L'inizio e la fine del mondo

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Gli estratti musicali sono disponibili per gentile concessione di Sony Classical / Sony Music Entertainment Italy S.P.A.

La traduzione dei libretti è di Franco Serpa.

La casa editrice, esperite le pratiche per acquisire i diritti di riproduzione delle immagini e dei testi, rimane a disposizione di quanti avessero a vantare ragioni in proposito.

Sito & eStore – www.ilsaggiatore.com Twitter – twitter.com/ilSaggiatoreED Facebook – www.facebook.com/ilSaggiatore © il Saggiatore S.p.A., Milano 2013


Sommario

Premessa di Gastón Fournier-Facio

1

Introduzione

5

Cronologia

13

Nota alla traduzione dei libretti di Franco Serpa

27

Der Ring des Nibelungen Das Rheingold Soggetto Guida Libretto

32 35 53

Die Walküre Soggetto Guida Libretto

136 139 159

Siegfried Soggetto Guida Libretto

260 263 291

Götterdämmerung Soggetto Guida Libretto

406 409 435

Conclusione

541

Bibliografia ragionata

547

L’edizione discografica

569



La maledizione del possesso prima scena

L’opera inizia con un suono amorfo, indefinito, quasi un rumore: una vibrazione sospesa in aria, piena di aspettative. Si tratta di un’unica nota, un grande pedale molto grave suonato da otto contrabbassi soli. Un suono statico, atemporale, senza divenire, che rappresenta la natura ancora vergine e indisturbata, il caos primigenio. Otto corni cominciano ad aggiungere lentamente a quell’unica cellula, a quell’unico mi bemolle profondo, altri suoni presi dai suoni armonici (le risonanze acustiche naturali che ogni nota contiene all’interno di sé). Il suono statico comincia ad arricchirsi di altri strumenti e dell’armonia dell’accordo maggiore di mi bemolle, come un lentissimo risvegliarsi della natura, l’origine della musica stessa. Pian piano appare il ritmo, il divenire. Scorre sempre più veloce, fino a trasformarsi in un flusso possente, uno degli elementi primordiali della natura, l’acqua. Sostanza amorfa, senza struttura, l’acqua è l’origine del mondo, la fonte della vita. La maggior parte di coloro che primi filosofarono pensarono che princìpi di tutte le cose fossero solo quelli materiali. Infatti essi affermano che ciò di cui tutti gli esseri sono costituiti e ciò da cui derivano originariamente e in cui si risolvono da ultimo è elemento ed è principio degli esseri, in quanto è una realtà che permane identica pur nel trasmutarsi delle sue affezioni. E, per questa ragione, essi credono che nulla si generi e nulla si distrugga, dal momento che una tale realtà si conserva sempre. Talete, iniziatore di questo tipo di filosofia, dice che quel principio è l’acqua (per questo afferma anche che la terra galleggia sull’acqua), desumendo indubbiamente questa sua convinzione dalla costatazione che il nutrimento di tutte le cose è umido, e che perfino il caldo si genera dall’umido e vive nell’umido. Ora, ciò da cui tutte le cose si generano è, appunto, il principio di tutto. Egli desunse dunque questa convinzione da questo e inoltre dal fatto che i semi di tutte le cose hanno una natura umida, e l’acqua è il principio della natura delle cose umide. Ci sono, poi, alcuni i quali credono che anche gli antichissimi che per primi hanno trattato degli dèi, molto prima della presente generazione, abbiano avuto questa stessa concezione della realtà naturale. Infatti, posero Oceano e Teti come autori della generazione delle cose, e dissero che ciò su cui gli dèi giurano è l’acqua, la quale da essi vien chiamata Stige. Infatti, ciò che è più antico è anche ciò che è più degno di rispetto, e ciò su


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cui si giura è, appunto, ciò che è più degno di rispetto. Aristotele [Metafisica, i, 3]

In questo caso l’acqua è uno specifico fiume, il grande Reno, il luogo mitico del popolo tedesco da cui emergerà tutta l’azione e al quale tutto ritornerà alla fine della Tetralogia. Il cielo s’inabissa | dentro di te, | il cielo manda cenni | da dentro te, o Reno! | Esso arde così splendidamente | nel tuo grembo, | perciò così possente | sei tu, così grande! L. Bechstein [Am Rhein, vv. 9-16]

In mezzo allo scorrere delle onde del Reno appare finalmente un essere vivente, una voce, un linguaggio. È Woglinde, una delle tre figlie del Reno che nuotano in cerchio intorno a uno scoglio: Weia! Waga! Rotola, onda, ondeggia e cullami! Wagalaweia! Wallala weiala weia!

Ab  Preludio Mentre le tre figlie del Reno (Woglinde, Wellgunde e Flosshilde) giocano e si rincorrono nell’acqua, prima serenamente e via via in modo sempre più sfrenato, la loro attenzione viene catturata da un chiarore sempre più vivo, che irradia da un punto elevato dello scoglio fino a diventare un luminosissimo, abbagliante fulgore d’oro. È l’oro del Reno, il loro idillio edenico e senso della vita, l’oggetto del loro culto, materia fondamentale e sacra, primigenia e incontaminata. Indietro dunque alla sorgente, al principio di tutte le cose e della loro musica! La profondità del Reno, col suo luccicante tesoro di cui le sue figlie giocando si rallegrano, era lo stadio primitivo del mondo innocente e non ancora macchiato dal desiderio e dalla maledizione. Esso


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era, nello stesso tempo, il principio della musica. Non solo della musica mitica: egli stesso, il musico poeta, creerebbe il mito della musica, filosofia mitica e poema della creazione musicale, costruito per un mondo organicamente contesto di simboli, derivato dal triplice accordo di mi bemolle maggiore che s’eleva dai profondi flutti irrompenti del Reno. T. Mann [Wagner e «Der Ring des Nibelungen» (1937)]

Le figlie del Reno sono le custodi dell’oro e Wagner attribuisce loro un Leitmotiv – un motivo musicale guida – prima suonato dai corni e poi dalla tromba, che si rivelerà fondamentale lungo tutta la Tetralogia: Wallala lalala leia jahei! Oro! Oro! Del Reno tu gioia, sorridi splendido e puro! L’ardente tua luce santa si effonde nell’onda!

Ac  Le tre figlie del Reno inneggiano all’oro Sarà l’irruzione del raccapricciante Alberich, uno dei nibelunghi abitanti del ventre della terra, l’origine del dramma dell’intera saga. Più volte eccitato e poi frustrato dalla malizia erotica delle figlie del Reno, anche lui viene attratto dall’oro custodito nelle profondità del fiume, frutto proibito del quale gli viene ora rivelato l’arcano: Wellgunde: Il dominio del mondo si prenderebbe intero colui che dall’oro forgiasse l’anello … Woglinde: Solo colui che dell’amore


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la forza rinnega, solo colui che del piacere il diletto respinge, a lui soltanto tocca il miracolo di costringere l’oro in un cerchio. Sconvolto dalla volontà di potenza, più forte della lascivia e dello stesso amore, Alberich ruba l’oro alle figlie del Reno con spaventosa violenza: La vostra luce io spengo, strappo alla roccia l’oro, tempro l’anello della vendetta; odano i flutti: io maledico l’amore! All’improvviso tutto viene avvolto da una fitta oscurità. Il furto di Alberich, simile a un demone biblico, rompe l’equilibrio del mondo primigenio e incontaminato e introduce il disordine nel regno naturale, inferendo un trauma originario che condizionerà tutto il resto della saga. Che cosa induce l’essere vivente a obbedire e a comandare e a esercitare obbedienza anche nel comando stesso? Udite solo una parola, saggi fra i saggi! Esaminate attentamente se io sia penetrato fino al cuore della vita e fino alle radici del suo cuore! Dove trovai essere vivente, là trovai volontà di potenza; e anche nella volontà di chi serve trovai la volontà di essere padrone. F. Nietzsche [Così parlò Zarathustra, «Del superamento di sé»]

Nessun’opera inizia con una tale quantità di princìpi fondamentali come Das Rheingold: l’assenza di tempo, il caos, l’inizio del movimento e del divenire, l’acqua, il flusso del fiume, l’oro primigenio e il suo furto, l’oro forgiato in anello, il suo potenziale per il dominio del mondo, l’orrendo prezzo della rinuncia esistenziale all’amore e la relativa maledizione. L’anello è un cerchio, una delle forme perfette della realtà. È anche simbolo dell’eterno ritorno, di una realtà senza inizio e senza fine che annulla il tempo e il suo divenire. La misura della forza del cosmo è determinata, non è “infinita”: guardiamoci da questi eccessi del concetto! Conseguentemente, il numero delle posizioni, dei mutamenti, delle combinazioni e degli sviluppi di


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questa forza è certamente immane e in sostanza “non misurabile”; ma in ogni caso è anche determinato e non infinito. È vero che il tempo nel quale il cosmo esercita la sua forza è infinito, cioè la forza è eternamente uguale ed eternamente attiva: fino a questo attimo, è già trascorsa un’infinità, cioè tutti i possibili sviluppi debbono già essere esistiti. Conseguentemente, lo sviluppo momentaneo deve essere una ripetizione, e così quello che lo ha generato e quello che da esso nasce, e così via: in avanti e all’indietro! Tutto è esistito innumerevoli volte, in quanto la condizione complessiva di tutte le forze ritorna sempre. F. Nietzsche [Frammenti postumi, 11 (316)]

Das Rheingold è scritto senza soluzione di continuità, senza intervalli che interrompano il flusso continuo delle sue quattro scene. Attraverso un interludio orchestrale, si passa quindi ininterrottamente da un mondo all’altro: dal letto del Reno a un’aperta pianura posta su una sommità montana dove s’intravede sullo sfondo, sulle cime della terra, il mitico Walhall, il trionfale palazzo degli dèi.

Ad Potenzialità dell’anello – Maledizione dell’amore – Furto dell’oro – Interludio strumentale – Walhall



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