viva una scena sempre pi첫 contaminata da mode di vario genere. Ho avuto la fortuna e il privilegio di condividere il palco con loro e ovviamente non potevo non scambiare due chiacchiere con il bassista Adam Blake, il quale ci ha rivelato, tra le altre cose, qualche dettaglio sul prossimo disco della band. Di Michele Fenu - Foto Claudine Strummer

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H2O

È

la terza volta quest’anno che suonate in Europa. Il Vecchio Continente sembra essere molto importante per voi… Adam Blake (basso): Assolutamente sì! Negli ultimi 5 anni l’Europa è stata come una seconda casa per noi. Ci sono tanti bei club e troviamo sempre un pubblico favoloso con una vera passione per la musica. Ci piace poi anche il cibo. Ci dispiace solo che non torneremo più prima dell'uscita del nuovo album! Beh, mi sembra giusto visto che è il precedente, “Nothing to prove”, è uscito nel 2008… A.B.: Sembra infatti un’eternità, ma tour dopo tour gli anni passano velocissimi ed eccoci qua finalmente a scrivere il nuovo capitolo. Nel frattempo avete comunque pubblicato “Don't forget your roots”, un album di cover che rende omaggio alle band che hanno ispirato gli H2O. Com’è stata fatta la selezione delle canzoni? A.B.: Penso che fare il musicista significhi ascoltare o per lo meno conoscere tutti i tipi di musica. La parte difficile è stata appunto la scelta dei pezzi. Dovevamo mettere tutta la roba che abbiamo sempre ascoltato? Oppure solo quella che ci ha ispirato maggiormente, come abbiamo poi deciso di fare, anche se abbiamo dovuto escludere tante band come ad esempio Agnostici Front, Murphy's Law, Suicidal Tendencies e Minor Threat… Sono talmente tante che non sarebbero entrate in un disco solo! "This is Boston, not L.A.", "New York crew" "East Coast and West Coast"… c'è ancora una grossa differenza tra le varie scene hardcore americane? A.B.: Non proprio… Noi viviamo in California, abbiamo vissuto a New York e suonato dappertutto in America ma credo che non ci siano differenze sostanziali al giorno d'oggi. Puoi essere un hardcore kid in Slovenia, in Italia, in Germania e avere molte più cose in comune con un fan della stessa musica di New York, piuttosto che con le persone che vedi tutti i giorni. Se si parla un linguaggio universale, quello dell'hardcore, le esperienze sono simili e diventano una cosa unica. “Don't forget your roots”, come “Nothing to prove”, è uscito per la Bridge9. Pensi che negli ultimi anni la pirateria abbia rovinato l'economia delle varie band? A.B.: Fuck, sì! Ti svelo un segreto, le band come la nostra non fanno soldi grazie ai dischi. Le uniche persone che guadagnano dei gran soldi dai dischi sono quelle che veramente ne vendono migliaia e migliaia! Le band come la nostra guadagnano veramente pochissimo dalla vendita dei CD. Se qualcuno lo scarica gratis, però poi viene a vedere lo show e compra una maglietta… per noi è lo stesso. Ma parliamo di un’etichetta discografica: se scarichi il disco, a loro non arriva nulla e se nessuno compra i dischi, l'etichetta non funziona e quindi chiude. Se tutte le etichette chiudono, non si scarica, né si compra più niente… Pensateci bene quando lo fate!!!

nostro tempo ma riusciamo a ritagliarci del tempo utile tra un tour e l'altro per fare qualcosa di extra! 2 anni fa, in Belgio, al Groezrock, avete detto che era stato uno dei vostri migliori show di sempre. Una delle particolarità di quel palco è l'assenza di transenne. Pensi che non averne contribuisca a rendere uno show migliore? A.B.: Il bello del Groezrock è che ha l'affluenza di un festival con la dimensione di un club show. È uno dei festival più belli del mondo. Il pubblico è educato, sale sul palco, fa stage diving senza intralciare i musicisti. Talvolta succede che la security debba chiedere ai ragazzi di scendere dal palco ma al Groezrock questo non succede mai. Quindi, per rispondere alla tua domanda, sono proprio convinto che senza transenne lo show sia migliore! Talvolta, purtroppo, non siamo noi a decidere in prima persona ma se possiamo scegliere, non le vogliamo!

E riguardo alle nuove tecnologie, come Spotify ad esempio, che opinione hai ? A.B.: Non male, ma non è comunque paragonabile alla vendita di un CD!

Preferisci i festival o gli show più intimi nei club? A.B.: Mi piacciono entrambi. Per assurdo, quando ci sono i grossi palchi rimpiango i club, e viceversa… Se mi fai scegliere, comunque, scelgo i club!!!

Todd suona anche con gli Offspring, Rusty crea dei gioielli, Toby parla ai ragazzi nelle scuole col suo progetto One Life One Chance… Nonostante questo siete perennemente in tour. Come fate a gestire tutti questi impegni? A.B.: Todd viene sostituito di tanto in tanto e sia Rusty che Toby fanno queste cose quando ovviamente non siamo in tour. È comunque difficile fare qualsiasi cosa a casa, poiché siamo on the road la maggior parte del

Uno dei vostri inni è il brano “What happened?”. Cosa pensi di tutte queste band che danno più peso al proprio look che non alla musica e ai testi? A.B.: Penso che purtroppo sia una cosa naturale. È una cosa che nella musica è sempre esistita. Comunque credo di non essere nessuno per poter giudicare, personalmente la mia musica ha un senso e un messaggio. E ne sono fiero!

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“Le band come la nostra

guadagnano

veramente

pochissimo

dalla vendita dei CD. Se qualcuno lo scarica gratis, però poi viene a vedere lo show e compra una maglietta… per noi è lo stesso”. Il brano "Nothing to prove" è stato sin da subito il motto del nostro magazine. Com’è nata l’idea del video, pieno zeppo di guest, dai Gorilla Biscuits ai Terror, dai New Found Glory al wrestler C.M. Punk? A.B.: Sono tutti amici, non sono ospiti! Abbiamo raccolto diversi spezzoni di video e la versione che conosci è la prima e l'unica che sia stata fatta, senza cambiamenti. Cosa puoi dirci del nuovo album? A.B.: Le parti musicali sono quasi tutte completamente scritte. Credo che ci fermeremo in autunno per finirlo e lo registreremo a gennaio. Almeno spero, sarebbe ottimo come tempistica! Uscirà sempre per la Bridge9!

Puoi dare a un ipotetico nuovo fan degli H2O tre motivi per far sì che sia invogliato ad ascoltarvi? A.B.: Ehm, intendi a una persona che non ci ha mai ascoltati? Ok… fammi pensare... Uno: agli Dei piace la nostra band. Vogliamo che chi ci ascolti si diverta. Trasmettiamo un senso di unione e positività a chiunque, senza che ci siano determinati schieramenti religiosi. Due: penso che siamo un ottimo "ponte" tra il rock e l'hardcore. Toby non urla per tutto il tempo sul palco, quindi direi che siamo un’ottima via di mezzo per chi ascolta entrambe i generi. Tre: il terzo motivo trovatelo voi! (ride) www.h2ogo.com

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TARJA Tarja Turunen è bella, brava... e abbiamo scoperto anche simpatica: un tris difficile da trovare nella stessa persona, sia nella vita di tutti i giorni che nel mondo del rock! E con “Colours in the dark” si conferma una delle migliori voci metal in circolazione.

cn

Di Luca Nobili - Foto Eugenio Mazzinghi

Il

olore della otte

Colours in the dark” è un titolo che trovo molto intrigante, devo farti i miei complimenti per la scelta! Che cosa rappresenta per te questa frase? Tarja Turunen: “Colours in the dark” si riferisce fondamentalmente a me stessa, alla mia vita e alla mia musica. Una vita che oggi mi soddisfa appieno ed è piena di colori. Grazie al fatto che sono un’artista, ho avuto modo di conoscere molte persone e luoghi diversi e bellissimi in questi anni che mi hanno arricchita. Allo stesso modo, la mia musica è come se prendesse forma sotto nuvole scure, perché melanconica e “dark” sotto molti aspetti. Non so da dove arrivi questo lato più cupo e malinconico del mio carattere, probabilmente ha a che fare con il luogo in cui sono nata (la Finlandia, nda). Paragonandolo al resto della tua discografia solista, come credi che si collochi questo tuo nuovo album? T.T.: Questo per me è il terzo disco come solista (in realtà il conto porta a quattro, considerando l’album di canzoni natalizie del 2006 “Henkäys Ikuisuudesta”, nda) e lo vivo come il più importante della mia carriera. Mi considero finalmente non più solo una cantante ma

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un’artista, il che significa molto per me. Innanzitutto vuol dire avere il controllo su tutti gli aspetti della mia musica. Sembra una frase fatta, lo so, ma “Colours in the dark” è realmente il mio lavoro migliore, non è nemmeno paragonabile ai due precedenti e mi sento davvero confidente nel portarlo al pubblico, ne sono orgogliosa! Come vivi queste settimane prima dell'uscita del disco? Senti la pressione di quale sarà il giudizio del pubblico? T.T.: In un certo senso sì, perché è naturale sperare che il pubblico ami il mio nuovo album tanto quanto lo amo io. Ma il successo è anche qualcosa di imprevedibile e per questo cerco di non preoccuparmene troppo: il music business sta diventando sempre più duro e complicato, e questo vale sia per le nuove band che cercano di uscire dall’anonimato che per artisti più affermati e con una carriera alle spalle. C’è talmente tanta musica là fuori che non è facile attirare l’attenzione! Io faccio questo lavoro con il cuore, la musica è la più grande passione della mia vita: quello che pubblico con il nome Tarja è e sarà sempre una parte di me: se piace ne sono felice e grata, se non piace... che posso farci?


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TARJA È da qualche anno che (finalmente!) le donne si sono ritagliate uno spazio importante nella scena rock e metal mondiale. C’è qualche tua collega che ti ispira o ti ha ispirato in maniera particolare? T.T.: Ad essere sincera non sono mai stata influenzata particolarmente da voci femminili rock, ho tratto maggiore ispirazione da artiste quali Kate Bush e Tori Amos. Sono però felice che finalmente le donne nel rock non sono più delle rarità e hanno il rispetto che meritano. Sono profondamente grata a personaggi come Doro Pesch, donne che hanno spianato la strada alla mia generazione. È grazie a loro se io e le mie colleghe siamo arrivate sin qui. Hai una carriera estremamente ricca di collaborazioni con musicisti dei più diversi generi e nazionalità. Qual è stata l’esperienza che ricordi con maggiore piacere? T.T.: È una domanda difficile, tutte le persone con cui ho avuto la fortuna di collaborare mi hanno dato molto. Ma non voglio essere reticente e se devo citarti un’esperienza che mi è rimasta nel cuore è stato il cantare in un disco degli Scorpions! Quando ho ricevuto sul mio telefono personale una chiamata di Klaus Meine che mi ha chiesto se mi andava di cantare un pezzo con gli Scorpions (“The good die young”, nda)... beh è stato davvero emozionante! Mi sono sentita teenager di nuovo, ricordo bene quando andavo nelle discoteche rock e ballavo con le loro canzoni. La vita sa davvero essere strana, se mi avessero detto vent’anni fa che un giorno avrei cantato con Klaus Meine non ci avrei mai creduto. Quale credi sia la tua più grande forza? E la tua peggiore debolezza? T.T.: Penso di essere una persona che emana positività, che riesce a rendere felici gli altri e a dargli forza. Il mio atteggiamento mentale positivo riesce spesso a essere di stimolo e di conforto per chi mi sta vicino. Allo stesso tempo, questa cosa mi porta a essere troppo stressata, non riesco a non preoccuparmi di tutto e di tutti... è come se non riuscissi ad accettare il fatto che non tutto quello che succede a questo mondo è sotto il mio controllo. È un aspetto del mio carattere che ancora non sono riuscita a migliorare, spero davvero un giorno di riuscirci. www.tarjaturunen.com

"Il music business sta diventando sempre più duro e complicato, e questo vale sia per le nuove band che cercano di uscire dall’anonimato che per artisti più affermati e con una carriera alle spalle"

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STONE SOUR

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r e l l e t y r o t s

L

a seconda parte dell'ambizioso "House of gold & bones" è disponibile ormai da diversi mesi e tutti abbiamo avuto modo di assimilarne contenuti e qualità. Una delle prime cose è stata unire i due digipack per dare forma all'incredibile artwork proposto: nell'era dominata dal digitale siete riusciti a riportare in auge il supporto fisico... Corey Taylor (voce): L'idea era di realizzare un'opera completa sotto ogni punto di vista, in grado di andare oltre il comune concetto di album. Amo il digitale ma sono un ragazzo all'antica. Prendi ad esempio i film: non guardo film su computer, proprio non ci riesco. I film li voglio vedere su una televisione o su un grande schermo, perché è per questi supporti che sono stati realizzati. Lo stesso vale per la musica. Trovare il giusto equilibrio e permettere a tradizione e innovazione di coesistere: questo è ciò che bisogna fare. Si tratta di portare il passato nel presente, sfruttando le nuove tecnologie senza rinunciare al fascino di ciò che in molti oggi considerano obsoleto. Tra pochi giorni uscirà il tuo secondo libro ("Funny thing happened on the way to Heaven") e, di nuovo, la tua personale carriera si arricchisce di un importante tassello. Corey Taylor compositore e Corey Taylor scrittore: come concili queste due realtà? C.T.: Non lo faccio, non le considero realtà distinte. Libro, storia o canzone poco importa, affronto la prova allo stesso modo. "Funny thing happened on the way to Heaven", nello specifico, parla delle mie esperienze con il mondo del soprannaturale, nei posti in cui sono cresciuto e a cui sono particolarmente legato. Un capitolo, ad esempio, è dedicato alla Mansion di Los Angeles (magione costruita nel 1918 che oggi ospita lo studio di Rick Rubin dove gli Slipknot hanno registrato "Vol. 3: (The subliminal verses)" - nda). Ci tengo a precisare che non si tratta di una mera dissertazione filosofica legata a futili storielle raccolte nel corso degli anni. Riporto i fatti ed esprimo i miei pensieri, non solo da un punto di vista emotivo ma anche scientifico. Non pretendo certo di svelare misteri che da anni dividono l'opinione pubblica, mi sono semplicemente divertito a dire la mia. Come hai affrontato l'elaborazione della tua prima opera letteraria ("Seven deadly sins")?

Seconda tappa italiana del tour mondiale dedicato ad "House of gold & bones", potevamo mancare? Ovviamente no, non ci siamo fatti sfuggire l'occasione di scambiare quattro chiacchiere con Corey Taylor... Di Piero Ruffolo - Foto Emanuela Giurano

C.T.: Scrivere il primo capitolo del primo libro non è stato semplice, l'istinto era quello di utilizzare la stessa sintassi di una canzone ma, ovviamente, non andava bene. L'aver tenuto una rubrica mensile su Rock Sound UK nel corso degli ultimi anni mi ha aiutato molto. È vero, una rubrica non è un libro ma come esprimi i concetti in una lo fai anche nell'altro, cambia il numero di parole richiesto. Realizzato questo, tutto si è ridotto a una semplice questione matematica. Sai quanti capitoli devi chiudere, conosci il numero minimo di parole richiesto, non ti resta che determinare l'argomento e iniziare a scrivere. Prima sono solo poche pagine, poi rivedi il concetto espresso, lo espandi, lo analizzi e senza accorgertene hai raggiunto e superato l'obiettivo. Anche alla base di "House of gold & bones" troviamo un'unica storia, in che misura la tua esperienza come scrittore ha condizionato la composizione dei nuovi testi? C.T.: "House of gold & bones" rappresenta il mio primo contatto con il mondo del cinema... a conti fatti, ho scritto un copione. Meglio: ho scritto una fiction, e scrivere una fiction è molto più complesso che narrare eventi reali. Crei qualcosa che non esiste e lo devi rendere credibile, utilizzando riferimenti, situazioni ed emozioni note a tutti. Questa è stata la sfida più grande. Immagini, musica, parole: cosa nasce prima e in che modo sviluppi, di conseguenza, il processo creativo che porta all'opera finita? C.T.: Questo è interessante e ancora oggi non sono riuscito a isolare uno schema. Immagini, musica e parole si condizionano e alternano senza una regola ben precisa. Prendiamo nuovamente "House of gold & bones", tutto è iniziato con il fumetto. Ho convissuto a lungo con

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STONE SOUR "l'arte può ancora fare la differenza, tutto sta nel saperla utilizzare a

dovere"

il desiderio di realizzare un albo tutto mio, poi un paio di anni fa la prima ispirazione e l'inizio della storia. A quel punto sono apparse le immagini e subito dopo la musica. Così dal voler realizzare un fumetto sono passato a un concept album. Ero davvero eccitato. Ho iniziato a comporre e scrivere e più andavo avanti più le due realtà si intrecciavano ispirandosi a vicenda. Considerando l'attuale periodo storico e sulla base delle tue esperienze, pensi che musica e arte siano ancora in grado di aiutare e fare la differenza? C.T.: Quello che facciamo come artisti ha un impatto globale e dobbiamo esserne consapevoli. Con la musica, i film, i libri, l'arte in ogni sua forma, possiamo raggiungere persone di tutto il mondo, diverse per estrazione, cultura e religione ma unite dalla stessa passione. Abbiamo la possibilità di trasmettere loro messaggi e pensieri e, soprattutto, abbiamo la possibilità di offrire loro una via di fuga dalla realtà per condurli in un mondo dove dimenticare le difficoltà del quotidiano. Dunque, sì: l'arte può ancora fare la differenza, tutto sta nel saperla utilizzare a dovere. Hai mai avuto rimpianti? Cambieresti qualcosa del tuo passato? C.T.: Non ho alcun rimpianto. A tredici anni sapevo che sarei diventato un musicista e da quel momento mi sono dedicato al raggiungimento di tale obiettivo. Ho fatto ogni sorta di lavoro per pagare le bollette ma non ho mai smesso di credere nel mio sogno. Decisioni, sbagli, successi e insuccessi mi hanno portato qui oggi ed è per questo che non cambierei nulla di quanto vissuto. www.stonesour.com

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SKID ROW

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Erano sette anni che non pubblicavano del materiale nuovo, davvero troppo tempo per una band comunque in attività e spesso citata come influenza da alcuni colleghi più giovani che trovate abitualmente su queste pagine. L’uscita di “United world rebellion” è l’occasione giusta per parlare con il chitarrista Dave “Snake” Sabo. Di Daniel C. Marcoccia

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life

Q

uando avete sentito che era il momento di tornare a scrivere canzoni nuove e com’è avvenuta la lavorazione del disco? Dave Sabo (chitarra): Sono successe un sacco di cose nelle vite di ognuno di noi in questi ultimi 7 anni. Alcuni si sono trasferiti in altre città, e infatti viviamo tutti in posti diversi e sparsi ai quattro lati del paese, qualcuno ha anche avuto figli… Diciamo poi che ci sono un sacco di cose che si muovono per ognuno di noi anche al di fuori dagli Skid Row: io ho seguito alcuni gruppi come manager, Rachel (Bolan, il bassista) ha fatto il produttore, Johnny (Solinger, il cantante) ha suonato musica country, Scotti (Hill, l’altro chitarrista) ha fatto alcune cose con Brian Johnson degli AC/ DC… Come vedi, ognuno di noi è stato impegnato in varie cose e comunque non sono stati sette anni passati sul divano di casa: abbiamo anche suonato parecchio, la gente non realizza che facciamo dalle 75 alle 100 date all’anno, attraverso gli Stati Uniti e anche all’estero. Sfortunatamente non siamo mai stati bravi a scrivere canzoni quando siamo in tour, è stato da sempre un nostro limite… (ride) Per questo motivo avete deciso di pubblicare tre EP nell’arco di un anno e mezzo invece del solito classico album? D.S.: Credo che per una band come la nostra la scelta di pubblicare degli EP sia ottima. Oggi tutto si muove così in fretta, siamo bombardati costantemente dalle informazioni e quindi la gente non riesce a prestare attenzione per più di 30 secondi. Abbiamo quindi deciso di fare un EP con 5 o sei canzoni invece di un album intero e andare subito in tour. Poi, tra qualche mese torneremo di nuovo in studio per registrare il secondo, rimetterci subito in viaggio e ripetere poi l’operazione anche con il terzo capitolo di “World united rebellion”. Questo metodo di lavoro ci permette di mantenere il contatto con la gente e avere una loro maggiore attenzione. Ci permette infine di mantenere basso sia il prezzo dei dischi, sia il costo di lavorazione, oltre a permetterci una grande flessibilità. Di questi tempi, poi, in cui la gente sembra ascoltare solo i singoli e non più un album intero… D.S.: Già e questa cosa è molto triste. Mi ricordo quando da ragazzino compravo un disco e passavo interi pomeriggi ad ascoltare tutte le canzoni e a

leggere le note di copertina, i credits e i ringraziamenti. Oggi non frega nulla a nessuno ma purtroppo è così che va il mondo… La gente ormai ascolta le prime 4 o 5 canzoni e poi passa ad altro. Volevamo invece creare qualcosa che fosse capace di invogliare la gente, di portarla a volerne di più, e allo stesso tempo mantenere la scrittura e il prodotto fresco, con un pugno di canzoni ogni sei mesi piuttosto che dodici ogni 2 anni. Queste nuove canzoni sono molto vicine alle sonorità di “Slave to the grind” mentre i testi sono come sempre il punto forte dell’accoppiata Bolan/ Sabo? D.S.: Grazie, apprezzo davvero molto quello che dici perché scriviamo prima di tutto per noi stessi e cerchiamo di comporre le canzoni che vogliamo ascoltare, sperando poi di arrivare anche alla gente. Non siamo dei politici, non siamo dei sociologi, siamo solo dei musicisti che scrivono canzoni in una rock band. Parliamo della vita, del dolore e dell’amore, dei momenti di rabbia e quelli di felicità, in poche parole di tutte le emozioni che ognuno di noi vive. E siamo fortunati di avere questa opportunità. Per me è un privilegio poter vivere facendo musica e suonare in giro. Ma vedo che attorno a me c’è una forte crisi. La gente prima andava a vedere un concerto a settimana, ora uno al mese e deve quindi fare delle scelte. Deve stare attenta a come spende i propri soldi. Per questo vogliamo dare della buona musica a un prezzo giusto. Possiamo oggi parlare di eredità lasciata dagli Skid Row? Ai concerti vedo sempre molte magliette degli Skid Row, spesso indossate da ragazzini che non erano neppure nati all’epoca del primo disco, o comunque erano molto piccoli. E poi ci sono gruppi giovanissimi che vanno oggi come gli Asking Alexandria e gli Halestorm che hanno rifatto delle cover del gruppo. D.S.: (ride) È fantastico, ci arrivano queste manifestazioni di stima da parte di tutti questi gruppi e oltre a farci un grande piacere, ci appaga sapere di avere il rispetto dei colleghi, giovani o vecchi che siano. Siamo molto umili come persone e queste cose ci sorprendono sempre. Poi mi fermo un attimo a pensare e ricordo quando noi stessi avevamo fatto un’EP di cover in cui rendevamo omaggio ai nostri gruppi preferiti. Mi rivedo in questi ragazzi che lo fanno oggi con noi. È un privilegio, lo ripeto. Halestorm e Asking Alexandria hanno poi fatto un

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SKID ROW

ottimo lavoro. Mi rivedo a 16 anni davanti allo specchio che emulavo Ace Frehley dei Kiss o Eddie Van Halen. Sono ormai 27 anni che sono in questo business ma il cuore e l’anima sono sempre quelli che avevo all’epoca. Negli ultimi anni hai fatto il manager dei Down e di Duff McKagan con i suoi Loaded, Rachel ha suonato il basso sull’ultimo disco degli Stone Sour… Anche queste cose sono una forma di rispetto nei confronti degli Skid Row e dei suoi musicisti… D.S.: Sì, ho lavorato per il management che segue quelle band ed è stato davvero molto divertente fare anche questo. Un po’ di esperienza in tutti questi anni passati on the road credo di averla… (ride) Ero invece orgoglioso e felice per Rachel quando mi ha annunciato che Corey Taylor lo aveva chiamato. Ma per me era una cosa normale, ho sempre detto che è un grande bassista e questo è stato per lui il giusto riconoscimento. Molti lo considerano da sempre come un ottimo compositore ma è davvero un bravissimo musicista. In ogni disco che abbiamo fatto, mi ha sempre sbalordito per le sue parti di basso e la facilità con cui registrava in studio. Infatti, credo che abbia registrato i due dischi degli Stone Sour in circa 6 giorni. (ride) Passano gli anni, Johnny Solinger è nella band dal 1999 ma si continua sempre a parlare di una reunion con Sebastian Bach?

"l'arte può ancora fare la differenza, tutto sta nel saperla utilizzare a dovere" D.S.: Hai detto bene, Johnny sta nella band da 14 anni e durante tutto questo tempo ha sempre cercato di essere se stesso e non di imitare Sebastian Bach. Non è il suo clone e non ha mai cercato di esserlo. Lo stimo molto per questo. Ha un grosso rispetto per quelle canzoni ma ha una sua personalità e non ha mai voluto indossare le scarpe di un altro. Sono molto orgoglioso di questa band, della sua storia e di quanto fatto fin dal giorno in cui abbiamo deciso di formarla io e Rachel. Sono orgoglioso e felice ma anche abbastanza vecchio da avere una saggezza che mi fa dire che il tempo più importante della tua vita è il momento attuale. Sei stato chiaro. Cosa pensi invece oggi di un disco come “Subhuman race”, il terzo e ultimo con Sebastian? D.S.: Amo quel disco, davvero, ma ancora oggi sono sorpreso che sia potuto uscire. C’era parecchia agitazione all’epoca, sia nel gruppo che con la gente che ci stava attorno. Sembrava più immediata la nostra fine che non l’uscita di quel disco. Ma è evidente che ci stavamo avvicinando alla fine di quel capitolo della nostra carriera. www.skidrow.com

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SOULFLY

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life

Anche i sassi sanno che i Soulfly sono la creatura personale di Max Cavalera. Ma ora la band può contare anche su un bassista sia bravo che carismatico. Proprio con Tony Campos abbiamo chiacchierato. Di Luca Nobili

C

osa ti ha spinto a prendere parte ai Soulfly, che si possono sicuramente definire un progetto personale di Max Cavalera? Tony Campos (basso): Ho conosciuto Max nel 2009 durante un tour degli Static-X e da allora siamo sempre rimasti più o meno in contatto. Due anni fa vengo a sapere che i Soulfly non hanno più un bassista, io ero a casa a fare nulla e così ho scritto una email a Max. Insomma, mi sono proposto ed eccomi qui! In quel periodo i Soulfly stavano entrando in studio per “Enslaved” e ho fatto giusto in tempo a prendere parte alle registrazioni dell’album. Ti chiedi mai quanto durerà? È noto che Max cambia molto spesso la line-up della band, non hai quindi paura che sia una "collaborazione a termine"? T.C.: Quanto durerà? Non lo so, stare nei Soulfly mi piace molto, sia per l’aspetto musicale che per quello umano... e per il fatto che siamo spesso in giro a suonare live. A me piace molto la vita on the road, quindi diciamo che finché Max mi vorrà io sarò ben felice di essere il bassista di questa band! E del nuovo disco dei Soulfly che mi dici? È già pronto? T.C.: Certo, l’album è ormai completo, è tutto pronto: a ottobre sarà fuori. Le registrazioni sono durate solo due settimane, è stata di gran lunga la sessione in studio più breve a cui ho mai partecipato! Terry Date si è occupato della produzione, è da anni che avevo voglia di lavorare con lui è finalmente è successo. Ai tempi del disco d’esordio degli Static-X (il bellissimo “Wisconsin death trip”, nda) avremmo voluto lui come produttore, ma era decisamente troppo costoso per le nostre disponibilità economiche dell’epoca. È un professionista davvero straordinario, dalla mia esperienza è l’unico al mondo in grado di farti registrare un disco in sole due settimane con un risultato finale così spettacolare. Siamo molto orgogliosi dell’album, è potente e vibrante e sono sicuro che i nostri fan l'apprezzeranno. Hai in qualche modo dato il tuo contributo anche alla stesura dei pezzi? T.C.: Quando ci siamo ritrovati a provare le canzoni nuove, tutto il materiale era già pronto e scritto da Max. Io e gli altri ragazzi abbiamo dato il nostro apporto in fase di arrangiamento, suonando ognuno le proprie parti e dando suggerimenti qua e là. Ma la creazione vera e propria è opera di Max, è lui l’anima dei Soulfly ed è giusto che sia così. Cosa ti piace particolarmente della vita on the road? T.C.: Fare il musicista è il lavoro migliore che abbia mai fatto (ride). Se non fossi qui ora, credo sarei stato un tecnico informatico o roba simile, o almeno questo è quello per cui ho studiato, anche se non ho terminato il percorso di studi: avrei avuto più soldi in tasca suppongo, ma di sicuro non mi sarei divertito così tanto! E poi stare lontano da casa per lunghi periodi non mi pesa per niente, non ho moglie e figli da cui ritornare... solo due cani! E ovviamente la mia famiglia, i miei genitori e le mie sorelle che vivono a Los Angeles come me. Ma sanno bene quanto mi piace il mio lavoro e mi hanno sempre supportato nella mia vita un po’ “zingara”. A proposito di lavoro: c’è stato un preciso momento in cui hai realizzato che la musica sarebbe diventata il tuo lavoro e non solo un hobby? T.C.: Assolutamente. Uscito il primo disco degli Static-X, ci siamo imbarcati per un tour di un anno in giro per gli Stati Uniti e decisi su due piedi di vendere casa mia prima di partire. Al mio ritorno, non avendo più una casa, sono andato a vivere dai miei genitori e la prima sera, chiacchierando a tavola con mio padre, ricordo di aver detto: “sai, adesso questa è la mia vita, il mio lavoro... sono un musicista professionista”. Non appena ho pronunciato queste parole, sono rimasto in silenzio qualche minuto, pensando “Hey, che figata… sono un musicista! Lo sono per davvero!”. www.soulfly.com

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DISCO DEL MESE

LETLIVE.

"The blackest beautiful" (Epitaph/Self) ★★★★ Mettiamo subito le cose in chiaro: "The blackest beautiful" non è un album facile e tanto meno riuscirete ad assimilarlo e apprezzarlo dopo un semplice passaggio. "The blackest beautiful" richiede dedizione, passione e totale fiducia. L'enorme (e giustificata) esposizione mediatica portata dal precedente "Fake history" (ennesimo plauso a Epitaph per aver ripubblicato il disco) ha sortito l'effetto sperato e oggi i Letlive. possono finalmente raccogliere i frutti di oltre 10 anni di duro lavoro (la maggior parte dei quali trascorsi nell'anonimato). Parlare di post hardcore è d'obbligo, ma dimenticate quanto avete imparato fino a oggi perché Butler e compagni

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elevano ogni concetto passato a favore di una formula che in molti cercheranno di assimilare ma che in pochi riusciranno mai ad eguagliare. La capacità innata nel fondere melodia e violenza raggiunge un più alto livello, complici un'impeccabile interpretazione e un'abilità compositiva che definire inattaccabile è doveroso. "Banshee (Ghost fame)" vi travolgerà in tutta la sua magnificenza: passato e presente si uniscono, le assonanze degli albori sono ora più dimensionate e articolate, le prime sfumature pop fanno capolino senza preoccupare troppo (indorate da una produzione volutamente caustica e nervosa) e l'implicita complessità che accompagnerà

recen l'intero ascolto assume connotati con i quali chiunque può facilmente familiarizzare. "Empty Elvis " e "White America's beautiful black market" proseguono quanto introdotto. Veloci e violente progressioni si ripiegano su se stesse amplificando armonie suadenti e cori dal forte impatto melodico. La crescita artistica è ormai evidente e il già citato frontman diventa in più occasioni protagonista assoluto. "Dreamer's disease" e "That fear fever" completano la trasformazione e riportano il progetto sui binari noti, amalgamando alla perfezioni costrutti frenetici, breakdown, groove sospesi tra scuole post e modern e violente aperture. Rock, metal, alternative, hardcore, post quello che più vi aggrada... o più semplicemente: Letlive.. Toni cupi e claustrofobici per "Virgin dirt": uno dei momenti più introspettivi dell'opera. "Younger" si erge, poi, a massima espressione della personale virata melodica, mentre l'ipnotico e coinvolgente incedere di "The dope beat" spiana la strada a "The priest and used cars",

pronta a mostrare come rileggere in chiave moderna sonorità che alcuni considerano ormai datate. "Pheromone cvlt" e "27 club" chiudono il cerchio. Ampia (nei suoni e nelle atmosfere) e oscura la prima (una ballata la definirebbe qualcuno), imprevedibile, priva di ogni inibizione e ruffiana al punto giusto la seconda. Che amiate o meno questa formazione, non potrete non apprezzare il valore intrinseco e oggettivo di un disco come "The blackest beautiful". Michele Zonelli


nsioni AUGUST BURNS RED "Rescue & restore" (Solid State)

★★★★

Parlare di metalcore oggi sembra quasi un tabù, vuoi per le molte band che continuano a cavalcare l'onda (senza i risultati sperati), vuoi per l'ormai costante (e a volte gratuito) accanimento cui gli esponenti di tale genere vanno incontro. Tutto questo passa in secondo piano quando si ha a che fare con gli August Burns Red. Tra i padri indiscussi del genere, i nostri festeggiano 10 anni di carriera con "Rescue & restore": album in grado di impartire l'ennesima e inoppugnabile

lezione. Da "Provision" a "The first step" tutto segue il sentiero tracciato ma nulla si ripete. Formula comune e struttura e regole in continuo movimento per una raccolta di episodi in grado di portare una ventata di freschezza in un mercato ormai saturo e omogeneo. Michele Zonelli

BUTCHER BABIES "Goliath"

(Century Media)

★★★

Fulminea l'ascesa dei Butcher Babies: firmato il primo contratto con Century Media a fine 2012, la band ha intrapreso un lungo tour con Marilyn Manson, terminato il quale è volata a Los

WE CAME AS ROMANS "Tracing back roots" (Nuclear Blast/Warner)

★★★

I We Came As Romans sono la classica band che si sa adattare molto bene ai trend passeggeri: tira lo screamo? Fanno un disco screamo. Vanno di moda sonorità più heavy? Bene, eccovele servite. Il tutto condito da quello che forse rimane il punto massimo della loro carriera, la cover di "Glad you came" della boy-band britannica The Wanted: semplicemente totale. Oggi il gruppo statunitense è cresciuto, mostrando se non altro capacità lodevoli in fatto di songwriting, dando in pasto all'ascoltatore un disco massiccio nei riff e ruffiano al punto che potrebbe piacere a una vasta fetta di pubblico. Bei giri di chitarra, cori che faranno stragi di consensi dal vivo e quel mood incazzoso che non si sa mai quanto sia vero: questo in sintesi “Tracing back roots” il classico disco curato e preciso sotto ogni aspetto insomma. La produzione poi aiuta non poco, dando ai We Came As Romans quello slancio e quella potenza che finora stentavano a trovare. Diverse le possibili hit presenti nella tracklist, segno tangibile del buon gusto e dell’abilità del combo americano nello sfornarle. La strada presa sembra essere quella giusta, anche se non ci sarebbe da stupirsi di un nuovo cambio di rotta stilistico una volta arrivata una nuova tendenza di massa. Pollice alzato almeno per ora, d’altra parte nel loro caso il vivere alla giornata sembra essere la regola principale alla quale credere! Eros Pasi

nu rock Angeles per produrre, con Josh Wilburn (Gojira, Lamb Of God, Hatebreed), il disco di debutto. Partecipe di tale successo, l'esperienza dei musicisti coinvolti: Henry Flury (Amen), Jason Klein (Azdachao) e Chris Warner (Scars Of Tomorrow). A guidare la formazione, le carismatiche Carla Harvey e Heidi Shepherd (abili nell'alternare pulito, screamo e growl). Animato da una cupa e distorta attitudine punk e in bilico tra nu metal, rock e metal, "Goliath" pone in secondo piano i facili (e scontati) accostamenti a Otep e In This Moment, dimostrandosi prodotto solido e personale. Michele Zonelli

DEATH VALLEY HIGH "Positive euth" (Minus Head)

★★★ Abili nel mischiare le carte in tavola e nell'unire assonanze e influenze di diversa estrazione a favore di un suono a tratti innovativo e personale, i Death Valley High sono autori di una sorta di pop rock cupo e introverso dalle spiccate assonanze metal, virtuale punto di incontro tra Marilyn Manson, Orgy e My Chemical Romance (online qualcuno lo chiama doom pop...). Con questo "Positive euth" (secondo disco) la band riesce finalmente a raggiungere il grande pubblico grazie a brani dal forte carattere ("Bath salt party", "Commit to knife") e a soluzioni in bilico tra indie ("Batdanse"), gothic ("A little light conversation") e industrial ("Blood drive"). In definitiva: un'ottima prova, interessante, piacevole e da non sottovalutare. Michele Zonelli

I THE MIGHTY "Satori"

(Equal Vision)

★★★

Attirata l'attenzione di Equal Vision con l'EP "Karma never sleeps", gli I The Mighty debuttano sulla distanza con "Satori". "Speak to me", primo singolo, ben riassume lo spirito dell'opera. Cori di facile presa, occasionali aperture screamo, cambi di ritmo e una solida base post hardcore, il tutto espresso senza la minima esitazione. Liriche impegnate e interpretate in maniera impeccabile si ergono a punto di forza, supportate al meglio da sezioni non

tecnicamente perfette ma animate da un'indiscutibile passione. L'ottima "Ivy" e "The frame II keep breathing" riportano la mente ai primi Coheed & Cambria, mentre assonanze con Circa Survive e Dance Gavin Dance si ergono a punti di riferimento per i fan di nuova acquisizione. Piero Ruffolo

LIKE MOTHS TO FLAMES "An eye for an eye" (Rise)

★★★ Reduci da un promettente debutto, i Like Moths To Flames dimostrano di aver ben assimilato le lezioni apprese nel corso degli ultimi due anni. Senza allontanarsi dal passato, la band riserva maggior attenzione alle parti melodiche, non protagoniste ma meglio introdotte e interpretate. Per il resto: breakdown, cambi di ritmo, riff metal e una produzione di tutto rispetto pronta a favorire i pochi e azzeccati inserti elettronici. "An eye for an eye" non aggiunge, dunque, nulla di nuovo all'affollata scena metalcore, dimostrandosi, ad ogni modo, album solido e di sicuro interesse per chi apprezza tale scuola. Menzione dovuta ai contributi di Shane Told (Silverstein) in “Into The Ground” e Ahren Stringer (The Amity Affliction) in “Lord Of Bones”. Piero Ruffolo

MONSTERS SCARE YOU "Die a legend" (Century Media)

★★★

Contaminazione: questa la parola d'ordine di "Die a legend". Non una contaminazione dettata dalle mode del momento o dall'impellente desiderio di uscire dall'anonimato (nella natale Seattle hanno da tempo conquistato la fama cercata), ma una contaminazione a tratti innovativa, intelligente e del tutto indipendente. Metal, post hardcore, metalcore ed elettronica si combinano in egual misura senza mai prendere il sopravvento, in una formula che potrebbe inizialmente spiazzare ma pronta a regalare le cercate soddisfazioni sulla distanza. Siete contrari a tali sperimentazioni? Poco male, dirigetevi altrove. Amate soluzioni moderne e non convenzionali? Allora date una possibilità ai Monsters Scare You, non ve ne pentirete. Michele Zonelli

RockNow 53


ROCK/POP ANDREW STOCKDALE

IL MANISCALCO MALDESTRO

(Universal)

(Maninalto!)

“Keep moving”

“…solo opere di bene”

recen CHOKE IN MIRRORS

“Choke In Mirrors” (Autoproduzione)

★★★★

★★★

★★★

Parlare di esordio da solista per Andrew Stockdale fa un po’ sorridere. In effetti, i Wolfmother sono sempre stati la sua creatura visto che ne era il frontman e sicuramente la mente. E all’ascolto di questo “Keep moving” si ritrovano tutte le coordinate del gruppo australiano, quei suoni che vogliono essere vecchi a tutti i costi, quei richiami evidenti e marcati ai seventies. Notiamo qualche apertura lievemente più pop qua e là, ma la matrice rimane la stessa. Nessuno se ne lamenterà e molti apprezzeranno canzoni come “Long way to”, “Somebody’s calling” o ancora “Year of the dragon”. Riff e lunghi assoli di chitarra sempre in primo piano, un po’ di blues, un tocco di folk, qualche rock ballad e la ricetta è pronta. Basta solo alzare il volume al massimo e lasciare uscire le note delle canzoni. Un disco di classic rock che saprà trovare i suoi estimatori. Sharon Debussy

Il quarto lavoro della band toscana si presenta come un ritorno alle origini dopo gli esperimenti elettronici dell’album precedente. La miscela proposta dal maniscalco è tutt’altro che maldestra, tra accelerazioni punk e rallentamenti stoner, poi funky, blues e chi più ne ha più ne metta. Davvero tante le influenze rintracciabili, in una sorta di crossover degli anni 10. Un quadro variopinto ma assolutamente amalgamato, le cui costanti sono testi intelligenti, un atteggiamento sempre ironico e disincantato e la sensazione di grinta e gagliardia che attraversa l’intero disco, anche nei pezzi più lenti e cantautorali. “Al diavolo” è il singolo che incarna perfettamente le suddette attitudini, ma degne di nota sono anche “Cervello in fuga”, “Briciole”, “La valigia di cartone”, “Declino lento”. Spazio perfino per l’ottima cover di Mogol/Battisti “Nessun dolore”. Nico D’Aversa

EP d’esordio per questo nuovo interessante progetto made in Salento di Christine degli Shotgun Babies e Vincent Vega degli Hate Inc.. Quattro brani, un pop sognante che non rinuncia alla compattezza del rock, nei quali si respira certamente un’atmosfera new wave. Si parte con “Overwhelming hunger”, un pezzo in perfetto stile Garbage. In “Still warm body” è l’elettronica a prendere il sopravvento, al contrario di “Break the seal” in cui l’ugola di Christine fa valere tutta la sua rabbia quasi grunge. Chiusura in bellezza con la soffice e intima “As a leaf”. Un sound dalle molteplici influenze che rivendica con prepotenza la propria originalità. Un lavoro affascinante che attendiamo alla prova del primo album. Nico D’Aversa

DEAP VALLY “Sistrionix”

(Island/Universal)

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“Musica X” (Mescal)

★★★

Un disco di pop/ rock fresco, orecchiabile e dai testi molto ispirati. Basterebbe questa frase per archiviare la recensione di “Musica X”, il settimo lavoro in studio dei Perturbazione. Se della qualità di scrittura della band piemontese sapevamo già tutto grazie ai lavori precedenti, a sorprenderci sono invece una serie di motivetti da canticchiare in maniera scanzonata (per poi fermarsi a pensare alle parole) e capaci di mettere di buono umore con le loro accattivanti melodie. Da segnalare anche l’interessante inserimento dell’elettronica in alcune tracce (la title-track su tutte) e la produzione affidata a Max Casacci dei Subsonica. Il risultato sono canzoni belle (“Chiticapisce”, “Mia figlia infinita”) e frizzanti (“La vita davanti”, “Questa è Sparta”, quest’ultima con i Cani), con due piccole gemme a fare da ciliegina sulla torta: la stupenda “Diversi dal resto” e “I baci vietati” (cantata con Luca Carboni). Se la “musica X” è questa, allora ci piace. Daniel C. Marcoccia

EDITORS

★★★★

I gruppi “essenziali”, ovvero composti da un paio di musicisti, solitamente un batterista e un chitarrista, non finiscono mai. D’altronde la lezione data dai White Stripes di quel genio di Jack White è stata poi imparata da parecchia gente. Mancava tuttavia all’appello un duo tutto al femminile e capace di stupirci con le sue canzoni. Ci pensano ora le californiane Deap Vally a rispondere alle nostre attese e dobbiamo riconoscere che ci riescono alla grande con questo primo album. Ascoltando le tracce di “Sistionix” si intuiscono subito le influenze delle due ragazze ma allo stesso tempo si apprezza il modo in cui queste vengono poi letteralmente rielaborate.

PERTURBAZIONE

“The weight of your love” Attitudine riot grrrl, richiami a Runaways e Slits, qualche tocco che non avrebbero disdegnato neppure i Cramps, un po’ di blues sporco e infine una spruzzatina di hard rock qua e là. In poche parole, tra i Black Sabbath e i White Stripes scorre tutto il mondo di Lindsey Troy (voce e chitarra) e di Julie Edwards (batteria). E se a parlare, come sempre, sono le canzoni, allora in questo caso a dire cose particolarmente interessanti ci pensano “Baby I can hell”, “Gonna make my own money”, “Bad for my body”, “End f the world” e la fantastica “Walk of shame”. Ascoltare per credere. Daniel C. Marcoccia

(PIAS/Self)

★★

Dopo aver seguito all’esordio la scia degli americani Interpol, gli Editors di oggi sembrano invece più intenzionati a muoversi nella direzione di Coldplay e ultimi U2. Infatti, i suoni di questo quarto lavoro del gruppo sono all’insegna di un rock fatto di chitarre, sì, ma di quelle calibrate in maniera giusta per le onde radiofoniche (“A ton of love”, “Formaldheyde”, “What is this thing called love”). E poi ci sono archi usati spesso e volentieri per dare ancora più enfasi al taglio pop e melodioso di alcune di queste composizioni (“Nothing” su tutte). Di conseguenza, “The weight of your love” finisce col diventare ben presto un disco piuttosto noioso e sicuramente distante dalle sonorità più oscure dei primi due lavori della band di Birmingham. Da notare che il chitarrista Chris Urbanowicz ha lasciato gli Editors a causa di


nsioni divergenze musicali. Ascoltando queste canzoni si capisce probabilmente il perché. Daniel C. Marcoccia

The Erotik Monkey

L’INTROVERSO

★★★

(La Stanza Dischi)

Una band tra le più energiche del panorama musicale sardo, tre dischi all’attivo e una folta attività live. Sarà per la pulizia dei suoni o per le armonie così sapientemente distorte, ma “Tutti i colori del buio” non sembra affatto un’autoproduzione. L’unico orpello non frutto del sudore della band è il mastering di Magnus Líndberg, produttore tra gli altri degli August Burns Red. Sospesi tra l'alternative rock, il noise e il garage, la band, nonostante la giovane età, dimostra una maturità sonora invidiabile. Il suono emerge dalle chitarre schizofreniche e dalla voce urlata di Andrea Cannucci, e da una sessione ritmica impeccabile. Se hanno condiviso il palco con Placebo, Verdena, Tre Allegri Ragazzi Morti e Casino Royale, un motivo ci sarà sicuramente. Sharon Debussy

“Io”

★★★

Esordio sicuramente riuscito per i milanesi L’Introverso con un disco decisamente intimo e personale nelle liriche e dalle sonorità all’insegna del rock alternativo. Le canzoni del gruppo scorrono piacevolmente una dietro l’altra, tra melodie e leggerezza pop, toccando anche picchi interessanti con “L’America”, “Da solo” e “Sospiri”. Ci sono spunti interessanti, soprattutto negli arrangiamenti, che lasciano ben sperare per il futuro della band guidata dal bravo cantante Nico Zagaria. Di sicuro, tra i tanti gruppi italiani che abbiamo ascoltato negli ultimi mesi, L’Introverso sono tra quelli che non ci hanno annoiato dopo appena tre canzoni. Anzi, abbiamo ascoltato “Io” anche più di una volta. Arianna Ascione

“Tutti i colori del buio” (Autoproduzione)

THE TRUTH

LUCA MILANI

“You are the sound you make”

(Hellm/Martine Records)

★★★

“Lost for rock’n’roll”

★★★

A Luca Milani il rock’n’roll è sempre piaciuto. Questo fin dai tempi dei File, il suo prodigioso power trio degli esordi, e tale musica era comunque presente anche nei suoi precedenti lavori da solista, anche se inserita in un contesto più folk e cantautorale. D’altronde, al musicista milanese sono sempre piaciuti i rocker a stelle e strisce, dal Boss Springsteen fino a John Mellencamp, senza dimenticare i mostri sacri come Neil Young e Bob Dylan. “Lost for rock’n’roll” si apre con la pacata “On a saturday night”, prima di lasciare spazio all’elettrica “Silence on this town”. Altri ottimi momenti ritmati arrivano con “Demons inside” e “Party dress”, mentre “In the wind” è una stupenda ballata capace di regalare altre atmosfere al disco. Un album sicuramentematuro con una manciata di nuove canzoni destinate a trasportarvi su qualche freeway americana. Arkansas o Nebraska è uguale, scegliete voi. Daniel C. Marcoccia

ROCK/POP

(DIY)

Dietro al nome The Truth troviamo Fabrizio Pan, conosciuto dai più come cantante dei Melody Fall. Un progetto ambizioso e assai personale quello avviato dal giovane artista, che nel corso degli anni ha registrato diverse canzoni che oggi troviamo tutte in “You are the sound you make”. Questo disco può essere visto come una sorta di "raccolta" che racchiude quanto scritto dal musicista in questi anni. Detto questo, poco importa: la qualità del lavoro è decisamente alta, mostrandoci Fabrizio nella veste insolita di cantautore rock. Esperienza che ha sicuramente dato ulteriori sicurezze al frontman, bravo nel dare carisma ed eleganza ai brani qui contenuti. Ancora più intimo e profondo di quanto già lo conoscevamo alla guida dei Melody Fall, il cantante piemontese ha mostrato grande dimestichezza col genere rock, dando in pasto all’ascoltatore brani carichi di pathos. Ora aspettiamo nuovi sviluppi! Giorgio Basso

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METAL "Super collider"

TARJA

★★★

(Earmusic)

MEGADETH (Universal)

Dave Mustaine l’ha fatto ancora. Ha commesso (peggio, ri-commesso) il peccato che una band con appiccicata addosso l’etichetta “thrash metal” mai dovrebbe azzardarsi: ha scritto e pubblicato un disco di metal melodico! Se tale peccato lo considerate grave e imperdonabile, “Super collider” non fa per voi. Rimanete fermi ai Megadeth del precedente “Thirt3en”, disco magari non eccelso ma per lo meno pane per i denti del thrasher medio (ammesso esista ancora in natura questo esemplare umano). Questo nuovo e quattordicesimo album della band di Dave Mustaine è il classico disco da “prendere o lasciare”, mi ricorda parecchio “Youthanasia” e questo ai fan della band dirà credo tutto quello che c’è da dire. Perché queste undici nuove canzoni sono tutto fuorché brutte e per quanto mi riguarda il disco mi piace... ma è difficile far finta che sarà apprezzato da molti degli adepti al culto dei Megadeth. “King maker”, “Super collider” piuttosto che “Forget to remember” sono destinate a far discutere e dividere, proprio come successe nel lontano 1994 quando “Youthanasia” apparve sugli scaffali dei negozi. Destino dei dischi “diversi”, che ci volete fare... Luca Nobili

BOMBUS

"The poet and the parrot" (Century Media/Self)

★★★★

Debuttanti tre anni fa con un disco passato pressoché inosservato fuori dalla madrepatria, con "The poet and the parrot" gli svedesi Bombus provano a uscire dall'anonimato grazie al supporto di un'etichetta come la Century Media. E le premesse per emergere dall'underground ci sono tutte, credetemi... La band di Göteborg ha sfornato otto tracce davvero solide di heavy rock, canzoni travolgenti e in alcune occasioni persino elaborate... almeno per chi non fa alcun segreto di ispirarsi ad “acts” quali Motörhead e Turbonegro! Musica del genere dà il suo meglio nella dimensione live ed è lì che aspetto i Bombus al varco prima di alzare definitivamente pollice verso. "The poet and the parrot" piacerà ai nostri lettori e non mi stupirei di

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"Colours in the dark"

★★★★

Sembra ieri che Tarja Turunen era dietro al microfono dei Nightwish… ma gli anni passano in fretta e la nostra Tarja è ormai giunta al quarto disco della sua fortunata carriera solista. La partenza di “Colours in the dark” è realmente bruciante, tre delle prime quattro tracce (“Victim of ritual”, “500 letters” e il primo singolo “Never enough”) sono autentiche gemme: ottimo potenziale commerciale, la solita grandissima voce da soprano di Tarja e arrangiamenti al limite delle perfezione. Di certo circondarsi di musicisti dal pedigree ultrapregiato non guasta, uno su tutti l’ex bassista dei Living Colour Doug Wimbish! Sotto molti aspetti, questo disco è decisamente più accessibile di qualsiasi cosa prodotta dai Nightwish, muovendosi su coordinate decisamente più hard rock e molto meno power/classic metal e questo aspetto lo trovo solo positivo. Brava Tarja, non ti si può che dire “continua così”! Luca Nobili

recen

ritrovare il quartetto tra qualche anno agli stessi livelli di gente come The Hives o Hardcore Superstars. Luca Nobili

più innovazione o, se preferite, l’indicazione di una direzione nuova per l’intero genere... che qui manca. Purtroppo. Luca Nobili

CARCASS

KREATOR

"Surgical steel"

(Nuclear Blast/Audioglobe)

★★★

I Carcass sono solo l’ultima delle resurrezioni celebri che il metallo pesante ci ha consegnato negli ultimi anni, per quanto mi riguarda ben accetta considerato il passato di questa band inglese: “Heartwork” del 1993 è senza dubbio uno dei migliori dischi di death metal della storia (il migliore in assoluto per il sottoscritto). “Surgical steel” arriva quindi accompagnato dalle elevatissime aspettative degli amanti del death e il disco risponde solo in parte alle attese. La potenza è immutata, i riff taglienti e letteralmente chirurgici anche. E ringrazio gli Dei del metallo per il fantastico timbro vocale di Jeff Walker, immutato nonostante il passare degli anni. Quasi tutto perfetto insomma, se non che mi attendevo dai miei favoriti del death metal qualcosina in più. Immagino

"Dying alive" (DVD) (Nuclear Blast)

★★★★ Quando una band è di quelle così rispettabili e rispettate del panorama metal europeo e chi si occupa di riprese e montaggio sa fare il suo lavoro.... non si può mancare il bersaglio. E "Dying alive" lo centra in pieno, documentando in maniera quasi superba un concerto della thrash band teutonica tenuto in madrepatria (Oberhausen) lo scorso anno. Le immagini rendono benissimo l'idea dell'esperienzaconcerto, i Kreator erano in evidente ottima serata e non ciccano un passaggio. Certo, con la tecnologia di oggi è facile coprire le imperfezioni ma l'impressione è che in questo DVD non ci siano state sovraincisioni ma che sia tutta farina del sapiente sacco di Mille Petrozza e soci! Interessanti anche i bonus che, oltre ai video musicali di ordinanza, regala un bel

documentario "behind the scenes" della suddetta performance live. Luca Nobili

WE BUTTER THE BREAD WITH BUTTER "Goldkinder"

(Heart Work Music/BMG)

★★

Forti di un'ottima e meritata reputazione in terra natia, i tedeschi WBTBWB si preparano a varcare i confini europei per giungere finalmente oltreoceano. Già, perché "Goldkinder" è il primo album della band ad approdare in America e questa consapevolezza sembra aver contaminato non poco le scelte fatte. I noti e promettenti trascorsi deathcore e industrial passano decisamente in secondo piano, cedendo il posto a sperimentazioni di ogni sorta. Electro-pop e hard rock si affiancano alle strutture passate, prediligendo in più occasioni ambienti gothic e death. Idee, tecnica e coraggio non mancano, non sono mai mancate, per questo sorprende avere a fare con un prodotto poco convincente e per nulla all'altezza delle citate capacità artistiche. Piero Ruffolo


nsioni 4th 'N Goal

““Dudes Legacy EP” (Slakeless Heart)

★★★

Rantolo della morte del pop punk italiano? Non ne ho la certezza, ma i 4th 'N Goal al momento forse rappresentano il meglio, che si conta sulle dita di una mano monca, di quello che è rimasto in Italia per quanto riguarda il genere. Che le band che suonano questa roba senza essere monotone siano rimaste davvero poche nel 2013 è un dato di fatto: per lo meno la band milanese si distingue dalle altre in questo EP con un paio di buonissimi brani (“Bet everything” e “CB like Moses”), ma soprattutto con l'attitudine sempre positiva e l'immenso amore per il cibo (potrei definirli miei compagni di stazza). Quello che mi sentirei di “rimproverare” a loro, ma anche a tutti gli altri che fanno questo tipo di musica, è che alla fine dell'ascolto rimane sempre quella sensazione di essersi persi

qualcosa, come se i ritornelli non fossero così memorabili, quando nel genere è quello a fare la differenza nelle canzoni. Taglio corto: se vi piace roba tipo Four Year Strong e Set Your Goals, siete cresciuti coi New Found Glory e vi gasate di brutto con barbecue e canotte da basket, coi 4th 'N Goal andate sul sicuro. Alex de Meo

CHUNK! NO, CAPTAIN CHUNK! "Pardon my french" (Fearless)

★★★ Paragonati agli A Day To Remember ed etichettati con assurde definizioni studiate ad hoc (ve le risparmiamo) i Chunk! No, Captain Chunk! sono autori di una formula non così strana come vogliono farci pensare. I generi di riferimento? Punk rock e metalcore, qui sapientemente dosati e fusi. Il risultato? Un prodotto divertente, catchy quanto

PUNK/HC basta e meno banale del previsto. Cori di facile presa, strofe pronte ad alternare costrutti degli ambienti di riferimento e una notevole crescita dal punto di vista artistico e compositivo (rispetto a "Something for nothing", debutto del 2010) sono i punti di forza di episodi come "Restart" (opener dal titolo quanto mai indovinato), "Haters gonna hate", "Between your lines" e "I am nothing like you". Piero Ruffolo

24 tracce il chitarrista dei Rancid ha riversato tutto il suo amore e la sua passione per la cultura punk ma anche per la cultura skinhead original (mohawk e borchie hanno, da un paio d’anni almeno, lasciato il posto a cranio rasato e bretelle). Oi! e street punk, fondamentalmente, ma senza dimenticare il rock’n’roll: se vi piacevano i Bastards e non disdegnate i cori da hoolingan, amerete questo disco. Stefano Russo

THE OLD FIRM CASUALS

FIVE BECOMES FOUR

“For the love of it all” (Oi! the boat/Randale)

★★★

Dopo aver pubblicato una manciata di 7 pollici e aver testato i brani dal vivo in giro per il globo, la piccola creatura di Lars Frederisken arriva finalmente al primo full lenght, che altro non è che una raccolta di tutto il materiale registrato fino ad oggi. Come suggerisce il titolo, in queste

“Vuoto cosmico” (This Is Core Music)

★★★★

Fare un disco in italiano oggi è cosa per gente coraggiosa. E questi Five Becomes Four lo sono, non ci sono dubbi. In “Vuoto cosmico” troviamo quel pop-punk caro alla scena californiana, fatto sì di melodie easy listening ma anche di brio e velocità, come Blink-182, Sugarcult e Ataris insegnano. Il risultato finale è qualcosa di assai originale, la lingua italiana fondamentalmente non stona affatto, dando a brani come “Uomo invisibile” e “Via da qui” quello spunto in più rispetto alla concorrenza. Buono il lavoro svolto sulle liriche, d’impatto e melodiche quanto basta ad amarle al primo ascolto. Questi Five Becomes Four non sono niente male e col tempo sapranno sicuramente darci ulteriori soddisfazioni, ne siamo certi! Giorgio Basso

GREEN DAY “Quatro¡”

(Reprise/Warner)

★★★★

Zebrahead "Call your friends" (Rude Records)

★★★★

Decima prova in studio per gli Zebrahead che presentano (con giustificato orgoglio) "Call your friends". Gli autori si dicono convinti che i fan saranno entusiasti di quanto prodotto e, a conti fatti, bisogna dare loro ragione. Non solo, infatti, ritroviamo i noti marchi di fabbrica ma assistiamo all'ennesimo passo avanti. Senza allontanarsi dal passato, dal quale il disco trae forza riportando in primo piano le atmosfere di "MFZB", i nostri propongono alcuni dei loro brani più duri e sperimentali ("With friends like...", "Public enemy...", "Nerd armor"). Anthem difficili da ignorare, ritornelli immediati e coinvolgenti, contaminazioni e un'interpretazione invidiabile: "Call your friends" è tutto quanto potete aspettarvi e molto altro ancora. Michele Zonelli

Poco meno di un’ora e mezza per raccontare la creazione di una trilogia di album che, nel bene e nel male, ha fatto discutere molto. Uno sguardo nel processo creativo che spesso non disdegna la scivolata sul versante personale dei suoi protagonisti, diventando una testimonianza a 360° di tutto ciò che può stare dietro alla realizzazione di un progetto tanto ambizioso. Il taglio che il regista Tim Wheeler ha dato a “Quatro!” è particolarmente “stripped down” e ricorda molto più alcuni docufilm sullo skateboard che non certi format tanto cari a MTV. Da leccarsi le dita per tutti i fan, ma molto interessante anche per chi semplicemente è curioso di vedere una band di fama mondiale come i Green Day alle prese con il loro “daily job”. Stefano Russo

RockNow 57


THE LINE

RED BULL XFIGTHERS

In collaborazione con Extreme Playlist

Dopo 12 anni la tappa dei Red Bull XFigthers a Madrid si conferma come il miglior evento del panorama Freestyle Motocross internazionale. Testo di Markino - Foto Red Bull

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C

ome sempre mi sbrigo all’ultimo minuto, raccatto la mia roba e parto per Madrid. È sempre emozionante arrivare a Las Ventas e vedere l’arena, un struttura davvero suggestiva dove al suo interno si svolgevano le famose Corride… Ma non per questi due caldi giorni di luglio. Terra, polvere e il classico suono dei due e quattro tempi delle moto hanno accolto le 23.000 persone accorse per godersi questa incredibile serata di Freestyle Motocross. Lo show si apre come sempre con lo scoppio di un petardo accompagnato dalla calda voce dello speaker che annuncia l’inizio della serata. Parte subito la classica corsa tipica della corrida con tutti i ragazzi con la divisa bianca e rossa che scappano dalle moto come se fossero tori impazziti; nemmeno il tempo di tornare ai propri posti che rieccheggia nell'aria il rombo di un motore molto più grossolano rispetto a quello di una moto: senza nessuna presentazione, sbuca una motoslitta diretta verso la rampa, pronta a eseguire un backflip come se nulla fosse. Un boato riempie tutta l’arena e il pubblico inizia a sventolare i classici foulard bianchi dati in omaggio come ogni anno. Poco dopo ha inizio la gara vera e propria con una jam session per tutti i rider pronti a battersi uno contro uno. Tra una sfida e l’altra, si è esibito un duo di rap freestyle, vincitore del

Red Bull Batalla de Los Gallos, seguito da uno show di danze con i cavalli. Quest’anno la gara è stata davvero molto competitiva, tutti i rider hanno dato il meglio e anche i giudizi finali sono stati ottimi. Il vincitore di questa edizione Tom Pagès, già in testa alla classifica generale, ha eseguito una run pazzesca sfoderanto tutti i suoi ultimi trick che in pochissimi altri sanno fare. Volt, Special Flip, Flair e addirittura Flair Tsunami sono solo alcuni dei trick che hanno fatto vincere il francese, il quale ha dedicato la sua vittoria al rider giapponese da poco scomparso Aigo Sato. Si aggiudica la seconda posizione il giapponese Taka Higashino, molto tecnico nell’esecuzione dei trick, davanti a Javier Villegas, giovane di origine cilena anche lui molto preciso e potente. Nulla da fare invece per i rider di casa, Dany Torres e Maikel Malero e solo un quinto posto per il neo campione della plaza de toros Levi Sherwood. Luci, dj set e live band, oltre all'esilarante spettacolo di fuochi d’artificio, hanno reso sempre più emozionante la finale di questo world tour che proclama vincitore assoluto proprio Tom Pagès. Un evento davvero ben riuscito organizzato da Red Bull in collaborazione con Jeep che riesce a riunire moltissima gente anche al di fuori dell'ambiente Action sport e che aiuta questo piccolo mondo così affascinante a crescere sempre di più.

RockNow 59


THE LINE

Extreme Playlist

Ogni mercoledĂŹ, su rocknrollradio.it dalle 19 alle 21, Markino e Fumaz ci raccontano cosa succede nel mondo degli action sport attraverso le parole e i gusti musicali dei suoi protagonisti. Stay tuned!!!

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FLIGHT CASE

Un disco, un tour, un disco, un tour… Questa è più o meno la routine per molti degli artisti che avete incontrato nelle pagine precedenti. Ed è proprio ai concerti che è dedicata questa rubrica, con tuttavia una piccola differenza: questa volta vi portiamo dietro il palco alla scoperta di piccoli rituali e abitudini varie.

FRANKIE PALMERI (EMMURE) Di Giorgio Basso Qual è stato il più bel concerto che hai fatto e perché? Citartene uno è pressoché impossibile, penso possiate capirlo! Ogni volta che salgo sul palco provo sensazioni nuove, una sorta di liberazione. Credo comunque che nessuno show al mondo possa essere paragonato a ciò che vivi ogni qualvolta ti trovi in Germania. Il pubblico tedesco ha l'hardcore nel proprio DNA, sono semplicemente una spanna avanti a tutti e tutto. E il peggiore? Beh, su questo posso risponderti con certezza. La scorsa primavera suonammo a Mosca e durante lo show una scossa da 200 volt ha attraversato il mio corpo. Purtroppo, in quelle zone ti trovi spesso a doverti confrontare con situazioni a rischio, dove la sicurezza viene spesso a mancare. Penso di non esagerare nel ritenermi un miracolato! Qual è stato il posto più bello in cui ti sei esibito? In Australia. In quel continente si respira un'aria diversa, tutto è diverso da ciò che vedi in ogni altra parte del mondo. È una terra incontaminata, veramente speciale e tornarci è sempre un grande piacere.

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Il pubblico più pazzo col quale hai avuto a che fare? Potrei scrivere un libro con aneddoti inerenti al nostro pubblico, sono decisamente insani! Diciamo che dovendo fare una classifica di pazzi direi: tedeschi al primo posto, giapponesi e russi a seguire! Cosa porti sempre con te in tour? Sneaker, cappellini e una marea di t-shirt. A casa mia ho interi armadi pieni zeppi di queste cose, mi definirei persino malato da quanto sono maniacale nell'acquistare cappellini e sneaker! Come trascorri il tuo tempo durante i vari spostamenti? Ci sono vari modi direi! Solitamente mi divido tra dormire, fumare e giocare ai videogame. Sono un fottuto nerd su questo aspetto: non a caso uno dei nostri album è un vero e proprio tributo a questa mia passione: “Slave to the game”! Sei solito fare richieste speciali ai promoter per il backstage? Direi di no, non siamo delle fottute rockstar. Basta avere una stanza pulita, del cibo e dell'alcol. Da fumatori incalliti capita spesso di trovare diversi “regalini extra” e la cosa ci fa molto piacere devo dire! Hai regole da seguire all'interno del tour bus? Se siamo in giro da soli no, ci conosciamo tutti bene

e sappiamo cosa piace e cosa non piace l'uno dell'altro. Quando invece siamo più band a dividere il bus, la situazione si fa più complessa, la sola cosa a cui tengo è che ci sia un minimo di decoro e pulizia. Stare su un tour bus per venti giorni con odore di morte al seguito non è affatto piacevole! Sei solito cantare una cover durante il soundcheck? Assolutamente no. Odio le cover, le cover band e il soundcheck. Datemi un microfono e diamo il via al concerto, non ho bisogno di scaldare la voce o cazzate simili io! Svolgi qualche rituale particolare prima di salire sul palco? No, nessuno. Si sta nel backstage a bere e scherzare tutto il tempo, oppure si va sul palco a guardare le band che suonano prima di noi. I riti scaramantici li lascio ad altri. Cosa ti annoia/detesti del contesto live? Direi quasi nulla, la sola cosa che non sopporto sono i promoter locali che si credono potenti e vogliono importi i loro tempi e le loro condizioni. Credo non abbiano capito come girano le cose, specie con gli Emmure. Questi atteggiamenti sono soliti soprattutto in Gran Bretagna e Europa del sud, ma oramai più o meno tutti hanno ben chiaro come e chi siamo, quindi anche i fenomeni di turno si sono abbassati a fare ciò che diciamo noi.


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