Perché le nazioni falliscono

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Daron Acemoglu, James A. Robinson

Perché le nazioni falliscono Alle origini di potenza, prosperità e povertà Traduzione di Marco Allegra e Matteo Vegetti


Sito & eStore – www.ilsaggiatore.com Twitter – twitter.com/ilSaggiatoreEd Facebook – www.facebook.com/ilSaggiatore © Daron Acemoglu e James Robinson, 2012 © il Saggiatore S.p.A., Milano 2013 Titolo originale: Why Nations Fail


Perché le nazioni falliscono Ad Arda e Asu, D.A. Para María Angélica, mi vida y mi alma, J.R.



Sommario

Prefazione

11

Perché gli egiziani hanno riempito piazza Tahrir per rovesciare Hosni Mubarak e che cosa significa per la comprensione delle cause di prosperità e povertà

1. Così vicine, eppure così lontane

17

Nogales, Arizona, e Nogales, Sonora, hanno la stessa gente, cultura e geografia: perché una è ricca e l’altra è povera?

2. Teorie che non funzionano

55

I paesi poveri non sono tali a causa della loro geografia o cultura, o perché i loro leader non sanno quali politiche arricchirebbero i cittadini

3. La costruzione di prosperità e povertà

81

Come prosperità economica e povertà sono determinate dagli incentivi creati dalle istituzioni e come la politica determina le istituzioni di una nazione

4. Piccole differenze e congiunture critiche: il peso della storia Come le istituzioni cambiano con il conflitto politico e come il passato plasma il presente

109


5. «Ho visto il futuro e so che funziona»: la crescita economica sotto regimi estrattivi

137

Ciò che Stalin, il re Shyaam, la rivoluzione neolitica e le città-stato maya hanno in comune, e come questo spiega perché l’attuale crescita economica cinese non può durare

6. Sentieri divergenti

165

Come le istituzioni si evolvono nel tempo, spesso differenziandosi a poco a poco

7. Il punto di svolta

195

Come le riforme politiche del 1688 cambiarono le istituzioni in Inghilterra, portando alla rivoluzione industriale

8. Non a casa nostra: le barriere allo sviluppo

227

Perché in molte nazioni i potentati politici si opposero alla rivoluzione industriale

9. L’arresto dello sviluppo

259

Come il colonialismo europeo impoverì vaste aree del mondo

10. La diffusione della prosperità

287

Come alcune regioni del mondo imboccarono sentieri verso la prosperità diversi da quello della Gran Bretagna

11. Il circolo virtuoso

315

Come le istituzioni che incoraggiano la prosperità creano circoli virtuosi che le mettono al riparo dalle élite che le minacciano

12. Il circolo vizioso

347

Come le istituzioni che creano la povertà generano circoli viziosi che consentono loro di perdurare

13. Perché le nazioni falliscono oggi Istituzioni, istituzioni, istituzioni

379


14. Infrangere le barriere

415

Come diversi paesi hanno cambiato traiettoria economica cambiando istituzioni

15. Comprendere prosperità e povertà

439

Come il mondo avrebbe potuto essere diverso, e come la comprensione di ciò spiega perché gran parte dei tentativi di combattere la povertà sono falliti

Ringraziamenti Fonti e riferimenti bibliografici Bibliografia

475

Indice analitico

517

477 495



Prefazione

Questo libro tratta delle enormi differenze di reddito e tenore di vita che separano i paesi ricchi del mondo, come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania, dai paesi poveri, come quelli dell’Africa subsahariana, dell’America centrale e dell’Asia meridionale. Mentre scriviamo questa prefazione, il Nordafrica e il Medio Oriente sono scossi dalla cosiddetta Primavera araba, cominciata il 17 dicembre 2010 con la rivoluzione dei gelsomini sull’onda del pubblico sdegno per il suicidio di un venditore ambulante, Mohamed Bouazizi. Il 14 gennaio 2011, il presidente Zine El Abidine Ben Ali, che governava la Tunisia dal 1987, è stato costretto a dimettersi, ma invece di diminuire, il fervore rivoluzionario contro il dominio di élite privilegiate è divenuto più forte e si è diffuso al resto del Medio Oriente. Hosni Mubarak, che per quasi trent’anni aveva governato l’Egitto con il pugno di ferro, è stato estromesso dal potere l’11 febbraio 2011. Il destino dei regimi di Bahrein, Libia, Siria e Yemen è ancora ignoto, mentre completiamo questa prefazione. Le radici del malcontento di questi paesi sono da ricercare nella povertà che li caratterizza. L’egiziano medio ha un livello di reddito che è circa il 12 per cento di quello del cittadino medio statunitense, e un’aspettativa di vita di dieci anni inferiore; il 20 per cento della popolazione vive in assoluta povertà. Benché queste differenze siano significative, sono piuttosto contenute, se paragonate a quelle esistenti fra gli Stati Uniti e i paesi più poveri del mondo, come la Corea del Nord, la Sierra Leone e lo Zimbabwe, dove ben oltre metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà.


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Perché l’Egitto è più povero degli Stati Uniti? Quali sono i vincoli che impediscono ai suoi cittadini di arricchirsi? La povertà dell’Egitto è immutabile o può essere sradicata? Un modo naturale per cominciare a dare qualche risposta è sentire che cosa dicono gli egiziani stessi dei problemi che si trovano ad affrontare e delle ragioni per cui sono insorti contro il regime di Mubarak. Noha Hamed, ventiquattro anni, impiegata in un’agenzia pubblicitaria del Cairo, ha espresso chiaramente le sue opinioni manifestando in piazza Tahrir: «Soffriamo per la corruzione, per l’oppressione, per la cattiva istruzione. Viviamo in un sistema corrotto che deve cambiare». Un altro giovane presente in piazza, Mosaab El Shami, vent’anni, studente di farmacia, concordava: «Spero che entro la fine dell’anno avremo un governo eletto, che le libertà universali siano applicate e che si metta fine alla corruzione che si è impossessata del paese». I dimostranti di piazza Tahrir si sono detti tutti concordi sulla corruzione dello stato, sulla sua incapacità di fornire servizi e sulla mancanza di pari opportunità nel paese. Hanno lamentato la repressione e l’assenza di diritti politici. Come Mohamed El Baradei – ex direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica – scrisse su Twitter il 13 gennaio 2011, «Tunisia: repression + absence of social justice + denial of channels for peaceful change = a ticking bomb» (Tunisia: repressione + assenza di giustizia sociale + negazione di canali per il cambiamento pacifico = una bomba a orologeria). Gli egiziani e i tunisini pensavano entrambi che i propri problemi economici fossero sostanzialmente causati dalla privazione dei diritti politici. Quando i dimostranti iniziarono a formulare le proprie rivendicazioni in modo più sistematico, le prime dodici richieste immediate – postate da Wael Khalil, l’ingegnere informatico e blogger emerso come uno dei leader del movimento di protesta egiziano – si concentravano sul cambiamento politico. Questioni come l’aumento del salario minimo sono apparse solo tra le rivendicazioni transitorie, che avrebbero dovuto essere accolte più tardi. Secondo gli egiziani, ad averli tenuti nell’arretratezza sono uno stato corrotto e inefficiente e una società in cui non possono far fruttare il loro talento, la loro ambizione, il loro ingegno, né la qualità dell’istruzione che ricevono. Ma riconoscono anche che le radici di questi problemi sono politiche. Tutti gli impedimenti economici che si trovano di fronte derivano dal modo in cui in Egitto il potere politico è esercitato e mono-


Prefazione  13

polizzato da una ristretta élite. Questa, si rendono conto, è la prima cosa che deve cambiare. Eppure, seguendo tale convinzione, chi protestava a piazza Tahrir è andato in una direzione assai divergente rispetto all’opinione comune sull’argomento. Quando ragiona del perché un paese come l’Egitto sia povero, gran parte degli accademici e degli osservatori enfatizza fattori completamente diversi. Alcuni sottolineano come la povertà dell’Egitto sia determinata in primo luogo dalla sua geografia, dal fatto che in gran parte il paese è desertico e privo di precipitazioni adeguate, e che il suo suolo e il suo clima non permettono un’agricoltura produttiva. Altri invece puntano il dito contro i tratti culturali degli egiziani, che si presume siano avversi allo sviluppo economico e alla creazione di ricchezza. Essi, sostengono, non hanno quell’etica del lavoro e quei tratti culturali che hanno permesso ad altri paesi di prosperare; ciò che li contraddistingue è invece l’adesione alla religione musulmana, i cui fondamenti sono inconciliabili con il successo economico. Un terzo approccio, che domina fra gli economisti e i commentatori economici, si basa sull’assunto per cui, semplicemente, i governanti dell’Egitto non sanno di che cosa ci sia bisogno per arricchire il loro paese, e in passato hanno seguito politiche e strategie fallimentari. Se tali governanti si facessero dare i consigli giusti dai giusti consiglieri – questo è il ragionamento – ne conseguirebbe automaticamente la prosperità. A questi accademici e editorialisti il fatto che l’Egitto sia stato governato da ristrette élite ingrassatesi a spese della società sembra irrilevante per la comprensione dei problemi economici del paese. In questo libro sosterremo invece che gli egiziani di piazza Tahrir, a dispetto di gran parte dei professori e dei commentatori, si sono fatti un’idea corretta. L’Egitto è povero perché è stato governato da una ristretta élite, che ha modellato la società sui propri interessi a danno della vasta maggioranza delle persone. Il potere politico, concentrato in poche mani, è stato sfruttato per procurare grandi ricchezze a coloro che lo controllano: basti pensare alla fortuna di 70 miliardi di dollari accumulata dall’ex presidente Mubarak. Ad averci rimesso sono stati i cittadini egiziani, che lo capiscono fin troppo bene. Mostreremo che questa interpretazione della povertà egiziana, la voce della gente, si rivela capace di fornire una spiegazione generale del perché i paesi poveri sono tali. Che si tratti di Corea del Nord, Sierra Leone


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o Zimbabwe, spiegheremo che il sottosviluppo dipende dalla stessa ragione per cui l’Egitto è povero. Nazioni come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti sono diventate ricche perché i loro cittadini hanno rovesciato le élite che controllavano il potere, dando vita a società in cui i diritti politici sono distribuiti in modo molto più ampio, il governo è responsabile verso i cittadini e sensibile alle loro istanze, e la gran massa delle persone può trarre vantaggio dalle opportunità economiche. Dimostreremo che per capire la ragione delle grandi disuguaglianze a cui oggi assistiamo nel mondo, bisogna scavare nel passato e studiare la dinamica storica delle società. Vedremo che se la Gran Bretagna è più ricca dell’Egitto è perché nella prima (o per essere esatti in Inghilterra), nel 1688, ci fu una rivoluzione che ne trasformò la politica, e quindi l’economia. La popolazione si batté per maggiori diritti politici e li ottenne, utilizzandoli per espandere le proprie opportunità economiche. Il risultato fu una traiettoria diversa, che culminò nella rivoluzione industriale. La rivoluzione industriale e le tecnologie che sprigionò non si estesero all’Egitto perché il paese era sotto il controllo dell’Impero ottomano, che lo governava come la famiglia Mubarak fece in seguito. La dominazione ottomana cessò con l’intervento di Napoleone Bonaparte nel 1798, ma in seguito il paese cadde sotto il controllo del colonialismo britannico, che, al pari dei sultani turchi, aveva scarso interesse a promuoverne la prosperità. Anche se gli egiziani si scrollarono di dosso gli imperi ottomano e britannico e nel 1952 rovesciarono la monarchia, queste non furono rivoluzioni come quella inglese del 1688: invece di trasformare radicalmente la politica del paese, portarono al potere un’altra élite, altrettanto disinteressata a perseguire il benessere degli egiziani comuni di quanto lo erano stati ottomani e britannici. Di conseguenza, la struttura di base della società non cambiò e l’Egitto rimase povero. Nel libro studieremo come questi meccanismi si riproducano nel tempo, e perché qualche volta riescano a modificarsi, come avvenne nell’Inghilterra del 1688 e nella Francia del 1789. Questo ci aiuterà a capire se oggi la situazione egiziana è cambiata, e se la rivoluzione che ha deposto Mubarak condurrà a un nuovo insieme di istituzioni capaci di generare prosperità per tutti gli abitanti. In passato l’Egitto ha affrontato rivoluzioni che non hanno cambiato le cose, perché coloro che le guidavano presero semplicemente in mano le briglie del comando da chi avevano destituito,


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ricreando un sistema simile. È davvero difficile, per i normali cittadini, riuscire ad acquisire un potere politico reale e cambiare il funzionamento della società. Ma è possibile, e vedremo come ciò sia avvenuto in Inghilterra, Francia e Stati Uniti, ma anche in Giappone, Botswana e Brasile. In sostanza, perché una società povera diventi ricca è necessaria una trasformazione politica in questa direzione. Alcuni elementi suggeriscono la possibilità che ciò stia attualmente accadendo in Egitto. Reda Metwaly, un altro dimostrante di piazza Tahrir, faceva notare che: «Oggi vedi musulmani e cristiani insieme, vedi giovani e vecchi insieme, tutti che vogliono la stessa cosa». Noteremo come un movimento sociale così profondo sia stato un elemento chiave anche in altre trasformazioni politiche della storia. Se comprendiamo quando e perché avvengono simili cambiamenti, saremo in una posizione migliore per capire quando aspettarci un fallimento di questi movimenti – un esito frequente nella storia passata – e quando invece sperare che abbiano successo, riuscendo a migliorare le vite di milioni di persone.



1. Così vicine, eppure così lontane

L’economia del Rio Grande La città di Nogales è tagliata in due da un muro. Se ci si avvicina e si guarda a nord è possibile vedere Nogales, Arizona, parte della contea statunitense di Santa Cruz. Da quel lato il reddito di una famiglia media è di circa 30 000 dollari l’anno. Gran parte degli adolescenti va ancora a scuola e la maggioranza degli adulti ha un diploma di istruzione superiore. Malgrado tutte le critiche che le persone fanno al sistema sanitario statunitense per le sue carenze, la popolazione è relativamente in buona salute, con un’alta aspettativa di vita secondo gli standard globali. Molti dei residenti hanno più di sessantacinque anni e il diritto all’assistenza sanitaria pubblica di Medicare. Questo è solo uno dei molti servizi che lo stato fornisce e che la maggior parte dei cittadini dà per scontati, come l’elettricità, i telefoni, il sistema fognario, la rete di strade che li unisce al resto degli Stati Uniti e, ultima ma non meno importante, la garanzia della legalità e dell’ordine. Gli abitanti di Nogales, Arizona, possono svolgere le proprie attività quotidiane senza timore di attentati alla vita o alla sicurezza, e non devono temere costantemente di essere vittime di furti, espropri e altre cose che potrebbero mettere a repentaglio i loro investimenti in aziende e immobili. Altrettanto importante, i residenti di Nogales, Arizona, danno per scontato che, pur con tutte le inefficienze e la corruzione occasionale, lo stato agisca nel loro interesse. Possono votare per sostituire il loro sindaco, i loro deputati e senatori; si esprimono alle elezioni


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presidenziali che determinano chi sarà il leader del paese. La democrazia è per loro una seconda pelle. La vita a sud del muro, solo pochi metri più in là, è piuttosto diversa. Anche se i residenti di Nogales, Sonora, vivono in una zona relativamente prospera del Messico, il reddito della famiglia media è circa un terzo rispetto a quello di Nogales, Arizona. Gran parte degli adulti di Nogales, Sonora, non ha un diploma, e molti adolescenti non vanno a scuola. Le madri devono affrontare alti tassi di mortalità infantile. Data la scarsa qualità del sistema sanitario pubblico, non sorprende che i residenti di Nogales, Sonora, non vivano altrettanto a lungo dei loro omologhi del nord. Allo stesso modo, non hanno accesso ad altri servizi pubblici. Le strade sono in cattive condizioni, a sud della frontiera. La legalità e l’ordine pubblico stanno ancora peggio. Il tasso di criminalità è elevato e aprire un’azienda è rischioso: non solo c’è il rischio di furti e rapine, ma ottenere tutti i permessi e «oliare» tutti gli amministratori non è un’impresa facile, anche solo per avviare un’attività. I residenti di Nogales, Sonora, convivono ogni giorno con la corruzione e l’inettitudine dei politici. In contrasto con i vicini del nord, la democrazia è un’esperienza molto recente per loro. Fino alle riforme politiche del 2000, Nogales, Sonora, come il resto del Messico, era sotto il corrotto controllo politico del Pri, il Partito rivoluzionario istituzionale. Come possono le due metà di quella che è in sostanza la stessa città essere così diverse? Non c’è differenza nella geografia, nel clima, e neppure nelle malattie tipiche dell’area, dal momento che i germi non devono affrontare le restrizioni esistenti per andare avanti e indietro tra Stati Uniti e Messico. Naturalmente, le condizioni di salute sono molto diverse, ma questo non ha niente a che fare con l’epidemiologia; la ragione è invece che le persone a sud del confine vivono in condizioni igieniche peggiori e sono prive di un’assistenza sanitaria decente. Ma forse il fatto è che i residenti sono molto diversi. Non sarà che gli abitanti di Nogales, Arizona, sono i pronipoti dei migranti dall’Europa, mentre quelli a sud sono discendenti degli aztechi? In realtà non è così. I retroterra delle persone da entrambi i lati del confine sono assai simili. Dopo che il Messico si rese indipendente dalla Spagna nel 1821, l’area attorno a «Los dos Nogales» divenne parte dello stato messicano della Vieja California, e tale rimase anche dopo la guerra messicano-americana del


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1846-1848. Fu solo dopo il cosiddetto Gadsden Purchase (letteralmente l’acquisto di Gadsden) nel 1853, infatti, che il confine statunitense si estese fino a quest’area. Il tenente Nathaniel Michler notò, mentre faceva la ricognizione della frontiera, la «bella, piccola valle di Nogales». Lì furono fondate le due città, una su ciascun lato del confine. Gli abitanti di Nogales, Arizona, e di Nogales, Sonora, condividono gli stessi antenati, amano lo stesso cibo e la stessa musica, per cui ci possiamo arrischiare a dire che abbiano la stessa «cultura». Naturalmente, esiste una spiegazione molto semplice e ovvia per la differenza fra le due Nogales, che il lettore avrà intuito fin dall’inizio: l’esistenza della frontiera che divide le due metà. Nogales, Arizona, è negli Stati Uniti. I suoi abitanti hanno accesso alle istituzioni economiche statunitensi, che consentono loro di scegliere liberamente le rispettive occupazioni e di acquisire istruzione e competenze, e che incoraggiano i loro datori di lavoro a investire nelle migliori tecnologie: fattori che, nel loro insieme, consentono loro di ricevere salari più alti. Hanno anche accesso a istituzioni politiche che permettono di partecipare al processo democratico, di eleggere i propri rappresentanti e di rimpiazzarli se agiscono in modo sbagliato. Di conseguenza, i politici forniscono i servizi di base (dalla sanità pubblica alle strade e all’ordine pubblico) che i cittadini esigono. Gli abitanti di Nogales, Sonora, non sono altrettanto fortunati. Vivono in un mondo diverso, plasmato da istituzioni diverse. Le istituzioni creano incentivi molto differenti per gli abitanti delle due Nogales e per le aziende e gli imprenditori disposti a investirvi. Tali incentivi, determinati dalle differenti istituzioni dei due paesi in cui sono situate, sono la ragione principale del divario di prosperità economica di qua e di là dal confine. Perché le istituzioni degli Stati Uniti sono tanto più adatte a promuovere il successo economico di quelle del Messico e, oltretutto, dell’intera America Latina? La risposta a questa domanda risiede nel modo in cui le diverse società si sono formate durante il primo periodo coloniale, allorché si determinò un processo di divergenza istituzionale, le cui conseguenze perdurano ancora oggi. Per capire questa differenziazione, dunque, dobbiamo cominciare dalla fondazione delle colonie in Nordamerica e America Latina.



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