Premessa 1
Principi ispiratori 2
Da episodio a sistema: la lezione dell’Emergenza Nordafrica 3
Mappa dell’accoglienza: come si rinnova il sistema dei centri 4
Obiettivi e destinatari 8 Le linee guida del sistema 9 Il governo regionale dell’accoglienza 13
Dimensionamento del sistema 14
Risorse aggiuntive per l’accoglienza 15
Il futuro passa da qui
Una proposta di rinnovamento del sistema di accoglienza in Italia a cura di Mauro Maurino Consigliere d’amministrazione di Connecting People
Premessa La gestione delle politiche migratorie in Italia durante la cosiddetta Emergenza Nordafrica ha messo in evidenza almeno tre questioni di carattere generale riferite all’attuale sistema di accoglienza. In primo luogo, sino ad oggi la questione migratoria è stata interpretata come un problema nazionale, in cui le politiche e le scelte dipendono direttamente dallo stato centrale, mentre per paradosso i problemi di gestione, e spesso anche di reperimento delle risorse, spettano al livello locale. Uno sguardo innovativo vuole spingere anche le istituzioni regionali e locali verso un protagonismo, non solo rispetto all’accoglienza, ma più in generale sui temi dell’integrazione e del fallimento dei progetti migratori. In secondo luogo, i migranti che approdano sul territorio italiano spesso richiedono l’asilo, anche senza averne motivo o diritto, in quanto tale domanda costituisce il canale più semplice per ottenere i servizi di accoglienza nel primo periodo e, successivamente, il permesso di soggiorno. Per questo motivo, il flusso di richiedenti asilo comprende un numero significativo di migranti economici - ovvero persone che emigrano non per fuggire da guerre, epidemie, persecuzioni, ma per realizzare il proprio progetto migratorio. Inoltre, le due etichette non corrispondono sempre a tipologie di migranti, ma anche a fasi del percorso personale: un richiedente asilo che ottenga lo status e che inizi a lavorare può essere considerato alla stregua di un migrante economico. Pur essendo spesso sovrapposte, comunque, le due categorie risultano utili per schematizzare le diverse linee di una proposta di rinnovamento del sistema. La differenza principale nel progettare gli interventi e le opportunità per le due categorie in questione risiede nella capacità o nell’attesa che i migranti economici possano contribuire direttamente a fornire quota parte delle risorse necessarie per i servizi specifici a loro destinati. In questo documento, ci soffermiamo sui richiedenti asilo, ritenendo urgente una discussione sul sistema di accoglienza italiano.
Riferimenti normativi
Permesso di soggiorno Decreto Tremonti - Maroni del 6 ottobre 2011
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A volo d angelo Il futuro passa da qui è l’esito di una riflessione collettiva che, a partire dall’esperienza - in particolare piemontese - dell’accoglienza di profughi della cosiddetta Emergenza Nordafrica, si propone di stimolare il dibattito culturale e politico sui temi dell’accoglienza. Il documento è stato elaborato qualche mese fa. Oggi, nel rileggerlo e nel ricevere gli interventi scritti a commento dello stesso, il pensiero fa un passo in avanti. Uno dei nodi ineludibili delle politiche dell’accoglienza è rappresentato dal tema delle risorse: da quelle tradizionali, prettamente economiche, a quelle organizzative, quali enti gestori e comunità nazionali dei migranti, sino a spingersi all’azzardo di affermare che i centri di accoglienza non rappresentano solo costi, ma anche investimenti economici. Queste poche righe intendono tratteggiare l’argomento in questione, a chiarimento e, in parte, a integrazione del documento Il futuro passa da qui. Gli enti gestori sono in genere considerati operatori di mercato che assolvono ed esauriscono il proprio compito con la fornitura di beni e servizi legati alla gestione e alla procedura della richiesta d’asilo. In realtà, questi enti sono veri e propri mondi di opportunità, con le reti di cui sono portatori, con i network che possono mettere al servizio del sistema di accoglienza: da questo discende la loro capacità di moltiplicare le possibilità, di valorizzare territori e pratiche, di orientare le risorse secondo le esigenze concrete. Sotto questo aspetto, andrebbe introdotta una selezione degli enti secondo criteri nuovi che non trovano spazio nell’attuale sistema di gare. Riteniamo che una caratteristica necessaria per l’ente gestore - che va oltre la competenza professionale di produrre servizi di qualità - sia la capacità di rappresentare una filiera di opportunità e garantirne l’utilizzo, filiera che riflette la complessità del processo di accoglienza e la delicata opera di riannodamento di trame di vita attraverso una molteplicità di ambiti di intervento: assistenza, mediazione, alfabetizzazione, formazione, salute, lavoro, casa, rimpatrio. Il secondo blocco di risorse è meno evidente, ma molto interessante: le comunità nazionali dei migranti presenti in Italia. Si tratta, anche in questo caso, di possibili miniere nascoste a cui un programma di accoglienza nazionale non può non guardare, in quanto realtà che uniscono le due sponde del progetto migratorio, luoghi che rendono permeabili i confini. Il coinvolgimento delle comunità nazionali equivale a una chiamata in corresponsabilità che rende esplicita la filigrana del fenomeno migratorio. Le ragioni che legittimano questa impostazione sono molteplici: a partire da quelle di senso (come è possibile operare nel campo delle migrazioni, senza i migranti stessi come coprotagonisti delle politiche e delle scelte?) per arrivare a ragioni di impronta pragmatica, relative alla capacità, ampiamente testata, dei network di migranti di promuovere identità e cittadinanza, di agevolare i rimpatri e di consentire lo sviluppo di attività economiche tra i paesi di partenza e il paese di approdo. Normalmente, i centri di accoglienza vengono percepiti come fonti di costi. Nella realtà, però, essi sono anche luoghi capaci di generare e ridistribuire risorse e di produrre risparmi, prevenendo l’insorgere di spese. Nello specifico, provando a delineare questi vantaggi in genere poco evidenziati, troviamo che: - Un sistema di accoglienza con una capacità di 18 mila posti genera 4000 mila posti di lavoro diretto con le persone migranti più circa 2 migliaia nell’indotto (servizi di ristorazione, trasporti, lavanderia e altri beni e servizi necessari alla gestione dell’accoglienza) per un totale di almeno 6 mila posti di lavoro di cui il 20% ad alta qualificazione. - L’attività sanitaria, laddove svolta in collegamento con le strutture del territorio e con l’ausilio di strumenti di rilevazione di dati, consente di costruire la conoscenza di questa popolazione nuova, ignota al servizio sanitario nazionale che viene in tal modo viene messo in grado di programmare le proprie politiche di intervento con evidenti risparmi dovuti alla razionalizzazione. - L’utilizzo di strumenti di politiche attive del lavoro non solo accelera i processi di inserimento nel mercato del lavoro, ma consente anche di facilitare la selezione di quei profili specializzati ricercati dalle aziende, talvolta rintracciabili nei gruppi di migranti, evitando in tal modo il fenomeno del depauperamento delle risorse umane. - Nei luoghi in cui si verifica un incontro positivo tra centro di accoglienza e
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Come terzo e ultimo punto, l’attuale sistema si basa su due pilastri consolidati (CARA e SPRAR) e un terzo nato con l’Emergenza Nordafrica. In grande sintesi possiamo dire che tale sistema è: - costoso; - insufficiente quantitativamente; - non tutelante, cioè non orientato a sostenere i percorsi di rifugiati non appartenenti a categorie vulnerabili, ma privi comunque di reti di sostegno autonome; - qualitativamente disomogeneo. Il livello di qualità dipende dalle singole volontà; - incoerente. I pilastri vengono rappresentati in dinamiche di quasi concorrenza, rendendo più complicata la costruzione di una filiera; - precario nei suoi attori. Ad ogni fine emergenza, le risorse attivate vengono smantellate. Il sistema delle gare è inquinato da tempi di aggiudicazione non certi, assegnazioni complesse, continui ricorsi; - demandato alla volontà dei singoli comuni. Nel circuito SPRAR, l’accoglienza è vincolata alla volontà dell’ente locale; - poco efficiente. Il sistema SPRAR esprime obiettivi di rilievo, ma in molti casi non ha risorse proporzionate e standard definiti di personale; i centri CARA, al contrario, sono caratterizzati da elevati livelli di investimento e di servizi, a fronte di obiettivi ridotti rispetto alle loro potenzialità; - privo di sistemi di selezione qualitativa per l’assegnazione. La compagine dei soggetti gestori è estremamente variegata, senza alcun comune denominatore: cooperative sociali, albergatori, associazioni di radioamatori, multinazionali, etc; - privo di sistemi di monitoraggio. Non sono previste forme di controllo sostanziali per nessuno dei sistemi di accoglienza, da quelli governativi, allo SPRAR, a quelli finanziati da enti o programmi locali. Il monitoraggio esplora soltanto dati di tipo numerico e rendicontativo, senza prendere in esame la quantità e la qualità dei servizi offerti. Questa lacuna del sistema non consente di procedere a correzioni, sanzioni, o eventualmente sospensioni di un affidamento, in caso di evidenti carenze.
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Principi ispiratori Il modello descritto nelle pagine che seguono è orientato secondo quattro principi di fondo: - Universalismo del sistema di accoglienza. L’idea è che vada allargata la platea delle persone migranti alle quali rivolgere le politiche di sostegno. In questo ampliamento di orizzonte trova fondamento il principio universalistico: ogni migrante ha diritto di avere opportunità di accoglienza, a prescindere dalla ragione per cui ha intrapreso il proprio progetto migratorio.
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residenti si mette un moto una crescita culturale e di fiducia tale da migliorare la qualità della vita, diminuendo quei sentimenti di paura e di chiusura che in genere si amplificano a contatto con il diverso. Gli studi economici dimostrano che i territori aperti e disponibili all’innovazione migliorano le loro chances di crescita. Il quarto blocco di risorse è di tipo tradizionale. Dove prendere i soldi per fare accoglienza? Proviamo a tratteggiare alcune proposte che vanno da una revisione della destinazione della tassa per il rilascio dei documenti di soggiorno alla trasformazione di ore di permesso dei lavoratori dipendenti, sino ad arrivare (con un’ombra di populismo) ai costi della politica. Da questa ricognizione, finalizzata a riqualificare la spesa che lo Stato italiano già affronta, emerge una disponibilità interessante: oltre 300 milioni di euro, cifra sufficiente a finanziare il programma dimensionato a 18 mila posti. Ci si può ancora chiedere perché destinare queste risorse all’accoglienza, e non ad altri scopi. La ragione non è solo da rintracciarsi nel sentimento di solidarietà e nel fatto che l’Italia abbia firmato dei trattati internazionali. La tesi è che accogliere sia un investimento, non solo a lungo termine, nelle questioni culturali, ma anche a breve termine, a livello di posti di lavoro, di risparmi, di sviluppo. Il documento avanza diverse proposte, ma soprattutto inaugura questo sguardo sui fatti migratori, uno sguardo che a nostro giudizio potrà dare ottimi frutti nel prossimo futuro. Ad oggi, qualche risultato già c’è. Le nostre organizzazioni sono entrate in contatto con altri mondi imprenditoriali, generando incontri inediti e proposte per iniziative di impresa in cui coinvolgere i migranti: dalla logistica al taglio delle pietre dure, dalla gestione di una scuola guida alla realizzazione di un impianto di volo d’angelo nelle montagne del torinese. Non è poca cosa, in questa Italia spaventata dalla crisi, cogliere un grappolo di segnali di ripresa. E forse non è un caso che questo sia avvenuto sul terreno, aperto e fertile, dell’accoglienza ai popoli migranti.
a cura di Salvatore Ippolito Presidente Comitato scientifico di Fondazione Xenagos
Italia. Terra di opportunità e di diritti? Quando cominciano ad approdare nella nostra terra i flussi migratori dell’economia post guerra fredda provenienti dall’Africa e dall’Asia, impoverite e in conflitto, l’Italia dormiente degli anni ‘80, ubriaca del proprio sviluppo e della scoperta della crescita sociale a debito, aveva da poco iniziato a dimenticare la propria incapacità di assorbire tutta la manodopera interna per tenere fermo il differenziale salariale ed esportare prodotti. In questa Italia appena ricca, dimentica di milioni di italiani espulsi dai propri villaggi e città per diventare forza lavoro nei paesi a maggior sviluppo industriale, arrivano le ondate di “vu cumpra’” dal Nordafrica, poi le vittime dei conflitti del corno d’Africa e del frantumarsi del blocco sovietico. L’Italia, impreparata a vedere gli altri come immigrati, stenta a riconoscere che, nella perversione degli “sviluppi” economici, è diventato paese ospite e polo d’attrazione. Ha chiuso gli occhi e fatto finta di non vedere. Nel ‘91 il nostro paese accede al protocollo del 1967, con il quale accetta sul suolo italiano richiedenti asilo anche da continenti extraeuropei, di cui fino a quel momento era stato l’ACNUR a occuparsi. L’Italia non è purtroppo riuscita a organizzare un sistema d’asilo e d’immigrazione, abbandonando questi fenomeni alla gestione caritatevole degli enti di volontariato. Un fenomeno epocale, gli obblighi internazionali, la ristrutturazione del mercato del lavoro sono stati così trasformati in tante piccole emergenze umanitarie. Anziché investire razionalmente le risorse, il sistema ha delegato la gestione del problema e ha rinunciato alla costruzione di un pensiero strategico, accettando in tal modo di emarginarsi dai contesti di decisione geopolitica e privandosi di ogni ruolo leader nel Mediterraneo e nel mondo. Dunque, non si è proceduto ad elaborare alcun piano d’immigrazione e alcuna legge sull’asilo. Ma l’idea che lasciare tutto immutato ci avrebbe consentito di passare indenni dal confronto con il fenomeno migratorio si è rivelata completamente fallace.
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- Sussidiarietà verticale e orizzontale. L’auspicato protagonismo delle istituzioni locali è legittimato dal punto di vista dei principi dall’idea di sussidiarietà. Analogamente, questo è valido per il ruolo operativo delle organizzazioni della società civile nella costruzione delle politiche e nella loro attuazione. - Solidarietà. Questo principio è da intendersi, da un lato, come determinazione ad aiutare, sostenere, accompagnare coloro che sono in difficoltà. Dall’altro lato, la solidarietà è data da un vincolo all’interno delle istituzioni statali: poiché le regioni e i diversi territori italiani godono del vantaggio derivante dal fatto che l’Italia abbia sottoscritto delle convenzioni internazionali, parimenti dovranno far fronte agli obblighi derivanti da tali convenzioni. - Non gratuità. Le risorse per l’assistenza non sono illimitate e rappresentarle come tali può essere non solo fuorviante, ma anche dannoso per la realizzazione del progetto migratorio dei richiedenti asilo, creando l’aspettativa di nuovi servizi in un sistema di tipo assistenziale. In un’ottica promozionale, più consona alle possibilità della società in cui viviamo, ogni servizio rappresenta un gesto di solidarietà del Paese che accoglie e, come tale, va considerato e immaginato. Alla generosità, normalmente, si risponde con gratitudine e non con la pretesa di altre azioni analoghe.
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Da episodio a sistema: la lezione dell’Emergenza Nordafrica L’Emergenza Nordafrica è stata un’occasione che ha consentito: - l’introduzione del principio delle quote regionali nella distribuzione dei richiedenti asilo. Questo fatto giustifica una programmazione regionale dell’emergenza e l’assunzione di un ruolo di regia strategica delle Regioni. Allo stesso tempo, può rappresentare la leva che fa emergere nel locale la volontà di rapportarsi in modo proattivo, e non solo difensivo, nei confronti dei flussi migratori, spingendo la politica del territorio a entrare nella programmazione locale dei flussi stessi. - l’affermarsi di nuovi enti gestori diffusi sui territori. Parte di questi hanno dato ottimi risultati in termini di qualità dei servizi. - la sperimentazione di nuove modalità di fare accoglienza. La sperimentazione innovativa è uno dei risultati più tangibili dell’Emergenza Nordafrica. L’elevata flessibilità ha consentito esperienze significative da monitorare e di cui tener conto nel progettare il rinnovamento di alcuni aspetti del sistema tradizionale di accoglienza italiano. In particolare, le strutture attivate in risposta all’emergenza presentano le seguenti caratteristiche: - una riduzione dei parametri di personale rispetto al modello dei CARA con l’introduzione di nuove figure professionali;
Il mercato del lavoro, incapace di ristrutturarsi, ha attratto milioni di lavoratori nei settori dell’economia informale, aperti al lavoro nero. Decine di migliaia di profughi sono arrivati vedendo il nostro paese come terra di transito oppure come remota possibilità di rifugio. Ma in Italia, alla fine, si sono fermati circa 6 milioni di persone, entrate quasi tutte clandestinamente. 150 mila di queste sono richiedenti asilo, dei quali, una volta ottenuto lo status di rifugiato, stentiamo a trovare traccia sul territorio. Nel 2000, coscienti della situazione e del farraginoso moto della macchina legislativa italiana, abbiamo messo assieme la volontà di pochi funzionari interessati del Ministero dell’Interno, dei Comuni, dell’ANCI e dell’ACNUR per iniziare un sentiero verso un sistema di accoglienza e integrazione, basato sulla distribuzione territoriale e sulla volontaria adesione di comuni preparati a percorsi d’integrazione. 12 anni dopo, la rete volontaria, lo SPRAR, rimane ancora volontaria, nonostante un pretenzioso Fondo Nazionale Asilo messo a disposizione per i suoi progetti. L’ANCI è rimasta l’unica erede istituzionale di un sistema che nel 2011 non ha retto l’ondata migratoria dell’Emergenza Nordafrica. L’intervento della Protezione Civile, attivato in sostituzione, ha avuto il merito di mettere in campo mezzi, enti gestori e fondi sufficienti e di disporre per la prima volta una distribuzione su base regionale degli ingressi. Da questa esperienza, occorrerebbe partire per ridisegnare il sistema d’accoglienza, delegando al livello regionale e territoriale la responsabilità di pianificazione, di gestione e di governo dei flussi migratori programmati e non e attraendo nuove fonti di finanziamento con finalità di integrazione sociale ed economica. Secondo dati recenti del Ministero dell’interno negli ultimi dodici mesi sono sbarcati 17.365 immigrati. I permessi di soggiorno sono stati 115.016 per lavoro autonomo, 921.080 per lavoro subordinato e 524.406 per ricongiungimenti. La maggioranza dei permessi di soggiorno si riferiscono alla nazionalità marocchina (215.659), seguiti da Albania (208.129), Cina (165.107), Ucraina (117.601) e Moldavia (84.401). Le richieste di protezione internazionale sono state 33.656. In 2.244 casi è stato riconosciuto lo status di rifugiato, per 3.217 persone sono state applicate le misure di protezione sussidiaria. Gli immigrati che sbarcano sulle nostre coste non costituiscono ovviamente gli unici ingressi in Italia, ma sono solo i più visibili, nonché i più vulnerabili, in quanto vengono intercettati e posti in accoglienza fino alla determinazione del loro status. Questo percorso, in un certo senso, tende a immobilizzarli, paralizzando il loro progetto migratorio spontaneo. Le persone accolte vengono in un certo senso infantilizzate e private delle loro capacità autonome di generare risorse. Altre persone, in un numero certamente di gran lunga superiore agli sbarcati, risultano invisibili e si disperdono nel territorio, autoproducendo la propria sostenibilità, anche se di forma irregolare. A fronte delle centinaia di migliaia d’ingressi annuali di migranti irregolari e delle decine di migliaia che sbarcano sulle nostre coste, è diventato necessario ripensare il sistema, a partire dalla formalizzazione della presenza di nuove organizzazioni come la cooperazione sociale nella gestione dell’accoglienza e dell’avvio dei percorsi di integrazione. L’elevato numero di immigrati in Italia, in particolare nelle aree meno sviluppate, in parallelo all’aumento della disoccupazione e al declino delle attività produttive apre la porta a nuove riflessioni sul valore aggiunto della presenza dei migranti come elemento di dinamizzazione imprenditoriale. L’intrusione del mondo della cooperazione sociale nella gestione dei flussi migratori emergenziali di stranieri offre esempi concreti di nuovo protagonismo imprenditoriale basato sulle collettività degli immigrati. L’idea di fondo è che fare impresa con gli stranieri consenta di stanare segmenti del mercato del lavoro accantonati o da riabilitare nella prospettiva di nuovi modelli di economia sociale e produttiva. La proposta Il futuro passa da qui e l’esperienza del Piemonte ci offrono vari spunti per un nuovo attivismo nell’area del governo delle migrazioni. Tavoli di programmazione regionali misti tra istituzioni e enti gestori e di tutela, istituiti su base regionale con la guida e il coordinamento dei Comuni, possono rappresentare una via d’uscita necessaria all’assistenzialismo rivolto ai migranti e contribuire a un’indispensabile razionalizzazione delle risorse disponibili a livello centrale e statale. Abbiamo bisogno di una rinnovata partecipazione del terzo settore, che nel frangente dell’emergenza 2011, ha del tutto confermato la propria capacità di generare risorse e, allo stesso tempo, di riappropriarsi nel locale delle politiche d’integrazione e gestione del fenomeno migratorio.
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- una riduzione delle prestazioni assistenziali (per esempio, abolizione della distribuzione di sigarette e nuova organizzazione del pocket money); - la costruzione di una filiera dei centri di accoglienza che mette in collegamento strutture di grandi e medie dimensioni con soluzioni in alloggi e microgruppi. (Alloggi e microgruppi sono concepiti come un’evoluzione dei Centri SPRAR in cui è resa oggettiva e controllabile la prestazione fornita, la dotazione di personale oltre che implementato il servizio in termini qualitativi e quantitativi.)
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Mappa dell’accoglienza: come si rinnova il sistema dei centri Nella proposta di rinnovamento dell’accoglienza presentata in questo documento, i tre pilastri sopra citati (SPRAR, CARA e reti territoriali attivate con l’Emergenza Nordafrica) vengono a far parte di un disegno a regia condivisa nel quale ogni centro appartiene a una filiera unica, con una forte specializzazione dei ruoli al proprio interno tra centri di medie/grandi dimensioni e centri di piccole dimensioni. - centri di grandi dimensioni, ovvero strutture capienti (da n.51 posti in su), che accolgono: centri di grandi dimensioni
richiedenti asilo; migranti in arrivo in seguito a emergenze umanitarie.
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a cura di Ignazio Schintu Emergency Manager e responsabile del CdA Centro Polifunzionale Croce Rossa Italiana “Teobaldo Fenoglio” di Settimo Torinese (TO)
Operare per l accoglienza: una grande responsabilità Accoglienza: apparentemente una parola come tante altre, ma che si scopre, man mano, avere significati molto più profondi. Una di quelle parole che si sentono quotidianamente, che si pronunciano senza rendersi conto. Spesso dimentichiamo le situazioni per le quali una semplice parola rappresenta l’unica speranza di un futuro. Non sappiamo se migliore o peggiore. Sicuramente, però, un futuro. Una parola che dietro di sé porta storie di guerra, di maltrattamenti, di violenza, di ingiustizie, di povertà e racchiude in sé e apre le porte alla speranza. Lavorare per l’accoglienza è una grande responsabilità. Da anni, a titoli diversi, siamo impegnati con lo scopo di rendere possibile l’avverarsi dei sogni di qualcuno. È il nostro lavoro, un lavoro che in anni di esperienza ci ha fatto conoscere tante storie, vedere tanti occhi piangere di gioia, altri di disperazione. Anni di esperienza che hanno creato le occasioni per cercare di migliorare il sistema, per quanto di nostra competenza, e per riflettere sui pro e sui contro di un processo determinante per lo sviluppo intellettuale, culturale, psicologico di tante persone. Ecco la ragione per farci avanti, per impiegare e condividere il nostro tempo e le nostre idee. Siamo convinti che il nostro paese possa fare molto, ma il sistema attuale non è pienamente preparato ad affrontare le migrazioni del nuovo millennio. Non è più il tempo della valigia di cartone. Molti dei nuovi migranti, la valigia, non sanno nemmeno cosa sia. Molti sono costretti a salire sui barconi con una pistola puntata alla tempia, altri non portano nulla con sé semplicemente perché non possiedono nulla, e quel poco che avevano, l’hanno speso per imbarcarsi. Solo piccoli esempi di un universo molto complesso, che non lascia spazio agli errori, e dove la legalità sta al primo posto. Questo è il messaggio che noi, operatori dell’accoglienza, vorremmo trasmettere. Non solo per chi arriva, ma anche per chi ospita “a casa propria” persone di culture differenti. La legalità sta alla base di tutto, e credo sia una delle chiavi per leggere in modo multiculturale il processo che sta interessando la nostra società. Facilitare la burocrazia, dare, a chi dimostra di avere la buona volontà, una possibilità. E, allo stesso tempo, non dare illusioni. Offrire e avere certezze, per poter operare al meglio, secondo quel principio di umanità nato tanti anni fa dall’idea di qualche uomo bizzarro, che credeva che il mondo si potesse cambiare in meglio. E noi ci crediamo ancora.
a cura di Ernesto Olivero Fondatore del SERMIG Servizio Missionario Giovani di Torino
Investire risorse, intelligenza, cuore Una sera d’inverno del 1987 un giovane magrebino, puntando l’indice verso di me mi ha domandato “Ma tu questa notte dove dormi?”. Quella domanda secca e quel dito puntato mi hanno cambiato la vita. Era l’anno della prima ondata migratoria dal nord Africa verso l’Italia. Quegli uomini non scappavano da guerre, cercavano lavoro e libertà. Credo che gli incontri veri siano quelli che ci cambiano; e a me e ai miei amici, quell’incontro ha cambiato la vita. Da quel momento i nostri Arsenali nel mondo sono diventati luoghi di accoglienza per il viandante, per il profugo, per chi cerca speranza per la propria vita e per i propri cari. Gli Arsenali sono città rifugio per chi vuole cambiare la sua vita, da qualunque parte del mondo provenga e qualunque sia il suo passato, purché accetti un metodo, regole base per la convivenza che aiutano ad entrare nel rispetto di diritti e doveri di tutti, e lo stile di una famiglia che accoglie. L’accoglienza da quasi trent’anni è diventata parte integrante della nostra vita, del nostro essere e del nostro operare. Soccorrere chi è in difficoltà, accompagnarlo, offrire un luogo dignitoso al senza casa non è solo un atto di compassione e di condivisione ma investimento sulla vita, sulla persona.
- centri di medie dimensioni, ovvero strutture ridotte (da n. 11 posti a n. 50 posti) che accolgono: centri di medie dimensioni
richiedenti asilo; nuclei familiari all’inizio del loro percorso; gruppi omogenei per nazionalità. - centri diffusi, ovvero una costellazione di esperienze comunitarie (al di sotto di n. 11 posti) o alloggi, coordinati in un progetto unico e in collegamento con un centro di grandi o medie dimensioni, che accoglie: centri diffusi
persone che hanno già ottenuto lo status di rifugiato, vulnerabili o privi di reti di sostegno; richiedenti asilo che hanno raggiunto un certo grado di integrazione in termini di conoscenza della lingua italiana, di percorso di orientamento lavorativo, di inclusione nel tessuto della comunità locale.
Conoscere l’altro ci ha educato a non sentirlo nemico nel suo essere diverso da noi, ci ha insegnato che l’incontro sincero, il dialogo sono le vie per superare odio, conflitti, per prevenire la guerra e costruire la pace. L’incontro ci aiuta a riconoscere i bisogni comuni mentre la diversità di cultura ci arricchisce. Senza nasconderci la complessità di questi processi, abbiamo imparato a sentirli come una grande opportunità per ricostruire l’unità della famiglia umana. Noi, e con noi molte altre associazioni, abbiamo fatto esperienza di questo percorso che è diventato un patrimonio prezioso, ma non basta. Occorre investire sulla formazione soprattutto dei giovani perché “l’accogliere” diventi bagaglio culturale di ogni cittadino e dell’intera collettività. Con la creazione di reti su tutto il territorio nazionale. Non possiamo pensare che il meccanismo della delega sia sufficiente per affrontare un problema che è anche e soprattutto un problema culturale. Occorre che tutta la collettività sia sensibilizzata e formata ai temi dell’accoglienza. Occorre investire risorse, intelligenza, cuore per costruire modelli di accoglienza adeguati, non improvvisati e appiccicati per far fronte all’emergenza di turno. Il nostro Paese non ha ancora affrontato in modo serio questo tema, nonostante l’immigrazione sia cresciuta vorticosamente negli ultimi decenni. Si continua a gestire e a trattarlo attraverso semplificazioni che portano la gente a schierarsi continuamente pro o contro. L’immigrazione nel nostro Paese è un fatto concreto ed è necessario costruire politiche che diano forma a modelli di accoglienza e di integrazione nel rispetto di chi è accolto ma anche del Paese che accoglie. Lo scorso anno ad aprile come Sermig abbiamo raccolto l’invito a mobilitarci per far fronte all’emergenza legata all’arrivo in Italia di migliaia di profughi provenienti da Libia e Tunisia. Abbiamo fatto spazio tra le mura dell’Arsenale della Pace, accanto alle accoglienze ordinarie, ad altri 50 uomini. Una disponibilità resa possibile, come sempre, dalla somma di tante buone volontà. In questo anno trascorso, molto è stato fatto e numerosi sono stati i passaggi che i ragazzi accolti e accompagnati hanno compiuto a livello di integrazione. Dopo tutto questo tempo il molto lavoro svolto, qui come in tutta Italia, da noi e dagli altri enti gestori, rischia di essere vanificato. Infatti, in Piemonte la commissione territoriale che si deve esprimere sulle richieste di asilo sta denegando oltre l’80% dei richiedenti, quasi il 90%. Il Sermig aveva già segnalato da tempo questa criticità: “Le commissioni prendono in considerazione la situazione dei paesi di origine di ciascun richiedente, come dispone la convenzione di Ginevra del 1951, ma in realtà i motivi che hanno spinto questi migranti verso l’Italia vanno ricercati altrove, nella recente crisi del Nord Africa, nella guerra Libica. Tutti i richiedenti asilo infatti vivevano da anni e lavoravano in Libia”. E’ alta la preoccupazione rispetto all’elevatissimo numero di dinieghi che le persone accolte stanno ricevendo. Questa situazione ha innescato un meccanismo che produce prima il diniego, e poi l’avvio verso la clandestinità di persone che restano sul territorio senza regolare permesso di soggiorno ed entrano nei circuiti dell’illegalità. Tutto questo dopo un investimento di risorse umane ed economiche rilevantissimo. Stiamo producendo clandestinità! Un permesso temporaneo generale per motivi umanitari consentirebbe a queste persone di mettere a frutto quanto hanno imparato in questo anno. Quasi tutti hanno frequentato corsi di lingua italiana, percorsi di formazione professionale e hanno cercato di costruire una propria via di vita e integrazione. Pensiamo sia necessario trovare soluzioni che tutelino chi è fuggito dal conflitto libico, pur non possedendo i requisiti per ottenere la protezione internazionale. È un modo per garantire il rispetto dei diritti umani, ma anche per evitare di generare situazioni di irregolarità con ripercussioni sociali gravi sui territori interessati, tra cui possibili occupazioni, o altre forme di illegalità. Richiediamo un intervento del Governo perché offra a tutti i profughi dell’Emergenza Nordafrica un permesso di soggiorno temporaneo, concedendo un ulteriore periodo di regolare soggiorno in Italia, mantenendo aperta la possibilità di accedere al rimpatrio assistito, di facilitare un processo di integrazione, attraverso percorsi graduali di uscita dalle accoglienze e modelli di lavoro capaci di valorizzare le esperienze e i successi dei percorsi di accoglienza realizzati in questi anni. Tra gli altri, i modelli SPRAR, Emergenza Nordafrica, o altre esperienze realizzate. Pensiamo che l’unica soluzione passi da una stretta collaborazione in ottica sussidiaria tra l’intervento dello Stato e quello del volontariato e del terzo settore capaci di trova insieme soluzioni efficaci per le persone accolte.
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Il sistema così rinnovato potrà accogliere un flusso ordinario di migranti e parimenti fronteggiare, entro certi limiti, flussi emergenziali. Questo richiede: - un’analisi del dimensionamento del sistema ; - un orientamento a filiera che consenta ai centri di grandi e medie dimensioni di convogliare verso il centro diffuso parte degli ospiti che hanno già un percorso di conoscenza della società italiana; - l’accreditamento come SPRAR del 50% dei posti di strutture di grandi dimensioni2 in ogni Regione da utilizzare in epoca ordinaria per accogliere la quota parte dei richiedenti asilo già oggi accolti all’interno dello SPRAR e, in fase emergenziale, di poter attivare facilmente i restanti posti.
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Obiettivi e destinatari Innovare il sistema implica l’enunciazione degli obiettivi attuali e nuovi del sistema stesso. Accogliere significa:
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assumersi un impegno legato alla soddisfazione dei bisogni primari; supportare con il lavoro sociale di cura e con il supporto psicologico le persone che avviano il proprio percorso di richiesta d’asilo; fornire assistenza sanitaria; agevolare l’apprendimento della lingua italiana; operare nell’ottica dell’integrazione; trasformare il tempo di attesa dell’esito del percorso di asilo in un tempo di formazione e apprendimento capace di dare senso all’esperienza anche per coloro che dovranno fare fronte a un diniego; contrastare i fenomeni di illegalità che utilizzano il circuito della richiesta d’asilo per introdurre le vittime nel mercato italiano dello sfruttamento sessuale e da lavoro.
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Sicuramente il modello adottato per Emergenza Nordafrica va ripreso in mano e rivisitato. Non può diventare prassi di accoglienza così come è stato impostato. Riteniamo sia necessario e urgente che il Governo Italiano costruisca un piano di accoglienza studiato e pianificato insieme a tutte quelle associazioni che quotidianamente operano con richiedenti e rifugiati e che quindi concretamente conoscono i limiti come anche i punti di forza di ciò che fino ad ora è stato fatto. C’è da sperare che quest’esperienza ci abbia insegnato che l’accoglienza non si improvvisa. L’intera collettività e lo Stato attraverso i suoi organi istituzionali devono creare percorsi condivisi a livello europeo, a livello delle Nazioni Unite perché saremo sempre di più interpellati da esodi di massa dal sud del mondo, da paesi in guerra, da emergenze umanitarie, migrazioni di grandi proporzioni che dovremo essere preparati a ricevere.
a cura di Gigi Anataloni Missionario della Consolata e direttore rivista Missioni Consolata
Partire dalla gente comune Da scribacchino qual sono, vivo la realtà dell’emigrazione forse più da osservatore che da protagonista. Non credo che questo mi dia autorevolezza nelle mie considerazioni. Sono stato fuori dall’Italia per oltre 20 anni e rientrato nel luglio 2009. Quando sono partito, nel mi paese nel bresciano di africani c’era solo mio cognato, un sudanese che mia sorella aveva incontrato a Genova. Ora, nella frazione in cui vivo, è insediata una colonia di senegalesi. Girando per le strade in Torino, invece, mi sembra di essere nella realtà multietnica di Londra negli anni Ottanta, quando vi studiavo inglese. Questo cambiamento radicale - la presenza di milioni di extracomunitari - viene vissuto nella realtà della vita della gente comune molto più positivamente e semplicemente di quanto i politici e i media vogliono farci credere quando reagiscono in modo emotivamente calcolato e strumentalizzato avvenimenti come l’arrivo dei profughi libici a Lampedusa, l’uccisione di un italiano/a da parte di un extra-comunitario, il furto, la rissa, lo spaccio in cui non italiani sono coinvolti. Una prova di questo è il realismo del mondo produttivo e imprenditoriale, insieme allo spirito pratico contadini: senza tante storie - pur con tante irregolarità - migliaia di extracomunitari sono impiegati nelle nostre fabbriche, nell’edilizia e nell’agricoltura. L’edilizia e l’industria considerano l’extra-comunitario come una risorsa essenziale alla propria sopravvivenza. Ed è interessante notare come una nota ditta di cioccolato usi una famiglia africana per pubblicizzare il suo prodotto di punta per bambini. Da incompetente oserei dire che nel campo dell’accoglienza degli extracomunitari c’è una frattura tra il paese reale e il paese “politico”. Il paese reale si adatta alla situazione ed offre riposte concrete, pur con delle sofferenze ed incongruenze. Il bisogno reciproco (gli extra hanno bisogno degli italiani e gli italiani hanno bisogno degli extra) porta a trovare un modo pratico di convivere, con tutti i suoi limiti. Invece la “politica” specula sul movimento migratorio cercando prima di tutto il proprio vantaggio e non di risolvere i problemi reali delle persone, cavalcando - indifferentemente - demagogia, buonismo e razzismo. Mi sembra che le vostre proposte aiutino a creare una mediazione tra il mondo reale e il mondo delle istituzioni, obbligando queste ultime a vedere il problema per quello che è, tenendo conto di tutti i soggetti e mettendo la persona al centro (non il proprio tornaconto). In questo contesto è bello che gli extracomunitari siano trattati da soggetti (e quindi, persone!) capaci di contribuire alla soluzione del “problema” e non un problema extra (oltre a quelli che già abbiamo) che ci tocca risolvere. Non va dimenticato poi che il problema non sono i migranti, ma il malgoverno del mondo che ha creato tante ingiustizie, ridotto molti paesi al collasso economico e mantenuto altri in stato di continua dipendenza e sfruttamento.
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I soggetti sui quali è costruito il progetto di rinnovamento del sistema d’accoglienza sono:
destinatari
richiedenti asilo che devono iniziare il proprio percorso;
rifugiati provenienti dal sistema CARA, appartenenti alla categoria dei vulnerabili; rifugiati, privi di reti di sostegno autonomo, provenienti dal sistema CARA; persone provenienti da eventi migratori eccezionali (emergenze).
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Le linee guida del sistema Un rinnovamento del sistema dovrà essere caratterizzato, a nostro avviso, da alcuni elementi: - Rivisitazione dei modelli che hanno finora ispirato la pianificazione degli interventi. I format ideologici (piccola versus grande dimensione, diritti versus doveri, assistenza versus promozione, etc.) dovranno lasciare il posto a modelli orientati alla persona con servizi efficaci ed efficienti - Stretta relazione con le istituzioni locali e con il tessuto economico. Dovrà essere valorizzata la ricaduta economica del centro sul luogo in cui questo è istituito, prevedendo, per esempio, una premialità per i centri che trasferiscono risorse al territorio attraverso: trasferimento di risorse al territorio
assunzioni di personale; acquisti di servizi e forniture; sponsorizzazioni; utilizzo dei servizi locali destinati all’infanzia, all’apprendimento della lingua, alla sanità.
a cura di Elide Tisi Assessore alla Salute, alle Politiche Sociali e Abitative della città di Torino
Agire sulle comunità locali L’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati è un tema complesso e delicato, che va affrontato con responsabilità e spirito solidaristico, per apportare miglioramenti ad un sistema che va ad innestarsi in un tessuto sociale già messo a dura prova dalla crisi economica. Rispetto ad un rinnovamento dell’attuale sistema di accoglienza, penso che sarebbe utile partire da un maggior confronto e scambio tra i livelli locali, che gestiscono operativamente e quotidianamente l’accoglienza, e i livelli nazionali, che stabiliscono le politiche migratorie. E’ inoltre fondamentale rafforzare le reti territoriali del privato sociale che lavorano su queste tematiche, favorendo anche il dialogo e l’interscambio tra soggetti diversi ed individuando obiettivi comuni su cui lavorare, anche al fine di garantire coerenza pur nella diversità degli interventi. I temi da affrontare nell’impostare nuove politiche migratorie sono molti, a partire dai tempi di attesa per il riconoscimento dello status di rifugiato che, in caso di diniego, rappresentano un periodo di false speranze per il migrante ed un impiego di risorse che potrebbero essere utilizzate diversamente a favore dei rifugiati che rimarranno in Italia. Tra le priorità su cui avviare un confronto e stabilire, ove possibile, una certa omogeneità sul territorio, penso ci debbano essere i percorsi di accoglienza, che andrebbero distinti a seconda della fase, al fine di velocizzare le attività necessarie alla prima accoglienza (pratiche burocratiche, assistenza sanitaria), di rendere più efficace l’acquisizione di conoscenze e competenze per integrarsi nel tessuto sociale (corsi di lingua, di educazione civica e percorsi formativi) e di accompagnare il rifugiato ad una propria autonomia. A seconda delle varie fasi sarebbe necessario ipotizzare strutture dedicate, di dimensioni differenti e con compiti e attività diverse, a partire da strutture più ampie in una prima fase, fino a esperienze comunitarie o di co-abitazione in una fase finale. E’ infatti particolarmente importante che nelle fasi di formazione e di accompagnamento all’inserimento lavorativo le persone abbiano una dimensione abitativa adeguata ai loro bisogni. E’ inoltre importante, a mio parere, responsabilizzare i richiedenti asilo e i rifugiati rispetto al loro futuro, chiarendo fin da subito quali sono i loro diritti ma anche i loro doveri, ipotizzando percorsi che valorizzino le loro capacità e che siano solo assistenziali dove esistano delle effettive vulnerabilità. A tal fine è dunque necessario che anche le diverse opportunità del territorio siano coinvolte (a partire dalle politiche attive del lavoro) favorendo collaborazioni con i diversi mondi produttivi, da quello agricolo a quello dell’artigianato. Per favorire un atteggiamento pro-attivo dei rifugiati può essere utile richiedere anche un loro coinvolgimento attivo nella gestione dei luoghi di ospitalità o del territorio nel quale vengono accolti. Come pure diventa dirimente, al fine di avviare percorsi di inclusione lavorativa, la possibilità di accedere a tirocini formativi e, naturalmente, l’apprendimento della lingua italiana. Queste attività si possono sistematizzare a livello locale, anche attraverso la creazione di banche dati sull’occupabilità dei rifugiati e di strette connessioni con i centri per l’impiego e le imprese locali o le loro rappresentanze. Infine, per poter migliorare l’accoglienza dei rifugiati, occorre agire sulle comunità locali e creare le condizioni per l’accoglienza, favorendo la conoscenza e lo scambio, superando la diffidenza e le paure, che spesso accompagnano queste situazioni e che solo attraverso il dialogo possono essere superate.
a cura di Stefano Tallia Segretario Associazione Stampa Subalpina (Sindacato piemontese dei giornalisti)
Nessun essere umano e un clandestino Le parole - urlava Nanni Moretti alla giornalista che gli rivolgeva l’ennesima idiotissima domanda - sono importanti. E lo sono ancor di più per chi con le proprie parole deve guidare la società alla scoperta di realtà complesse tenendo lontana la tentazione del luogo comune, della verità troppo facile. Quante volte in questi anni crudeli sono state le parole dette male o con eccessiva leggerezza a scatenare reazioni incontrollate contro i più deboli e indifesi? Appena pochi mesi fa, non è stata forse una deposizione rivelatasi
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- Valorizzazione delle risorse volontarie che si attivano nei territori in occasione dell’apertura dei centri e si organizzano in associazioni specifiche a partecipazione mista. (ved. esperienza dell’associazione “Noi, quelli del Ritz” che vede la compartecipazione di volontari del territorio, ospiti e operatori del centro). - Nuovo approccio ai servizi sanitari erogati nei centri incentrato su:
nuovo approccio
riduzione delle ore di prestazione sanitaria, considerando sovradimensionato un presidio 24h su 24h; collegamento del servizio sanitario del centro con i servizi sanitari del territorio attraverso il coinvolgimento nell’erogazione delle prestazioni sanitarie dei medici di famiglia che iscrivano i migranti ospitati nella struttura come propri pazienti; partecipazione degli ospiti a programmi di monitoraggio su specifiche patologie ad alto impatto economico che colpiscono la popolazione migrante (ved. nefropatici gravi); istituzione di un sistema di monitoraggio e controllo sanitario che generi una banca dati sanitaria sulla popolazione migrante. - Lotta alla tratta ed educazione alla legalità. È un tema lasciato alla volontà dell’ente gestore, nonostante esso abbia un impatto potenziale ben più grande del servizio di informazione e consulenza legale. Questo richiede l’introduzione di due nuove figure/prestazioni all’interno dei centri:
nuove figure
l’associazione/operatore specializzato nella lotta alla tratta sessuale, che agisce in modo informale per monitorare i centri e stabilisce una relazione con le potenziali vittime; il “sindacalista” che informa gli ospiti sui diritti/doveri nell’ambito del mercato del lavoro e stabilisce una relazione potenzialmente utile in futuro per coloro che saranno eventualmente arruolati come lavoratori-schiavi.
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poi falsa e alla quale i media avevano dato eccessivo credito, a scatenare l’assalto a un campo Rom nella periferia torinese? E di storie simili, in Italia, se ne contano decine. Sono talmente importanti le parole che un gruppo nutrito di giornalisti del quale mi onoro di far parte, ha deciso anni fa di bandire dai propri articoli la parola “clandestino”. Esistono cioè uomini, donne, richiedenti asilo, lavoratori, disoccupati, stranieri in possesso di permessi scaduti o privi di documenti, ma nessun essere umano può e deve essere considerato clandestino. Una battaglia, mi rendo conto, che rappresenta non più di una goccia prelevata dal mare dei luoghi comuni che ancora popolano il racconto del mondo degli stranieri, e tuttavia una goccia che ha avuto la sua importanza. Quella prima goccia, nel 2008, è infatti divenuta un bicchiere d’acqua con la firma della “Carta di Roma” con la quale la Federazione della Stampa e l’Ordine dei Giornalisti hanno voluto impegnarsi a promuovere una corretta informazione in materia di immigrazione. Un documento al quale ha fatto seguito la battaglia condotta dalla Fnsi per consentire ai giornalisti di entrare all’interno dei Cie per documentare le condizioni di vita delle persone detenute. Perché se è vero che chi scrive deve liberarsi di stereotipi e superficialità, è altrettanto vero che il libero accesso della stampa nei luoghi nei quali si vive il dramma dell’immigrazione è un interesse di tutti. Un interesse della democrazia. Raccontare con occhi attenti la vita di uomini e donne in fuga, o in viaggio, è una grande responsabilità dalla quale dipende la sfida per rendere migliore la nostra società. Il solo clandestino che non vogliamo più a bordo è la cattiva informazione, ma per espellerlo tutti devono fare la loro parte: istituzioni, associazioni, mondo politico e sociale. I giornalisti italiani hanno iniziato ma la strada da fare insieme è ancora lunga.
a cura di Ferruccio Pastore Direttore di Fieri (Forum Internazione ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione)
Un infrastruttura nazionale di accoglienza L’arrivo in Italia, nel 2011, di circa 60.000 persone dal Nord Africa in tumulto non è stato un “esodo” né una “invasione”. Afflussi di intensità simile si erano registrati in precedenza, come effetto collaterale di altri conflitti. Delle circa 600.000 persone, perlopiù stranieri da tempo immigrati in Libia, che hanno cercato scampo fuori dai confini, appena un decimo è riuscito a raggiungere l’Europa. Tutti gli altri sono tornati nei luoghi d’origine o hanno trovato rifugio temporaneo nei due paesi confinanti, Egitto e Tunisia, che hanno dato prova di una grande capacità di accoglienza, nonostante il difficile momento che entrambi attraversavano. Non un’invasione, dunque, ma pur sempre un afflusso straordinario, che ha messo in evidenza molte fragilità e pochi, ma significativi, punti di forza. Tra le fragilità, spicca la mancanza di coraggio della politica e delle istituzioni, non solo italiane. Queste hanno dato vita a uno scaricabarile in cui nessuno si è assunto la responsabilità di dire ai cittadini che accogliere i migranti in fuga dalla Libia era giusto, e forse utile ad evitare un ulteriore aggravamento dell’instabilità. D’altra parte, la commedia dei permessi temporanei concessi ai tunisini, la reazione scomposta e miope del governo francese, il processo di revisione al ribasso degli accordi di Schengen che ne è scaturito: tutto questo ha mostrato come un afflusso di poche migliaia di giovani, disarmati sani e relativamente istruiti, sia sufficiente a minare le fondamenta di fiducia della costruzione europea, a cui la crisi dei debiti sovrani rischia ora di dare il colpo di grazia. Ma gli arrivi dal Nord Africa hanno rivelato anche alcuni modesti, ma importanti, punti di forza. Intanto, per quanto possano valere i risultati di un sondaggio (Transatlantic Trends on Immigration 2011), sembra che l’opinione pubblica europea non sia stata travolta dal panico, come invece i suoi dirigenti politici hanno creduto, o voluto far credere. Per fare un solo esempio, alla domanda - fatta nell’estate 2011 - se fosse giusto allargare i canali di immigrazione per lavoro per favorire i paesi nordafricani in transizione, una quota importante di cittadini europei (47%), e una netta maggioranza di italiani (57%), rispondeva di sì. Ma, al di là delle opinioni, anche se guardiamo alle risposte concrete si può trovare qualche segnale incoraggiante. Il principio-chiave delle misure adottate è stato quello della territorializzazione dell’accoglienza, ovvero della ripartizione dei richiedenti asilo sul territorio sulla base di un’intesa tra Governo, Regioni ed enti locali, attuata con il coordinamento della Protezione civile. Questo approccio, su cui ha pesato la volontà di “spalmare” la responsabilità poli-
- Orientamento delle forme di protesta che nascono nei centri: dalle azioni violente e illegali alle forme di protesta e rivendicazione legali attraverso la realizzazione di laboratori, corsi di educazione civica. - Trasformazione dell’istituto del Pocket Money in una dote messa al servizio del progetto migratorio, costruendo un legame evidente tra l’erogazione della stessa e la collaborazione attiva dell’ospite all’interno delle strutture e nel territorio circostante. La dote viene accumulata e finalizzata all’acquisto di beni durevoli da mettere al servizio dei progetti migratori del singolo o del nucleo familiare (es. notebook, kit di attrezzi, acquisizione patente di guida, etc.). - Istituzione di un Servizio Civile di Formazione e Volontariato in cui gli ospiti del centro vengono inseriti per svolgere attività a favore del territorio in cui il centro insiste. Questo consentirebbe: obiettivi del servizio civile
avere maggior consenso nei territori; tenere occupati gli ospiti con attività che possono avere valore formativo; favorire l’integrazione e l’apprendimento della lingua e delle regole del lavoro in Italia.
tica di un’accoglienza percepita come impopolare, ha mostrato molti limiti e prodotto risultati diseguali, ma ha fatto anche emergere risorse inaspettate. A partire da un riesame critico di questo esperimento, per molti versi inedito e da molti considerato un punto di non ritorno, si potrebbero gettare le basi di un sistema futuro. Un sistema in cui un’esigenza massiccia ed imprevista di accoglienza non venga più percepita come una minacciosa emergenza e non dia vita ad arbitrari - e potenzialmente molto costosi - regimi di eccezione, ma sia inquadrata in procedure chiare, efficienti e rispettose dei bisogni e dei diritti fondamentali delle persone coinvolte. Per un paese che si affaccia su un Mediterraneo demograficamente instabile, ma anche per una terra a forte rischio sismico, dove il bisogno di ospitalità temporanea su larga scala ha anche radici endogene, dotarsi di un’adeguata infrastruttura di accoglienza dovrebbe essere una priorità strategica. La “Proposta di rinnovamento del sistema di accoglienza in Italia” ha il merito di raccogliere questa sfida. Non tutto vi appare condivisibile e molto rimane da approfondire, ma è uno stimolo prezioso. Altri contributi recenti - tra cui l’importante studio su “Il Diritto alla Protezione”, coordinato da Asgi - spingono nella stessa direzione. E’ interesse di tutti che questi impulsi non cadano nel vuoto.
a cura di Claudio Piretto Manager
Quando una coincidenza diventa scelta È per pura coincidenza che mi sono avvicinato all’accoglienza di migranti. Pur facendo parte di Confcooperative Piemonte nel settore edilizio dell’organizzazione, Federcasa, non ho avuto contatti con il mondo delle cooperative sociali, finché nell’aprile del 2011 non si è presentata l’esigenza di accogliere un gruppo numeroso di profughi provenienti dalla Libia in una struttura di dimensioni adeguate. Ho quindi messo a disposizione l’Hotel Il Giglio di Settimo Torinese (TO). In seguito abbiamo acquistato, assieme a Fondazione Xenagos, un altro albergo, l’Hotel Ritz di Banchette (TO). Seppure l’iniziativa sia nata da una contemporaneità di circostanze e interessi, la mia intenzione è di continuare a investire in questo ambito, perché credo che sia una sfida che vale la pena. L’idea sarebbe di conciliare la clientela speciale rappresentata dai profughi, con una clientela più tradizionale. È una scommessa che ancora non siamo riusciti del tutto a giocare, e quindi neppure a vincere. L’accoglienza di migranti ha modificato la gestione dell’albergo e di conseguenza l’attività commerciale dovrà ristrutturarsi, ma mi attrae l’idea di un business mediato dalla parte sociale, con un ritorno più sano e, in qualche modo, più nobile, per l’imprenditore. Il non profit è spesso percepito dalle imprese profit come un sistema di organizzazioni parassitario rispetto allo Stato, che sopravvive con i contributi pubblici in un segmento di mercato non concorrenziale, non competitivo. In questa visione, oltre a dimenticare che le competenze del privato sociale nel campo dell’assistenza e della promozione delle persone non sono facilmente sostituibili, non si riesce a considerare lo Stato come un cliente tra tanti che acquista servizi da un’organizzazione specializzata, alla stessa maniera in cui si muove in altri settori. Chiaramente, da questo discende che il corrispettivo per l’erogazione del servizio sia percepito come un contributo statale a fondo perduto, che non porta né rende niente alla società. All’opposto, nella concezione comune, l’impresa profit assolverebbe a un ruolo fondamentale, mettendo in circolo dei capitali e consentendo ai propri dipendenti di essere buoni consumatori. A parer mio, la collaborazione tra profit e non profit ha tra le sue ricadute più, per così dire, culturali, quella di riconoscere al secondo il ruolo di impresa a tutti gli effetti, portatrice di un know how specifico sui servizi alla persona e sulla gestione delle risorse umane, patrimonio che può rivelarsi una chiave di volta per il futuro. Dall’esperienza dell’accoglienza, è da poco nato LogiConfServizi, consorzio di lavoro operante nel settore della logistica, con l’obiettivo di operare inserimenti lavorativi orientati in particolare a rifugiati. Fanno parte del consorzio anche cinque cooperative sociali del mondo di Connecting People e del consorzio torinese Kairòs. Attualmente LogiConfServizi gestisce la piattaforma di GS Carrefour di Rivalta Torinese (TO) dove impiega 120 lavoratori.
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- Introduzione di servizi di Politiche Attive del Lavoro nei centri, finalizzati a costruire una banca dati sull’occupabilità degli ospiti collegabile alla banca dati del progetto Nautilus (progetto finanziato dal FER). - Dare maggiori opportunità di integrazione agli ospiti offrendo loro la possibilità di: nuove opportunità d’integrazione
scrivere un curriculum vitae in formato europeo; iscriversi a un Centro per l’Impiego; usufruire di attività di orientamento e avere contatti con esperti del mercato del lavoro locale; costruire legami con le imprese locali in cui realizzare attività di job testing, tirocini formativi, borse lavoro, inserimento lavorativo;
Questo consorzio è la diretta conseguenza dell’esperienza dell’accoglienza di migranti compiuta con Connecting People. Allo stesso tempo, è una scommessa, un investimento che deriva da una consapevolezza non del tutto nuova, ma sempre più evidente: il profit da solo è destinato a fallire laddove la componente del lavoro rappresenta la parte prioritaria di un’attività, superiore alla componente dei mezzi di produzione. In questo campo, intraprendere la strada della collaborazione profit-non profit significa avere un ritorno in termini di compensazione, di migliori condizioni di lavoro, di coesione sociale, di maggiore motivazione dei lavoratori, di maggiore stabilità e sicurezza sul lavoro. È a questo scopo, a mio parere oggi imprescindibile, che viene sacrificata una parte dell’utile. Ritengo che se vinciamo la sfida, questa esperienza ci porterà lontano, davvero lontano. Rispetto alla proposta presentata nel documento Il futuro passa da qui, la novità più rilevante è il superamento dell’ottica assistenzialistica e della suddivisione netta tra prima fase dell’accoglienza, seconda fase e integrazione. Il cammino per il futuro comincia fin da subito, sia che una persona sia destinata a vivere in Italia, sia nei casi di rimpatrio. E fin dal primo momento, tra assistenza legale, medica, psicologica e corsi di italiano, formazione al lavoro, laboratori di cittadinanza, il migrante è considerato nella sua complessità di persona portatrice di diritti, ma anche di doveri verso il paese che l’accoglie.
a cura di Guido Geninatti Presidente Federsolidarietà-Confcooperative Piemonte
costruire legami con il territorio finalizzati al reperimento di occasioni lavorative saltuarie da gestire attraverso i voucher. L’introduzione nei centri dei servizi PAL è tanto più efficace, quanto più l’ente gestore si muove in partnership con un sistema d’imprese e con una società che si occupa del mercato del lavoro in forma di Agenzia per il Lavoro o Agenzia Interinale. Questo richiede l’inserimento, nell’organico delle strutture, di un operatore delle Politiche Attive del Lavoro. - apprendimento della lingua italiana; Pur essendo un fattore imprescindibile per il successo del progetto migratorio, spesso rappresenta un aspetto problematico per i richiedenti asilo che assumono un atteggiamento passivo rispetto al suo insegnamento. Vanno dunque messi in campo alcuni elementi di premialità. Sono proponibili due misure: apprendimento della ingua italiana
un premio di studio per chi supera l’esame di italiano (le risorse derivano da quota parte dell’attuale dotazione per il pocket money); la possibilità di ottenere anticipatamente, rispetto ai sei mesi previsti oggi dalla normativa, un permesso di soggiorno temporaneo che consenta l’iscrizione presso i Centri per l’Impiego una volta superato un esame di lingua italiana.
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Concretezza e connettività Leggendo il documento, che trovo un contributo molto significativo alle politiche per l’integrazione dei migranti, sono diverse le questioni che balzano “all’occhio del lettore”. Il nostro è un sistema di accoglienza che senza scandalizzarci potremo definire “all’Italiana,” intendendo per tale termine non proprio un’organizzazione impeccabile, ma allo stesso tempo caratterizzata da sforzi ed esperienze, sia del pubblico che del privato, capaci in alcuni momenti di fare – in senso positivo – la differenza. Tra tante suggestioni mi pare però importante evidenziarne due elementi: la concretezza e la connettività. Il primo non è certo un elemento estraneo ai cooperatori sociali in particolare e alle organizzazioni di terzo settore in generale. La cooperazione sociale da sempre è “nel bel mezzo” dei processi di trasformazione economica e sociale del nostro paese: dagli anni della de-istituzionalizzazione dei manicomi, all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate, solo per fare alcuni esempi. Concretezza vuol dire, partendo da elementi di valore, di solidarietà di accoglienza approdare però a proposte e progetti realizzabili. Forse alcune proposte possono sembrare forti, al limite della provocazione, ma hanno il pregio di aprire una discussione, di tentare di disegnare scenari diversi, di immaginare qualcosa che oggi non c’è. Sul secondo termine, “connettività”: al di là della facile liaison con uno dei soggetti che qui propone la riflessione è evidente come si tratti di una questione centrale. Come abbiamo spesso sostenuto nelle nostre discussioni in questi anni, l’attenzione è da porre all’intero percorso di accoglienza delle persone e questo significa pensare in termini di progetto e di collegamento degli interventi, e dei diversi soggetti, tra di loro. Ancora una volta la dimensione della rete è centrale. L’orientamento, ad esempio alla collocazione lavorativa dei migranti e di conseguenza all’inserimento di professionalità in tal senso preparate, fin dalle prime fasi dell’accoglienza, va proprio in questa direzione. Mi auguro che questa proposta possa trovare luoghi e tempi per una seria discussione.
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a cura di Daniel Burnat
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Il governo regionale dell’accoglienza Il Piano Nazionale Asilo cominciò grazie a una azione concertata che coinvolse l’ANCI, l’UNHCR e il Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno. Da questo primo nucleo di coordinamento prese poi forma lo SPRAR, il cui governo e sviluppo venne demandato alla Direzione Centrale presso l’ANCI che nel tempo ne divenne unico interlocutore. Il coordinamento è rimasto a livello nazionale. Il nuovo sistema di accoglienza dovrà consentire: nuovo sistema di accoglienza
una nuova dimensione collegiale e partecipata; un protagonismo delle realtà regionali. Per ottenere entrambe le condizioni appare necessario che, sia livello nazionale che a livello regionale, vengano ricreati tavoli di coordinamento capaci di raccogliere i differenti attori coinvolti. A livello nazionale, si ritiene opportuno il coinvolgimento, al fianco dei protagonisti del Piano Nazionale Asilo, anche dei cosiddetti “Enti Gestori”. A livello regionale, si prevede un coordinamento che raggruppi l’Anci Regionale, la Regione, gli Enti Gestori e i Sindaci più rappresentativi. Il Coordinamento si avvarrà di una segreteria operativa ristretta composta dall’Anci e dalla rappresentanza degli Enti Gestori. Al livello nazionale, vengono attribuiti i compiti di macroregia e di programmazione in accordo con le Regioni e con l’ANCI rispetto alla:
livello nazionale
gestione delle quote dell’accoglienza e dell’emergenza; gestione dei fondi per l’emergenza; definizione delle quote di partecipazione ai programmi internazionali di resettlement.
Servizio Sociale Internazionale - Ginevra
Politica dell asilo e sistema di accoglienza in Svizzera In Svizzera, la Confederazione, attraverso l’Ufficio Federale delle Migrazioni, il suo organo esecutivo, è responsabile dell’applicazione della politica dell’asilo. Per i non europei, ci sono pochissime possibilità di arrivare in Svizzera percorrendo strade diverse da quella della richiesta d’asilo. L’unico modo consiste nei permessi di soggiorno per lavoro a fronte della richiesta da parte delle imprese di profili professionali in genere molto qualificati che non sono reperibili sul mercato del lavoro svizzero. Al livello normativo, fa fede la legge sull’asilo del 1999, proposta dal parlamento e votata dal popolo, che a più riprese ha subito delle modifiche in senso restrittivo. L’ultimo emendamento, approvato dal Consiglio Nazionale nel maggio del 2012, ma non ancora accettato dal Consiglio degli Stati, irrigidirebbe ancora di più questa legge, trasformandola, secondo il parere dell’ACNUR, in una delle più restrittive al mondo. In breve, essa propone di non offrire più alcun supporto sociale ai richiedenti asilo, ma soltanto un aiuto d’urgenza a livello di bisogni primari. Dispone che non sia più possibile domandare l’asilo attraverso un’ambasciata. Istituisce inoltre dei centri federali speciali per i richiedenti asilo delinquenti e recidivi. Infine, i ricongiungimenti familiari saranno limitati per le persone con permesso di soggiorno provvisorio e i rifugiati e gli eritrei, obiettori di coscienza o disertori del servizio militare, non riceveranno più l’asilo. Oggi, dal loro arrivo in Svizzera, i richiedenti asilo sono indirizzati verso uno dei cinque centri preposti allo scopo, i cosiddetti centri d’enregistrement et de procédure. La permanenza presso tali centri dura al massimo 60 giorni e una decisione negativa attende il 40% di loro, poiché gli altri sono attribuiti ai cantoni e pertanto entra in vigore il principio di solidarietà confederale, obbligatorio secondo la Costituzione. L’attribuzione ai cantoni è effettuata sulla base di quote che prendono in considerazione il numero della popolazione residente: il cantone di Ginevra, per esempio, rappresenta il 5.6% della popolazione svizzera e riceve proporzionalmente lo stesso numero di richiedenti asilo. I ventisei cantoni sono responsabili dell’ospitalità, dell’assistenza sociale ed economica, della protezione tutelare per i minori non accompagnati, assistenza sanitaria, scolarizzazione, apprendimento della lingua e infine del supporto all’integrazione sociale e professionale per i rifugiati che ottengono lo status. I cantoni sono inoltre responsabili dell’esecuzione dei respingimenti disposti dall’Ufficio Federale delle Migrazioni. Secondo il grado di autonomia e le possibilità di integrazione, i posti disponibili per l’accoglienza vanno dalle centinaia dei grandi centri di prima accoglienza, passando per le decine messe a disposizione dei centri di media dimensione, fino agli appartamenti destinati ai titolari di permesso temporaneo che lavorano e ai rifugiati. Il sistema non è applicato universalmente, poiché le modalità di applicazione della legge sono differenti tra cantone e cantone, così come gli standard adottati. Per esempio, vi sono dei sistemi speciali di presa in carico per i minori non accompagnati validi in alcuni cantoni e non in altri. Nel 2011, in Svizzera sono state presentate 22.551 domande di asilo, in aumento del 44,9% rispetto al 2010. I principali paesi di provenienza dei richiedenti asilo sono l’Eritrea (3356 domande), la Tunisia (2261 domande) e la Nigeria (1895 domande) seguiti dalla Serbia, principalmente rom (1217 domande). I casi ammessi sono 19.467 domande d’asilo in prima istanza. In 9688 casi, è stata presa la decisione di non entrare in materia; su queste situazioni, 7099 sono state i pronunciamenti secondo l’applicazione della convenzione di Dublino e 7014 persone sono state trasferite nei cosiddetti stati Dublino, principalmente l’Italia. Si trattava tra gli altri di tunisini (21.7%), nigeriani (16.6%) ed eritrei (6.9%) Si può ipotizzare che il flusso migratorio verso l’Italia subirà un aumento, per rinvii organizzati o partenze volontarie, dato l’irrigidimento della politica d’asilo in Svizzera, in particolare nei confronti delgi eritrei. Per quanto riguarda i tunisini, è stato firmato un accordo di aiuto al rimpatrio e al reinsediamento tra i due paesi. Il successo di queste misure potrà essere giudicato solo tra qualche tempo. Infine, in questo contesto, sarebbe auspicabile una collaborazione tra la Svizzera e l’Italia, che possa garantire un trattamento rispettoso dei diritti umani nelle circostanze di un trasferimento, in particolare nei casi di persone vulnerabili (minori non accompagnati, un genitore solo con bambini piccoli, persone malate, etc.)
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Al livello regionale/locale vengono attribuiti compiti di programmazione e realizzazione di un sistema di accoglienza adeguato alle quote assegnate a livello nazionale che preveda: livello regionale
A questo proposito, la proposta Il futuro passa da qui volta a riformare il sistema di accoglienza italiano è la benvenuta, nella misura in cui essa permette di razionalizzare meglio e di amministrare a livello regionale l’accoglienza dei richiedenti asilo. Il sistema potrà permettere, da una parte, di orientare la prestazione dei servizi in maniera individuale, più vicina ai bisogni del singolo, e, dall’altra parte, di valorizzare il potenziale personale, permettendo una migliore integrazione nel tessuto sociale ed economico locale. Questa si può definire un’accoglienza rispettosa della dignità umana.
posti di accoglienza per richiedenti asilo; posti di accoglienza per affrontare eventuali emergenze; selezione degli Enti che partecipano al Sistema Regionale di Accoglienza ed Emergenza attraverso l’istituzione di un Albo degli Enti Gestori che consenta una selezione qualitativa degli stessi; coordinamento delle emergenze a livello regionale con assegnazione; mappatura delle possibilità di integrazione sul territorio; monitoraggio rispetto al Decreto Flussi; promozione di progetti di ripopolamento del territorio e delle comunità. Le risorse per il suo funzionamento derivano da: Risorse per il funzionamento
fondi Europei FEI, FER, Rimpatrii; fondi regionali; quote di partecipazione derivanti dai conferimenti di soci privati che partecipano a vario titolo al Sistema; quota procapite pro die per la gestione delle emergenze.
a cura di Johnny Dotti Presidente di Welfare ITalia
Tenere insieme legame sociale e limite espansivo Ho apprezzato lo sforzo riflessivo e di proposta contenuto nel documento Il futuro passa da qui. Faccio molto semplicemente tre sottolineature e mi permetto di aggiungere una proposta. Le sottolineature di positività. - La questione della “capacitazione” di soggetti coinvolti in qualsiasi processo di cambiamento. Mi sembra questa una piega importante che emerge Dalla trama del manifesto. E’ l’unica possibilità che abbiamo per dare concretezza e speranza ai percorsi delle persone, mantenendoli realisticamente agganciati al contesto. - La questione solidarietà/sussidiarietà sia nella sua dimensione istituzionale classica che nel coinvolgimento degli attori sociali. Non c’è una responsabilità e un protagonismo da sollecitare solo nei singoli individui ma anche nelle diverse Aggregazioni collettive e comunitarie. I percorsi delle persone (migranti e non) sono anche percorsi di crescita comunitaria. Ed infine la chiara posizione sulla sostenibilità economica ed il ragionamento sulle misure da mettere in campo. Ragionamento non solo di buon senso ma necessario a recuperare un senso del limite che avevamo ampiamente perso. Le risorse economiche e le risorse sociali non si possono immaginare solo in modo incrementale. Bisogna riuscire a tenere insieme legame sociale e limite espansivo. Credo sia un buon paradigma che attraverserà, la possibilità di reinterpretare la crescita in futuro. Infine mi permetto di proporre una maggiore attenzione ai sistemi di governace che questo tipo di azione produce. Per essere coerenti, avendo all’orizzonte i contenuti prima esplicitati, non penso sia possibile escludere le persone migranti da questi sistemi di governace. Magari attraverso associazioni che ne intermedino le istanze, i diritti e i doveri, i bisogni e i desideri. Nell’economia generale del progetto questo mi sembra un punto poco o per nulla approfondito. Mi sembra il caso di metterci mano desiderando il buon fine delle intenzioni espresse.
a cura di Oliviero Forti Caritas italiana
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Dimensionamento del sistema Attualmente il sistema comprende 5000 posti CARA e 3000 posti SPRAR. Immaginando una percentuale media di occupazione dei posti pari al 90%, si rendono effettivamente disponibili 7.200 posti. La permanenza media delle persone è di 207 giorni. Questo genera un indice di occupazione di circa 1,75 per ogni posto. È dunque possibile affermare che la capacità di accoglienza totale con 8.000 posti disponibili - è di 12.600 persone. Guardando alla serie storica dal 2006 al 2010, emerge che le domande di richiesta d’asilo sono in media circa 16.000 all’anno.
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Serve un sistema unico Anche Caritas Italiana, a partire dall’esperienza maturata nel corso di questi anni sul fronte dell’accoglienza e della tutela dei rifugiati e dei richiedenti asilo, ritiene che sia giunto il momento di riformare l’intero sistema, anche alla luce degli eventi che hanno interessato il nostro paese nell’ultimo anno e mezzo. Infatti, a fronte di numerose esperienze, molte delle quali positive, il sistema di accoglienza ha dovuto però scontare un’eccessiva frammentarietà ed eterogeneità. Per questo motivo auspichiamo l’implementazione di un Sistema Unico che, a partire dai centri di prima accoglienza e soccorso alla frontiera, possa coinvolgere i CARA e lo SPRAR con un allargamento utile a raggiungere la quota di alloggi necessaria a soddisfare la domanda complessiva in tutte le sue fasi, compresi i percorsi di inclusione sociale a conclusione della procedura, con una particolare attenzione alle situazioni più vulnerabili. Per la gestione di un Sistema nazionale per l’accoglienza e l’integrazione di richiedenti e titolari di protezione internazionale, che do-
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Inoltre, dai CARA vengono inviate richieste di inserimento pari a circa il 20% delle domande di asilo accolte, per una media di circa 2.000 richieste d’inserimento all’anno. Dunque è possibile dimensionare il sistema in modo da accogliere in regime ordinario 18.000 persone. Applicando alle 18.000 persone l’indice di occupazione (1,75%) e poi la percentuale di occupazione (90%) si ottiene la necessità di 11.400 posti totali, con un delta di 3.400 posti rispetto all’attuale disponibilità. Con 11.400 posti, nella serie storica considerata per 3 anni, il sistema sarebbe stato dimensionato in eccesso; per 2 anni in difetto (tra questi, il 2008 con l’emergenza sbarchi). Considerando la dimensione piemontese, il sistema dovrebbe arrivare a strutturare il 7,6% del fabbisogno, così come da quota stabilita per l’Emergenza Nordafrica. Di conseguenza, sono 866 (7,6% di 11.400) i posti da preparare in Piemonte, circa il 50% della capacità attualmente presente in Regione tra Emergenza Nordafrica e risorse SPRAR.
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Risorse aggiuntive per l’accoglienza Risorse derivanti dall’intervento su alcuni istituti previsti nei contratti del Pubblico Impiego, del privato e nei contratti dei dirigenti: risorse da intervento su istituti
riduzione della fruizione di 2 ore di permesso retribuito con versamento degli oneri per le imprese e gli enti ad apposito fondo. Gettito: 11 milioni di dipendenti * 2 ore * 12 euro = 264 milioni di euro; riduzione di 2 ore all’anno delle assemblee sindacali con versamento degli oneri da parte datoriale ad apposito fondo. Gettito: circa 27/30 milioni di euro. Risorse destinate alle funzioni pubbliche elettive: risorse destinate a funzioni pubbliche elettive
destinazione dell’1% delle risorse destinate ai CdA degli enti di società pubbliche (gettoni presenza consiglieri, emolumenti, etc.). Gettito: circa 20/24 milioni di euro; destinazione del 10% dell’attuale costo che i comuni al di sopra dei 20.000 abitanti affrontano per le commissioni consiliari con pari riduzione dei gettoni di presenza in commissione destinati ai consiglieri comunali.
vrebbe comunque includere tutte quelle realtà che hanno garantito in questi anni un valido apporto, riteniamo essenziale la costituzione di un Organismo di concertazione/indirizzo al quale far partecipare tutti i soggetti interessati: Ministeri dell’Interno e del Welfare, Dipartimento per la Cooperazione e integrazione, Conferenza delle Regioni, ANCI, UNHCR e certamente gli Enti di accoglienza che, nei fatti, sono quelli che garantiscono le attività sui territori. L’organismo dovrebbe dare le linee di indirizzo generali, scrivere il programma pluriennale e verificare il raggiungimento degli obiettivi previsti dallo stesso. Per rendere efficace un lavoro territoriale e coordinare l’offerta dei servizi a livello locale si auspica inoltre la creazione di Organismi regionali che dovrebbero predisporre a loro volta piani di indirizzo regionali annuali sui servizi territoriali sia nella fase di accoglienza che di integrazione e coordinare tali piani con il programma nazionale.
a cura di Antonio Ragonesi Comitato Scientifico Fondazione Xenagos
Il ruolo delle istituzioni nei servizi di accoglienza La necessità di procedere a una revisione, tenendo conto dell’evoluzione degli attuali servizi di accoglienza, trova certamente una corretta descrizione nei principali motivi elencati nel documento. Ad essi aggiungerei, tuttavia, anche l’esigenza di consolidare la previsione di legge a distanza di oltre dieci anni dall’introduzione dell’art.32 della legge 30 luglio 2002, n. 189 che ha modificato, introducendo l’art. 1 sexies e 1 septies, la legge 28 febbraio 1990, n. 39 in materia di immigrazione e asilo. Le previsioni successive e il consolidamento dei servizi di accoglienza per i richiedenti asilo, seguiti dall’avvio operativo dei lavori delle nuove commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato, hanno introdotto non poche novità rispetto alla previsione di un Sistema di Protezione per i Richiedenti Asilo e i Rifugiati (SPRAR), quale seconda gamba dell’insieme dei servizi di accoglienza e assistenza presenti sul territorio. In tal senso, da più parti, viene richiamato il ruolo delle Regioni in materia, anche alla luce della riforma della seconda parte della Costituzione intervenuta con referendum confermativo nel 2001 e del crescente ruolo a livello locale che le Regioni possono esprimere come soggetti di riferimento e cabine di regia territoriali, o come facilitatori attivi, su una serie di problemi oggettivamente di loro competenza, tra i quali si possono citare gli aspetti sanitari, della formazione anche professionale, dell’utilizzo e gestione delle risorse comunitarie, delle politiche di inserimento lavorativo, etc. In questa sede, mi limiterò a sottolineare come i soggetti che richiamano tali competenze per muovere delle giuste osservazioni circa il coinvolgimento attivo delle Regioni nei servizi di accoglienza dimenticano, più o meno inconsapevolmente, i principi su cui si basa tale riforma costituzionale. Se da un lato, è inconfutabile tale ruolo da parte delle Regioni (ivi compreso quello da esercitare sui temi dell’immigrazione secondo quanto stabilito all’art. 117 comma 1 lett. h) della carta costituzionale), si omette però di proseguire nella lettura, arrivando all’articolo immediatamente successivo, l’art.118, che appare illuminante nell’indicare la strada da intraprendere per il necessario coordinamento tra le attività esistenti tra Stato e Comuni e il nuovo ruolo esercitato dalle stesse Regioni. Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. Si riporta interamente l’art.118, perché appare disarmante nella previsione di aggiornamento e consolidamento dell’attuale previsione normativa sull’immigrazione e asilo, anche sul versante dei servizi di accoglienza che dovrebbero corrispondere a un chiaro riparto delle responsabilità tra i diversi livelli di governo, declinando così i principi enunciati di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. In parte questi principi sono già attuati, se pensiamo infatti che la materia dell’asilo, facendo parte di una competenza esclusiva
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Risorse derivanti dalla tassazione sui permessi di soggiorno: risorse destinate da tassazione sui permessi di soggiorno
destinazione del 10% delle entrate derivanti dalle tasse che i migranti pagano per il permesso di soggiorno al piano di accoglienza sottraendoli dalla quota per il Fondo Rimpatrii. Gettito: circa 8/10 milioni di euro
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dello Stato, assume de facto la responsabilità anche economica nella misura dell’80% a carico del Ministero dell’Interno di sostenere i servizi attivati da altri livelli di governo, come i Comuni, che hanno autonomamente avviato e gestito servizi rivolti ai richiedenti asilo e rifugiati. Vediamo un’ipotesi concreta. Prima accoglienza. Per semplificare, definiremo prima accoglienza quei servizi rivolti a chi possiede un permesso di soggiorno temporaneo in attesa di un riconoscimento di status di protezione secondo la disciplina nazionale e internazionale (asilianti) che più volte ho definito sotto la voce di “flussi migratori non programmati”, intendendo con questi coloro che, pur entrando irregolarmente sul territorio dello Stato, non sono soggetti a una procedura di allontanamento immediato, ricorrendo quelle diverse fattispecie di permanenza legale in vista di un riconoscimento del loro status (ex.art 18, MSNA, minoranze etniche, RA, Protezioni internazionali ed accessorie, rifugiati). La gestione della prima accoglienza secondo i principi di differenziazione e adeguatezza dovrebbe corrispondere nei fatti con una presa in carico diretta da parte dello Stato per diversi motivi: 1. in attuazione del principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, in quanto ricorrono le fattispecie previste dall’art.117 comma 1 lettera a) della Costituzione; 2. in attuazione del principio di economicità della pubblica amministrazione per la natura standard dei servizi offerti e la durata degli stessi; 3. in attuazione del principio di efficacia dei servizi di accoglienza legati esclusivamente all’obiettivo principe della definizione dello status giuridico di ciascun soggetto in accoglienza, prevedendo quelle attività coordinate tra la permanenza e la definizione o esito dello status giuridico. In altri termini, i Centri di Accoglienza per i Richiedenti Asilo (CARA) dovrebbero corrispondere a tali esigenze, proponendo servizi di accoglienza finalizzati esclusivamente alla prima accoglienza, puntando a una efficacia della stessa nella velocità di definizione dello status dei singoli e proponendo standard di servizi orientati solo all’accoglienza o alla proposizione di servizi di rimpatrio volontario ed assistito verso i paesi di origine dei soggetti o verso paesi terzi secondo quanto stabilito dagli accordi tra gli stessi Stati con lo Stato italiano. Gestione successiva alla prima accoglienza. La gestione successiva alla prima accoglienza - o la gestione di un’accoglienza diversa da quella standard per la prima accoglienza come sopra richiamata - potrebbe invece essere appannaggio di altri soggetti in virtù di specialità da riconoscere, sempre nel rispetto dei principi sopra richiamati del dettato costituzionale. Si tratta di focalizzare l’attenzione sull’insieme dei servizi offerti ai titolari di uno status giuridico già definito e bisognosi di un periodo limitato di accoglienza, assistenza, orientamento e inserimento sociale e lavorativo, in virtù della specialità dell’ingresso “non programmato” e di una permanenza legale sul territorio. Tali soggetti, infatti, sono titolari di un permesso di soggiorno, ma a differenza degli altri migranti non dispongono né della conoscenza del territorio, né di contatti parentali o amicali, né tantomeno di un datore di lavoro. In altri termini, per riprendere quanto correttamente descritto nel documento proposto, questi soggetti non dispongono di un “progetto migratorio”. Per tali soggetti, quindi, è assolutamente necessario prevedere un periodo di “tutoraggio” a partire dalle specifiche previste nelle linee guida che mi pregio di avere realizzato, con il concorso e il lungo confronto con l’UNHCR e le principali NGO nazionali precedenti al sistema SPRAR e frutto dell’Accordo tra Ministero dell’interno, Anci e UNHCR sottoscritto il 10 ottobre dell’anno 2000 e che dovrebbe essere tuttora vigente sotto il nome di Programma Nazionale Asilo (PNA). A tale fattispecie di servizi si può aggiungere la specialità di servizi di prima accoglienza, ma diretti esclusivamente ai soggetti vulnerabili, intesi come erogazione di servizi “NON standard”, per i quali i principi sopra richiamati potrebbero convergere e ritenere utile tale specialità con il coinvolgimento diretto degli altri livelli di governo per economicità, efficacia ed efficenza della Pubblica Amministrazione nel suo complesso. Una parte di questi servizi, già esistenti per i soggetti problematici come tossicodipendenti, etc., dovrebbero entrare in rete attraverso cabine di regia comunali o regionali. Ricapitolando, i servizi standard rivolti ai richiedenti asilo risultano di competenza e appannaggio esclusivo dello Stato, con esclusione di servizi speciali di prima accoglienza rivolti esclusivamente ai soggetti vulnerabili. I servizi integrati di accoglienza, assistenza e inserimento sociale e lavorativo risultano appannaggio dei livelli di governo locali, Regioni e Comuni, per i quali sarà utile delineare i confini, oltre che descrivere i ruoli e le funzioni differenti secondo sempre quanto previsto dalla Costituzione e dalla prospettiva del nuovo ordinamento degli Enti locali, con un nuovo ruolo delle Province, e delle Regioni recentemente approvato dal Parlamento e che prevede un riordino delle competenze complessivo introducendo l’elenco delle nuove funzioni fondamentali di Comuni e Province.
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Fonte: Fondazione Moressa
Rimesse suddivise per paese,ammontare, anni
Decreto Tremonti-Maroni del 6 ottobre 2011
Art. 1
Contributo per il rilascio e rinnovo permesso di soggiorno
1. Ai sensi dell’art. l , comma 22, lett. b) della legge 15 luglio 2009, n. 94, la misura del contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno a carico dello straniero di eta’ superiore ad anni diciotto e’ determinata come segue: a) Euro 80,00 per i permessi di soggiorno di durata superiore a tre mesi e inferiore o pari a un anno; b) Euro 100,00 per i permessi di soggiorno di durata superiore a un anno e inferiore o pari a due anni; c) Euro 200,00 per il rilascio del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo e per i richiedenti il permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 27, comma 1, lett. a), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e successive modificazioni e integrazioni. 2. Rimangono invariati gli oneri relativi al costo del permesso di soggiorno in formato elettronico di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno del 4 aprile 2006, gia’ posti a carico dello straniero per le istanze di rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno e del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, nonche’ quelli relativi al servizio di accettazione delle istanze sottoposte ad imposta di bollo di cui al decreto del Ministro dell’interno del 12 ottobre 2005. Art. 2
Importi dovuti e modalità di versamento
1. Oltre all’importo spettante tra quelli di cui alle lettere a),b) e c) del precedente art. 1, è dovuta dai richiedenti la somma di euro 27.50 di cui al decreto 4 aprile 2006 citato in premessa, relativa alle spese da porre a carico dei soggetti richiedenti il permesso di soggiorno elettronico. 2. Il contributo di cui all’art. 1 e la somma di euro 27,50 vengono versati, in unica soluzione, dal richiedente, tramite bollettino, sul conto corrente postale n. 67422402, intestato al Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento del Tesoro, con causale «importo per il rilascio del permesso di soggiorno elettronico» Art. 3
Casi di esclusione
1. Le disposizioni di cui al precedente art. 1, comma 1, non trovano applicazione nei confronti di: a) cittadini stranieri regolarmente presenti sul territorio nazionale di eta’ inferiore ai 18 anni; b) cittadini stranieri di cui all’art. 29, comma 1, lett b) del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; c) cittadini stranieri che entrano nel territorio nazionale per ricevere cure mediche, nonche’ loro accompagnatori, secondo quanto previsto dall’art. 36, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286; d) cittadini stranieri richiedenti il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno per asilo, per richiesta di asilo, per protezione sussidiaria, per motivi umanitari; e) cittadini stranieri richiedenti l’aggiornamento o la conversione del permesso di soggiorno in corso di validità. Art. 4
Fondo rimpatri
1. Nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’interno è istituito, nell’ambito della missione «Ordine pubblico e sicurezza», un Fondo rimpatri finalizzato a finanziare le spese connesse al rimpatrio dei cittadini stranieri rintracciati in posizione irregolare sul territorio nazionale verso il paese di origine, ovvero di provenienza. 2. Con le modalita’ previste al successivo art. 5 una quota pari al cinquanta per cento del contributo di cui alle lettere a), b) e c) del precedente art. 1 affluisce, al netto del costo del documento elettronico pari ad euro 27,50, al «Fondo rimpatri» di cui al precedente comma 1. 3. La restante quota del gettito conseguito attraverso la riscossione del contributo di cui all’art. 1, e’ riassegnata ai pertinenti capitoli dello stato di previsione della spesa del Ministero dell’interno, come segue: - 40% alla missione «Ordine pubblico e Sicurezza» di competenza del Dipartimento della Pubblica Sicurezza; - 30% alla missione «Amministrazione generale e supporto alla rappresentanza di Governo e dello Stato sul territorio» di competenza del Dipartimento per le politiche del personale finalizzata alle attività di competenza degli Sportelli unici; - 30% alla missione «Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti» di competenza del Dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione per l’attuazione del Regolamento sull’Accordo di integrazione previsto dall’art. 4-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Art. 5
Modalità e procedure per il riversamento delle somme all’entrata dello Stato
1. A valere sulle disponibilità affluite, ai sensi del presente decreto, sul conto corrente postale n. 67422402, il Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento del tesoro - Direzione VI, effettua, con cadenza mensile, appositi riversamenti all’Entrata dello Stato, con imputazione: - al capitolo 3354, art. 1 - Capo X -, per quanto riguarda l’importo di Euro 27,50 di cui al precedente art. 2; - al capitolo 2439, art. 22 - Capo XIV - per quanto concerne le somme da destinare, ai sensi della citata legge n. 94/2009, al Ministero dell’interno. 2. A seguito dei predetti riversamenti all’Entrata dello Stato, con appositi decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, vengono effettuate riassegnazioni, per pari importi, ai pertinenti capitoli degli stati di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero dell’interno.
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