COME Lo stile del cristiano

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Luigi Schiatti

«Ama il prossimo tuo come te stesso». Ma: che cosa devo fare per amarlo? L’amore non sta solo nel compiere gesti di attenzione verso qualcuno; è innanzi tutto un modo di vivere, che parte da un personale rapporto costante con Gesù. Scriveva Don G. Moioli: «Prima che un insieme di gesti, la carità è un modo di essere: il modo di essere di una persona che è “come Cristo”, che vive di Lui e con Lui».

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Lo stile del cristiano



Luigi Schiatti

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Lo stile del cristiano

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INDICE PRESENTAZIONE ................................................................ pag.

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PREGHIERA SACERDOTALE DI GESÙ ....................... pag. 5 APPROFONDIMENTI .................................................. pag. 7 Giovanni 17 è… Quasi un testamento Il brano si presenta diviso in 3 parti QUALCHE INSEGNAMENTO ...................................... pag. 14 AMARE… COME… ............................................................... pag. 16 AMA IL PROSSIMO COME TE STESSO ........................ pag. 18 AMATEVI COME IO HO AMATO VOI ......................... pag. 20 SE QUALCUNO… ................................................................ pag. «CENERÒ CON LUI…» ............................................... pag. I VERBI DI DIO ........................................................... pag. I VERBI DELL’UOMO................................................... pag.

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GESÙ SCANDALIZZA I SUOI ........................................... pag. GESÙ TRA I SUOI......................................................... pag. GESÙ… TRA NOI ........................................................ pag. E IO…? ........................................................................ pag.

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ZACCHEO, PIENO DI GIOIA ........................................... pag. 40 ZACCHEO E APOCALISSE 3, 20 ................................. pag. 41 Due rilievi AMORE SOLIDALE............................................................... pag. 47 SALE ............................................................................. pag. 49 Le funzioni Le condizioni LUCE ............................................................................ pag. 52 Le funzioni Le condizioni 2


PRESENTAZIONE

Nel quaderno Seguimi ho indicato un itinerario che – per me – è valido per chi intende percorrere un cammino più impegnativo di vita cristiana. Si tratta di indicazioni, di passi da compiere. Però Gesù ha detto: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7, 21). Dunque, adesso bisogna scendere nel concreto e impegnarci a vivere ferialmente le indicazioni suggerite in Seguimi. In questo nuovo quaderno prenderò in considerazione alcuni aspetti della vita normale e chiederò a Gesù: «Tu, Gesù, come vuoi che io affronti e viva la quotidianità della mia vita?» Può sembrare esagerato, eppure è vero: la vita cristiana è semplice, molto semplice: si riduce a… COME! È proprio così: ogni scelta e azione è “cristiana” se è vissuta… “come” Gesù desidera. È interessante notare quante volte nei Vangeli si trova: “come” per indicare la strada giusta. Riporto alcune citazioni evangeliche sperando che poi ciascuno di noi rifletta sul come Gesù gli chiede di comportarsi per essere davvero “dei Suoi”. È soprattutto l’evangelista S. Giovanni che nel suo Vangelo dà alla parola “come” il valore straordinario che ha sulla bocca di Gesù: «Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre» (10, 14-15). «Vi do un comandamento nuovo… Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (13, 34). «Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi» (15, 9). «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore» (15, 10). «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (15, 12). «Padre santo, custodiscili nel tuo nome… perché siano una cosa sola, come noi» (17, 11). «Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo» (17, 16). «Come Tu, Padre sei in me e io in te, siano anch’essi in noi» (17, 21). «Il mondo conosca… che li hai amati come hai amato me» (17, 23). 3


«Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (20, 21). Quindi: il cristiano è chiamato a vivere come Gesù vuole, altrimenti è un… “cembalo squillante” – direbbe S. Paolo. Cerchiamo ora di conoscere i contenuti del “come”, incominciando dalla preghiera di Gesù al Padre, contenuta nel capitolo XVII di S. Giovanni. Contempliamo Gesù in preghiera e chiediamoci: come Gesù ha pregato il Padre?

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PREGHIERA SACERDOTALE DI GESÙ

Ho ritenuto opportuno iniziare questa raccolta di riflessioni con il tema della PREGHIERA, perché è l’atto primo di un cristiano. E, per essere in sintonia con l’argomento di fondo del libretto, mi chiedo: – Gesù chi ha pregato? – Per chi o per che cosa ha pregato Gesù? – Come Gesù ha pregato il Padre? Se la mia e la nostra preghiera non imita, o almeno non cerca di ispirarsi a quella di Gesù, ovviamente… è poco cristiana. Tra i numerosi esempi di Gesù in preghiera, ho scelto quello più famoso, più solenne o, direi, completo come modello di ogni preghiera rivolta da Gesù al Padre., la grande “preghiera sacerdotale” contenuta nel cap. 17° del Vangelo di S. Giovanni. Riporto il testo, affinché ciascuno la possa leggere con calma, nel silenzio; perché la possa addirittura contemplare e possederla nel suo cuore. Poi tenterò di approfondirne la conoscenza dei contenuti e la struttura, per aiutare e facilitarne la riflessione e il godimento spirituale. Ecco il testo del capitolo di Giovanni: «Così parlò Gesù. Poi, alzati gli occhi al cielo, disse: “Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse. Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glo5


rificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità. Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me. Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro». LOCALIZZIAMO IL TESTO I capitoli 13-17 del Vangelo di Giovanni narrano l’ultimo atto della vita di Gesù prima della Passione, che inizia col cap. 18. In essi S. Giovanni ci fa vedere e udire Gesù nel momento culminante dell’Ultima Cena. Sono capitoli interessantissimi, quasi un testamento: raccontano la lavanda dei piedi, il precetto dell’amore vicendevole, il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro, per concludere con l’immagine della vite e dei tralci. 6


Il cap. 17 precede immediatamente il racconto della Passione: ci presenta la preghiera più contemplativa di Gesù, detta comunemente “preghiera sacerdotale”. Credo che non sia possibile “spiegarla”: ogni parola di commento corre il rischio di rovinarla. Va contemplata nel cuore, cioè va letta, riletta; bisogna fermarsi quasi sulle singole parole, specialmente sui verbi e sui sostantivi che usa S.Giovanni nel tentativo di esprimere appieno e con intensità il suo pensiero. Sarà lo Spirito Santo a illuminare la mente e a riscaldare il cuore di chi legge per trasformare in preghiera gaudiosa la elevazione di Gesù al Padre. APPROFONDIMENTI GIOVANNI 17 È… …l’espressione più profonda di Gesù Cristo, il Figlio del Padre e Verbo fatto uomo. Mi spiego. Il “LOGOS” (Verbo – Parola) è Dio-comunicato. Dio non poteva non-comunicarsi: sarebbe stato l’egoismo assoluto, ossia chiuso in se stesso; quindi non sarebbe stato Amore e Comunione. In Giovanni 17 Gesù autodefinisce se stesso: è Comunione col Padre. Si riconosce come Dio che si comunica: in Sé (Dio è Unità nella Trinità!) e fuori di Sé (=Dio Incarnato). Il Logos diventa allora “dia-logos col Padre” a vantaggio di noi uomini. Per tale motivo Giovanni 17 è nello stesso tempo l’autopresentazione da parte di Gesù della propria identità (=Logos del Padre, Dio-comunicato) e della propria missione (= essere ponte, luogo della comunicazione tra il Padre e noi uomini). Capito così, Giovanni 17 non è una “preghiera” (intesa come invocazione – richiesta al Padre), ma è la più alta glorificazione (= proclamazione) della comunione reale e infinita tra Dio Padre e il Figlio (il Logos), affinché anche noi uomini partecipiamo e condividiamo, in Cristo, la comunione col Padre. Questa è la nostra piena realizzazione, la nostra felicità, addirittura il nostro Paradiso anticipato. 7


QUASI UN TESTAMENTO Il cap. 17 ci dice l’ultima parola che Gesù “consegna” ai Dodici, quasi un vero testamento prima della Passione. Pertanto – ripeto e insisto – ogni parola va… pensata, non solo letta; deve essere approfondita, “gustata” spiritualmente; quindi richiamata spesso al nostro cuore come viatico. È augurabile che ciascuno di noi ritorni frequentemente a questa pagina del Vangelo nella preghiera silenziosa e si lasci intridere il cuore dai sentimenti di Gesù, che sono innanzi tutto: COMUNIONE È il contenuto più profondo della preghiera di Gesù: Comunione di Gesù col Padre; Comunione dei discepoli con Dio Padre, per mezzo di Gesù, anzi IN Gesù; Comunione tra il Padre e gli uomini, per mezzo dei discepoli, ma IN Gesù. GLORIA Il fine della triplice comunione è la gloria di Dio Padre e del Figlio, il Verbo Incarnato, Gesù. All’inizio della preghiera più volte S. Giovanni usa il verbo “glorificare” e al v. 5 usa espressamente il termine “gloria”, quasi per riassumere ed esprimere con chiarezza il significato del verbo corrispondente. Al termine della preghiera l’evangelista parla ancora due volte della “gloria” (v. 22 e v. 24). Forse vuol dirci che tutto parte dalla gloria di Dio e ancor più vuol esprimere con forza che tutto tende alla gloria del Padre e del Figlio. IL BRANO SI PRESENTA DIVISO IN TRE PARTI – vv. 1-5: Gesù chiede al Padre la glorificazione della sua umanità e l’accettazione da parte del Padre del suo sacrificio in Croce. – vv. 6-19: Gesù prega per i suoi discepoli, affinché proclamino la sua opera redentrice. – vv.20-26: Gesù chiede al Padre l’unità di tutti i credenti, affinché il mondo creda che il Verbo, il Figlio, si è incarnato per volontà del Padre. 8


COMUNIONE PADRE-FIGLIO (vv. 1-5) È la parte più profonda e più intima della preghiera: qui Gesù esprime se stesso, la sua identità. v. 1: «Alzati gli occhi al cielo» Altre volte la Scrittura usa espressioni simili per esprimere apertura a Dio. Qui Gesù ci dice che Egli in questo momento è testimone particolare dell’invisibile. «È venuta l’ora» È il momento che segna la conclusione, la pienezza della sua missione: la salvezza degli uomini mediante la sua morte in croce, perché questa è la volontà del Padre ed è lo scopo per cui si è incarnato. UNA PRECISAZIONE GLORIFICARE – Il testo latino dice: “clarificare”, ossia: rendere chiaro e luminoso, rendere manifesto, far sapere, proclamare con solennità e ad alta voce… la gloria di Dio. che qui significa lo splendore, la potenza, l’amore, che sono propri di Dio Padre e del Figlio. Gesù domanda al Padre che faccia sapere a tutti che Lui, il Figlio, ha realizzato pienamente la volontà del Padre, cioè la salvezza degli uomini: «Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare» (v. 4). Così Gesù stesso proclamerà l’essere di Dio, ossia che Dio è Amore sempre, sempre! In questo consiste la gloria del Padre. v. 3: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.» La “Vita eterna” consiste nel conoscere Dio Padre e il Figlio, che incarnandosi è diventato Gesù Cristo, ossia il Messia annunciato dai Profeti e atteso, e soprattutto l’unico Salvatore di tutti gli uomini di tutti i tempi. Nella misura in cui uno “conosce” il Padre e il Figlio vive già adesso la vita eterna. È importante ricordare che per la Parola di Dio il verbo “conoscere” non esprime solo un atto della mente, ma significa anche un rapporto interiore tra persone, un rapporto profondo, spirituale e coinvolgente. 9


v. 5: «E ora, Padre, glorificami davanti a te…» È quasi un invito al Padre a rendere noto a tutti che anche Lui è Dio, è una Persona della Trinità, anche se si è fatto uomo; quindi anche a Lui spetta la stessa gloria del Padre, … fin dall’eternità. COMUNIONE PADRE-DISCEPOLI (vv. 6-19) Ora Gesù prega il Padre per i discepoli, per “i Suoi”. Chiede per loro tre doni: l’unità tra di loro – la difesa dal maligno – la verità. UNITÀ Il primo dono che Gesù chiede al Padre per i discepoli è l’unità tra di loro, che si può realizzare solo “in noi”, ossia solo nella misura in cui i discepoli vivono “IN Cristo”, quindi con il Padre! Non esiste altra unità reale, certa e sicura! L’unità è la condizione necessaria – dice Gesù poco più avanti – affinché il mondo creda in Dio Padre e nel Figlio Incarnato per volontà del Padre: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (v. 21). Si parla di “unità”, non di semplice “unione”, la quale esprime solo un rapporto… morale, di intenti, di scopo (v. un’associazione o una società). Nemmeno si parla di “unicità”: questa elimina le specificità, ogni diversità, che sono sempre una ricchezza. v. 11b: «Padre Santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi». Il nome di Dio è la radice e il fondamento dell’unità – dice Gesù – . E “il nome di Dio” significa ed esprime “la realtà stessa di Dio”. Dunque, modello e fondamento dell’unità tra i discepoli è la comunione tra il Padre e il Figlio. Qui si vede tutta l’importanza della prima parte della preghiera sacerdotale di Gesù. DIFESA DAL MALIGNO v. 14: «Il mondo li ha odiati perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno». L’espressione «non sono del mondo» richiede una spiegazione. 10


“Mondo” è tutto quello che rifiuta Dio, che si disinteressa di Dio (Questo è il significato secondo l’evangelista Giovanni). Quindi “mondo” è il regno, lo spazio di Satana. Normalmente “del mondo” significa: proprietà del mondo, che si rifà al mondo, che dipende dal mondo. Quindi: è proprietà del diavolo, perché – dice S.Giovanni – il mondo è lo spazio del diavolo, dove vuol dominare ad ogni costo su tutto e su tutti. Ma il testo latino dice: “de mundo”, che significa: «non derivano dal mondo, non ricevono né autorità né valore dal mondo», anzi: «non traggono dal mondo la loro felicità». Per questo il mondo li odia, li rifiuta, perché non pensano secondo i criteri di chi rifiuta Dio, o almeno non si rifà a Dio nel suo modo di pensare e quindi di vivere. Gesù prega così: «Padre, da’ loro la forza di non cedere alle lusinghe del mondo, di non pensare come pensano gli uomini del mondo, ossia: aiutali a non cedere alle lusinghe di Satana». Come? Mantenendoli nella Verità, che è il pensiero e la volontà del Padre! VERITÀ v. 17: «Consacrali nella verità. La tua parola è verità» v. 19: «Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità». Ancora una volta devo riferirmi al testo latino. Usa il verbo “santificare”, che significa precisamente: offrire qualcosa a Dio (= consacrare) sottraendola agli usi profani. Nel nostro caso allora vuol dire: «Padre, aiutali a sottrarre il loro modo di pensare, il loro cuore, la loro volontà e la loro vita all’influsso di Satana e del mondo per offrirli a te, Padre». C’è di più: a questo punto della preghiera Gesù stesso in persona si mette in gioco dicendo: io per primo ho vinto il diavolo, mi sono sottratto alle sue lusinghe (vedi le tentazioni di Gesù nel deserto), per essere modello e forza per loro. E mi sono tutto… donato (= consacrato) al Padre. Qui è doveroso pensare al nostro Battesimo. S. Tommaso definisce il Battesimo: «Allontanarsi dalle creature per riferirsi completamente a Dio» (Aversio a creaturis et conversio ad Deum). 11


«La tua parola è verità» (v. 17) Se è vero quanto detto sopra, vuol dire che anche per noi, come per i discepoli a cui si riferisce Gesù, per allontanarci dal modo di pensare del mondo, è necessario, indispensabile aprirci alla Parola di Dio, anzi, “ruminarla” ogni giorno! …E CON TUTTI I CREDENTI (vv. 20-26) La terza parte della preghiera è tutta centrata sul Figlio, il Verbo Incarnato, Gesù Cristo. In un certo senso tutta la preghiera sacerdotale è finalizzata a Gesù, in particolare alla sua missione: «Perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (vv. 20, 23, 25) Allora l’amore del Padre potrà raggiungere tutti gli uomini e vivere, operare in ogni uomo: «e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me» (v. 23) Questo si raggiunge mediante la comunione di tutti i credenti: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola (v. 21). E la comunione tra i fratelli si ottiene mediante l’annuncio della Parola, compito dei discepoli. Quindi, primo impegno dei discepoli è quello di essere missionari, nel nostro luogo quotidiano di vita, nel nostro lavoro o professione dove la Provvidenza ci ha messo a vivere per santificarci. vv. 24-26: Solenne conclusione Tre parole esprimono – a mio parere – la meta a cui tende tutta la preghiera e la pienezza del disegno di Dio: Conoscenza – Amore – Gloria. CONOSCENZA Negli ultimi due versetti (25 e 26) S. Giovanni usa il verbo conoscere per ben 4 volte, per indicare che l’unità passa necessariamente attraverso questa azione. Ricorda che “conoscere” è un verbo che si usa solo quando si parla di persone e indica un rapporto spirituale, profondo e sempre coinvolgente tra due o più persone! AMORE Il v. 26 recita: «perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro». 12


Così termina la preghiera: l’amore che unisce il Padre e il Figlio sia presente allo stesso modo in ogni credente. Va ricordato però che noi, quando parliamo di “amore”, comprendiamo sempre una reciprocità, quindi anche un ritorno a proprio vantaggio: amo e chiedo che anche l’altro mi ami. Invece il testo latino usa il termine: “dilectio”, che significa: amore unidirezionale, amare senza aspettare un ritorno; amore che ha come fine il “TU”, non come un boomerang: amare affinché l’amore torni a mio vantaggio. Anzi, più propriamente, l’amore di cui parla il Vangelo significa: scegliere l’altro per il suo bene, tirarlo fuori dal gruppo perché si vuole solo la sua felicità. Così ci ama Dio Padre in Cristo Gesù. GLORIA Il v. 24 dice: «…perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato». Ancora una precisazione linguistica: il testo latino usa il termine “claritatem”, che in italiano è tradotto con “gloria”, ma che in realtà significa: far conoscere, rendere chiaro e manifesto, proclamare. In altre parole, Gesù chiede al Padre che tutti i fedeli credenti abbiano a conoscere e a proclamare ad alta voce che Egli è il Figlio di Dio, che si è fatto uomo, affinché l’Amore di Dio viva in ogni cuore. v. 24: «Voglio…» Un commentatore osserva che è l’unica volta in cui Gesù, rivolgendosi al Padre, usa questa voce verbale che esprime un comando. Lo spiega così: in questo momento Gesù è così unito, così in comunione col Padre, che osa rivolgergli quasi un comando, perché adesso le due volontà sono perfettamente unite, anzi sono fuse in un’unica volontà: la reciproca glorificazione del Padre e del Figlio. PER FINIRE Mi piace concludere la riflessione sul cap. 17 di Giovanni riassumendo gli ultimi versetti (vv. 24-26) in quattro parole, due verbi e due sostantivi: Due verbi: conoscere (è il mezzo) amare (è il fine) Due sostantivi: nome (è il mezzo) gloria (è il fine) 13


QUALCHE INSEGNAMENTO 1 – Pregare è un’esigenza filiale: se credo che Dio mi è Padre, oltre che mio creatore, sento la “necessità” di ringraziarlo e di lodarlo. Questo è il DNA della preghiera. La preghiera, personale e cristiana, non è mai un obbligo e non nasce affatto da un interesse mio; è sempre innanzi tutto un’apertura del cuore a Dio Padre; anzi, è un’esplosione di gioia e di ringraziamento perché Dio c’è ed è Padre, perché io ci sono ed esisto per Suo amore. Anche quando è una preghiera di domanda, e magari sofferta, è sempre una lode a Dio Padre. È, in fondo, un desiderio di Dio, cioè un affermare fortemente e con gioia un mio bisogno insopprimibile di Dio. Questo per riconoscermi e sentirmi persona viva. Quindi, sempre, anche nella sofferenza, la nostra preghiera sia in ogni circostanza: “Grazie, Signore”. 2 – Lo scopo di ogni preghiera personale e comunitaria è sempre la gloria di Dio, ossia riconoscere e proclamare in ogni situazione che Dio è Amore. Penso che la preghiera che io come cristiano devo avere sempre sul labbro sia una salmo così detto “laudativo”, uno degli ultimi del Salterio; uno come esempio: «Loda il Signore, anima mia; loderò il Signore per tutta la mia vita; finché vivo canterò inni al mio Dio…» (Salmo 145). Oppure il Gloria della Messa, o il Magnificat, l’esplosione di lode a Dio da parte di Maria SS. 3 – Pregare comprende anche il chiedere qualcosa a Dio. La preghiera sacerdotale ci insegna che innanzi tutto è buona cosa domandare la gloria del Padre e di Gesù; poi gli altri beni, fino alle necessità umane. Anche la preghiera di domanda è un’espressione autenticamente umana: ogni bambino chiede tutte le volte che ha bisogno! Piangere durante la preghiera e chiedere con insistenza qualche grazia non è affatto umiliante per l’uomo.È riconoscere in verità che l’uomo non ce la fa da solo: è riconoscere che solo Dio lo può realizzare davvero, perché ogni uomo è “immagine e somiglianza di Dio”: ossia costatare che l’uomo è inevitabilmente dipendente da Dio. 14


Ognuno ha il suo modo personalissimo e inconfondibile di pregare; qui mi limito a riportare una semplice preghiera, una sola, breve e riassuntiva. È di Padre Gaston Courtois, uno speciale formatore di persone apostoliche, morto nel 1970. Egli stesso la recitava tutti i giorni negli ultimi anni di vita e invitava molti a recitarla: O Gesù,concedimi di essere in te e per te ciò che tu vuoi che io sia, di pensare in te e per te ciò che tu vuoi che io pensi. Concedimi di fare in te e per te tutto ciò che vuoi che io faccia. Concedimi di dire in te e per te ciò che tu vuoi che io dica. Concedimi di amare in te e per te tutti coloro che mi dai da amare. Dammi il coraggio di soffrire in te e per te, con amore, ciò che tu vuoi che io soffra. Fammi cercare te, sempre e dappertutto, affinché tu mi guidi e mi purifichi secondo il tuo divino volere.

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AMARE… COME…

È necessario pregare. Ed è bello, normalmente. Ma non posso passare tutto il tempo a pregare: devo vivere, operare, agire, rapportarmi con i fratelli. C’è qualcosa che determina il vivere “da cristiano”, e non solo “da uomo”? Quanto entra il mio rapporto personale con Gesù nella vita normale, quella di ogni giorno? È certo che devo ispirarmi agli insegnamenti e all’esempio di Gesù. E come vedo e tratto coloro che incontro nel mio vivere al lavoro,nella società e nella stessa famiglia? Li vedo come amici o antagonisti? Come sono i miei rapporti con loro? Per viverli da cristiano , che cosa devo fare? Viverli con amore – dice Gesù. AMORE è parola esaltante, ma sfruttata e spesso è perfino “adulterata”. Tutti parlano di amore, ma è una parola usata con una gamma assai vasta: da un significato mistico, si scende giù, giù fino ad usarla con un significato perfino triviale. E poi, può avere contenuti molteplici: amore di amicizia, amore materno, filiale, coniugale, fraterno… C’è anche un amore cristiano, che si chiama “carità”. A noi interessa oggi questo amore specifico. Che cosa rende “carità” l’amore umano?. Come vivere la carità? Don Giovanni Moioli, sacerdote milanese e squisita guida spirituale, scriveva: «Prima che un insieme di gesti, la carità è un modo di essere: il modo di essere di una persona che è “come Cristo”, che vive di Lui e come Lui». Quindi, carità è innanzi tutto vivere IN Cristo! Nella Sacra Scrittura sono tanti gli inviti a vivere l’amore, la carità. Ne scelgo uno dal Vangelo di Marco: Marco 12, 28-31: «Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?” Gesù gli rispose: “Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi» 16


L’insegnamento in esso contenuto è solare: AMARE! Amare Dio e il prossimo. Ma: – È possibile amarli entrambi senza escludere l’uno o l’altro? – Bisogna amare di più Dio o il prossimo? – Come amarli? Per rispondere, leggiamo il brano nel contesto del Vangelo di Marco: – Siamo al cap. 12; il breve Vangelo di Marco volge al termine: manca solo la narrazione della settimana santa. Marco, pertanto, vuol proporre il cuore, il “succo” dell’insegnamento di Gesù, che è appunto l’insegnamento dell’amore. – Fino al cap. 8 Gesù si era presentato e fatto accettare mediante i discorsi e i miracoli, l’ultimo dei quali è quello del sordomuto, forse per insegnare che occorre ascoltare e annunciare il Suo Vangelo. – Sempre al cap. 8 (vv. 27-30) Gesù sottopone ad esame gli astanti e li impegna a vivere con coerenza: «La gente chi dice che io sia?». «E voi (apostoli)…?». «Se dunque mi conoscete – pare che dica Gesù –, impegnatevi a vivere secondo i miei insegnamenti. E non complicatevi la vita soffocandola con tanti precetti; semplificate la vostra condotta: per essere miei discepoli – dice Gesù – è sufficiente amare Dio e i fratelli». L’amore verso Dio è quello fondamentale, addirittura è la causa dell’amore verso il prossimo, cioè della carità! Oggi va richiamata con chiarezza questa verità. Ma, perché l’amore verso Dio sia concreto, mettilo alla prova – dice Gesù –: ama i fratelli, ama quelli che trovi sul tuo cammino. Bene! Siamo tutti d’accordo su questo: bisogna amarci, bisogna volerci bene! Che strano, però! Proprio a questo punto, quando pensiamo di essere tutti concordi, non ci intendiamo più! Chiediti: – Per me, che cosa comporta il “voler bene” nella vita quotidiana? – Che cosa devo fare o dare agli altri per cercare concretamente il loro bene? 17


– E poi, conosco davvero quale sia il bene “vero” per gli altri? Può essere la felicità, la giustizia, la libertà…; non certamente il piacere senza limiti e fine a se stesso. AMA IL PROSSIMO COME TE STESSO (Mc 12,31) Il Vangelo risponde con una sola parola, fino al punto di sembrare semplicistico o perfino irridente: COME! Sì, ama “come’! «Amerai il prossimo tuo come te stesso!» È questo stile di vita che fa crescere la comunione nelle varie comunità; addirittura è ciò che rende comunione una comunità! Esaminiamo questo “COME” e lasciamoci interrogare se davvero ci amiamo così… in famiglia, in parrocchia, al lavoro, tra amici… Avvio qualche approfondimento: Io mi amo come “persona” (quindi intelligente e libero) a “immagine di Dio”. Quindi, non come un essere fatto solo di istinto e materia, ma anche nella mia realtà spirituale e trascendente. Tutto questo non mi permette di “usare” gli altri, di manipolarli, di emarginarli, di sfruttarli…, di procurare solo o soprattutto il piacere loro… Invece mi invita a stimare ogni persona, a godere della sua amicizia e a collaborare, a scoprire le doti di ognuno, senza guardare da che parte stanno politicamente o anche ecclesialmente. Inoltre devo impegnarmi affinché cresca anche in loro l’immagine di Dio. Mi amo nella situazione concreta in cui vivo, da ricco o da povero, qui nella mia città, sposato o no, consacrato o no, nella gioia o nella sofferenza, giovane o anziano… Devo amare ogni uomo solo perché è uomo, nella sua situazione concreta; non perché è della mia razza, colore, religione…, non perché la pensa come me. Ovviamente, è “uomo” anche il bambino non ancora nato e chi è allo stato terminale! Gesù mi chiede di amare ogni uomo al di sopra di ogni circostanza contingente. Mi accetto e mi amo come sono. Anche con le debolezze e i difet18


ti (Però non li nego!), simpatico o antipatico, bello o brutto, intelligente o no, di sinistra o di destra, con il mio carattere e con le mie reazioni. Non dico: «Mi amerei se fossi più buono, più simpatico, senza difetti…» Allo stesso modo devo amare tutti i fratelli così come sono adesso e non per quello che vorrei che fossero. Guai se pretendessi di rendere tutte le persone simili a me, per rendere più facile un rapporto di amicizia o di amore! Dice Thomas Merton: Io sono il “sacramento dell’amore di Dio (e non “mio’) verso i fratelli”, ossia con la mia attenzione verso i fratelli sono segno… efficace (!) dell’amore di Dio verso quelle persone. Se rifletti, non è un’affermazione blasfema, perché la “carità” è lo stesso Gesù vivo che è presente in me e opera per mezzo della mia persona. Che stupore! Mi amo anche quando commetto il male e sono nel peccato. In forza della mia fede mi amo di un amore di “conversione” e non chiamo “bene” o “esigenza naturale” il male che responsabilmente compio: non lo nascondo né lo scuso! Riconosco il male che compio e chiedo perdono al Signore. Questo è l’amore di liberazione con cui mi amo. Non è vero amore verso il prossimo quello che non osa vedere il male che compie, o cerca di scusarlo sempre o di fingere di non vederlo. Lo aiuterò a prendere coscienza del male compiuto e a convertirsi al Bene, a Dio. Talvolta il Signore vuole servirsi di noi per donare il Suo perdono e la conversione a un fratello. Mi amo non in modo egoistico o egocentrico. Non mi ripiego su me stesso gustando il piacere di essere quello che sono, e nemmeno mi fermo sui miei pensieri a fantasticare sull’amore di Dio verso di me. Il mio amore, perché cristiano, è apertura a Dio e al prossimo. L’amore che porto al fratello non deve spingerlo a chiudersi in sé egoisticamente, pago di questo piacere; nemmeno deve pretendere che si rifletta esclusivamente su di me a “boomerang”. Il mio amore, se è autentico, lo spingerà ad aprirsi a Dio e ai fratelli, a impegnarsi nella società, e magari in qualche forma di volontariato. 19


Mi amo di amore rispettoso. Pertanto desidero: + essere trattato con giustizia e verità, + essere accettato amorevolmente dagli altri, + essere rispettato, + essere stimato per quel che sono, + essere aiutato a migliorarmi, e… perdonato – non essere sopportato, – non essere giudicato in base a pregiudizi, – non essere calunniato, – non essere sfruttato, – non essere usato o maltrattato – non essere emarginato dal gruppo, forse anche ecclesiale… Mi confonde il suggerimento del Vangelo: «Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro!» (Luca 6,31) Ciascuno può continuare con sincerità l’esame sull’amore verso se stesso e a raffrontarlo con il modo suo personale di amare gli altri. AMATEVI COME IO HO AMATO VOI (Gv 15,12) Non è sufficiente amare il prossimo come me stesso. È l’amore di Gesù in me che dà la forza, l’intensità e la qualità del mio amore verso i fratelli. Difatti Gesù ha affermato con chiarezza inequivocabile: Gv 15,12 «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi!» Gv 13,34 «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; COME IO vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri» Questa è la prova dell’autenticità del nostro vivere “da cristiani”. Gesù ci ama così: Amore che previene + Il Verbo si è fatto uomo, cioè si è “incarnato’; + Gesù non aspetta i peccatori: è Lui che va incontro alla Samaritana, a Zaccheo…; + «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (I Gv 15, 16) 20


+ «Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi» (I Gv 4, 10) + Non è cristiano attendere che il fratello mi interpelli con le sue necessità: spetta a me intravedere le sue povertà, i bisogni, individuare in che cosa, quando e come aiutarlo. Amore redentivo – Gesù ama l’uomo anche per liberarlo dal peccato, dal male, e riportarlo alla dignità di figlio di Dio. – Il nostro amore verso i fratelli comprende anche la grazia, cioè la vita divina, e il bene finale? Amore dialogante – Gesù va in cerca delle persone e dialoga con loro, guida il discorso per far conoscere il Padre e perché chi è interpellato riconosca in Lui il Figlio di Dio e il Salvatore. – Gesù dialoga con persone, non con angeli; quindi li ascolta nella loro realtà concreta, non usa schemi prefissati, tratta in modo diverso Zaccheo, la Samaritana, l’adultera, gli indemoniati… – E noi…? Li sentiamo nella loro situazione? La nostra attenzione ai fratelli, l’aiuto, l’amore verso di loro non permette di sentirci superiori, di dominarli, di plagiarli, di… convincerli che abbiamo ragione noi; non possiamo conquistarli, nemmeno alla nostra verità! Sarebbe una strumentalizzazione, un peccato! Amore globale Gesù ama tutto l’uomo, non solo la sua anima! + a uno ha ridato la vista, + a un altro la parola e l’udito, + ha liberato un terzo dai demoni, + ha pensato anche alla loro fame, + talvolta ha ridonato perfino la vita fisica. – Gesù vedeva in chi gli stava davanti un uomo bisognoso di qualcosa di concreto e interveniva a seconda della necessità concreta e personale di lui. Sempre per rimetterlo nella dignità di uomo! 21


Al Card. Martini fu chiesto: «Il missionario (leggi: il cristiano) deve interessarsi prima della vita spirituale o dei bisogni materiali?» «Di tutti e due! » – rispose. Amore personale – Gesù ha amato i singoli uomini (non la massa), interessandosi personalmente di ciascuno: ciascuna delle cinquemila persone aveva fame! – Anche quando condannava il peccato, amava sempre la persona che lo aveva commesso: Pietro, l’adultera, la Samaritana, Zaccheo… – Si interessava delle singole persone, sempre mediante un incontro personale: si fermava a parlare con molta gente e ascoltava i problemi di ciascuno. Si è servito di un… segretario (S. Pietro) solo per pagare la tassa! Ricorda l’episodio della moneta in bocca al pesce! – Oggi si tende a mettere in evidenza le varie comunità, i gruppi… Si incaricano le comunità di interessarsi di chi ha bisogno. Ma l’attenzione deve tendere sempre alla singola persona, e fatta con atto personale, cioè “umano”. Papa Francesco dice che non è sufficiente “fare la carità’; bisogna “toccare”, avvicinare il fratello. Amore universale – Gesù ha amato tutti gli uomini: «… non c’è più giudeo, né greco; non c’è più né schiavo né libero» (Galati 3, 28). «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc. 16,15). Ha avuto una preferenza solo per i poveri e i piccoli. Noi come consideriamo e come ci rapportiamo con: + gli extracomunitari?! + quelli di un altro gruppo o partito?! + quelli di un altro ordine sociale?! + quelli di un’altra aggregazione ecclesiale?! + chi è solo concepito e non ancora nato?! + con i disabili, o diversamente abili?! + ……. 22


Amore totale – Gesù ha amato con tutto se stesso e per tutta la vita, fino… alla morte di croce! «Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). – Non amiamo a centimetri…, o a tempo…! Nell’aiuto ai fratelli non è lecito dire: “Adesso basta!” L’amore verso i fratelli ci invita a mettere in gioco tutte le nostre capacità di cuore, di mente…, non solo i soldi. Amore non violento – Gli uomini del mondo sostengono che all’amore si debba rispondere con l’amore, ma alla violenza è inevitabile – perfino giusto e doveroso – rispondere con la violenza. Gesù afferma invece l’amore sempre! Scrive Don Bruno Maggioni: «Lo stile di Gesù non è semplicemente un rifiuto della violenza, ma sostituzione della violenza con la forza dell’amore. Al posto della violenza l’amore, al posto della rassegnazione la solidarietà attiva.Né rassegnazione né silenzio nella vita di Gesù. Tutt’altro. Egli ha parlato, ha denunciato. Lottato; ha messo a nudo le radici dell’oppressione, dei privilegi e ha smascherato il cuore dell’uomo. Per questo è finito sulla Croce, e per questo il suo messaggio fu ostacolato. Non ha predicato la resistenza armata, eppure il potere politico e religioso si è sentito minacciato. Il suo messaggio di non violenza è fortemente “critico”. Il mondo non si riconosce nella non violenza di Gesù: si sente di fronte ad essa disorientato e messo in discussione. Il mondo preferisce quelli che usano le sue stesse armi. Dio è amore e perdono. Da questo deriva che solo l’amore è la vera forza alternativa e costruttrice, la vera forza che vince: e l’uomo è chiamato ad abbandonarsi totalmente all’amore». (Bruno Maggioni, Nel mondo ma non del mondo, Ancora, p. 89) Quando noi affermiamo con troppa forza che nella vita, privata e pubblica, occorrono idee chiare e distinte, e si deve sempre prendere una decisione decisa (= sempre come penso io !) c’è il rischio di diventare violenti, sia pure con le migliori intenzioni. Occorre invece in ogni caso avere rispetto delle persone e pazienza nelle situazioni difficili (ricorda che… la pazienza è la virtù dei forti). 23


Concludo: per «Amare… COME…», occorre LIBERTÀ: dalle cose «Va’, vendi quello che possiedi…» (Mt 19, 21) «Lasciate le reti (leggi: il mondo), lo seguirono» (Mt 4, 20) Matteo abbandona i suoi soldi e il suo posto di gabelliere. dalle persone «Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle…» (Lc 14, 26) da se stesso «Egli (Gesù) deve crescere e io diminuire» (Gv 3, 30) «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me» (Gal 2, 20) Una testimonianza: «La vera carità consiste nel sopportare tutti i difetti del prossimo, nel non meravigliarci delle sue debolezze e nell’edificarsi dei minimi atti di virtù. Ma soprattutto (…) la vera carità non deve starsene chiusa nel fondo del nostro cuore, perché “nessuno accende la lucerna per metterla sotto il moggio, ma per collocarla sul candelabro, affinché serva ad illuminare tutti coloro che sono nella casa”. Questa lucerna sembra a me che rappresenti la carità, la quale deve illuminare e rallegrare non solamente coloro che mi sono più cari, ma tutti coloro che si trovano nella casa. Quando il Signore, nell’antica legge, comandava al suo popolo di amare il prossimo come se stesso,non era ancora sceso su questa terra; e ben sapendo a che punto ciascuno ami se stesso, non poteva chiedere di più. Ma quando Egli lascia ai suoi apostoli un comandamento nuovo, il “Comandamento tutto Suo”, non esige più solamente che amino il prossimo come noi stessi, ma come Egli stesso lo ama, e come lo amerà fino alla consumazione dei secoli». (S. Teresina di Gesù Bambino, Storia di un’anima) Don Bruno Maggioni, noto biblista, si rifà all’inno cristologico contenuto in Filippesi 2, 6-11 per affermare che l’amore verso il prossimo deve essere concreto, non un amore platonico o troppo spiritualizzato; deve essere un amore… “incarnato”, cioè legato concretamente alla situazione e alle necessità del momento del singolo fratello. E non si tratta solo di problemi materiali ed economici, ma anche e forse di più di problemi umani. 24


Scrive Don Maggioni: «La vera meraviglia che l’inno intende comunicarci non sta semplicemente nel fatto che Dio abbia deciso di farsi uomo, ma nel fatto che –avendo deciso di farsi uomo – anziché prendere una condizione umana a livello della sua condizione divina, il Figlio di Dio abbia preferito una condizione umana in tutto e per tutto simile alla nostra. Non è l’incarnazione il centro dell’inno, ma le sue concrete e storiche modalità. Il Figlio di Dio è entrato nel mondo scegliendo la solidarietà e la condivisione, è entrato nel mondo assumendosi il peso della storia degli uomini. È chiaro, a questo punto, che il cristiano non può deprezzare il mondo (perché materiale e caduco) e non può fuggire da esso e dai suoi problemi con la scusa di andare in cerca dell’assoluto: deve invece entrare nel mondo, soffrire e partecipare, condividere e prendersi a carico il peso della storia degli uomini». È proprio difficile amare i fratelli come Gesù li ama e ci invita ad amarli. Ma tante volte la difficoltà dipende dal nostro orgoglio, dal vedere quasi solo noi stessi. Ascolta quanto scrive il monaco T. Merton: «Non essere troppo pronto a credere che il tuo nemico è un selvaggio proprio perché è tuo nemico. Forse se sapesse che tu sei in grado di amarlo, non sarebbe più tuo nemico. Non essere troppo pronto a credere che il tuo nemico è un nemico di Dio appunto perché è tuo nemico. Forse egli è tuo nemico proprio perché non può trovare in te nulla che dia gloria a Dio. Forse egli ha paura di te perché non può trovare in te nulla dell’amore di Dio e della tenerezza di Dio e della pazienza e della misericordia e compassione di Dio per la debolezza umana. Non esser troppo pronto nel condannare l’uomo che non crede più in Dio, perché forse sono stati la tua freddezza, la tua avarizia, la tua mediocrità, il tuo materialismo, la tua sensualità, il tuo egoismo a uccidere la sua fede». (T. Merton, Semi di contemplazione, Ed. Figlie della Chiesa, Roma, pp. 68-69) N.B. Per chi vuol riflettere ancora sul tema dell’amare “come Gesù” aggiungo un’ultima citazione del Card. C. M. Martini a proposito del primato di S. Pietro. S. Pietro ha rinnegato il Maestro, ma Gesù vuole restituirgli la fiducia mediante un interrogatorio; però, non sui fatti, bensì sull’amore. Ecco il testo: 25


«Sai amare? – gli chiede Gesù. Lo interroga tre volte,quasi a dire: “No, no, no… questa è la domanda, non ne ho altre…” , perché, se facesse tre domande diverse: una sull’amore, una sulla capacità organizzativa e una sulla prodezza nell’agire, potremmo dire che sta facendo un quadro. Invece fa tre volte la stessa e identica domanda per affermare che solo questa conta. E questa domanda come è formulata? È interessante prendere il testo greco del Nuovo Testamento. La versione attuale dà un’idea inesatta perché dice: “Simone, mi vuoi bene? Tu sai che ti voglio bene. E così per tre volte, sempre con lo stesso verbo. Invece in greco ci sono due verbi: uno è il verbo “filein”, che significa l’amore nel senso di amicizia, di un rapporto profondo di comprensione tra persone. Poi c’è “agapao”, che significa l’amore ablativo, cioè l’amore come dono. Mentre l’amicizia – il “filein” – è l’amore di rapporto, di mutua comprensione, l’altro “ l’amore che crea comprensione, l’amore che si dona, che è tipico dell’amore divino, che, prima di essere amato, crea la possibilità di amare, rendendo l’altro capace di amre…. Gesù usa questi verbi, cioè coniuga con Pietro tutto il vocabolario dell’amore amicale e dell’amore oblativo; è come se gli domandasse: “Pietro, come ti muovi nella sfera dell’amicizia e del dono?... (Anche a noi Gesù oggi chiede) “Come ti muovi nella sfera della vera e leale, permanente, sincera, disinteressata amicizia? Come ti muovi nella sfera oblativa del dono che facendoti dimenticare te stesso, ti consacra e ti dedica agli altri in maniera creativa, senza aspettare che siano amabili o che ti facciano qualcosa di bene?.... Fin qui abbiamo esaminato soltanto la prima parola di Gesù: “Simone, ami?...”. Adesso passiamo a: “ami ME…?” Qui la parola si fa più profonda. Non basta muoversi nella sfera dell’amore e dell’amicizia ; occorre che la massa dei nostri desideri sia ordinata verso il suo fine che è il Signore: il fine ultimo dell’uomo, Dio come realtà trascendente di fronte alla quale l’uomo non può che donarsi. Stranamente Gesù non dice: “Ami la Chiesa?”, non dice: “Ami i tuoi fratelli?”, quegli apostoli che tante volte hanno litigato con Pietro perché sembrava che Gesù lo preferisse; non gli chiede se li ha perdonati. Si accontenta di dire: “Ami ME?”, perché in questo amore pieno a Gesù si condensa la pienezza dei desideri… Dunque Gesù restituisce fiducia a Pietro non con un’interrogazione sui fatti o sulle attitudini, ma con un’interrogazione sull’amore a Lui, come centro della storia e come Signore della Chiesa». (C. M. Martini, Incontro al Signore Risorto, San Paolo, BUC, pp.130-133) 26


SE QUALCUNO…

Per amare il prossimo COME me stesso, è necessario che Gesù sia vivo e operante in me. Amare – come Gesù vuole – non è solo una capacità umana, non è nemmeno un fatto naturale e tantomeno istintivo. È un atto superiore alle mie capacità “normali”. Mi chiedo: quanto Gesù è operante in me? Nel mio cuore? Quanto è Lui a muovere la mia volontà verso i fratelli? Mi impegno a farGli spazio dentro di me e ad agire con Lui? L’Apocalisse, l’ultimo libro della Bibbia, ha un versetto chiarissimo e disarmante a questo proposito. Leggiamolo e approfondiamolo insieme. Possiamo intitolarlo: “Se qualcuno…”: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me». (Ap 3, 20) Siamo alla fine della Bibbia: l’Apocalisse è l’ultimo libro ispirato. In un certo senso l’affermazione in esame esprime la ispirazione finale dell’uomo; dice che la vera felicità, la realizzazione autentica e piena dell’uomo è innanzi tutto opera di Dio e nello stesso tempo è frutto della libertà e responsabilità del singolo uomo. È Dio che si interessa dell’uomo e si dà da fare per il bene dell’uomo; ma Dio non si impone, non schiaccia l’uomo. Dio vuole che anche l’uomo si interessi della sua felicità e collabori con l’azione di Dio. La felicità dell’uomo, quindi la stessa santità, è opera di Dio e contemporaneamente dell’uomo. Con una parola difficile si può dire che la santità è un’opera teandrica, ossia compiuta da Dio e dall’uomo allo stesso tempo. È una verità esaltante e che mette le ali! S. Agostino ha affermato con chiarezza: «Colui che ci ha creati senza di noi, non vuol salvarci senza di noi». «CENERÒ CON LUI…» La piena realizzazione della vita umana, la felicità dell’uomo è espressa con una frase che indica amicizia, intimità e comunione: «cenerò con lui ed egli con me».Il cenare insieme è sempre occasione di 27


amicizia, di intesa; favorisce il colloquio; invita alla collaborazione; se c’è qualche dissapore tra i convitati, il momento della cena è l’occasione e il luogo di chiarimenti e di perdono, e normalmente di comunione rinnovata. Nel Vangelo più volte si dice che Gesù, proprio durante una cena, ha operato miracoli, si è manifestato e ha favorito la comunione tra i commensali. I VERBI DI DIO È Dio che si muove per primo, perché Gli sta a cuore sempre il bene dell’uomo. Il testo pare che suggerisca quasi indifferenza da parte dell’uomo; pare che non pensi affatto alla sua felicità; sembra esterno a se stesso, proiettato alle cose e basta. Dio va dall’uomo, a casa sua, cioè si avvicina al cuore dell’uomo; anzi, desidera entrare nel suo cuore per condividere con lui gioie e problemi; vuole aiutarlo ad affrontarli positivamente. Però l’azione di Dio è sempre rispettosa, anche se insistente. Dio non fa mai violenza all’uomo: non spalanca la porta del suo cuore, non abbatte la porta, non costringe l’uomo. Però si propone e continua a proporsi. Non si allontana, non rinuncia: Egli ha un desiderio irrinunciabile di entrare nel cuore dell’uomo e di stabilire profonda amicizia con lui. Due sono i verbi che esprimono l’azione di Dio: “sto” e “busso”. “STO alla porta” – Non dice “sono” alla porta. Il verbo “stare” indica fermezza, decisione, continuità, direi… fissità. Dà l’idea di un grosso macigno che è fermo e che non si riesce affatto a spostare. Così è l’azione di Dio sul cuore dell’uomo: è continua e forte, che non si può affatto evitare o far finta di non averla percepita. Però è sempre azione amorevole, dolce e suadente. “BUSSO” – Questo verbo dice che il Signore chiede di entrare, desidera, quasi… ha bisogno di entrare nel cuore e nella vita dell’uomo. Dio si fa mendicante di accoglienza. Ma non fa assolutamente violenza. Chiama in causa chi è dentro, chi è in casa: lo interpella, chiede e vuole che si coinvolga. E aspetta con amorevole pazienza che lui si decida e si muova. Dio rispetta sempre la 28


libertà del singolo; stavo per dire che Dio… si inginocchia davanti alla libertà dell’uomo! E noi…?! I VERBI DELL’UOMO Anche l’azione dell’uomo è espressa mediante due verbi: “Ascoltare” e “Aprire” Prima però il testo dice: “Se qualcuno…”. Secondo la sintassi italiana è un periodo ipotetico della realtà (Chiedo scusa per questa nota!); ossia: nel caso in cui un uomo ascolta l’invito di Dio, certamente, senza dubbio, Dio entra nel suo cuore e nella sua vita. Non si richiedono altre condizioni e nessuna inopportunità fermerebbe l’azione di Dio. Sì, Dio fa il primo passo, sua è l’iniziativa. Però chiama in causa volutamente la libertà e la responsabilità dell’uomo. Purtroppo tanti rifiutano! È ancora in gioco la libertà del singolo, dono supremo e divino di Dio, che ha voluto l’uomo a Sua somiglianza. Quell’espressione “Se qualcuno…” è davvero ineffabile e da mozzafiato! Pare che nel pensiero di Dio la felicità di un uomo dipenda totalmente e solo dall’azione dell’uomo, quasi dimenticando e perfino annullando la Sua azione divina! Ogni volta che leggo questo “Se qualcuno…” rimango a bocca aperta, mi prende un profondo stupore e sto in silenzio, fisso su questa espressione. Mi pare di vedere Gesù che mi fissa negli occhi e quasi mi conduca dolcemente e per forza a dirGli: “Sì!” «ASCOLTA la mia voce…» Dice ascoltare, non udire o sentire. Udire e sentire non dipendono dalla mia volontà: sono un fatto “fisico”, che non posso evitare; tante volte sono addirittura accidentali e hanno come oggetto qualcosa di esterno a me. Ascoltare invece è un atto responsabile, libero, che dipende dalla mia volontà e chiama in causa le mie facoltà. Inoltre, è sempre un atto coinvolgente, che impegna la vita; cioè un atto che inevitabilmente mi porta a prendere delle decisioni e ad agire pro o contro quello che ho ascoltato. Quanto più uno ascolta, 29


tanto più vive! E vive in un determinato modo. E cresce nella sua personalità. «Ascolta la mia voce!» (Ap 3, 20) La voce non esprime un concetto o un’idea. La voce esprime l’interiore di un uomo, ne rivela la personalità e le caratteristiche, il cuore e l’anima. È la voce che affascina e fa sussultare il cuore. Nessuno si innamora delle idee di qualcuno, ma mediante la voce si innamora della persona! «… e mi APRE la porta…» Strano, ma vero: l’atto “necessario”, direi “il più necessario” è quello dell’uomo: se l’uomo non apre la porta, se non agisce usando la sua libertà, non succede nulla: Dio tace; ma aspetta ! È l’uomo che liberamente ascolta e liberamente apre la porta. Nel nostro caso vuol dire: ascoltare, ossia lasciarsi coinvolgere dal cuore di Cristo, dalla persona di Cristo (Si ritorna sempre a questo punto!). Allora, per forza, necessariamente si “apre la porta” del nostro cuore e si lascia entrare il Cristo, ossia ci si lascia coinvolgere, non tanto dal Suo messaggio, ma da Lui stesso. E si è felici, si è realizzati! Voglio ripetermi: è bello costatare che l’atto decisivo, direi il più importante è compiuto dall’uomo. È proprio così: se l’uomo non si muove, non agisce di sua libera volontà, non succede nulla: Dio tace e l’uomo… rimane triste (vedi l’episodio del giovane ricco). Va ricordato che non si tratta di aprire la porta del cuore a Gesù solo con il pensiero (= conoscere chi è Gesù e qual è il suo insegnamento), nemmeno con un pio desiderio, o con i sentimenti, ma concretamente, praticamente, cioè accoglierlo e renderlo nostro “partner” (si direbbe oggi) nella vita di ogni giorno, anche nelle piccole azioni quotidiane. Risultato: «Entrerò in casa sua, cenerò con lui ed egli con me». Se l’uomo apre a Gesù il suo cuore, Egli entra e ne prende possesso. Con S.Paolo si deve riconoscere che a questo punto «non sono più io che vivo: è Cristo che vive in me» (Gal. 2,20). E siamo quasi costretti dolcemente a pregare così: «Gesù, vivi Tu, da Signore, dentro di me!» È bello costatare che il “cenare” insieme è 30


sempre un momento di amicizia, occasione di colloquio e di intesa, di collaborazione, talvolta anche di perdono e di comunione. Senza esagerare, possiamo affermare che proprio in questo sta la piena realizzazione, la gioia dell’uomo e perfino la sua santificazione. Va sottolineato che il cenare insieme, io e Gesù, è la conseguenza e la conclusione della mia libera risposta all’invito affascinante di Gesù! A questo punto è inevitabile esplodere in un: «Grazie, Gesù!». Come conclusione, affinché il tutto non si riduca a una bella riflessione, è necessario che ciascuno faccia un po’ di esame di coscienza e si chieda: – Che cosa non mi permette talvolta di aprire la porta del mio cuore a Gesù? – Se spesso ceno con Gesù (ossia, sto a lungo in sua intima compagnia), posso costatare un vero progresso nella mia vita cristiana? – Tendo davvero alla santità, oppure la ritengo per me una meta troppo alta? Quando ricevo la Comunione, davvero ceno con Gesù! In quegli istanti sei proprio Tu, Gesù, che vivi in me. Allora, vivere come Gesù desidera non è più una semplice aspirazione, nemmeno solo un desiderio: è la realtà! È proprio vero: è l’Eucaristia la “fonte” di tutta la vita cristiana! Lo afferma il Concilio Vaticano II. Che meraviglia! Cenare insieme favorisce l’amicizia e la comunione, quindi una vita intensa e gioiosa. Gesù vuol “cenare” con ciascuno di noi, proprio perché desidera vivere in amicizia e in comunione con ogni uomo. Talvolta mi chiedo quanto noi siamo convinti che la nostra felicità sta davvero nell’amicizia con Gesù. È questo che suscita in noi “stupore di gioia”. È necessario però che non confondiamo il vivere con Cristo con troppe… pratiche di devozione! A tal proposito propongo un pensiero di un umile e autentico contemplativo: 31


«Dio vuol possedere il nostro cuore tutto da solo; se noi non lo svuotiamo da tutto quello che è diverso da Lui, non può agire e fare ciò che vorrebbe. Spesso si lagna della nostra cecità; grida senza sosta che siamo degni di compassione per accontentarci di così poco. Ho, afferma, tesori infiniti da darvi, e una piccola devozione sensibile che passa in un momento vi soddisfa. Così facendo, leghiamo le mani a Dio e fermiamo l’abbondanza delle sue grazie. Sarà poi utile, per progredire nella pratica della presenza di Dio, disfarsi di ogni preoccupazione, persino di una quantità di devozioni particolari, benché ottime, ma di cui ci si fa carico spesso a sproposito, perché in fin dei conti tali devozioni non sono che mezzi per raggiungere un fine. Se dunque, attraverso quest’esercizio della presenza di Dio, siamo con colui che è il nostro fine, è inutile che ritorniamo ai mezzi; ma possiamo continuare con lui il nostro scambio d’amore, restando al suo santo cospetto e attraverso un atto di adorazione, e attraverso un atto di offerta o di azioni di grazia, e in tutti i modi che il nostro spirito saprà inventare». (Fr. Laurent de la Résurrection, L’esperienza della presenza di Dio, Ed. Ancora, pp. 120-121)

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GESÙ SCANDALIZZA I SUOI

C’è amore e amore! Gesù afferma che nell’amore si riassume tutta la Legge di Mosè. Però non si acc ontenta di dire: Amatevi; aggiunge… COME! Sì, «Ama il prossimo tuo come te stesso», e: «Amatevi come io vi ho amati!». È questa la novità dell’amore richiesto da Gesù. Che pretesa! Verrebbe voglia di dirgli: «Come osi fare una tale affermazione? Chi pretendi di essere? Dopotutto sei anche tu un uomo come noi!» È proprio quello che gli hanno detto i suoi compaesani. Questa è l’accusa che gli hanno mosso ed è il motivo per cui hanno rifiutato il suo insegnamento. Quanta umiltà, quindi quanta verità ci vuole per accogliere Gesù! E, se non ci si apre a Lui, ci troviamo chiusi in noi stessi e Gesù… non può (!) aprirci al prossimo. Allora, la condizione «Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta» non è un semplice modo di dire, non è una forma letteraria; è purtroppo la realtà. Ascoltare la voce di Gesù, con quel che segue, è davvero difficile, quasi una rara eventualità. La conseguenza è una sola: una vita puramente umana, non santificante, una vita chiusa nel proprio egoismo e sorda ai bisogni dei fratelli. Leggiamo quanto scrive S. Marco al cap. VI: «Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: “Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?” Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità». (Mc 6, 1-6) 33


GESÙ TRA I SUOI Apocalisse 3, 20 ci insegna che occorre liberamente aprire la porta del cuore a Gesù, che desidera entrare: «Sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io entrerò in casa sua, cenerò con lui ed egli con me» L’evangelista Marco oggi ci presenta Gesù a casa sua, tra i Suoi: «(Gesù) venne nella sua patria» (a Nazaret). E, «giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga». Ci aspetteremmo un successo strepitoso, un’accoglienza sincera ed entusiastica. Ricordo che dalla metà del cap. IV S. Marco racconta vari miracoli compiuti da Gesù (tempesta sedata – scaccia demoni – guarisce e risuscita la fanciulla). “Vedete – pare dire Marco – che Gesù è davvero il Messia atteso!” Tutti dovrebbero capirlo e accettarlo con gioia. I suoi compaesani, i nazaretani, dovrebbero addirittura essere orgogliosi di Gesù; dovrebbero perfino esaltarlo e proclamarlo. Povera gente di Nazaret: era davvero troppo aspettarsi, o pretendere, che vedessero in Gesù l’UomoDio! Era “naturalmente” impossibile! Invece, tra la gente, sottovoce, si mormorano tante domande, che rivelano incertezze, dubbi, fastidio e disagio. Forse unite a un nascosto desiderio di conoscerlo davvero. La conclusione è amara per tutti: «E si scandalizzavano di lui» – annota S. Marco. La conseguenza è altrettanto amara: «E lì non poteva compiere alcun prodigio… E si meravigliava della loro incredulità». Perché non l’hanno capito? – mi chiedo. Forse hanno voluto guardare Gesù con i loro occhi, l’hanno misurato con criteri umani; hanno preteso di capirlo, per poterlo accettare! Ma Gesù dice che i mezzi umani non bastano per comprendere un vero profeta, uno che è mandato da Dio e parla in nome Suo. «Un profeta – disse Gesù – non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua», proprio perché lì c’è la tentazione di possedere Gesù, di dire: «È nostro!» «Lo conosco!». Non facciamo delle critiche facili ai compaesani di Gesù: guardiamo dentro, nel loro cuore. Penso che ci sia un sentimento di sicurezza di sé, di pigra tranquillità che non gradisce nessuno scossone; probabilmente 34


anche un senso di orgoglio che porta a pensare di essere già a posto, di sapere come vanno le cose; e perfino una umana difficoltà ad ammettere che uno di noi, che ha giocato, studiato, lavorato con noi, improvvisamente sia posto in alto, troppo in alto, sul trono! Come è possibile credergli e seguirlo? Che differenza c’è tra Lui e me?! Tutto questo porta inevitabilmente al dubbio su Gesù, sull’uomo-Gesù che va al di là di quel che si vede e che si è disposti a concedergli. È già tanto ammettere che il “loro” compaesano Gesù sia un grande uomo, un uomo eccezionale; con molta fatica qualcuno potrebbe spingersi fino a vedere in lui un profeta. Più in là, proprio no: è impossibile! Sì, compie miracoli e dice cose stupende; però, pensare che quell’uomo che sta davanti a loro in carne ed ossa, che vive con loro e come loro, sia Dio, è assurdo, anzi, è addirittura blasfemo. Questo è assolutamente un no della mente e del cuore. In una parola, è il rifiuto totale di Gesù-Messia, Uomo-Dio! Per loro è solo il figlio del falegname e basta. Vedevano le opere che compiva, sentivano i discorsi affascinanti, ma non li ascoltavano, cioè non li accoglievano nel loro cuore e non si lasciavano perciò coinvolgere. Lo avevano già (e da sempre) giudicato, pesato; sicuri nelle loro certezze preconcette, erano letteralmente incapaci di aprirsi a Lui. «E si scandalizzavano di lui». Era proprio inevitabile che i nazaretani si scandalizzassero di Lui, con buona pace dell’evangelista Marco! Forse ancora più sconvolgente è la pretesa di far da maestro: la pretesa di insegnare a loro, i suoi compagni di gioco e di lavoro, quale dev’essere il modo giusto di vivere, perfino andando al di là della Legge di Mosè, assolutamente intangibile. Quel “come” non poteva in nessun modo essere accettato da loro! A questo punto non rimaneva che cacciarlo fuori dalla città o addirittura eliminarlo. Anche Gesù si scandalizza. Sì, si aspettava, almeno si augurava, che “i Suoi” lo capissero! Che delusione e amarezza, povero Gesù! Per questo, si è visto impossibilitato, quasi incapace, di compiere miracoli. Proprio perché… “escluso” dai loro cuori. 35


GESÙ… TRA NOI I “Suoi” di oggi sono la Chiesa, siamo noi, ciascuno di noi e le nostre comunità. Come ci poniamo noi nei confronti di Gesù? Come reagiamo a quel “come”? A questo “uomo Gesù”, che pretende di insegnare a noi la Verità, di dirci come si deve vivere per realizzarci ed essere felici? Proprio a noi, che siamo… uomini di mondo, uomini che sanno come vanno le cose e che cosa vale nella vita! Siamo anche noi un popolo di testardi e ribelli come i suoi compaesani? Oppure siamo come i nazaretani, supponenti e diffidenti? Talvolta tentiamo anche noi di misurare il messaggio di Cristo, cercando di inquadrarlo nei nostri schemi mentali e abitudini di vita. Siamo tentati di ascoltarlo con i criteri moderni (!) e con i gusti giovanili di oggi. Tentiamo di ridurlo… a misura d’uomo, di renderlo… ragionevole! Non solo la sua Parola, ma lo stesso Gesù, proprio Lui in persona, non ci interessa, non entra nella nostra vita quotidiana. E ci dà perfino fastidio che qualcuno (preti, cristiani veri, papa Francesco in particolare) ce ne parli e quasi ci costringa a guardarLo in Croce, a fissarLo negli occhi… Staremmo così bene e tranquilli senza di Lui, pensiamo; e invece ce lo troviamo sempre davanti, e, se pretendiamo di non vederlo, ci sentiamo sottosopra, sconvolti e inquieti. Insomma, non accettiamo di essere “scandalizzati” nemmeno da Gesù Cristo, perché oggi ormai nulla, nessun delitto o fatto di cronaca ci scandalizza; siamo troppo abituati a vedere e sentire di tutto. Anche Gesù, come tutto il resto, è oggetto di attenzione momentanea perché fa notizia, poi… basta! E, se riusciamo, mettiamo un chiodo in più nelle sue carni, affinché rimanga fermo, appeso alla croce, fuori dai nostri problemi; senza il pericolo di incrociarlo sulle nostre strade, già molto trafficate da persone che corrono sempre, impegnate e preoccupate, tanto preoccupate, per i troppi problemi. Speriamo che il Cristo non sia costretto a ripetere anche per noi: «E si meravigliava della loro incredulità», tanto che «là non poteva compiere nessun prodigio!» 36


E IO…? Io, personalmente, come mi pongo di fronte a Gesù Cristo? Chi è per me Gesù il Cristo? Per non cadere nella situazione dei nazaretani, diffidenti e dubbiosi, devo dedicarGli tempo rimanendo a lungo, in silenzio, davanti a un tabernacolo o a un crocifisso, devo aprire a Lui il mio cuore e gridarGli con convinzione e forza: «Eccomi!». Allora anche i dubbi svaniranno. È necessario passare al di là degli occhi, al di là dell’aspetto umano. La gente vede i miracoli e sente i Suoi discorsi; per questo dice: «È un profeta!» S.Pietro va al di là e vede in quel giovane (scusate) che si chiama Gesù, il Figlio del Dio vivente! I compaesani conoscono i suoi genitori, i parenti; pertanto credono ( pretendono) di capirLo. Ma, per raggiungerlo interiormente, nel cuore, si deve trascendere, andare al di là di quel che si vede e di ciò che la gente dice su di Lui. Occorre il cuore! AprirGli il nostro, il mio cuore. Allora si illuminerà anche la mente e ci troveremo coinvolti nella sua storia, diventeremo “Suoi”. In caso contrario, vale anche per noi: «Non poteva compiere nessun prodigio!» Il che produce: confusione, tristezza, non realizzazione. Come il giovane ricco del Vangelo, che «se ne andò triste» perché non volle accettare l’invito di Gesù. Ascoltiamo spesso, in un lungo e profondo silenzio, il versetto dell’Apocalisse 3, 20: «Sto alla porta e busso; se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta (del cuore), io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me». Sì, aprire la porta del cuore, spalancare il cuore a Cristo! E gridarGli: «Gesù, vivi Tu, da Signore, dentro di me!» Allora la gioia diventerà la mia, la nostra condizione di vita. E il vivere quotidianamente nelle piccole e nelle grandi situazioni come Gesù desidera diventerà… inevitabile! Questa è la via della santità. Concludendo. È difficile accogliere Gesù così com’è realmente: Figlio di Dio e Salvatore, oltre che uomo straordinario, eccellente. E forse è ancora più difficile accogliere integralmente il suo insegnamento. Personalmente 37


non ho il coraggio di puntare il dito contro i suoi compaesani: li sento davvero miei simili. Temo che anch’io mi sarei comportato allo stesso modo. Mi rendo conto onestamente che, quando incomincio a fare qualche “distinguo” nell’insegnamento di Gesù, non mi è più possibile vivere come Lui vuole. Che fare, allora? Per accettare Gesù “sine glossa”, cioè senza commenti e senza scandalizzarsi (Quindi vivere davvero come Lui desidera), penso che abbiamo tutti bisogno di ricominciare a vivere lo stupore,come scrive il Card, Ballestrero nella preghiera: Saziarmi di stupore. Di fronte ai colori dei fiori in primavera e in autunno, come davanti alle montagne innevate non si commenta affatto; si sta a bocca aperta, con un “oh…” lungo, lungo e si gioisce. In silenzio. Non si fanno commenti; non si danno giudizi; non ci sono né “ma…”, né “però…”. Si tace, si gioisce, e… si vive nel cuore. Lasciamoci scandalizzare da Gesù, dal suo insegnamento e dal suo modo di agire. Così Gesù si accoglie com’è, senza commenti e senza tentare di ridurlo a… “misura d’uomo”, anzi… a misura della mia mente e del mio cuore. Non possiamo “restringerlo”, “rimpicciolirlo” fino alla nostra piccolezza. Ecco la preghiera di A. Ballestrero: Saziarmi di stupore «Forse è finita, Signore, la stagione dello stupore, quando gli uomini davanti a te restavano sopraffatti dalla meraviglia, dall’entusiasmo. Non abbiamo più il senso della tua gloria, non siamo più capaci di andare oltre le umane novità e non ci lasciamo segnare dalla sconfinata bellezza e dalla tremenda esperienza della tua forza, della tua onnipotenza, della tua trascendente grandezza. Come vorrei trovare la capacità dell’uomo biblico Che si esalta dinanzi a te: Dio grande, Dio sublime, Dio munifico! Riprendo in mano i Salmi per lasciarmene intridere: voglio lasciarmi prendere dalla lode, dalla esultanza nel benedirti, nel glorificarti, o Padre. 38


Mio Dio, quanto sei grande! E quanto sono piccolo, quanto è piccolo l’uomo al tuo cospetto! Signore, che io ti conosca. Che io sappia spalancare gli occhi sulla bellezza delle tue opere, con profondità, con intensità, con entusiasmo. Lo splendore della tua gloria non mi lasci indifferente: i nostri occhi tu li hai aperti perché li saziassimo di te. Sarà questa la piena beatitudine della vita eterna, ma comincia già qui, nella fede. A misura che la mia fede cresce, lo stupore aumenta e la conoscenza di te diventa inesauribile novità che mai potrà illanguidirsi nella noia, perché tu la ricolmi di beatificanti scoperte, di entusiasmanti certezze, ogni giorno di più. Signore, mio Dio! Io ti ringrazio per quello che tu sei e per quello che di te stesso ogni giorno mi doni, lasciando traboccare luce e gloria. (A. Ballestrero, Preghiere, Ed. Piemme, p. 22 s)

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ZACCHEO, PIENO DI GIOIA

Per fortuna, non tutti sono come i compaesani di Gesù: il Vangelo ci presenta anche delle controfigure; una di queste è Zaccheo, che accolse Gesù in casa sua “pieno di gioia”; e, convertito dall’incontro con Gesù, incominciò subito a vivere come Gesù domandava. È un esempio eccellente, perché Zaccheo è un “pubblicano” (ossia un peccatore pubblico, quasi di professione) e “ricco” (La ricchezza era vista come il vero ostacolo al Regno di Dio). Non è proprio uno propenso ai problemi religiosi: lo vedo lontano da questi interessi come la Samaritana. Quindi Zaccheo ci insegna che chi incontra personalmente Gesù-Messia si trova cambiato nel cuore e il vivere proprio come Gesù vuole è una necessità inevitabile ed è fonte di gioia; anzi, dona la pienezza della gioia: “… pieno di gioia!” L’episodio di Zaccheo ci insegna anche che la vita cristiana è il frutto di due libertà, quindi di due amori: quello di Dio e quello dell’uomo. Anche qui costatiamo che l’iniziativa è sempre di Dio. Ma ci insegna soprattutto che l’azione di Dio è condizionata dalla mia libertà! Sì, Dio si lascia realmente condizionare da me! Penso che valga la pena di ripetere spesso questa preghiera: «Voglio gridarti, o Dio, la mia felicità di trovarmi nelle tue mani, malleabile, per renderti servizio e per essere tempio della tua gloria». Leggiamo il racconto dell’evangelista Luca: «Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò,tutti mormoravano: “È entrato in casa di un peccatore!” Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Gesù gli rispose: “Oggi per questa casa è venuta la 40


salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». (Luca 19, 1-10) Zaccheo, “capo dei pubblicani e ricco”, cercava di vedere chi era Gesù. Chissà perché in quel momento Zaccheo, che sembrava impegnato solo a fare soldi, a spese degli altri e con una buona dose di prepotenza, desiderava e si dava da fare per vedere Gesù (“cercava!”...). Mistero dell’uomo! O meglio: mistero di Dio! Vedo l’episodio evangelico diviso in due parti: la prima è un cammino di interiorizzazione e culmina con “pieno di gioia”. È il punto di arrivo dell’impegno di Zaccheo: “… e lo accolse pieno di gioia”. Scommetto che il piccolo Zaccheo non avrebbe mai immaginato che proprio lui, uomo di affari e che era abituato a contare i soldi senza guardare in faccia nessuno, avrebbe assaporata una grande gioia per aver accolto una persona, sia pure una star del momento, in casa. La gioia del cuore non dipende affatto dai soldi! Provare per credere! La seconda parte è lo sviluppo, o meglio, la conseguenza esterna della pienezza di gioia; ed è espressa da due verbi: “do” (= generosità) e “restituisco” (= giustizia). Nessuno poteva obbligarlo a tanto; eppure Zaccheo si sentì spontaneamente e gioiosamente “obbligato” (dalla sua coscienza) a comportarsi così. È la prova migliore che la gioia autentica consiste, non nell’incamerare beni, ma nell’attenzione agli altri e nella giustizia. ZACCHEO E APOCALISSE 3, 20 Prima di suggerire qualche approfondimento del testo, mi piace confrontare questa pagina del Vangelo di Luca con il versetto dell’Apocalisse 3, 20. Là, in Apocalisse 3, 20, si dice: «Se qualcuno ascolterà la mia voce e mi aprirà la porta, io entrerò in casa sua, cenerò con lui ed egli con me». Luca ci dà l’esempio di uno che ha… aperto la porta della sua casa a Gesù. Questi è Zaccheo. Il giovane ricco, al contrario, se ne andò triste perché aveva molte ricchezze (Mt 19, 1641


30) e, stando al tono del testo, non ebbe alcuna intenzione di rinunciare a un solo soldino! In tutti e due i brani l’iniziativa è di Gesù. In Apocalisse è Gesù che sta alla porta e non smette di bussare; l’uomo invece rimane chiuso in casa, cioè in sé, nei suoi pensieri, nei suoi progetti con le sue “cose”. Allo stesso modo nella pagina di Luca è Gesù che passa sotto l’albero, è Gesù che “attraversa la città” in cerca di uomini. Zaccheo si limita a salire “su un sicomoro”, solo per vedere senza essere visto, al sicuro e nascosto per non essere visto e deriso dagli altri, da coloro a cui succhiava soldi: non poteva perdere la faccia, lui, uomo pubblico e importante. Non gli era consentito comportarsi come gli altri e sentirsi un uomo comune, normale. Zaccheo però, questo gli va riconosciuto, ha fatto quel poco che il suo ruolo pubblico gli consentiva: “cercava di vedere Gesù!” Nota il verbo vedere, che nel Vangelo vuol dire: mettersi in qualche rapporto, fare una certa esperienza. «Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta…» – dice l’Apocalisse. Ecco Zaccheo! Là, in Apocalisse 3, 20, ci sono due verbi, quindi due azioni si richiedono all’uomo: “ascoltare” e “aprire”, ascoltare la voce di Gesù e aprirGli la porta del cuore. In Zaccheo: “vedere” (cercava di vedere) – “correre” (corse avanti” – “salire” (salì su un sicomoro). Da uomo di azione qual era, Zaccheo si sente il protagonista: pensa che il risultato dipenda tutto e solo da lui. È logico, umanamente parlando! Dopo l’invito-comando di Gesù: «Scendi subito…» (Ricorda l’Apocalisse: dopo aver ascoltata la voce di Gesù) due verbi di umiltà e di interiorizzazione ci presentano uno Zaccheo-uomo, normale, non più uno Zaccheo-capo dei pubblicani e costretto a occupare un ruolo pubblico; “scendere” e “accogliere” («Scese in fretta e lo accolse in casa sua») E Luca conclude: “pieno di gioia” (v. 6). Qui termina il cammino di conversione di Zaccheo, l’incontro personalissimo con Gesù! “Pieno di gioia” – afferma l’Evangelista. Non passare oltre! Non scappare via! Prova anche tu a lasciar 42


risuonare nel tuo cuore queste tre parole e a sentirle come la “necessaria” conclusione dell’incontro Gesù.Zaccheo! Il resto è una inevitabile, spontanea e immediata conseguenza: tre verbi esprimono il rinnovamento profondo di Zaccheo e il cambiamento del suo modo di vivere: “alzatosi” – “do” – “restituisco!” Da questo momento Zaccheo ha cominciato a vivere davvero come Gesù desiderava. È lo stesso Zaccheo di prima che parla, o è un altro? Sarebbe opportuno chiedere la risposta a che ha fatto la stessa esperienza! La conclusione di Luca non ammette equivoci: Gesù vuole la salvezza di chi “era perduto!” (v. 10) Mi verrebbe voglia di gridare: bravo Gesù! DUE RILIEVI 1) Quanti Zaccheo ci sono anche oggi! Zaccheo, uomo di mondo, impegnato a fare soldi, si incuriosisce di questo uomo, Gesù, che passa (solo perché passa) e che attira la folla. Per curiosità? Per essere aggiornato? Per un misterioso richiamo interiore? Mah…! È sotto gli occhi di tutti che anche oggi in certi uomini “di mondo” si ripete la vicenda di Zaccheo. E il risultato è sempre lo stesso: “pieno di gioia”. Complimenti, Gesù! È proprio vero che il Vangelo è sempre attuale. 2) «Cercava di VEDERE chi era Gesù». Nostro impegno è quello di favorire nei nostri contemporanei almeno la curiosità, per cui tanti cerchino di vedere, di conoscere Gesù. Gli altri verbi (correre, salire, scendere in fretta, accogliere, dare, restituire…) vengono dopo, perché sono tutti una conseguenza del tentativo di vedere Gesù. Il vivere come Gesù vuole richiede prima una conoscenza personale, spesso scioccante di Gesù. È il cuore che conta e che fa agire! Questo è il nostro compito a proposito della missionarietà. Dio dona la fede; noi però dobbiamo suscitare tante do43


mande serie, “di senso” in chi incontriamo nella nostra ferialità. E non basta una conoscenza teorica di Gesù (direi una conoscenza asettica, statica!). Ci vuole un’esperienza viva di Gesù. Scrive il Card. Martini: «Chi è colui che può dire Cristo Amore se non colui che ha vissuto una formidabile esperienza affettiva di incontro?». Prova ad approfondire nel silenzio queste quattro parole: – formidabile (=che può mettere paura, timore…); – esperienza (=vita vissuta, fatti reali, non solo pensati o inventati); – affettiva (=ci vuole il cuore!); – incontro (=dialogo, condivisione, comunione…). Una domanda scomoda, birichina. L’incontro personale con Gesù, che certamente ciascuno di noi ha vissuto, ci ha riempiti di gioia? Ha dato un significato nuovo e qualificante alle nostre scelte e azioni? La gioia manifestata, comunicata è la prova forte dell’autenticità della nostra vita cristiana. Viviamola intensamente! Un’ultimissima parola che mi trabocca dal cuore. Ancora un riferimento ad Apocalisse 3, 20. È proprio bello quanto Gesù dice nell’Apocalisse: “Se qualcuno…” ecc. C’è però la tentazione di accontentarsi e di “bearsi” in questa situazione di amicizia con Gesù, quasi sentendo e gustando la sua vicinanza e basta. Invece, quanto più Gesù è “in noi”, nel nostro cuore, tanto più ci sentiamo spinti a interessarci dei fratelli bisognosi rinunciando alle nostre comodità e soddisfazioni. Papa Francesco dice che la presenza di Gesù in noi ci spinge a vivere le opere di misericordia, se no l’amore per Gesù è una illusione, perfino la preghiera in sé è una illusione! Zaccheo ci insegna che, per aver accolto in casa sua (= nella sua vita) Gesù, sente la necessità di staccarsi dalle ricchezze e dai suoi comodi, per realizzare una maggiore giustizia e per aiutare chi ha bisogno del suo aiuto. Come? Ce lo suggerisce Gesù di volta in volta nella vita feriale. Gesù non prende il nostro posto nelle decisioni quotidiane: rispetta la nostra persona e la nostra sacrosanta libertà. Siamo noi che responsabilmente decidiamo il da farsi di volta in volta: se Gesù vive “da Signore” in noi, certamente la nostra decisione è con44


forme alla Sua volontà. La via maestra è quella di usare gli strumenti della Chiesa, i Sacramenti. Papa Francesco aggiunge delle indicazioni sicure: le opere di misericordia. Le riporto… per chi le avesse dimenticate. Le sette opere di misericordia corporale 1. Dar da mangiare agli affamati. 2. Dar da bere agli assetati. 3. Vestire gli ignudi. 4. Alloggiare i pellegrini. 5. Visitare gli infermi. 6. Visitare i carcerati. 7. Seppellire i morti. Le sette opre di misericordia spirituale 1. Consigliare i dubbiosi. 2. Insegnare agli ignoranti. 3. Ammonire i peccatori. 4. Consolare gli afflitti. 5. Perdonare le offese. 6. Sopportare pazientemente le persone moleste. 7. Pregare Dio per i vivi e per i morti. N.B. Quanti “Zaccheo” ci sono sempre stati nella Chiesa, e quanti ce ne sono ancora oggi. Ricordo due esempi: Camillo de Lellis ( 1550 – 1614 ) da scapestrato a “servo degli infermi”. «Camillo era giudicato da tutti:’fantasioso, liberotto e bizzarro”, vale a dire, nel linguaggio del tempo:scriteriato e violento, tuttavia non senza impeti di generosità. Scese sempre più la scala della dignità, “finendo come un cane randagio, vagabondando senza meta, elemosinando e rubando”. Finalmente tra gli anfratti del Gargano cedette alla misericordia di Dio e si convertì, si buttò a terra esclamando: “Signore, perdona a questo grande peccatore”. Infiammato di santa carità, si fece servo degli infermi. Scrive un suo confratello: “La sola vista degli infermi bastava a intenerirlo, a commuoverlo e a fargli dimenticare completamente ogni altra attrattiva e 45


soddisfazione terrena. Quando serviva qualcuno di loro, o pareva struggersi di amore e compassione, volentieri avrebbe preso sopra di sé ogni male per raddolcire i loro dolori e alleviarli nelle infermità. Considerava tanto vivamente la persona di Cristo negli infermi, che spesso quando dava loro da mangiare, immaginando che essi fossero il suo Signore, domandava loro la grazia e il perdono dei suoi oeccati. Stava con tale riverenza dinanzi a loro come stesse proprio alla presenza del Signore». Madeleine Delbrel ( 1904 – 1964 ) da atea alla condivisione con i diseredati. «“Dio è morto!” Questa è la convinzione di Madeleine a diciassette anni. Dio non esiste più, quindi viviamo di conseguenza; ma la “conseguenza” è una vita drammatica: il Nulla assoluto. La sua giovane età prende però il sopravvento e, al di là delle sue convinzioni religioso-filosofiche, sente l’urgenza, la necessità, l’istintività del vivere. È attraverso la quotidianità e la delusione amorosa che Dio “lavora”, la raggiunge, Madleine, generosa, assetata di conoscere e di sperimentare, non fugge, “si fa trovare” e vuol trovare Dio, dapprima nella preghiera, poi negli altri: i più poveri, i diseredati. Gesù le chiede di andare con Lui nelle strade, accanto ai poveri. Il mondo diventa per lei e le sue compagne il “monastero”! Nel mondo lei è di Dio. Per spiegare questo scrive: “Ogni piccola azione è un avvenimento immenso in cui ci è dato il paradiso. Parlare o tacere, rammendare o fare una conferenza, curare un malato o battere a macchina: tutto questo non è che la scorza di una realtà splendida: l’incontro dell’anima con Dio, incontro ogni minuto rinnovato, ogni minuto che diventa, nella grazia, sempre più bello per il proprio Dio. Suonano? Presto, andiamo ad aprire: è Dio che viene ad amarci. Una informazione?... Eccola: è Dio che viene ad amarci. È l’ora di metterci a tavola? Andiamoci: è Dio che viene ad amarci. Lasciamolo fare». (A. M. Sicari, Ritratti di santi, n.6, Ed. Jaca Book. pp. 126-145)

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AMORE SOLIDALE

Gesù si è fatto proprio uno di noi e ci ha amati di un amore “solidale”. Per questo ha voluto condividere la nostra condizione di uomini, si è “sporcate le mani” con noi uomini peccatori, si è davvero compromesso con noi. S. Paolo, nella lettera ai Filippesi, scrive: «(Il Verbo), pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini…» (Fil. 2,6 s.). Don Bruno Maggioni commenta così la parola di S.Paolo: «Il Figlio di Dio è entrato nel mondo scegliendo la solidarietà e la condivisione, è entrato nel mondo assumendosi il peso della storia degli uomini… Il cristiano – se vuole essere fedele all’incarnazione – non può fuggire da esso e dai suoi problemi con la scusa di andare in cerca dell’assoluto: deve entrare nel mondo, soffrire e partecipare, condividere e prendersi a carico il peso della storia degli uomini». (B. Maggioni, Nel mondo ma non del mondo, Ancora, p. 46) È proprio una richiesta di Gesù: il cristiano non può estraniarsi dai problemi concreti della gente, piccoli o grandi. Deve anche lui “sporcarsi le mani”, come ha fatto il Verbo, uomo come noi. Però (questo è ciò che qualifica, quasi giustifica la nostra partecipazione alla vita sociale) occorre che ci si comporti come SALE e LUCE, immerso, anzi immischiato nella vita quotidiana degli altri uomini. Leggiamo Matteo 5, 13-16: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra il monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli». Sottolineo la incisività della parola di Gesù: noi cristiani dobbiamo essere nella società SALE, non zucchero!; LUCE, non nebbia! Il brano che stiamo esaminando segue immediatamente la pagina delle “beatitudini”. 47


«VOI» È lo stesso “voi” dell’ultima beatitudine: «Beati voi quando vi insulteranno… per causa mia» (Mt 5,12). Sono tutti coloro (e siamo compresi anche noi!) che vengono maltrattati e derisi perché ascoltano la “mia” parola – dice Gesù – ; proprio questi “poveretti” sono la luce del mondo e il sale della terra, ossia fanno brillare i valori umani e danno significato salvifico, santificante alle scelte e azioni dell’uomo. Ovviamente, se vivono “da cristiani”. «SIETE» Gesù dice: «siete», non… «dovete essere come il sale». E Gesù lo dice ai suoi apostoli e discepoli (E oggi lo dice a noi): tutti uomini limitati, litigosi, diversi tra loro, paurosi (Dopo la morte di Gesù si nascosero nel Cenacolo) e pigri («Non siete capaci di vegliare un’ora con me?). Ma ora, perché mi avete accettato e vi siete coinvolti con me fino al punto di essere odiati dal mondo, di fatto, anche se non ci pensate espressamente, aiutate gli uomini ad essere se stessi e a migliorare: e così costruite la società cristiana. Sappiamo che l’agire dipende dall’essere; quindi, ciò che conta – afferma il Vangelo – è «vivere per il Cristo!». Tu ne sei convinto sul serio? Quanto conosci Gesù Cristo? Lo interpelli spesso nella tua quotidianità? E qualche volta “litighi” con Lui? Ricorda: “siete”, non “sarete’! Siamo adesso “sale”, nelle nostre fatiche e dubbi quotidiani, nel nostro ambiente, nelle differenti situazioni di vita. E lo siamo nonostante i nostri limiti e i nostri difetti. È proprio vero: se sono cristiano, devo aprirmi al mondo intero. Se no, la conseguenza è inevitabile: asfissia! Il “come” (=vivere e agire come Gesù mi chiede) non è limitato alla mia persona, alla mia casa, ai miei interessi. Si allarga all’infinito, proprio come le onde del mare, che si rincorrono fino all’estremo orizzonte. Dio non si è limitato al popolo d’Israele nell’Alleanza. Si è “servito” d’Israele, il popolo eletto, come “strumento” per stabilire l’Alleanza tra Dio e tutti i popoli. Oggi la Chiesa (quindi: tutti noi, personalmente) è vero “sacramento” dell’amore di Dio per ogni uomo. Guai se la Chiesa , il 48


cristiano si chiudesse in sé; guai se fosse “autoreferenziale” – come dice papa Francesco. Questo non esige che il cristiano sia il migliore di tutti, o sia un… “tuttofare”. Nei vari campi e situazioni umane il cristiano ha il compito di… dare sapore e valore (È sale!) e di far brillare il significato profondo e ultimo di ogni attività e situazione, anche quelle negative (È luce!). SALE LE FUNZIONI DÀ SAPORE senza “alienare” i cibi, senza mutarne le caratteristiche né il fine specifico di ogni cibo. Eppure il sale ha un suo sapore , molto sgradevole e inconfondibile; lo “cede” ai cibi, non lo impone, non annulla quello degli altri; anzi, fa in modo che proprio per la sua presenza e la sua azione ogni cibo acquisti, o meglio, sviluppi il suo sapore specifico e caratteristico, tanto che, senza sale, qualsiasi cibo è insipido, non sa di niente! Il cristiano, se vive sul serio la sua adesione a Gesù, dà “sapore”, valore e significato alle varie realtà del mondo. Non impone uno scopo o un valore particolare: ogni realtà ha il suo fine, però l’azione del cristiano favorisce lo sviluppo delle varie realtà e facilita il raggiungimento del suo fine peculiare. Pensa alle gioie e ai dolori della vita; pensa alla cultura (diventa davvero una via per penetrare sempre più la Verità, che è Dio); pensa all’amore grazie al quale l’uomo diventa una comunione vivente come Dio Trinità; pensa all’educazione, vero strumento per realizzare il disegno di Dio su ciascun uomo, ecc. ecc. Quanti cristiani anche del nostro tempo sono stati vero sale per la società di oggi: Madre Teresa di Calcutta, Don Gnocchi, Marcello Candia, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati… Alcuni sono già riconosciuti “beati” dalla Chiesa. Anticamente i cristiani, con il loro concetto di libertà, hanno 49


sconvolto e trasformato l’Impero romano decadente. Lo afferma addirittura Plinio il Giovane! – uno storico autorevole dell’antico popolo romano. PRESERVA dalla corruzione i cibi. Il cristiano vero (pensa a quel famoso “VOI…” della nona beatitudine) con la sua azione tenta di non lasciar corrompere la società; fa sì che certi problemi umani non degenerino in male contro l’uomo. Alcuni esempi sono emblematici. Proprio la presenza attiva di veri cristiani nella storia dei nostri tempi ha fatto e fa in modo che non degeneri… In dittatura (mi permetto di citare l’azione di De Gasperi al termine della II guerra mondiale) In morte (no all’aborto, no all’eutanasia, no all’uso dei feti, no agli esperimenti umani ; pensa al ricupero degli handicappati, dei drogati…) In caos. Pensa alla “famiglia”, solo tra un uomo e una donna; pensa al matrimonio indissolubile ; pensa all’amore umano che non è passione irrazionale e istintivo. In materialismo, relativismo, edonismo ecc. e a tutte le parole negative che terminano in –ismo. Qui bisognerebbe citare tanti insegnamenti degli ultimi Papi. PURIFICA, brucia… sulle ferite! Quando il sale brucia, vuol dire che ci sono delle ferite. In questo caso il sale serve anche a disinfettare, frena il corrompersi della carne. L’esperienza insegna che talvolta la presenza attiva e qualificata di cristiani autentici in certe situazioni suscita una reazione negativa istintiva, viscerale. Vuol dire che lì c’è del marcio, che va cauterizzato e purificato. Pensa al campo della scuola “paritaria”, difficilmente considerata alla pari di quella statale, pensa al campo della cultura dove spesso i cattolici non vengono considerati perché cattolici! L’elenco sarebbe troppo lungo; ciascuno può sbizzarrirsi a cercare altri esempi. 50


LE CONDIZIONI Deve essere SALE, NON ZUCCHERO Per essere “sale”, evangelicamente parlando, occorre + Conoscere la verità mediante la meditazione quotidiana della Parola di Dio e lo studio dei principali documenti del Magistero attuale. + Coerenza di vita: le parole smuovono, ma è l’esempio che trascina! Non si dica di noi: “Predica bene ma razzola male!’ + Personalità cristiana. La riassumo in una sola affermazione: “credenti in Cristo” “Credenti” è participio presente, quindi significa: coloro che di fatto, ora, qui credono; nella misura in cui credono. Il sale È NEL CIBO Fino a quando il sale rimane nel recipiente, il sale non dà sapore a niente. Deve essere dentro nel cibo, nascosto, confuso con il cibo senza farsi vedere e non deve rimanere sopra il cibo. Si influisce cristianamente, sviluppando i valori presenti nelle varie realtà umane, solo se e nella misura in cui si esce dal proprio egoismo, dalla propria nicchia, dall’individualismo e dall’isolamento, per entrare, immischiarsi nel mondo, per partecipare di persona nei diversi problemi degli uomini che mi stanno a fianco. È indispensabile scomodarsi, partecipare alla vita pubblica; non limitarsi ad approvare o a condannare a distanza. Papa Francesco invita spesso e con forza: «Uscite, andate alle periferie!». Ovviamente il sale deve essere messo nei cibi in giusta misura, solo nella quantità necessaria; né troppo, né troppo poco, altrimenti rovina i sapori dei vari cibi. Così il cristiano è presente nella società come collaboratore senza pretendere di essere l’unico che capisce i problemi e l’unico che ha sempre le soluzioni migliori. È uno dei tanti, alla pari degli altri, ma… cristianamente! 51


Il sale dà sapore solo SE SI SCIOGLIE! È ovvio, perfino inutile ricordarlo: se il sale messo nei cibi non si scioglie, non dà sapore. Anzi, si deve sciogliere tutto ed essere presente in tutto il cibo e in modo uniforme, altrimenti rende cattivo il sapore del cibo o della porzione di cibo dove si trova il sale che non si è sciolto. Occorre essere “dentro” nelle varie iniziative e pagare di persona, spendersi, condividere, collaborare, affinché le varie realtà e situazioni sprigionino i loro valori e raggiungano pienamente il loro fine. Non arrocchiamoci in casa nostra, nelle nostre abitudini e sicurezze; non viviamo per il nostro vantaggio, non chiediamoci sempre: «A me quanto rende?». Rendiamoci disponibili ai problemi e alle necessità altrui. Gesù si è “sciolto’… fino al Golgota. Per questo ci ha redenti, ci ha liberati dal male, permettendoci di realizzare pienamente l’immagine di Dio in noi. Così Gesù è stato… il sale dell’umanità! Noi vogliamo essere sale dei nostri contemporanei? Come Gesù, fino al Calvario?! LUCE LE FUNZIONI Mi limito a qualche brevissimo richiamo. La luce, naturale o artificiale,

MA NON LE INVENTA.

FA VEDERE LE VARIE REALTÀ,

Il cristiano non ha la pretesa di inventare nuovi valori; Il suo compito è quello di mettere in risalto, far vedere tutto ciò che è un bene per l’uomo, e sa trovare aspetti positivi in ogni situazione umana. Per questo, è un promotore di speranza!

La luce FA BRILLARE LA BELLEZZA. Così il cristiano con la sua partecipazione alla vita sociale aiuta a scoprire il bello che c’è in ogni cosa creata proprio perché creata da Dio. Ricorda il Salmo 18: «I cieli narrano la gloria 52


di Dio e l’opera delle sue mani annuncia il firmamento». Quindi il compito del cristiano nel mondo è quello di sviluppare la gioia nei fratelli! INDICA LA VIA verso la meta ed aiuta ad evitarne i pericoli. Senza la luce non si conosce se la strada che percorriamo è quella giusta, e tanto meno si vede la meta a cui siamo diretti. Compito irrinunciabile del cristiano nella vita sociale è quello di indicare ai fratelli che il fine ultimo verso il quale ogni uomo è inevitabilmente incamminato è il Paradiso. Pertanto il cristiano aiuta a vivere il quotidiano in modo trascendente, cioè al di là dell’immediato. E aiuta a verificare se la strada battuta dagli uomini di mondo è giusta o è sbagliata. LE CONDIZIONI NON NASCONDERE LA LUCERNA SOTTO IL MOGGIO. Papa Francesco lo ripete spesso: “Bisogna uscire da se stessi; andare, andare…, inserirsi nel mondo, condividere la vita e la storia dei fratelli, specialmente di quelli che hanno più bisogno di aiuto”. Bisogna “sporcarsi le mani”. Quindi: niente egoismo, egocentrismo, indifferentismo ecc. Via tutti gli ismi! Occorre LUCE PIENA, MOLTO LUMINOSA. Un cristiano incide nella società nella misura in cui vive una vita cristocentrica! Ossia una vita fondata sulla preghiera e sui sacramenti, soprattutto sull’Eucaristia! Non è sufficiente una lampadina da 10 o da 25 candele! – si diceva una volta –. È la luce viva, forte che fa vedere anche la polvere! Se non ha una vita “devota”, il cristiano è incapace di portare un contributo qualificante nella società. Soprattutto oggi servono i testimoni autentici, quelli che… vivono la fede, la carità, e sono quindi “facitori di speranza”. Diceva S. Francesco di Sales: «La devozione è lo scintillio della carità». Che bella definizione! 53


La beata Madre Teresa di Calcutta ci insegna con l’esempio: «In un quartiere di Melbourne ho visitato un vecchio, che sembrava dimenticato da tutti. Diedi uno sguardo alla sua stanza e la trovai in condizioni spaventose. Dovevo pulirla, ma lui mi diceva: “Va bene così”. Non gli risposi e alla fine mi lasciò che io dessi una ripulita. C’era una bella lampada, coperta da una polvere di anni. Gli domandai: “Perché non l’accende?”. “E per chi dovrei accenderla?” rispose. “Da me non viene nessuno e io non ho bisogno di accenderla”. Gli domandai ancora: “L’accenderebbe se una Sorella venisse a trovarla?”. Rispose: “Sì; se sentirò una voce umana, l’accenderò”. Il giorno dopo mi mandò a dire: “Dica alla mia amica che la luce che ella ha acceso nella mia vita sta ancora splendendo”». (Madre Teresa di Calcutta, Sorridere a Dio) La Lettera a Diogneto, un documento che risale all’inizio del III secolo d.C., espone con chiarezza la posizione dei cristiani nel mondo: «I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per la nazione, né per la lingua, né per la maniera di vestire. Non abitano città proprie, non si servono di una lingua speciale, il loro genere di vita non ha nulla di singolare. Non è all’immaginazione o ai sogni di spiriti agitati che devi la sua scoperta, la loro dottrina; non si fanno, come tanti altri, campioni di una dottrina umana. Sono sparsi nelle città greche e barbare seguendo la sorte toccata a ciascuno; si conformano agli usi locali per il vestire, il mangiare, il modo di vivere, pur manifestando le straordinarie e veramente paradossali leggi della loro repubblica spirituale. Ognuno vive nella sua patria, ma al modo degli stranieri domiciliati. Adempiono tutti i loro doveri di cittadini e sopportano tutti gli obblighi come gli stranieri. Ogni terra straniera è per essi una patria, e ogni patria una terra straniera. Si sposano come tutti, hanno dei figli, ma non abbandonano i loro neonati. Condividono tutti la medesima mensa , ma non lo stesso letto… In una parola, quello che l’anima è nel corpo, i cristiani lo sono nel mondo. L’anima è diffusa in tutte le membra del corpo come i cristiani nelle città del mondo. L’anima abita nel corpo, eppure non è del corpo, come i cristiani abitano nel mondo ma non sono del mondo». 54


Concludo con un invito del monaco T. Merton: «Se hai denaro, pensa che forse Dio te lo ha lasciato cadere nelle mani solo perché tu possa trovare gioia e perfezione nel prodigarlo. È facile dire al povero di accettare la sua povertà come volontà di Dio quando tu hai vesti calde, cibo in abbondanza, cure mediche, un tetto sopra la testa e nessuna preoccupazione circa la rendita. Ma se vuoi che i poveri ti credano, cerca di condividere la loro povertà, e vedi se anche tu puoi accettarla come volontà di Dio!» (T. Merton, Semi di contemplazione, Ed. Figlie della Chiesa, Roma, p. 70) Il grido finale è di S. Agostino: «AMA E FA’ QUELLO CHE VUOI».

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Pro manuscripto

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Luigi Schiatti

«Ama il prossimo tuo come te stesso». Ma: che cosa devo fare per amarlo? L’amore non sta solo nel compiere gesti di attenzione verso qualcuno; è innanzi tutto un modo di vivere, che parte da un personale rapporto costante con Gesù. Scriveva Don G. Moioli: «Prima che un insieme di gesti, la carità è un modo di essere: il modo di essere di una persona che è “come Cristo”, che vive di Lui e con Lui».

COME

Lo stile del cristiano


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