Storie di Questo Mondo Anno 2 Numero 4

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Troppe storie sembrano storie dell’altro mondo, ma lo spazio in cui accadono è qui e ora. periodico di culture migranti e dell’accoglienza

trimestrale del Consorzio Connecting People - reg. trib. di Trapani N° 323 del 17/07/2009 - distribuzione gratuita

anno 2 - N° 4 - SETTEMBRE 2010

L’educazione interculturale: gli stranieri e l’inserimento nella scuola italiana INTERVISTA conversazione con Gianpiero Dalla Zuanna

PROGETTI

Piccoli Comuni Grande Solidarietà, l’inserimento dei rifugiati a San Lupo

DoSSIER Report della presentazione del Pacchetto Integrazione Scopri i contenuti multimediali direttamente sul tuo smartphone con il QR Code


editoriale 1 La scuola di oggi è l’Italia di domani di Giuseppe Scozzari

dossier 2 Mettiamo le ali all’integrazione di Serena Naldini

intervista 8 Colmare le disuguaglianze. Una lotta per la modernizzazione dell’Italia di Serena Naldini

punto di vista 12 Alunni di origine straniera ed educazione interculturale di Abdelkarim Hannachi

oltremare 16 “La matita del buon Dio non ha la gomma” di Alessandra PIcciolo

progetti 18 Piccoli comuni, grande solidarietà di Giorgio Gibertini

progetti 20 Ascoltare le storie per capire di Sebastiano Pomona

progetti 21 A me piace andare a scuola di Monica Di Gioia

incontri 22 A scuola d’integrazione tra Gradisca e Sagrado di Ndamnsah Blaise Nkfunkoh

news 24 Notizie e curiosità

settembre 2010

da Acireale (Ct), Kiev, Roma

Editore/proprietà Consorzio Connecting People

Coordinamento editoriale Serena Naldini, Salvo Tomarchio

Direttore responsabile Giorgio Gibertini

Progetto grafico e illustrazioni Giancarlo Ortolani / Tribbù

press 27 Rassegna stampa di Connecting People di Salvo Tomarchio

media connecting 28 Recensione di “Fratelli d’Italia?” di Serena Naldini

Impaginazione e stampa Studio Tribbù di Coop. Soc. Sciarabba Via Dafnica 90, 95024 Acireale (CT)

In redazione Francesco De Maria, Monica Di Gioia, Aurora Giardina, Giorgio Gibertini, Abdelkarim Hannachi, Serena Naldini, Ndamnsah Blaise Nkfunkoh, Alessandra Picciolo, Sebastiano Pomona, Susanna Rognini, Alessandra Santopadre, Salvo Tomarchio.

Se hai una storia da raccontare, se vuoi segnalare progetti, idee o esperienze, se desideri indicare destinatari che vorresti ricevessero il nostro periodico, puoi inviare una email a: sqm@cpeople.it


La scuola di oggi è l’Italia di domani

Giuseppe Scozzari Presidente Connecting People

Parlo da educatore ma anche da padre e sono assolutamente convinto che l’esperienza scolastica sia determinante per costruire l’uomo e la donna del domani. La società tutta è fortemente legata a ciò che si impara nei banchi scolastici e oserei dire che da quella posizione possiamo fare una previsione di ciò che sarà l’Italia di domani. Non so quanto ne siano consapevoli tutte le parti sociali, quanta attenzione e quale priorità venga data da questo o da quel governo. Fatta questa analisi non vorrei puntare solo l’attenzione sulla parte esterna, ma anche sugli operatori scolastici che dovrebbero leggere la realtà e con questa misurarsi per confrontarsi e per creare uomini e donne che sappiano affrontare le sfide di ogni giorno e del futuro. La realtà sociale oggi è sicuramente molto frammentata, poliedrica. L’intercultura è di fatto già esistente, ma per non banalizzare le cose bisognerebbe dare un contenuto alle parole: solo così nascono dei valori che rimangono indelebili in ognuno di noi. Dico di dare contenuto perché all’accezione della frammentazione e del relativismo si dà solo una componente negativa, come se i nostri ragazzi fossero disorientati e astratti, ma così non è. Hanno una passione per la verità e per il confronto che non ha sorgente che li può dissetare;

l’evento formativo curriculare non basta, bisogna farsi carico tutti e bisogna sostenere la famiglia da tutti i punti di vista. La realtà interculturale, anche se tanto disprezzata è già presente; schernirla, non valorizzarla sarebbe un grosso errore, ma soprattutto andrebbe contro i ragazzi stessi che la desiderano e a modo loro la stanno interpretando. Bisogna dare strumenti e spazi per poter affrontare l’argomento, ma non chissà quali cose o alchimie. Bisogna dare soluzioni semplici, condivise e attuali; parlo di formazione ai docenti, di mediatori nelle classi, di ambienti educativi dove formarsi anche in modo leggero e dove attraverso la conoscenza dell’altro la diversità smetta di fare paura. Oggi tutto questo è inarrestabile e chiudere gli occhi sarebbe un boomerang che prima o poi ritornerà con gravi conseguenze. Noi ci abbiamo messo il naso e come sempre cerchiamo di aprire un ragionamento che non si esaurirà oggi, ma vuole essere in continua evoluzione. Abbiamo visto in questi anni ragazzi che, da esclusi dal sistema scolastico, in quanto non si sentivano né italiani né stranieri, sono poi diventati attori, e adesso continuano serenamente il loro cammino. Questi tipi di interventi devono essere programmati: non sarà una mano invisibile a poterli decifrare e risolvere nella giusta direzione. Buon lavoro a tutti.

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dossier

Mettiamo le ali all’integrazione Presentato il Manifesto per un Pacchetto Integrazione di Connecting People di Serena Naldini Trascrizione interventi a cura di Salvo Tomarchio Foto: Studio Tribbù

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e persone hanno bisogno di orizzonti di senso, di figurarsi come sarà la vita nel futuro. E allora ci si allena a scrutare lontano, al lungo periodo; lavoro duro che richiede un’immaginazione saldamente ancorata all’oggi. Il Manifesto per un Pacchetto Integrazione è frutto di questa fatica”. Con queste parole Mauro Maurino - consigliere di Connecting People e coordinatore del percorso che ha condotto il consorzio alla stesura del Manifesto - spiega l’intento del progetto. Il 7 luglio scorso, a Roma, il Pacchetto Integrazione - al quale è stato dedicato interamente l’ultimo numero di questo trimestrale - è stato illustrato dallo stesso

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Mauro Maurino e da Giuseppe Scozzari, presidente del consorzio Connecting People, durante una conferenza stampa svoltasi presso la Sala del Mappamondo alla Camera dei Deputati. Gli onorevoli Livia Turco e Fabio Granata hanno accompagnato la presentazione del documento con i loro autorevoli commenti di fronte a un pubblico costituito da numerose personalità del mondo politico e intellettuale. Dichiarando la piena condivisione dell’impostazione complessiva della proposta, l’onorevole Granata, in apertura del suo intervento, ha sottolineato la distinzione tra politiche di integrazione e politiche di

sicurezza. La confusione tra i due ambiti, spesso strumentale, blocca il dibattito, arenandolo sui sentimenti di paura e sui luoghi comuni nei confronti dello straniero diffusi nell’opinione pubblica. Il Manifesto per un Pacchetto Integrazione si inserisce invece nel solco di una sensibilità comune volta ad “ampliare il perimetro pubblico della nazione” con la modifica della legge sulla cittadinanza e altre misure che, secondo l’onorevole, dovrebbero trovare da parte del mondo politico un “razionale e lungimirante accoglimento”; misure importanti “per chi vuole costruire un’Italia fondata su una nuova solidarietà


dossier ha reso necessario posticipare la chiusura nazionale”. Quanto al finanziamento delle dei lavori. Evidenziamo in particolare iniziative, Fabio Granata ha definito intel’intervento di Nadan Petrovic dell’OIM e ressante la forma di sussidiarietà nei condi John Humburg dell’UNHCR che hanno fronti di imprese e Terzo settore proposta riconosciuto la concretezza delle proposte dal Manifesto - che prevede anche un coindelineate nel Pacchetto Integrazione. La volgimento dei migranti stessi - opposta lunga collaborazione tra Connecting Peoalla verticalizzazione ministeriale propria ple e le organizzazioni da loro rappresendi molti progetti. tate ha creato un imprescindibile ambito L’onorevole Turco si è dichiarata piacevoldi crescita e innovazione culturale sui temi mente colpita dalla convergenza di idee dell’accoglienza e delle migrazioni. riscontrata con il Manifesto, a livello sia di Tutti i commenti hanno messo in luce la percezione del problema che di elaboraziopragmaticità del Manifesto, oltre all’amne di proposte concrete. “Questo materiale piezza e alla lungimiranza della visione - ha sostenuto - viene proprio al momento della società che esso esprime. giusto e coglie nel segno. Il Manifesto - ha A partire dall’idea che la promozione proseguito - è frutto di pratica ed esperiendell’integrazione non sia solo compito ze di un’Italia della convivenza che dobbiadella politica, ma un processo che interpelmo fare emergere e rendere visibile.” Oltre la tutti i cittadini, i luoghi del vivere sociale a esprimere la propria adesione all’idea di e i migranti stessi, “il Manifesto - sostiene una sussidiarietà che coinvolga tutte le Mauro Maurino - pone al centro la società parti sociali nel processo di costruzione civile con il Terzo Settore e il mondo imdi questa “Italia della convivenza”, Livia prenditoriale”. Le imprese possono conTurco ha evidenziato la valenza culturale tribuire all’integrazione costruendo un propria dell’approccio del Pacchetto Insistema di welfare tegrazione, legata in particolare al Il Manifesto vuole fornire uno aziendale, finanr i c o n o s c i m e n t o spunto fondato sull’esperienza ziato soprattutto attraverso lo stordell’immigrazione quotidiana di accoglienza no di una quota come fenomeno svolta dal consorzio sul percentuale dei strutturale in grado territorio italiano per aprire contribuiti previdi arricchire profondamente l’Italia, un dibattito spesso frenato da denziali pagati dai migranti che, in tal sia dal punto di incrostazioni ideologiche modo, partecipano vista economico, direttamente al proprio progetto d’insesia dal punto di vista culturale. L’onorevole rimento. “Al mondo politico - prosegue ha concluso individuando nella mozione Maurino - chiediamo interventi importanti parlamentare lo strumento per sollecitare sia per consentire l’utilizzo di risorse quasi con determinazione il governo in riferia costo zero per il bilancio dello Stato, sia mento alla legge sulla cittadinanza. per garantire status ai migranti”. Come affermato da Giuseppe Scozzari in “Con questa proposta - afferma Orazio apertura della conferenza stampa, il ManiMicalizzi, vicepresidente di Connecting festo non intende dire l’ultima parola su un People - si renderebbero disponibili oltre fenomeno, quello dell’immigrazione, che 100 milioni di euro all’anno. È una cifra im“non è un’emergenza, ma un fenomeno portante che consentirebbe di realizzare strutturale alla società italiana”. Si tratta molto più di quanto fatto sino ad ora”. piuttosto di fornire uno spunto, fondato Susanna Rognini, consigliere di Connecsull’esperienza quotidiana di accoglienza ting People impegnata sullo sviluppo svolta dal consorzio sul territorio italiano, di progetti internazionali, conclude: “Il per aprire un dibattito spesso frenato da dibattito europeo punta molto sul tema incrostazioni ideologiche. integrazione. Speriamo che altri si uniVa quindi sottolineato, in questa ottica, scano al lavoro di ricerca che abbiamo il ricchissimo ventaglio di interventi da intrapreso per cercare una soluzione parte dei convenuti - rappresentanti di positiva alla richiesta di pace sociale che istituzioni locali, organizzazioni nazionali o proviene dalle nostre città”. internazionali, università, mass media - che

Le proposte del Manifesto Il Manifesto per un Pacchetto Integrazione propone provvedimenti che generano opportunità ai migranti attraverso: · la modifica della legge sulla cittadinanza (L. 91/92) · la ratifica dell’art. 6 lettera C della Convenzione di Strasburgo per garantire ai migranti residenti la partecipazione a livello locale · la modifica della legge sulle cooperative sociali con l’inserimento dei rifugiati tra le categorie svantaggiate e l’estensione per questa categoria dei benefici fiscali anche alle cooperative di servizi sociali (art.4 L. 381/91) · il finanziamento di un programma di edilizia religiosa Provvedimenti che rendono disponibili risorse economiche: · utilizzo di una parte dei contributi previdenziali INPS dei migranti per destinarli a progetti d’integrazione promossi dalle aziende · utilizzo delle risorse dell’8 per mille a gestione diretta statale (L. 222/85) · inserimento del settore “integrazione” tra quelli previsti dalla normativa per le erogazioni delle fondazioni bancarie (art. 1 comma 1 lettera C D. Leg.vo 153/1999)

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dossier la semplice tolleranza dell’esistenza di tali gruppi al di fuori dell’osservanza delle regole di convivenza pacifica e del reciproco riconoscimento e rispetto. Insomma, garantire le pari opportunità ai giovani e alle giovani stranieri vuol dire innanzitutto eliminare quegli ostacoli legati alla loro origine che si frappongono all’accesso ai diritti, ovvero la barriera linguistica, quella culturale, l’autoesclusione, l’irrigidimento nelle tradizioni, la

La cogenza di questo tema risiede essenzialmente nel fatto che questi giovani cittadini si sentono italiani e sono sostanzialmente italiani

L’Italia è di chi la ama di Giorgia Meloni Ministro della Gioventù

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ome ministro della Gioventù, ritengo siano diverse le problematiche da risolvere e le potenzialità di cui approfittare quando si parla di immigrazione: prima fra tutte la cittadinanza per coloro che sono nati in Italia o hanno compiuto nel nostro paese la gran parte del percorso scolastico, le cosiddette “seconde generazioni”. La cogenza di questo tema risiede essenzialmente nel fatto che questi giovani cittadini si sentono italiani e sono sostanzialmente italiani, poiché parlano la lingua italiana, hanno frequentato e frequentano scuole italiane. L’unica differenza è rappresentata dalla loro origine, che spesso, poi, mettono da parte per sentirsi come gli altri. La prospettiva di genere è un’altra problematica potenzialità che si deve tenere

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in considerazione per varie ragioni tra cui, innanzitutto, gli aspetti numerici e di ruolo. La metà della popolazione straniera in Italia è, infatti, costituita da donne e sono proprio queste giovani donne che, oltre a trascorrere, nella maggior parte dei casi, molte ore della propria giornata con le famiglie italiane, accudendo minori, disabili e anziani, educano i futuri cittadini italiani di origine straniera. Un discorso a parte deve essere fatto per i minori non accompagnati, i giovani richiedenti asilo, beneficiari di protezione internazionale e i giovani Rom. Categorie di stranieri più vulnerabili e facile preda dello sfruttamento ad opera di organizzazioni criminali per l’accattonaggio, il mercato del sesso e quello del lavoro nero. Alle minoranze etniche va garantita una vita dignitosa, cosa impossibile con

xenofobia, la discriminazione nell’accesso ai servizi sociali, al mercato del lavoro regolare, alla formazione professionale e la difficoltà di mobilità sociale. Il Ministero ha iniziato a creare, fin dall’avvio del suo mandato, una rete di operatori esperti nella materia dell’immigrazione e dell’integrazione, al fine di rilevare le esigenze dei giovani cittadini stranieri e delle loro famiglie ed elaborare una strategia di intervento in questo ambito. L’impegno per l’integrazione sociale e lavorativa dei giovani più svantaggiati è una priorità del Ministero della Gioventù; sarà costante e utilizzerà tutti gli strumenti, i suggerimenti e i contributi possibili per garantire a tutti le stesse opportunità di accesso ai diritti, per valorizzare le differenze e mettere a frutto le potenzialità dei giovani. Di recente, abbiamo chiesto e ottenuto che tra i crediti relativi al nuovo decreto sull’integrazione fosse aggiunta anche la partecipazione ad associazioni di promozione sociale accanto a quella ad associazioni di volontariato, già prevista. Sono convinta che l’Italia appartenga esclusivamente a chi la ama, a prescindere dalla lunghezza del proprio albero genealogico, dal colore della pelle o dalla provenienza geografica. Ed è attorno a questo principio di condivisione di principi, tradizioni, valori e leggi che bisogna costruire le basi solide di una nuova cittadinanza italiana.


dossier esserci verso una volontà di ampliare il perimetro pubblico della nazione facendo pienamente partecipare i nuovi cittadini con una modifica dello ius sanguinis in uno ius soli, temperato dalla presenza regolare dei genitori in Italia. L’impostazione complessiva del Manifesto è apprezzabile per l’apertura ad alcune misure che mi sembra possano trovare razionale e lungimirante accoglimento. Anche il finanziamento di

Fabio Granata Deputato FLI

Le finalità del Manifesto a mio parere sono chiarissime, il percorso e il metodo che traccia questo documento lo condivido pienamente. I progetti di riforma della legge 91/92 sono costruiti attorno ad un’idea politica di una nuova cittadinanza e di una nuova Italia. Questo percorso deve avere la forza di far emergere due questioni di fondo; la prima è che non si possono appiattire le politiche di sicurezza con quelle di integrazione e cittadinanza. Diversamente, se vengono sovrapposte strumentalmente, si continuerà a far leva sulla paura e sui luoghi comuni legati allo straniero. La seconda questione è che sui temi della cittadinanza ci troviamo di fronte ad una crisi positiva delle culture politiche di appartenenza perché questo fenomeno migratorio non ha precedenti nella storia recente, è sconosciuto alle griglie interpretative della politica ed è dunque difficile da classificare. Ciò che conta è una sensibilità comune che deve

Jurgen Humburg Senior protection assistant UNHCR

L’impostazione complessiva del Manifesto è apprezzabile per l’apertura ad alcune misure che mi sembra possano trovare razionale e lungimirante accoglimento un programma di edilizia religiosa, che potrebbe allarmare qualcuno, mi sembra una proposta molto seria che riconduce ad una dimensione della cittadinanza come fatto laico e politico nel rispetto delle differenze religiose; anche con un certo legame con le nostre tradizioni storiche e culturali dell’Italia e dell’Occidente, con la capacità di considerare la cittadinanza come fatto laico e politico e definire la differenza religiosa come grande valore di una società plurale. Sulla possibilità di finanziare questo Pacchetto integrazione ritengo interessante una forma di sussidiarietà rispetto alle imprese e all’associazionismo e non semplicemente una verticalizzazione dell’intervento verso i ministeri. Interessanti anche le proposte di reinvestire i contributi versati dagli stessi migranti all’Inps e l’utilizzo dell’8X1000. Credo dunque che attraverso proposte come queste si possa costruire un’Italia fondata su una nuova solidarietà nazionale legata ai nuovi italiani. Sul piano legislativo, oltre alla battaglia sulla cittadinanza che resta in primo piano, la proposta può essere seguita in raccordo continuo con la vostra realtà e con la collaborazione di parlamentari come l’On. Turco.

Rappresentando l’UNHCR, il mio interesse è incentrato sui rifugiati, i “migranti forzati” se così si possono chiamare. Il Manifesto mi sembra un’iniziativa che può portare ad una discussione più ampia sui temi dell’ immigrazione, discussione che però sulla base di queste proposte può risultare allo stesso tempo molto concreta. Per quanto riguarda i rifugiati vorrei ricordare particolarmente due aspetti: il rifugiato non ha un preciso progetto di vita legato all’emigrazione. A differenza di chi sceglie di cambiare vita e paese, il rifugiato è costretto dagli eventi ad abbandonare la propria vita. Senza uno scopo previsto e specifico quale può essere il miglioramento delle proprie condizioni. Proprio per questo secondo noi ha bisogno di una particolare attenzione e di particolari misure che devono permettergli di integrarsi e diventare membro attivo della società soprattutto nella fase iniziale.

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dossier Secondo punto: manca una legge quadro che regoli il diritto d’asilo. Sono tantissimi gli aspetti, soprattutto a livello amministrativo, che sono scoperti e che invece dovrebbero costituire la base del cammino verso l’integrazio-

Marco Petrelli

Cons. XX Municip. Roma Quello del Manifesto è un processo trasversale che necessita sostegno per trovare ascolto in Parlamento. Io faccio parte di un municipio di 180.000 persone, il secondo municipio d’Italia per la presenza di persone non comunitarie. Come municipio noi non possiamo fare altro che sostenere singoli

A differenza di chi sceglie di cambiare vita e paese, il rifugiato è costretto dagli eventi ad abbandonare la propria vita ne. Spesso ad esempio capita che la richiesta per un semplice nulla osta al matrimonio giunga ancora a noi. Questo è solo un esempio fra i tanti che necessitano l’attenzione del legislatore, del ministero, degli enti e interlocutori competenti. Questa iniziativa porta questi problemi all’attenzione di un pubblico più ampio, nella speranza che queste lacune vengano colmate al più presto per favorire il difficile compito di chi opera con i migranti e rendere meno difficoltoso il cammino per l’integrazione.

Nadan Petrovic

OIM - Direttore servizio centrale SPRAR Di solito quando si parla dei problemi legati all’integrazione emergono subito due questioni: manca una legge dedicata e mancano le risorse. Dalla mia esperienza con Connecting People, ormai decennale di collaborazione a vario titolo, posso dire che spesso è vero il contrario. Abbiamo sperimentato soluzioni di grande successo che costavano la metà rispetto a precedenti gestioni dei centri per migranti. A mio modo di vedere il vero problema spesso è la mancanza di idee concrete, di contenuti. A questa assenza cerca di rispondere il Manifesto. Altra cosa che spesso manca è la capacità di creare un

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Il Manifesto è il risultato di un lavoro di pratica sul campo ed è una proposta di revisione delle politiche di intervento nazionali sistema di programmazione, attuazione e verifica delle tante idee e progetti che vengono attuati. Insieme a Connecting People invece stiamo sperimentando a più livelli progetti di collaborazione che puntano, ad esempio, all’inclusione sociale dei soggetti titolari di protezione internazionale. Questi soggetti, usciti dai centri di accoglienza, sono titolari di un permesso di soggiorno valido cinque anni che garantisce loro pieni diritti, ma sono poi costretti a dormire in stazione perché nessuno mette in collegamento l’offerta di lavoro di cui sono portatori e la domanda che pur in tempo di crisi è presente. In pochi mesi ci siamo resi conto di come sia possibile, anche con scarse risorse, dare risposte concrete a queste problematiche. Il Manifesto è dunque il risultato di un lungo lavoro di pratica sul campo ed è una proposta attenta di revisione dei modelli e delle politiche di intervento a livello nazionale.

progetti, io lancerei un’idea: diamo a Connecting People uno strumento a sostegno del Manifesto, un mezzo di persuasione parlamentare. Da domani impegniamoci a far votare nei diversi municipi una serie di Odg a sostegno del Manifesto, così che quando verrà presentato alla Camera questo avrà il supporto di più enti, di diverse realtà.


dossier

Livia Turco Deputato PD

Sono stata molto contenta di leggere il Manifesto, che arriva proprio al momento giusto e coglie nel segno. Spesso mi sono sentita sola nel proporre un piano e dei fondi per le politiche per l’integrazione. Vedere che in luoghi diversi stiamo lavorando per uno stesso obiettivo fa tanto piacere, perché da l’idea che c’è una comune percezione del problema e una comune elaborazione. Nonostante i tempi difficili dobbiamo elaborare un piano per un’Italia della convivenza che deve basarsi sulla base delle esperienze maturate nel territorio. Sono convinta che questa via sia stata già sedimentata e tracciata nelle comunità locali del territorio, questo Manifesto è frutto di pratica ed esperienze di un’Italia della Convivenza che dobbiamo fare emergere e rendere visibile. Dobbiamo dare parola a questa Italia e costruire una rete, affinché ogni pezzo concorra a costruire un nuovo grande progetto. Questo progetto può avere risvolti parlamentari, ma la rete deve nascere anche

tornare a crescere se investe fortemente dall’impegno degli enti locali, può nasul fattore umano, sul capitale umano e scere anche un appuntamento nazionale sociale degli immigrati. C’è bisogno che annuale in cui far emergere queste buone si affermi il valore e la dignità del lavoro pratiche, perché diventino parte della legale, dentro questa battaglia generale cultura del nostro Paese per sconfiggere i è giusto che si valorizzi il lavoro degli luoghi comuni negativi sull’immigrazione con immigrati. Facciamo una battaglia culturale Questo Manifesto dunque una grande ancor più che con le alleanza per il lavoleggi. È giusto però che è frutto di pratica anche la politica si as- ed esperienze di un’Italia ro, italiani e stranieri, evitiamo invece stesuma le sue responsadella Convivenza che contrapposizioni. bilità nell’elaborare un dobbiamo fare emergere Ilrili secondo piano per le politiche aspetto e rendere visibile. per la convivenza per il che mi ha colpito Dobbiamo dare parola positivamente è quello quale anche il governo deve essere sollecitato. a questa Italia e costruire di una sussidiarietà coDel Manifesto mi erente, che valorizzi il una rete, affinché hanno convinta due welfare locale e comuogni pezzo concorra cose in particolare, nitario, che permetta a costruire un nuovo che attengono ena tutti di assumersi le grande progetto. trambe all’approccio proprio responsabilida assumere. La tà, come un puzzle in prima è l’assunzione che l’immigrazione è cui ognuno metta il proprio pezzo. un fatto strutturale che contribuisce alla Sul piano parlamentare possiamo sollecicrescita economica e culturale dell’Italia. tare il governo con lo strumento della Per questa ragione è sbagliato parlare mozione parlamentare e impegnarci ad di politiche per l’immigrazione, è corinsistere con determinazione sulla legge retto invece pensare a politiche per lo per la cittadinanza, con particolare attensviluppo del Paese che facciano leva zione alla questione di chi nasce in Italia sulla risorsa dell’immigrazione e ne vada genitori stranieri. Su queste questioni lorizzino gli effetti positivi. L’Italia può auspico anche una larga alleanza.

Un momento della conferenza stampa tenutasi nella Sala de Mappamondo , presso la Camera dei Deputati

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intervista Colmare le disuguaglianze. Una lotta per la modernizzazione dell’Italia Conversazione con Gianpiero Dalla Zuanna, preside della Facoltà di Scienze Statistiche dell’Università degli Studi di Padova di Serena Naldini

Alla scuola si attribuisce un compito sia di integrazione che di promozione della mobilità sociale. Secondo lei oggi la scuola italiana si trova nelle condizioni di svolgere questa funzione?

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uello che segue è l’estratto di un’intervista telefonica di Mauro Maurino - consigliere di amministrazione del consorzio Connecting People e coordinatore del recente lavoro del consorzio sul Manifesto per un Pacchetto Integrazione - a Gianpiero Dalla Zuanna, preside della Facoltà di Scienze Statitiche dell’Università di Padova, curatore di numerosi studi e ricerche sulle trasformazioni della società determinate dalle migrazioni.

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pagnato dalla forte consapevolezza che la storia non porta sconti. Essa deve essere sempre tenuta in grande considerazione, deve essere comunicata, deve essere vissuta; le nuove generazioni ne devono far parte in modo profondo, altrimenti rischiamo di creare persone senza radici. La logica del “siamo tutti uguali” porta al “siamo tutti indistinti”, e non c’è niente di peggio. La reazione più probabile davanti a questa posizione è la rinascita di forti - ipotetiche, magari finte - identità che creano diversità, e non uguaglianza.

Senza dubbio in Italia la scuola è il più forte strumento di integrazione per i figli dei migranti. Questa è una delle caratteristiche che la rendono differente, per esempio, dalla scuola americana. La nostra è una scuola gratuita, non classista, imperniata sull’idea di integrazione. Questa impostazione comporta l’adozione di una serie di iniziative che tengono conto in maniera Secondo lei, il personale che lavora pregnante della presenza di studenti stranella scuola è consapevole di svolgere nieri nelle classi. un ruolo cruciale rispetto al futuro del Negli Stati Uniti i migranti hanno paura nostro paese? di mandare i propri figli a scuola. Secondo alcune ricerche questo è vero per Dal punto di vista del processo di integrapiù della metà dei genitori dei ragazzi zione, senza dubbio sì. C’è un aspetto, però, di quindici anni. In Italia, situazioni del più critico che ho sottolineato spesso nel genere non si verificano. corso dei miei lavori: la scuola, ieri come Questo non significa che non si possa oggi, non riesce a colmare le disuguaglianfar meglio dal punto di vista dell’inteze. Come ai tempi di grazione. Occorre Occorre lavorare per Don Milani, chi è figlio lavorare molto anche a livello colmare le disuguaglianze, di genitori più adusi di patto condiviso, in non dimenticando che alla cultura scolastica modo da generare questa è una lotta per la garantisce ai propri figli rendimenti molto condizioni sempre più modernizzazione del migliori. Gli stranieri favorevoli a promuopaese e non una lotta assommano a una provere un incontro tra ottocentesca venienza da famiglie culture che non svilispesso culturalmente sca nessuna delle trameno fornite dal punto di vista scolastico dizioni in gioco. Non fare il presepio perché anche difficoltà legate alla lingua e alla un bambino in classe non è cristiano è una mancanza di aiuto nello svolgimento dei scelta sbagliata, a mio avviso. La presenza compiti a casa. Le ricerche indicano chiadi nuove persone dovrebbe aggiungere e ramente che i risultati dei ragazzi stranienon togliere qualcosa all’incontro tra tradiri sono tendenzialmente peggiori, anche zioni. Occorre un grande rispetto, accom-


intervista

Le sue ricerche individuano alcune delle variabili che determinano il successo da parte dei ragazzi stranieri. Tra queste, l’età di arrivo in Italia, l’inserimento nelle classi di coetanei o in classi di età inferiore e la possibilità di ricevere aiuto a casa. Riguardo all’ultimo aspetto, che cosa può fare la scuola? A suo giudizio, ci sono altri soggetti sociali (imprese, società civile...) che potrebbero intervenire per supportare nei compiti a casa i ragazzi di famiglie a bassa scolarità? Gramsci negli anni ‘20 sosteneva che l’unico modo per colmare rapidamente le distanze sociali tra le generazioni fosse mettere i bambini in collegio… Le famiglie italiane, quelle più garantite, hanno una capacità tale di tutelare i propri figli che è molto difficile pensare a una bacchetta magica per risolvere questo nodo, che è uno dei grandi problemi dell’Italia. In fondo, è una questione di perdita di competitività, perché molte persone si trovano costrette a fare un lavoro diverso da quello, più qualificato, per il quale avrebbero le doti.

Gianpiero Dalla Zuanna Professore straordinario in Demografia all’Università di Padova dal 2 gennaio 2005. Nei sei anni precedenti è stato professore associato, prima a Messina (1999-2001) e poi a Padova. Ricercatore di Demografia e Statistica presso l’Università “La Sapienza” di Roma nel periodo 1990-98; dal 1985 al 1990 sempre ricercatore presso l’IR SEV (Istituto per la Ricerca Sociale ed Economica del Veneto). Autore di numerose pubblicazioni, è consulente del Ministero per le Politiche della Famiglia. Si occupa, in particolare, dello studio del comportamento coniugale e riproduttivo e delle seconde generazioni di immigrati nei paesi ricchi. Ha curato il coordinamento nazionale di una grande indagine sui “figli di italiani e di stranieri” svolta su un campione delle scuole medie inferiori italiane. Tra le sue pubblicazioni: Fare famiglia in Italia, con M. Barbagli e M. Castiglioni, Il Mulino 2004 e Nuovi italiani. I giovani immigrati cambieranno il nostro paese?, con P. Farina e S. Strozza, Il Mulino 2009.

Questo elemento di criticità che riguarda gli stranieri si inserisce in un quadro problematico molto radicato in Italia, meno presente in altri paesi. Ritengo che alla base vi sia una motivazione - per usare un termine forte - antropologica. Tutti i dati mostrano che il tipo di attenzione dedicato dagli italiani ai propri figli è molto superiore rispetto a quello che si evidenzia nei paesi nordeuropei. Questa caratteristica tipicamente italiana ha determinato un notevole vantaggio competitivo, per esempio, per gli italiani emigrati. Nei paesi anglosassoni, non c’è questa abitudine, hanno un modo diverso di crescere i figli. Ciò non significa che non paghino loro gli studi universitari o cose simili, ma non hanno quello sguardo attento tipico dei genitori italiani. Detto questo, intanto bisogna acquisire consapevolezza del problema. Il primo a metterlo in luce - e, se non il primo, colui che l’ha espresso in maniera più sublime - è stato certamente Don Milani. Inoltre, occorre laSe non ce ne sono di aggiuntiva, si possono vorare per colmare le disuguaglianze, non ottenere spostando risorse dedicate ad altro. dimenticando che questa è una lotta per Contrastare le disuguala modernizzazione del dovrebbe essepaese, e non una lotta Occorre lavorare molto glianze re uno dei pilastri della ottocentesca. Se le dianche a livello di patto politica nazionale. Pursuguaglianze permancondiviso, in modo da troppo le incrostazioni gono, si sprecano risorse ideologiche impediscoumane. generare condizioni no a questa posizione Cosa si può fare? Cose sempre più semplici, forse banali. favorevoli a promuovere di imporsi. La lotta alla viene Garantire i doposcuola, un incontro tra culture disuguaglianza considerata figlia di un per esempio. Non è togliendo i compiti a casa che non svilisca nessuna atteggiamento buonista - caratteristici del mo- delle tradizioni in gioco o anacronistico in contrasto con l’obiettivo dello italiano di studio “moderno” di puntare, valorizzare all’eccel- che si eliminano le disuguaglianze. È nelenza. Si tratta invece della stessa cosa, della cessario invece aiutare coloro che non hanstessa lotta. Va ribadito che proprio cercanno supporto a portare comunque a termine do di eliminare gli handicap di partenza che le consegne che vengono loro date. A tal si favoriscono le eccellenze. fine, devono essere impegnate delle risorse.

Presentazione

molto peggiori, rispetto a quelli dei loro coetanei italiani. Spesso, i media sottolineano delle storie di successi scolastici da parte dei ragazzi migranti. Ma occorre ricordare sempre che i casi di eccellenza sono eccezioni. Di fronte alle buone riuscite, non bisogna perdere di vista le statistiche. Ci sono migliaia di ragazzi che vedono frustrati i loro talenti proprio perché la scuola non fa un sistematico lavoro per colmare le disuguaglianze, un lavoro che richiederebbe interventi specifici e azioni mirate ai ragazzi - sia italiani che stranieri - che rimangono indietro. Così come è previsto un piano per l’handicap, serve un piano per affrontare l’handicap, per così dire, culturale, laddove per cultura intendo cultura scolastica, ovviamente. Nella società globalizzata, devi essere capace di scrivere, conoscere la matematica, parlare l’inglese, relazionarti con tematiche astratte, altrimenti resterai sempre un passo (o molti passi) indietro nella scala sociale.

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intervista Ritengo inoltre che il sistema delle borse di studio possa essere veramente efficace se viene ampliato alle scuole dell’obbligo e alle scuole superiori. A 15 anni, un ragazzo ha già maturato le sue capacità di concentrazione, le sue basi di fondo. Quando i buoi ormai sono scappati, si rimedia difficilmente.

A suo avviso, su che cosa bisogna lavorare in futuro?

Il professor Della Zuanna durante una lezione

Il suo discorso mette in luce il paradosso della famiglia italiana che, da un lato, struttura il welfare - volto a diminuire le disuguaglianze - e, dall’altro, mantiene lo status quo attuale.

Un sistema di borse di studio potrebbe essere utile nel determinare la scelta di proseguire gli studi anche per coloro che tendono a brevi percorsi di scolarità?

Ci sono croci e delizie. Si pensi per esempio al ruolo della famiglia nel contesto di questa ultima crisi. Abbiamo potuto garantire la cassa integrazione per 15 miliardi di euro, mettendo in sicurezza - per così dire - la nostra industria manifatturiera, perché non siamo stati costretti ad aiutare i disoccupati i quali, molto spesso giovani, possono contare sul supporto

Sono del tutto favorevole allo strumento delle borse di studio, anche per un motivo diverso. In Italia c’è una forte disuguaglianza in relazione al rendimento scolastico non solo tra italiani e stranieri, ma anche tra ragazzi con pochi o molti fratelli. Diversi studi rivelano che il numero dei fratelli è inversamente proporzionale alla lunghezza dei percorsi di studio. Alcune ricerche più sofisticate - i risultati delle quali saranno pubblicati a breve anche su riviste europee - dimostrano che sarebbe sbagliato puntare in maniera indistinta sulla leva fiscale, perché c’è il rischio che le famiglie numerose non usino le risorse in più per migliorare la qualità della vita dei propri figli, ma per generare altri figli ancora… I risultati di analisi econometriche fatte su dati di confronto tra l’Italia ela Francia mostrano chiaramente che la leva giusta sono proprio le borse di studio che favoriscono direttamente i giovani “capaci e meritevoli”. Questi strumenti vengono in parte già usati. Per esempio, l’Università di Padova, alla quale mi onoro di appartenere, ha rimodulato le tasse mettendo insieme un discorso di merito con un discorso di composizione familiare e di censo.

Gli stranieri assommano a una provenienza da famiglie spesso culturalmente meno fornite dal punto di vista scolastico anche difficoltà legate alla lingua e alla mancanza di aiuto della famiglia d’origine. Questo è un meccanismo italiano, per certi versi positivo, per altri negativo. Ma non è affatto semplice scardinare certe abitudini, perché si tratta di aspetti connaturati alla rappresentazione comune della società. La gente, per esempio, crede che sia normale che un genitore si occupi del figlio anche quando ha già 30 anni.

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Sono convinto che in Italia debba entrare la cultura della valutazione. Bisogna trovare il coraggio di dire più spesso: “questo è migliore di quello”, approntando contemporaneamente strumenti che aiutino chi è più indietro ad avvicinarsi al migliore. Secondo me, l’Invalsi sta facendo un grande lavoro. Gli studi compiuti mostrano che il problema dell’Italia non è che la scuola non funziona. All’interno della stessa città, all’interno della stessa provincia, ci sono scuole che danno livelli migliori della Svezia, della Finlandia (il top europeo nella formazione scolastica). Se esistono queste punte d’eccellenza, perché non possono funzionare anche le altre? Solo adesso, grazie appunto alle ricerche Invalsi, si comincia ad avere una percezione precisa del quadro, e senza questo tipo di dati è impossibile agire in modo sensato ed equilibrato. Si sta facendo inoltre strada la consapevolezza che una categoria finora garantita quella dei figli degli italiani e dei figli delle famiglie benestanti, istruite e borghesi - si dovrà in futuro confrontare con questo nuovo sistema. Attorno ai migranti, ai nuovi cittadini, c’è tutto un mondo che deve cambiare.

Cosa si può fare? Cose semplici, banali. Garantire i doposcuola, per esempio. Non è togliendo i compiti a casa - caratteristici del modello italiano di studio - che si eliminano le disuguaglianze


intervista Rielaborazione dei grafici da “La rivoluzione nella culla� di Giampiero Dalla Zuanna e Francesco Billari edizioni UBE


i d o t n u p a t s i v

Rubrica a cura del comitato scientifico di Connecting People

Comitato scientifico Johnny Dotti

Presidente Fondazione Solidarete

Chiara Giaccardi

Natale Losi

Direttore Scuola di psicoterapia etno-sistemico-narrativa di Roma

Ordinario di Sociologia Processi Culturali presso Università Cattolica di Milano

Mauro Magatti

Abdelkarim Hannachi

Padre Beniamino Rossi

Docente di Lingua Araba presso Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’ Università di Catania

Ordinario di Sociologia presso Università Cattolica di Milano

Missionario Scalabriniano Presidente A.S.C.S.


punto dsi ta vi Alunni di origine straniera ed educazione interculturale di Abdelkarim Hannachi foto di Alessandra Santopadre

Pensando al tema “immigrazione e integrazione scolastica”, mi soffermo brevemente su due tematiche essenziali la prima concerne il modo di denominare questi nuovi compagni di banco venuti da altrove, la seconda riguarda la diversità e l’educazione interculturale.

A. Alunni stranieri o alunni di origine straniera? Quando si parla di questa nuova popolazione scolastica non autoctona, la denominazione che si usa spesso, persino nelle circolari del Ministero della Pubblica Istruzione, è quella di “alunni stranieri”. Altre volte si usano denominazioni come “alunni di cittadinanza non italiana”, “alunni immigrati”, “immigrati di seconda generazione”. Si tratta di denominazioni imprecise perché non tutti sono stranieri né tutti sono immigrati. Questa ambiguità può comportare delle difficoltà al momento della programmazione delle attività e dell’individuazione dei destinatari. Questi nuovi compagni di banco appartengono a due grandi categorie: quella dei cittadini italiani e quella dei cittadini stranieri. La prima raggruppa coloro che: 1) sono nati all’estero e immigrati in Italia attraverso il ricongiungimento o l’adozione e che hanno acquisito la cittadinanza italiana; 2) sono nati in Italia da genitori immigrati che hanno acquisito la cittadinanza italiana

e che sono italiani in quanto figli di italiani; 3) sono nati in Italia da genitori di cui uno è cittadino italiano. La seconda categoria comprende coloro che: 1) sono nati all’estero e immigrati in Italia attraverso il ricongiungimento o l’adozione; 2) sono nati in Italia da genitori immigrati con cittadinanza non italiana, ma futuri cittadini italiani in quanto potranno

chiedere la cittadinanza al raggiungimento del 18° anno di età; 3) sono nati in Italia ma per motivi vari non potranno mai diventare cittadini italiani; 4) sono apolidi, richiedenti asilo e rifugiati. La caratteristica che accomuna tutti questi alunni, siano essi cittadini italiani o stranieri, è la “loro origine straniera” ed è per questo che l’espressione “alunni di origine

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punto dsi ta vi

straniera” è la più appropriata. Nella scuola di queste nuove generazioni, il linguaggio non è un problema secondario perché è lo strumento della rappresentazione e dell’identificazione dell’Altro.

B. Diversità e educazione interculturale Sono tematiche complesse che meritano approfondimenti ed un intervento a parte. Mi limito qui a fare alcuni accenni. Grazie alla presenza di individui e gruppi provenienti da altri paesi e portatori di tante culture diverse tra di loro, la società italiana si trasforma e non solo nel suo panorama demografico. La diversità che comporta questa trasformazione ci coinvolge, ci interroga, ci mette in difficoltà. In mancanza di una politica lungimirante in materia di immigrazione e integrazione, la diversità rischia di essere, e spesso è, oggetto di manipolazione ideologica e

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(Padre Ernesto Balducci). di strumentalizzazione politica. Ci si serve Per superare l’impatto negativo con la didella diversità per alimentare paure, razversità, per affrontare questo pluralismo zismo e forme di discriminazione. e questa complessità e per trovare la via Considerata in modo positivo, la diversidi uscita in questa fitta rete di rapporti e tà è invece una grande opportunità. Già di relazioni tra mondi e persone diverse nella circolare scolastica n. 295 del 1990, tra loro, abbiamo bisogno la diversità appariva come di nuovi strumenti educarisorsa. “L’educazione Per superare tivi. Per conoscere l’Altro, interculturale avvalora il significato di democrazia l’impatto negativo non basta più guardarlo con la diversità dalla conchiglia della considerato che la diversità culturale va pensata abbiamo bisogno nostra cultura. Nel tentacome risorsa positiva per i di nuovi strumenti tivo di conoscere l’identità dell’Altro, c’interroghiamo complessi processi di creeducativi sulla nostra. Per tutto quescita della società e delle sto, abbiamo bisogno dell’educazione inpersone”. Grazie alla presenza di questi terculturale. Essa è il ponte tra l’identità diversi, scopriamo il nostro villaggio gloe l’alterità, lo spazio delle dinamiche rebale, la complessità dei rapporti internalazionali, della gestione del conflitto, del zionali, delle interdipendenze. Il centro dialogo. L’educazione interculturale è, da del mondo non è più casa nostra, non un lato, la chiave di lettura e di interpreè più il nostro quartiere, la nostra città, tazione di questo pluralismo e di questa il nostro paese. “Noi viviamo in un’età complessità, dall’altro, lo strumento planetaria con una coscienza neolitica”


punto dsi ta vi

educativo per promuovere quelle interazioni positive tra individui e gruppi che abitano il nostro territorio o il mondo globale. L’educazione interculturale ci aiuta a non percepire negativamente la diversità e a trasformarla in una risorsa,

Abdelkarim Hannachi Docente presso la Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Catania, sede di Ragusa e all’università Kore di Enna, già membro del Direttivo della Rete Europea contro il Razzismo con sede a Bruxelles, della Consulta Nazionale per l’immigrazione presso il Dip. Affari Sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Comitato Scientifico per l’educazione interculturale presso il Ministero della Pubblica Istruzione.

Presentazione

ad affrontare le sfide della società multiculturale e del mondo globale. L’obiettivo principale dell’educazione interculturale è quindi l’interazione con l’Altro appartenente ad un’altra cultura. In questo processo, non è l’identità culturale che va valorizzata bensì la persona umana perché rincorrendo le culture rischiamo di perdere di vista l’uomo, l’immigrato della porta accanto o il compagno di banco di origine straniera. In Italia, dal punto di vista teorico, siamo sulla buona strada; lo dimostrano le ricerche, le pubblicazioni e i convegni sulle tematiche inerenti all’immigrazione, i documenti e le circolari ministeriali sull’inserimento e l’integrazione degli alunni di origine straniera e sull’intercultura, la volontà degli insegnanti di formare il cittadino del mondo attraverso la promozione di una coscienza planetaria. Dal punto di vista politico e legislativo, c’è ancora molto da fare per realizzare quella parità tra autoctoni e nuovi cittadini. Per il momento, nel nostro paese, c’è la necessità di unire gli sforzi della scuola a

quelli della politica che sembrano a volte andare in due direzioni diverse, affinché lavorino insieme per realizzare la parità nei diritti e nelle opportunità e l’inclusione che è la sfida di tutte le società plurali.

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oltremare

“La matita del buon Dio non ha la gomma” Volontari nella missione dei Padri Scalabriniani ad Haiti di Alessandra Picciolo, volontaria ASCS foto di Alessandra Santopadre

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n proverbio ad Haiti dice “molte mani fanno il peso più leggero”. Molte mani che lavorano, molte mani che sfamano, che si afferrano, che confortano. Forse ad essere una comunità, un insieme solidale e fraterno, gli haitiani lo hanno imparato tanto tempo fa. Lo hanno imparato quando, da schiavi sono stati portati su quest’isola caraibica a lavorare i campi e quando, sempre da schiavi, hanno preso in mano la loro storia invocando la libertà e diventando la prima repubblica nera del mondo. Ora, dopo che anni di disastri politici li hanno ridotti alla povertà, che la natura si è accanita ancora una volta su quest’isola, distruggendo con il terremoto la loro città - con i suoi simboli - e le loro fragili case ed esistenze, loro sono lì, dietro i baracchini ai

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bordi delle strade, nei mercatini, nelle botteghe a cercare una loro dignitosa normalità. Questo è il reportage del viaggio che io e mio fratello Roberto abbiamo fatto come volontari in agosto, nella missione dei Padri Scalabriniani a Port-au-Prince. Inizia così, perché è stata dirompente la sensazione di umanità e di coraggio che mi ha trasmesso Haiti. Teniamolo presente: questo è un paese dove non è facile vivere. Non lo era prima del terremoto, non lo è adesso. Proviamo per un istante a immaginarci senza una casa confortevole, una bella tv, senza i nostri vestiti e le scarpe comode, senza le macchine in garage e le strade asfaltate. Ecco, e questa è solo immaginazione. Molte mani fanno il peso più leggero anche tra i bambini che ho conosciuto al campo

estivo della missione. Ho visto bambini di dieci, undici anni accudire i più piccolini, prenderli per mano se piangevano, tenerli in braccio addormentati. E non erano necessariamente fratelli o sorelle. Certo, litigano anche loro, come tutti i bambini, ma in tre settimane li ho visti molto più spesso rincorrersi e giocare insieme. Erano più di 200, scelti tra i circa 400 che nel periodo invernale frequentano la scuola dei Padri Scalabriniani. Il campo è stato organizzato da un gruppo di psicologi ed educatori dell’Università Cattolica di Milano, nell’ambito di un intervento psico-sociale post emergenza per i bambini vittime del terremoto. La mattina prevedeva attività in classe, concordate con i professori (haitiani). Il pomeriggio sport e gioco libero nel grande campo da calcio. E per i bambini


oltremare era un spremuta incontenibile di vitalità. Nemmeno il caldo torrido li sfiancava, nemmeno il pranzo sullo stomaco. “Ballon ballon” invocavano tirandoti per la maglietta mentre tu, con un carico di hula hoop addosso (e bambini aggrappati), cercavi di raggiungere il campo da calcio. Li ho visti correre dietro al pallone, far roteare mille volte i cerchi di plastica, saltare alla corda. Sono forti, sorridenti, tenaci. Li ho visti con le braccia alzate al cielo per afferrare la macchina fotografica, splendido oggetto del desiderio. Chi la “vinceva” scappava via e tornava qualche minuto dopo con un reportage fotografico un po’ sbilenco da mostrare. Li ho visti saltare in groppa ai militari brasiliani dell’ONU e fare la coda per il giro di campo in “carro armato”. Ho sentito le loro manine addosso tante volte, sui miei capelli “troppo fini ma belli”, sul viso, tra le mani. Credo di aver sperimentato, qui più che altrove, quanto Watzlawick dice a proposito della comunicazione, che non è fatta solo di parole ma anche e soprattutto di “non parole”: ok, non ce la siamo potuta raccontare, ma gli abbracci e i sorrisi che ci siamo scambiati hanno oltrepassato le barriere linguistiche (il mio francese pressoché inesistente!) per dire molte, molte cose. La mia Haiti è stata questa, sono stati i bambini, innanzitutto, ma anche quel poco che ho visto le volte che siamo usciti dalla missione. La casa di Padre Charles e i suoi bambini di strada, la Port-au-Prince devastata, con le macerie ancora là dove le ha lasciate il terremoto, con i fiumi di persone che camminano lungo le strade, le grandi tendopoli e le baracche di plastica e lamiera. Il quartiere degli artisti del metallo a Croix de Bouquet, le strade sterrate e polverose, i viaggi in macchina scomodi. La mia Haiti è stata anche quella che ho ascoltato dalla viva voce di chi, in quel Paese, ci sta e ci lavora da anni: Padre Giuseppe, che ha fatto della missione una piccola e semplice oasi di pace in mezzo alla miseria. Nelle settimane in cui ci ho vissuto, ho imparato che è innanzitutto un luogo di accoglienza. Lo è per i seminaristi che ci vengono a studiare, per i medici che lavorano nella clinica, per i bambini che frequentano la scuola, i volontari, e chiunque abbia un motivo per starci. “Qui ognuno deve fare quello che sente di poter fare meglio” è una delle prime cose che mi ha detto quando siamo arrivati. Haiti è anche nelle

I bambini di Haiti e l’importanza della missione di Alessandra Santopadre Responsabile progetti ASCS La lista di violazioni e discriminazioni delle quali l’infanzia di Haiti è vittima è tristemente lunghissima. In modo particolare per le bambine. Come riportato dall’UNICEF nel Child Alert pubblicato nel marzo 2006, ad Haiti un bambino su quattordici non riuscirà a festeggiare il suo primo compleanno; un bambino su otto non raggiungerà i 5 anni. Un minore su sette è orfano di almeno un genitore; elemento che, combinato con la situazione di povertà che affligge il paese, fa sì che moltissimi bambini vivano in una situazione di gravissima vulnerabilità, rendendoli facile preda di sfruttatori. A Port-au-Prince, la capitale, si stima ci siano 2.500 bambini di strada che vivono di elemosina per guadagnarsi 20 gourdes con cui sfamarsi (meno di 50 centesimi di euro) e quindi ulteriormente vulnerabili allo sfruttamento, soprattutto sessuale, o al traffico. Haiti è l’unico paese dell’America Latina in cui l’istruzione non è gratuita, con centinaia di migliaia di bambini senza accesso alla scuola. La povertà diffusa, inoltre, costringe molti bambini a lavorare per contribuire al reddito familiare, o a prendersi cura dei fratelli minori o dei parenti anziani. Nelle zone rurali le distanze costituiscono un ulteriore ostacolo all’accesso a scuola, mentre nelle aree urbane sono i fenomeni di disagio sociale - quali il crescente numero di bambini di strada o di orfani privi d’assistenza - a costituire barriere ulteriori all’accesso scolastico. Il sovraffollamento delle scuole e la carenza di risorse per la formazione degli insegnanti pregiudicano infine la qualità dell’insegnamento. Questa situazione si verifica anche nel quartiere

parole di Suor Anna, missionaria delle Salesiane di don Bosco, friulana come me, nell’isola da 55 anni. Ed è nelle storie delle persone che ho incontrato: funzionari ONU, militari brasiliani, carabinieri italiani. Non è facile farsi un’idea chiara di questo paese, compendio di vicende storico-politiche disordinate e di tragedie naturali. Un altro proverbio haitiano dice che “la

periferico di Croix de Bouquetes, dove i Padri Scalabriniani operano. Un’area che ospita in condizioni precarie e degradate oltre 150.000 persone. Tale popolazione è composta prevalentemente da due classi nettamente contrapposte e a volte in forte tensione. In maggioranza vi sono vecchi contadini che abitano la zona già da molto tempo, in minoranza nuovi venuti, provenienti da altre parti della città o dalla zona rurale circostante Port-au-Prince. L’ iniziativa dei Padri è volta ad accogliere, sostenere, aiutare e promuovere l’educazione e la cura integrale dei bambini e adolescenti che escono o fuggono da un regime di guerra e di violenza o che sono vittime dell’assenza di una politica socio-economico-culturale che fornisca loro la possibilità di un percorso educativo completo; ci si propone a tal fine di provvedere un sostegno alimentare e una attenzione specifica medico-sanitaria, ma anche una vicinanza morale e spirituale. L’obiettivo è far percepire loro la scuola come l’unico posto dove sentirsi a riparo dalla violenza, spesso anche familiare, e incontrare insegnanti formati alle situazioni d’emergenza, adeguati strumenti educativi e un clima di accoglienza e di sostegno psicologico.

matita del Buon Dio non ha la gomma”: cioè che quanto è stato scritto in cielo deve accadere comunque, quaggiù, e non può essere cambiato. Sono un popolo molto spirituale, gli haitiani, e anche fatalista, quasi rassegnato a subire una difficoltà dietro l’altra. Ma spero che, oltre alle loro, molte altre mani possano darsi da fare per rendere il peso più leggero.

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progetti Sindaco, come è arrivato a San Lupo questo progetto?

La struttura che accoglie i rifugiati eritrei a San Lupo

Piccoli comuni, grande solidarietà Intervista a Irma De Angelis, sindaco di San Lupo di Giorgio Gibertini, Direttore di Storie di Questo Mondo

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l consorzio Connecting People è l’ente aggiudicatario, insieme al socio Consorzio Amistade di Benevento, del progetto “Piccoli comuni, grande solidarietà” presentato dal Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno nell’ambito del PON Sicurezza per lo Sviluppo Obiettivo Convergenza 2007 - 2013 UE e avente come finalità il reinserimento e l’integrazione di 50 rifugiati eritrei. Il progetto si sta realizzando nel comune di San Lupo (BN) presso l’ex scuola elementare e il nostro consorzio garantirà, per i 24 mesi del progetto, tutti i servizi e gli interventi di accoglienza, assistenza e formazione necessari per una reale integrazione socioeconomica dei destinatari e volti a garantir loro la maggiore indipendenza possibile. Oltre ai servizi base di

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vitto e alloggio, verrà così assicurata agli ospiti della struttura un’assistenza costante tramite servizi di mediazione culturale, assistenza sociale, assistenza psicologica e infermieristica. Connecting People si occuperà inoltre della gestione e della realizzazione di attività di formazione, socializzazione ed accompagnamento degli ospiti. A tal fine stiamo realizzando per esempio attività di orientamento ai servizi del territorio, attività di formazione, corsi di lingua italiana, attività di job matching e conseguenti tirocini presso piccole aziende e realtà artigianali e turistiche della provincia di Benevento. Importantissima, come sempre, la collaborazione con le Istituzioni ad iniziare dal comune di San Lupo e per questo motivo Sqm ha intervistato il sindaco Irma De Angelis.

Il progetto “Piccoli comuni, Grande solidarietà” è nato un po’ dalla mia “incoscienza”, dato che non avevo idea inizialmente di cosa comportava l’accoglienza dei migranti. Ho avuto entusiasmo e curiosità subito dopo un primo contatto con il Ministero dell’Interno (Dipartimento Libertà civili) che ha sondato la nostra disponibilità per un progetto di accoglienza dei migranti. Sono andata a Roma dove ho conosciuto l’allora Prefetto Mario Morcone che ci ha da subito sorpresi per la sua positività, competenza e umanità; abbiamo preso conoscenza dei dettagli del progetto. Non ho nascosto al prefetto le mie perplessità iniziali legate al possibile impatto dell’arrivo di stranieri in un piccolo comune dell’entroterra, soprattutto in relazione al messaggio negativo che spesso viene associato agli immigrati. Il progetto inizialmente era previsto per 50 rifugiati politici, un numero piuttosto importante per un centro di poco meno di mille abitanti, poco abituato agli scambi anche con i paesi vicini. Per cui alla curiosità iniziale sin da subito si era affiancato un po’ di timore. Dopo alcuni incontri pubblici con i cittadini di San Lupo, debitamente informati, rassicurati sull’arrivo dei nuovi ospiti e sensibilizzati sull’arricchimento spirituale ma anche economico che sarebbe potuto derivare da questo scambio, le perplessità non sono mancate soprattutto in una parte della cittadinanza, impaurita dalle possibili problematiche legate alla sicurezza. Non sono mancate ovviamente le strumentalizzazioni politiche e di fondo c’è stata un po’ di diffidenza forse anche un po’ normale. Nonostante tutto, per la crescita del paese, abbiamo cercato di sfatare il pregiudizio, tenendone conto, con atti concreti di ospitalità. Ho sempre ritenuto, e i fatti me lo stanno confermando, che alla prova concreta dei fatti, la gente di San Lupo avrebbe manifestato la propria profonda generosità d’animo.


progetti So che avete festeggiato il 25 aprile con una festa dal titolo “Nasce una nuova vita”, nascita a nuova vita per noi italiani che ricordiamo la Liberazione e per i fratelli eritrei. Tra l’altro qualche giorno prima era nata una bambina proprio a San Lupo dalla mamma eritrea che aveva affrontato l’avventurosa traversata in mare in gravidanza. Questo è un altro importante aspetto dell’immigrazione, si possono così far rinascere i tanti piccoli paesi del Sud che si spopolano o invecchiano?

Irma De Angelis, sindaco di San Lupo

Il progetto è avviato da pochi mesi e non è ancora tempo di bilanci, ma abbiamo intuito che il trend è sicuramente positivo, per il paese e per gli ospiti. Secondo lei nel grande problema dell’immigrazione, questa dei Piccoli comuni può diventare un modello di risposta concreta applicabile in altre realtà? Lo spirito che ha animato questo progetto di integrazione lo ritengo esportabile. Un amico di San Lupo, che vive ormai fuori, mi aveva avvisato sulle insidie che l’incontro tra due povertà poteva generare. Io ritengo invece che proprio la diversità di una realtà come San Lupo e il territorio del Sannio, povera di strutture e infrastrutture rispetto ad una grande città, ci garantisce un tessuto sociale ancora “vergine” privo di problematiche socio-culturali tipiche di grandi centri urbani. Ritengo dunque che in piccoli centri si possa puntare maggiormente sul contatto umano tra gli ospiti e i cittadini che accolgono, che è quasi naturale. Nelle grandi città diventa invece inevitabile e quasi automatico rinchiudersi in comunità di immigrati che non favoriscono certo l’integrazione. A San Lupo la piazza è ancora un Agorà, qui gli ospiti partecipano attivamente alla vita della comunità. Ecco perché ritengo che l’esperimento funzioni nelle piccole comunità.

Si anche questo è un buon motivo in più per cercare di farli star bene e farli rimanere a San Lupo. La convenzione con il Ministero dura 24 mesi. Noi auspichiamo che già da prima nascano nuovi bimbi, e altri bambini sono già presenti, di cui qualcuno in età scolare. Questo ci permette di arginare lo spopolamento, di salvare le nostre scuole e di ampliarla. Poiché ci sono anche giovani single, io mi auguro da donna che qualcuno possa innamorarsi di una ragazza italiana e che possa rimanere in condizioni dignitose, con un buon lavoro e una famiglia autonoma.

Quali sono le richieste che le giungono da questi fratelli eritrei? Li sente parte integrante del paese, come è avvenuto questo inserimento? All’inizio è stato un po’ difficile capire il modo in cui era possibile incontrare lo spirito di queste persone. Poi, fidandomi dell’istinto, ho preferito un approccio diretto, non da amministratore ma come madre e donna. Alcune cose mi hanno davvero commosso, la storia della bambina, Milka, ad esempio che è stata la prima a venire a farmi visita a casa, che più di una volta mi ha raccontato di essere stata in carcere con la madre. Il mio approccio non è stato dunque tecnico, ma materno. A pelle percepisco buoni risultati. Anche dal sorriso dei ragazzi, dal loro modo di fare vedo che si fidano.

Qualche piccolo sogno o aspettativa per la continuazione del progetto? Aggiustamenti ce ne sarebbero tanti da fare. Io dico che sono stati compiuti tanti sforzi soprattutto da CP, che è l’ente che meglio

conosce e ascolta le istanze degli amici eritrei. Quanto si sta facendo è già molto importante. Si sta cercando attraverso il Consorzio AMISTADE di Confcooperative di avviare gli ospiti al mondo lavorativo, anche se il momento di crisi mondiale si sente anche e soprattutto in un economia periferica come quella del Sannio. Nonostante tutto sono già 4 le persone che lavorano, con grande sforzo da parte di tutti. Forse sarebbe il caso che il Ministero venisse a rendersi conto di quanto di buono si sta facendo qui, forse per dare anche qualche suggerimento sulle migliori strategie per ottimizzare il lavoro di Connecting People e dell’amministrazione comunale. Faccio inoltre un appello affinché il governo obblighi le regioni a legiferare per garantire agli immigrati regolari una piena assistenza sanitaria e la totale esenzione dal ticket.

Il progetto di “resettlement” di CP di Edoardo Villari Il 1 aprile del 2010 è iniziato il progetto di resettlement “Piccoli comuni, grande solidarietà” in San Lupo (BN) di cui Connecting People è ente gestore. L’obiettivo dei programmi di “resettlement” è inserire i beneficiari del progetto nel tessuto socio-economico di piccoli comuni, tramite un percorso che si sviluppa dalla formazione linguistica a percorsi di educazione civica, all’attività di orientamento lavorativo, elaborazione del portfolio di ciascun rifugiato, work-experience e stage presso le aziende del territorio, per garantire alla fine il recupero di un’autonomia socio-economica. Il progetto dura 24 mesi e l’Autorità Responsabile è il Dipartimento per le Libertà Civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno in collaborazione con l’ACNUR. Nel Centro vengono forniti vitto, alloggio, assistenza sociopsicologica, orientamento professionale, formazione linguistica e alla legalità, e formazione professionale.

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progetti Ascoltare le storie per capire Impressioni da San Lupo di Sebastiano Pomona Assistente sociale coordinatore degli operatori sociali

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dallo stanzone dell’area psicosociale. Due fian Lupo. Ne avevamo tanto parlato nestre grandi danno sulla piazza e ti permetcondividendo timori e speranze, tono di vedere cosa succede all’esterno dove obiettivi realistici e sogni. Ed ora, ogni tanto alcuni ragazzi giocano a pallone. eccolo qui davanti a me, abbarbicato su Un’altra è garantita da uno stanzino meno una collina da cui quando non c’è nebbia, luminoso ma più raccolto. La preferisco, i si gode un panorama stupendo. Manca il colloqui diventano più empatici e profondi. È mare, certo. Ma l’aria frizzante della sera qui che ascolto la maggior che si sostituisce a quella parte degli ospiti. Storie di appiccicosa cui siamo più Ed ecco il Centro. fughe, di carcere, di depriabituati, si fa certamente Piccoli comuni: Col biberon pieno perdonare. Vi arrivo Grande solidarietà. vazioni. di latte, Yousef in braccio attraverso campi di ulivi Mi colpisce perché è ed il solito vestito, Fatima ed una strada tortuosa la costruzione più è ancora lì. Ha qualcos’alche sale su da Benevento. Ed ecco il Centro. Piccoli imponente della piazza tro da chiedere, animatamente. Al solito. Gioco comuni: Grande solidadel paese col bambino, chiedo se rietà. Mi colpisce perché posso baciarlo. Dice di sì. Grande abbraccio è la costruzione più imponente della piazza al piccolo, allora. Le sorrido. Mi invitano a del paese. Entro e la vedo subito: è lì col suo pranzo alla mensa, pasta col pomodoro e bambino in braccio che fa avanti e indietro hamburger con insalata. Ci vado quasi ogni per il corridoio. Parla un po’ animatamente. Il primo saluto agli amici colleghi ed ai nuovi e giovani collaboratori. Ci si ricorda di altre circostanze, di altri luoghi e di altri lavori. Eh si, sono proprio tante e diverse le cose che ho fatto da quando ero poco più che ragazzo ad oggi che sono, solo professionalmente, più maturo. Tutte legate da un unico filo conduttore: ascoltare le storie per capire, per condividere e, se possibile, per aiutare. Anche a San Lupo ascolto storie. Mentre vedo capannelli di gente all’ingresso del centro che chiedono di conoscere Hiyab nata a Benevento il 6 aprile scorso, ascolto storie. E vedo solidarietà. Grandi Solidarietà. Lei, però è ancora lì, ogni tanto riappare col pupo in braccio. È bellissimo Yousef, faccione rotondo e due occhi scuri da mangiarselo. Ha imparato a guardare “in cagnesco”, imitando lo sguardo scherzoso della cuoca. Se lo guardi in quel modo, ti risponde. E sorride. Sorride anche Veduta del centro di San Lupo lei. Per fare i colloqui al centro di San Lupo ci sono diverse possibilità: la prima è offerta

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giorno. C’è un gruppo di ospiti che ama stare a tavola. Mangiano lentamente e scambiano battute. Sorridono. Una delle cuoche passa e chiede se il cibo è stato di gradimento. Non mi piace, risponde una signora in un italiano stentato. Ma come, se ha appena finito di pulirsi il piatto col pane non le piace? È questa una di quelle scene che, avendo lavorato per molto tempo nelle strutture di accoglienza, ho visto con una certa frequenza. Lei ha già finito. È su da un pezzo. Quando viene il suo momento Fatima racconta e non si fa pregare. Scende nei dettagli descrive le scelte che ha fatto e ne rivela la motivazione. Parla del suo disagio. “I think, i think ….” Pensa Fatima, a sua madre e suo fratello rimasti in Somalia. Al marito che non sa dove si trovi. A suo figlio che manderà all’asilo con gli altri. E per lei? Le basta un lavoro, un qualsiasi lavoro. Grazie ai colleghi e buon lavoro a tutti quelli che ho, momentaneamente, lasciato lì.


progetti A me piace andare a scuola L’inserimento a scuola dei bambini ospiti nel centro di San Lupo di Monica Di Gioia, tutor e Manuela Ianniello, formatrice alla legalità

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mento Libertà civili e immigrazione con la uando a fine giugno abbiamo collaborazione del UNHCR. Un progetto bachiesto a Milka se era contenta sato su metodologie innovative in tema della fine della scuola ci ha rispod’integrazione: non più insediamenti nelle sto: “No, non sono contenta, a me piace anmetropoli o nelle città, ma centri piccoli, con dare a scuola”. In questa piccola frase, promeno di cinquemila abinunciata a bruciapelo ed L’integrazione tanti. Contesti cioè più in italiano corretto da una bimba etiope di 8 anni, è scolastica dei bambini tutelati e con reali sbocè stata uno strumento chi di autonomia socioracchiuso tutto il senso di per l’integrazione lavorativa. Piccoli centri e uno dei primi risultati positivi del progetto “Piccoli socio-lavorativa dei dunque piccole scuole, dove gli insegnanti hancomuni, grande solidarieloro genitori no la possibilità di seguire tà”, attivato a San Lupo, meglio gli alunni e capire a fondo le loro poun piccolo paese in provincia di Benevento, tenzialità. È stato così che Milka ha frequensolo pochi mesi fa, in aprile. Milka e la sua tato quest’anno con profitto la prima classe famiglia, composta da mamma, papà ed della scuola elementare di San Lupo, al teruna sorellina di 6 anni, Nolawit, è tra i 30 rifumine della quale è stata promossa direttagiati politici, in gran parte eritrei, ma anche mente in terza, data l’età ma soprattutto la etiopi e somali, destinatari di un progetto velocità di apprendimento e la perfetta pasperimentale ed innovativo di reinsediadronanza della lingua italiana conquistata in mento realizzato dal consorzio Connecting pochi mesi, così come sua sorella Nolawit People, all’interno di un progetto di resettleche dopo l’asilo, frequentato nello stesso ment del Ministero dell’Interno – Diparti-

istituto, andrà in questi giorni in prima elementare. Non sono queste le uniche conquiste delle due bimbe, ormai perfettamente integrate con i loro coetanei, compagni di scuola e non, che girano spesso per il centro animando i suoi luoghi e la ludoteca, recentemente allestita all’interno del nostro centro e aperta anche a tutti i bambini del paese. Milka e Nolawit non sono le uniche bimbe ospiti del centro di San Lupo. Tra i più piccoli c’è infatti Yousef, ventidue mesi, che quest’anno ha frequentato la sezione “Primavera” dell’asilo nido di un paese limitrofo, Guardia Sanframondi, dove per l’inizio del nuovo anno scolastico è stata iscritta anche Eva, quindici mesi. Quest’ultima, frequentando l’asilo, consentirà alla mamma Ruta di lavorare come parrucchiera presso un coiffeur di Telese Terme. Per le due ultime arrivate, Hiyab ed Elinora, nate proprio a San Lupo, di appena quattro e tre mesi, è invece ancora presto. L’integrazione scolastica dei bambini è stata uno strumento molto efficace per l’integrazione socio-lavorativa dei loro genitori, non solo in termini di armonizzazione tra tempi di vita e di lavoro, ma anche come opportunità d’integrazione tra gli ospiti del centro e le famiglie del paese. Recite, colloqui scolastici e feste di compleanno sono state occasioni utili a favorire l’incontro tra gli ospiti e gli abitanti del luogo che, trovandosi a condividere ciò che hanno in comune, al di là delle differenze, cioè i propri figli, hanno iniziato a conoscersi e a comunicare. E come in molte storie di integrazione ben riuscita, essenziale è stato il ruolo dei bambini; i primi ad imparare la lingua e a rompere il velo di diffidenza che spesso gli adulti faticano a mettere da parte. Tutti, adesso, al centro di San Lupo attendiamo l’inizio del nuovo anno scolastico, proprio qui al centro che, in passato, era la scuola elementare del paese.

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incontri A scuola d’integrazione tra Gradisca e Sagrado Corsi d’italiano, laboratori didattici e formazione per adulti nel territorio isontino di Ndamnsah Blaise Nkfunkoh

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a presenza del CARA di Gradisca d’Isonzo nel territorio isontino sta creando delle sinergie positive che hanno consentito di avviare un importante progetto di integrazione scolastica a favore degli ospiti del CARA Il progetto è nato dalla volontà degli attori coinvolti di dare una risposta immediata agli ospiti del centro che erano privi di punti di riferimento in un territorio che non era preparata a questa “invasione”; essendo il comune di Gradisca d’Isonzo un piccolo comune della provincia di Gorizia, la presenza degli immigrati non passava di certo inosservata. Il comune di Sagrado, la Chiesa metodista di Gorizia, la parrocchia San Niccolò Vescovo di Sagrado e l’EDA di Staranzano (Centro permanente per l’Educazione Degli Adulti) hanno deciso di stipulare una convenzione con Connecting People per collaborare alla realizzazione di questo progetto di integrazione offrendo servizi rivolti alla formazione dei bambini e degli adulti e supporto alle famiglie degli immigrati. L’idea di base è nata nel 2008, durante un corso di lingua italiana per stranieri e di computer organizzato dall’Anolf di Gorizia in collaborazione con lo IAL FVG e la partecipazione della stessa EDA di Staranzano. In quell’occasione furono tante le difficoltà legate al costo del trasporto, nacque così l’esigenza di trovare un posto più vicino al centro. Il nuovo progetto è nato con l’obiettivo di coinvolgere gli attori che potevano risolvere questo problema e si è così dato vita ad un ampio ventaglio di proposte legate al tema dell’educazione e della scuola: laboratori didattici per bambini, scuola di italiano per stranieri, internet point, doposcuola gratuito, ecc... Abbiamo incontrato alcuni degli attori che hanno dato vita a questa importante azione per l’integrazione dei migranti nel territorio di Gradisca che ci hanno illustrato alcuni aspetti del progetto.

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prestito dei libri, hanno la possibilità di fare delle fotocopie e di consultare la loro corrispondenza su internet, per mantenere i legami con le loro famiglie d’origine. Quest’anno il comune di Sagrado ha anche ospitato “la festa dei popoli” promossa dalla CARITAS MIGRANTES che ha visto la partecipazione di molti ospiti. Finanziamo anche un doposcuola per consentire alle donne ospite del CARA di poter lasciare i bambini per frequentare un corso di lingua. Il consiglio comunale sta discutendo inoltre della possibilità di attivare dei progetti di volontariato che coinvolgano gli ospiti in lavori socialmente utili al fine di prepararli ad affrontare il mondo del lavoro.

Elisabetta Pian, sindaco di Sagrado (GO)

Dott.ssa Elisabetta Pian qual è la sua strategia di accoglienza ed integrazione per gli ospiti del CARA? Quali sono gli obiettivi che intendete raggiungere? Il Comune di Sagrado promuove già da molti anni un progetto di integrazione e di multiculturalità che coinvolge le scuole elementari e medie del nostro territorio. Finanziamo anche un laboratorio interculturale per permettere la conoscenza reciproca fra gli alunni delle scuole e gli alunni stranieri. Nell’ambito del progetto specifico il comune di Sagrado ha offerto un internet point, un’aula e il materiale didattico per un corso di lingua italiana base ed avanzato per stranieri. Mettiamo anche a disposizione degli ospiti la biblioteca municipale, gli ospiti del CARA possono prendere in

I numeri del progetto Il “Progetto culturale e di alfabetizzazione” è organizzato in maniera flessibile per coincidere con la durata del soggiorno degli ospiti. Per ogni gruppo di ospiti interessati a seguire un corso viene attivato un percorso che dura 40 ore. La breve durata consente a tutti di completare il corso prima di lasciare il centro e permette un rapido ricambio dei corsisti. I corsi partono a cadenza bimestrale. Il progetto non si esaurisce nei corsi di alfabetizzazione ma prosegue con il monitoraggio del rendimento scolastico e il rilascio degli attestati di frequenza. Partecipano a questo protocollo Connecting People, il comune di Sagrado, l’EDA di Staranzano, la parrocchia di San Niccolò di Sagrado e la Chiesa metodista di Gorizia.


incontri Mario Colaianni ci spiega in che modo la Chiesa metodista partecipa al difficile percorso per l’integrazione nel territorio di Gorizia?

Marco Fragiacomo, preside EDA

Dott. Fragiacomo quale sarà il ruolo dell’EDA in questo progetto educativo rivolto ai migranti? L’EDA di Staranzano, di cui sono preside, è un istituto statale d’istruzione tecnica molto sensibile alla questione dell’educazione degli adulti e degli immigrati.

Si è dato vita a un ampio ventaglio di proposte legate al tema dell’educazione e della scuola

Come Chiesa metodista, in collaborazione con la parrocchia San Niccolò di Sagrado, abbiamo accolto i bisogni e le esigenze degli ospiti e ci siamo attivati per trovare delle risposte. Molti ospiti del CARA erano anche di religione protestante e ci siamo fatti carica delle loro richieste. La chiesa metodista assiste economicamente alcuni ospiti per le loro spese legali in caso di rigetto della richiesta di permesso di soggiorno. Incontro personalmente gli ospiti una volta per settimana all’interno del Centro, è stato quindi del tutto naturale che abbiamo partecipato e spinto per attivare questa convenzione. Abbiamo concluso il nostro giro di incontri raccogliendo qualche parola di Olivier Huge, Costa D’Avorio, che ha partecipato al progetto: “Sono molto contento di aver partecipato a questo corso grazie al quale ho imparato un po’ d’italiano. Prima non riuscivo a comunicare con le persone in nessuna situazione, quando andavo in chiesa ad esempio non capivo nulla. Ora con il corso d’italiano base e avanzato me la cavo abbastanza bene. Mi sono anche iscritto ad

Mario Colaianni, presidente della Chiesa metodista di Gorizia

un corso di formazione professionale per saldatori e ora aspetto fiducioso la decisione del tribunale e spero di poter lavorare. Credo che il progetto sia stato davvero una benedizione per la mia vita, perché sono riuscito a dare un senso alla mia vita e a lottare contro la noia che mi assaliva perché non facevo niente tutto il giorno nel centro”.

Siamo stati subito pronti ad offrire agli ospiti qualche opportunità formativa, immaginando anche soluzioni innovative per favorire la possibilità di seguire i corsi. L’EDA offre dei corsi di lingua italiana base ed avanzata ed offre anche la possibilità di conseguire il diploma di scuola media e di imparare una professione. Nell’ambito del progetto scuola e integrazione l’EDA ha fornito gli insegnanti qualificati e abilitati a rilasciare per conto dell’istituto dei diplomi e/o certificati con valenza nazionale. Il corso di italiano per stranieri adulti che si svolge a Sagrado

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news

Lo spettacolo del gruppo di musicisti senegalesi presenti durante la serata

Acireale (CT)

Giornata mondiale del rifugiato: una casa in festa di Aurora Giardina e Francesco De Maria

Parlare degli occhi di chi ha tanto da raccontare, di chi ha bisogno di comprensione o di una stretta di mano. Osservare occhi di tanti che sono venuti a conoscere una realtà tanto bella quanto nascosta, che un pomeriggio ha bussato alla loro porta. Questo, forse, il senso di una giornata, lo scorso 22 giugno, in cui si è festeggiata la Giornata Mondiale del Rifugiato 2010, indetta dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, e organizzata ad Acireale dal consorzio “Il Nodo” in collaborazione con il comune di Acireale, ente titolare del progetto SPRAR “Gueso Selam”. Il progetto, che è attivo sul territorio acese dal 2004, è stato presentato, insieme ai progetti di Catania “Sirat” e “Tafatal”, durante la conferenza che ha dato inizio alla manifestazione, alla quale hanno partecipato rappresentanti istituzionali come il vescovo di Acireale mons. Pio Vigo, l’assessore acese ai servizi sociali Alessandro Patanè, la dott.ssa Angela Saitta in rappresentanza del comune di Catania.

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Il momento aggregativo svoltosi negli spazi all’aperto dell’ex Collegio Santa Venera di via Dafnica, dove è attualmente situato il centro d’accoglienza, ha avuto come tema “Home - Un luogo sicuro per ricominciare” scelto dall’UNCHR, per porre l’accento sul disagio e sulla difficoltà che questi migranti vivono quotidianamente. L’abbandono della propria casa, della propria famiglia, della propria terra, possono rappresentare un trauma che solo dopo molto tempo e non sempre si riesce a superare. Emigrare implica uno spostamento di relazioni, emozioni, identità che necessitano di una ricostruzione, di un riadattamento cognitivo che non è così semplice e automatico come a volte si pensa. È in questa direzione che ci si vuole muovere, dando la possibilità a queste persone di ricostruire un bagaglio di conoscenze e competenze tali da renderle autonome, consapevoli e coscienti del proprio destino. Un destino che riparte qui e ora, verso nuovi orizzonti o semplicemente verso il sogno di poter un giorno, non troppo lontano, ritornare nel proprio paese. È con questa convinzione che gli operatori e i responsabili dei progetti SPRAR di Acireale e Catania hanno collaborato per la realizzazione di questa giornata, organizzando due distinte attività: la creazione di un videoclip e un concorso fotografico. Uomini e donne rifugiati e richiedenti asilo hanno dato la propria voce ed il proprio volto per raccontare un po’ di sé, della nostalgia del proprio

paese e delle speranze per la nuova vita in Italia. Le interviste realizzate hanno dato la possibilità a tutti gli intervenuti di conoscere direttamente i volti, i nomi e le storie di queste persone. Nei giorni precedenti la giornata, sono state invece messe a disposizione degli ospiti delle fotocamere, in modo da permettere a tutti di fare degli scatti e partecipare al concorso dal tema “Home”. Tutte le foto hanno poi formato una mostra fotografica, con tanto di votazione e premiazione delle tre foto più apprezzate. Altre foto scattate da professionisti volontari sono state esposte in una mostra, seguendo un percorso concettuale tra mondi e culture diverse. L’evento si è concluso con una merenda fatta con i prodotti del commercio equo e solidale e con il ritmo incalzante e coinvolgente delle note suonate da un gruppo di musicisti senegalesi. “Gueso Selam”, che in lingua eritrea significa “Giorni di pace”, vuole essere un augurio affinchè le risorse messe a disposizione siano in grado di fornire ai beneficiari tutti quegli elementi necessari e indispensabili per una loro corretta integrazione nel territorio; ma vuole essere anche l’augurio, per tutti noi, che ritmi, sapori e storie di paesi lontani possano impegnare non il tempo di una sola giornata, ma il tempo e l’entusiasmo di quante più giornate possibile.

Tra gli operatori e i piccoli ospiti subito sintonia


news KIEV

ROMA

di Susanna Rognini responsabile progetti internazionali CP

di Serena Naldini redazione Connecting People

Nell’ambito delle collaborazioni che il Consorzio Connecting People porta avanti ormai da tempo con l’Unità Psicosociale dell’OIM, il 22 luglio scorso ho partecipato a Kiev alla conferenza internazionale organizzata all’interno del progetto “Intervento di capacity building in favore delle istituzioni locali ucraine per il rafforzamento delle politiche migratorie e socioeducative rivolte ai bambini, alle donne ed alle comunità locali”. Il progetto, gestito dall’Unità Psicosociale di OIM e finanziato dal M.A.E., ha lavorato sul tema di cosiddetti “left behind”, di tutte le famiglie e specialmente i bambini che si trovano a vivere senza madre perché è all’estero, spesso in Italia, a lavorare, proprio per accudire le nostre famiglie nella cura degli anziani e dei bambini. Nella conferenza sono state tirate le fila del progetto che ha attivato una serie di servizi in loco e un osservatorio stabile sul tema, coinvolgendo sia istituzioni che rappresentati della società civile in Ucraina e in Italia. Connecting People ha portato la testimonianza, richiesta dal Ministero del lavoro ucraino, della cooperazione sociale come strumento di sviluppo locale. Questo primo incontro è un seme per una possibile collaborazione che interessa caldamente il nostro Consorzio: l’impegno nella cooperazione internazionale, in particolare coi paesi di origine dei migranti, è infatti per noi una scommessa per uno sviluppo più equo e una possibilità di crescita in ottica di reciprocità, impegno che portiamo avanti parallelamente al nostro lavoro in Italia e che vogliamo far crescere nei prossimi anni.

Martedì 20 luglio 2010 presso la sede dell’Associazione Stampa Estera si è svolta la presentazione delle ricerche realizzate nell’ultimo semestre dall’Osservatorio Carta di Roma, la struttura scientifica nata per monitorare l’informazione italiana in materia di immigrazione. Particolare attenzione è stata dedicata al modo in cui i telegiornali delle sette reti generaliste e numerosi quotidiani nazionali hanno seguito i drammatici fatti di Rosarno, in Calabria, all’inizio di quest’anno. Con l’occasione ha preso vita un proficuo confronto - tra giornalisti, studiosi ed esponenti dell’associazionismo impegnati nel settore - su un tema di grande rilevanza professionale e civile. È con questo obiettivo che la Federazione della Stampa e l’Ordine dei Giornalisti, in collaborazione con l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (Unhcr), hanno varato due anni fa la Carta di Roma, cioè il “Protocollo deontologico concernente immigrati, rifugiati, richiedenti asilo e vittime della tratta”: non per produrre un testo in più

Connecting People alla conferenza OIM sui “Left Behind”

Presentazione Osservatorio Carta di Roma

di buone intenzioni, ma per fornire alle redazioni uno strumento da mettere alla prova nel lavoro quotidiano. All’incontro hanno partecipato Roberto Natale (Presidente della FNSI), Laura Boldrini (Portavoce dell’Unhcrdelegazione italiana) e Mario Morcellini (Presidente della Conferenza Nazionale delle Facoltà e dei Corsi di Laurea in Scienze della Comunicazione) molti direttori di quotidiani nazionali come Di Gregorio, Calabresi, Toti, Meneghini e Tarquinio. Ottimo l’intervento di Mario Calabresi, direttore de “La Stampa”, che ha invitato ad uscire dagli schemi ideologici e a raccontare la normalità dell’integrazione già in corso in Italia ed ha presentato la giornalista che da oggi in poi si occuperà, per il suo giornale, solo di immigrazione: Francesca Pali. Dalla ricerca presentata dal professore Morcellini risulta che, prendendo in considerazione l’anno 2008, su un corpus di 1540 notizie solo 85 sono state definite buone (con varie classificazioni) e di queste la netta maggioranza è stata pubblicata da e su Avvenire. Morcellini ha detto chiaramente che “Avvenire sposta in avanti la speranza”. La parola è quindi poi passata a Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, che ha svolto un ottimo intervento sul senso dell’ informare (formare in, formare dentro) e sul lavoro di inchiesta della sua redazione che ha portato agli ottimi risultati esposti in ricerca. Per approfondire: www.slideshare.net/mbinotto/ il-tempo-delle-rivolte-presentazione20luglio-online

Un momento della conferenza di presentazione delle ricerche

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news ROMA

Povertà: giovani, stranieri e meridionali le prime vittime della crisi di Serena Naldini redazione Connecting People

Nel passaggio dal livello finanziario a quello dell’economia reale, la crisi ha colpito duramente il corpo sociale del paese, sia dal punto di vista dell’occupazione sia da quello della riduzione del reddito, creando nuove fasce di disagio e povertà. Dalla relazione che intercorre tra crisi e povertà prende le mosse il nuovo “Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale”, che la Commissione di indagine sull’esclusione sociale ha presentato a Roma nella sede del Cnel, ultimo atto di questo organismo, scaduto a fine luglio. La crisi produttiva e la pesante contrazione del Prodotto interno lordo hanno creato una caduta occupazionale senza precedenti nella storia del nostro Paese dal dopoguerra ad oggi. Tra il primo trimestre del 2008 e il primo trimestre del 2010 l’occupazione è scesa, infatti, di oltre 600 mila unità, con un calo del 2,4%. Ancora maggiore, inoltre, è stato il calo delle ore lavorate che - a causa del taglio degli straordinari e del massiccio ricorso alla cassa integrazione - ha registrato un crollo del 4,9%. Ma è stato proprio l’uso della cassa integrazione, che ha permesso di attenuare, almeno in parte, l’impatto della crisi sui livelli occupazionali e sul reddito delle famiglie. La crisi, però, non ha colpito tutti allo stesso modo. E i primi ad essere investiti sono stati soprattutto gli stranieri, i lavoratori del Meridione e i giovani. La popolazione straniera ha infatti registrato una flessione del tasso di occupazione pari al 2,5% il doppio rispetto alla media italiana. Mentre nel Nord - e nelle zone a più forte insediamento industriale - si è registrato un più forte ricorso alla cassa integrazione con conseguente riduzione del monte ore lavorate, le regioni

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meridionali hanno visto un maggiore calo dell’occupazione dovuto a una più forte percentuale di licenziamenti e chiusura di imprese. Dal punto di vista anagrafico, invece, la crisi occupazionale sembra aver colpito - per lo meno nella sua fase iniziale e nelle aree in cui vi è stato un più forte utilizzo della cassa integrazione - soprattutto le classi di età più giovani: la maggiore flessione del tasso di occupazione si è registrato infatti tra i 20 e i 34 anni, dove la caduta è stata pari al 6,3%. I lavoratori coinvolti sono soprattutto quelli con condizioni contrattuali meno garantite e con una minore copertura dei tradizionali ammortizzatori sociali. Ma l’impatto della crisi sull’occupazione giovanile si è manifestato anche con un blocco all’entrata: e quindi, in primo luogo, attraverso il brusco rallentamento del turn over e la mancata sostituzione di forza lavoro piuttosto che attraverso licenziamenti e cessazioni premature dei rapporti. Le famiglie piu’ colpite dalla crisi - si legge sempre nel rapporto del Ceis - sono allora quelle composte da giovani coppie, da lavoratori singoli in giovane eta’ e titolari di contratti di lavoro temporaneo o precario e quelle piu’ numerose. Tuttavia - rilevano i curatori del Rapporto - il fatto che gran parte della caduta dell’occupazione abbia riguardato lavoratori giovani, ancora conviventi con i genitori, ha favorito qualche

redistribuzione del reddito all’interno delle famiglie ed ha fatto si che le famiglie diventassero veri e propri piccoli “welfare state” salvaguardando il paese dalla bancarotta. Ovvio che questo sistema non può reggere molto. Definire poi il concetto di povertà, come ha detto Antonia Carparelli della Commissione Europea, non è così semplice perché ormai l’Europa consta di 27 paesi membri molto diversi tra loro (100 euro in Italia sono diversi da 100 euro in Romania, tanto per fare un esempio comprensibile a tutti). Sempre la Carparelli ha quindi giustificato il periodo un po’ confuso di proposte o terminologia col fatto che siamo in una nuova fase di studio del fenomeno povertà e quindi, prima di avere uno sguardo chiaro sul problema, si deve passare anche un periodo di incertezza. È chiaro comunque che il lavoro non ti cade addosso e che, in attesa di quello che più si avvicina ai propri desideri, occorre adattarsi a occupazioni meno consone, soprattutto in periodi duri come quello che stiamo vivendo.

Per approfondire: Dati Istat sulla povertà in Italia nel2009 indata 21 luglio 2010 www.istat.it/salastampa/comunicati/in_calendario/ povita/20100715_00/testointegrale20100715.pdf

Povertà relativa per ripartizione geografica - anni 2006/2009 (%) - Rapp. Istat 2009 Povertà in italia


press I testi completi sono consultabii e scaricabili nella sezione stampa del sito www.connecting-people.it

Rubrica a cura di Salvo Tomarchio

Liberazione 1.09.2010

Avvenire 13.08.2010

di Maurizio Pagliassotti

di Laura Badaracchi

[...] Come Ufficio pastorale migranti abbiamo da più di trent’anni corsi di italiano per stranieri e rifugiati politici, e negli ultimi anni la frequenza dei nostri corsi da parte dei rifugiati Ë di circa 250 persone. [...]C’Ë una scarsa capacità di leggere il fenomeno nel suo orizzonte mondiale e locale, di vederne la quantità e il flusso, di riconoscere che ci stiamo confrontando con quantità tutto sommato assolutamente gestibili. I numeri totali con cui si confronta l’Italia sono bassi se paragonati a quelli degli altri Paesi secondo i dati forniti dall’UNHCR [...]

Sono i giornali in lingua araba stampati in Italia - con una decina di testate periodiche, per un totale di circa 100 mila copie al mese - a detenere il primato della stampa “etnica” edita in 15 lingue diverse dagli stranieri residenti nel nostro paese e destinata ai loro rispettivi bacini linguistici. [...]

Italia Oggi 1.09.2010 di Daniele Cirioli

Adn Kronos

A decorrere da oggi i cittadini dei paesi esenti dall’obbligo del visto per corto soggiorno possono fare ingresso in Italia, per soggiorni fino a 90 giorni per motivo di studio, senza doversi premunire del corrispondente visto d’ingresso (per studio). Lo rende noto il ministero dell’interno con la circolare n. 5500/2010. [...]

7.7.2010

Il Manifesto 20.08.2010 di Giuseppe Caliceti Dal prossimo 9 dicembre per ottenere il permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo, già carta di soggiorno, per gli immigrati in Italia sarà necessario superare un esame di lingua italiana. Il test di lingua si va a sommare a una procedura già abbastanza complessa: l’ottenimento del permesso di lungo periodo [...]

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Franco Gervasio FRATELLI D’ITALIA? Storie di migrazioni

Recensione a cura di Serena Naldini

SPETTACOLO TEATRALE Drammaturgia: Pietro Favari Regia, Scena, disegno luci, immagini: Franco Gervasio Musiche: Creativity® Music Ensemble con Dario Vergassola e gli interpreti del “Teatro del Mondo” Costumi: Laura Strambi Ferrini Produzione: Creativity® International Arts Factory

Fratelli d’Italia?, prima di essere uno spettacolo teatrale, è una domanda. E, come ogni domanda, apre la strada alla ricerca. Incentrata su vere storie di migrazione narrate dagli stessi protagonisti, l’opera invita gli spettatori a interrogarsi sulla nostra capacità di accoglienza, di apertura, di convivenza con tradizioni differenti. Lo spettacolo è il culmine di un percorso attraverso il quale l’autore, Pietro Favari, ha raccolto oltre cinquanta storie di migranti provenienti da tutto il mondo e, in collaborazione con il regista Franco Gervasio e con Creativity International Arts Factory, ne ha selezionate alcune, anche in base alle capacità espressive e alla disponibilità dei protagonisti ad assumersi l’impegno

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costante richiesto dalle prove e dalle tournées. Gli interpreti hanno dunque partecipato a un iter preparatorio che li ha progressivamente coinvolti nel difficile compito di mettere in scena una parte drammatica della propria vita. Ne viene fuori, secondo le parole del regista, “uno spettacolo dalle emozioni forti - amplificate dalla coincidenza tra personaggi e interpreti - un po’ onirico, fiabesco, sulle orme dei raccontatori che in tutto il mondo, dall’Africa all’Europa dell’Est, dall’America Latina alle terre dell’Oceano Indiano, rallegrano le feste e intrattengono adulti e bambini con i racconti degli antichi miti, di lontane imprese, di eroi come fu Ulisse o altri mitici viaggiatori alla ricerca del miracolo”. Le storie narrate presentano un elemento comune: un desiderio di futuro contrapposto a una realtà diversa da quella sognata, dove l’accoglienza non sempre corrisponde alle aspettative. “Voi non siete razzisti, - afferma la donna albanese - siete generosi, ma non aperti. Siete xenofobi per paura”. Oltre ai protagonisti stranieri, è

prevista la presenza di un italiano che funge da interlocutore, intervistatore, provocatore e conduttore dello spettacolo, tenendo così uniti i fili della scena e sdrammatizzando i tratti più tragici dei racconti in prima persona. Quando il migrante del Congo pronuncia il proprio nome ricco di consonanti, “Questo è il codice fiscale,” scherza Dario Vergassola, che al Festival dei due Mondi di Spoleto ha interpretato l’Italiano. Il congolese riprende allora la parola per dire con orgoglio misto ad allegria: “Chiamatemi come volete. Io so chi sono”. Fratelli d’Italia? mette in scena il pregiudizio, ma anche la sua lenta e inesorabile erosione, compiuta dalle narrazioni, dai volti e dai gesti dei personaggi-interpreti. “Sono venuto in Italia per studiare pittura,” afferma il protagonista filippino. “Per me, l’Italia non era il mulino bianco - precisa - ma la cappella sistina”. Lo spettacolo riscopre la funzione più prettamente sociale del teatro, che mette in crisi la visione comune delle cose per trasformarle e renderle più eque, attraverso una differente distribuzione della ricchezza e della fortuna. Fratelli d’Italia? ci richiama al nostro ruolo in questo cambiamento, perché è a partire dal proprio angolo di mondo che si può fare spazio a voci, vite e storie nuove e perché, per dirla con De Gregori, “la Storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso. La Storia siamo noi, siamo noi queste onde nel mare, questo rumore che rompe il silenzio, questo silenzio così duro da masticare.”



via Virgilio complesso 5 Torri 91100 Trapani viale Vincenzo Giuffrida n.203/C 95100 Catania Tel.095 7167141 - Fax 095 22463026 E-mail: segreteria@cpeople.it p.iva 02194760811 www.cpeople.it


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