InGenova Dicembre 2013

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ANNO 11 - N° 5 - Dicembre 2013 - Gennaio/Febbraio 2014 - Magazine di cultura, informazione e tempo libero - Poste Italiane - Spedizione in abbon. postale - D.l. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 N°46) art.1 comma 1 D.C.B. - GENOVA - nr. 594 anno 2006

DICEMBRE 2013 - GENNAIO/FEBBRAIO 2014 - E 3,00

VENEZIA 70°

Sacro GRA e gli altri: tutti i film della Mostra del Cinema

FRANCO CARLONI

La scultura dedicata al «Drake» nell’intervista di Daniele Crippa

LUXURY FASHION WAVE Moda e lusso protagonisti nella cornice dell’Hotel Melia

RED CANZIAN

e le sessanta primavere del calicanto

CARLA BENVENUTO

Da una serra di Quinto l’interiorità di un’artista straordinaria

GIORGIO GUERELLO

Il presidente del consiglio comunale di Genova attore per Checco Zalone

SPOSI

Dal look vintage ai «cronut» tutte le tendenze del 2014

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Sommario

DICEMBRE/GENNAIO/FEBBRAIO 2013-2014

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/ Red Canzian, la vita in un libro

Direttore Responsabile Gabriele Lepri Direttore Editoriale Giordano Rodda Editore RR Editori - Via Caffaro 7/2 16124 Genova - Tel. 0108592291 Responsabile Marketing e Relazioni esterne Giulio Conchin lupo_190@libero.it - +393486523094

Il bassista dei Pooh ha presentato ad Acqui Terme “Ho visto sessanta volte fiorire il calicanto”

4/ Charles Garnier a Bordighera

L’attivita’ del celebre progettista dell’Opera di Parigi e della sala dei concerti del casino’ di Montecarlo nella localita’ ligure

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Progetto Grafico RR Editori Grafica e impaginazione Barbara Macellari

/ Fascino d’Oriente e nostalgie post-sovietiche

Incontro con il professor Michele Marsonet, reduce da un viaggio in Kazakhstan: un grande Paese che solo oggi l’Occidente comincia a scoprire

Servizi Fotografici Giulio Bardelli, Marcello Rapallino, Gianni Risso

10/ Giorgio Guerello si scopre attore

Hanno collaborato: Diego Anelli, Diana Bacchiaz, Silvia Barbagelata, Matteo Ceschina, Leo Cotugno, Gaby De Martini, Pamela Guarna, Dario G. Martini, Daniela Masella, Anna Proverbio, Marcello Rapallino, Mauro Ricchetti, Virgilio Pronzati, Gianni e Iskandar Risso, Anna Maria Solari, Matteo Sicios

Il presidente del consiglio comunale di Genova protagonista di un cameo nell’ultimo film di Checco Zalone

Stampa Grafiche Vecchi Srl Viale Kennedy 27 28021 Borgomanero (No)

Sei pellicole presentate al 70° Festival del Cinema di Venezia, dalla vincitrice “Sacro GRA” ai nuovi film di Terry Gilliam e Stephen Frears

12/ Giù i muri per Venezia 70° 20/ Carla Benvenuto,

Internet rreditori@gmail.com Distribuzione Potete trovare InGenova e Liguria Magazine nelle edicole della provincia di Genova e nelle edicole più importanti di S. Terenzio, Lerici, Zoagli, S. Michele di Pagana, Portofino, Bogliasco, Arenzano, Cogoleto, Varigotti, Finalborgo, Laigueglia, Cervo, S. Bartolomeo al Mare, Diano Marina, Imperia, Pieve di Teco, S. Lorenzo al Mare, Taggia e inoltre nelle edicole di La Spezia (Piazza Caduti della Libertà, Piazza Verdi, Via del Prione, Piazza Garibaldi, V Via Garibaldi, Piazza Cavour), Sarzana (Via Gramsci), Chiavari (Piazza Mazzini, Corso Dante, Piazza Nostra Signora dell’Orto), Rapallo (Piazza delle Nazioni, Via S. Anna), Santa Margherita (Piazza Vittorio Veneto, Via Bottaro), Camogli (Via al Porto), Recco (Via Serreto), Varazze (Corso Matteotti, Piazza Dante), Celle (Via Colla), Albisola Superiore (Corso Mazzini), Albissola Marina (Via Billiati), Savona (Piazza Giulio II, Via Paleocapa, Piazza Mameli, Piazza Diaz), Vado Ligure (Via Aurelia), Spotorno (Via Garibaldi), Noli (Piazza Morando), Finale Ligure (Piazza Vittorio Emanuele II), Pietra Ligure (Via Matteotti), Loano (Via Aurelia), Borghetto S. Spirito (Corso Europa), Albenga (Piazza del Popolo), Alassio (Stazione FS, Via Garibaldi), Andora (Via Aurelia), Arma di Taggia (Via Blengina, Via S. Francesco), Sanremo (Piazza Colombo, Porto, Piazza Eroi Sanremesi, Corso Imperatrice, Corso Matuzia), Ventimiglia (Via della Repubblica), Ospedaletti (Corso Regina Margherita), Bordighera (Piazza Eroi della Libertà, Via Vittorio Emanuele, Piazza del Popolo), Lavagna (Piazza Cordeviola), Cavi di Lavagna (Piazza Sauro), Sestri Levante (Piazza Repubblica), Riva Trigoso (Via della Libertà)

dalla serra di Quinto

Da Parigi alla Cina, successo straordinario per l’artista genovese

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/ Spose perfette per il giorno più bello

Glamour e vintage: tutti i consigli e le tendenze 2014 per un matrimonio davvero da sogno

38/ Luxury Fashion Wave

Successo per l’evento moda organizzato nella splendida cornice dell’hotel Meliá di Genova dall’atelier «Amiche di classe»

42/ Un ricevimento “vintage”

Idee e tendenze per il ricevimento e il banchetto nuziale, tra stile anni Venti e il “cronut” che ha fatto impazzire i newyorkesi

50/ Una storia in salita frenata per raccontarla

Daniele Crippa, direttore del Museo di Portofino, intervista Franco Carloni, la cui scultura dedicata al “Drake” è il fiore all’occhiello del parco Enzo Ferrari del Comune di Maranello

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/ Re Sciacchetrà sul trono delle Cinque Terre

L’Associazione Culturale “Amici delle Cinque Terre”, il Parco Nazionale delle Cinque Terre e i Comuni di Monterosso al mare, Riomaggiore e Vernazza, hanno promosso il primo Festival del passito delle Cinque Terre, dedicato allo Sciacchetrà

90/ Go Wine presenta i vini di Cantine d’Italia 2013

Nella cornice dello Star Hotel President di Genova, ventiquattro aziende per cento vini sono state le protagoniste di una degustazione per presentare il nuovo volume dell’associazione albese

94/ Lo stemma della Superba visto da Bruno Battaglino

Quando l’arte del passato si trasforma in contemporanea: la riproduzione dello stemma di Genova del 1570

96/ Sapori dimenticati: il bugiandu

A Fabbriche, nell’entroterra di Voltri, ancora si può gustare durante la sagra agostana il caratteristico piatto simile a una polenta con patate

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/ Scimiscià, dal passato al presente

Negli anni Novanta è stato recuperato un vitigno storico, che oggi è entrato a far parte della Doc Golfo del Tigullio-Portofino

116/ E Marsiglia si tinge d’azzurro

A Giuseppe Piccioli Resta il primo premio Plongeurs d’Or e il primo premio Malacologia. Sugli scudi anche i documentaristi Daniele Iop, Manfred Bortoli e Massimo Boyer e Roberto Rinaldi per “U455”

Registrato c/o il Tribunale di Genova il 18/11/2002 - N° 23/02

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In copertina: Red Canzian

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ingenova e liguria magazine


e Liguria magazine

di Leo Cotugno

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ioniere, coraggioso ed anche un po’ spavaldo, della vita che rinasce dopo i rigori dell’inverno. Questo è il calicanto, un fiore che agli inizi dell’anno, sfida i rami degli alberi, ricoperti di neve e ghiaccio, per regalare il primo messaggio di nuova stagione con largo anticipo. Red Canzian, bassista, cantante, compositore, storico componente dei Pooh, ha rivissuto sessanta volte questo coraggio: nel suo libro autobiografico edito da Mondadori e che potremo acquistare in tutte le librerie della nostra regione si racconta con spontaneità e calore in ogni capitolo di una vita bohemienne: dall’infanzia a Quinto di Treviso sino ai più recenti trionfi internazionali assieme ad un complesso divenuto leggenda nella storia della musica. Una vita tutta sogni e passioni.

REGIA IMPECCABILE

Incontriamo Red Canzian nella splendida cornice di Palazzo Robellini, la location che, grazie al fattivo impegno del Comune di Acqui Terme, rappresentato da Carlo Sburlati, ma soprattutto alla presenza di Lucia Dini, che ha curato nei minimi dettagli l’organizzazione tecnica, scenica e artistica della presentazione, ha riscosso un successo straordinario. L’Assessorato alla cultura del Comune di Acqui Terme, nella persona di Francesco Bonicelli e il Circolo Ferrari rappresentato da Gio’Sesia, pittrice e presidente dello stesso, sono stati i collaboratori di una regia impeccabile, che Canzian non ha mancato di elogiare.

PER SOGNARE BASTA UNA MATITA

«Nei confronti della vita si deve essere un po’ come un calicanto – esordisce il bassista dei Pooh – che nonostante la rigidità e l’inclemenza del clima invernale fiorisce, forse vinto dalla curiosità. Lo ammetto, sono curioso di ogni aspetto della vita, se così non fosse, non si potrebbe sognare». Red scruta l’interlocutore in modo profondo, quando lo afferma. Un aforisma rafforza le convinzioni: «Chi sogna di giorno è

IL BASSISTA DEI POOH HA PRESENTATO AD ACQUI TERME “HO VISTO SESSANTA VOLTE FIORIRE IL CALICANTO”

RED CANZIAN, LA VITA IN UN LIBRO 2 INGENOVA Magazine

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La copertina forse più importante di chi sogna di notte». Quando ha davvero iniziato a sognare Red Canzian? «Quando mi hanno regalato la prima matita. Ricordo ancora il profumo del legno temperato: poi ore ed ore a fantasticare, in quell’immensa sala della villa nobiliare a Quinto di Treviso dove la mia famiglia, poverissima, dimorava. Guardare con stupore quei meravigliosi affreschi mi faceva sentire grande, ben diverso dal bambino che trascorreva i pomeriggi giocando a pallone o andando in monopattino».

IL CUORE E’ UNO ZINGARO

A dodici anni Bruno Canzian (questo il nome di battesimo donato dai genitori Gianna e Giovanni) riceve in regalo la prima chitarra. Siamo nel 1963, dall’Inghilterra giunge l’eco di uno straordinario quartetto che sta conquistando le platee a macchia d’olio. Si chiamano Beatles. Per il ragazzo è una nuova meta da esplorare. «Ascoltavo Elvis Presley e la sua “Love me tender” da tempo, Paul McCartney e John Lennon hanno fatto letteralmente irruzione nella mia vita quotidiana con “Love me do”. Mi sono sentito zingaro dentro, con la voglia di fare qualcosa; e con la voglia che quel qualcosa fosse proporzionato a quello che sentivo». I sogni di Red si rincorrono, divengono espressione diretta nei primi dipinti, sempre più numerosi. Si cementano accompagnati dal rumore della prima mietitrebbia, vista dal piccolo Canzian come un mostro mitologico. Voglia di comunicare al mondo la vita, accompagnato da personaggi bizzarri e pittoreschi. «Nel paese, Quinto di Treviso, la nostra informatrice e postina era la Gelinda, facile ad alzare il gomito. Quanto fosse vera o trasformata la notizia dipendeva da quanto aveva bevuto: noi giovani andavamo a sgallettare i bachi da seta ed il premio era un bicchiere di vin clinton, più mosto che vino: dalla forza tremenda».

DAL VENETO A RONCOBILACCIO: NASCE LA LEGGENDA POOH

Red vive l’estate al mare con i genitori, «badando soprattutto a difendermi da un improponibile costume da bagno in lana, confezionato dalla mamma». La riviera di Jesolo sarà il secondo capitolo di vita, con le prime serate nei locali, le burbere proprietarie tedesche «che preferivano il tango ed il valzer alla musica beat melodica, con pochissimi avventori presenti» ed i primi amori. Sono gli anni più difficili ed emozionanti. Canzian ha una bella voce e un’altrettanto evidente presenza fisica, ed a diciassette anni vince la prestigiosa rassegna canora dello “Stroppolo d’Oro” a Conegliano Veneto. E’ il 28 novembre 1968. Il suo complesso “I Prototipi” continua a riempire balere e locali, senza però quel passo in avanti decisivo. La curiosità del diciassettenne Bruno viaggia di pari passo con quella di Pino Massara, che contatta i ragazzi: «In epoca di beat generation il nome anglofono suona vincente, diventerete i Capsicum Red. Questo il nome scientifico della pianta del peperoncino rosso». Red sarà da allora, nel 1969, il nome di Canzian, la cui carriera è ad un bivio due anni dopo: al Festivalbar la gradevole ma acerba “Tarzan” è bocciata dalla critica, nel backstage si rincorre una voce: i Pooh stanno cercando un nuovo bassista per sostituire il bravo ma bizzoso Riccardo Fogli. «Il provino avvenne a Roncobilaccio: un hotel che si animava solo di notte, per la presenza di anziani benestanti ed avvenenti signorine tedesche – sorride Red . Quel locale insonorizzato con migliaia di rotoli di carta igienica, e da noi subito ribattezzato “il paradiso del culo” portò fortuna: fui scelto tra oltre 350 concorrenti. Nasceva il Canzian bassista dei Pooh».

Il resto è storia recente, o forse dovremmo dire leggenda, lunga 40 anni. «La ricorrenza dell’esordio è stata celebrata a febbraio di quest’anno, il 15 febbraio». Nel libro, presentato come si è detto ad Acqui Terme, Red parla a lungo della sua scelta vegana: «Diceva Leonardo da Vinci: verrà il tempo in cui si proverà per l’uccisione di un animale lo stesso biasimo che si prova per quella di un uomo». Si chiude con un messaggio di fede: «Ho scritto qualcosa quando Papa Francesco ha pronunciato il suo anatema per i morti di Lampedusa. Al fianco della vergogna c’è la pietà, il cui segno è ben più difficile che non il segno della vergogna. Le famiglie che sono giunte in Italia piangono ed aspettano come le nostre».

UNA CARRIERA LEGGENDARIA, UN NOME INCONFONDIBILE Red Canzian, all’anagrafe Bruno, storico bassista dei Pooh con cui ha firmato indelebilmente quasi un cinquantennio di musica intramontabile, nasce a Quinto di Treviso, nella piana del fiume Sile, a fine novembre del 1951. Carattere versatile, talento precocissimo, si appassiona a soli dodici anni alla pittura, e pochi mesi dopo il suo esordio artistico, nei vani della settecentesca villa nobiliare che divide, in condizioni economiche tutt’altro che agevoli, assieme ai familiari, riceve in regalo dal padre la prima chitarra. Sono anni difficili, ricchi di incognite. Red sceglie la strada delle sette note nella seconda metà degli anni Sessanta, quando inizia ad esibirsi assieme ad alcuni amici d’infanzia con “I Prototipi” in alcuni locali della riviera veneta. Sbarcando faticosamente il lunario, Red viene notato dal produttore Pino Massara, con cui il gruppo muterà nome, lasciando il pionieristico “Prototipi” per il ben più internazionale Capsicum Red. Da qui anche la derivazione del nuovo nome di Red Canzian. Le pubblicazioni dei 45 giri “Ocean” e “Tarzan”, quest’ultima presentata anche al Festivalbar del 1971, non lasciano il segno, se non in Red, che proprio in occasione dell’evento ha l’opportunità della vita, conoscere i Pooh. Suona ancora con gli Osage Tribe, ma la fine dell’esperienza con i Capsicum, scioltisi dopo la partenza dei componenti per il servizio di leva, ha segnato e non poco Red. I Pooh si sono formati nel 1968, muovono i primi passi già con decisione, ma dovranno fare ben presto i conti con le…passioni del bassista e cantante Riccardo Fogli, che nel 1972 lascia il complesso. A Roncobilaccio si svolgerà pochi mesi dopo il provino di selezione per il nuovo bassista, che arride a Canzian. Red entra ufficialmente nei Pooh il 15 febbraio 1973: oltre quarant’anni di vita artistica assieme a Dodi Battaglia, Roby Facchinetti e Stefano D’Orazio (ora non più presente nel gruppo) accompagnata da canzoni che hanno fatto sognare tre generazioni.

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Liguria magazine

CHARLES GARNIER A BORDIGHERA Busto di Charles Garnier.

L’ATTIVITA’ DEL CELEBRE PROGETTISTA DELL’OPERA DI PARIGI E DELLA SALA DEI CONCERTI DEL CASINO’ DI MONTE CARLO, NELLA LOCALITA’ LIGURE 4 INGENOVA Magazine


Liguria artistica di Angela Valenti Durazzo

«L

a simpatia per la mia cara Italia non si affievolisce, e ogni anno vado a cercarvi qualche ora di fede e coraggio per mettermi nel cuore e negli occhi qualche caldo raggio di colore». Così il celebre architetto francese Charles Garnier, progettista fra le altre cose de l’Opéra di Parigi «il progetto francese più ambizioso e costoso della seconda metà dell’Ottocento», della sala dei concerti del Casinò di Monte Carlo (chiamata appunto Salle Garnier), dell’osservatorio astronomico di Nizza (insieme a Gustave Eiffel) celebra la sua patria d’elezione, l’Italia, e implicitamente Bordighera, località nella quale risiederà per lunghi periodi regalando alla pittoresaca cittadina un’impronta personale, sotto il profilo intellettuale ed architettonico, che ancora oggi sopravvive. Nella località del ponente ligure, infatti, l’architetto parigino visse a lungo, realizzando fra le altre cose Villa Bischoffsheim, in seguito ribattezzata Villa Etelinda, l’odierno Municipio (da lui concepito come edifico scolatico), la Chiesa di Terrasanta con la bellissima facciata policroma ed il portale con lo stemma francescano (in parte eseguito dallo stesso Garnier), Villa Studio e, non ultima, la propria residenza, Villa Garnier, oggi proprietà delle Suore di San Giuseppe di Aosta. Garnier acquistò nel 1871 il terreno a picco sul mare su cui edificare la villa nella zona dell’Arziglia. In seguito per mantenere la vista che si godeva dal promontorio comprò gli

appezzamenti e le quattro ville confinanti. Realizzò inoltre un parco a terrazzo ricco di palme ed aranci che il De Amicis definì «la reggia delle palme». Una creatività, quella di Garnier in «Riviera», messa in mostra di recente anche nel Principato, nel corso dell’esposizione su Architettura, Urbanismo ed Urbanizzazione a Monaco Monacopolis realizzata dal Nouveau Musée National Monaco a Villa Sauber e Villa Paloma. Dai fasti dell’Opera di Parigi, e dalla profusione d’oro zecchino della vicina Salle Garnier del Casinò di Monte Carlo, alle ville di Bordighera il passo dunque è breve. La cosmopolita località, infatti, conserva un patrimonio edilizio, più personale forse, ma altrettanto straordinario dell’architetto che secondo la descrizione di uno stretto collaboratore si distingueva anche nell’aspetto fisico: «il cappello che s’intestardiva a indossare al contrario, la cravatta svolazzante annodata malamente, il colletto ripiegato che aveva una vaga rassomiglianza con una camicia da notte, gli stivaletti impolverati, la giubba da lavoro abbottonata sotto al collo, i lunghi capelli folti e rabbiosi, lo spregio dell’eleganza e delle pretese mondane, davano a Charles Garnier una fisionomia propria». Fisionomia e genialità che diedero vita a Villa Garnier che, con la sagoma bianca e le linee eleganti ma non sfarzose, sembra ricalcare l’anima pittoresca e poco artefatta della cittadina ligure percorsa nei secoli scorsi da molti illustri visitatori stranieri. «In questa Villa potrebbe essere girato un film su Garnier

Villa Garnier, particolare del giardino.

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– commentano Andrea Folli, architetto, e Gisella Merello, autori della monografia Charles Garnier e la Riviera – . Pare infatti che qui il tempo si sia fermato: la vegetazione lussureggiante del parco, i disegni dei collaboratori di Garnier nel vestibolo, le terrazze che dominano il promontorio, l’atmosfera ottocentesca, tutto è segno della presenza così importante per Bordighera di Garnier e della sua famiglia». Ed è proprio la famiglia uno dei motivi principali per cui Charles e la moglie Louise scelgono la località rivierasca per trascorrere lunghi periodi. Il figlio Christian, soprannominato Nino (che si spegnerà un mese solo dopo la morte del padre) è infatti cagionevole di salute e affetto da una forma di tubercolosi seguita ad un’influenza. I genitori, che già in precedenza avevano perso un figlio di meno di un anno, cercano quindi «con il dolce clima ligure, di contrastare l’inasprimento del male». E la scelta

Villa Garnier particolare dell’affresco del salone.

Qui sotto: Ritratto del figlio di Garnier. Nella foto a fianco: Georges Clairin (1872) Caricature di Garnier, vestibolo della Villa Garnier di Bordighera.

di Bordighera rende felice il giovane e talentuoso Nino che confessa in uno scritto «Devo benedire la mia malattia, che mi ha fatto allontanare da quell’odiosa Ecole centrale e mi ha mandato nella nostra villa di Bordighera che amo tanto e dove posso dedicarmi agli studi di mia scelta». Ma anche in quella zona, sebbene lontano dalla ribalta parigina, Garnier non smise mai di progettare. Nel periodo, infatti, in cui assunse la direzione dei lavori del teatro di Monte Carlo, raggiungeva il cantiere partendo ogni mattina da Bordighera, oppure soggiornando con la famiglia qualche giorno all’Hôtel de Paris. E la Liguria diventa luogo di frequentazione anche dei collaboratori ed amici pittori parigini. Gli affreschi e le caricature (tra cui quella di Garnier con pipa e corpo realizzato da un compasso, di Georges Clairin, e il ritratto del figlio Nino di Jules-Eugène Lenepveu) realizzati nel

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Liguria artistica

Qui a fianco: Paul Baudry - Ovale a soffitto del vestibolo (particolare). A fianco: il campanile di Villa Garnier; Andrea Folli e Gisella Merello, studiosi di Garnier. vestibolo della Villa di Bordighera, sono un prezioso «sigillo» del loro passaggio e dello spirito giocoso e cosmopolita degli ospiti di casa Garnier. «Dall’epoca in cui Garnier si stabilì a Bordighera, la cittadina subì notevoli trasformazioni per attrezzarsi a stazione invernale - spiegano ancora Andrea Folli e Gisella Merello che snaturarono, per certi versi il piccolo borgo che egli aveva originariamente conosciuto e del quale si era innamorato». Infatti la consorte Louise riporta preoccupata in uno scritto «giungemmo la prima volta a vivere nella nostra villa, nel gennaio 1875. Dopo l’inaugurazione dell’Opéra Bordighera contava quattordici stranieri, compresa la nostra famiglia. Ora ce ne sono almeno 1800. Non c’era che un albergo, ora se ne contano una quindicina». L’architetto dell’Opéra temeva infatti che «Bordighera divenisse una stazione mondana come stava accadendo nella vicina Monte Carlo» e, in considerazione dei flussi turistici che giungevano raccomandava «che la piana verso est diventi pure una città moderna; ma che a partire dal Capo, la natura pittoresca sia sempre rispettata». Ma l’amore per la località rivierasca e per l’Italia, che aveva frequentato in precedenza per lunghi periodi anche di formazione professionale, darà vita anche a Les motifs artistiques de Bordighera, opera contenuta all’interno della guida di Hamilton Bordighera in gennaio. Vademecum del Forestiere, pubblicata nel 1877. Gli verrà inoltre affidata la progettazione di una chiesa protestante nella vicina Ospedaletti per conto della Société Française Ligurienne, che però non sarà mai eseguita. Poco meno di vent’anni dopo, nel 1898, Garnier si spegne. La vedova, che oltre a lui perderà l’amato figlio Nino, riporta nelle proprie volontà «desidero che la villa resti il più possibile nelle medesime condizioni come se Charles, Nino ed io dovessimo ritornarci, un giorno, uniti tutti e tre...». Bordighera regala a questo principe dell’architettura ed al suo indiscusso talento, il monumento visibile nei giardini del Capo. Un altro busto dell’architetto dell’Opéra si trova ancora oggi accanto all’ingresso di Villa Garnier. Ce lo mostra con lo sguardo acuto e penetrante che lo contraddistingueva

e la capigliatura scarmigliata che sembra resa inquieta dal vento di mare di questo angolo di Liguria dove l’orizzonte si confonde con quello della vicina Monaco e della Costa Azzurra.

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Liguria magazine

di Diana Bacchiaz Qual è stato il primo impatto con questa repubblica ex-URSS di cui sappiamo pochissimo? Fascino dell’Oriente e nostalgie post-sovietiche. Ecco il sunto di un rapido viaggio nel Kazakhstan per visitare un’università locale con cui il mio ateneo, l’Università di Genova, ha molti rapporti di cooperazione. Si arriva ad Almaty – la vecchia Alma Ata quando ancora esisteva l’URSS – con l’impressione di essere in una delle tante città americane tutte uguali. Grattacieli ovunque, fast food a ogni angolo, automobili di lusso che sfrecciano su strade a quattro corsie. Capisci di non essere negli States sentendo che tutti parlano russo, salvo passare all’inglese quando lo straniero dà chiari segni di non comprendere ciò che dicono. Non sempre, ovviamente. Succede in albergo e all’università, ma taxisti e negozianti continuano sorridendo a parlare russo, a volte scusandosi. E poi i tratti tipicamente orientali dei kazakhi sono bilanciati da un gran numero di visi con capelli biondi e occhi celesti, a riprova del fatto che, in loco, quella russa è sì una minoranza, però assai consistente. Che impronta ha lasciato l’Unione Sovietica in questo paese ? E’ stupefacente notare quanto sia forte l’impronta lasciata dall’Unione Sovietica, che pure si è dissolta molti anni fa. E in Kazakhstan – mi spiegano – non ha lasciato un ricordo tanto spiacevole. Dopo tutto proprio qui, a Baikonur, c’è il grande cosmodromo che costituiva la principale base del programma spaziale sovietico, tuttora sotto amministrazione russa. E la Cina, per parafrasare il titolo di un celebre film diretto da Marco Bellocchio nel 1967, è vicina sul serio. Basta guardare la carta geografica per accorgersi che il confine con la Repubblica Popolare si trova a poca distanza. Per un Paese come questo, di dimensioni enormi e con solo 16 milioni di abitanti, l’espansionismo cinese preoccupa assai più delle mire egemoniche della Russia, con la quale esiste del resto un rapporto di cooperazione che risale ai tempi degli zar. La lingua di Tolstoj è rimasta veicolare, anche se il kazakho viene insegnato in abbinamento col russo nelle scuole. Lo si sente parlare nelle occasioni ufficiali, ma la conversazione normale si svolge in russo. Approfittando del fatto che si tratta di una lingua turca occidentale, il governo di Istanbul sta facendo notevoli sforzi per aumentarne la diffusione, in linea con le ambizioni da grande potenza regionale che la Turchia manifesta da quando Erdogan è al potere. C’è pure il progetto di passare dai caratteri cirillici a quelli latini. Ma – mi spiegano i colleghi della Ablai khan University – è utopistico pensare che la lingua nazionale possa rimpiazzare il russo. I motivi sono presto detti. Delle delegazioni in visita alla Ablai khan durante il mio soggiorno la maggior parte proveniva dalle tante Repubbliche ex sovietiche. Non solo da quelle asiatiche, ma pure dalle lontane Ucraina e Bielorussia. Per uno straniero è sorprendente notare due docenti bielorussi dell’Università di Minsk che conversano amabilmente con i colleghi kazhaki senza alcun bisogno di interpreti. Parlano a tutti gli effetti la medesima lingua, e lo stesso vale per lituani, turkmeni e georgiani. I rapporti economici sempre stretti favoriscono tale tendenza, che non pare contrastata da rivalse nazionali come quelle frequenti nelle nazioni del Baltico o del Caucaso.

E allora cosa c’è di veramente kazhako? La specificità kazhaka emerge di più sul piano culturale. Non tanto grazie ai discorsi ufficiali che Rettore e autorità pronunciano nella lingua nazionale, subito seguita dalla traduzione in russo. Si tratta piuttosto dei costumi che gli studenti indossano per ricevere gli ospiti. Molto belli, richiamano un passato di tribù nomadi che percorrevano la steppa, e in seguito profondamente influenzate dalle invasioni mongole che qui hanno davvero lasciato il segno. Lo si ritrova nei tratti somatici solo un po’ più dolci rispetto a quelli della vera Mongolia. Nella carne di cavallo che viene servita in tavola come piatto comune (destando parecchie incertezze negli occidentali, incluso il sottoscritto). Nella musica monotonale noiosa solo per chi non presta attenzione, ma affascinante se ci si sforza di penetrare lo spirito che la anima.L’eredità sovietica è ben presente anche nelle aule e nel museo dell’Università, dove campeggiano ovunque i ritratti dell’eterno presidente Nursultan Nazarbayev, già segretario del partito comunista ai tempi dell’URSS. I ritratti sono nello stile sovietico classico, anche se il rosso è stato sostituito dal celeste e dal giallo oro della bandiera nazionale. A rammentare il passato recente provvedono inoltre alcuni professori anziani invitati a tenere discorsi in onore degli ospiti. Hanno il petto ricoperto di medaglie come i generali sovietici, e due di loro dicono con orgoglio di aver combattuto i nazisti nella seconda guerra mondiale. Uno mi rammenta in maniera sorprendente la figura di Mikhail Suslov (l’ideologo del defunto partito comunista sovietico), per quanto con tratti più orientali.

INCONTRO CON IL PROFESSOR MICHELE MARSONET, REDUCE DA UN VIAGGIO IN KAZAKHSTAN: UN GRANDE PAESE CHE SOLO OGGI L’OCCIDENTE COMINCIA A SCOPRIRE

FASCINO DELL’ORIENTE E NOSTALGIE POST-SOVIETICHE 8 INGENOVA Magazine


Genovesi nel mondo Ed i rapporti con noi occidentali ? Il Paese, notoriamente ricchissimo di materie prime, dimostra una certa apertura verso il mondo occidentale e la volontà di intrattenere rapporti cordiali con la confinante Cina. Nelle scuole, oltre il russo e quella nazionale, si insegnano più lingue e non è raro trovare studenti che parlano italiano in modo corretto. Restano comunque privilegiate le relazioni con le Repubbliche ex sovietiche e in primo luogo con la stessa Russia. Una situazione ben diversa da quella che abbiamo sperimentato in Europa, dove l’URSS evoca soprattutto ricordi di filo spinato, di colonne di tank in marcia, di repressione delle identità nazionali. Rammento di aver provato le stesse impressioni nel corso di una precedente visita a Baku, capitale dell’Azerbaijan. Anche là minoranza slava assai consistente e il russo utilizzato ovunque come lingua veicolare. E’ allora importante rammentare che le esperienze storiche vengono vissute in modo diverso nelle varie parti del mondo. Il giudizio – positivo o negativo – è in larga parte determinato dal contesto culturale e geografico in cui si è inseriti. Una lezione da non dimenticare, soprattutto per coloro che credono a una Storia con la “S” maiuscola che procede trionfante prescindendo dalle condizioni concrete in cui operano gli esseri umani. A dispetto della tanto conclamata crisi gli italiani vanno in vacanza. Non tutti, naturalmente, ma questo accadeva anche in periodi più felici sul piano economico, quando parecchi restavano a casa perché non potevano permettersi di spendere. A quanti vacanzieri, tuttavia, viene in mente che siamo un Paese quasi privo di materie prime?

CHI È MICHELE MARSONET Si è laureato in Filosofia presso l’Università di Genova e in seguito all’Università di Pittsburgh (U.S.A.). Dopo la laurea ha svolto periodi di ricerca in qualità di Visiting Fellow presso le Università di Oxford e Manchester (U.K.), alla City University di New York e alla Catholic University of America (U.S.A.). E’ attualmente Professore Ordinario di Filosofia della scienza e di Metodologia delle scienze umane nel Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genova. E’ stato Direttore del Dipartimento di Filosofia (2000-2002 e 2008-2011) e Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova (20022008), dal 1° novembre 2008 a oggi è Prorettore alle Relazioni Internazionali dell’Università di Genova. Il 9 ottobre 2012 è stato eletto Preside della Scuola di Scienze Umanistiche dell’Università di Genova per il triennio 2012-2015. E’ Fellow del Center for Philosophy of Science dell’Università di Pittsburgh. E’ stato Visiting Professor in molti atenei stranieri: University of Melbourne (Australia), University of Pittsburgh e Catholic University of America (U.S.A.), London King’s College, Leeds, Manchester, Hertfordshire, Stirling, Southampton e Middlesex (U.K.), Cork (Irlanda), Bergen (Norvegia), Siviglia e Malaga (Spagna), Friburgo (Svizzera), Lovanio (Belgio), Giessen (Germania), Varsavia e Cracovia (Polonia), Cluj (Romania), Malta, Valona (Albania), Reykjavik (Islanda). E’ Professore Onorario della Universidad Ricardo Palma di Lima, e nel 2009 ha ricevuto la Laurea Honoris Causa della Universidad Continental di Huancayo (Perù). E’ autore di 30 volumi e curatele, di cui 5 in lingua inglese pubblicati in Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania, e di circa 250 articoli, saggi e recensioni in italiano, inglese e francese su riviste italiane e straniere. E’ giornalista pubblicista.

Perché interessa un paese come il Kazakhstan? Importiamo integralmente il petrolio senza il quale le nostre automobili sarebbero condannate all’immobilità, e gran parte del gas che serve a riscaldare gli alberghi in alta montagna anche d’estate. Si tratta solo di due esempi, dal momento che la lista è notoriamente molto più lunga. Si dà però il caso che molte delle nazioni da cui importiamo le suddette materie prime non siano affatto delle democrazie nel senso liberaldemocratico del termine. Non lo è di certo il Kazakhstan, uno stato enorme (quasi 3 milioni di chilometri quadrati). Vasto e ricchissimo: ferro, carbone, petrolio e metano in quantità. Chi governa? Come in molte delle Repubbliche asiatiche prima inglobate nella defunta Unione Sovietica, anche in Kazakhstan l’ex segretario del Partito comunista, il 73enne Nursultan Nazarbaev, è al potere sin dal crollo dell’URSS e non sembra intenzionato a lasciarlo. Altrove – per esempio in Azerbaijan, altra nazione con enormi giacimenti di petrolio – l’ex segretario comunista è morto e lo scettro è passato direttamente al figlio. Possiamo pure scandalizzarci per questi fatti, ma senza dimenticare che la politica estera deve per forza tener conto della realtà concreta. Che qui coincide con la necessità di mantenere le forniture energetiche senza cui piomberemmo ben presto in una crisi ancora più grave di quella attuale. Non a caso l’ENI è uno dei più importanti partner stranieri del Paese asiatico. Gli inglesi, vecchie volpi con un grande impero alle spalle, lo sanno bene. Il premier britannico David Cameron, durante una recente visita in Kazakhstan, provò a intavolare un discorso sui diritti umani con Nazarbaev, sentendosi rispondere dal presidente kazhako che il suo Paese non ha bisogno di lezioni di democrazia impartite dagli europei. Da quanto consta Cameron ha incassato senza batter ciglio e continuando le trattative commerciali, vero scopo del suo

viaggio. Si noti, tra l’altro, che gli inglesi hanno almeno parte del petrolio del Mare del Nord. Noi neppure quello. Siamo insomma in una situazione di grande debolezza, il che dovrebbe consigliare una certa cautela in politica estera. Il caso di Mukthar Ablyazov e della sua famiglia è a tale proposito emblematico. Senza dubbio abbiamo fatto una pessima figura sul piano internazionale, anche se in fondo ci siamo abituati. Ma non dobbiamo dimenticare che il banchiere e uomo d’affari kazhako assomiglia, più che a un perseguitato politico, a uno dei tanti oligarchi che spadroneggiano nella Russia attuale. Alcuni hanno perduto il potere dopo essere entrati in rotta di collisione con Putin. E vi sono buone ragioni per ritenere che la stessa sorte sia toccata ad Ablyazov in seguito a contrasti con Nazarbaev. Non dubito che le mie parole possano sembrare a molti viziate da un intollerabile cinismo. Eppure la realpolitik ha da sempre un ruolo essenziale nei rapporti tra Stati, soprattutto quando un Paese è debole sul delicatissimo fronte degli approvvigionamenti energetici. Forse, se negli ultimi anni non fosse così cresciuta negli USA la tendenza “ideologica” in politica estera, con il proposito di “esportare” la democrazia liberale in tutto il mondo, non ci troveremmo oggi a questo punto. Tuttavia è opportuno rammentare ai vacanzieri menzionati all’inizio di questo articolo che non si può volere tutto. La benzina che fa marciare l’auto e il gas che riscalda le case sono necessari, anche se provengono da Paesi poco democratici dal punto di vista occidentale.

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GIORGIO GUERELLO SI SCOPRE ATTORE IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO COMUNALE DI GENOVA PROTAGONISTA DI UN CAMEO NELL’ULTIMO FILM DI CHECCO ZALONE di Gabriele Lepri

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legante, pacato e deciso, come nel suo lavoro. Ma questa volta, almeno per un giorno, il suo lavoro è cambiato. Nessuna sala del consiglio comunale di Genova, nessun dibattito politico, nessun confronto tra colleghi, ma bensì il set di un film. Una pellicola capace di arrivare ad incassare in meno di una settimana oltre 22 milioni di euro. Giorgio Guerello si scopre attore per Checco Zalone. Il Presidente del consiglio comunale di Genova è stato protagonista di un “cameo” in Sole a catinelle di Checco Zalone, uscito il 31 ottobre al cinema. Il noto politico genovese appare sul grande schermo per diversi minuti durante i quali indossa i panni dell’imprenditoria locale e il pensiero di molti italiani. È durante le scene ambientate a Portofino che troviamo all’improvviso il nostro Giorgio Guerello mai visto prima nei panni dell’attore: seduto nella celebre piazzetta della rinomata cittadina del Tigullio mentre predica alla folta platea contestando in maniera accesa le parole di un imprenditore (l’attore Marco Paolini) di dubbia moralità, stimolando l’inevitabile reazione di Checco Zalone.

Dott. Guerello, come è nata l’idea di partecipare al film? Avevo saputo che a Portofino stavano selezionando le comparse del film e allora assieme ad un amico e il tesoriere regionale del Pd Raggi, finito il nostro lavoro, ci siamo presentati nel tardo pomeriggio. È stata una “zingarata” e alla fine siamo stati inseriti tutti nella pellicola: l’impegno era solamente di una dozzina di ore, dalle sette di sera alla sei del mattino seguente. Nessuno in ambito locale sapeva di questa sua partecipazione al film o sbaglio? Ha pienamente ragione, non ho voluto parlare con nessuno di questo semplicemente per scelta personale. Ho preferito non farmi pubblicità, neanche tra gli amici. Solo in famiglia sapevano di questa mia comparsata: ovviamente stando fuori una notte intera e per quasi dodici ore, ho dovuto motivare la mia assenza. Adesso moltissime persone mi hanno riconosciuto: ho ricevuto diverse chiamate e mi sono arrivati altrettanti messaggi sul cellulare. La scelta di non rivelare nulla a nessuno è stata azzeccata, è stata una sorpresa per tutti. Quando è stato girata la pellicola? Il film è stato fatto in primavera inoltrata dell’anno in corso e ricordo che faceva molto freddo, malgrado fossimo poco distanti dall’estate. Il tempo in quel periodo faceva i capricci. Come sono stati decisi i ruoli? Inizialmente la comparsa doveva essere silenziosa, ma alla fine si è ritenuto opportuno fare qualche battuta. Il mio è stato una sorta di “cameo”: una piccola partecipazione che mi ha consentito di rimanere in scena per alcuni minuti. Eccetto l’unica battuta che ho pronunciato, sono rimasto sempre inquadrato, approvando, intervenendo alla discussione e contestando. E alla fine c’è stato l’abbraccio con il protagonista. Abbiamo girato la scena molte volte, tutti quanti abbiamo parlato, ma alla fine è stata scelta solamente la mia battuta e me ne sono accorto mentre ho visto il film al cinema. Quali consigli le hanno dato prima di girare la scena? Mi hanno solamente detto di essere me stesso e di stare tranquillo: io ho seguito il consiglio e mi sono divertito molto. Il clima che si è creato è stato molto positivo dunque: è’ stato davvero ottimo e ho trovato tutti gli attori alla mano, è stata una “zingarata tra amici”, un’esperienza particolare.

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L’intervista

Nessun abito particolare indossato e niente trucco: una scena reale Esatto, sono rimasto con i miei vestiti, ovvero in giacca e cravatta e senza trucco. Grazie a questo film ha potuto conoscere Checco Zalone: che idea si è fatto del comico? E’ un personaggio straordinario, simpatico, un vero comico, capace sempre di improvvisare con battute spontanee, quasi senza seguire il copione. E’ davvero un comico nato, ha nel dna la sua professione: abbiamo mangiato assieme e ho potuto conoscere ancora meglio l’artista pugliese. Zalone aveva un copione da rispettare, ma ogni volta abbiamo girato la scena più volte e ogni volta le sue battute erano diverse, cosi come le mie: ad ogni ciak si modificavano le parole e io stesso ho quindi riportato cose diverse. E’ rimasto in contatto con qualche attore del film? No, solamente con i miei amici con i quali ho girato la pellicola. Una parte del film Sole a Catinelle è stata girata a Portofino, altre scene a Santa Margherita nel pieno Tigullio: un fatto molto positivo per la Liguria, soprattutto in un momento di crisi come questo. Quale è il suo giudizio? E’ stata una grande occasione per la nostra regione in un momento negativo come mi anticipava: fare conoscere la Liguria a tutta Italia è stato molto importante, significa visibilità, turismo, e un chiaro segnale che anche la nostra regione può essere scelta per girare dei film. Molto bella è stata la location scelta, ovvero Villa Durazzo a Santa Margherita Ligure, ma anche le riprese fatte dall’alto da parte di un drone. Tutta Italia così ha potuto ben vedere i magnifici paesaggi che circondano il tigullio, il turismo è sempre un richiamo importante per la Liguria.

Cosa le è rimasto più impresso di questa esperienza? Oltre la mia felicità e la simpatia di Zalone direi le tempistiche con le quali sono state girate le riprese del film. Mi spiego: siamo stati fermi ad esempio diverse ore per permettere le riprese da dietro e dall’alto mediante l’uso di drone, mentre nel film la scena della ripresa del luogo dura soltanto pochi secondi. Questo fa capire che per la realizzazione di una pellicola serve un lavoro minuzioso, costante, preciso: se per fare una scena, come nel mio caso, è servita una notte, chissà quanto tempo occorre per fare un film completo. Oltre 22.000 milioni di euro di incasso nella prima settimana di uscita del film: si aspettava questi dati importanti? Che Checco Zalone avesse tutti i numeri per fare bene e riconfermare il suo potenziale mediatico, ed economico non c’erano dubbi ma si sa che ogni film è una storia a se. Uno schiaffo alla crisi del settore cinematografico che dimostra quanto il pubblico stia apprezzando questo artista made in Italy che ha saputo sbalordire tutti con la sua semplicità e con la sua spontaneità. Si, molti addetti ai lavori si immaginavano che la pellicola avrebbe fatto molto successo: Checco Zalone è un comico molto apprezzato, la sua simpatia, comicità, il suo modo di fare e l’essere genuino sono doti che hanno attirato e attireranno sempre tantissima gente, grandi e piccini. Guerello la rivedremo sul set di altro film? Se capita ben venga, l’idea non mi dispiacerebbe.

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E’

di Nicolò Metti

molto difficile riassumere con dell’ibrido inchiostro su carta il tornado di emozioni suscitato dalla partecipazione ad un Festival come quello di Venezia. Proverò a raggiungere questo scopo facendomi aiutare da alcuni perni derivanti in prima istanza da ciò che ha rappresentato universalmente questa specifica edizione della Mostra, secondariamente dalla mia esperienza soggettiva. Il binomio sala cinematografica / realtà, ancor più manifesto in una giornata composta dal susseguirsi di sei differenti proiezioni, è il simbolo di ciò che viene figurativamente sradicato dalla coscienza comune grazie a questa particolare settantesima Mostra, con una premiazione altrettanto particolare e paradigmatica. L’impressione, usciti dalla sesta visione giornaliera, era quella di cominciare a vedere il settimo film in programmazione; l’unico reale, nel senso più letterale del termine. Dentro le sale, però, si ammiravano spesso scorci di realtà in forma documentaristica, che non potevano non portare ad una intima e concreta comprensione dei motivi del decadimento di quel dualismo realtà/ fiction che l’assegnazione del Leone d’Oro ha contribuito a far vacillare. Questo abbattimento dei muri astratti che suddividono i generi, suggerito dall’abbondanza di pellicole più o meno documentaristiche e concretizzato nella scelta finale della giuria, costituisce uno dei grandi temi che caratterizzano la programmazione di Venezia 70°. In ogni caso, le notizie raccontate dai quotidiani e le sensazioni provate in prima persona portano a due comprensioni dei fatti decisamente differenti; il caleidoscopio sul mondo offerto da quei proiettori in quelle sale buie non è eguagliabile da nessuna conoscenza indiretta, quando poi questo strumento utilizza i colori del realismo per presentarci i suoi contenuti si finisce per naufragare dolcemente in un mare di reali emozioni e realtà emozionanti. Questo senso di gioiosa perdizione risulta lo sfondo psicologico ideale per una fruttuosa e utile condivisione di una passione. L’impressione, puerilmente espressa, fornita da questa atmosfera è riassumibile nella constatazione di un aumento tangibile della propensione umana alla socializzazione. La consapevolezza del proprio coinvolgimento emotivo, sommata ai tipici sguardi e comportamenti euforicamente appassionati da cui si è contornati, sembra accendere nelle persone una estremizzata attitudine alla trasmissione di esperienze e di libere opinioni. Il cinema, anzi la forma artistica di qualunque tipo essa sia, strimpella le corde della nostra anima a tal punto da regalarci una piacevole sensazione di apertura alla partecipazione attiva, oltre che di accettazione reciproca delle diverse prese di posizione. Un’esperienza di questo tipo aiuta a far riemergere in noi uno degli aspetti più reconditi della nostra specie e più lontani dalla nostra quotidianità: la gioia della condivisione. Sedermi a un tavolo da solo per pranzo, senza che ciò rappresentasse un invito per chiunque a sedersi e chiacchierare con me, è risultato gradevolmente impossibile. Un ulteriore aspetto positivo dell’ambiente caratterizzante il Festival è rappresentato dalla vicinanza metaforica, prima che fisica, con le stelle del

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cinema in carne ed ossa. Questo contatto tende a trasformare un qualunque appassionato in un astronomo sognatore che non resiste alla tentazione di sentirsi piccola parte di quell’immenso cosmo che contempla. Infatti, la passione per il cinema di numerosi individui, concretizzata nella presenza a una mostra come quella di Venezia, costituisce uno dei fondamenti su cui si edifica una cultura cinematografica di massa. Questa consapevolezza di interdipendenza tra cinema e cinefili emerge soprattutto durante le proiezioni o le conferenze di produzioni che si servono della Mostra come possibile rampa di lancio, lasciando esse spazio maggiore per il dibattito aperto con la troupe. A mio modo di vedere, però, la primaria responsabilità della costante e vivace produttività tipica di un ambiente artistico sano deve pesare sulla coscienza degli spettatori. Affinchè resti in vita un humus di cultura cinematografica è necessario innanzitutto parlare di cinema e condividere i propri pensieri. Aumentando le conoscenze generali del “fruitore medio” di un determinato ambito culturale, si genera automaticamente una pretenziosa spinta verso un incremento qualitativo delle opere di tale settore. Il “senso comune” cinematografico, che spesso si lamenta della situazione mondiale e nazionale per quanto riguarda la settima arte, non deve fare altro che continuare a seguirne i passi in maniera critica e costruttiva. Parlare di cinema, dialogare sul cinema, ma anche solo pensare al cinema rappresentano i momenti decisivi della mutazione culturale che trasforma lo spettatore passivo in fruitore attivo determinando, a volte inconsapevolmente, le sorti e l’efficienza del contesto artistico di riferimento. La Mostra ha rappresentato per me uno dei migliori esempi di come si possa perseguire questo umile ma importantissimo scopo. Sono, però, rari e preziosi i momenti in cui un ruolo di tale rilevanza è ricopribile da una semplice chiacchierata fra appassionati al termine di una proiezione, sdraiati all’ombra di un albero, oppure a fine giornata, pedalando fiaccamente una bicicletta indirizzata verso una casa di cui si sente un po’ meno il bisogno. Una casa a cui sicuramente si torna, dopo la Mostra, arricchiti di una forma di esperienza pratica ineguagliabile da qualsiasi forma di conoscenza teorica.

L’ARTE DELLA FELICITÀA’ Alessandro Rak Il film d’apertura della Settimana della Critica alla settantesima edizione della Mostra di Venezia ci racconta, in chiave filosofico-religiosa ma con un’insolita concretezza e originalità, il naufragio nella palude della depressione metropolitana e l’utilizzo della filosofia applicata come ancora di salvataggio da parte di un “nessuno qualunque”, con citazioni non casuali dal De Niro di Taxi Driver. Alessandro Rak è al suo primo lungometraggio, ma L’arte della felicità rappresenta la vera sorpresa positiva di un Festival che trop-

SEI PELLICOLE PRESENTATE AL 70° FESTIVAL DEL CINEMA DI VENEZIA, DALLA VINCITRICE “SACRO GRA” AI NUOVI FILM DI TERRY GILLIAM E STEPHEN FREARS

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Cinema po spesso ha preferito soffermarsi su tematiche diverse da quelle meramente filosofiche e su generi diversi da quello di animazione. Sergio è, o meglio era, un musicista; adesso, relega il suo udito sopraffino ad ascoltare costantemente i rumori del traffico a bordo di un taxi. Suo fratello maggiore Antonio, con cui da sempre condivideva passione e talento, ha deciso di affrontare la malattia che lo stava portando alla morte con la spiritualità; Sergio viene a conoscenza del suo terribile destino solo il giorno del suo decesso, quando ormai era partito da dieci anni per raggiungere dei monaci in Tibet. Fino a quel momento, il suo fratellone aveva continuato a rappresentare l’unico vero appoggio morale, oltre che l’unica vera via di fuga dalla plumbea oppressione urbana: l’arte, la musica. Sergio rimane solo, si rende conto di non avere più un violino a fianco del proprio pianoforte, si convince che la stessa musica non potrà mai più essere riprodotta e i suoi occhi azzurri si svuotano completamente di tutta la vitalità che da sempre li aveva contraddistinti. “Compra” una licenza da tassista, si isola sul suo taxi, decide di non scendere più. Il perfetto contorno a tale spossatezza esistenziale è rappresentato da una Napoli apocalittica, piovosa, tetra, stracolma di spazzatura. Questi abbondanti rifiuti su cui spesso l’inquadratura si sofferma simboleggiano l’errore in cui spesso cadiamo quando ci sentiamo infelici: consumiamo, compriamo, partiamo, cerchiamo di cambiare l’esterno senza ricordarci che felicità e infelicità sono stati d’animo interni. Sergio, dal finestrino del suo taxi, osserva la varietà dei modi che le persone hanno di costruirsi tale felicità, o di resistere all’infelicità. Un’anziana fumatrice, il vecchio zio che gli ha fornito la licenza e gli ricorda la sua infanzia, una prostituta con cui condivide il suo abbattimento esistenziale, un artista del riciclo che assembla simbolicamente il vecchio per creare il nuovo; questi sono alcuni dei ricercati personaggi che si avvicendano sui sedili posteriori del suo mezzo, perfettamente incorniciati da saltuarie elargizioni di filosofia underground da parte di uno speaker radiofonico. Quest’ultimo assume, dal punto di vista concettuale, la parte di narratore chiarificando alcuni decisivi passaggi teorici; l’indubbia saggezza pratica e la peculiare tangibilità di alcune sue sentenze, insieme alla qualità dei dialoghi in generale, seguono un’impostazione prosaica che rende lo spettatore più sensibile a contenuti così potenzialmente astratti. Una posizione esistenziale di derivazione buddista, con acuti che richiamano la volontà attiva nietzscheana, è senza dubbio resa fruibile dalla forma verbale scelta e dai superbi colori tramite cui viene narrata; il vero pregio della produzione consiste proprio nel forzare il pensiero dello spettatore verso domande che di solito si lascia colpevolmente scorrere addosso, tramite i potenti strumenti della settima arte sommati ad una apprezzabile tendenza divulgativa nell’esposizione dei concetti. Le musiche molto azzeccate che spesso provengono dalla radio, risaltando nel montaggio esterno/interno taxi e contrastando con la lugubre atmosfera metropolitana, rappresentano la ciliegina su una torta composta da una sapienza tecnica ideale per la vivacizzazione di tematiche per molti probabilmente noiose. 
La particolare densità metaforica e simbolica che caratterizza la pellicola può essere ritenuta da alcuni un difetto, soprattutto nei suoi tratti più spirituali. Sicuramente è presente un certo eccesso nella carica di significato che il film deve reggere in ogni sua parte, reso più evidente dal ritmo fumettistico a cui si alternano la surrealtà di certe visioni oniriche malinconiche, il libero sentenziare a tratti retorico dello speaker-profeta e alcuni personaggi tanto paradigmatici da far sembrare la loro apparizione un espediente ad hoc per incarnare un certo significato (il che non deve necessariamente essere ritenuto un difetto,

può essere anche visto come il pregio di una narrazione in perfetto equilibrio tra sintesi e contenuto, economia e informatività). In ogni caso, ciò non toglie valore a un opera che convince pienamente grazie alla potenza dei contenuti, a tratti aulici e metafisici ma mai criptici, assieme ad una senzazione di vicinanza e quotidianità infusa nello spettatore che mette in ombra questa veniale sovrabbondanza concettuale Sulle ali libere di un gabbiano che si trova a dover sopportare un costante diluvio, accompagnamo il protagonista in un percorso di formazione da cui noi stessi traiamo beneficio. Le metafore centrali su cui fa perno la narrazione sono la musica, che con il suo flusso rappresenta il dinamismo della felicità umana, il passato e i rifiuti, visti come il ripostiglio dove frequentemente l’uomo nasconde il proprio malessere, e il taxi-giocattolo che lentamente perde velocità durante il dispiegarsi della vicenda, ma che nel finale Sergio riesce finalmente a ricaricare. L’agonia di Sergio, però, non è quella di un giocattolo che esaurisce le batterie e attende una spinta dall’esterno, bensì di un marchingegno che non ha pile di riserva e deve cercare dentro di sè le energie per ripartire. Ne emerge una visione privata e intimista della felicità, che non sottovaluta la fatica della sua ricerca («la cosa terribile dell’infelicità è che non ha causa») e non si propone di fornirne una dimensione univoca. La peculiarità di questa “forma d’arte”, quindi, è la singolarità delle condizioni da cui proviene e dei risultati a cui porta. Dinamismo e capacità di adattamento sembrano esserci indicati come principali caratteristiche di una vita che tenda alla felicità, o che tenda a plasmare la propria concezione di felicità in base a quanto la costrittiva realtà richiede. Ognuno deve effettuare un indagine strettamente personale, come se fosse un artista in cerca di ispirazione, incontrando difficoltà simili a quelle della produzione di un capolavoro artistico. Dopotutto, anche Zio Luciano specifica, durante un viaggio nel taxi ormai sommerso di fotografie e mozziconi di sigaretta, che la felicità è un segreto «di cui siamo tutti custodi».

SACRO GRA Gianfranco Rosi «La realtà è già di per sè estremamente ricca di contenuto! Per fortuna che c’è ancora qualcuno con l’abilità e la volontà di raccontarcela». Queste sono le poche parole che sono riuscito a rivolgere direttamente a Gianfranco Rosi al termine della prima proiezione di Sacro Gra, stranamente (o ovviamente) poco affollata. Questo breve dialogo, sommato ad una vivace chiacchierata serale con uno dei protagonisti della pellicola (il barelliere Roberto Giuliani), rappresenta l’intersezione tra la mia esperienza personale e il punto di arrivo del lungo e fruttifero cammino di questa produzione; per questo motivo, scrivere queste righe risulta ancora più emozionante. Solo una tale quantità di lavoro (più di due anni di riprese rigorosamente “sul campo”) poteva permettere la creazione di un prodotto tanto fine, di fronte ad una materia prima così grezza come la multiculturalità riscontrabile in una zona periferica di una grande città. E’ palese la volontà specifica di accompagnarci dentro le case di fronte alle quali tutti i giorni moltissime automobili passano, ma che raramente vengono notate quando si percorre questo grande <anello di saturno> che circonda Roma indicandone (in maniera sociologicamente fallimentare) i confini. Questi luoghi, di vita prima che geografici, vengono scrutati e analizzati in profondità estraendo un numero limitato di vicende e dialoghi

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paradigmatici. Se già un lavoro con queste finalità guadagna senza dubbio importanza sociale, la sua rilevanza cinematografica trova le fondamenta nelle meticolose scelte di un montaggio schietto ma contemporaneamente aggraziato. La forma dell’audiovisivo è meramente documentaristica; non sono identificabili un inizio e una fine nella descrizione, quindi neanche una narrazione nel senso classico del termine. Le riprese in un digitale volutamente freddo accentuano le potenzialità del contenuto, evitando di distogliere lo spettatore dalla spontaneità dei personaggi e dalla veridicità dei fatti. Ma l’aspetto in cui emerge maggiore sagacia registica è identificabile nelle frequenti inquadrature con un punto camera esterno rispetto alle automobili o alle stanze dove sono presenti i personaggi (includendo ad esempio una quinta della finestra): qui si mostra in tutto il suo splendore la rispettosa discrezione con cui Rosi ci introduce nelle vite di queste persone, sempre attento a non appropriarsene. Oltre a far aumentare vertiginosamente il realismo delle riprese, tramite un escamotage tecnico lo spettatore viene spesso condotto alla sensazione di spiare queste vite che scorrono, piuttosto che di osservarle. Questo dimostra che l’autore possiede una sorprendente consapevolezza dei limiti etici della sua intromissione, il che non può non essere fonte di elogio nei suoi confronti.
 Un’aggiuntiva fonte di emozione consiste nella coraggiosa decisione della giuria della Mostra del Cinema di Venezia, presieduta da Bernardo Bertolucci. Un verdetto dal sapore rivoluzionario, non solo per il fatto che dopo quindici anni un’opera italiana torna a fregiarsi del Leone d’Oro, ma anche e soprattutto per l’abbattimento metaforico dei muri ideali che hanno sempre separato i generi e raramente hanno reso conto del concreto valore posseduto dal documentario. Scardinando il dualismo realtà/fiction, lo spettatore viene condotto per mano a provare sulla propria pelle la potenza della “profonda normalità” che contrasta (e in questo caso annienta) il modello red carpet. Rosi estrae poesia dalla quotidianità, approcciando con grande delicatezza e rispetto la composizione di questi pezzi di vita chiesti in prestito. La riduzione improvvisa della distanza simbolica tra la poltrona del cinema e il grande schermo genera sorpresa e meraviglia; proprio quella meraviglia che Bertolucci ha considerato come vero fattore decisivo per la scelta della giuria.

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Ad essa si aggiunge un forte senso di partecipazione quando la documentazione si sofferma sui momenti più intimi di queste persone, ad esempio il canto amaro e spensierato di una donna che vive (o sopravvive) in una roulotte lungo il raccordo. Rosi, però, non vuole assolutamente applicare una cornice di banale e mielosa compassione alle proprie inquadrature, anzi proprio in ciò consiste l’evidente rispetto che egli prova nei confronti dei protagonisti. Egli priva la condizione esistenziale di un determinato ceto sociale in prima istanza dal suo stesso essere ceto sociale, secondariamente evita ipocrisie perbeniste spogliandola dei suoi lati più penosi o compassionevoli. La caratura della descrizione rischia piuttosto l’effetto inverso, quello macchiettistico, ma Rosi riesce ad evitare anche questo lavorando su un equilibrio ottimale tra lacrime e sorrisi, lasciando che siano questi ultimi a prevalere. Egli lavora come un pittore che si rende conto del valore intrinseco dei colori che sta utilizzando; comprende che il suo mestiere consiste “solo” nel saperli dosare correttamente, affinchè, mantenendo la loro natura originale, ottengano gli apprezzamenti che si meritano. Quando Rosi, dopo la consegna del premio, ringrazia “chi ci ha dato fiducia” richiama con queste semplici parole un’eco molto profonda, che parte direttamente dal grido delle persone che hanno accettato di prendere parte a questo compendio di vita reale. Loro sono le vere fondamenta del successo e allo stesso tempo il fine ultimo di un regista che, accorgendosi di ciò, si è posto come principale obiettivo quello di consegnare un altoparlante a chi solitamente non dispone neanche di una voce. Inoltre, secondo Rosi, dal punto di vista socio-politico questa amplificazione delle loro parole ci consente di notare la principale caratteristica di un prototipo esistenziale molto comune in Italia: l’assenza di una vera e propria identità collettiva. Tanto più in un grande raccordo classificato solo in base alle sue uscite, sono le identità personali della gente che lo popola a fornire l’unica fonte da cui poter trarre una sommaria definizione dei confini del luogo (il regista da sempre ci ha abituato a trasmutare la descrizione di un luogo in quella della gente che lo abita, ad esempio in Below sea level, e non a caso riduce al minimo le panoramiche del raccordo stesso).
A mio modo di vedere, facendo ciò Rosi ci indica una via per la ricostruzione di un cinema povero di fondi e “conseguentemente” di idee (la conseguenza, ovviamente, non è logica). La sensazione che suscita è quella di una nuova onda solo all’inizio della propria ascesa, generata da un decadimento ideale prima che economico. La via che ci viene indicata per risanare questa commercializzazione e globalizzazione cinematografica corrisponde ad una nuova ricerca di realismo, che non può non richiamare gli anni più gloriosi del cinema italiano. Con il neo-realismo l’Italia si impose come centro della cinematografia mondiale postbellica raccontando storie intrise di quotidianità e valorizzate dall’approccio realistico; Rosi sembra aver tratto da quel periodo numerosi insegnamenti, estremizzandoli con il genere documentaristico. In ogni caso, la vistosa commozione di tutto il cast al termine della prima proiezione dell’opera sembra indicare chiaramente il luogo dove ricercare il futuro del cinema. Quelle lacrime sono simbolo di una quotidianità che si trova improvvisamente addosso dei riflettori che non sa gestire, ma di fronte ai quali si emoziona e ci emoziona mantenendo integra la propria essenza. E’ la loro gioia sfociata in pianto, contornata dalla genuinità del loro sguardo rivolto al tappeto rosso sotto i loro piedi, a rammentarci quanto sia artificiale e artificiosa la nostra concezione prima del cinema, poi della felicità.

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Cinema THE ZERO THEOREM Terry Gilliam Esistono solo buchi neri e big bang: niente di più astratto, nulla di meno meraviglioso. La frustrazione domina, però, l’odissea epistemica in cui è “gettato” l’essere umano dal giorno della propria nascita; lo scienziato fisicalista contemporaneo si trova a dover contemplare inerme la presenza di domande esistenziali che evadono i limiti conoscitivi della nostra specie. Ci poniamo domande a cui non possiamo rispondere o ci poniamo le domande sbagliate? Esiste un senso della vita ma non possiamo conoscerlo, oppure non possiamo conoscere il senso della vita perchè non esiste? Questa sottile linea di confine risulta uno dei perni fissi di tutta la narrazione di «The Zero Theorem», ultima fatica registica di Terry Gillam che si serve di un cast stellare per provare a dare una rara forma cinematograficamente corretta a questioni epistemologiche di enorme attualità. Per correttezza cinematografica intendo in questo caso una generale capacità di sintesi, sommata ad un notevole potere divulgativo. Quest’ultimo, forse il vero punto di forza della produzione, gli viene trasmesso da una specifica attenzione ai dialoghi con riferimenti diretti a caratteristiche tecniche del dibattito filosofico/scientifico contemporaneo; la sintesi di queste arizgogolate vicende mi sembra riesca a mantenere, nonostanze la necessaria edulcorazione, il suo fascino originale. Il tentativo di risolvere il teorema zero, l’algoritmo del senso della vita, provoca uno stato di depressione esistenziale a Qohen Leth (interpretato magistralmente da Christoph Waltz). La costante attesa di una telefonata che gli riveli il senso di ciò che sta facendo diventa il suo unico scopo di vita. Contornato da psicologi virtuali e prostituzione videoludica, egli alberga in un coloratissimo presente distopico molto vicino a quello immaginato da Orwell. Telecamere, pubblicità, lavori stressanti; questi spaventosi miti dell’età moderna vengono estremizzati ed incorniciati in un rappresentazione futuristica del presente che rischia di somigliare troppo ad un luna park per riuscire a esprimere sempre la concretezza dei contenuti trattati al suo interno. Rispetto alla scelta urbanistica e cromatica, mi è sembrata maggiormente adatta alla caratura dell’opera la tipica estrosa regia a cui questo autore ci ha abituato (ad esempio in Brazil, uno dei suoi maggiori successi); tramite inquadrature sghembe e punto macchina spesso in movimento, le immagini riescono a trasmetterci lo stato di confusionaria demoralizzazione in cui si trova il protagonista. Quest’ultimo utilizza per tutta la durata del film il pluralis maiestatis, finendo anche per irritare realisticamente le poche persone che ha vicino; isolato in una vasta chiesa sconsacrata, Qohen simboleggia e riassume la nostra lancinante condizione epistemica data dal nostro scoraggiante essere umani. Un pregio per alcuni, un difetto per altri può essere rappresentato dall’alto tasso di simbolismi e metafore di cui è costellata la narrazione. Una densità di contenuto di questa levatura deve senza dubbio servirsi di costrutti metaforici per risultare commercialmente commestibile. Il limite consiste nella poca grazia con cui certi personaggi e certe vicende vengono introdotte, anzi “appaiono” tramite espedienti ad hoc nella sceneggiatura; quest’ultima perciò risente di una certa macchinosità, forse impossibile da evitare in un progetto che si propone di includere un numero e una qualità così alta di significanti. Certe vicende periferiche, ma molto metaforiche, trovano spazio solo per piccoli accenni conferendo alla pellicola una forma a tratti troppo semplicistica, ancora più evidente se caratterizzata da simbolismi a volte troppo frequenti e riduttivi. A mio parere, la profondità del

contenuto viene cercata di incanalare in argini di semplicità e scorrevolezza che non sempre reggono; in ogni caso, l’intento deve rimanere senza dubbio apprezzabile. Nonostante la caricaturale psicologa “del senso comune”, che pedina il protagonista elargendo nozioni in termini di doveri, e nonostante l’inquietante figura del management (un Matt Damon fortemente limitato dalla peculiarità della parte), i contenuti narrati risultano terribilmente attuali. In preda alla fobia data da una ricerca di cui non si intravede la meta, Qohen esclama <ogni entità cambia significato in base ai valori delle entità vicine!>. Questo è forse il miglior esempio di come concetti estrapolati da ricerche di fisica quantistica o di generale in filosofia della scienza (in questo preciso caso, il principio di Indeterminatezza di Heisenberg) possano essere sintetizzate senza eccessiva perdita di potere informativo. In conclusione, il prodotto ci stimola presentando una visione radicale della attuale società affiancata ad un analisi filosofica di problemi concettuali contemporanei: un alternarsi di efficienti divulgazioni e passaggi poco convincenti, che ha il merito di riuscire ad oscurare i secondi tramite la vivacità e l’interesse suscitato dai primi. Sebbene la figura della psicologa abbia la responsabilità di chiarire le interessanti contraddizioni di cui Gilliam accusa la società moderna (ad esempio la ricerca di identità personale che stride con la tendenza all’omologazione, oppure l’attrazione sessuale istintivamente provata in contrasto con una necessaria e inspiegabile castità del proprio essere), il punto forte dell’opera è rappresentato da alcuni esempi di rara abilità nel tramutare in immagini un contenuto puramente astratto (concretamente utilizzato solo da “esperti” del settore). In particolare, mi sento quasi obbligato a citare la cinica inquadratura finale, che, per quanto mi riguarda, si trova qualitativamente ai vertici del cinema contemporaneo per capacità di sintesi e potere visivo: sulle note di “Creep” dei Radiohead, il protagonista, scacciata ogni presenza femminile dalla sua vita insieme a ogni speranza di darvi un senso, si isola consapevolmente in una virtualità che ha imparato ad accettare sperimentadone in prima persona l’impenetrabilità. Inseritosi volontariamente nella realtà computerizzata tramite una connessione neuronale, subito gioca gioiosamente con un pallone variopinto in una spiaggia volutamente scenografica e artificiosa; successivamente si rende conto del tipo di luogo in cui risiede adesso e, con un sorriso amaro ma soddisfatto, afferra il sole all’orizzonte e inizia a giocare con quello. Se dunque il nostro habitat non può essere altro che la virtualità, è nostro compito decidere se approcciare questa “reale finzione” con sollievo o disperazione.

PHILOMENA Stephen Frears «Io non gli avrei mai potuto dare una vita così». Con questa magra ma determinante consolazione Philomena torna a casa, dopo un estenuante viaggio prima alla ricerca del figlio, poi alla ricerca di informazioni sulla sua persona finchè era ancora in vita. Una straordinaria Judi Dench interpreta la ragazza madre protagonista di Philomena, ultima fatica registica dell’acclamato Stephen Frears in concorso a Venezia. Dopo un silenzio di più di cinquant’anni, quest’arzilla e religiosa anziana rivela a sua figlia l’esistenza di un altro bambino nato in un convento e dato in adozione contro la sua volontà dalle suore irlandesi. Quest’ultima entra

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in contatto con un giornalista (Steve Coogan, co-sceneggiatore oltre che attore) che, con un prevalente interesse lavorativo alimentato da una capo-redattrice senza scrupoli, si inserisce nelle vicende personali della protagonista finendo per rimanerne emotivamente coinvolto. Il successo della pellicola, in laguna e non solo, si fonda su una sceneggiatura costruita magistralmente. Vincitori del premio Miglior Sceneggiatura alla settantesima edizione della Mostra, Jeff Pope e Steve Coogan traggono da una storia vera una scrittura che dosa sapientemente gli ingredienti dell’ironia al fine di contrastare e sottolineare la drammaticità di alcune situazioni. Il vero pregio consiste nell’equilibrata solidità della vicenda, a cui mai vengono aggiunti espedienti strappa-lacrime gratuiti o particolari comici eccessivi. Piuttosto, il modo in cui lo spettatore viene avvicinato a queste due personalità a loro modo imponenti è sempre delicato e graduale: la prima metà della pellicola è dedicata primariamente alla descrizione delle loro caratteristiche, con particolare attenzione a non “sbattercele” mai in faccia e riempiendo sempre con naturalezza i contorni delle informazioni che ci vengono fornite (ad esempio tramite discussioni sulla fede cristiana molto funzionali alla comprensione rapida ed efficace dei personaggi). Dopo il solco mediano creato dalla rivelazione della recente morte del figlio tanto ricercato, si apre la parte di film dedita a confermare la presenza nei protagonisti delle sfaccettature con cui ci erano stati descritti; Philomena vuole conoscere, anche “indirettamente”, suo figlio e continua a cercare testimonianze o segnali che li colleghino l’uno all’altra. L’apice di questa coerenza caratteriale delle due figure consiste nel finale in cui Philomena incontra le suore che l’avevano separata e poi tenuta volontariamente lontana da suo figlio: le perdona e viene compresa da Steve.
Il risultato è un prodotto che guadagna un enorme fruibilità e riesce ad accontentare diversi tipi di pubblico, rientrando a fatica nel genere della commedia in cui alcuni hanno voluto incanalarlo. Per far ciò, sono sfruttate le armi dell’elegante ironia “all’inglese” e della discussione teologica, senza che nessuna delle due sia identificabile come binario narrativo della storia. Infatti, se si volesse estrapolare il vero perno su cui la vicenda si dirama, non vi sarebbero molte possibilità di scelta. Le micro-espressioni facciali della superlativa Judi Dench declinano tutte le fasi della trama: i suoi occhi azzurri e speranzosi simboleggiano la fiducia nel Signore con cui inizia il viaggio, le rughe sul suo volto disegnano tristezza e delusione quando scopre la morte del figlio, il frequente contrasto tra una bocca sorridente e uno sguardo preoccupato rappresenta il marchio di fabbrica di una produzione che proprio nell’equilibrio fra opposti ha cercato di ottenere (e ha ottenuto) il grado di tensione ideale. Di fronte a lei, Steve Coogan, attore noto principalmente per ruoli in commedie, funge da perfetto contrasto alla figura della protagonista: il suo ateismo risalta la profonda fede, il suo sapere nozionistico viene a volte ridimensionato da quello materno-popolare, la sua eccessiva razionalità sembra perdere valore di fronte all’ingenua umanità di una donna sicuramente meno colta ma non per questo meno carismatica.
In conclusione, una sceneggiatura ottima, abbinata ad una regia essenziale e sempre significante, genera una pellicola destinata a piacere. Infatti, proprio l’amplio target di pubblico potenzialmente soddisfatto da questo tipo di prodotto rappresenta il punto di forza dell’opera. La principale motivazione di questi possibili apprezzamenti penso vada ricercata nell’univocità di emozioni che la visione produce. In particolare, la recitazione della Dench e il contrasto commedia/dolore suscita nello spettatore un fondamentale senso di estraneità alle vicende personali della protagonista. Non ci sentiamo mai in grado, durante la pellicola, di comprendere fino in fondo cosa possa significare per una madre vedersi sottrarre un figlio da cui mai si sarebbe separata. Quando lacrime leggere cominciano a comparire sul suo volto, queste squarciano la leggerezza con cui viene registicamente approcciata la storia. Il primario elogio da fare a questa produzione, dunque, consiste nel non aver lucrato su vere sensazioni che una vera donna ha dovuto provare, fornendoci un ritratto adeguato di una persona che per anni ha cercato solo di capire se suo figlio «avesse mai pensato a lei».

LOCKE Steven Knight

«Basta un piccolo fottuto errore e il tuo edificio crolla». Con queste parole il protagonista riassume la portata metaforica delle sue personali vicende lavorative nei confronti dei macro-avvenimenti di cui è costellata la vita di ognuno di noi. Ivan Locke, capo di un cantiere che in nottata riceverà la più grande colata di calcestruzzo della storia moderna, ha preso un’ardua decisione, la «sua decisione», come continua a ripetersi: si è caricato sulle spalle il peso delle proprie azioni, anche di quelle sbagliate. Questa responsabilizzazione realisticamente gli costa un prezzo molto caro; perde il lavoro e la famiglia. Ma quel figlio, nato con due mesi di anticipo da una episodica relazione extra-coniugale, avrà un cognome ben preciso, che

non a caso è il titolo del film. Locke, l’attesa seconda regia del talentuoso Steven Knight (in passato ottimo sceneggiatore per Cronenberg e Frears), supera le già rosee aspettative. Il regista quasi ostenta la sua abilità di scrittura. Servendosi solamente di un’automobile, una superstrada e un attore di livello (una delle migliori interpretazioni nella carriera di Tom Hardy), egli àncora gli occhi dello spettatore allo schermo raccontando in un’ora e mezza la storia, le colpe e poi la rovina di un uomo che nonostante tutto è caratterizzato da una profonda coerenza nel suo agire. 
Difficile non elogiare una sceneggiatura che riesce a narrare dei contenuti tanto complessi in una forma così atipica. Il film è girato quasi in “real time”, noi saliamo sull’auto insieme al protagonista e non ne scendiamo più accompagnandolo in tutto il suo viaggio; quelle che all’inizio sembrano singole telefonate in vivavoce volte a descrivere il personaggio e le sue vicende presto si rivelano il vero leit-motiv dell’opera. Tutto ciò che sappiamo di lui e della causa per cui si trova in autostrada di notte ci viene spiegato da un susseguirsi di dialoghi telefonici che illustrano i rapporti sociali prima, durante e dopo il fatto centrale di tutta la scrittura. Nonostante avesse anche già un figlio, Ivan Locke ha tradito la moglie, una volta, senza sentimento e per pena della solitudine di una collega di lavoro. Da questo rapporto, avuto sette mesi prima del tempo della narrazione, sta nascendo prematuramente un figlio. Ivan riceve una chiamata e decide di partire per l’ospedale dove sta nascendo suo figlio. Le conseguenze di questa frettolosa ma ponderata decisione sono il materiale principale di cui è composto il racconto in tempo reale. Il primo particolare di cui si preoccupa è che la colata di calcestruzzo, su cui lavorava da tempo, vada a buon fine nonostante abbia già sicuramente perso il lavoro; secondariamente deve trovare il coraggio per chiarire alla moglie cosa stia succedendo. La situazione diventa ancora più claustrofobica quando iniziano ad alternarsi determinanti soliloqui morali sulla cattiva condotta morale di suo padre in passato (lo aveva abbandonato appena nato, per poi ripresentarsi dopo venticinque anni), dialoghi con la futura madre che ansiosamente gli chiede di dirle “ti amo” e simboliche telefonate con il figlio piccolo che lo aspetta per la partita di football a cui non andrà. La regia porta a termine l’ostico compito di riprodurre in maniera precisa e contemporaneamente varia un’atmosfera notturna ottimale per questo tipo di sceneggiatura. «E’ successo mentre stavo girando un altro film: mi sono reso conto delle potenzialità delle scene notturne in automobile e ho voluto espandere il concetto con una storia adatta» dice il regista, nel corso di un intervista. L’uso sapiente delle gialle luci autostradali che caparbiamente colgono il volto dell’attore durante espressioni paradigmatiche, abbinato alle lente dissolvenze con cui l’inquadratura passa dai lampioni autostradali di passaggio alla mimica facciale del protagonista, forniscono allo spettatore una cornice ambientale e temporale perfetta per i ragionamenti a cui il film vuole condurre. Inoltre la monotonia del real time viene alleggerita da frequenti stacchi di montaggio estrosi, apprezzabili per varietà. 
I problemi principali di cui risente la pellicola sono quelli tipici di una missione (im)possibile come quella che si è prefisso Knight. Egli deve, in primo luogo, aumen-

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Cinema tare la prototipicalità delle vicende e dei personaggi per far sì che tale tipo di narrazione risulti efficiente; mi sembra una necessità, più che un difetto, la poca originalità della vicende standard che precedono e costituiscono la narrazione. Un bambino da educare, una moglie con cui vivere, un lavoro in cui impegnarsi: la comune condizione esistenziale in cui molti spettatori si saranno ritrovati, rappresentando forse il motivo d’attrazione principale della pellicola. La caratterizzazione dei personaggi, però, risulta molto profonda in contrasto con lo spazio ridotto tramite cui ci vengono presentati. Anche da questo punto di vista, dunque, l’impresa sembra avere successo avendo il pregio di dimostrare quante poche risorse (materiali e economiche, sicuramente non mentali o intellettuali) servano per raccontare intrecci di questa caratura in maniera proficua. In conclusione, la parte dell’opera che ne eleva maggiormente il valore oggettivo, assieme alla tecnica di scrittura, consiste sicuramente nel chiaro messaggio morale che il film si guarda bene dal suggerire. Un’assenza di giudizio, anzi una presenza celata di un indirizzamento etico più che di una singola valutazione morale, obbliga lo spettatore a partecipare attivamente all’opera di estrazione del messaggio dalla narrazione. Non vi è univocità nello stabilire lo statuto morale di un uomo che, nonostante ammetta i propri errori, non riesce ad evitare un drammatico “crollo” del suo edificio esistenziale minuziosamente ingegnato. Locke perde il lavoro e la moglie; gli resta solo la propria solidità, la propria coerenza e un bambino figlio dell’unica parte del “progetto” di cui non aveva tenuto abbastanza conto. La solidità con cui affronta il destino che si è procacciato, però, è sottolineata ripetutamente; per questo motivo, è rintracciabile un unico suggerimento interpretativo velatamente esplicito: un uomo normale non si giudica dai suoi normali errori (tutti, chi più e chi meno, ne commettiamo) ma dalla fermezza e dal coraggio con cui se ne assume le responsabilità. Durante certi avvenimenti nella propria vita, come durante certe autostrade che ci si trova a percorrere, ciò che mostra il valore di un uomo è la sua capacità di tenere ben saldo il volante, senza tentare scorciatoie di incoerenza.

JOE David Gordon Green A Gary non interessa quanto viene pagato per il lavoro; Gary sa che deve lavorare duro. Ha quindici anni e un violento padre alcolista che, con parassitario egoismo, lo picchia e gli ruba i pochi soldi che guadagna. Il suo datore di lavoro Joe, però, vivendo un rapporto di affetto/dipendenza nei suoi confronti, finisce per diventare la sua figura di riferimento. Un ruolo paterno più comodo, quasi necessario, in una vita costellata di fallimenti: galera, alcool e prostitute da sempre caratterizzano la sua quotidianità. Una tragica redenzione è l’epilogo quasi scontato di questo tentativo di riscatto. Si concretizzata in un annientamento della sua stessa persona al fine di isolare solidi binari per un passaggio generazionale di valori, filtrati da tutti gli errori reiterati in passato. Un soprendente muscolosissimo Nicolas Cage interpreta egregiamente il capo-cantiere di un’impresa di deforestazione co-protagonista in Joe, ultimo lavoro di David Gordon Green (tratto dall’omonimo libro di Larry Brown) in concorso alla settantesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Al suo fianco, il vincitore del premio Mastroianni per il miglior attore emergente Tye Sheridan interpreta questo arguto e stacanovista ragazzino con la rara abilità di chiudere gli occhi sul passato di Joe, cercando di apprezzarne solo gli intenti educativi e protettivi. L’onestà e il rispetto fungono da punto di incontro tra le due personalità:

Joe raggiunge questi valori dopo una vita passata a perderli di vista, Gary, invece, da quando è nato li utilizza come perni del proprio agire. Un esempio da cui differenziarsi è invece rappresentato dal padre naturale di Gary, interpretato da un attore non professionista (Gary Poulsen) che aumenta vertiginosamente il realismo e l’autenticità di alcuni dialoghi; purtroppo, l’attore, che aveva già ricevuto proposte per nuove parti, è deceduto poco dopo il termine del montaggio. La vicenda è adeguatamente incanalata nel rurale contesto texano, che, grazie alla curatissima e sapiente fotografia, acquisisce una forma western in linea con la caratura degli avvenimenti. Il diramarsi della sceneggiatura non riesce, però, nel difficile intento di vivacizzare un intreccio rischioso, in quanto già proposto frequentemente in forme simili da altre produzioni in passato. In questo tentativo, viene privilegiata una semplicità simbolica nella costruzione dei personaggi a tratti lodevole per sintesi, spesso criticabile per eccessiva semplificazione: al figlio Gary, come già accennato, non interessa la paga che riceverà a lavoro e questo lo presenta subito come un ragazzo disposto a faticare duramente; Joe dimostra immediatamente il suo carattere, magnanimo sebbene irascibile, assumendo prontamente Gary a lavoro e portandosi spesso dietro un aggressivo Bulldog a cui fa sbranare i cani dei propri nemici; la figura del padre di Gary è ridotta alla bottiglia di super-alcolico da cui si fa sempre accompagnare, simbolo delle sua rovina materiale e morale; l’acerrimo nemico di Joe, che per tutto il film cerca di scovarlo per sistemare conti del passato, è una macchietta costruita da un’inquietante sguardo e qualche battuta simbolica. La narrazione, però, è condita da un ritmato alternarsi dramma/ironia che, sommato alla linearità registica con cui viene presentata, stempera alcuni difetti facendo guadagnare fruibilità alla produzione. Un difetto, invece, piuttosto evidente del messaggio che il film vuole trasmettere consiste in un accentuato ed evidente maschilismo: le poche donne che compaiono nella pellicola hanno parti marginali e soprattutto di condanna, dalle numerosissime prostitute alla pessima madre di Gary totalmente disinteressata alla situazione familiare e ai reati del padre. La trasmissione dei valori morali e educativi sembra essere un compito raggiungibile esclusivamente dall’universo maschile, in una società della violenza troppo superficialmente descritta per poter incorniciare un messaggio trasparente e concreto. E’ necessario, inoltre, precisare quale sia il reale contenuto pratico, oggetto di questa “educazione alla vita” di cui Joe si prende responsabilità. Anche in questo caso, purtroppo, la semplificazione vince la “sfida” con l’accuratezza della descrizione ed emerge, proprio nel punto in cui ci si aspettava maggiore solidità, una certa superficialità nella precisazione dei contenuti che dovrebbero identificare ed elevare il ruolo paterno di Joe. Gli “attributi”, in tutti i sensi della parola, possono essere visti come il vero nucleo centrale dell’insegnamento padre-figlio. Non conta la legge, in quanto Joe vi è andato ripetutamente contro e non sembra esortare Gary a non farlo; non contano i soldi, Joe addirittura regala il proprio pick-up a Gary quando lo ritiene pronto alla guida; non contano neanche le relazioni sentimentali, infatti Joe nella sua vita non riesce mai ad avere una presenza femminile al suo fianco senza dover sborsare denaro. Assistiamo ad una quasi mitizzazione del coraggio e della virilità che, conditi con una abbondante porzione di insapore altruismo, approssimativamente dovrebbero delineare i contorni del vero essere maschio adulto. In conclusione, alcuni grossolani estremismi sottraggono importanza ad una pellicola che non trova sicuramente altrettante difficoltà tecniche-registiche nel dare forma visiva a questa sceneggiatura, interessante nella sua conformazione generale ma insufficiente nell’approfondimento dei personaggi e del messaggio. Rimangono, purtroppo, isolati alcuni estri registici tanto originali quanto significanti; ad esempio, la splendida panoramica con cui, nell’abbraccio finale di Gary a Joe morente, l’inquadratura si sposta dalle pesanti palpebre di Joe allo sguardo addolorato di Gary che a sua volta, con un sobbalzo, ci comunica la dipartita del suo finto vero padre. Purtroppo questo padre sembra avergli insegnato solo dove la sua vita non deve finire, piuttosto che come si faccia a non finirci.

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Il Consulente Museale

L’ARTE IRREGOLARE DEL MUSEATTIVO NELL’EX OSPEDALE PSICHIATRICO DI GENOVA QUARTO, UN “NON-MUSEO” UNICO NEL SUO GENERE di Matteo Sicios - info@matteosicios.com

COME ARRIVARE In bus da stazione Brignole Fs: con bus 17 e 17/ Direzione: Commercio Capolinea - fermata: Genova, Europa 7/ Carrara con bus 16 Direzione: Genova, Tigullio/ Campanule – fermata: Genova, Europa 7/ Carrara Girare a destra : Via Giovanni Maggio Dopo 200m Girare a destra ed entrare in ex O.P. Genova Quarto Seguire indicazioni interne al complesso verso Centro Basaglia/I.M.F.I. - Museattivo

In auto: n questo numero si invitano i lettori Uscita autostradale Genova Nervi alla scoperta di un NON-Museo, Continuare su: Via Tigullio o meglio, come ci dice Francesca Girare a sinistra : Corso Europa Moretti (curatrice della collezione Prendere Via Stefano Türr e Storica dell’Arte) del Museattivo Girare a sinistra : Cavalcavia Don Bosco – “il Museattivo non è un Museo, Girare a destra : Via Giovanni Maggio è un luogo dove la creatività degli Dopo 200m Girare a destra ed entrare in ex O.P. Geartisti incontra quella dei visitatori, nova Quarto è un’esposizione di opere d’arte Seguire indicazioni interne al complesso verso Centro irregolare sempre in movimento, è un Basaglia/I.M.F.I. - Museattivo polmone di creatività nel cuore della città”. Come contattarci o prenotare le attività: Questo spazio si trova all’interno museattivo@laboratorioilmegafono.org, oppure cerdell’ex ospedale psichiatrico di cate e visitate la nostra pagina facebook “Museattivo” Genova Quarto ed accoglie opere per trovare tutte le nostre offerte e le news. uniche nel loro genere. Ecco spiegato il perchè: il 30 maggio 1992, nell’ala ottocentesca dell’ex ospedale, l’I.M.F.I. (l’associazione di volontariato che tutt’ora gestisce il Museattivo) istituisce il nuovo Museo attivo delle Materie e delle Forme Inconsapevoli che espone circa duecento tra dipinti, sculture, ceramiche e terracotte realizzate nel LE ATTIVITÀ PROPOSTE DAL MUSEO presidio. I laboratori avevano infatti prodotto negli anni capolavori realizzati simultaneamente da degenti, operatori, VISITE IRREGOLARI artisti, senza distinzione né etichette. Perché a Quarto sono esposti dei quadri senza didaStupisce non riconoscere l’opera di un famoso artista (non scalie? si scrivono qui i nomi, sarete voi a scoprirli andando a Qual è la storia della collezione del Museattivo? visitarlo) a fianco delle altrettanto meravigliose realizzazioni Tutti i nodi verranno al pettine e i visitatori, accompadei degenti. Ora la collezione è composta da più di 700 gnati in un percorso irregolare, potranno entrare in opere esposte ciclicamente e questa continua rinascita del contatto con questa realtà nascosta. percorso museale rende il Museattivo quel luogo di scambio e confronto che da sempre sottolinea la sua unicità. VISITE ATTIVE Da pochi mesi sono attive moltissime attività che rendono Perché stare a guardare e basta? una semplice visita, un’esperienza irregolare. I visitatori si “attiveranno” per fare esperienza concreta del Museattivo: un percorso di interazione con Le immagini che vedete sono prive di didascalia, proprio come le opere e gli artisti mediante l’uso di diverse tecniche tutte le opere del Museattivo. Bisogna entrare, osservare e espressive. chiedere, per scoprire i nomi dei capolavori di questo magico

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SPECIALE SCUOLE:

luogo.

MOSTRARSI ATTIVI I ragazzi vengono coinvolti in una vera e propria attività del personale del Museattivo: l’organizzazione di una mostra in tutti i suoi aspetti. Il risultato finale, l’esposizione, sarà opera del lavoro dei partecipanti che avranno così un significativo riconoscimento per l’attività svolta. A SCUOLA DI YOUTUBE! La classe viene coinvolta nella realizzazione di un video sul Museattivo. I partecipanti impareranno a realizzare dei girati video professionali, a realizzare il montaggio, e a diffonderlo via web.

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CARLA BENVENUTO, DALLA SERRA DI QUINTO 20 INGENOVA Magazine

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DA PARIGI ALLA CINA UN SUCCESSO STRAORDINARIO di Diana Bacchiaz

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a solitaria pittrice Carla Benvenuto, schiva da ogni tentazione sociale, vive in una serra sulle alture di Quinto e qui dipinge estate e inverno nella luce straordinaria di questo studio inconsueto. Con le trasparenze che le pareti di vetro le offrono raggiunge risultati artistici di straordinaria efficacia. Ricorda la poetessa di bianco vestita Emily Dickinson, che per interiorizzare meglio la sua arte viveva quasi sepolta in casa, riducendo al minimo i contatti con l’esterno: così Carla, immersa in una sorta di claustralità interiore, vive intensamente la sua vita spirituale ed artistica e la sua arte se ne avvantaggia in luminosità, trasparenze, liricità. Con la sua cappa grigia da lavoro, senza un filo di trucco, la sua arte riflette una ricerca interiore, uno struggente bisogno di spiritualità e di interiorità. Le curve potenti e decise fuoriescono da una tela nera, i suoi amati sfondi da cui

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prorompono poderosi e forti corpi di donne emergono dal buio in chiare forme, le forme delle sue donne sdraiate; lo spirito si condensa in forme sinuose come candide nuvole. Corpi femminili, con seni, ventri forti e vigorosi; non c’è spazio per il languore, ma realizzazioni forti e potenti. A in queste forme, pur arricchite da colori stesi in abili velature, si intravede tratti la forza disperata di Francis Bacon. Scritte quasi cancellate riportano vaghi ricordi e segni del passato, che accompagnano questi corpi spesso sdraiati o capovolti, fate addormentate su fondi neri irti di scritte appena percepite: il lontano, il passato, il già vissuto reggono questi corpi di donne che si espandono nel quadro. Il contatto con il mondo francese le permette quella trasgressione che agli artisti d’Oltralpe è consueta e che la contagia in forza espressiva.

NOTE BIOGRAFICHE Carla Benvenuto nasce nel 1956. Vive e lavora fra Genova, Fréjus e Parigi (FR). Formazione artistica (liceo, architettura, accademia e stages di litografia in Francia). La pittura è la sua prima occupazione, ma realizza anche oggetti di tipo scultoreo e installazioni. Dal 2000 collabora con Atelier Impression diretto da Mario Ferreri (li-

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Liguria artistica Impression, “Progetto Universale”, c. M.Ferreri, mostra in catalogo, pref. E. Marasco, Eidon Edizioni 2007 GENOVA - Palazzo Tursi, Bookshop, “I Palazzi dei Rolli” c. E.Perilio. ”I Palazzi Dei Rolli” e i Rollini” sono esposti in permanenza presso il Bookshop di P. Tursi GENOVA - Garibaldi Historire, “Sacro e Profano”, mostra in cat. con pref. di Marco Pini, Eidon Edizioni

tografo e gallerista) con sito a Fréjus (Costa Azzurra) e Parigi con Nicolas Draeger, Anthese Edition). I cataloghi più recenti sono consultabili presso la Biblioteca del Museo Maga di Milano e il bookshop della Biennale di Venezia 2011, sia all’Arsenale che ai Giardini. Dal 2013 è rappresentata a Parigi da Gallery Selective Art Paris.

MOSTRE PERSONALI (SELEZIONE) 2013 REGGIO EMILIA - ImmaginaArte in fiera “...una nuvola come tappeto” Studio Rossetti - arte&architettura mostra in catalogo 2012 GENOVA - Mentelocale Palazzo Rosso “ Storie che viaggiano” Galleria Il Basilisco 2011 GENOVA - Museo del Mare Galata - “era Mare?” Galleria Rinascimento Contemporaneo 2010 GENOVA - Galleria Rinascimento Contemporaneo “Quale corpo?”, I° retrospettiva con opere 2000/2010, mostra in cat. Edizioni Vanilla, pref. G. Beringheli 2009 NIZZA (FR) - Galerie du Fou, “La forme de l’eau”, c. Daniel Audon 2008 GENOVA - Alliance Française, “...a Louise Bourgeois”, c. F.Boggiano FREJUS (FR) - Cattedrale St.Leonce di Frèjus e Galerie 2006 GENOVA - “Happening a Palazzo”; dopo 22 anni l’artista lascia l’abitazione-studio di via Caffaro e allestisce un’esposizione nell’antico palazzo. L’evento viene documentato da ripresa video a cura di J.V e S. R. – S.R. Il Secolo XIX 2005 GENOVA - Palazzetto Rosso, “Attraverso Matisse”, c. Jacques Barrère, mostra in cat. 2004 FREJUS (FR) - Galerie Impression, Frejus e Paris “Ou l’Harmonie Plastique”, mostra in cat. Pref. M. C. Assimans, In copertina “Una linea”- esp contemp. Libreria Bocca, Milano, c. G. Lodetti

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MOSTRE COLLETTIVE (SELEZIONE) 2013 GENOVA - Galleria il Basilisco “Xmax Collection “ TORINO - Museo della Scienza - “Tecno-Medioevo - 3STANZE” (Carla Benvenuto-Patrizia Traverso-Roberta Chioni- Rita Frizzera) mostra curata da Marcello Pecchioli GENOVA - Palazzo della Borsa - “MOSTRA...MI 200artisti” - Fondazione Garaventa 2011 FERRARA - Week end con l’arte - Galleria Domus Turca MILANO - Festival delle Lettere - Teatro Dal Verme - 3 ott SAINT TROPEZ - jpbART GALLERY PARIGI - Atelier Anthese – Ferreri Vernissage Ottobre GENOVA - Alliance Française – “Lithographie” Project Ecole d’ Art Graphique a Fréjus – Saint Raphael Vernissage 19 Maggio PARIGI - Salon du Livre – Edition Anthese Dimostrazioni tecniche litografiche e mostra collettiva Carla Benvenuto, Marco del Re, Nebojsa Bezanic GENOVA - ArteFiera Genova - Mostra di Arte Contemporanea Galleria Rinascimento Contemporaneo 2010 PARIGI - Salon du Livre, Porte de Versailles, Edition Anthese, Nicolas Draeger ST. MAXIME (FR), Galerie Regard, C. Benvenuto, H. Matisse, E. Schiele. FREJUS (FR) - Base’Art-Arte Contemporanea – Base F. Leotard

2009 SAINT RAPHAEL (FR) - Jubilé, Vente Exceptionel aux enchères publiques de la collection personelle Ferreri – Villa Aurélienne FREJUS - Costa Azzurra, Base ‘Art-Arte Contemporanea - Base F. Leotard SHANGAI - Cina, Alliance Française, “Progetti di lavoro”c. M. Ferreri. MILANO - Sesto San Giovanni, MuseoLabirinto, BOX UP Self Storage e ContainerArt. Curatori: Ronald L. Facchinetti e Luisa Castellini 2008 PARIGI - V° Biennale di Arte Contemporanea Europea com. F.C. Glaser e B. Bellemou GENOVA - Arte Fiera Genova, Arte Contemporanea - Mostra in cat 2007 GENOVA - Garibaldi Historiè, Sacro e Profano, forma il Gruppo Nuovo GENOVA - Galleria il Basilisco e Teatro dell’Archivolto “Viaggio Immaginario” ROMA - Associazione ITALIALBANIA – Cafè Veneto – Pres. S.Todini. Kledi Kadiu Ambasciatore della Cultura Albanese in Italia con i colleghi di AMICI. ROLAND SEIKO editore

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Liguria artistica Opere esposte di: Artan Shabani (Albania) e Carla Benvenuto (Italia) AREZZO - Sala Ingresso Coop, Installazione, intervista Telemondo 2005 FREJUS (FR) - Cattedrale St. Leonce, “ElleS au Cloitre de Fréjus”, International - pref J. C. Fontan, c. M. Ferreri GENOVA - Museo Luzzati, Porta Siberia, Area Porto Antico - Litografia in occasione dell’Opera Lirica del 900 GENOVA - Museo Luzzati: Benvenuto incontra Lele Luzzati, Aurelio Caminati e Raimondo Sirotti 2004 - MILANO - Libreria Bocca, “Movimento nelle segrete di Bocca“ - c. G.Lodetti. A. Papetti in giuria, mostra in cat. GENOVA - Commenda di Prè, “Arte Sacra“, illustrazioni COLMURANO - Macerata, II° Biennale dell’Illustrazione Renzo C. Ventura, mostra in cat. PAVAROLO - Torino, IV° Biennale di Pittura “Felice Casorati”, cat.- GENOVA - IX° Rassegna Nazionale Saturarte, in occasione di Genova Capitale Europea della Cultura 2004, C. M. Cristaldi, M. Mallacci, M. Napoli e M. Pepe GENOVA - Piazze Rinnovate, Porte aperte sulla piazza”, Galleria Artrè a cura di B. Solinas 2003 NIZZA - GRAN PRIX INTERNATIONAL D’ARTS Président G.Bols GENOVA - Commenda di Prè, “La Filastrocca Ligure“ Illustrazioni GENOVA - Biblioteca Berio, Sala Mostre, “Le Canzoni dei Cantautori Genovesi” GENOVA - Biblioteca Berio, Sala Mostre, Festival della Scienza, “Le forme della luce”, espone l’installazione “Einstein” GENOVA - Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce, “L’arte come scoperta del quotidiano“, progetto Cesare Viel 2002 PAVAROLO - To, III° Biennale di Pittura, Felice Casorati, mostra in cat. GENOVA - Teatro della Corte, “Arte e Artisti danno vita al foyer della Corte” GENOVA - Area Porto Antico, Magazzini del Cotone, “L’occhio si racconta”. Dall’idea alla pre-produzione - progetto di M. Addis e A. Valenti 2001 MILANO - Acquario Civico, “Milano e il Mare”, mostra fotografica BARCELLONA - Museo dell’Accademia, Progetto Connect, Commissione Europea con N. Fontaine Pres. Parlamento Europeo TOLONE - Museo dell’Accademia GENOVA - Museo dell’Accademia 2000 GENOVA - Galleria V’Idea, espone “Crocifissione” per “Incontro con Emergency”. Attualmente l’opera è esposta presso la sede centrale di Emergency, Milano GENOVA - Biblioteca Berio, IV° Biennale di Pittura de Fabula - “Donna Creatrice” 1998 DOMUS DE MARIA - vince il 1° premio “Vivere l’Arte” con la tela “Situazioni” esp. in permanenza presso la pinacoteca del comune Principali esposizioni personali.

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FARMACIA S. ANNA

GLI ANTICHI RIMEDI E I PRODOTTI FITOTERAPICI DEI FRATI CARMELITANI SCALZI, TRAMANDATI DA GENERAZIONI Testo e foto di Anna Proverbio

F

ondato nel 1584, in Salita Superiore S. Anna, il Convento dei Carmelitani Scalzi ospita, in un’ala appartata dell’edificio, l’antica Farmacia S. Anna. L’ingresso si apre su una piazza silenziosa pavimentata in acciottolato, circondata da antichi palazzi dalle facciate dipinte, raggiungibile da salita S.Anna, percorribile solo a piedi. Un cancello di ferro verde reca l’insegna della farmacia. Un muro alto ricoperto di edera delimita la rampa erbosa che conduce alla porta d’ingresso, poi si debbono salire ancora dei gradini di marmo ed infine si imbocca un lungo corridoio, dove si possono vedere le bacheche in legno scuro che contengono un campionario dei prodotti che solo qui si possono acquistare. Tutto questo percorso in salita, estremamente suggestivo, ma abbastanza faticoso per chi non è allenato, si può evitare prendendo il comodo ascensore che collega direttamente la strada alla farmacia. L’interno del negozio è luminoso, ordinato, pulito, nell’aria

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Fitoterapia e Salute

aleggia un aroma intenso di erbe medicinali messe a macerare, misto al profumo dei cosmetici naturali disposti su un tavolo rotondo. Un farmacista in camice bianco serve con competenza i clienti, spesso stranieri, che vengono qui per comprare i prodotti di pura tradizione monastica, frutto di antiche esperienze, confezionati nel laboratorio situato nella parte sottostante dell’edificio con l’attenta supervisione di Padre Ezio, frate erborista, che dal 1990 segue l’attività che qui si svolge; il tutto oltre ad occuparsi di ricevere su appuntamento le persone che desiderano avere colloqui riservati con lui, per chiedere consiglio sui rimedi da comprare alla farmacia dopo aver esposto il racconto dei disturbi da cui sono affetti. Padre Ezio riceve i pazienti in una piccola stanza, tranquilla e gratuitamente, suggerisce pozioni ed estratti adatti al caso; solo chi lo desidera può fare un offerta e decidere, in assoluta libertà, se acquistare i prodotti consigliati. Come mai in questa zona di Genova alta l’ascensore, la salita e la farmacia portano tutti il nome di S. Anna? «Per capire il motivo» racconta Padre Ezio «Si deve risalire a molti anni fa, intorno al 1600, quando dal Convento Spagnolo arrivò a Genova Nicolò Doria, carmelitano scalzo, incaricato di cercare nuovi luoghi dove edificare altri insediamenti monastici. Il frate, la cui famiglia era originaria ligure, portava con sé delle piante di patate, ancora sconosciute in Italia. Giunto a Genova salì sulle alture di Castelletto e sulla sommità del colle Bochemi, allora completamente immerso nella campagna, trovò un’edicola dedicata a S. Anna. Lì fu costruito il convento tuttora esistente con annesso il laboratorio erboristico. Come vengono trasmesse le vostre ricette? «Di Padre in Padre», dice sorridendo Padre Ezio. «Ogni frate erborista, in accordo con i priori, sceglie un alunno da istruire che, al momento opportuno, prenderà il suo posto, in questo modo si tramanda il sapere. Io probabilmente fui scelto perché prima di prendere i voti avevo studiato ingegneria chimica». I vostri prodotti sono efficaci? «”Noi prepariamo i rimedi, Dio ci dà la salute”, questo è il motto dell’antica Farmacia erboristica: un semplice ma autentico invito a ricorrere al Signore che si coniuga all’attività farmaceutica dei religiosi. La farmacia prepara attualmente una svariata gamma di prodotti fitoterapici molto apprezzati e richiesti. Nel laboratorio, modernamente attrezzato secondo le vigenti leggi, i religiosi utilizzano con criteri moderni formule magistrali che hanno secoli di vita. Il fatto che da tanti anni i nostri prodotti vengano richiesti sempre più ci conforta e ci sprona a continuare. Sappiamo che i nostri prezzi sono

abbastanza alti, tuttavia se si considera l’elevata qualità e la assoluta genuinità dei nostri rimedi si vedrà che non sono poi così cari». Quante sono le vostre preparazioni? «Davvero tante: abbiamo estratti, polveri, pomate, prodotti dell’alveare, pozioni e digestivi, oltre a prodotti per l’igiene e la cosmesi naturale, e periodicamente sperimentiamo nuove preparazioni che aggiungiamo al nostro catalogo».

INFORMAZIONI La Farmacia S. Anna è aperta dal lunedì al venerdì dalle 8,30 alle 12’30 e dalle 15,30 alle 19,30. Padre Ezio accoglie i visitatori nei giorni di LUNEDI’ e MERCOLEDI’ (previa conferma telefonica) dalle 9-12; 16-19. Piazza S. Anna , 8-16125GENOVA Tel. 0102513285- Fax 010.2513281 http://www.erboristeriadeifrati.it/ info@erboristeriadeifrati.it

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SPOSE PERFETTE

PER IL GIORNO PIU’ BELLO GLAMOUR E VINTAGE: TUTTI I CONSIGLI E LE TENDENZE 2014 PER UN MATRIMONIO DAVVERO DA SOGNO

T

ra le tendenze sposa più interessanti del prossimo anno c’è, senza dubbio, l’abito da sposa vintage. Non si tratta di abiti acquistati in negozi specializzati in abbigliamento d’epoca, bensì di creazioni provenienti dalle collezioni di abiti da sposa 2014 più importanti i cui fashion designer hanno deciso di ispirarsi a trend del passato per realizzare alcune creazioni per il giorno più bello. Sono soprattutto due i trend degli abiti da sposa vintage: gli anni ‘50 e gli abiti che omaggiano il “New Look” elaborato da Christian Dior nel 1947 e il mood sofisticato e sensuale di un’epoca ancora più precedente, i ruggenti anni ‘20, ritornati in auge grazie al film “Il Grande Gatsby” di Baz Luhrmann. Per quanto riguarda il primo trend, gli abiti in questione hanno una lunghezza midi; si tratta di vestiti con bustino stretto, vita messa in evidenza e fianchi abilmente nascosti dalla gonna ampia. Sono modelli decisamente comodi, leggeri, vi permettono di muovervi con facilità ma non sono certo poco romantici e il loro stile iperfemminile li rende adatti ai matrimoni religiosi. Chi li propone? Griffe come Marchesa, Angel Sanchez, Monique Lhuillier e maison di casa nostra come Claraluna. I vestiti da sposa anni ‘20, invece, sono più sensuali e sofisticati, decisamente originali ed adatti anche a delle nozze civili proprio perché non hanno gonne troppo voluminose e non sono pomposi. Scivolano lungo la figura, sono caratterizzati da inserti in pizzo e, molti modelli, hanno una gonna a balze morbide ricamate che scendono lungo

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la figura. Abiti scivolati dai tessuti leggeri e impalpabili ricoperti da cascate di perline e decorazioni scintillanti. Gonne lunghe e non troppo vaporose e senza strascico si abbinano a corpetti morbidi e non fascianti. Molti di questi modelli, però, non donano a chi ha un fisico troppo formoso anche a causa di un corpetto morbido e non strutturato: il consiglio è quindi quello di snellire e delineare meglio le curve con un bel body steccato. Chi vuole optare per delle nozze in stile Fitzgerald può dare un’occhiata alle proposte di Rosa Clarà, Pepe Botella, Yolan Cris ma anche Jenny Packham e Novia d’Art. La grande moda degli abiti senza spalline è ridimensionata: gli abiti da sposa del 2014 sono sempre più spesso dotati di spalline. Vero must della stagione è abbinare al corpetto classico senza spalline uno strato di pizzo velato e sottile che ricopre la scollatura e le spalle. In alternativa si trovano spalline strette all’attaccatura dell’abito e che si allargano sulle spalle: raffinate ed eleganti. A proposito di decorazioni, gli abiti da sposa in pizzo sono un must del 2014. Questo tessuto, così particolare e chic, è assolutamente da preferire. Conferisce all’abito, anche quello dal taglio più lineare e pulito, un tocco glamour irresistibile. Di modelli ne troverete moltissimi, ampi, a sirena, principeschi e persino corti. Ovviamente, anche il corto torna di moda, soprattutto per le spose più giovani. Il taglio da preferire è quello a tubino o, in alternativa, leggermente svasato e anche un po’ longuette, come quelli visti sulla passerella di Carolina Herrera. Vero protagonista resta il bianco puro e chiaro che si impreziosisce a volte di decorazioni dorate. Tra i colori che si fanno spazio tra le collezioni da sposa c’è anche il rosa in tutte le sue sfumature: dai toni pastello a quelli più accesi, sarà il colore che sfiderà apertamente il bianco!

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Per tradizione l’abito da sposa è di colore bianco, benché sia possibile spaziare in un raggio di colori che includono anche tonalità come l’avorio, il crema, l’ecru ecc. Una delle prime donne a vestire di bianco fu Maria Stuarda, quando sposò Francesco II di Francia. Nel suo caso però non si trattò di una tradizione, ma di una precisa scelta della regina. L’abito bianco divenne una opzione molto popolare fra le spose intorno al 1840, dopo il matrimonio della regina Vittoria con Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha. La regina indossò un abito bianco per l’evento, adornato da alcuni merletti. La foto ufficiale del matrimonio ebbe un’ampia diffusione, e l’abito della regina fu adottato da moltissime spose. La tradizione dell’abito bianco è stata tramandata sino ad oggi, anche se va precisato che prima del matrimonio della regina Vittoria, era possibile scegliere per il vestito qualunque colore, ad eccezione del nero (colore dei funerali) e del rosso (associato alle prostitute). L’errore che si fa oggi è di considerare il colore bordeaux (molto diffuso) come simbolo di peccato. L’unica eccezione era rappresentata dalle spose finlandesi del diciannovesimo secolo, che indossavano abiti scuri o neri. In seguito, si è diffusa la convinzione che la scelta del colore bianco rappresentasse la verginità, benché al colore blu fosse associata la purezza. Attualmente l’abito bianco è inteso semplicemente come la scelta più tradizionale per il matrimonio, e non necessariamente come simbolo di purezza.

LA STORIA DELL’ABITO DA SPOSA I matrimoni effettuati durante e immediatamente dopo il Medioevo, soprattutto fra le classi sociali più abbienti, rappresentavano molto più che la semplice unione fra due persone. Si trattava di legami di interesse di carattere politico o economico, pertanto la sposa non rappresentava soltanto se stessa, ma l’intera famiglia, e per tale ragione doveva apparire nella migliore luce possibile. Erano quindi scelti vestiti dai colori accesi e dai materiali pregiati. Non era raro che una sposa indossasse abiti di velluto o seta e spesso persino pellicce. Nelle classi sociali meno facoltose, le spose tentavano al massimo delle proprie possibilità di “copiare” l’abbigliamento delle spose delle famiglie ricche. Nel corso dei secoli, è rimasta la tendenza a vestire la sposa, al meglio che la condizione economica famigliare potesse permettere. Attualmente esistono abiti nuziali che coprono un’ampia gamma di prezzi e boutique specializzate nella vendita di soli abiti per spose. Benché a metà del diciannovesimo secolo si sia diffusa l’abitudine ad indossare abiti lunghi ed ampi, simili a quelli in voga dell’epoca vittoriana, in realtà lo stile dell’abito da sposa è generalmente molto legato alla moda del periodo. Per esempio negli anni venti le spose vestivano abiti corti davanti, con un lungo strascico, spesso abbinato ad un cappello cloche.

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pplausi, lusso ed eleganza per la Luxury Fashion Wave dello scorso 4 ottobre all’hotel Meliá: l’evento moda ha fatto parlare di sé per la qualità e la raffinatezza delle proposte. Ecco le parole delle due organizzatrici, Francesca Forconi e Monica Consigli, titolari della boutique «Amiche di classe». «La Luxury fashion wave è stata organizzata in collaborazione con Paolo Maieli, sell manager di new designers nella elegante cornice dell’ hotel Melia. Paolo ha la grande capacità di scovare nuovi brand emergenti e noi siamo molto contente di esserne i rivenditori per l’Italia. Alla serata hanno partecipato anche la fashion designer Oriana Curti con le sue meravigliose creazioni di piume e le prestigiose borse di Angelica Berlangieri, accessori della sfilata. La riuscita della serata è dovuta anche alla grande sinergia nel back stage tra tutti i professionisti che hanno lavorato per noi: dalla mua Valentina Guru agli hair stylist Fabio ed Angela e alla preziosa collaborazione del fotografo Marcello Rapallino. Fare ricerca ci ha dato la possibilità di conoscere personalmente sia Crhistina Crowford e Katrine Kuldma n entrambe stiliste internazionali di grande rilievo: Chris disegna abiti che fanno sognare venduti in tutto il mondo e Katrine con la sua linea Amanjeda ha unito la classe alla ricercatezza dei materiali e dei dettagli. L’idea di intraprendere questa avventura è maturata due estati fa, entrambe convinte che l’una sarebbe stata la compagna ideale dell’altra per affrontare questo viaggio insieme: ci conosciamo da più di trent’anni e ci fidiamo ciecamente una dell’altra e il fatto di avere gusti e attitudini sostanzialmente differenti si è rivelato un valore aggiunto. Quando si è trattato di scegliere il nome da dare al negozio non vi è stato alcun dubbio: “Amiche di Classe”, perchè il nostro sogno nasce sui banchi delle scuole elementari e la nostra profonda amicizia è cresciuta nel tempo sino ad oggi con il comune interesse per la moda e l’eleganza. Con grande spirito di iniziativa e una buona dose di incoscienza abbiamo deciso di avviare questa attività facendo una scommessa con noi stesse: non è stato facile riuscire a concretizzare il nostro progetto e molti hanno tentato di dissuaderci considerando la crisi che sta colpendo questo settore ma entrambe molto cocciute non ci siamo fatte influenzare. Al giorno d’oggi non è facile realizzare i propri desideri ma siamo a convinte che in un momento storico come questo sia necessario mettersi in gioco e rivolgere l’attenzione a chi ancora come noi crede che nelle potenzialità delle proprie idee. Quando abbiamo deciso a quale clientela rivolgerci ci siamo domandate che tipologia di negozio mancasse in questo momento. Oggi il panorama della moda è molto disomogeneo, il low cost la fa da padrone e i grandi brand sono spesso inarrivabili: i nostri abiti ed accessori vogliono essere un giusto compromesso tra tradizione e tendenza con grande attenzione ai materiali e soprattutto al made in Italy. “Amiche di Classe” è appena nato e il nostro obiettivo è quello di crescere e riuscire a diventare un punto di riferimento della moda genovese soddisfacendo tutte le donne che desiderano indossare capi unici e senza tempo ma anche quelle che sono attente alle nuove tendenze internazionali»

SUCCESSO PER L’EVENTO MODA ORGANIZZATO NELLA SPLENDIDA CORNICE DELL’HOTEL MELIÁ DI GENOVA DALL’ATELIER «AMICHE DI CLASSE»

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Foto di Marcello Rapallino 39 INGENOVA Magazine

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Moda e Lusso

TUTTI I NOMI DI LUXURY FASHION WAVE

STEFANIA SERRA Direttrice del Hotel Melià PAOLO MAIELLI Sell manager milanese e regista della manifestazione CHRISTINE CRAWFORD SANTANA Stilista internazionale KATRIN KULDMA Creatrice internazionale per il brand “AMANJEDA” ORIANA CURTI Creatrice di accessori ANGELICA BERLANGIERI Borse FRANCESCA FORCONI e MONICA CONSIGLI Organizzatrici e proprietarie della boutique “AMICHE DI CLASSE” MARI SOTTER, JESSICA GUAZZOTTI, LARA STUTTGARD, ILARIA SISTI Le modelle che hanno sfilato riscuotendo ammirazione e consensi FABIO & ANGELA Responsabile hair styling VALENTINA GURIA Responsabile make-up MARCELLO RAPALLINO Fotografo 41 INGENOVA Magazine


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UN RICEVIMENTO “VINTAGE” IDEE E TENDENZE PER IL RICEVIMENTO E IL BANCHETTO NUZIALE, TRA STILE ANNI VENTI E IL “CRONUT” CHE HA FATTO IMPAZZIRE I NEWYORKESI

C

osì come per quanto riguarda i vestiti e lo stile di tutto il matrimonio, lo stile “vintage”, soprattutto anni 20, è il sicuro dominatore anche per l’anno prossimo in tema di ricevimenti e di banchetti. Sulle tavole si troveranno, dunque, cornici, gabbiette, posate e piatti di ceramica, fiori in vasi di metallo colorato o di cristallo. I colori vanno dal crudo, al rosa pallido, al beige e al pastello. Per quanto riguarda il buffet, occhio a intolleranze e allergie: tra i piatti del menù si dovranno senz’altro includere piatti vegetariani, vegani e portate per chi, come i celiaci, non può nutrirsi con lieviti e farine. Ma non ci sono dubbi che i buffet tendono ad alleggerirsi, colorarsi ed essere più divertenti, anche nel caso di situazioni molto formali. Puntate allora sul finger food e/o comunque su simpatici piatti mono porzioni: più digeribili e meno monotoni. Il finger food sarà perfetto per l’aperitivo, ma anche per offrire degli assaggi: paste, risottini, mini hamburger, spiedini di frutta. Anche lo “street food”, complice lo chef Rubio di «Unti e bisunti» che ha conquistato tutt’Italia, si è fatto largo tra le tendenze dei banchetti 2014. Per cui, se proprio non si vuole affittare un “camper alimentare”, molti spunti si possono prendere dal cibo che si vende per la strada: dal panino, alle pizze, alle piadine. Abbondano anche i riferimenti esotici (tacos, sushi, spiedini di pesci o carni alle griglia). Se poi volete essere veramente al top: un “food truck” (camion gastronomico) sistemato in una zona all’aperto, che serva cibo d’asporto di qualità italiana. Anche nei dolci spazio alla moda anglosassone: i cupcake, deliziose monoporzioni di tortine decorate e farcite con creme colorate e glasse, sono sempre molto fortunate nel banchetto di nozze. Ad esse si aggiungono altri dolci di tendenza, che arrivano dai cugini d’Oltralpe (i macaron) e, sempre da New York ,“i cronut”, la nuova ciambella (o donut) inventata da un pasticcere francese a New York che, quest’anno, ha appena fatto capolino in Italia e che spopolerà nelle feste e nelle occasioni speciali l’anno prossimo. Non dimentichiamo poi la torta: le belle torte

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creative all’americana (wedding cake) sono sempre molto gettonate ma devono, oggi più che mai, fare i conti con l’importante tradizione pasticceria italiana. E così, se molti pasticceri hanno “ceduto” sulla forma alla nuova moda della pasta di zucchero (la glassa che permette di decorare le torte artistiche), hanno mantenuto il dominio della farcitura. La bella wedding cake del 2014 dovrà essere americana all’esterno ma decisamente italiana all’interno, grazie alle farciture a base di crema pasticcera, panna montata e cioccolata. In alternativa, la torta può richiamare l’abito della sposa, oppure qualche elemento che lo caratterizza. Queste torte sono particolarmente d’impatto ed è forse proprio per questo che hanno guadagnato popolarità.

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Quelle ispirate agli abiti sono generalmente di colore bianco avorio o crema e bianco, e sono decorate con perle, fiori e strass. Ma la torta nuziale può anche riprendere il tema del matrimonio, oppure i suoi colori, oppure un elemento che è caro a entrambi gli sposi. Se si lascia da parte il bianco per ispirarsi ai colori, si scoprono possibilità creative davvero innumerevoli. Si possono infatti utilizzare dei colori vivaci come quelli del matrimonio oppure temi originali, quali i pois, oppure i fiori, le decorazioni marinaresche, o gli elementi più svariati quali la passione degli sposi per diverse attività, quali ad esempio le immersioni o l’escursionismo E per quanto riguarda la location? Di fronte ad un mare tropicale, immersi nella campagna toscana, in una vigna, in un museo o in un fienile. Oggi la location più cool è quella che non ti aspetti, un luogo originale in linea con la personalità degli sposi. Se si vuole rimanere sul classico, prima della decisione, è necessario pensare al tema delle nozze: matrimonio romantico in un antico castello o matrimonio campestre in un agriturismo? Meglio dei luoghi ricchi di storia come i palazzi storici o un ambiente più moderno come un hotel 5 stelle? E perchè non sorprendere gli invitati con una sala originale in un battello, un fienile o una tenda? Le possibilità sono molteplici, basta far correre la fantasia.

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Speciale Hotel

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Carlo Felice

F

iorente in dicembre e gennaio, la produzione artistica del Teatro Carlo Felice di Genova. Molteplici gli appuntamenti in cartellone: lo Schiaccianoci di P.I. Cajcovskij, balletto sul ghiaccio di San Pietroburgo, in replica l’1° e il 3 dicembre, l’ Otello di Giuseppe Verdi, il 27, 28, 29 dicembre ed il 3,4 e 5 gennaio 2014, la Compagnia Accademica di Danza di Pechino con le sue danze e musiche tradizionali, che propone suggestioni e atmosfere orientali il 15 gennaio, con spettacoli fino al 19 dello stesso mese ed infine la sinfonica, con 5 concerti interessanti, tra cui quello di Capodanno atteso e acclamato dalla cittadinanza, alterna sempre esecuzioni inappuntabili e direzioni eccellenti. Da non dimenticare tutta un’ulteriore offerta, come gli incontri culturali, gli aperitivi in musica la domenica mattina, le lezioni concerto, le conferenze, le visite guidate ed i progetti di promozione culturale per i giovani. Insomma un teatro vivo, sempre alla ricerca di nuovi appassionanti traguardi, vicino alla città e con un repertorio vasto e per tutti i gusti, dove le emozioni sono sempre intense e inattese. Ma torniamo all’Otello, dramma lirico in quattro atti, su libretto di Arrigo Boito e musiche di Giuseppe Verdi, vedrà la direzione del giovane e talentuoso Andrea Battistoni, oramai habitué del teatro genovese, diverse e apprezzate, le sue conduzioni, in campo sinfonico e operistico. La regia è del bravissimo Davide Livermore, le scene di Livermore e Giò Forma, i costumi di Mariana Fracasso. Gli interpreti del primo cast: Otello - Gregory Kunde, Desdemona Maria Agresta, Jago - Carlos Alvarez. La messa in scena asciutta, onirica, suggestiva ed avvolgente, conferisce con il suo gioco di luci ed ombre particolare attenzione allo stato d’animo dei personaggi. Ne scaturisce così, la bella partitura verdiana, l’interpretazione dei solisti e soprattutto la drammaticità della storia. Otello andò in scena alla Scala il 5 febbraio 1887, quando Verdi aveva settantaquattro anni e dopo un lungo silenzio che lo separava dall’Aida, fu un ulteriore conquista e sorpresa per i suoi ammiratori. Ispirato dall’estro del grande poeta Shakespeare, il compositore costruì una partitura estremamente coinvolgente ed emozionante, dove l’orchestra con il suo flusso musicale continuo, aveva un ruolo determinante. Il pubblico ed i recensori dell’epocaparlarono di un Verdi molto vicino alla moda wagneriana, allora tanto dominante. In realtà Otello rappresentava una scelta consapevole ed il culmine

del rinnovamento ottocentesco della tradizione operistica italiana, direi il leit motiv dell’autore fin dagli esordi. I personaggi shakespeariani di Otello, Desdemona e Jago, sui quali ruota la tragica vicenda, rielaborati dall’ottimo librettista Arrigo Boito, non sono convenzionali, non sono maschere teatrali o simboli; sono uomini e donne in carne e ossa, vittime dei loro stessi sentimenti incontrollati (la malvagità di Jago, la gelosia di Otello, l’ingenuità di Desdemona). Verdi lascia che la musica sia viscerale, che guidi i caratteri a tutto tondo ed assuma accenti imponenti, davanti ai quali lo stesso compositore sentì di poter difficilmente andare oltre, infatti la sua carriera di musicista serio-tragico, terminò proprio con questo lavoro. A seguire come giusta prosecuzione vi fu la commedia Falstaff Falstaff. Una delle caratteristiche più sorprendenti dell’autore fu la sua capacità ininterrotta di rinnovarsi di opera in opera fino all’età più tarda. La trama è molto interessante ed avvincente, ridotta per arrivare al nucleo della tragedia racconta di Otello, signore di Cipro e capo della flotta veneziana, sposato con la dolce ed innamorata Desdemona. Istigato da Jago suo alfiere, geloso per la nomina a capitano di Cassio, a credere, che tra sua moglie e il capitano vi sia una relazione segreta, decide di punire definitivamente la giovane sposa. La prova è data da un fazzoletto, che Jago, sottratto a Desdemona, ha posto in casa di Cassio e che il moro di Venezia, vede in mano al rivale, durante una conversazione architettata da Jago, per mostrargli l’infedeltà della moglie. Accecato dalla gelosia, Otello uccide Desdemona. Il piano di Jago viene ugualmente smascherato ed Otello disperato, non può fare altro che suicidarsi, dopo aver baciato per l’ultima volta la propria consorte.

di Daniela Masella

LE PASSIONI DI

OTELLO

L’OPERA VERDIANA RAPPRESENTA UNA SCELTA CONSAPEVOLE ED IL CULMINE DEL RINNOVAMENTO OTTOCENTESCO DELLA TRADIZIONE OPERISTICA ITALIANA NOTIZIE UTILI BIGLIETTERIA: dal martedì al venerdì dalle ore 11.00 alle ore 18.00 sabato dalle ore 11.00 alle ore 16.00 BIGLIETTERIA SERALE E DOMENICALE: Spettacoli serali: UN’ORA PRIMA DELL’INIZIO Domeniche di spettacolo serale: dalle 18.00 alle 21.00 Domeniche di spettacolo pom.: dalle 13.30 alle 16.00 Tel.:(+39)010 589329; 010 591697 fax:(+39)0105381.335 - biglietteria@carlofelice.it” Gruppi: (+39) 010 5381.305 - gruppi@carlofelice.it

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DANIELE CRIPPA, DIRETTORE DEL MUSEO DI PORTOFINO, INTERVISTA FRANCO CARLONI, LA CUI SCULTURA DEDICATA AL “DRAKE” È IL FIORE ALL’OCCHIELLO DEL PARCO ENZO FERRARI DEL COMUNE DI MARANELLO

UNA STORIA IN SALITA

FRENATA PER RACCONTARLA 50 INGENOVA Magazine

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Liguria artistica

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l 27 settembre è stata posizionata, all’entrata del parco che il Comune di Maranello ha dedicato ad Enzo Ferrari, una sua scultura monumentale da lei creata pensando e volendo tentare di descrivere la vita di un personaggio tra i più complessi ed eroici della nostra storia contemporanea: pensa di esserci riuscito? Presumo che sia stato sicuramente il lavoro più difficile di tutta la mia carriera artistica: ho conosciuto Enzo Ferrari negli anni ’70, quando la Ferrari, dopo l’incidente di Lauda, decise di installare sulle sue monoposto i miei impianti automatici di sicurezza antiincendio in caso di perdita dei sensi del pilota (aria medica, sensori automatici delle temperature, polmone automatico, cinture di sicurezza). Quando Enzo Ferrari entrava in officina non volava una mosca; la sua presenza, il suo sguardo dominavano l’ambiente. Conoscerlo è stata un’esperienza coinvolgente. Fin da allora ho sentito l’esigenza di esprimere le forti sensazioni provocate in me dall’incontro con il mitico Ferrari, detto Drake. Negli anni con il progredire

della mia parallela attività artistica, ho maturato le forme della presente scultura, appositamente creata per rendergli omaggio. Quest’opera creativa va intesa come un mondo particolare che prende posto nel mondo generale, un microcosmo nel cosmo, da cui il titolo della scultura “Il mio mondo nel mondo”. Con questa creazione artistica intendo raccontare la leggenda del Drake attraverso i segni delle sue conquiste più intime. Non bolidi stilizzati, ma una condizione globale dello spirito umano: quello della gravidanza. Un’espansione plastica, al centro della scultura, sta ad indicare il serbatoio di un grande destino che, simile a un grembo, è gravido di tutte quelle lotte e quelle vittorie che accompagnano la crescita del suo mito. L’elica dell’aereo rappresenta il trapasso del cavallino nel cuore della Ferrari. Nel lontano 1923 la Contessa Baracca affidò a Enzo Ferrari il cavallino rampante, simbolo del figlio Francesco, asso degli assi dell’aviazione, come portafortuna e testimone di un’idea di eroismo e genialità, una staffetta del destino. Enzo Ferrari legò inscindibilmente il cavallino rampante, sul fondo giallo del colore

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Liguria artistica di Modena, alla storia della Ferrari e del mondo. I cerchi nella scultura rappresentano i suoi progetti creativi, gli autodromi in cui hanno avuto luogo numerosi gran premi, ma anche i rischi e le gioie del costruttore, la sua gravidanza, nonché le prove umane dell’uomo. Su tale simbolo centrale della creazione, insieme sportiva e tecnologica, fa presa un’energica configurazione delle dita di una mano. E’ la mano che tenne salda la rotta superba della Scuderia Ferrari per tanti decenni. Se i cerchi interni della scultura rappresentano le energie creative, amplificate fino a compenetrarsi nell’universo, la spirale esterna della mano, disegna i moti centripeti delle energie emotive e tecniche che mirano alla potenza. La mano, con il quinto dito nascosto nel cuore, accarezza quel pistone, simbolo di potenza e sofferenza e ricorda che il Drake, per non vedere le sue vetture soffrire, disertava gli autodromi durante le gare. Sovrastante l’intero complesso plastico il volto del Drake con gli occhiali neri: velocità e dominio delle pole positions. Il suo corpo, proteso verso l’universo, si chiude su di sé, per

proteggere, attraverso il dito, il mondo che ha creato e del quale è l’unico dominatore; lui tiene il mondo tra le dita. Nel suo mondo il mondo rimarrà abbracciato nell’infinito. A venticinque anni dalla sua morte il Comune di Maranello ha voluto per celebrare questa importante ricorrenza che fosse la sua opera il centro di tutte le manifestazioni. Ritengo che questa sia la conferma indiscussa che la sua scultura abbia conquistato tutti, non crede? Vede, pare che il cognome più conosciuto nel mondo sia proprio Ferrari, con il suo genio e la sua testardaggine attraverso le auto più belle mai create ha conquistato il pianeta. Per questo nella mia opera ho scolpito la sua mano che contiene il “suo mondo nel mondo” a rammentare la sua incredibile conquista, da parte mia sarei sufficientemente felice se la mia scultura conquistasse una buona parte dei visitatori che vengono a visitare il Museo Ferrari: sa che è il museo più visitato della regione?

Il cuore del Drake. Nella foto in alto a sinistra: il Sindaco di Maranello. Foto a fondo pagina: Antonio Ghini Direttore Museo Ferrari.

Indubbiamente il suo mito ha conquistato il mondo intero, al Museo Ferrari si vedono migliaia di visitatori di tutte le etnie e strati sociali tutti affascinati da una storia incredibile: Davide che ha lottato e vinto contro tutti. Sicuramente sa che per ben tre volte il Drake ha rischiato il fallimento della

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sua fabbrica e per ben tre volte si è rialzato, combattuto e vinto: questa grande historia si percepisce attraverso la complessità compositiva della sua scultura ma ritengo che la simbologia che contiene sia la sua maggiore prelogativa. Dare il concetto, esprimere l’essenzialità di tutta una vita attraverso un volume indubbiamente non è stata una impresa facile ma ora che questa grande, importante scultura è posizionata pare proprio che ci sia riuscito. Si ritiene soddisfatto? La mia indole mi spinge ad essere insofferente ed a spingermi sempre al di là, sempre oltre, sia nel mio settore quotidiano il riuscire a scoprire e brevettare nuove invenzioni che nella mia arte. Dopo anni che scolpisco e combatto dentro il volume che cerco di far scaturire dalla superficie sentimenti, emozioni, storie ed avventure da raccontare credo di avere con questa mia opera ottenuto quello che volevo: riconoscermi scultore.

Il retro dell’opera.

L’Artista sovraintende la patinatura.

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Nella foto a fianco l’Onorevole Vittorio Sgarbi e Franco Carloni. Appena sotto: Piero Ferrari presenta Franco Carloni.

Il suo è un curriculum di tutto rispetto, esposizioni in molte parti del mondo Italia, Svizzera, Argentina e eminenti critici hanno scritto sulle sue opere da Tommaso Trini a Serena Mormino e la sua amicizia con Pierre Restany l’ha condotta ad esporre sue opere al Lido di Venezia durante la Biennale, quali sono i suoi programmi futuri? Questa estate si è inaugurato il MuMart acronimo che sta a spiegare la nascita del primo museo sottomarino nato in Sardegna a Golfo Aranci, in quelle incredibili acque cristalline sono state posizionate quattordici sculture monumentali create da artisti di differenti nazionalità: vi erano colleghi belgi, argentini, francesi, uruguagi, italiani ed austriaci. Io ero l’unico svizzero prescelto. Ora, per sempre,

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una mia opera dialoga con un fantastico, impressionante numero di pesci ma per me è già passato ora sono a buon punto per far circolare in molte capitali la mia ultima fatica: la “Chiave del Mondo”, una scultura concetto che tanto farà parlare. Tutte le sue opere indubbiamente sono concettuali, contengono la forza dei simboli: bisogna scoprirle, spoliarle di quanto è abitudine nel figurativo per trovare quanto l’artista vuole raccontarci. Il secolo scorso rimase affascinato da forme sinuose nelle quali armoniosi vuoti esprimevano un simbolo eterno: la donna. Henry Moore fu consacrato lo scultore. Azzardo ma pure Franco Carloni conosce profondamente la forza dei simboli. Difatti già il titolo della sua scultura “Una storia in salita frenata per raccontarla” è intrisa di concetti e ben descrive una vita di sacrifici - una storia in salita - costretta da guerriero ad essere combattuta ogni giorno - frenata per raccontarla - e tutta l’opera lo è: i circuiti che paiono dita di mani ove sono incisi alcuni dei gran premi conquistati dalle rosse auto, il suo mondo per conquistare il mondo, ed al posto del cuore il Drake ha raffigurato un pistone. Durante l’inaugurazione tra gli interventi delle numerose autorità presenti mi ha molto colpito la stima, oserei dire quasi l’affetto, con cui il figlio di Ferrari ha ricordato i suoi rapporti con il padre Enzo: ma non era burbero e di carattere difficile?

Nella foto in alto “il mio mondo nel mondo”. Sopra un primo piano di Franco Carloni.

Sì, burbero e difficile ma sapeva riconoscere ed apprezzare il valore dell’uomo. Sa che Enzo Ferrari, che mai nella sua vita ha lasciato Modena, non assisteva ai gran premi. Non voleva vedere soffrire le sue auto ma attendeva trepidante accanto ad un telex le notizie sulla corsa. La mia frequentazione con i vari piloti, che lui trattava come parte di sé stesso, Lauda, Regazzoni, Villeneuve, Fittipaldi, Scheckter mi hanno confermato quanto Enzo Ferrari, amasse, volesse e fosse il suo mondo ! Io sono orgoglioso di esserne stato partecipe per una parte.

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Sociale

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PER AIUTARE CHI E’ IN DIFFICOLTA’

DAL 2011 C’E’ L’AIFLA Si perseguono «gli idoli del potere, del profitto, del denaro, al di sopra del valore della persona umana» dimenticando che »al di sopra degli affari, della logica e dei parametri di mercato c’è l’essere umano» Papa Bergoglio

FLAVIO CAVALLUCCI PARLA DELL’AIFLA,, UN’ASSOCIAZIONE PER LA TUTELA DEI DIRITTI DEL CITTADINO

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a crisi economica che ha drammaticamente investito l’Italia, con l’abnorme malfunzionamento del sistema finanziario, l’aumento delle diseguaglianze sociali e la rivoluzione del mercato del lavoro, l’accrescimento della disoccupazione e della precarietà, incidono sempre più sulla qualità e le prospettive di vita di ogni persona. Per questo motivo Flavio Cavallucci, coadiuvato da numerosi abili e motivati collaboratori, tra cui l’esperto in transazione immobiliari, Corrado Torrazza, ha fondato nel 2011, l’Associazione, senza fini di lucro, AIFLA. “Ho deciso di offrire un servizio alle persone in difficoltà, dopo aver maturato l’esperienza come delegato della Liguria Flavio Cavallucci per lo SNARP, sindacato nazionale antiusura” spiega Flavio Cavallucci, che attualmente lavora presso una banca genovese.

Testo di Anna Proverbio

Quali sono gli obiettivi che l’Associazione si prefigge? Fornire servizi di consulenza legale, finanziaria, fiscale, amministrativa, assicurativa, gestionale, produttiva, immobiliare ed organizzativa, alle persone in difficoltà che si rivolgono a noi e non sono in grado di sostenere oneri e responsabilità derivanti dalla crisi economica, cercando di risolvere, con la consulenza di esperti professionisti, i loro problemi, a condizioni di favore rispetto al mercato. Dove si svolge l’attività dell’ AIFLA? In Via A. Maragliano 10/4, ed è operativa su tutto il territorio nazionale.

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Corrado Torrazza Quali oneri deve sostenere chi si rivolge a voi? L’unica cosa che domandiamo, prima di occuparci dei vari casi, è l’iscrizione del richiedente, all’AIFLA, che ammonta a 30 euro. Per il resto non viene chiesto alcun acconto, a parte le spese vive: bolli, contributi per le pratiche in tribunale e così via. I restanti costi verranno saldati solo alla fine dell’operazione che solitamente ha esito positivo. Noi, prima di accettare di seguire i casi che ci vengono sottoposti, esaminiamo attentamente la possibilità di riuscita della causa; se non ci sono le premesse per una piena vittoria, dissuadiamo la persona dall’intraprendere la causa. Chi sono i vostri interlocutori? Molto spesso privati cittadini, ma anche famiglie, artigiani, commercianti oltre che a titolari di imprese, tutti in difficoltà nel far fronte agli impegni sempre più gravi e pressanti sia nei confronti di banche e società finanziarie che nei confronti dello Stato per quel che riguarda tributi dovuti e non pagati. Quali servizi offrite a chi si rivolge all’AIFLA? Prima di tutto mettiamo a disposizione dei nostri clienti la professionalità dei nostri esperti che forniscono risposte rapide, riguardo alle problematiche che ci vengono sottoposte. In particolare ci occupiamo con grande scrupolo, di procedure esecutive e fallimentari, con il coordinamento di tutte le attività atte a salvaguardare gli interessi dei debitori. L’AIFLA opera attraverso aree di intervento che riguardano consulenze ed assistenza legale specifica sulla conservazione del patrimonio mobiliare ed immobiliare, sul sovraindebitamento, su cartelle esattoriali, inoltre compie azioni per l’ottenimento di mutui, cessioni immobiliari, pratiche notarili, rapporti con delegati alla vendita e curatori fallimentari e per finire, per far applicare le disposizioni rispetto alla legge usura 108/96.

PER INFORMAZIONI AIFLA Via A.M. Maragliano, 10/4 - 16121 Genova Tel. 0108686757 - Fax. 0108991698 aifla.info@gmail.it


Riconoscimenti

PREMIO AIDDA 2013 LA VINCITRICE DELLA DICIASSETTESIMA EDIZIONE DEL PREMIO ASSOCIAZIONE IMPRENDITRICI E DONNE DIRIGENTI DI AZIENDA È MARIA PAOLA PROFUMO Testo e foto di Anna Proverbio

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iunto alla diciassettesima edizione, il premio AIDDA (Associazione Imprenditrici e Donne Dirigenti di Azienda) quest’anno è stato conferito a Maria Paola Profumo, Presidente del Consiglio d’Amministrazione del Mu.Ma - Istituzione Musei del Mare, della Navigazione e delle Migrazioni. Laura Baldi, eletta per seconda volta Presidente di AIDDA, socio fondatore di BC Congressi srl di Genova, attualmente Amministratore di Cluster srl, società operante in campo congressuale e organizzazione di eventi, ha illustrato le motivazioni di questa assegnazione. «Sono particolarmente orgogliosa di ricevere questo riconoscimento» ha detto sorridendo Maria Paola Profumo »anche se non sono né dirigente di azienda né imprenditrice, forse si è voluto premiare il mio profilo di donna impegnata nel perseguire “il lavoro ben fatto”».

A suo avviso qual’è la qualità peculiare che consente di avere tanto successo al Galata Museo? Senza dubbio il carattere multimediale dei nuovi allestimenti interattivi che permettono ai visitatori di diventare protagonisti una sorta di “visit-attori”. Con i nuovi percorsi che partono da un tavolo touch screen, per poi muoversi attraverso oggetti e documenti, tra cui spicca il prezioso “Codice dei Privilegi” di Cristoforo Colombo. Recentemente lei è stata eletta all’unanimità Presidente dei Musei Marittimi del Mediterraneo. Che cosa si prefigge questa associazione? L’Association of Mediterranean Maritime Museums è una associazione che tiene in rete e fa lavorare insieme i Musei del Mare, con i loro patrimoni di imbarcazioni, di memoria, di cultura marittima, di chi sul mare lavora o del mare vive, ed io tengo in maniera particolare ad allargare sempre di più la rete dei musei aderenti e a farli dialogare anche con realtà più avanzate del Nord Europa, partecipando insieme ai progetti UE.

Da quanto tempo riveste il ruolo di Presidente del Consiglio d’Amministrazione del Mu.Ma? Da Gennaio 2005. Fui nominata la prima volta dal Sindaco Giuseppe Pericu, in seguito mi riconfermarono prima Marta Vincenzi e poi l’attuale Sindaco Marco Doria. A quanto ammonta il suo compenso per questo prestigioso incarico?. Fin dal primo giorno, per mia precisa scelta, decisi di non richiedere alcun emolumento o gettone di presenza nel Consiglio di Amministrazione, anche se ciò era previsto nel Regolamento. La somma a me destinata ho voluto che fosse investita per la valorizzazione delle risorse umane (corsi di formazione, visite ad altre realtà museali e così via, dedicati al nostro staff scientifico) e debbo ammettere che perseguendo questa strategia, abbiamo ottenuto ottimi risultati, infatti il Polo Museale ha avuto un notevole incremento nel numero dei visitatori che sono passati da 65mila a oltre 200 mila l’anno. Purtroppo nella zona i parcheggi scarseggiano, pensa che se vi fosse la possibilità di arrivare e sistemare l’auto senza estenuanti ricerche, il complesso museale avrebbe più successo? Indubbiamente sì: in questa zona molto trafficata, non mancano solo i parcheggi, ma anche la segnaletica è davvero carente; speriamo che arrivino presto a conclusione i lavori di Ponte Parodi e si possa di nuovo usufruire della zona retrostante il Galata per poter sistemare le automobili dei visitatori e che il Comune provveda installare una segnaletica adeguata.

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PROBLEM RESOLUTION: CONTRO LA MALASANITA’ LO STUDIO PROBLEM RESOLUTION AIUTA A OTTENERE UN GIUSTO RISARCIMENTO IN CASO DI DIAGNOSI ERRATE E POSTUMI NON IN LINEA CON QUANTO PREVISTO

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he cos’è la malasanità? Con questo termine si indicano gli errori causati da medici o da infermieri: una diagnosi errata, un intervento non completamente riuscito o con postumi non in linea con quanto diagnosticato, o semplicemente un’ingessatura malfatta, che porta a conseguenze inaspettate come il doversi sottopore a un nuovo intervento chirurgico per rimediare al danno. in caso di cure errate e conseguenze di postumi, da lievi a gravi, di cui nemmeno sulle prime non ci si rende conto, capita di trovarsi a combattere contro un sistema lento e inefficace, con costi non quantificabili perché non è possibile prevedere la fine Lo studio Problem Resolution si occupa della gestione completa del danno per arrivare nei tempi più brevi alla liquidazione ottimale. Come ottenere il giusto risarcimento? L’obiettivo di Problem Resolution è far pervenire al danneggiato il giusto e congruo risarcimento, impegnandosi nei confronti delle compagnie assicurative. Solo un terzo delle richieste di risarcimento, in media, va a buon fine, a testimonianza del fatto che il risarcimento è ottenibile solo quando viene gestito da professionisti del settore. L’iter risarcitorio, infatti, richiede competenza e professionalità: occorrono partner qualificati per le valutazioni preliminari,

per una corretta relazione medico-legale e, successivamente, per una quantificazione del danno consona al patimento subito. Le compagnie assicuratrici del danneggiante punteranno a un risarcimento molto inferiore a quanto dovuto: per ottenere una quantificazione corretta è necessario pertanto interfacciarsi con le compagnie assicurative avendo procedure documentali consolidate, conoscenze specializzate del settore, conoscenze legali, giudiziali e stragiudiziali in tempo per eseguire l’iter della pratica in ogni fase.

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mmerso nell’atmosfera di Borgo Incrociati, suggestivo angolo medievale genovese, l’antica Hostaria Pacetti, rinnovata con raffinata eleganza dal 2010 sotto la direzione del nuovo titolare Stefano Di Bert, offre alla clientela una grande varietà di piatti tradizionali liguri. Ornella Pacetti, prima di ritirarsi dal suo lavoro di cuciniera per godersi il meritato riposo, ha consegnato a Stefano 290 ricette. Quando confezionate il cibo vi attenete strettamente a questo ricettario? «Sì» spiega Stefano Di Bert «anche se abbiamo alleggerito le pietanze per quel che riguarda i condimenti, oltre ad utilizzare nuove tecniche di cottura». A che epoca risale l’Hostaria Pacetti? «Pare intorno al 1885; in epoca medievale il borgo si sviluppava al confine est della città, fuori di porta Romana. Il nome “Incrociati” deriva da un’antica Chiesa che sorgeva all’angolo della strada e che fu demolita ai primi del Novecento per permettere di costruire la Stazione Brignole. Questa parte della città era collegata a San Fruttuoso dal ponte di San’Agata, tuttora esistente, a 28 arcate; infatti nel Medio Evo l’insediamento si affacciava direttamente sul Bisagno. Oggi è estremamente piacevole percorrere la strada, completamente pedonale, curiosando nelle botteghe dei piccoli antiquari dove un tempo trovavano posto le merci dei “repessin” (raccoglitori di roba usata); tra le botteghe di Bric e Brac c’è anche una libreria di testi usati, dove con un po’ di fortuna si può scovare qualche tomo ormai introvabile.


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Qual è la caratteristica principale che contraddistingue il vostro locale? «Prima di tutto l’alta qualità degli ingredienti che utilizziamo» risponde prontamente il signor Di Bert, che si occupa sia della confezione dei cibi che dell’approvvigionamento del ristorante. «Ad esempio per quel che riguarda i salumi e la carne di maiale, oltre che le verdure ed i frutti di bosco, mi rivolgo ad una fattoria che si trova sopra Mele, gestita da quattro fratelli e le loro famiglie, che hanno deciso dal 2010 di valorizzare i terreni ereditati dalla madre trasferendosi nella casa rurale. Qui gli animali allo stato semibrado possono nutrirsi di castagne e ghiande, trascorrendo una vita felice fino al momento della macellazione. In ogni caso cerchiamo sempre di rifornire la nostra dispensa di prodotti che nascono sul territorio ligure; ad esempio andiamo a comprare lo zafferano a Davagna dove questa spezia è chiamata col nome di “zafferano di Rosso”, frazione di Davagna dove si coltivano i campi di bulbi di croco». Quanti posti ha il ristorante? «Sessantadue: spesso il locale viene riservato interamente per cene di lavoro, compleanni, feste di laurea e così via». Offrite anche servizio catering? «Sì, su prenotazione, e sono orgoglioso di dire che chi si è affidato a noi è sempre tornato. Per ogni ricorrenza offriamo menù personalizzati ed originali. Ogni Natale recapitiamo a Montecarlo tre enormi piatti di cappon magro!». E per quel che riguarda le intolleranze alimentari? «All’Antica Hosteria Pacetti offriamo pranzi per celiaci e per ogni altro tipo di intolleranza, naturalmente previa comunicazione del cliente all’arrivo». Quali sono i piatti più richiesti? «Oltre ai primi piatti tradizionali liguri, il nostro ristorante è assai apprezzato per il pesce, rigorosamente fresco, che acquistiamo direttamente dai pescatori e che io preparo personalmente».

Vi è possibilità di parcheggio vicino all’Antica Hostaria Pacetti? «Sì, per fortuna verso l’ora di pranzo e a cena il parcheggio che si trova accanto al palazzo delle Poste si svuota ed è abbastanza facile trovare posto per l’auto. Un’altra soluzione può essere quella di posteggiare nel parcheggio della Stazione e percorrere il tunnel che collega Borgo Incrociati a Brignole». Allora non resta che provare le squisitezze di questo ristorante tipico, che offre una cucina genuina e curata tradizionalmente ligure, da far conoscere con orgoglio ai nostri ospiti “foresti” . Stefano Di Bert, da più di trent’anni nel campo della ristorazione, saprà stupire ed affascinare con la sua straordinaria capacità culinaria e la cortese eleganza del suo servizio.

L’ANTICA HOSTERIA PACETTI Via Borgo Incrociati 22r. 16137 Genova Tel. 0108392848 info@ostariapacetti.com www.ostariapacetti.com PACETTI catering & banqueting ovunque voi lo desiderate PACETTI GARIBALDI 5 per tutte le Vostre occasioni nella nostra esclusiva dimora seicentesca in via G. Garibaldi 5 - Genova


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uphorbia pulcherrima, e cioè bellissima, il nome latino di uno dei più caratteristici doni «verdi» (o, per meglio dire, rossi, rossi squillanti) sotto le feste: la Stella di Natale o Poinsettia, pianta che come nessun’altra è in grado di riassumere i colori del giorno più atteso dell’anno da grandi e piccini. La sua bellezza è senza dubbio la fioritura ma, al contrario di quello che si può pensare, il suo fiore, detto ciazio, con petali e sepali disposti a coppa, non è rosso ma di colore giallo e circondato da una corona di cinque brattee rosse (ma anche rosa e bianche). È una pianta tipicamente fotoperiodica o brevidiurna; per questo la sua fioritura avviene in pieno inverno quando le giornate sono più corte. Una buona luminosità favorisce una crescita rigogliosa ma per avere una buona fioritura la pianta deve stare per buona parte della giornata al buio. Andrà quindi posta in un luogo dove non riceva luce artificiale e in un ambiente comunque illuminato da non più di otto ore di luce solare. La sua coltivazione – praticata specialmente nelle aree più calde del Mediterraneo – richiede una temperatura tra i 14 e i 22°. Può vivere anche a temperature più basse, ma non sopporta il gelo. Va concimata, nel periodo invernale, almeno ogni quindici giorni con del potassio e del fosforo e innaffiata ogni due o tre giorni. In primavera va potata e rinvasata prestando molta attenzione al fusto e alle radici che sono molto delicati. La Poinsettia è una pianta tipicamente natalizia: spesso, quando perde le foglie, viene buttata via; invece, se ha delle buone radici e viene posta in un luogo luminoso, lasciandola vegetare per tutta l’estate, a fine settembre – quando verrà riportata all’interno – riprenderà la sua fioritura. Durante il riposo estivo la si potrà tenere al sole con innaffiature anche sporadiche ma con qualche concimazione mensile. La riproduzione della Poinsettia avviene in primavera per talea (avendo cura di usare una lametta anziché una forbice, in modo di evitare lo schiacciamento del ramo); la parte tagliata va posta poi in un bicchiere di acqua tiepida e lasciata radicare; quindi invasata. In nahuatl, la lingua degli aztechi, la pianta è chiamata Cuitlaxochitl. Gli Aztechi la usavano per la produzione di colorante rosso e come farmaco antipiretico. Oggi è conosciuta in Messico come “Noche Buena”, cioè la vigilia di Natale in Guatemala e in altri paesi dell’America Centrale come “Flor de Pascua” o solo “Pascua” che significa “fiore di Pasqua”. In Turchia si chiama Fiore di Atatürk perché Atatürk , il fondatore della Repubblica di Turchia amava questo fiore e ha dato un contributo significativo alle coltivazioni in Turchia. L’associazione della pianta con il Natale è iniziato nel 16° secolo in Messico, dove la leggenda narra di una giovane ragazza che era troppo povera per dare un regalo per la celebrazione del compleanno di Gesù. La storia

racconta che la bambina venne ispirata da un angelo a raccogliere le erbacce dal bordo della strada e metterle davanti l’altare della chiesa. Fiori cremisi spuntarono dalle erbacce e divennero belle stelle di Natale. Dal 17° secolo, i frati francescani in Messico inclusero le piante nelle loro celebrazioni natalizie. Il motivo di foglie a forma di stella si dice simboleggi la stella di Betlemme, e il colore rosso rappresenti il sacrificio di sangue attraverso la crocifissione di Cristo.

LA POINSETTIA È DA SECOLI LEGATA ALLE CELEBRAZIONI CRISTIANE DELLA NASCITA DI CRISTO. IL SUO FIORE IN REALTÀ È DI COLORE GIALLO E MINUSCOLO: ROSSE SONO LE BRATTEE, CIOÈ LE FOGLIE MODIFICATE CHE ACCOMPAGNANO L’INFIORESCENZA

LA STELLA DI NATALE, IL FIORE DELLE FESTE 43 - Lagomarsino Dic 2013.indd 69

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IL DONO SOLIDALE

REACH ITALIA

ALLA BOTTEGA DEL DONO SOLIDALE DI GENOVA, REACH ITALIA E IL SUO CESTINO REGALO CON PANETTONI, GIOCATTOLI E UN DVD CON LA STORIA, L’IMPEGNO QUOTIDIANO, I PROGETTI

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ari sostenitori e amici di Reach Italia, quest’anno, per la prima volta, trascorreremo a Genova il Santo Natale presso la Bottega del dono solidale in Piazza Truogoli S. Brigida 21, www. bottegadeldonosolidalegenova.org. Per l’occasione saremo provvisti di un dono Natalizio particolare: Il DVD con il quale illustriamo le nostre attività di cooperazione internazionale, un giocattolo per i bambini e due panettoni, uno classico grande e uno piccolo artigianale. Una modalità in tradizione con l’originalità dell’illustrazione della nostra storia e di quella dei bambini che Reach Italia sostiene nel mondo e nelle nostre città riproposta in un DVD. Per informazioni sul cestino regalo, potrete recarvi in Bottega a Genova e a Firenze o contattare Giovanni, il responsabile nazionale dell’organizzazione che risponde al seguente numero telefonico: 3351240730 e alla mail beninig@reachitalia.org.


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Da 160 anni il sapore ottocentesco del profumo Acqua di Genova, segna la storia e la memoria con la sua fragranza. Oggi si può dire che sulla scia della sua colonia, siano avvenute imprese che hanno aperto nuovi orizzonti nel tempo. Non vi erano dubbi, per arricchire la propria immagine pubblica e privata, Acqua di Genova era ciò che distingueva i personaggi importanti dell’epoca: il Conte Camillo Benso di Cavour, il Ministro degli Esteri Costantino Nigra, i quali contribuirono ai grandi cambiamenti storici italiani ed europei dell’ottocento. Acqua di Genova creata nel 1853 per la Casa Reale Savoia, dal famoso distillatore genovese Stefano Frecceri, venne in seguito utilizzata in tutte le corti europee. Tramandare la sua storia nei secoli, preservando confezione e ricetta, utilizzando i flaconi ancora prodotti a mano e nel contempo innovare con la linea bagno, la linea benessere Golfo del Tigullio ed altre linee alcoliche è sinonimo di stile, capacità manageriale in ogni componente dell’azienda Intercosma West. Certamente ricordare Re Vittorio Emanuele II, la Contessa di Castiglione, considerata la più bella donna d’europa, e poi ancora Napoleone III, i quali non rinunciarono a profumarsi con Acqua di Genova, consolida un marchio che si è distinto anche per insigni riconoscimenti in Italia, in Europa e nel Mondo. Orgoglio per Genova ed il Made in Italy. Premi attribuiti: 4 medaglie d’oro all’esposizione di Londra 1862, Parigi 1878, Vienna 1873, Australia 1879, Bari 1862, Firenze 1861, Genova 1855, 1858 - 1864 - 1879 - 1884 - 1892 1914, Lione 1880, Nizza 1872, Melbourne 1888, Milano 1881 - 1891, Napoli 1873, Palermo 1891, Perugia 1898, Tolone 1898, Torino 1884 - 1894.

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L’ACIDO IALURONICO è uno speciale mucopolisaccaride naturalmente presente nel corpo umano. E’ una delle sostanze maggiormente ricercate in medicina, può vantare migliaia di studi clinici soprattutto nel campo ortopedico, in quello della chirurgia oftalmica e in quello della medicina estetica. Le sue funzioni nel corpo comprendono tra le altre cose quelle di veicolare l’acqua e di lubrificare le parti mobili del corpo quali le articolazioni, i muscoli, il tessuto cutaneo. L’acido ialuronico è naturalmente presente nel corpo umano come costituente del liquido sinoviale che lubrifica le cartilagini articolari. Quando invecchiamo la viscosità del fluido sinoviale diminuisce e diventando più sottile non sarà più in grado di proteggere le articolazioni. Questo incrementa lo sfregamento e deteriora la superfice delle cartilagini. In presenza di osteoartrite o artrosi, le strutture delle articolazioni iniziano a sfaldarsi. In alcune persone una lieve infiammazione, può procurare una cospicua perdita di acido ialuronico con la conseguente altrettanto cospicua diminuizione delle sue capacità lubrificanti. L’integrazione con acido ialuronico, ripristinando la normale viscosità del fluido sinoviale, previene e blocca il danno articolare, facendo diminuire lo stato infiammatorio e il dolore. L’acido ialuronico è poi presente nell’humor vitreo dell’occhio; la sua consistenza gelatinosa aiuta ad assorbire gli shock della retina, prevenendo situazioni traumatiche agli occhi. Ancora elevati livelli di acido ialuronico sono presenti nelle valvole cardiache. Molto utile risulta poi essere anche nella piorrea, nella retrazione gengivale e nelle affezioni gengivali in genere. Ma la domanda più spesso rivolta all’erborista è: perchè l’acido ialuronico è così importante per la nostra pelle? Tutti siamo d’accordo nell’affermare quanto l’acqua sia il bene più prezioso per l’ambiente e la vita dell’uomo, ma non tutti sanno che è un elemento essenziale per la salute della pelle. I tessuti giovani ne sono ricchi, ma via via se ne impoveriscono sia per il progredire dell’età, sia per l’esposizione agli agenti atmosferici. Per preservare elasticità e compatezza della pelle, l’imperativo categorico è idratare; questo non vuoi dire bagnare la pelle, ma aiutarla a trattenere l’acqua che è al suo interno. L’elemento che aiuta la cute a conservare il suo giusto tenore d’acqua è il “film idrolipidico”; una fine emulsione tra goccioline d’acqua e grassi cutanei che la protegge dalle aggressioni esterne e ne regola la traspirazione dagli strati più interni. L’acido ialuronico permette tutto questo in quanto riempie assieme ad altre molecole quali collagene ed elastina gli spazi tra le fibre dei tessuti cutanei e grazie alla sua struttura immagazzina grandi quantità d’acqua, rallentandone in modo fisiologico l’evaporazione e la consegunte perdita dall’epidermide. Con il passare del tempo, a causa di questa sempre minore capacità di trattenere l’acqua, i tessuti cutanei appariranno sempre meno distesi e sostenuti. L’elasticità e il turgore della pelle verranno meno, abbattendo i baluardi contro la formazione delle rughe. E’ per questo motivo che i laboratori cosmetici HELAN hanno sempre dedicato a tutti i trattamenti viso a base di acido ialuronico la massima attenzione, considerandoli il fiore all’occhiello di tutta la loro produzione.

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GENOVA

IL BORGO DEL CARMINE PIAZZA DEL CARMINE E LA CHIESETTA DI S. BARTOLOMEO DELL’OLIVELLA SONO I PUNTI DI RIFERIMENTO DI UN QUARTIERE RICCO DI ATTIVITÀ di Anna Maria Solari

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a tempo la nostra rivista mostra un costante interesse nel comunicare e raccontare il territorio ligure. Parliamo di tradizioni, di cultura e talvolta di cambiamenti che avvengono nelle nostre città. Siamo attenti ai rinnovamenti di quartieri e borghi che si identificano in luoghi ricchi di suggestioni e di persone che con coraggio consolidano la propria attività o perseguono le storiche professioni. Passeggiando per Genova in giornate terse, quando il colore del cielo risplende sul grigio dei tetti di ardesia facendone risaltare i contrasti, è sempre piacevole risalire dal sestiere della Maddalena, superare Largo Zecca e ritrovarsi, percorrendo Via Polleri, nel sestiere del Carmine. Originariamente era chiamato «Terriccio» prima della costruzione della Chiesa che ne mutò poi il nome. Il quartiere è un ripido saliscendi di salite e gradonate, di case addossate le une alle altre, di minuscole piazzette e stretti vicoli. Resta oggi quasi intatto l’antico addensamento urbano attorno alla Piazza del Carmine e, salendo, la chiesetta medievale di S.


Bartolomeo dell’Olivella, edificata a inizio ‘300 con annesso il Convento delle Monache Cistercensi. Ecco comparire altri vicoli e piazzole con una toponomastica favolosa: Vico dello Zucchero, Vico del Cioccolatte, Piazza della Giuggiola, Salita Olivella. Già nel 1192, il quartiere si sviluppava attorno alla Chiesa di S. Agnese che fu poi demolita interamente nel 1820 per ragioni urbanistiche. Dal XIII Secolo la Chiesa del Carmine, realizzata dai Carmelitani a partire da una piccola, preesistente cappella intitolata all’Annunziata, ne cambiò il nome all’antico quartiere. Anticamente quest’area che si estendeva sulle pendici della collina tra il rio Carbonara ed il rio Vallechiara, era coltivata a vigneto, come riporta un documento del 1160. Risalendo verso Castelletto la collina era punteggiata di case di villeggiatura della nobiltà di Genova. Nel borgo del Carmine possiamo ancora oggi rivivere ciò che sono state le tipiche attività commerciali del passato, grazie a numerosi storici artigiani e professionisti che hanno consolidato, rilanciato, perseguito o mantenuto le produzioni tipiche diffondendole così sull’intero territorio della città e proponendole a visitatori e turisti.

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Ristorante “IL CAMINETTO”

A cura di Giulio Conchin

Relax gourmet in una splendida location a Diano Marina

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uest’estate mi sono recato a Diano Marina , accogliente località balneare nella bellissima Riviera del ponente ligure, al ristorante –hotel “Il Caminetto” per trascorrere qualche giorno di vacanza. La struttura è situata a circa trecento metri dal mare, immersa nel verde in una location tranquilla e ben curata. Dispone di sette camere confortevoli e sobriamente arredate, sistemazione ideale per coppie e famiglie con bambini, con possibilità anche di camere comunicanti , per gruppi di amici che desiderano trascorrere un soggiorno anche di breve durata in un ambiente accogliente e tranquillo, con un servizio curato e professionale. La struttura fin dall’arrivo dell’ospite evidenzia un ambiente rilassante e familiare. Non per niente alla base del successo del Ristorante –hotel “Il Caminetto”, gestito in toto dalla proprietà, c’è la famiglia Tagliabue: il Sig. Angelo, la sua Sig.ra Giulia e i due figli, Sara e Andrea, senza dimenticare naturalmente la simpatica Veronica, una commis di sala degna dell sua professione. I loro modi garbati e la loro professionalità garantiscono al cliente il massimo comfort e attenzione. Gentilezza e cordialità sono sicuramente le chicche dello staff , sempre pronti a soddisfare ogni esigenza del cliente. Il ristorante, aperto al pubblico, vanta una grande sala pranzo al coperto elegantemente arredata, un’altra per le prime colazioni e nella stagione calda da maggio a settembre un confortevole giardino, un vero “ giardino gastronomico”: una location verdeggiante tra magnifiche piante e alberi, il tutto con una soffusa e delicata musica rilassante. Ogni piatto servito è preparato con particolare attenzione e cura. Le pietanze sono semplici, leggere e appetitose, preparate quotidianamente con ingredienti freschi e naturalmente di prima scelta con prodotti locali. Insomma, un piacere per gli occhi e per il palato in un concerto gastronomico fra squisitezze di terra e mare. Due parole su alcuni piatti degustati personalmente. Per cominciare, due antipasti composti da deliziosi e leggeri fiori di zucca fritti e uno speciale prosciutto dal sapore eccellente accompagnato da un gnocco delicatamente fritto. Primi piatti, gnocchetti al caminetto (una specialità della casa) e a seguire tagliolini all’astice; intermezzo a base di un delicato sorbetto alla mela verde; come seconda portata, branzino al sale di mare aperto (della baia di Alassio). Per finire in bellezza crostata di frutta fresca, altra specialità della casa. Non vado oltre a enunciare tutte le altre squisitezze e specialità del ristorante “il Caminetto”: questa cucina merita sicuramente una vostra visita. La cantina è ben fornita, vini liguri bianchi e rossi di caratura come il nostro Rossese di Dolceacqua , i nostri Pigati e Vermentini, non mancano naturalmente i Piemontesi e via dicendo. Provare per credere.

Ristorante “IL CAMINETTO”

via Olanda n.° 1 Diano Maina 18013 +39 0183 494700 cell . +39 346 4089875 www.ilcaminettodianomarina.it info@ilcaminettodianomarina.it

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ristorguida Ristorante Officina Di Cucina

Ristorante-Pub Alle Volte

“Officina Di Cucina” è un piccolo ristorante situato nella blasonata Via Colombo, al civico 17r, nel quartiere di Brignole. A pochi passi dell’omonima stazione ferroviaria e di alcuni dei migliori alberghi della città. Quando entrerete in questo ristorantino, vi salsal ta immediatamente all’occhio il colore bianco che domina nelle sale, spezzato poi dal varievarie gato colore delle sedie e della mise, quasi tutto in stile Shabby. Ad accogliervi troverete la famiglia De Chiara, con Leopoldo, lo “Chef Patron” di origini camcam pane e la moglie Tatiana, ucraina di nazionalità, ma di adozione napoletana, che con la loro simsim patia e professionalità vi metteranno a vostro agio. Una volta seduti a tavola, finalmente popo trete assaggiare una cucina tipicamente di imim pronta mediterranea. Leopoldo si dedica anima e cuore ai suoi piatti, mescolando le sue origini campane a quanto di buono ha imparato girangiran do per le cucine italiane. Alcune delle proposte sono “Le pettole di semosemo la rimacinata con vongole veraci e ceci”, “I panpan ciotti di pasta fillo farciti di baccalà mantecato con pomodorini Pachino”, “I paccheri trafilati al bronzo alla Cappuccina”, “Le code di gamgam beri al pepe rosa e curry, fiammate al cognac”, “Il filetto di maialino in camicia di melenzane e semi di sesamo” e i dessert, “Il piccolo zuccotzuccot to farcito al torroncino e glassato con crema al pistacchio”, “La bavarese alla vaniglia Bourbon con gelatina di brachetto e frutti di bosco”. La carta dei vini non è ampissima, ma selezionata.

Locale caldo e accogliente dove la sera è pospos sibile bersi due birrette ascoltando del buon vecchio rock’n roll, tra Doors, Jimi Hendrix, Led Zeppelin e Velvet Underground. Dietro al bancone ci sono sempre Sally e Marco, che dal 2007 sono gli eclettici gestori del locale, eclettici perché sono sempre ricchi di idee che elaborano e realizzano: dal continuo cambio di colore delle pareti, all’organizzazione di feste a tema, che spaziano dalla notte di Halloween alle serate cubane. Da citare le serate cubane perché Sally è una cubana doc, che è riuscita, negli anni, a portare i colori e le tradizioni di Cuba in una delle piazze più famose di Genova, senza dimenticare che ai genovesi piace anche la tradizione ligure. E infatti nel menù delle Volte non mancano mai né le trofie al pesto né i pansoti al sugo di noci, da gustare con altri piatti regionali. Il pub è aperto sette giorni su sette dalle 12 alle 15 e dalle 18.30 alle due di notte, il servizio vava ria tra le due fasce orarie per venire incontro alle esigenze della clientela. A mezzogiorno, l’ora in cui molti lavoratori vanno a trascorrere la pausa pranzo nel locale di piazza Manin, il menù è fisso (10 euro) e lo si può comporre scegliendo tra tre primi e tre secondi. Inoltre, da qualche tempo, c’è anche il pranzo cubano servito il venerdì. Alla sera invece, si possono ordinare tutti i piatti presenti nel menù alla carta. Molte delle pietanze servite nel risto pub sono fatte in casa, dall’impasto delle piadine, all’hamburger fatto con macinato fresco, fino ad arrivare a salse e condimenti, anch’essi fatti in casa, come il pesto e la salsa di noci. Nota a parte meritano i dolci, tutti realizzati da Sally dalla torta sacher al tiramisù. Anche le birre sono una particolarità delle Volte come spiega Marco: «Abbiamo diverse birre alla spina, che a rotazione vengono cambiate, per dare alla clientela sempre qualcosa di nuovo da assaggiare. Passiamo quindi dalla Lupulus, un artigianale belga, alla Gordon, poi abbiamo le classiche birre in bottiglia dalle più co-

Orario a pranzo e cena Lun. Mar. 12:00/15:00 - su prenotazione Mer. Sab. 12:00/15:00 - 19:00/24:00 Domenica chiuso. Durante il salone nautico sempre aperti Via Colombo, 17r - Genova, Italia Tel. 0105536994 cell. 3392891053 info@officinadicucina.it www.officinadicucina.it

muni a quelle un po’ più di nicchia.» Il pub di piazza Manin trasmette anche le partite di calcio e i principali avvenimenti sportivi in onda su Sky, dando ovviamente la precedenza alle sfide di Genoa e Samp, inoltre è possibile utilizzare la linea wi fi gratuita messa a disposizione dal locale. Da sottolineare infine che, grazie all’ampio dehor,s e ai due piani su cui si sviluppa il pub ristorante, Alle Volte è un buon locale in cui organizzare feste di laurea o di compleanno: nella sala interrata è possibile, grazie a un mixer e a due casse da discodisco teca, organizzare serate musicali e piccoli concon certi dal vivo. Come arrivare al locale (www. allevolte.it/mappa.php oppure per un tour virtuale nel locale www.tripadvisor.it/Restauwww.tripadvisor.it/Restau rant_Review-g187823-d2638785-ReviewsAlle_Volte-Genoa_Italian_Riviera_Liguria. html): sull’uscita autostradale di Genova Est seguite l’indicazione verso il centro e subito dopo, all’altezza del primo semaforo, svoltate a destra su via Montaldo. Seguite la via fino da arrivare a Piazza Manin. Il locale rimane sulla vostra sinistra. Dall’uscita autostradale di GeGe nova Ovest, invece, continuate sulla SopraeleSopraele vata e, all’altezza della seconda uscita, svoltate a destra. Passato il tunnel continuate a destra su via XII Ottobre e vi troverete in piazza CorCor vetto. A questo punto salite su per via Assarotti e in cima svoltate, subito dopo il semaforo, sulla vostra destra e poi ancora a sinistra. Il locale rimane sulla vostra destra. Piazza Manin, 1A R - 16122 Genova Tel: 010-812298 Giorno di chiusura: Domenica e Sabato a mezzogiorno www.allevolte.it/


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L’ASSOCIAZIONE CULTURALE “AMICI DELLE CINQUE TERRE” PRESIEDUTA DAL SENATORE LUIGI GRILLO, IL PARCO NAZIONALE DELLE CINQUE TERRE E I COMUNI DI MONTEROSSO AL MARE, RIOMAGGIORE E VERNAZZA, HANNO PROMOSSO IL PRIMO FESTIVAL DEL PASSITO DELLE CINQUE TERRE, DEDICATO ALLO SCIACCHETRÀ

RE SCIACCHETRA’À

SUL TRONO DELLE CINQUE TERRE 82 INGENOVA Magazine

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Enogastronomia di Virgilio Pronzati

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a Liguria, con i suoi 331 chilometri di costa, vanta uno scenario unico. Un caleidoscopio fatto di paesaggi montani con grappoli di case, antichi borghi marinari, porti industriali e turistici, lunghe spiagge dorate a ponente, e piccoli arenili incastonati tra suggestive scogliere a levante. Questo lembo orientale è ornato da vigne verticali poste tra cielo e mare. Un terroir unico, di cui i vini sono naturale sinonimo: ossia le Cinque Terre, che l’Unesco ha nominato Patrimonio dell’Umanità. Una zona costiera-montana che è assurta ai vertici nei flussi turistici nazionali e stranieri. All’estero, è l’area più visitata e conosciuta di tutta la Liguria, superando in classifica Portofino, Santa Margherita, Genova e Sanremo. Un exploit dove le vigne e il vino spiccano concretamente. e Cinque Terre, già note nel passato, rappresentano la zona di produzione dei vini Doc Cinque Terre e Cinque Terre Sciacchetrà. Ne fanno parte quattro comuni: Riomaggiore con la frazione Manarola, Vernazza con la frazione Corniglia e Monterosso. A questi si aggiungono le località Tramonti di Biassa e Tramonti di Campiglia del comune di La Spezia. Entrambi i vini, ottenuti dai vitigni Bosco (minimo 40%), Vermentino e Albarola da soli o congiuntamente (non più del 40%) e massimo 20% di altri vitigni raccomandati-autorizzati per la provincia spezzina, sono unici nel suo genere: il primo, Cinque Terre, è un vino bianco dal colore paglierino con riflessi verdolini, dal profumo delicatamente floreale-vegetale e fruttato (vi si colgono sentori di fiori di d’acacia leggermente essiccati, erbe montane e aromatiche, agrumi verdi come limone e cedro, e netta e inconfondibile nota iodata. In bocca è secco, molto sapido e iodato, caldo, di buon corpo, persistenza e carattere. Il secondo, il Cinque Terre Sciacchetrà, è un passito di buona longevità, che si esprime al meglio evolvendosi nel tempo. Di colore paglierino carico a giallo dorato da giovane (2-3 anni), si fa dorato carico con riflessi ambrati se mediamente affinato (5-6 anni), assume un colore ambrato con nuances rossicce se molto affinato (10-15 anni). Dopo un lunghissimo affinamento in bottiglia (dai 20 ai 30 anni) si presenta ambrato molto carico con netti riflessi rossicci tendenti al marroncino. Da giovane, al naso si presenta intenso, persistente ed ampio con sentori d’albicocca e pesca e mature, e lieve di semi d’anice. Se mediamente affinato, si fa più composito e ampio, dove spicca la confettura d’albicocca e pesca, erbe secche aromatiche e lieve di vaniglia. Se lungamente affinato in bottiglia, si presenta con netti sentori di pesca gialla e albicocca mature e un po’ essiccate, fico secco, prugna secca cotta, miele di castagno, e sempre di molta finezza e personalità. Dal sapore dolce ma non stucchevole, molto sapido, caldo, pieno, vellutato e suadente, di buona persistenza aromatica se mediamente affinato. Se molto affinato, diventa delicatamente dolce, sapido, caldo, vellutato ma nervoso per la piacevolissima vena tannica, di

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gran corpo e continuità, di estrema persistenza aromatica. Dopo questo prologo, entriamo nel reale contesto del Cinque Terre Sciacchetrà. Un vino mitico e d’indubbia qualità che, come per tutto, presenta luci e ombre. A favore: un ricco bagaglio storico, una buona qualità globale, una discreta notorietà in Italia. A sfavore: l’esigua superficie vitata di soli 100 ettari, la limitata produzione, la poca notorietà all’estero e l’alto costo. In sintesi, benché sia considerato uno dei più famosi vini passiti italiani, in realtà è conosciuto solo da una limitata parte d’intenditori o del settore. I più ne hanno solo sentito parlare, poiché il vino è omonimo della celebrata zona turistica. Per risolvere questo non facile quesito, l’Associazione Culturale “Amici delle Cinque Terre” presieduta dal senatore Luigi Grillo, il Parco Nazionale delle Cinque Terre e i Comuni di Monterosso al mare, Riomaggiore e Vernazza, hanno promosso il primo Festival del passito delle Cinque Terre, dedicato appunto allo Sciacchetrà, coincidente ai 40 anni dell’omonima Doc. A sostenerne i costi, un pool d’importanti enti come la Cassa di Risparmio e la Fondazione della Cassa di Risparmio di La Spezia, la Camera di Com-

mercio di La Spezia e la Società Aeroporti di Roma. A presentare l’iniziativa, Luigi Grillo, produttore e presidente dell’Associazione “Amici delle Cinque Terre”. “A quarant’anni dall’istituzione della DOC Cinque Terre era tempo di progettare con più forza il futuro, dapprima costruendo un appuntamento annuale dedicato alla nostra produzione simbolo che è lo Sciacchetrà, poi tentando di unire tutti i produttori in un Consorzio che ci dia più forza nei confronti del mercato. I tempi sono maturi per ricordare, sia ai consumatori che alle istituzioni, quanto prezioso sia il lavoro dei piccoli produttori nella tutela e nella valorizzazione di un territorio tanto bello quanto delicato”. Il riuscito evento, coordinato dalla giornalista Antonella Petitti direttrice del sito web rosmarinonews.it, si articolava in tre giorni (dal 30 agosto all’1 settembre), presentando molteplici motivi d’interesse, con il clou sabato 31 agosto. Ospiti, una ventina di noti e professionali giornalisti, autorità civili e operatori del settore. Il primo giorno, arrivo dei partecipanti nella solare Monterosso al Mare e le rispettive sistemazioni alberghiere. Nel po-

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L’intervento dei tecnici De Batté, Pappalardo, Maietta e Berrugi.

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meriggio, appuntamento nel salone consigliare del Comune di Monterosso al Mare, dove il senatore e presidente dell’Associazione Amici delle Cinque Terre Luigi Grillo accoglie e saluta la stampa, illustrandogli dettagliatamente il programma della manifestazione. Subito dopo, si entra già nel clima dell’evento, con la visita a due cantine di Monterosso e breve ma emozionante viaggio in monorotaia. La serata non pote-

va finire meglio. Tutti gli ospiti sono stati deliziati dalle golosità ittiche e di terra del ristorante Belvedere di Monterosso, sposate ai Cinque Terre e Sciacchetrà delle aziende aderenti all’evento. Il tutto a due metri dal mare. Sabato 31, giornata piena. Al mattino imbarco sul vaporetto a Monterosso, e rotta per Riomaggiore, ammirando via via, lo spettacolo mozzafiato di Monterosso, Vernazza e Riomaggiore. Approdo a Vernazza, l’antica Vulnetia che percorsa verticalmente in irte e piccole strade, conducono al pulmino che ha portato gli ospiti nelle zone più panoramiche, dove i vigneti intercalati da boschetti di macchia mediterranea, sono a strapiombo sul mare. Una gradita sosta all’Hotel I Gemelli di Riomaggiore per assaporare focaccia all’olio, frittatine, polpettoni e formaggi abbinati al Cinque Terre e ad altri vini della Cooperativa Agricoltura 5 Terre, serviti dal suo presidente Matteo Bonanini. Subito dopo, tutti a vedere un trenino monorotaia, dove i più coraggiosi hanno fatto un breve ma elettrizzante viaggio. Per le 13,30 ritorno in vaporetto e pranzo al ristorante Vulnetia di Vernazza, situato nella frequentatissima piazza. Per il piacere del gruppo ospite, ben sette piatti a base di freschissime acciughe locali da leccarsi le dita. Il tutto accompagnato dai Cinque Terre e Sciacchetrà dei produttori aderenti alla manifestazione. Alle 17,30 nella pittoresca Piazzetta Belvedere sul molo del porticciolo, dopo i saluti istituzionali del presidente dell’Associazione Amici delle Cinque Terre sen. Luigi Grillo, del sindaco di Monterosso Angelo Betta, del presidente del Parco Nazionale delle Cinque Terre Vittorio Alessandro, dell’Assessore alle Attività Produttive Regione Liguria Renzo Guccinelli, del presidente Consiglio regionale della Liguria Rosario Monteleone e dello specialista agricoltura Carispezia Andrea Bonati, è seguita l’interessante tavola rotonda condotta dalla giornalista Antonella Petitti: “Il futuro di un antico re: lo Sciacchetrà. Un grande testimone del patrimonio enologico italiano”. A parlarne il noto produttore Walter De Battè, l’enologo Sergio Pappalardo, Antonello Maietta presidente nazionale dell’AIS e Marzio Berrugi docente del CTN della FISAR. De Battè nel suo articolato e dotto intervento ha tracciato un percorso storico della vite e del vino nel nostro Paese, approfondendolo sia sui vitigni che i vini delle Cinque Terre, in particolare sullo Sciacchetrà. Il viti-enologo Pappalardo è partito dalle caratteristiche chimico-fisiche del territorio di produzione, per arrivare a quelle delle uve e dei vini, in particolare quest’ultimi, per le note iodate e sapide che caratterizzano anche lo Sciacchetrà. Maietta dopo avere puntualizzato alcune inesattezze nel disciplinare di produzione dei vini Cinque Terre e Cinque Terre Sciacchetrà, ha “fotografato” l’ambiente, i vitigni ed i vini delle Cinque Terre. Infine Berrugi ha illustrato compiutamente tutti i possibili abbinamenti del Sciacchetrà con non solo dolci, ma con formaggi e, il suo l’impiego, in vari e raffinati piatti di foie gras. Di seguito, non meno importante, il convegno Le vigne nelle Cinque Terre: non solo vini, ma anche tutela ambientale e difesa del Suolo. Argomenti quanto mai attuali che lanciano inquietanti interrogativi sulle precarie condizioni orografiche delle Cinque Terre: nubifragi, frane, erosione del mare. Tutti effetti negativi sull’attività produttiva vitivinicola e turistica. A rispondere sui non facili quesiti: l’Onorevole Andrea Orlando Ministro dell’Ambiente, l’ex Ministro Infrastrutture Pietro Lunardi, il Senatore Luigi Grillo responsabile nazionale del PDL per Infrastrutture e Lavori Pubblici e il geologo Michele Presbitero. Le conclusioni sono state dell’Onorevole Giuseppe Castiglione, sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura.

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Enogastronomia Terminato il convegno, a questo punto il Cinque Terre Sciacchetrà è l’assoluto protagonista. Franco Rezzano vice presidente AIS Liguria, coinvolge tutti i presenti compiendo una magistrale degustazione guidata dei Cinque Terre Sciacchetrà presenti. Non solo. Per il piacere di tecnici, operatori del settore e enoappassionati, nelle vicine tensostrutture professionali sommelier, servono per 5 euro calici di Sciacchetrà di varie annate abbinati a tre dolci golosità liguri. Gran finale di serata, con cena al ristorante Hotel Porto Roca di Monterosso. Un 4 stelle di stile moderno ma di raffinata eleganza. Domenica 1 settembre alle ore 11, nella Società Agraria Buranco, ultima parte della riuscita manifestazione, con l’incontro tra le istituzioni e i produttori di Cinque Terre Sciacchetrà. Un tavolo di lavoro per avviare un progetto che porti alla nascita di un consorzio territoriale. “Insieme - afferma Luigi Grillo, presidente Associazione “Amici delle Cinque Terre” - si riuscirà a superare i limiti delle piccole produzioni e delle piccole dimensioni aziendali, caratteristiche intrinseche del nostro territorio”. In questo primo incontro per il progetto del Consorzio, erano presenti i titolari delle seguenti aziende: Buranco, Cheo, Forlini Capellini, Begasti, Sassarini, Bonanini, Cantine Litan, Currarino e Burasca. Siglato dall’ospitalità di Luigi Grillo la fine dell’incontro. Produttori, tecnici, autorità e giornalisti sono stati deliziati da raffinate ghiottonerie dolci e salate realizzate gran parte al momento, dalla storica Pasticceria Svizzera di Genova, abbinati ai vini aziendali. Il tutto servito al fresco sotto gli ulivi.

Qui sopra: il presidente dell’Associazione Culturale Amici delle Cinque Terre Luigi Grillo con gli altri 8 produttori. Nella foto nella pagina accanto, in centro: la Società Agraria Buranco di Monterosso: otto dei nove produttori aderenti al progetto del Consorzio di Tutela. Sempre nella pagina accanto, in alto: Il palco delle autorità.

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METTI IL FRANCIACORTA IN CROCIERA di Virgilio Pronzati

Nella foto in basso la tenuta Ambrosini

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arlando di Franciacorta, qualcuno l’ha definita «la Champagne d’Italia». Un’affermazione un po’ eclatante ma che, facendo le dovute considerazioni, ci può anche stare. Bagaglio storico, vocazione del territorio e qualità omogenea sono il suo biglietto da visita. La prima apparizione del nome “Franzacurta” risale al 1277, citata nello statuto municipale di Brescia, come riferimento all’area a sud del lago d’Iseo, tra i fiumi Oglio e Mella. La Franzacurta o Franzia Curta era allora una zona importante per il rifornimento di vino per la città di Brescia, ma anche per i borghi della Valcamonica e della Valtrompia e a sud per le città della valle padana. La delimitazione geografica attuale della Franciacorta, invece, risale a un atto del 1429 di Francesco Foscari, Doge di Venezia, mentre la più antica mappa giunta fino a noi è del 1469: opera di un autore anonimo, è conservata nella biblioteca estense di Modena. In un passato recente, se nell’Oltrepò Pavese si diffusero prima alcune varietà di vitigni adatti alla spumantizzazione, nella Franciacorta trovarono in seguito la loro dimora ideale. Tra gli anni 1960 e 1970 i primi impianti. Negli anni ’70 la seconda fase d’impianto e negli anni ’90 la terza fase d’impianto. Dall’inizio all’ultima fase d’impianti, cambiarono le tecniche colturali dei vigneti, per arrivare ai recenti e fitti allevamenti di Guyot e cordone speronato, in grado di dare una limitata quantità

TERZA CROCIERA DI UNA SETTIMANA, ORGANIZZATA DA TREDICI CANTINE, SULLA MSC ORCHESTRA PER FAR CONOSCERE LO CHAMPAGNE D’ITALIA

d’uva ma di alta qualità. Oggi il Franciacorta è lo spumante di qualità che ha conquistato meritatamente il consenso degli operatori dell’industria dell’ospitalità e del consumatore esigente. Un mercato in graduale crescita guidato da note e grandi aziende, a cui si unisce il contributo delle aziende medie e piccole. Ma in questi tempi di crisi, il mercato del Franciacorta necessita di intelligenti promozioni, in particolare per medi e piccoli produttori. L’ultima iniziativa in tal senso, ma preceduta da due edizioni, è stata realizzata con successo da tredici cantine. Una crociera di sette giorni nel Mediterraneo con ospite d’onore il Franciacorta. Indovinata scelta per far conoscere ed apprezzare il Franciacorta ai passeggeri e, in ogni tappa, a un pubblico internazionale, ad operatori del settore e alla stampa. Sede dell’evento il salone La Cantinella della MSC Orchestra, fiore all’occhiello della nota flotta croceristica internazionale. La crociera, iniziata e terminata a Genova, ha toccato Civitavecchia, Palermo, Ibiza, Palma di Maiorca e Villefranche sur Mer. Regista e presentatore della singolare iniziativa, il bravo giornalista Riccardo Lagorio, amico del compianto Gino Veronelli, autore del libro delle De. Co. e collaboratore d’importanti riviste del settore, tra cui Saperi e Piaceri. L’interessante e inedita degustazione dei 13 Franciacorta è avvenuta i due fasi. La prima (con sei vini), dopo la presentazione dell’iniziativa e l’illustrazione dell’ambiente del Franciacorta da parte di Lagorio e dagli interessanti interventi dei produttori Mariuccia Ambrosini e Piero Plebani. La seconda durante il pranzo abbinando i restanti Franciacorta Brut e Saten ai vari piatti. Un riscontro quanto mai gradito per la versatilità del Franciacorta. Tra gli invitati, numerosi sommelier dell’AIS e della Fisar, onavisti e giornalisti, tra cui spiccavano Barbara Pisano del ristorante stellato Baldin, Antonio Del Giacco

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Enogastronomia Delegato Ais di Genova e i giornalisti Costantino Malatto, Alessia Cotta Ramusino, Mara Musante e Pietro Bellantone. Le aziende partecipanti: Azienda Agricola Enrico Gatti - Erbusco - www.enricogatti.it Azienda Agricola Marzaghe - Erbusco - Erbusco www.marzaghefranciacorta.it Azienda Agricola Massussi - Iseo www.massussifranciacorta.it Azienda Agricola Monzio Compagnoni - Adro www.monziocompagnoni.it Azienda Vitivinicola Bredasole - Paratico - www.bredasole.it Azienda Vitivinicola Camossi - Erbusco - www.camossi.it Azienda Vinicola Le Cantorie - Gussago - www.lecantoria.it La Fiorita - Ome - www.lafioritafranciacorta.com Rizzini - Az. Agr. Boniotti Angela - Monticelli Brusati www.rizzinifranciacorta.it San Cristoforo - Erbusco - www.sancristoforo.eu Società Agricola La Fiòca - Corte Franca - www.lafioca.com Tenuta Ambrosini - Cazzago San Martino www.tenutambrosini.it Tenuta Monte Delma - Passirano - www.montedelma.it A siglare la manifestazione il patrocinio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, mentre il sostegno è stato di Made in Provincia di Brescia, BCC di Pompiano Franciacorta, Lucaffè, L.A. Nuova Stampa, Cerbetto Viaggi.

UNA SINTESI DEL FRANCIACORTA La zona di produzione delle uve da cui ha origine il Franciacorta DOCG, primo vino italiano ad aver ottenuto questo riconoscimento nel 1995, comprende vari comuni in provincia di Brescia: Paratico, Capriolo, Adro, Erbusco, Cortefranca, Iseo, Ome, Monticelli Brusati, Rodengo Saiano, Paderno Franciacorta, Passirano, Provaglio d’Iseo, Cellatica e Gussago, nonché la parte del territorio dei comuni di Cologne, Coccaglio, Rovato, Cazzago S. Martino e parte del territorio del comune di Brescia. I vitigni da cui ha origine, sono il Chardonnay e/o Pinot nero, e il Pinot bianco fino al massimo del 50%. Per la produzione del “Franciacorta” Rosé, la percentuale delle uve Pinot nero vinificate in rosato deve essere almeno il 25% del totale. Delle 10 denominazioni riconosciute in Europa col solo nome geografico, solo tre sono realizzate con il metodo della rifermentazione in bottiglia: Cava per la Spagna, Champagne per la Francia e Franciacorta per l’Italia. Quattro tipologie (nove le versioni), di cui ognuna col rispettivo affinamento minimo obbligatorio: “Franciacorta” 18 mesi “Franciacorta” Rosé 24 mesi “Franciacorta” Saten 24 mesi “Franciacorta” millesimato, “Franciacorta” Rosé millesimato, “Franciacorta” Saten millesimato 30 mesi “Franciacorta” riserva, “Franciacorta” Rosé riserva, “Franciacorta” Saten riserva 60 mesi Nel 2012 sono state commercializzate circa 13,85 milioni di bottiglie di Franciacorta. Il crescente apprezzamento del prodotto in tutto il mondo è confermato non solo dall’incremento delle vendite, ma anche dalla crescita degli ettari di terreno rivendicati alla Docg, passati dai 2283 del 2008 ai 2876 nel 2012. Oggi le aziende associate al Consorzio sono 105, corrispondenti al 98% delle aziende presenti sul territorio. Analizzando la distribuzione delle vendite nel corso dell’anno, si osserva come il Franciacorta sia sempre più apprezzato e degustato a tavola. Un grande successo per tutte le

aziende del territorio, una conferma alla politica dei produttori orientata verso un prodotto unico e inconfondibile, ottimo per un brindisi ma, grazie alla sua qualità e alle sue caratteristiche gustative, ancora più straordinario in accompagnamento ai grandi banchetti. La vendemmia inizia con la raccolta delle uve destinate alla base del Franciacorta. Intorno alla metà di agosto, le uve delle zone più precoci, hanno i valori zuccherini ed acidi idonei alla preparazione dei vini base che saranno fatti rifermentare in bottiglia per originare il Franciacorta DOCG. Inizia così la raccolta delle uve Chardonnay, rigorosamente a mano e in piccole cassettine di circa 15-17 Kg ciascuna. La variabilità pedoclimatica della Franciacorta distribuisce l’inizio della vendemmia Nella foto di Pietro Bellantone: Riccardo Lagorio con Mariuccia Ambrosini e Piero Plebani mentre presenta l’evento

L’intervento di Mariuccia Ambrosini¬†

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nelle diverse unità pedopaesaggistiche su un lasso di 8-10 giorni. Tanta è la differenza del ciclo di maturazione tra le zone più precoci e le zone più tardive della Franciacorta. La raccolta delle uve da base per le nobili bollicine DOCG prosegue per circa 3 settimane, passando dallo Chardonnay al Pinot nero, al Pinot bianco. Dopo circa 3 settimane dedicate alla vendemmia del DOCG, inizia la raccolta delle uve del Curte Franca o Terre di Franciacorta bianco. Tale operazione si protrae per circa15 giorni fino al momento in cui iniziano a maturare le uve rosse. Le più precoci sono le uve di Merlot, seguite da Nebbiolo, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Barbera. Il tutto si conclude normalmente verso la prima metà del mese di ottobre, assicurando, quindi, alla Franciacorta, circa due mesi di vendemmia.

I FRANCIACORTA NEL BICCHIERE “Franciacorta”

spuma: fine, intensa; colore: dal giallo paglierino più o meno intenso, fino al dorato; odore: fine, delicato ampio e complesso con note proprie della rifermentazione in bottiglia; sapore: sapido, fresco, fine ed armonico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol; acidità totale minima: 5,0 g/l; estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l. É consentita l’immissione al consumo delle seguenti tipologie di sapore: dosaggio zero, extra brut, brut, extra dry, sec e demi-sec nel rispetto dei limiti di zucchero previsti dalla normativa comunitaria.

“Franciacorta” millesimato

spuma: fine, intensa; colore: dal giallo paglierino più o meno intenso fino al giallo dorato; profumo: fine, delicato, ampio e complesso con note proprie della rifermentazione in bottiglia; sapore: sapido, fine ed armonico; titolo alcolometrico volumico totale minimo 11,50% vol; acidità totale minima: 5,0 g/l; estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l. É consentita l’immissione al consumo delle seguenti tipologie di sapore: dosaggio zero, extra brut, brut, extra dry, nel rispetto dei limiti di zucchero previsti dalla normativa comunitaria.

“Franciacorta” riserva

spuma: fine, intensa; colore: dal giallo paglierino più o meno intenso, fino al giallo dorato con eventuali riflessi ramati; odore: note complesse ed evolute proprie di un lungo affinamento in bottiglia; sapore: sapido, fine ed armonico; titolo alcolometrico volumico effettivo minimo: 11,50% vol; acidità totale minima: 5,0 g/l; estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l. É consentita l’immissione al consumo delle seguenti tipologie di sapore: dosaggio zero, extra brut, brut, nel rispetto dei limiti di zucchero previsti dalla normativa comunitaria.

“Franciacorta” Rosé

spuma: fine, intensa; colore: rosa più o meno intenso; odore: fine, delicato, ampio, complesso, con sentori tipici del Pinot nero e con note proprie della rifermentazione in bottiglia; sapore: sapido, fresco, fine ed armonico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol; acidità totale minima: 5,0 g/l; estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l. É consentita l’immissione al consumo delle seguenti tipologie di sapore: dosaggio zero, extra brut, brut, extra dry, sec e demi-sec nel rispetto dei limiti di zucchero previsti dalla normativa comunitaria.

“Franciacorta” rosé millesimato

spuma: fine, intensa; colore: rosa più o meno intenso con possibili riflessi ramati; profumo: ampio, complesso, con sentori tipici del Pinot nero e con note proprie della rifermentazione in bottiglia; sapore: sapido, fresco, fine ed armonico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol; acidità totale minima: 5,0 g/l; estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l. É consentita l’immissione al consumo delle seguenti tipologie di sapore: dosaggio zero, extra brut, brut, extra dry, nel rispetto dei limiti di zucchero previsti dalla normativa comunitaria. “Franciacorta” Rosé riserva spuma: fine, intensa; colore: rosa più o meno intenso con possibili riflessi ramati; profumo: complesso, evoluto con sentori tipici del Pinot nero e con bouquet proprio di un lungo affinamento in bottiglia; sapore: sapido, fresco, fine ed armonico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol; acidità totale minima: 5,0 g/l; estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l. É consentita l’immissione al consumo delle seguenti tipologie di sapore: dosaggio zero, extra brut, brut nel rispetto dei limiti di zucchero previsti dalla normativa comunitaria.

“Franciacorta” Saten

spuma: persistente, cremosa; colore: giallo paglierino intenso; odore: fine, delicato, con note proprie della rifermentazione in bottiglia; sapore: sapido, cremoso, fine ed armonico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol; acidità totale minima: 5,0 g/l; estratto non riduttore minimo: 14,5 g/l; pressione massima: 5 atm. É consentita l’immissione al consumo solo nella tipologia brut.

“Franciacorta» Saten millesimato

spuma: persistente, cremosa; colore: dal giallo paglierino più o meno intenso fino al giallo dorato; profumo: fine, complesso con note proprie della rifermentazione in bottiglia; sapore: sapido, cremoso, fine ed armonico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol; acidità totale minima: 5,0 g/l; estratto non riduttore minimo: 14,5 g/l; pressione massima: 5 atm. É consentita l’immissione al consumo solo nella tipologia brut.

“Franciacorta” Saten Riserva

spuma: persistente, cremosa; colore: giallo dorato più o meno intenso; profumo: note complesse ed evolute proprie di un lungo affinamento in bottiglia; sapore: sapido, fine ed armonico; titolo alcolometrico volumico effettivo minimo: 11,50% vol; acidità totale minima: 5,0 g/l; estratto non riduttore minimo: 15,0 g/l. pressione massima: 5 atm. É consentita l’immissione al consumo solo nella tipologia brut. É in facoltà del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali - Comitato nazionale per la tutela e la valorizzazione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche tipiche dei vini, modificare, con proprio decreto, i limiti dell’acidità totale e dell’estratto non riduttore minimo dei vini di cui all’art.

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di Virgilio Pronzati

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Nella foto di Silvia Pezzuto: i titolari dei locali premiati con Massimo Corrado, Gioacchino La Franca e Virgilio Pronzati.

enova sempre più teatro di eventi enoici. A confermarne il ruolo l’Associazione Go Wine di Alba, promotrice di degustazioni periodiche di vini di alta qualità, prodotti da aziende di varie regioni d’Italia. L’ultima, svoltasi il primo giorno di ottobre allo Star Hotel President, comprendeva ben 24 qualificate aziende di sette regioni, per un totale di oltre 100 vini e diverse grappe pregiate: una selezione di vini prodotti da note o emergenti cantine inserite nel volume Cantine d’Italia 2013, guida rigorosa ai migliori vini nazionali, redatta dallo staff tecnico di Go Wine. In testa per numero di aziende, il Piemonte con tredici, seguito dal Veneto con quattro, Lombardia e Friuli con due, Campania, Lazio e Liguria con una. Un tour di vini con tappe in ognuna regione. Nella prima: i vini Doc e Docg

dell’Alessandrino, dell’Albese, dell’Astigiano, del Canavese, Vercellese e del Novarese. Nella seguente, i Doc e IGT del Bergamasco e del Bresciano. Nella terza, i Doc e Docg del Veronese e del Trevigiano. Di seguito: i Doc del Goriziano e Udinese; i Docg dell’Avellinese; i Docg, Doc e IGT del Frusinate, e i Doc dello Spezzino. All’ultima tappa, l’arrivo, le grappe monovitigno piemontesi. Una breve ma intensa kermesse di sei ore, che ha richiamato alcune centinaia di soddisfatti visitatori professionali e appassionati. Non è mancato un motivo di successivo interesse. Il presidente di Go Wine Massimo Corrado ha voluto premiare con una targa i migliori locali del Bere Bene (ristoranti ed enoteche) di Genova e provincia, ossia chi ha maggiormente diffuso la cultura del vino. A segnalarli, con un minisondaggio, sono stati proprio i soci genovesi di Go Wine. Riconoscimento assegnato quest’anno ai ristoranti Antica Osteria della Foce (Genova), Azzurro Due (Arenzano), La Brinca (Ne), Osteria dei Farinelli (Genova), Toe Drûe (Genova) e alle enoteche Le Cantine di Colombo (Genova) e Gran Caffè Defilla (Chiavari).

LE AZIENDE PRESENTI AL BANCO D’ASSAGGIO CON I RISPETTIVI VINI Adriano Marco e Vittorio - Alba (CN) - Tel 0173/362294 info@adrianovini.it Ardì Vino bianco secco 2012; Langhe Doc Sauvignon Basaricò 2012; Dolcetto d’Alba Doc 2012; Langhe Doc Freisa 2011; Barbera d’Alba Doc Superiore 2011; Barbaresco Docg Sanadaive 2009; Barbaresco Docg Basarin 2009 e 2008. Barbaglia - Cavallirio (NO) - Tel 0163/80115 info@vinirabaglia.it Colline Novaresi Doc: Bianco 2011; Uva Rara 2011; Croatina 2010; Vespolina 2009; Nebbiolo 2007; Boca Doc 2008; Curticella VSQ metodo Classico Brut 2008.

NELLA CORNICE DELLO STAR HOTEL PRESIDENT DI GENOVA, VENTIQUATTRO AZIENDE PER CENTO VINI SONO STATE LE PROTAGONISTE DI UNA DEGUSTAZIONE PER PRESENTARE IL NUOVO VOLUME DELL’ASSOCIAZIONE ALBESE

Batasiolo - La Morra (CN) - Tel 0173/50190 info@batasiolo.com Barbera d’Alba Doc Sovrana 2011; Dolcetto d’Alba Doc Vigneto Bricco di Vergne 2012; Roero Arneis Docg 2012; Gavi Docg Granée 2012; Moscato d’Asti Docg Bosc d’la Rei 2012. Caminella - Cenate Sotto (BG) - Tel 035/941828 caminella@caminella.it Luna Rossa OGT 2009; Valcalepio Doc Rosso Ripa di Luna 2010; Ripa di Luna VSQ Brut Metodo Classico 2010; Goccio di Sole VDT Dolce 2011.

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Enogastronomia Conati Marco - Fumane (VR) - Tel 045/6839130 marco@agricolaconati.com Amarone della Valpolicella Doc Classico 2005; Valpolicella Doc Classico Superiore Ripasso 2005; Valpolicella Doc Classico Superiore 2009; Recioto della Valpolicella Doc Classico 2003; Rosso di Marco Veronese IGT 2006; Lugana Doc 2011; Marconati Spumante Metodo Charmat Brut. Criolin - Castagnole delle Lanze (AT) - Tel 339/8020005 criolin@yahoo.it Piemonte Doc Chardonnay 2012; Barbera d’Asti Docg 2011; Moscato d’Asti Docg 2012 Fattori - Roncà (VR) - Tel 045/7460041 info@fattoriwines.com Soave Doc Danieli 2012; Soave Doc Classico Runcaris 2012; Soave Doc Motto Piane 2011; Valpolicella Doc Ripasso Col de la Bastia 2010; Amarone della Valpolicella Docg Col de la Bastia 2010; Recioto di Soave Docg Motto Piane 2010; Roncha Bianco del Veneto IGT 2011; Lessini Durello Doc Spumante I Singhe La Basia - Puegnago del Garda (BS) - Tel 036/5555958 info@labasia.it Chiaretto Valtenesi Doc 2012; Garda Doc Classico Groppello 2011; Garda Doc Classico Superiore 2007; Benaco Bresciano IGT Rosso 2008 La Tenaglia - Serralunga di Crea (AL) - Tel 0142/940252 info@latenaglia.com Barbera del Monferrato Doc Superiore “1930” 2009; Grignolino del Monferrato Casalese Doc 2012; Barbera d’Asti Docg Bricco Tenaglia 2012; Barbera d’Asti Doc Giorgio Tenaglia 2007; Barbera d’Asti Doc Emozioni 2008; Monferrato Doc Rosso Paradiso 2009 Lunae Bosoni - Ortonovo (SP) - Tel 01287/660187 bosoni@cantinelunae.com Colli di Luni Doc Vermentino Etichetta Nera 2012; Colli di Luni Doc Bianco Fior di Luna 2012; Colli di Luni Doc Numero Chiuso 2009; Colli di Luni Doc Rosso Nicolò V 2009; Passito Nectar 2009; Mearosa 2012 Magda Pedrini - Gavi Docg del Comune di Gavi é 2012 ; Gavi Docg del Comune di Gavi La Piacentina 2012; Gavi Docg del Comune di Gavi Domino 2012; Magda Pedrini Spumante Metodo Classico Brut VSQPRD 2010 ; Monferrato Doc Rosso Il Pettirosso 2009 Marchesato Vigneti e Cantine - Alessandria - Tel 0143/85470 c.gaveglio@marchesatovini.com Piemonte Doc Cortese; Barbera d’Asti Docg; Monferrato Doc Rosso Marengo Argento; Monferrato Doc Rosso Marengo Noceto Michelotti - Castel Boglione (AL) - Tel 0141/762170 info@nocetomichelotti.com Shiré Vino Rosato 2012; Monferrato Doc Bianco N° 32 2001; Barbera d’Asti Docg Classic 2012; Barbera d’Asti Docg Superiore Nizza 2008; Brachetto d’Acqui Docg 2012 Pileum - Piglio (FR) - Tel 336/3129910 info@pileum.it Cesanese del Piglio Docg Riserva Bolla di Urbano 2010; Cesanese del Piglio Doc Superiore Massiutium 2009; Passerina del Frusinate IGT Valle Bianca 2012

Rizieri - Diano d’Alba (CN) - Tel 0173/69183 info@rizierti.com Dolcetto di Diano d’Alba Docg 2011; Barbera d’Alba Doc 2009; Barbera d’Alba Doc Superiore 2011; Nebbiolo d’Alba Doc 2009; Langhe Doc Arneis 2011 Scolaris - San Lorenzo Isontino (GO) - Tel 0481/809920 scolaris@scolaris.it Collio Doc: Ribolla Gialla 2012; Friulano 2012; Pinot Grigio 2012;Sauvignon 2012; Traminer 2012; Refosco dal Peduncolo Rosso 2012; Schioppettino 2012; Ribolla Gialla Spumante 2012; Ribolla Nera Spumante 2012 Travaglini - Gattinara (VC) - Tel 0163/833588 info@travaglinigattinara.it Gattinara Docg Riserva 2007; Gattinara Docg 2008; Gattinara Docg Tre Vigne 2006; Il Sogno 2008; Coste della Sesia Doc Nebbiolo 2011; Zorzettig - Cividale del Friuli (UD) - Tel 0432/716156 info@zorzettigvini.it Colli Orientali del Friuli: Friulano 2012; Ribolla Gialla 2012; Traminer Aromatico 2012; Cabernet Franc; Refosco dal Peduncolo Rosso; Millesimato Optimum OZ Brut Metodo Charmat

IN DEGUSTAZIONE AL BANCO ENOTECA: Cantina Sociale di Castagnole Monferrato - Castagnole Monferrato (AT) - Tel 0141/292131 info@cantinasocialecastagnolemonferrato.it Grignolino d’Asti Doc 2012; Ruchè di Castagnole Monferrato Docg 2012; Ruchè di Castagnole Monferrato Docg Terre dei Ruggeri 2012 Cieck - Agliè (TO) - Tel 0124/330522 - info@cieck.it Caluso Spumante Brut Doc Calliope 2007; Erbaluce di Caluso Doc Misobolo 2012 La Tordera - Vidor (TV) - Tel 0423/985362 info@latordera.it Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg Cru del Tittoni Millesimato Dry; Valdobbiadene Prosecco Docg Brut Brunei Tenuta Cavalier Pepe - Sant’Angelo all’Esca (AV) Tel 0827/73766 - info@tenutacavalierpepe.it Taurasi Docg Riserva Opera Mia 2007; Taurasi Docg 2008 Vicentini Agostino - Colognole ai Colli (VR) Tel 045/7650539 - vicentini@vinivicentini.com Soave Doc Vigne Lunghe 2012; Soave Superiore Docg Il Casale 2012 Antica Distilleria Sibona - Piobesi d’Alba (CN) Tel 0173/614914 - info@doistilleriasibona.it Grappa Sibona XO, Barolo Chinato, Liquore alla Camomilla, Grappa di Moscato, Grappa di Arneis, Grappa di Barbera, Amaro Sibona, Grappa Riserva affinata in Botti da Porto, Grappa Riserva affinata in Botti da Sherry, Grappa Riserva affinata in Botti da Whiskey. In abbinamento ai vini, autentiche golosità: salame di cinghiale e di cervo, prosciutto stagionato di cervo e cinghiale della Bertolini Wild, marchio aderente al gruppo GourmItaly. Per l’acqua, l’azienda Sparea.

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Enogastronomia

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LO STEMMA DELLA SUPERBA CREATO DA BRUNO BATTAGLINO QUANDO L’ARTE DEL PASSATO SI TRASFORMA IN CONTEMPORANEA: LA RIPRODUZIONE DELLO STEMMA DI GENOVA DEL 1570 di Anna Maria Solari

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alla curiosità eclettica di un artista contemporaneo, dal suo amore per la storia e la cultura e soprattutto dal suo magico estro, nasce la riproduzione di uno stemma di Genova del 1570. L’opera è stata creata e consegnata dall’artista genovese Bruno Battaglino all’allora Presidente Carlo Azeglio Ciampi durante una sua visita privata in Prefettura nella nostra città. La riproduzione dello stemma è stata eseguita a mano dall’artista con tecniche antiche a grafite, con colori a polvere e lucidatura a tampone. Raffigura il simbolo antico della Superba, una memoria storica impressa in ognuno di noi. La cornice in noce canaletto è stata intarsiata con tasselli di varie essenze. Si tratta dell’omaggio di un artista genovese che è fortemente legato alla storia del nostro passato ed alla comunicazione di un linguaggio altamente simbolico. Con le sue opere e con i suoi restauri artistici Bruno Battaglino esprime una rivisitazione di immagini che svelate attraverso la bellezza della visione personale rappresentata, comunicano un tratto profondamente fiabesco. Interessante svelare la naturale manualità nella lavorazione di molteplici materiali con i quali crea figure su tela, su legno, su ardesia o scajole con una tecnica che si avvale di antichi insegnamenti: intarsi, incisioni, colla di lapin e resine. Molti critici contemporanei ne elogiano l’opera cheta, la cura nei particolari e le eleganti figure nei suoi lavori nonché l’attenta lavorazione dei colori, quasi «inno profondo all’amore ed ai sentimenti», per citare le parole di Roberto Abbona, insigne gallerista. Nasce a Genova nel 1968 dove lavora e risiede. Una sua opera è già stata inserita nel settore incisioni delle civiche raccolte d’arte applicata di Milano, conservate al Castello Sforzesco ed alcune collezioni sono presenti in Europa. «I miei lavori sono concepiti come un omaggio al massimo esperto dell’intarsio, Giuseppe Maggiolini, vissuto tra il 1738 e il 1814», così Bruno Battaglino si esprime con una

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Air du temps

naturale trasparenza che colpisce e contagia chiunque creda nell’arte, quale necessaria testimonianza del talento in ogni epoca. L’artista trae innumerevoli spunti di crescita esprimendosi anche nel restauro artistico di manufatti in legno creando pezzi unici con una attenzione particolare ed una manualità che ne elogia le forme e i contenuti. Applicazione, ricerca ed entusiasmo lo guidano in ogni lavoro che esegue. Bruno Battaglino nel perseguire la conoscenza dell’arte antica, riesce a rappresentarla con le sue opere ed a renderla attuale, personale e contemporanea.

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di Virgilio Pronzati

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pesso le realtà più vicine non si conoscono. Succede a tutti di non sapere o conoscere una via della città in cui viviamo. Lo stesso per recenti o antichi “mangiari”. Ma il cibo si esprime come un linguaggio universale. Le “parole” sono sostituite dai colori, aromi, profumi e sapori di un piatto. Profumi e sapori fanno parte di tradizioni e saperi. Nel recente passato, i cibi sono nati da basi alimentari che traggono origine e diffusione, da condizionamenti economici e ambientali. Restando per così dire in casa, c’è il piacere di conoscere ed assaggiare il Bugiandu, sorta di polenta con patate nata oltre un secolo fa a Fiorino, minuscolo borgo montano dell’ampio entroterra di Voltri. Se Ceranesi è il più grande comune del Genovesato, la delegazione di Voltri (riconosciuta città nel 1903 con Regio Decreto) è la più ampia di Genova, comprendendo numerose frazioni. Voltri, Utri o Vutri in dialetto, capitale della tribù dei Veituri, era già nota in epoca romana e pre-romana come scalo per

lo sbarco del sale proveniente da Sardegna, Corsica e Spagna. Nel passato più recente (dal 1600) Voltri, con le sue cartiere, assume un’importante ruolo commerciale, divenendo il maggiore produttore regionale e non solo di carta pregiata e per altri usi. La sua carta era esportata in molti Paesi europei, in particolare l’Inghilterra, dove il Parlamento inglese la utilizzò per i propri registri d’archivio. Oggi delle oltre cento cartiere ne è rimasta una. Tornando a parlare di cibi, Voltri ha proprie golosità: l’antica farinata di zucca (oggi desueta), la focaccia con l’olio e con la salvia (diverse da quelle genovesi) e la primogenitura della farinata “co-i gianchetti”, irrinunciabile ghiottoneria nata nel secolo scorso dopo un abbondante pesca di novellame di acciughe e sardine. A queste preparazioni va doverosamente aggiunto il Bugiandu. Se nelle botteghe (e a volte in ristoranti e trattorie) del centro di Voltri potrete acquistare e assaporare farinata e focacce, per assaggiare o meglio mangiare il Bugiandu le cose cambiano. Da oltre un secolo, il Bugiandu è stato il mangiare delle genti più umili delle numerose e piccole località collinari dell’entroterra Voltrese, solcato dai torrenti Cerusa e

SAPORI DIMENTICATI:

IL BUGIANDU A FABBRICHE, NELL’ENTROTERRA DI VOLTRI, ANCORA SI PUÒ GUSTARE DURANTE LA SAGRA AGOSTANA IL CARATTERISTICO PIATTO SIMILE A UNA POLENTA CON PATATE

Leira. Oggi si può trovare forse ancora sulle tavole di qualche famiglia di Fiorino e Sambugo (noto per i suoi deliziosi cobelletti), ma soprattutto a Fabbriche (borgo sviluppatosi nel 17° secolo per l’insediamento di iutifici, filande e cartiere) durante i quattro giorni della Festa dedicata a San Bartolomeo Apostolo, nell’annessa Sagra della polenta “Bugiandu”, giunta quest’anno alla 21a edizione. Nell’ultima decade di agosto, dal 22 al 25, centinaia di persone di tutte le età, provenienti dalle vicine località, Voltri e Genova, salgono a Fabbriche per gustarsi il Bugiandu. Una tradizione gastronomica che vanta oltre un quinto di secolo, ideata e realizzata dai fratelli Giampietro e Riccardo Parodi e Dino Ginogi, con la collaborazione di un gruppo di amici locali. Nella sagra, il Bugiandu è condito non solo con la tradizionale salsa d’aglio (saporita ma non piccante e ricca anche di pinoli), ma col tocco, con sugo di salsicce, col sugo di funghi, di noci e, interessante, col pesto. Quest’ultimo è sicuramente tra i condimenti più congeniali, in quanto il Bugiandu è simile alla pasta delle trofie (gnocchi in genovese). Per i ghiottoni e guormand, ci sono anche focaccine, tagliatelle al sugo, succulente salsicce alla griglia, braciole di vitello e manzo, trippe accomodate, formaggi e dolci casalinghi. Tutti (o quasi) rigorosamente fatti e serviti dai volontari dello staff della Sagra del Bugiandu, riconoscibili dalla classica maglia gialla. Una piacevole scampagnata fuori porta gradita da grandi e piccini, che vuol essere un motivo di cristianità per funzioni religiose di messe e rosari, vespri dedicati al Santo Patrono e, di socialità, con musica, canti, balli e gastronomia locale.

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Enogastronomia LA RICETTA DEL BUGIANDU (circa 7 chili e mezzo)

Bugiandu con salsa d’aglio.

4 kg di patate a pasta bianca possibilmente delle montagne genovesi; 2 kg di farina di grano tenero; 4 litri d’acqua; 150 g di sale grosso marino; 120 gr di olio extravergine di oliva ligure. In un grande pentolone cilindrico e alto, fare bollire le patate nell’acqua col sale. Togliere metà dell’acqua, aggiungere la farina, e continuare a far cuocere a lungo pestando al centro, con un bastone (simile a una mazza da baseball più piccola e con testa piatta) per eliminare i grumi e amalgamarle gli ingredienti. Aggiungere l’olio e continuare al far cuocere pestando e mescolando. Se il composto è poco morbido, aggiungere una parte dell’acqua rimasta. Raggiunta la cottura ottimale, senza più pestare e mescolare, lasciare ancora 5-6 minuti sul fuoco per farlo asciugare. Togliere dal fuoco e, ancor caldo, versarlo su una madia. Con le mani bagnate d’acqua fresca, tornire subito il Bugiandu, dandogli la forma del formaggio Grana Padano. Tagliarlo col filo a fette spesse un centimetro, porle nel piatto e condirle col sugo preferito. Se con salsa all’aglio e il pesto, abbinarci il Riviera Ligure di Ponente Pigato 2012 servito a 11°C in calici con stelo alto. Con salsa di noci abbinare il Golfo del Tigullio-Portofino Vermentino della medesima annata e servito alle stesse modalità. Con sugo di funghi (in rosso) sposarci il Golfo del Tigullio-Portofino Ciliegiolo e il Valpolcevera Rosso 2011, serviti entrambi a 16°C in calici con stelo medio. Con salsicce al sugo accompagnarlo con Pornassio 2010-2011 servito a 16-17°C nei calici prima citati.

SALSA ALL’AGLIO (per 5 preparazioni di Bugiandu) 2 kg di Grana Padano grattugiato; 1 kg di pinoli di Pisa o nazionali; una testa d’aglio di Vessalico, dell’Astigiano o del Piacentino; 15 centilitri di olio extravergine di oliva ligure; un po’ d’acqua di cottura delle patate.

I tre fondatori Giampiero e Riccardo Parodi e Dino Ginogi con tutto lo staff.

Per piccole quantità si può usare al meglio il mortaio, mentre nel cutter si sminuzza finemente l’aglio con pinoli e olio. Sempre rimestando, aggiungere il formaggio e di seguito, un po’d’acqua di cottura delle patate. La salsa dovrà risultare giustamente densa e cremosa.

Ancor caldo è tornito... Viene tagliato a fette col filo.

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Un angolo di paradiso nelle colline e nel verde del Monferrato tra colline e le vigne che producono Dolcetto, Gavi, Barolo, grappa di Moscato. Ai piedi di celebri castelli, un casale con piscina con vista sul Moviso e sul Monte Rosa, circondatoda un giardino da sogno con alberi, fiori e lavande. È una zona di trattorie indimenticabili, dove il buon cibo è tradizione. La pace e la serenità sono un toccasana tra alberi, passeggiate sia a piedi che a cavallo, relax e buon cibo, funghi e tartufi.

MONFERRATO:

di Diana Bacchiaz

DAL CASALE UNA VISTA MOZZIAFIATO SULLE ALPI 98 INGENOVA Magazine

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Le grandi case

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L’arte a Staglieno Per la vastità dei suoi imponenti monumenti funebri è considerato un vero e proprio museo a cielo aperto. Le numerose statue funerarie e cappelle – opere prevalentemente di scultori genovesi – sia pure costruite in stili differenti, restituiscono all’insieme del complesso un importante valore sotto l’aspetto dell’architettura e scultura funebre. Fra gli scultori che hanno dato vita alle opere del cimitero di Staglieno vi sono, fra gli altri, Santo Varni (autore della bella statua dedicata alla Fede della Religione, alta nove metri e posta al centro del luogo di sepoltura, statua eseguita non per una tomba in particolare ma come emblematica presentazione del grandioso cimitero allo spettatore che vi accede) e Lorenzo Orengo (che scolpì la tomba dedicata a Caterina Campodonico, la famosa venditrice di noccioline). Sono poi da segnalare Augusto Rivalta (autore della tomba Piaggio), Eugenio Baroni (autore di numerose tombe di famiglia), Luigi Rovelli (che costruì la Cappella Raggio, nota anche come Duomo di Milano per la somiglianza con la cattedrale meneghina), Michele Sansebastiano (cui si devono il cippo Tagliaferro, il cippo Romanengo-Bussa e la Tomba Barbieri), Edoardo Alfieri e Norberto Montecucco. Una menzione particolare merita, infine, l’Angelo di Monteverde, opera dello scultore Giulio Monteverde che orna sontuosamente con una figura d’angelo d’inusitato fascino la tomba Oneto al Porticato superiore di ponente.

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E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell’aria. Allora, ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio. (Tiziano Terzani)

Sede legale: Corso Europa 98 - 16132 Genova - Telefono 010 581.581

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“GASPERINI PUO’ APRIRE UN NUOVO CICLO” PER FARE IL PUNTO SUL NUOVO GENOA TARGATO GASPERINI, LA REDAZIONE L’EX MISTER DEL GRIFONE TARCISIO BURGNICH. L’EX ROCCIOSO DIFENSORE HA ALLENATO IL GENOA NEL CORSO DI TRE STAGIONI, SEPPUR IN TEMPI DIVERSI: DAL 1984 AL 1986 E DAL 1997 AL 1998 di Pamela Guarna

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olti sono stati i trofei vinti dal grande difensore friulano, classe 1939: 1 campionato europeo nel 1968, 2 coppe dei campioni con la maglia dell’Inter tra il 1963 e il 1965, 2 coppe intercontinentali sempre con i neroazzurri. Fu anche vice campione del mondo nel 1970 con la nazionale italiana. Con il Genoa ottenne tra i cadetti un sesto posto ed un settimo posto tra il 1984 e il 1986 e una strepitosa salvezza nella stagione 1997-1998. Rilevò infatti la squadra al penultimo posto in serie B da Maselli portandola ottava a fine stagione, ad un passo dalla promozione nella massima serie. Il ritorno di Gasperini al Genoa ha permesso al Grifone di ritrovare goal, grinta, determinazione e punti in classifica: quali sono state le ragioni secondo Lei di questo cambiamento di rotta? Il mister piemontese è una persona che conosce molto bene il mondo del calcio, è intelligente, mai banale, serio e conoscitore della piazza rossoblù, avendo militato nel Genoa con ottimi risultati dall’estate del 2006 fino al novembre del 2010. Inoltre quando in una società arriva un nuovo mister questo cambiamento dà una forte scossa alla squadra. Questo fatto l’ho sperimentato anche io in moltissime squadre che ho allenato in ventuno anni di carriera. Da ex mister del Genoa adesso spero che il Grifone possa trovare la continuità necessaria per poter occupare stabilmente la parte sinistra della classifica. La squadra di Preziosi non avrà nessun problema a conquistare la salvezza. Un pregio di Gasperini è stato senza ombra di dubbio quello di dare fiducia a diversi giocatori come i giovani Perin e Fetftatzidis solo per citare qualche nome: è d’accordo? Assolutamente sì, la fiducia è una cosa molto importante nel calcio e soprattutto tra i giovani che in questo modo si sentono considerati e parte integrante della rosa. Gasperini poi ha fatto sempre giocare molto bene le sue squadra, basti pensare al Grifone sia in serie B che nella massima serie. Moltissimi genoani ma non solo hanno ancora sotto gli occhi lo splendido lavoro del mister piemontese che ha fatto qui a Genova e personalmente mi ricordo che ogni qualvolta che decidevo di guardare una gara dei rossoblù mi divertivo e vedevo un bel calcio. Penso che questo si possa ripetere anche questa stagione. Che differenza nota tra il Gasperini degli anni passati e il Gasperini di adesso? Il bel gioco c’è sempre, adesso penso che il mister piemontese abbia più esperienza maturata dopo le parentesi di Inter e Palermo, anche se non sono state molto fortunate. Prima le sue squadre attaccavano sempre, difendevano molto poco e talvolta subivano troppe reti, adesso ho potuto vedere un Gasperini attendo alla fase difensiva, alla duttilità di molti giocatori, alla possibilità di modificare il suo schema di gioco sia in corso d’opera che fin dal primo minuto. Ho potuto constatare che non sempre Gasperini ha utilizzato il suo 3-4-3: ha utilizzato anche il 3-5-2 ed il 4-2-3-1 con Kucka spostato in attacco in versione Hamsik. Vrsaliko, Perin e Fetftatzidis stanno disputando un buon campionato: finalmente si torna a lanciare i giovani Condivido pienamente la sua tesi: come ho riferito prima Gasperini è stato molto bravo a dare a loro la fiducia. Molto importante sarà la loro continuità di prestazione e la voglia di mettersi in luce: i giovani devono essere lanciati, devono quindi giocare, le società devono avere coraggio, anche a costo di non vincere fin da subito. In Italia purtroppo regna in molte società la voglia di avere già giocatori pronti, non metto in dubbio la necessità di avere in rosa anche qualche giocatore collaudato ed esperto, ma i giovani devono essere parte integrante di una squadra. Mi ricordo che quando ero al

Qui Genoa Genoa vennero lanciati molti giovani tra cui Eranio, Sbravati, Spallarossa e Chiappino solo per citarne alcuni, tutti giocatori provenienti dalle giovanili. Dopo aver disputato alcune stagioni con la maglia del Genoa alcuni di questi hanno poi fatto una buona carriera nelle big, come Eranio ad esempio finito al Milan. Con l’arrivo di Gasperini, a cui Preziosi ha fatto firmare un contratto triennale, si può aprire un nuovo ciclo: il modello Udinese tanto acclamato da molti addetti ai lavori è possibile costruirlo anche qui a Genova? E’ un’operazione fattibile, l’Udinese è senza ombra di dubbio la squadra da prendere come modello: ha investito sui giovani negli ultimi anni sfornando tantissimi talenti che ormai tutti conoscono. Il Genoa aveva bisogno di una forte guida dalla panchina, un mister capace con cui aprire un nuovo ciclo: le basi a mio avviso ci sono tutte. Oltretutto il Grifone negli ultimi anni ha sfornato tantissimi talenti dalla primavera, uno su tutti El Shaarawy, ma anche altri grazie al duro e minuzioso lavoro da parte della società e da tutti gli addetti ai lavoro. Occorrerà però tenere i talenti sfornati dalle giovanili però questa volta, cercando di creare un progetto. E’ d’accordo? Sì approvo la sua idea, ma come lei saprà è duro reggere il confronto con le grandi. Il Genoa ora come ora non può competere con le grandi del calcio italiano, differenza tecnica, capacità economica, bacino di utenza, tanti sono i fattori che entrano in gioco. A mio avviso occorre investire molto sul settore giovanile perché questo ti può permettere di avere giocatori già in rosa senza spendere parecchi soldi per acquistarne altri. In questo modo ti puoi rendere competitivo. I procuratori possono rappresentare un problema per la crescita di un giovane? Sì, io non ho mai avuto un buon rapporto con gli agenti dei calciatori, non accetto il loro modo di vedere il calcio. Ormai un procuratore vede solo il guadagno economico il passaggio di un suo assistito da una squadra ad un’altra e non la crescita. A mio avviso un agente deve curare più il lato umano e professionale del calciatore. Lei ormai come mister è fermo da parecchi anni, ma ha molta esperienza in questo campo. Nelle ultime stagioni si sono lanciati tanti tecnici nuovi, da Montella a Stramaccioni, da Liverani a Gattuso solo per citarne alcuni. Trova che questa scelta sia giusta o azzardata? I tempi sono cambiati: quando ho iniziato ad allenare io di solito un allenatore aveva bisogno di fare molta gavetta partendo dalle categorie inferiori come la ex C2, la ex C1 ma anche l’Interregionale. Solo così ti potevi formare al meglio, acquisendo esperienza e facendoti conoscere. Adesso molti presidenti, magari attratti dalla possibilità di spendere meno oppure su suggerimento di ds, puntano su mister che da pochissimo tempo hanno appeso le scarpe al chiodo. La scelta forse è un po’ troppo azzardata, qualche volta può andare bene, vedi Montella, ma molte altre va male, vedi Gattuso, Stramaccioni per certi versi o Liverani. Tornando ai giovani, se dovesse suggerire qualche giocatore a Gasperini e Preziosi chi sceglierebbe? Direi il terzino albanese dell’Empoli Hysaj, classe 1994 che si è messo in luce sia la passata stagione che in questa: può giocare sia a destra che a sinistra, è dotato di grande dinamismo, fisicità e corsa. Sul giocatore c’è stato un forte pressing della Lazio in estate, ma alla fine è rimasto in toscana. Le racconto un aneddoto: fin dalla stagione 2010-2011 io avevo già segnalato che Verratti, allora al Pescara, fosse pronto per una big. Nel 2012 il giovane centrocampista passò poi al Paris St. Germain. Con questo voglio fare capire che quando si mettono gli occhi su un giovane che si sta mettendo in luce, occorre prenderlo subito altrimenti il costo del cartellino sale ed è dura per tutti acquistarlo, il caso Verratti ne è un esempio.

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Qui Sampdoria di Gabriele Lepri

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iego Anelli muove i primi passi nel mondo giornalistico grazie al settimanale sportivo “Minigoal”, collaborando dall’Ottobre 2000 al Gennaio 2007. Nel Novembre 2000 frequenta il corso per radiotelecronista sportivo diretto a Milano dal Dott. Ennio Vitanza. Nel settembre 2004 comincia a collaborare con il portale tuttalac.it, svolgendo il ruolo collaboratore ad hoc per servizi televisivi, e di inviato nelle seguenti piazze: Genova, Pavia, Sanremo, Pisa, Como, Massa. Nell’estate 2006 entra nel network TMW, occupandosi di Premier League per golmania.it e svolgendo la mansione di inviato per le gare casalinghe della Sampdoria nelle stagioni 2006-2007 e 2007-2008 per tuttomercatoweb.com. Nel Marzo 2007 si laurea a pieni voti in Economia e Commercio. Il 12 Novembre 2008 è l’ideatore di Sampdorianews.net, primo portale web interamente dedicato alla Sampdoria, del quale assume la carica di Direttore. Per la stagione 2008-2009 cura il “Punto sulla B” per goal.com. Nel marzo 2011 viene iscritto nell’Ordine dei Giornalisti Pubblicisti. Dall’estate 2003 sta portando avanti collaborazioni con siti specializzati negli sport da combattimento: in passato con RW.net, WM.it, WAW.net, 24oredisport.com e attualmente con TW.com. Ha partecipato come ospite alle trasmissioni calcistiche di Telenord, Telecity, Primocanalesport, Goal Tv, Liguria Tv, Telegenova. E’ stato intervistato da Radio 103, Radio Aversa, Radio Kolbe, Palla In Campo, Emgsport.net, Radio Stereo 5, Radio 19, Dahlia Tv, Telenorba, Radio Rosa, Radio Amore, Tuttobari.com, Tuttonocerina.com, Tuttohellasverona. it, Tuttojuvestabia.it, Tuttojuve.com, Telecity, Radio Nostalgia, Fcinternews.it, Radio Crc, Radio Fiesole, Superscommesse.it, Radio Sportiva. Ha scritto due editoriali per Tuttomercatoweb Magazine. Attualmente collabora con Radio 19, Primocanalesport e Radio Sportiva. Siamo oltre la metà del girone di andata, ti aspettavi un campionato così deludente per la Sampdoria? Lo spogliatoio come ti sembra? Nessuno poteva aspettarsi un inizio di stagione simile, nel quale sono emerse tutte le carenze strutturali dell’organico composto in estate. Lo spogliatoio ha finora dato segnali di grande compattezza, come dimostrato dai vari punti conquistati nei minuti finali, facendo ricorso al senso di gruppo e al cuore. Delio Rossi è stato esonerato: condividi la scelta? Viste le lacune dell’organico a mio parere il cambio alla guida tecnica poteva aveva senso esclusivamente se il gruppo fosse stato contro l’allenatore, cosa che, a mio modo di parere, non è mai accaduta, come dimostrato dalle numerose reazioni della squadra nei minuti finali, in svantaggio e talvolta anche in inferiorità numerica. In tanti si aspettavano però un contributo maggiore da un tecnico capace, esperto e di valore come Delio Rossi. La sua principale difficoltà è stata individuare un 11 tipo e un modulo da perseguire; il continuo cambio di uomini e schemi tattici hanno evidenziato non soltanto la carenza di alternative in rosa, ma anche la sua difficoltà a trovare il bandolo della matassa. La passata stagione Rossi salvò in maniera più che sufficiente la Samp, questo campionato invece e’ stato decisamente nero per il tecnico che è stato esonerato: quali le cause della sua involuzione? Gli errori in sede di mercato estivo, durante il quale i tifosi hanno dovuto assistere alla partenza di giocatori cardine come Poli e Icardi, al mancato arrivo di degni sostituti e dei tasselli necessari per colmare le lacune già emerse nel corso della passata stagione, sono sotto gli occhi di tutti. Va inoltre evidenziato lo scarso rendimento di elementi chiave, ben lontani dai loro standard, in primis Gastaldello in difesa, Krsticic e Obiang nel cuore del centrocampo.

«LA SALVEZZA E’ POSSIBILE, MA SERVONO RINFORZI» PER ANALIZZARE IL RENDIMENTO DELLA SAMPDORIA IN QUESTA PRIMA PARTE DI CAMPIONATO, PARLA DIEGO ANELLI, DIRETTORE RESPONSABILE ED IDEATORE DI SAMPDORIANEWS.NET Le cessioni di Icardi e Poli hanno indebolito la rosa dei blucerchiati: chi ne fa le spese è prima di tutto il mister,ma dati alla mano ha avuto una formazione molto più debole rispetto alla passata stagione. Cosa manca a questa Samp in rosa per essere competitiva? Oltre al recupero dei giocatori più importanti attualmente in rosa sicuramente alla Sampdoria servirebbero un portiere di affidamento, un esterno sinistro di ruolo e capace di svolgere in maniera adeguata entrambe le fasi, un centrocampista di qualità e almeno un attaccante in grado di andare in doppia cifra. Chievo, Sassuolo, Catania, Bologna e forse anche Cagliari sono indicate da molti addetti ai lavori le possibili squadre in lotta per non retrocedere, sei d accordo? Cosa ha in più ed in meno la Samp rispetto alle squadre sopra citate? A mio parere il Cagliari, tra le squadre citate, può essere destinato ad un campionato più tranquillo. Nella lotta per non retrocedere inserirei anche il Livorno, protagonista di un brillante inizio di campionato, ma destinato al mantenimento della categoria. La Samp rientra tra quelle formazioni solitamente non abituate a sudare fino all’ultimo secondo per restare in serie A, un obiettivo minimo che si è dato per scontato per tanti anni, e tale situazione può tramutarsi in un elemento a proprio sfavore. I blucerchiati possono però contare sulla volontà della società di non ripetere gli errori commessi tre anni fa, su un pubblico sempre al fianco della squadra e su alcuni giocatori di qualità che non hanno espresso tutto il loro potenziale. Krsticic, Obiang e Gabbiadini sono i giovani più talentuosi in grado di fare la differenza. La Sampdoria riuscirà a salvarsi senza problemi? L’obiettivo stagionale, sebbene ad un certo punto si aveva la sensazione che si potesse ambire a qualcosa di meglio e più consono al blasone della Sampdoria, era una salvezza tranquilla. Vista l’attuale situazione di classifica il fatto di raggiungerla senza patemi presenta non poche difficoltà. Saranno decisivi l’impatto del nuovo tecnico sul gruppo e in primis un’importante campagna di rafforzamento a gennaio. Capitolo portiere: ritieni giusta la scelta di puntare su Da Costa malgrado qualche incertezza? A mio parere anche la situazione relativa a Romero andava gestita meglio e con largo anticipo. Cedere il portiere argentino rappresentava una decisione corretta viste le numerose incertezze, ma da assumere nelle settimane precedenti. A molti Da Costa non dava grosse garanzie nella massima serie, era forse meglio optare su un portiere di maggiore esperienza come Sorrentino, o un giovane di valore. Sicuramente la Samp non si è affidata su un estremo difensore in grado di farti fare il salto di qualità e portarti a casa punti pesanti, ma, fino a questo momento al di là di qualche incertezza, è riuscito a limitare i danni e ha dovuto fare i conti con le frequenti amnesie dell’intero reparto difensivo. Sampdorianews.net compie cinque anni:siete ormai una solida, precisa ed ottima realtà presente sul web. Quali sono le novità di questa stagione e quali saranno le prossime? Ed il passo più importante per il sito quale e’ stato? Il 12 novembre Sampdorianews.net ha compiuto 5 anni. Gli arrivi di Fabio Bazzani ed Enzo Tirotta, ai quali in estate si era aggiunto anche Beppe Iachini, in qualità di opinionisti rappresentano le novità più prestigiose della stagione, senza dimenticare il continuo processo di crescita di Sampdorianews.net sul fronte delle sinergie con media locali e nazionali, come Primocanalesport, Radio19, Radio Sportiva, Radio Number One e Qlub Radio Roma. Essere presenti in tv e in radio con trasmissioni e interventi è fondamentale ai giorni nostri. Non si smette mai di imparare e migliorarsi, stiamo lavorando su alcune novità per i prossimi mesi, sono sorprese e, in quanto tali, non possono essere svelate, ma i lettori non saranno mai delusi. Quando anni fa Francesco Flachi, uno dei giocatori più amati e forti della storia blucerchiata, accettò di collaborare con noi, abbiamo vissuto le giornate più felici della nostra attività.

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INCANTATIONS

FOTOGRAFIA - SPAZIO ARTE NEL CUORE DEL CENTRO STORICO, PER CHI AMA LA FOTOGRAFIA E L’ARTE... di Alessandra Cevasco e Davide Marino

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ono trascorsi ormai più di sei anni da quel 29 settembre 2007, quando, nei locali di un ex negozio di alimentari inaugurava la sua attività lo Studio Incantations; la sua nascita segnò un’ulteriore importante passo avanti nella riqualificazione del centro storico, un piccolo tassello nel recupero di un universo di bellezza che rende onore alla nostra meravigliosa città.

Sin dall’inizio lo studio si è proposto di essere un punto di riferimento nella condivisione delle pratiche e delle riflessioni artistiche, in particolare la fotografia. Attraverso le esposizioni, gli scambi culturali e gli incontri a tema si è creato un cammino “evolutivo” di conoscenza attraverso il fare immagine, che ha coinvolto nel tempo artisti di diverse

nazionalità che hanno fatto conoscere i loro lavori e parlato dei loro percorsi creativi, in uno stimolante clima di incontri e collaborazioni. “Crediamo moltissimo nel valore dell’arte come via alla realizzazione di se stessi: il nostro percorso artistico è perfettamente integrato con quello esistenziale, e lo Studio Incantations potrebbe essere definito come la nostra opera maggiore, che si fa contenitore di altre opere, relazionandosi con i linguaggi più diversi.” Le finalità principali del nostro studio sono orientate alla divulgazione e comprensione del linguaggio fotografico in tutti i suoi aspetti attraverso attività diversificate: - Creazione di immagini e progetti fotografici di taglio artistico. Lo studio collabora con privati ed istituzioni

Sala espositiva (Foto Studio Incantations)

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Alessandra Cevasco e Davide Marino (Foto di Paolo Menichini) pubbliche realizzando servizi su richiesta delle committenze. Inoltre, Davide e Alessandra, entrambi autori, hanno un loro percorso artistico ed espongono periodicamente le loro immagini nello studio o in altri spazi, in Italia e all’estero.

Quindi é sicuramente documentazione, ma anche Arte. Certamente, in una società sempre più dominata dal potere dell’immagine, la fotografia artistica ha, per ogni singola persona che le si accosta - autore o fruitore - un valore che ci sentiamo di definire “terapeutico”. Alle immagini artistiche è affidato il compito, più che mai necessario, di farsi poetico contraltare ad una tendenza conformista e de-strutturante, tipica di certi modelli visuali della nostra contemporaneità.

Dal progetto “Le acque del fiume Lethe” Foto di Davide Marino

- Esposizione di mostre a carattere autorale di altri fotografiartisti. Le esposizioni sono un aspetto importantissimo dell’attività dello studio. Attraverso di esse ( lo studio ha organizzato più di quaranta eventi ) si crea un’interessante cerchio di conoscenza tra gli autori, e tra questi ultimi e i fruitori dello spazio. Le esposizioni artistiche sono inoltre un’opportunità di acquisto, per collezionisti e appassionati, di opere di autori importanti ed emergenti. - Insegnamento dell’affascinante percorso creativo della fotografia attraverso corsi personalizzati per ogni livello di preparazione tecnica. La conoscenza del mezzo fotografico, lo studio accurato della composizione, la lettura profonda dell’immagine e la comprensione degli artisti e delle loro scelte stilistico-creative. I corsi dello Studio Incantations prevedono sessioni diversificate per adulti e ragazzi, e incontri-workshops per gli allievi con autori importanti del panorama artistico contemporaneo. Inoltre lo studio propone un eccellente servizio di stampa fine-art di fotografie e relativo montaggio per tutti gli autori che intendono esporre il proprio lavoro con il massimo della qualità, o per i fotoamatori che desiderino avere stampe su supporti di pregio. Oggi la tecnologia ha portato in tutte le case la possibilità di scattare fotografie, perfino con il proprio telefonino. Ma forse manca la consapevolezza dell’importanza di ogni singolo scatto effettuato, perché la fotografia ferma il trascorrere del tempo e fissa per sempre la storia della nostra vita attraverso il nostro personale modo di sentire.

INFORMAZIONI

Vico San Giorgio 9-11r 16123 Genova - Tel. 010 2091855 www.incantations.it info@incantations.it

Dal progetto “Le acque del fiume Lethe” Foto di Alessandra Cevasco

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LO SAI CHE...??? UN PROGRAMMA CHE PIACE PER UNA TV INTELLIGENTE CON PINO LOTUS E ANTONELLA RAIMONDO, UN SUCCESSO DI ANTENNA BLU, OGNI LUNEDÌ ORE 20.

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ncontro con i conduttori entusiasti per il successo, ci raccontano come è nato il programma? Dalla mia esperienza nel mondo radiotelevisivo ho notato e verificato più volte che i programmi sono sempre stati costruiti pensando fortemente

alle aziende sponsor e al famoso famigerato odience. Ideando “lo sai che..?.” ho cercato di pensare ad un pubblico che apprezzi una tv di qualità, intelligente e costruttiva , quindi di grande impatto ricettivo, e per questo ritengo che il programma abbia tutti i requisiti per essere anche di interesse commerciale, potendo contare su un pubblico fidelizzato. Proprio perchè lo voglio sottolineare il nostro pubblico non si perde neanche una battuta, anzi in redazione arrivano costantemente richieste sugli argomenti.

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In Genova Promotion E tu Antonella come stai vivendo questa esperienza? Quando Pino mi ha proposto questo programma mi è piaciuto in quanto l’ho ritenuto un programma geniale nella sua semplicità. E se avessi avuto dei dubbi i miei figli guardando il programma hanno detto brava mamma, con questo ho capito di aver fatto centro... Che esperienza hai nel campo della televisione? Sinceramente nessuna in quanto ho solo recentemente ripreso la mia attività come fotomodella che mi ha permesso di apparire in alcuni spot pubblicitari, poi ringrazio Pino di avermi dato fiducia e di questo ne sono soddisfatta. Le scenografie sono molto essenziali e sembrano funzionali. Certo che il successo del programma non si limita solo ai conduttori ma anche a chi dietro le quinte pensa lavora e cerca di rendere funzionale la trasmissione , è stata una bellissima scoperta la collaborazione con Francesca Gobello che segue la regia e Gianiuca Arata il quale è stato di grande aiuto per strutturare la scenografia e con loro è stato fatto un ottimo lavoro di equipe, studiare i modi di conduzione tempi, scelte della musica ed immagini.

Il programma in cosa consiste? Innanzi tutto ho pensato ad una durata breve circa l0 minuti in modo da non annoiare o far usare il telecomando al telespettatore. In ogni puntata si tratterà un argomento specifico ad esempio lo sport andando a cercare tutte le curiosità del mondo e gli interrogativi, come scienze, politica, storia, attualità, gossip, moda, cinema e tanti altri argomenti. Sperando che questo programma possa intrattenere a lungo. Perchè hai scelto come compagna Antonella Raimondo? Be sarebbe facile dire per la sua bellezza però quello che mi ha colpito è stata la sua voce, che mi ha permesso di caratterizzare il programma... e poi il suo sorriso e la simpatia che è immensa.

Quindi grande motivazione per “Lo sai che...?”? Si certo, abbiamo iniziato questa produzione per passione e quasi per gioco, il pubblico ci ha confortato nell’apprezzarlo oltre a quello mi ha dato molta soddisfazione il riconoscimento degli addetti ai lavori e soprattutto da editori di gruppi televisivi, è mia intenzione volontà comunque di proseguire la striscia dei programmi su Antenna Blu quale sigillo di partenza di questo progetto. Da cosa nasce la vostra armonia che traspare sullo schermo? Tra di noi non c’è assolutamente antagonismo, anzi cerchiamo di aiutarci nella conduzione in quanto sappiamo benissimo quali sono i nostri compiti. Quali sono i programmi futuri? Domani andare in studio per registrare una nuova puntata di cui non vi dico l’argomento, anzi invito tutti i lettori a sintonizzarsi su Antenna Blu del digitale terrestre canale 16 lunedì ore 20 oltre le repliche settimanali ed invito di nuovo i lettori tramite la vostra redazione a suggerici dei nuovi argomenti.

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INCONTRIAMO IL SIG. GIANCARLO STASI, FIGURA NOTA SUL MERCATO IMMOBILIARE GENOVESE VISTA LA SUA ESPERIENZA TRENTENNALE

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om’è il mercato immobiliare attualmente ? Il mercato della casa sembrava sul punto di crollare, le compravendite sono calate vertiginosamente e la crisi economica che stiamo attraversando spinge gli italiani a tergiversare sulle spese consistenti. Altro fattore determinante per questo calo delle vendite è la diminuzione dei mutui erogati. Per finanziare l’acquisto della casa le banche ormai chiedono sempre maggiori garanzie. Cambia il profilo dei nuovi richiedenti dei mutui, attualmente cresce il peso della domanda da parte degli over 55, in quanto hanno una maggiore stabilità redditizia. Per quanto riguarda i prezzi? I prezzi degli immobili sono calati e la discesa dei prezzi sembra destinata a proseguire. La sfiducia dei potenziali acquirenti italiani per quanto riguarda la politica fiscale non aiuta a risollevare il mercato. Si apre quindi il mercato ai “nuovi ricchi”, per esempio ai russi, che hanno spostato la propria residenza fuori dalla Russia e che apprezzano le

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tradizionali mete turistiche di lusso come Sardegna, Toscana e Liguria. Quindi totale sfiducia? No, non dobbiamo considerare il mercato morto, si tratta solo di agganciare la ripresa che in questo momento è in atto in altri paesi, come negli Stati Uniti. Il 2012 è stato veramente catastrofico, ma oggi il mercato sembra rialzare timidamente la testa. Forse il fondo è stato toccato e verso il 2014 riusciremo a vedere i segni positivi.

AGENZIA IMMOBILIARE RE SOLE Via XXV aprile 131 16030 Pieve Ligure - Genova www.agenziaresole.it agenziaresole@gmail.com 347.92.130.61 010.346.00.05

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SCIMISCIÀA,

NEGLI ANNI NOVANTA È STATO RECUPERATO UN VITIGNO STORICO, CHE OGGI È ENTRATO A FAR PARTE DELLA DOC GOLFO DEL TIGULLIO-PORTOFINO

DAL PASSATO AL PRESENTE di Virgilio Pronzati

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egli anni Ottanta il contesto ampelografico ligure comprendeva ben 39 varietà di vitigni tra raccomandati e autorizzati, così suddivisi: 13 a La Spezia, 11 a Genova, 9 a Savona e 6 a Imperia. Oggi i vitigni sono 30 (16 a bacca bianca e 14 a bacca nera) e non sono più vincolati a restrizioni provinciali, a meno che non compongano i vari vini Doc. I vitigni sono un po’ come le persone: ci sono quelli cosiddetti «intelligenti», capaci cioè di dar vita a vini dal profumo composito e buona struttura, e quelli cosiddetti comuni, da cui derivano vini più semplici ma piacevoli. L’ampelografia mondiale racchiude oltre 7 mila vitigni/uve suddivisi tra quelli da vino e quelli da tavola. Come succede da un po’ di tempo in quasi tutte le nostre regioni, anche in Liguria c’è stato il recupero di antichi o desueti vitigni. Tra questi, dopo averne vinificato piccole quantità di uve (micro vinificazioni) e ripetute analisi chimiche e organottiche, il raro Scimiscià: un vitigno originario della Val Fontanabuona che, nel passato, dava i migliori bianchi locali e migliorava anche i mosti fatti con

varie uve. Il suoi primi vini erano da tavola, poi IGT ed oggi finalmente Doc, entrando a far parte della Doc Golfo del Tigullio-Portofino. Sconosciuto ancor oggi al di fuori del Genovesato, il Scimiscià godeva di buona popolarità e reputazione già da alcuni secoli in Val Fontanabuona, ma le uniche testimonianze scritte su questo vitigno, risalgono alla metà dell’Ottocento. G. B. Arata ne scrisse nel bollettino agrario del febbraio 1882, citando che tra i vari vitigni presenti nel circondario di Chiavari, oltre i già noti Vermentino e Albarola, c’era il Scimiscià, chiamato allora Cimiciato. Altre informazioni ci vengono da C. Garibaldi, proprietario terriero di Pontori, in Valgraveglia. Nei suoi “Ricordi al Padrone e Doveri da Manenti” scritti tra il 1802 e il 1822, annota”…non ti scordare la Moscatella, Vermentino, e Cimixiaro che (l’uva) la fan migliore”. “Le vigne principali da coltivarsi in Garibaldo sono le Brazole, Rolli, uve bianche, Pignoli, uve nere e, Bessari, che ne fan molte. Ma le migliori di sapori, che però ne fan poca, sono le Moscatelle, che van coltivate al sole e non confuse colle altre vigne perché seccano, Vermentino, Cemixiaro, Boccadoro, Augustana”. Il recupero del vitigno risale al finire degli anni ’90. Dai vecchi filari di Scimiscià o Simixià donati da Marco Bacicalupo, per anni portabandiera e pioniere del Simixà, la Cooperativa Agricola San Colombano, per mezzo dell’agronoma Silvia Dellepiane, e lo studio (ampelografico) di Lorenzo Corino, docente dell’Università di Agraria di Torino, è stata fatta una piccola quantità di vino, di cui i risultati sono stati molto positivi. In seguito, con un certosino lavoro durato oltre un lustro, fatto con reimpianti sperimentali e ricerche clonali, è stato possibile far iscrivere il Simixà al Registro nazionale dei vitigni, presso il Ministero Politiche Agricole e Forestali. Nel 2003, promossa dalla Comunità Montana Fontanabuona

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Enogastronomia nell’ambito del locale Expo, si è tenuta una presentazionedegustazione di Simixà secco e passito, nella quale sono emerse testimonianze dirette sul vitigno e sul vino, e la conferma della qualità dei Scimiscià o Simixià degustati. Nel 2005 col contributo economico della Provincia di Genova e la costituzione del Comitato Promotore per il Recupero e la Valorizzazione del Patrimonio Varietale di Vite del Genovesato, costituito dalla stessa Provincia, dalla Comunità Montana Fontanabuona, dalla Cooperativa Agricola San Colombano, dagli agriturismo Da u Cantin e Valle Chiappella di San Colombano e dall’azienda agricola Nervo di Coreglia Ligure, c’è stato un decisivo passo avanti nella valorizzazione e diffusione del Scimiscià. Dai fondi erogati per il progetto, furono acquistati 2000 portinnesti “1103” Paulsen (in seguito innestati, in quanto le marze di Scimixà del vigneto di Cassottana presentavano delle virosi). Seguì l’impianto di barbatelle distribuite all’azienda agricola e ai due agriturismo. Dopo quattro anni le prime uve di Scimiscià, vinificate per tre annate dal dr Giancarlo Stellini, enologo e Responsabile dell’Ufficio “Promozione territoriale - Agricoltura” della Provincia di Genova. Il più era fatto. Oggi i pochi produttori realizzano, tempo permettendo, buoni vini. Dall’esame del DNA è emersa un’interessante scoperta. l’analisi genetica per la caratterizzazione varietale, impiegando 11 microsatelliti, ossia studiando altrettanti punti del genoma soggetti a frequenti variazioni. In aggiunta a questi, ne sono stati valutati altri 33, per un totale di 44, al fine di eseguire un’identificazione clonale nell’ambito della popolazione di Scimixà o çimixà, in quanto tale varietà presentava due biotipi: con grappolo grande e grappolo piccolo. Confrontando il DNA dei due vitigni, è emerso che essi sono diversi tra loro, ma che il profilo genetico del Scimixà coincide con quello della varietà “Genovese”. Un vitigno collezionato in Corsica (Aleria) da un anonimo ricercatore dell’Università di Davis in California. Una scoperta che ha basi accreditate: infatti la Corsica appartenne a Genova per ben 421 anni.

ECCO ALCUNI ASSAGGI DI SCIMISCIÀ FATTI IN ANNI DIVERSI Scimiscià (Simixà) 1978 - Alcol: 13,5% - Produttore Marco Bacicalupo Alla vista è limpido, di colore giallo oro antico con riflessi ambrati. Al naso si presenta intenso e persistente, ampio, abbastanza fine, con sentori di miele di castagno e lievi di confettura di albicocca, cedro e arancia canditi. In bocca è secco, poco fresco ma piacevolmente sapido, caldo, con lievissima vena tannica, di buona struttura e molto persistente. Evoluzione: pronto. Degustato nel settembre 1983. Scimiscià 2002 - Alcol: 12% - Prodotto da Silvia Dellepiane Alla vista è molto limpido, di colore giallo paglierino scarico con lievi riflessi verdolini. Al naso si presenta intenso e persistente, fine, abbastanza ampio, con sentori di nocciola fresca e, lievi, di pesca bianca non ancora matura e sottobosco. In bocca è secco, fresco e sapido, delicatamente caldo, discretamente pieno, continuo. Di buona armonia. Scimiscià Passito 2002 - Alcol:15,4% - Prodotto da Silvia Dellepiane e Lorenzo Corino Alla vista è limpido, di colore giallo dorato intenso con lievi riflessi ramati. Al naso è intenso e persistente, fine, ampio, con netti sentori fruttati (vi si coglie la mela cotogna e la pesca bianca giustamente mature) e, lieve, di seme di pesca. In bocca è dolce ma fresco e sapido, caldo, pieno, continuo, di ottima persistenza aromatica. Evoluzione: giovanissimo. Entrambi i vini sono stati assaggiati nel 2003 con Silvia Dellepiane e Adriano Silvestrin nella Sala Assaggi della Camera di Commercio di Genova. Sentè Vino Bianco 2012 - Alcol: 12,5% - Prodotto da U Cantin Alla vista è cristallino, di colore paglierino molto scarico con netti riflessi verdolini. Al naso si presenta sufficientemente intenso e persistente, abbastanza fine, con sentori floreali e fruttati di fiori di sambuco ancora verdi, mela e pera appena mature, e lieve di paglia. In bocca è secco, fresco, sapido, delicatamente caldo, di equilibrata struttura, discretamente persistente, con fondo sapido-amarognolo. Retrogusto: vena sapida e note floreali e fruttate. Evoluzione: giovane. Degustato nella primavera del 2013 Maccaia Vino Bianco Dolce 2010 - Alcol: 123,5% - Prodotto da U Cantin Alla vista è limpido, di colore ambrato carico con nuances rosa-ramate. Al naso si presenta discretamente intenso, persistente e fine, con sentori floreali, fruttati, e vegetali di fiori di tiglio appassiti, albicocca essiccata, marmellata di cotogna, miele di castagno, e lieve di agrumi ed erbe aromatiche. In bocca è dolce ma non stucchevole, fresco, sapido, caldo, con piacevole vena tannica, di buon corpo, abbastanza persistente, con fondo dolce-amarognolo. Retrogusto: vena dolce e note floreali, fruttate e vegetali-balsamiche. Evoluzione: giovane. Degustato nella primavera del 2013 L’Antico Colline del Genovesato IGT - Alcol: 13% - Prodotto da Cantina Bisson Alla vista è cristallino, di colore paglierino con netti riflessi verdolini. Al naso si presenta abbastanza intenso e persistente, fine, con sentori floreali, fruttati e vegetali di fiori d’acacia e pesco, cedro e limone ancor verdi, e lieve d’erbe di montagna. In bocca è secco, fresco, molto sapido, un po’ minerale, caldo, di buona struttura, e persistenza, con fondo sapido-amarognolo. Retrogusto: vena sapida e note floreali, fruttate e vegetali. Evoluzione: giovane. Degustato nell’estate del 2013

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La Boutique Valoncini nasce a Genova, per antonomasia luogo di radicate e profonde tradizioni. L’ormai pluriennale esperienza nella pelletteria d’eccellenza, l’abilità e la passione degli artigiani “Made in Italy” hanno consolidato il legame del marchio con la propria città, dentro e fuori il suo rigido confine, diffondendosi quale sinonimo di gusto e raffinatezza. L’attitudine al cambiamento, la sinergica fusione di forma e colore sono in costante elaborazione e perfezionamento per assecondare anche le esigenze di un pubblico giovane ed eterogeneo, ma pur sempre ambizioso e sofisticato. In un contesto storico sempre più caratterizzato dalla diffusione di massa, Valoncini propone e si distingue: qui si trova lo spazio dove esaudire le proprie richieste, ogni oggetto può essere rielaborato e “costruito ad hoc” per diventare unico ed insostituibile. La progettazione avviene in esclusiva, i materiali sono selezionati attentamente e sempre di alta qualità, senza però rinunciare a quel tocco di eclettismo un po’ glamour in grado di trasformarli in oggetti preziosi ed originali, anche da collezione. L’accessorio e la borsa come la cartella ufficio e l’inconfondibile set da viaggio, sono rivolti ad un pubblico maschile e femminile affezionato alla pratica eleganza, da indossare ed abbinare, che da sempre contraddistingue il marchio Valoncini. 71 INGENOVA Magazine

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In Genova Promotion

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IL PRESEPE DI ELLERA

L’ORIGINALE PRESEPE DI EZIO LORENZI REALIZZATO NELLA FRAZIONE DI ALBISOLA SUPERIORE, SUL SAGRATO DELLA CHIESA PARROCCHIALE DI BARTOLOMEO

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Medaglia d’oro -, Portfolio, GAZZAROLI Claudio.

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Sotto il mare

A GIUSEPPE PICCIOLI RESTA IL PRIMO PREMIO PLONGEURS D’OR E IL PRIMO PREMIO MALACOLOGIA. SUGLI SCUDI ANCHE I DOCUMENTARISTI DANIELE IOP, MANFRED BORTOLI E MASSIMO BOYER E ROBERTO RINALDI PER “U455”

Medaglia d’oro, “Serie Tematiche”, PICCIOLI RESTA Giuseppe.

di Ilva Mazzocchi Foto Gianni Risso - www.apneaworld.com

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er la 40° edizione del Festival Mondial de l’Image SousMarine si sono incontrati a Marsiglia dal 31 ottobre al 3 novembre migliaia di appassionati provenienti da una cinquantina di nazioni, ed è stato un vero trionfo per la qualità e la quantità delle immagini presentate. Va subito reso onore agli organizzatori: Nausicaà, la Città di Marsiglia e la Federazione Francese Attività Subacquee. Puntuale e brillante, come sempre, la regia del Presidente Philippe Vallette e del direttore organizzativo Remi Attuyt. Sono state presentate migliaia di immagini per le quindici diverse tematiche dei concorsi che mettevano in palio un monte premi che ha superato i 35.000 euro. Ma il premio più bello per tutti è stato partecipare di persona per vivere la magica atmosfera del festival più bello e importante del mondo sottomarino. Grandi onori anche per gli italiani in concorso che hanno conseguito prestigiosi successi, secondo una decennale tradizione. Nel dettaglio segnaliamo i risultati più eclatanti:

“SERIE TEMATICHE DI 5 IMMAGINI”

1° premio Plongeurs d’Or a Giuseppe Piccioli Resta, secondo Domenico Roscigno e terzo Stefano Gradi. Stampe a colori, 1° il belga Bruno Van Saen, secondo il nostro Adriano Morettin.

PREMIO MALACOLOGIA

1° Giuseppe Piccioli Resta. Premio Ocean Geographic Meduse a Domenico Roscigno a pari merito con Werner Thiele.

Medaglia d’oro, ”Serie Tematiche”, PICCIOLI RESTA Giuseppe.

Medaglia d’oro, Portfolio, GAZZAROLI Claudio

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Sotto il mare

Medaglia d’oro, Portfolio, AZZAROLI Claudio.

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e Liguria magazine

Nei “cortometraggi” i noti documentaristi italiani Daniele Iop, Manfred Bortoli e Massimo Boyer, noto biologo marino di Savona hanno vinto la Palme d’Argent con il filmato “The trip” alle spalle della giapponese Ida Akihiko. Alessandro De Rossi e Federica Botta hanno vinto il premio Paul Ricard. Grande soddisfazione anche per Roberto Rinaldi, autore delle riprese subacquee del bel lungometraggio “U455” di Stéphane Begoin Zed (Francia) vincitore della Palme d’Or. Fra gli altri risultati da segnalare il Plongeur d’Or per gli audiovisivi al belga Luc Eeckhaut e il premio speciale della giuria al film Coelacanthe di Laurent Ballesta. L’Italia era presente anche con due stand: quello della nostra rivista In Genova e Liguria Magazine e www.apneaworld.com dove

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Sotto il mare abbiamo incontrato tanti VIP e amici fra i quali Daniel Mercier, Philippe Vallette, Martin Razi, Dominique Serafini, Frederic Di Meglio, Jean Michel Mille, Enrico Porfirione, Paolo Curto, Patrick Mouton, Remi Attuyt, Michael Aw, Blaise Schollenberger, Ariel Fuchs, Franco Capodarte, Settimio e Giordano Cipriani, Alberto Muro Pelliconi. Fra le novità più importanti presentate ricordiamo una sbalorditiva scafandratura per due telecamere in grado di fare riprese subacquee in 3D, resistente fino alla profondità di 150 metri, progettata dall’operatore subacqueo Roberto Rinaldi e realizzata dalla ditta Seacam. Degna di nota anche una nuova maschera munita di un innovativo sistema di ripresa e monitor 3D.

Nella foto a fianco: medaglia di bronzo, “Serie Tematiche” GRADI Stefano. Qui sotto: medaglia di bronzo, “Serie Tematiche” SCHMOLKE Uwe.

Medaglia di bronzo, Porfolio, SCHMOLKE Uwe.

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magazine

Medaglia d’argento, “Serie Tematiche”, ROSCIGNO Domenico. Medaglia d’argento, LECOEUR Grégory.

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Medaglia d’argento, “Serie Tematiche”, ROSCIGNO Domenico.

Sotto il mare

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Medaglia di bronzo, “Serie Tematiche�, GRADI Stefano. 124 INGENOVA Magazine

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Sotto il mare

Medaglia d’argento, Portfolio, LECOEUR Grégory.

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IRENE BERZERO

GIUSI DIMASI (make-up artist) FABIO & ANGELA (hair styling) AMICHE DI CLASSE (stylist)


FOTO DI

AGENZIA BMPRODUZIONI

MARCELLO RAPALLINO

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P O ST S CRI PTUM

LE PAROLE SONO importanti, diceva

un premiato regista italiano in un premiato film. Le parole sono importanti. E se c’è una cosa che fa saltare la mosca al naso ai puristi nostrani è la diffusione endemica di termini stranieri, in gran parte anglosassoni – ho retwittato il link di un blog, per dire – nei nostri ameni discorsi quotidiani. Al netto di mode e manie, probabilmente è un processo inevitabile. Tant’è che qualche mese fa aveva fatto scalpore, ma neanche troppo, la decisione del Politecnico di Milano di tenere direttamente in inglese le lezioni del biennio magistrale. E c’è una scusante: l’inglese è la lingua con più vocaboli al mondo, circa mezzo milione, e tanti termini sono piuttosto difficili da tradurre in modo univoco. Senza contare la forza dello slogan. Prendiamo smart, ad esempio. Che può significare intelligente, sveglio, astuto, abile, o un misto di tutte queste cose insieme. Così, anche sotto la Lanterna si chiama Genova Smart City l’associazione – nata da una partnership tra Comune, Università di Genova ed Enel Distribuzione - che si occupa di rendere più “intelligente” la città; ma anche più sostenibile, più innovativa, più attenta all’uso dell’energia e delle risorse. Le smart cities, si sente ripetere in continuazione e non a torto, «sono il futuro». Gli obiettivi, i soliti: il venti-venti-venti del protollo di Kyoto, la crescita, l’occupazione, il sostegno alla ricerca. Funziona? Pare di sì. A maggio scorso le azioni “smart” approvate – portate a termine o in dirittura d’arrivo – erano circa settanta, ma aumentano di giorno in giorno. Complice la presenza di aziende innovative e strutture d’eccellenza come l’Istituto Italiano di Tecnologia, Geno-

va si sta affermando come una delle realtà più attive sotto questo profilo. Finanziamenti ingenti stanno per arrivare in seguito a un importante bando europeo. E in questi giorni si è concluso lo Smart City Expo World Congress di Barcellona, dove la città ha diviso un padiglione con Milano e Torino. Una riedizione moderna del triangolo industriale, una tappa importante verso la Genova di domani, la Genova che funziona, appunto... ...e poi c’è l’altra faccia della medaglia, che non è scandita da parole inglesi, ma da tanto dialetto stretto e rabbioso. Associare la parola “smart” a una Genova stravolta dalla questione Amt, che ribolliva nel calderone da mesi se non da anni in attesa del prevedibile punto di rottura («come un incidente al rallentatore») è impresa improba. Città paralizzata per cinque giorni, consiglio comunale invaso, vigili urbani all’ospedale per contusioni, busta con proiettile al presidente Ravera, accordo raggiunto in extremis nella notte («Ma tanto fra sei mesi saremo daccapo», ha chiosato Enrico Musso). Una situazione difficile e gestita, per un usare un pietoso eufemismo, non propriamente al meglio da nessuna delle parti in causa. Ghiotto miele per politici in cerca di visibilità, ça va sans dire; e ghiotto miele anche per chi avrebbe la tentazione di fare una facile morale sulla città che va avanti e quella che resta indietro, o sulla distanza tra il trasporto pubblico e la ricerca privata. Eppure si stenta a credere che sia davvero così difficile far convivere l’eccellenza con il rispetto di valori e impegni fondamentale. Piuttosto, il sospetto è che «le due velocità» siano, soprattutto, quella della politica del proporre e della politica del procrastinare. Giordano Rodda giordano.rodda@gmail.com

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