R&B Magazine Luglio 2017

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Runners & Bikers Magazine

NUMERO 7 LUGLIO 2017. DISTRIBUZIONE GRATUITA.

OGNI MALEDETTA DOMENICA IL RUOLO DEL PEDAGOGISTA SPORTIVO LA CLASSE È ACQUA INTERVIATA A FRANCESCO CASAGRANDE FRATTURE DA STRESS

IL POTERE DELLA

MOTIVAZIONE


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"OGNI MALEDETTA DOMENICA" DI PAOLA DAL CERO

“Siamo all'inferno adesso signori miei credetemi... e possiamo rimanerci farci prendere a schiaffi oppure aprirci la strada lottando verso la luce, possiamo scalare le pareti dell'inferno un centimetro alla volta. io però non posso farlo per voi” Al Pacino in “Ogni maledetta domenica”


EDITORIALE

Ricordate il monologo di Al Pacino, allenatore di football americano, nel film "Ogni maledetta domenica"? Ecco, quello era un discorso motivazionale focalizzato alla vincita. Naturalmente sarebbe bello avere un allenatore che "ogni maledetta mattina" ci motivi alla nostra sessione di corsa o di bike o del nostro sport preferito con un discorso pieno di enfasi. Purtroppo la spinta DEVE partire da noi, dalle nostre motivazioni interiori perché ci sono giorni in cui, nonostante la PASSIONE di uscire a correre, pedalare, allenarci abbiamo poca voglia per le più diverse motivazioni: il freddo, la pioggia, l'eccessiva umidità, il caldo soffocante, il mal di testa, la stanchezza, i mille pensieri ed impegni della quotidianità (lavoro, figli, casa). Dobbiamo superare l'empasse, soprattutto le prime volte. Come fare? Innanzitutto diamoci degli obiettivi (come nel lavoro e nella vita di tutti i giorni) e impariamo ad accorgerci dei piccoli miglioramenti che otteniamo: respiro meno affannato, miglioramento nella postura, fisico più asciutto, minor stress. Possiamo tenere un diario, sia manuale sia sotto forma di app (la mia preferita è "Runtastic me", ma altrettanto valide sono " Fitness" e "Dailyburn") per annotare i

miglioramenti, riconoscere i progressi ma anche prendere nota dei momenti di arresto e di stanchezza per poi riprogrammare e ritrovare la nostra motivazione. Potrebbe anche essere l'occasione per premiare i nostri piccoli grandi miglioramenti con un regalo (un paio di scarpe nuove, un bel massaggio, una sauna, un nuovo orologio, quel bell'abitino di una taglia in meno). È molto utile anche la condivisione dei nostri obiettivi e risultati con gli amici, su Facebook, Twitter o altro social perché anche Aristotele diceva " Ciò che è espresso rimane impresso". Cerchiamo, eventualmente, di allenarci in compagnia perché il rischio noia è dietro l'angolo ed insieme la fatica diventa accettabile e pure piacevole. Infine, cerchiamo sempre di divertirci, di catturare ogni singolo particolare della natura che ci circonda ed apprezziamo e gioiamo del nostro benessere psico-fisico e personalmente penso che saltare un allenamento o sgarrare la dieta e poi riprendere con regolarità sia un segno di grande forza mentale e di motivazione di fronte ai normali imprevisti della vita. Quindi accettiamo serenamente le difficoltà ma poi AVANTI TUTTA e buona estate a tutti !


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IL RUOLO

DEL PEDAGOGISTA SPORTIVO DI MAURIZIO SENECI

“Ciao, che lavoro fai?” “Ciao, sono un pedagogista” “Che bello! Lavori con i bambini allora!?!” “Ehm, si ecco. Anche. Diciamo che i ‘bambini’ con cui lavoro hanno un’età compresa tra 0 e 105 anni”. Questo è il solito teatrino che si presenta quando dico che sono un pedagogista. In particolare, un pedagogista sportivo. Una figura probabilmente poco conosciuta, forse fraintesa e spesso scambiata con quella dello psicologo sportivo. Ma quindi, chi è il pedagogista sportivo? Cosa fa? Per maggiore chiarezza, prima definiremo qual è il ruolo e quali sono le competenze del pedagogista, poi approfondiremo quali le competenze specifiche messe in atto in ambito sportivo. Il Pedagogista è “il professionista che conosce la realtà educativa, la ricostruisce razionalmente, la pianifica a partire da diagnosi pedagogiche accurate dei bisogni e propone opzioni epistemologiche, metodologiche e tecniche idonee e tali da rendere possibili processi di autonomia tali da rendere possibili processi di autonomia ed una assunzione di decisioni individuali e collettive” .

Essere Pedagogisti presuppone una gestione autonoma del proprio sapere. Questo comporta una costante rielaborazione delle informazioni rispetto a situazioni nuove e un costante confronto con una realtà lavorativa che sollecita l’acquisizione di nuovi saperi. Praticamente un continuo. Sulla base di quanto detto, il pedagogista è lo specialista dei processi educativi e della formazione che svolge un’attività didattica, di sperimentazione e di ricerca nello specifico ambito professionale scelto per l’intervento. E tutto questo come può essere applicato all’ambito sportivo? L’intervento del pedagogista sportivo può essere rivolto a squadre o a singoli atleti. Abbiamo detto che i ‘bambini’ che seguo hanno un’età che va dagli 0 ai 105 anni, quindi se pensiamo allo sviluppo del bambino e proviamo a pensare al carattere, possiamo definirlo come l’organizzazione stabile e consapevole delle attività psichiche intorno al nucleo affettivo, intellettivo e volitivo. Esso ha senza dubbio una migliore o peggiore formazione all’interno dell’animo degli individui a seconda delle caratteristiche genetiche proprie di ognuno, ma può essere migliorato attraverso il processo educativo. E qui, si è vero, sto parlando di bambini, lo


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sport, è parte di questo processo educativo ed il pedagogista entra in questo ambito come facilitare, promotore di relazione, nella creazione di un ambiente positivo che possa sostenere questo processo. Lo sport assume un ruolo importante che è quello di influenzare la formazione del carattere dell'individuo e riesce a promuoverlo grazie all'esercizio del dominio del proprio corpo, nella resistenza alla fatica causata da uno sforzo. L'esercizio del dominio del corpo è tale da condurre l'individuo ad un controllo delle passioni, intese come stadi affettivi prolungati, non sempre anormali, in relazione diretta con gli istinti, dominate da un motivo fisso e soverchiante che può essere l'amore, l'avarizia o altro. Il dominio delle passioni coincide con la virtù, e se proviamo a fare un ulteriore passo possiamo dire che, quindi, coincide col Giusto. In un contesto sportivo, quindi, è auspicabile che all’interno del sistema squadra possa essere presente la figura professionale del pedagogista in un rapporto di collaborazione con lo staff tecnico. Questo potrebbe garantire un’analisi globale della situazione sportiva e personale dell’atleta. La Pedagogia inserita nel panorama sportivo offre un programma di intervento scientifico attraverso: percorsi di formazione allo staff tecnico in cui si analizza lo sviluppo psicofisico del minore per conoscerne la personalità e gli atteggiamenti all’interno del gruppo; percorsi di preparazione mentale dell’atleta e dell’allenatore; coordinamento tra i soggetti sportivi coinvolti nelle Società sportive; colloqui individuali o di gruppo con l’atleta e con gli allenatori. Ok, ma il bambino cresce, diventa fanciullo, adolescente (e rompe le scatole, direte voi) e poi diventa adulto… in questa metafora vivente, poco metafora e molto vivente, qual è il ruolo che assume il pedagogista? Il contesto di una squadra, costituita da bambini o adulti, ha la necessità di godere di un ambiente positivo per permettere agli sportivi di godere dell’attività svolta e questo genererà contribuirà a migliorare decisamente le prestazioni dei singoli e quindi della squadra. Si parla di Passioni, Emozioni, Sentimenti e di Scelte. Forse, troppo spesso ce ne dimentichiamo. E quindi, anche per gli adulti il pedagogista lavorerà con gli stessi obiettivi elencati poco fa. Poco fa, dicevamo che tra i compiti del pedagogista rientra anche quello di progettare “Percorsi di preparazione mentale dell’atleta”, quindi strettamente rivolto ad un singolo, che sia parte di un gruppo o meno. La ragione più comune che porta allenatori, atleti professionisti o semplici amatori a richiedere una consulenza è quella di migliorare la propria prestazione sportiva. La prestazione può essere incrementata attraverso l’applicazione di programmi centrati al perfezionamento della concentrazione, alla costruzione di strategie mentali efficaci finalizzate al problem solving, ovvero la capacità di pensare e concretizzare azioni per risolvere le problematiche comparse; alla capacità di risollevarsi in seguito ad una sconfitta (quella che può essere definita Resilienza). Sviluppare questi sistemi permette all'atleta di mettersi in condizioni ottimali nel pre-gara consentendo di sfruttare al meglio le proprie competenze. Si parla anche di ‘ansia da prestazione’ o ‘stress agonistico’. Questo deriva dalle aspettative del singolo e dell’ambiente circostante: imparare a conoscere le proprie reazioni in queste situazioni e a sviluppare al meglio le capacità di gestire questi momenti di tensione contribuisce a migliorare il risultato finale. Che sia una squadra o un singolo atleta, che si tratti d i un bambino o di un adulto, il pedagogista sportivo si ha l’obiettivo per creare una condizione ed una consapevolezza ottimale per oltrepassare le proprie difficoltà, avanzare sempre più e superare i propri limiti.



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LA CLASSE

È ACQUA!!! DI ALESSIO FRANCO

L’acqua fa male, il vino fa cantare, così recita un vecchio stornello da osteria, e sebbene incontri tutta la mia simpatia, quando si parla di sport non c’è bevanda migliore dell’acqua.


Il nostro corpo è costituito dal 60 al 70% d’acqua e sono innumerevoli le funzioni che svolge nel nostro organismo, infatti pur non apportando calorie è il primo nutriente necessario. L’acqua permette il trasporto dei nutrienti,ha potere detossicante, regola la temperatura corporea. Utilizzata come bevanda favorisce i processi digestivi, è fonte di sali minerali e svolge un ruolo importante come diluente delle sostanze ingerite oralmente, inclusi i medicinali, e soprattutto regola l’equilibrio idrico. L’idratazione di un soggetto varia a seconda delle condizioni fisiche e dell’età influenzando in modo cospicuo le performance di un atleta. Quando le perdite idriche sono maggiori delle entrate, andremo incontro a disidratazione. I meccanismi con cui l’organismo perde acqua sono molti e l’importanza di ogni singolo meccanismo può variare anche di moltissimo a seconda delle condizioni fisiche e dell’ambiente. Tra le perdite di liquidi abbiamo la respirazione,( avete presente la nuvoletta di vapore che esce dalla bocca e appanna i vetri quando fa freddo) la perspiratio insensibilis, pur sembrando il nome di una malattia di altri tempi non è altro che la quota idrica (circa 350 ml), che evapora dalla cute in assenza completa di sudorazione. Abbiamo poi l’urina, che in condizioni normali è tra le maggiori cause di

perdita di liquidi, ed infine la sudorazione. Su quest’ultima mi vorrei un po’ soffermare. Se in un soggetto sedentario la sudorazione non comporta grandi perdite, per uno sportivo può diventare la prima causa di disidratazione. La sudorazione nell’atleta è indispensabile, in quanto meccanismo di termoregolazione la cui entità varia ampiamente in rapporto alle condizioni climatiche (temperatura, umidità dell’aria, vento). Essa funziona un po’ come l’acqua del radiatore della macchina. Passa per il motore, che nel nostro caso sono i muscoli e porta via il calore in eccesso verso l’esterno. In condizioni di elevata temperatura ed umidità la perdita di liquidi con la sudorazione può raggiungere e superare i due litri all’ora con conseguente rischio di disidratazione se non si integrano adeguatamente le perdite durante e dopo l’allenamento. Sono numerosi i rischi per la salute in caso di disidratazione, si va dai crampi muscolari fino ad arrivare a colpi di calore e in condizioni estreme addirittura il coma e la morte. Il primo sintomo della disidratazione è il senso di fatica cui seguono - cefalea – tachicardia- vertigini - astenia - irrequietezza - difficoltà a concentrarsi - diminuita performance fisica . L’atleta deve cercare di mantenere un corretto bilancio idrico, cioè un equilibrio tra i fluidi persi e quelli assunti “euidratazione”. Non


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RELTIVE CONTRIBUTION OF SUBSTRATES TO TOTAL ENERGY EXPENDITURES (%) sempre è facile, perché una sudorazione profusa, spesso comporta una dispersione di fluidi maggiore rispetto la velocità di assorbimento gastrico e quindi comporterà a lungo andare una condizione di disidratazione. La velocità di svuotamento gastrico, infatti, è di circa un litro l’ora. In ambienti caldi, o in caso di attività fisica intensa, la sudorazione supera tali livelli, causando, inevitabilmente, uno stato di disidratazione. Molto importante è perciò cercare di prevenirla o quantomeno posticiparla il più possibile. Bere due o tre bicchieri di acqua nella mezz’ora che prece l’allenamento o la competizione permetteranno di ritardarne l’effetto. Importante è non superare mai il mezzo litro di acqua, lo stomaco, infatti, si svuota più velocemente in questa condizione. Un apporto eccessivo di fluidi, oltre che rallentare lo svuotamento comporterebbe difficoltà nella respirazione e problematiche, specie nei runners che sono sottoposti a continui sobbalzi. Quanto bisogna bere? E’ una delle domande più comuni. Le cellule nervose, sono responsabili del senso di sete, ciò accade quando si ha una perdita di fluidi corrispondente a circa il 2% del peso corporeo, ( 1,4 litri in un soggetto di 70 chili di peso ) condizione che dovrebbe essere evitata. Una riduzione del peso corporeo del 2% dovuta a disidratazione può comportare un decadimento significativo della performance, fino al 30% in meno in determinate attività. Un modo semplice per capire quanto perdiamo durante un allenamento è pesarsi prima e dopo con la sola biancheria intima. Al calo di peso, dove un chilo corrisponde a circa un litro di sudore, si dovrà aggiungere l’acqua assunta durante l’allenamento. Avremo così un’idea di quanto sudiamo, e sappiamo che dovremo cercare di avere una reidratazione che permetta di restare sotto al 2% del peso del nostro corpo. Attenzione in caso di atleti scarsamente allenati, che si

sottopongono a competizioni molto lunghe( es. maratone) un’eccessiva assunzione di acqua, non adeguatamente supportata da Sali minerali, potrebbe comportare numerose problematiche, anche molto gravi, in quanto si rischierà di andare incontro ad iponatriemia. Cosa dobbiamo bere? Per un adeguata reidratazione l’acqua minerale può essere molto efficace. A differenza di quello che inculcano le pubblicità televisive, scegliere un’acqua ad alto contenuto di Sali è preferibile per un soggetto che fa sport. L’acqua infatti essendo iposmotica, avendo cioè una concentrazione di soluti più bassa di quella del plasma, verrà velocemente assorbita a livello intestinale, andando a reidratare in modo tempestivo. Durante l’allenamento reidratarsi bevendo 200-300 ml di liquidi freschi ogni 20 minuti di attività senza attendere la sensazione di sete. Potrà però capitarci che oltre che a reidratarci dovremo anche reintegrare velocemente degli zuccheri. In questo caso, come ad esempio durante una competizione, assumere una bevanda energetica può essere molto utile. Una soluzione con zuccheri infatti riesce a velocizzare lo svuotamento gastrico, riducendo così i rischi di una ipoglicemia. Una miscela di glucosio e fruttosio è da prediligere rispetto alla sola acqua o al solo glucosio, questi zuccheri semplici infatti, utilizzano dei “trasportatori” differenti tra loro, permettendo al muscolo di assorbirli più velocemente( è un po’ come utilizzare due autobus invece che uno, permettendo ai passeggeri di aspettare di meno alla fermata).

* Dopo l’allenamento, preferibilmente entro le due ore, cercate di reintegrare l’intera quota idrica persa, in questo caso a meno che non sia necessario un veloce recupero del glicogeno muscolare, prediligete solo acqua con un buon tenore di sodio, magnesio e potassio.


SUGGERIMENTI

Consumate bevande refrigerate (5-10 °C), in quanto sono assorbite più rapidamente dallo stomaco e dall’intestino tenue

Arrivate all’evento (competizione o allenamento) già ben idratati

Non bevete bevande energetiche ad alto contenuto di zuccheri, come cole o aranciate

Gli zuccheri presenti in una bevanda non devono superare l’8%, meglio se stanno intorno al 6%

Non consumate bevande gasate

Reidratatevi anche dopo aver terminato l’attività

L’acqua è l’unica integrazione di cui tutti hanno bisogno, adulti bambini e anziani, sia che si faccia sport ad alti livelli o semplicemente a livello amatoriale non è possibile rinunciare a questa regina di tutte le bevande


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FRANCESCO

CASAGRANDE CICLISTA


Come hai iniziato ad andare in bici e cosa rappresenta per te oggi? Ho iniziato a 11 anni seguendo le orme di mio fratello maggiore. Oggi per me la bici rappresenta un divertimento e un modo per mantenere la forma fisica.

delusione il secondo posto al Giro. Cosa provi oggi quando vai in bici? Divertimento, libertà.

Cosa manca, secondo te, al ciclismo di oggi del ciclismo di ieri? Il coraggio dell'impresa epica, purtroppo non se ne vedono molte!

Cosa ti ha spinto a montare su una mountain bike dopo aver dedicato la tua vita professionale alla bdc? La curiosità di una nuova sfida e la voglia di continuare ad andare in bici ma in maniera diversa.

Qual’è l’innovazione tecnologica dei nostri giorni che avresti voluto avere quando correvi tu? Sicuramente la bici più leggera e anche il cambio elettronico.

Consiglieresti ad un giovane di intraprendere il ciclismo come sport e che consigli gli daresti? Lo consiglierei sicuramente e gli direi di dedicarsi con passione e dedizione.

Per te che hai corso tutti i tre grandi giri a tappe, quale ti ha dato le emozioni e le motivazioni più forti? Il Giro d'Italia perché correre nel proprio paese è sempre emozionante, ma anche il Tour per la risonanza internazionale.

Ci racconti un aneddoto? L'aneddoto che ricordo con più affetto è sicuramente il podio dell'Abetone quando ho indossato la mia prima maglia rosa davanti ai miei tifosi e con mia figlia sul podio.

La tua più bella vittoria… la tua più grossa delusione e il tuo più grosso rimorso… Le vittorie più belle sono due la tappa del Giro all'Abetone e la Freccia Vallone, la più grande

Se avessi la classica bacchetta magica cosa faresti per aumentare la sicurezza di chi va in bici? Creare più piste ciclabili.


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IL POTERE

DELLA

MOTIVAZIONE COME ANDARE NUDI IN BICI E NON FARSI DENUNCIARE PER ATTI OSCENI DI MARCO NUSTRINI

Se vi dicessi di girare nudi in bici per strada e cantare a squarciagola, lo fareste? Penso di no, ed è perché non avete una buona motivazione a farlo, per non considerare la denuncia per atti osceni che solleverebbero immediatamente i vostri vicini. Banalmente non vi sto istigando a farvi arrestare / denunciare per atti osceni, tantomeno condurvi al naturismo, ma vorrei spingere la riflessione che con una buona motivazione, sono sicuro, riuscireste a fare qualsiasi cosa. Al contrario laddove non aveste una buona motivazione probabilmente non avreste stimoli a portare a termine un compito o a raggiungere un obiettivo. A mio parere, la prima grande regola, che ci può dare la spinta a reagire a qualsiasi negatività che si frapporrà tra voi e la voglia d'inforcare la vostra bici e godersi una bella girata, è nel trovare la motivazione. Ci sono moltissimi modi su come arrivare a trovare le motivazioni giuste e poter scegliere

di fare quello che più ci piace o a cui aspiriamo. Il ciclismo è uno sport molto duro che richiede molto tempo e sacrificio a chi lo pratica, quindi avere i giusti stimoli aiuta ad non affievolire la nostra volontà nel voler uscire e allenarsi. Un primo punto fondamentale è quello di fissarsi degli obbiettivi a breve termine, obiettivo è un termine soggettivo: per un agonista potrebbe voler dire partecipare ad una gara mentre per chi si allena per diletto, potrebbe voler dire poter partecipare ad una manifestazione sportiva cui si tiene particolarmente cara e sentita, persino perdere peso può rappresentare un obiettivo a breve termine, che potrebbe essere tradotto in perdere una parte dei kg totali che si vogliono perdere. Fissare un obiettivo a breve termine permette di essere contrati e motivati nell’immediato non rimandando a date da destinarsi la



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verifica degli obiettivi raggiunti. Ma questo non basta, potrà succedere che una volta rientrati a casa dopo una giornata di lavoro particolarmente dura, di non aver voglia di cambiarci e partire, ma non diamola vinta alle tentazioni che offre il divano. Questa situazione viene chiamata in gergo “il senso della bilancia”, ovvero, la nascita della motivazione derivante dal fatto che quando le ragioni per cui facciamo qualcosa sono più forti di quelle per cui non dovremmo farla, quell'ago della bilancia che in qualsiasi momento potrebbe spostarsi da una parte all'altra pregiudicando o favorendo la nostra uscita in bici. Pensiamo al bene che faremmo alla nostra salute ed all’effetto distensivo che lo sport ha su ognuno di noi, persino nel alleggerire la pesantezza di una pesante giornata di lavoro. Questo vuol dire trovare un senso nel fare le nostre uscite e nello stesso tempo essere felici nel farlo, solo cosi saremo carichi al punto

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giusto nel voler durare fatica senza avere quel senso di sopraffazione che la fatica stessa spesso innesca. E perché non premiarsi per il lavoro svolto? Dare alla nostra sessione sportiva svolta un ulteriore stimolo positivo, il famoso REGALINO. Cercare di premiarsi concedendosi piccoli premi legati al nostro sport, tanto per fare un esempio, una nuova coppia di ruote, un nuovo accessorio per la bici, un capo d'abbigliamento, oppure un casco o un paio di scarpini nuovi, situazioni che non lasciano scampo e ci danno la voglia di voler provarli il prima possibile. Per ultimo lascio la mia testimonianza, la mia esperienza da corridore. Vorrei raccontarvi di come mi organizzavo per crearmi i miei stimoli positivi, che servivano, non solo per iniziare una stagione ma soprattutto per riuscire a portare a termine una stagione sportiva molto stressante fatta di allenamenti pesanti, gare, spostamenti, viaggi e contornata più che altro dai pochi successi alternati dalle molte


La forza è dentro di noi. delusioni. Se non avessi avuto una forte motivazione e determinazione probabilmente non sarei mai riuscito a far nulla. Durante l'anno, cercando di far frutto degli insegnamenti ricevuti, avevo l’abitudine di dividere i miei allenamenti in settimane, micro cicli, durante i quali mi ponevo un obbiettivo che di solito culminava con una gara. Nel corso del micro ciclo cercavo di scegliere strade sempre nuove, molto simili a quelle che poteva essere il percorso della gara in modo da non annoiarmi ed aver sempre lo stimolo di uscire in bici qualsiasi fossero le condizioni meteo. In alcuni casi è dura allenarsi per cinque/sei ore e anche più sotto la pioggia e poco meno di una decina di gradi di temperatura, ma allora avevo una ottima motivazione, volevo sentirmi realizzato, vincere e tenermi in forma. È questo ciò che mi spingeva a superare l’inerzia.

Nel frattempo, ulteriore motivazione la trovata nel fantasticare su quello che poteva essere l’andamento e lo svolgimento tattico della gara, dove avrei potuto attaccare per avere successo o dove sarei dovuto stare attento per rispondere ad un attacco da parte di un avversario e poi cercare di capire gli avversarsi stessi che avrei potuto incontrare e chi potesse essere quello piu in forma da controllare. Questo mi aiutava a migliorarmi, allenarmi ed essere sempre attento alle mie reazioni psicologiche. Questo atteggiamento continuo, non solo mi permetteva di essere concentrato sugli obiettivi a breve termina ma anche su tutto il resto della stagione cominciando proprio dalla preparazione invernale, cercando sempre di dare nuova linfa a quella voglia di fare sempre cose nuove , rinnovare quegli stimoli che mi permettevano d'affrontare settimana dopo settimana, mese dopo mese tutte le fatiche di una stagione intera.


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FRATTURE

DA STRESS L’ARTO INFERIORE NEI RUNNERS DI FEDERICO MARIA SACCHETTI


Le fratture da stress, dette anche fratture “da fatica”, sono delle lesioni causate da microtraumi ripetuti su un osso di normale resistenza meccanica. Il sovraccarico funzionale, legato nella maggior parte dei casi ad un rapido incremento del livello di attività, provoca delle micro-fratture che in assenza di un adeguato periodo di riposo si sommano fino a provocare un interruzione della continuità dell’osso. Nei runners queste lesioni sono particolarmente frequenti e rappresentano circa il 5-15% di tutti gli infortuni. Le sedi più frequentemente colpite sono la tibia, i metatarsi (in particolare il secondo ed il terzo) ed il perone.

Numerosi sono i fattori di rischio che possono favorire la comparsa di una frattura da stress: Tipologia di allenamento: un improvviso incremento dell’intensità e della frequenza degli allenamenti

oppure un allenamento irregolare o troppo “rigido” rappresentano il principale fattore di rischio. Tono muscolare inadeguato o scarso allenamento: un buon tono muscolare ed una adeguata preparazione atletica sono fondamentali poiché il muscolo ha un azione “protettiva” sull’osso contribuendo in maniera significativa a ridurre le sollecitazioni meccaniche. Calzature o terreni inadeguati: una scarpa poco ammortizzata od usurata non svolge la sua fondamentale funzione di dissipare ed assorbire l’energia meccanica, in particolare quando l’allenamento viene eseguito su terreni particolarmente rigidi come l’asfalto. Alimentazione: un inadeguato apporto di nutrienti può alterare il metabolismo dell’osso e ridurre la densità minerale e la resistenza meccanica. Fattori predisponenti anatomici: la conformazione degli arti inferiori può alterare la distribuzione del carico e favorire l’insorgenza di fratture. In particolare il piede piatto ed il piede cavo, il piede pronato, un anormale lunghezza del II e III metatarso, il ginocchio valgo e la dismetria degli arti inferiori (ossia avere una “gamba più corta”). Il sintomo principale lamentato dall’atleta è il dolore. Un dolore continuo, di bassa intensità che peggiora con l’attività sportiva, spesso associato a zoppia e gonfiore della regione colpita. In alcuni casi, a seguito di uno sforzo intenso, di un salto o di uno scatto può peggiorare improvvisamente e costringere l’atleta a sospendere l’attività e a rivolgersi ad un medico. La diagnosi non è semplice e va sempre sospettata indagando in modo approfondito sulle abitudini del


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paziente e sulla presenza dei fattori di rischio precedentemente elencati . Alla visita è possibile evocare la sintomatologia dolorosa palpando la regione interessata e si può apprezzare un lieve gonfiore. Molto utile per le fratture da stress dell’arto inferiore è lo “skipping rope test” (hop test), ossia si chiede al paziente di eseguire un piccolo salto sul posto con un solo piede, il test è positivo quando il paziente non riesce ad eseguire il salto o se il salto intensifica la sintomatologia. Nella maggior parte dei casi una semplice radiografia consente di confermare il sospetto diagnostico poiché ci fa apprezzare una zona di “radiotrasparenza” od una vera propria linea di frattura, a volte associata alla presenza di iniziale formazione di “callo osseo”. Purtroppo nelle fasi iniziali della patologia (2-4 settimane

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dall’insorgenza dei sintomi) la classica radiografia può essere negativa, in questi casi è estremamente utile la risonanza magnetica che ci permette di apprezzare la presenza dell’ “edema”, ossia la presenza di un versamento “liquido” all’interno dell’osso e nei tessuti vicini. Il trattamento di queste lesioni consiste nel riposo, nella riduzione parziale del carico sull’arto affetto utilizzando dei bastoni canadesi (stampelle) e nel controllo della sintomatologia dolorosa con farmaci (ad esempio paracetamolo e tramadolo). A questo trattamento va aggiunta la fisiochinesiterapia per il mantenimento della funzione delle articolazioni e del tono muscolare; negli atleti professionisti per il mantenimento della forma fisica può essere utile aggiungere un’attività sportiva a

basso impatto e fuori carico come il nuoto. Per rendere il recupero più rapido si possono associare i campi magnetici pulsati ed una terapia iniettiva con Bifosfonati (farmaci normalmente utilizzati per il trattamento dell’osteoporosi) che riducono il versamento all’interno dell’osso e stimolano i processi di guarigione. L’immobilizzazione con gesso o tutore è solitamente controindicata per il deleterio effetto sulle strutture muscolari, tendinee e capsulo-legamentose, ma in alcuni distretti come lo scafoide del tarso, i sesamoidi e la regione posteriore della tibia può essere necessario per evitare le complicanze, ossia la mancata guarigione e la scomposizione dei frammenti di frattura. Infine, per alcune fratture da stress, come quelle del collo del femore e


della base del V metatarso, in cui il rischio di mancata guarigione è particolarmente elevato può essere necessario un intervento chirurgico di osteosintesi. Il periodo necessario per la guarigione della frattura è variabile della 4 alle 12 settimane in base al distretto. Ad esempio una frattura da stress di un metatarso guarisce in media in 3-6 settimane, mentre una frattura del femore o della pelvi ha bisogno di 6-12 settimane. Il ritorno all’attività sportiva è possibile mediamente tra le 4 e le 17 settimane. Il paziente può riprendere l’allenamento dopo circa 2 settimane dalla completa scomparsa della sintomatologia dolorosa. Per la decisione sul momento più opportuno per la ripresa dell’attività può essere utile il supporto delle radiografie, che ci consentono di valutare l’evoluzione della formazione del callo osseo, o

della risonanza magnetica, che ci consente di notare la graduale scomparsa dell’edema. La ripresa dell’attività deve essere progressiva con un incremento dell’intensità e della durata degli allenamenti di circa il 10% a settimana. Per la prevenzione di nuovi episodi è importante analizzare e correggere ogni singolo fattore di rischio con l’aiuto del medico, del fisioterapista e del preparatore atletico. Ad esempio, può essere utile modificare frequenza e intensità degli allenamenti, aggiungere esercizi per il potenziamento muscolare, correggere il gesto atletico, cambiare le calzature ed usare un plantare di sostegno delle volte del piede, modificare la sede degli allenamenti (dalla strada alla pista), consigliare l’assunzione di integratori a base di calcio e Vitamina D e correggere l’alimentazione con l’aiuto del nutrizionista.


Maurizio Seneci Marco Lombardi Francesca Andina Luca Melli Giorgio Aprà Davide D'Aiello Francesco Chiazzolla Federico Maria Sacchetti Matteo Maria D'Anella Daniele Peluso Alessio Franco Marco Nustrini Marco Locatelli Oltre che Fabio Barnaba Visual Design Imma Rianna Il Magazine Runners & Bikers Italian Live Sport è proprietà del Gruppo Runners & Bikers Italian Live Sport. Ne sono vietate le copie e le traduzioni totali o parziali. GRUPPO RUNNERS & BIKERS ITALIAN LIVE SPORT Il gruppo Runners & Bikers Italian Live Sports è reperibile all’indirizzo email runnersbikers@gmail.com Seguici anche su


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