speciale
Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 2 e 3, Catania - Trimestrale del Consorzio Connecting People – reg. Trib. di Trapani N°323 del 17/07/2009 – distribuzione gratuita
A N N I
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S B A R C H I
Troppe storie sembrano storie dell’altro mondo, ma lo spazio in cui accadono è qui e ora. periodico di culture migranti e dell’accoglienza
anno 3 - N° 3 - NOVEMBRE 2011
TRENTASEI VITE IN ATTESA
Incontro con i richiedenti asilo ospitati a Lemie (TO)
SERVIZI PER MIGRANTI, SERVIZI PER TUTTI Conversazione sul lavoro con Adriana Luciano
LAVORO VERO N
Migranti, lavoro, imprese e formazione: le sfide del futuro
editoriale 1 Lavoro: singolare,maschile di Mauro Maurino e Angelo Perez
dossier Manifesto 2 Migranti e lavoro: il futuro dell’Italia di Salvo Tomarchio
Cittadini e lavoratori “a pieno titolo” di Luca Scarpitti
Una storia di integrazione di Suad Omar Sh. Esahaq,
I migranti e l’accesso alla formazione di Ferdinado Firenze
dossier Nautilus 6 Nautilus, impegno concreto per l’accoglienza dei migranti di Alessia Barbagallo
intervista 10 Servizi per migranti, servizi per tutti. A partire dal lavoro. di Serena Naldini
Progetti 14 Sardegna: quando l’accoglienza mira alla vera progettualità di Maria Chiara Cugusi
150 anni di sbarchi 18 Catania, 1861: L’America non è il paradiso di Marco Polimeni
Il grande cuore e l’incoscienza di una città con la cultura dell’accoglienza di Marco Polimeni
incontri 20 Trentasei vite in attesa di Serena Naldini
incontri 22 Dal bouquet al dpi: storie di (stra)ordinaria integrazione di Serena Naldini
press 24 Rassegna stampa di Connecting People
NOVEMBRE 2011 novembre
a cura di Salvo Tomarchio
Copertina art director Andrea Catalano illustrazione Giancarlo Ortolani
news 26 Notizie e curiosità a cura della redazione
media connecting Terraferma
29
di Salvo Tomarchio
Editore/proprietà Consorzio Connecting People Onlus via Conte Agostino Pepoli, 68 91100 Trapani
Comitato di direzione Giorgio Gibertini, Serena Naldini, Susanna Rognini, Mauro Maurino, Giuseppe Lorenti.
Impaginazione e stampa Studio Tribbù di Coop. Soc. Sciarabba via Sciarelle, 4 95024 Acireale (CT)
Direttore responsabile Giorgio Gibertini
Coordinamento editoriale Serena Naldini, Salvo Tomarchio
Progetto grafico e illustrazioni Giancarlo Ortolani / Tribbù
In redazione Alessia Barbagallo, Valentina Corrado, Maria Chiara Cugusi, Moreno D’Angelo, Suad Omar Sh. Esahaq, Ferdinando Firenze, Mauro Maurino, Karolina Mitka, Serena Naldini, Angelo Perez, Marco Polimeni, Mariangela Recchia, Linda Rinaldi, Luca Scarpitti, Salvo Tomarchio,Claudia Verrillo.
Redazione Via Lulli, 7/8 10148 Torino Via Sciarelle, 4 95024 Acireale (CT) sqm@cpeople.it
Se hai una storia da raccontare, se vuoi segnalare progetti, idee o esperienze, se desideri indicare destinatari che vorresti ricevessero il nostro periodico, puoi inviare una email a: sqm@cpeople.it
Lavoro: singolare, maschile. Mauro Maurino
Angelo Perez
Consiglio di amministrazione di Connecting People
Vice presidente Consorzio Mestieri
di migliaia di badanti che frequentano le nostre case Il dizionario italiano alla voce lavoro dice: singolare, masarebbero integrate, così come i lavoratori a giornata schile. Il dizionario è parziale: il lavoro nella nostra società impegnati nella raccolta della frutta. Il lavoro dunque è non è né singolare, né maschile. E se parliamo di migranecessario, ma non è sufficiente. zioni la vicenda si complica ancora. In questi ultimi mesi, l’Italia ha accolto svariate decine di È per questa ragione che questo editoriale è firmato a migliaia di persone. Quale sarà il futuro dei richiedenti quattro mani da Connecting People, che gestisce progetti asilo che affollano i nuovi e i vecchi centri di accoglienza? di accoglienza di migranti, e dal Consorzio Mestieri, che E che futuro daremo al nostro Paese, se non riusciamo a invece trova la sua mission nel tema lavoro. Siamo partcostruire un progetto complessivo che preveda anche il ners e, più collaboriamo, più appare evidente che oggi in loro impiego? Oltre al dizionario italiano, è utile recupeItalia è difficile occuparsi di migranti senza occuparsi di rare l’accezione che il lavoro ha in altre lingue. In inglese lavoro e viceversa. work, in tedesco werk e arbeit: È scomodo parlare di lavoro e l’etimo di queste parole riconduce migranti in tempi di crisi, perché alla radice greca erg che significa comporta considerare gli italiani Che futuro daremo al “energia”. Il lavoro è infatti anche che il lavoro lo perdono o non nostro Paese, se non energia applicata alla trasformalo hanno mai trovato. La nostra riusciamo a costruire zione di sé e della realtà. Le miRepubblica trova nel lavoro il grazioni sono una grande energia proprio fondamento, eppure il un progetto complessivo di crescita che genera importanti nostro Paese non è mai riuscito a che preveda anche occasioni di innovazione sociale. garantirlo a tutti. Non possiamo E il lavoro è la chiave principale atignorare che vi è concorrenza il loro impiego? traverso cui realizzare questo contra gli stranieri e gli italiani meno tributo delle persone immigrate al agguerriti. Ma dare voce solo processo di cambiamento e crescita economica. La sfida a questa concorrenza significa fare come il dizionario: è dunque la valorizzazione di questo capitale umano, usare il singolare, quando invece i mercati del lavoro sono costruire cioè pratiche per liberare quest’energia rendenplurali e segmentati, e molti di questi sono dominati, più dola produttiva non solo come utilizzo di manodopera di che dalla concorrenza, da una complementarietà che in in basso livello, ma promuovendo riconoscimento, selezioalcuni casi assume persino caratteristiche di segregazione ne in base al merito, potenziamento delle competenze e occupazionale, risultato della coesistenza di due aspetti impiego qualificato. che permangono nell’attuale contesto di crisi: da un lato, A questo fine è necessario anche mettere in campo la le differenze di disponibilità nell’offerta di lavoro tra itafiducia e la speranza, una coppia di significati al servizio liani e immigrati, dall’altro, aree di domanda in segmenti del futuro della società. Di loro sul dizionario, alla voce bassi del mercato per qualifica o salari (nei campi dell’assilavoro, non vi è traccia. Ma siamo certi, che al di là delle stenza familiare, edilizia, manifatture e servizi). definizioni, fiducia e speranza siano imprescindibili fattori Tutti concordano che il lavoro sia uno dei fattori d’integradi crescita e sviluppo. zione. Ma non è l’unico. Se bastasse lavorare, le centinaia
dossier Migranti e lavoro, il futuro dell’Italia Le proposte contenute nel Pacchetto integrazione per costruire l’avvenire partendo da scuola e imprese
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di Salvo Tomarchio
migranti sono persone che per varie ragioni decidono di stabilirsi altrove, lontano dal proprio paese d’origine, compiendo, nella maggior parte dei casi, una scelta consapevole e non solo necessitata, che può generare vantaggi tanto nella società ospite che nella società di origine. Partendo da questo principio, i migranti non sono vittime da assistere per spirito di carità o per buonismo, ma persone da accogliere perché partecipano alla creazione della ricchezza necessaria per mantenere standard di qualità della vita elevati nei nostri paesi. Tutti gli studi demografici affermano infatti che, senza questa categoria di lavoratori, le nostre comunità non potrebbero far fronte a numerose esigenze.” Partendo da queste premesse nel luglio 2010 presentavamo il nostro Manifesto per un Pacchetto Integrazione, proponendo una serie di misure concrete e realizzabili per promuovere una reale integrazione nel nostro Paese dei migranti, considerandoli “un capitale culturale, effettivo e potenziale, con cui i nostri figli si confronteranno in maniera non più eludibile, condividendo con i nuovi arrivati la vita quotidiana, sociale e politica dei nostri territori”. La questione migranti, posta nei termini
di un tentativo reale e concreto di integrazione possibile, trova un primo inevitabile banco di prova nella promozione del riconoscimento dei titoli e dell’inserimento lavorativo. Imprese e scuole in tal senso costituiscono così due pilastri fondamentali, due luoghi del quotidiano attraverso i quali trasformare la percezione comune sul tema dei migranti e porre le basi per una trasformazione culturale
della società italiana. Nell’ambito del Pacchetto Integrazione, abbiamo ripensato le imprese come fattore chiave nella costruzione di un sistema che aiuti i lavoratori stranieri e le loro famiglie nei processi di inserimento; in collaborazione con enti scolastici e formativi che possano aiutare ad attenuare gli inevitabili ostacoli all’integrazione. In tal senso si muove il progetto nato nell’ambito degli accordi tra Compagnia di San Paolo e la Città di Torino che stanno realizzando un servizio di accompagnamento per il riconoscimento dei titoli di studio e delle competenze professionali per i cittadini stranieri così come viene descritto in questa rubrica e lunga la stessa direttrice procede il tentativo di Connecting People di favorire l’accesso alla formazione professionale in collaborazione con l’Ufficio Provinciale del lavoro di Trapani.
1
Strutturazione di un sistema di welfare aziendale che supporti l’integrazione e faciliti la mobilità sociale. Per il suo finanziamento, cfr. “finanziamento di progetti finalizzati all’integrazione attraverso uno storno dell’1% dei contributi previdenziali dei migranti - misura tesa a finanziare l’integrazione attraverso il tessuto delle imprese (pag. 10)”.
2
Analisi degli istituti contrattuali che possono favorire l’integrazione attraverso i luoghi di lavoro. Per la sua realizzazione, è sufficiente che sindacati datoriali e dei lavoratori orientino i vari livelli di contrattazione non solo rispetto a rivendicazioni di tipo salariale, ma anche alla ricerca di forme contrattuali innovative che favoriscano l’integrazione.
3
Iniziative di partenariato tra camere di commercio italiane e istituzioni economiche dei paesi di provenienza finalizzate al supporto di progetti imprenditoriali transnazionali che promuovano, in un’ottica di sviluppo sostenibile, il “made in Italy” all’estero e i prodotti “etnici” in Italia (cfr. Possibilità di utilizzo del Patto di Barcellona), nonché il modello italiano di welfare e di impresa sociale.
dossier Cittadini e lavoratori «A pieno titolo» Un servizio a Torino per il riconoscimento dei titoli di studio acquisiti all’estero
S
di Luca Scarpitti
econdo stime del 2009, i lavoratori stranieri occupati in Italia superano i tre milioni e il tasso di occupazione degli stranieri ha superato quello degli italiani (68% contro il 57%). A fronte di una presenza migrante ormai strutturale nella realtà occupazionale nazionale tuttavia permangono barriere di ingresso alla medesima per chi giunge in Italia di ordine linguistico, socio-economico e giuridico
Tab. 1
che spesso pregiudicano le possibilità, soprattutto dei giovani, di mettere a frutto le proprie competenze. Questo fa sì che molti stranieri siano costretti a ricoprire mansioni dequalificate o a inserirsi solo in “nicchie etniche” del mercato del lavoro. La maggior concentrazione dell’occupazione straniera risulta infatti confinata nei cosiddetti “lavori delle 5 P” ovvero nei lavori pesanti, pericolosi, precari, poco pagati
Distribuzione e incidenza dei lavoratori stranieri per genere nei settori di attività economica. % (2007)
Stranieri Italiani
4,6 4,4
1,7 3,4
3,5 4,0
29,7 25,0
12,9 16,1
23,3 21,6
27,4 11,6
0,6 1,6
17,1 7,8
38,3 59,0
84,4 78,9
56,2 66,5
100 100
100 100
100 100
Agricoltura Incidenza % immigrati 5,6
Manifattura Incidenza % immigrati 6,9
Costruzioni Incidenza % immigrati 3,1
Servizi Incidenza % immigrati
Totale Incidenza % immigrati
5,5
6,5
(Fonte: III Rapporto INPS sui lavoratori immigrati per Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes)
e penalizzati socialmente. Risulta quindi importante poter affrontare le difficoltà nel tradurre i percorsi formativi già attuati nei paesi di origine in concrete possibilità di occupazione e di realizzazione personale affrontando in modo mirato la tematica dell’inserimento lavorativo di chi giunge in Italia in possesso di titoli di studio e competenze di medio o alto livello. In tale direzione dal 2008 la Compagnia di San Paolo, in collaborazione con la Città di Torino, ha avviato a Torino il progetto “A pieno titolo” attuato dalla Cooperativa sociale Parella con l’obiettivo di contrastare. Obiettivo è quello di contrastare il fenomeno che vede soggetti portatori di bagagli formativi e professionali di rilievo avvicinarsi a professioni di media-bassa qualifica. “A pieno titolo” è un servizio rivolto a cittadini stranieri con istruzione secondaria o universitaria provenienti da paesi non comunitari e comunitari di recente annessione (Bulgaria e Romania) interessati a riconoscere i titoli di studio o le competenze professionali conseguiti nel proprio paese d’origine sia per accedere o migliorare la propria condizione lavorativa che per proseguire gli studi nel nostro paese. I positivi risultati dell’esperienza finora maturata hanno permesso di far confluire il servizi del progetto nell’ambito delle politiche pubbliche locali e in particolare nel quadro delle azioni di accompagnamento del progetto europeo Urban III nel quartiere di Barriera di Milano che la Città di Torino attuerà nei prossimi tre anni.
dossier Una storia d’integrazione Il racconto di 20 anni di vita in Italia alla ricerca dell’integrazione possibile
E
di Suad Omar Sh. Esahaq
ra il 1967, il 25 luglio, quando sono nata nel reparto di ginecologia e maternità dell’ospedale Martini di Mogadiscio, in Somalia, costruito e attrezzato dall’Italia. Come impone la cultura, mi hanno conferito il nome Suad. Durante la mia infanzia, nel mio paese non ci sono grossi problemi e, come per tanti altri bambini, la mia vita quotidiana si consuma tra casa, scuola e giochi. Dopo la fine del periodo scolastico liceale, mi iscrivo all’Università Nazionale Somala di Mogadiscio e, in particolare, alla facoltà linguistico-culturale. Negli anni ‘80-’90, le cose iniziano a mettersi male in tutto il paese. Il regime del defunto generale Mohamed Siad Barre aveva letteralmente trasformato la Somalia in una prigione a cielo aperto. La libertà, la democrazia e persino la legalità vengono negate ai cittadini. L’inflazione è alle stelle e lo scellino somalo non vale più niente. Nel 1988, quando io mi laureo in letteratura, la situazione è ormai insostenibile. A Mogadiscio, si percepisce che la situazione sta per precipitare e l’anarchia è totale. A questo punto, ho cominciato a maturare la decisione di allontanarmi dal paese, perché anche molti dei miei amici partivano ogni giorno. La mia meta preferita era l’Italia, Roma. Anche perché la Somalia era un’ex colonia italiana e il legame storicoculturale era forte. A Mogadiscio, se andavi al cinema, il doppiaggio era in italiano. Se andavi al centro, ti trovavi in via Roma, nel Bar Savoia, in Casa d’Italia, in cinema missione o in cinema equatore. Mio padre Omar, funzionario governativo, non ha avuto difficoltà a strappare un visto turistico dal consolato generale d’Italia a Mogadiscio per il mio ingresso in Italia. Il 27 luglio dell’89, arrivo all’aeroporto internazionale di Fiumicino con un volo regolare della compagnia Somali Airlines.
4
Per mia sfortuna, non avevo perfezionato l’italiano, come molti altri somali. In quell’epoca, infatti, la lingua italiana era capita e parlata da quasi tutti i somali residenti nei centri urbani. Con pochi dollari, e una scarsa conoscenza della lingua, mi ritrovo alla stazione ferroviaria di Roma. Inizia per me una nuova epoca. Non era passata ancora un’ora dal mio arrivo, quando mi sono accorta che mi trovavo in una Mogadiscio più progredita dal punto di vista delle infrastrutture e della tecnologia, ma simile in molti altri aspetti. C’era una comunità somala consistente, tra vecchi residenti e neo-arrivati, fuggiti come me dalla dittatura e dall’anarchia. Tra i primi che ho incontrato, ricordo un mio parente, ex colonnello delle forze armate Somale, in esilio a Roma. Ho così trovato una casa - la casa di mio zio colonnello - temporanea perché, comunque, dovevo intraprendere la mia strada per farmi una vita, ritagliarmi un spazio mio in questa società, anche se non sarebbe stata un’impresa facile. Passano due settimane. Frequento spesso il punto di ritrovo dei somali a Roma, la Stazione Termini. Entro in contatto con molti somali, alcuni dei quali avevo già conosciuto in patria. Abbiamo in comune molti aspetti: tutti siamo fuggiti dal caos, disoccupati e, in molti, anche clandestini. Il bello è che non c’era il rischio di rimpatrio: noi somali godevamo di uno status non dichiarato, di “non rimpatriabili”. In poche parole, eravamo a casa. A metà agosto, incontro a Termini, per caso, Fowzia, una mia amica d’infanzia. Residente a Torino, era solo in visita a Roma. Un grande sollievo, una grande fortuna. Una grossa parte dei miei problemi si è risolta. Qualche giorno dopo, mi trasferisco a Torino con la mia amica. Lei, come tante altre somale a quei tempi, lavorava come collaboratrice domestica presso una famiglia italiana. Abitava
in un monolocale. I miei problemi di alloggio sono così terminati. Scaduto il tempo di soggiorno consentito dal visto d’ingresso in Italia, sono passata alla clandestinità. Nonostante questo, comincio a lavorare in nero come lavapiatti in un ristorante di Torino. Il proprietario del ristorante mi trattava come una figlia. Non ho smesso ancora di benedirlo e ringraziarlo. All’inizio degli anni ‘90, grazie alla sanatoria “legge Martelli”, esco dalla clandestinità. Inizio così a lavorare legalmente, pagando i contributi. Ho fatto di tutto: dall’assistenza anziani alla colf, dalla baby-sitter all’operaia. Ma non solo, mi sono iscritta al primo gruppo che, in quegli anni ‘90, ha frequentato il corso di mediazione interculturale. Questa professione mi ha aperto nuovi orizzonti. Oggi, Suad Omar, è una donna sposata e felice. Ho contribuito con 5 “unità figli” a questa nostra società italiana, che in base alle statistiche demografiche sta invecchiando in modo terrificante, sperando che tutti gli italiani facciano la stessa cosa.
Suad Omar Sh. Esahaq
Candidata nelle liste comunali e circoscrizionali dei Verdi per la pace, Elezioni amministrative 28-29 maggio 2006. Eletta come consigliere circoscrizionale per la Circoscrizione VIII - coordinatrice della sottocommissione Gioventù della V Commissione (Cultura, Istruzione, Sport, Turismo e Tempo Libero e Gioventù). Rappresentante per l’Italia della diaspora somala eletta nell’ambito del Convegno internazionale delle diaspore somale - Stoccolma (Svezia) febbraio 2007, riconfermata al secondo convegno Leicester (UK) aprile 2007. Relatrice al Convegno “The Somali Women’s Agenda” (Kenya 6-10 ottobre 2007) come portavoce delle donne della diaspora somala per l’Italia. In quell’occasione è stata scelta come rappresentante delle donne della diaspora somala in Italia. Pubblicazioni 1997 Suad Omar Sh. Esahaq e Roberta Valetti, “Il coccodrillo che prestò la lingua allo sciacallo e altre favole dalla Somalia”, L’Harmattan Italia, 1997, Torino.
dossier I migranti e l’accesso alla formazione La formazione professionale per i richiedenti asilo ed i titolari di protezione internazionale
N
di Ferdinando Firenze
egli ultimi anni in Italia è aumentato il numero di persone richiedenti asilo ed il numero di quanti fra questi ottengono la titolarità della protezione internazionale. Prima di entrare nello specifico della formazione quale strumento per l’accesso al mercato del lavoro delle persone richiedenti o titolari la protezionale internazionale, bisogna precisare la natura dello status giuridico degli stessi. La tutela dei soggetti in premessa è da ricercare nell’alveo della Convenzione di Ginevra relativa alla status dei rifugiati del 28 luglio 1951, quale integrata dal Protocollo di New York del 31 gennaio 1967, che ha ispirato la Direttiva 2003/9/CE del Consiglio Europeo del 27 gennaio 2003 che reca le norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli stati membri. In quel momento matura, da parte della Unione Europea, la volontà di creare una politica comune dell’asilo per gli stati membri. In particolare l’art.11 e l’art.12 della superiore Direttiva dispongono le linee generali a cui devono uniformarsi gli stati membri per garantire il diritto al lavoro ed alla formazione professionale dei richiedenti
La scuola e gli altri enti formativi La scuola è uno dei luoghi riconosciuti da sempre come cruciale per l’integrazione e la mobilità sociale. Grazie all’obbligo scolastico, tutti i bambini migranti hanno l’opportunità di imparare l’italiano e di inserirsi nella rete sociale e affettiva dei loro coetanei. E’ pur vero che i figli dei migranti devono superare maggiori difficoltà rispetto ai loro pari italiani, e che la capacità della scuola di integrarli deve essere migliorata. Uno degli strumenti per attenuare questi ostacoli è certamente l’inclusione dei loro genitori e degli adulti migranti in genere in percorsi formativi che prevedono innanzitutto l’apprendimento della lingua e della cultura italiana.
e dei titolari di protezione internazionale. L’Italia con il D.Lgs.205/2007 del Ministero dell’interno con gli artt.25 e 26 equipara i titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria al cittadino italiano sia per l’accesso libero al mercato del lavoro italiano privato e pubblico (art.25 D.Lgs.205/2007), sia per l’accesso all’istruzione (art.26 D.Lgs.205/2007) e quindi anche alla formazione professionale. L’esperienza vissuta per chi ha avuto come noi la possibilità, tramite le attività del Progetto Nautilus, di contattare e di confrontarsi con i protagonisti del mercato del lavoro in Italia, il sorgere di alcune incognite legate all’effettiva equiparazione del cittadino in possesso della titolarità della protezione internazionale o richiedente asilo con i cittadini italiani per nascita. Da questa esperienza è nata una esperienza significativa nella Regione Sicilia che, come definito dalla legge quadro sulla formazione professionale n.845/78, ha autonomia, vedi la l.r. n.24/76 e successive modifiche ed integrazioni, nella definizione dei percorsi di accesso alla formazione professionale per l’apprendimento o per riqualificazione delle proprie competenze.
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Nel corso delle attività del Progetto Nautilus sono sorte questioni interpretative essenzialmente su due punti: 1. Il riconoscimento del percorso di formazione dei richiedenti e titolari di protezione professionale svolto nel paese di origine al fine della equiparazione con i titoli di studio che in Italia consentono l’accesso alla formazione professionale; 2. Il riconoscimento dei documenti che certificano la residenza sul territorio nazionale e la possibilità per i richiedenti asilo di utilizzare il domicilio temporaneo presso i centri di accoglienza quale certificazione anagrafica equiparata ai cittadini italiani ed ai titolari di protezione internazionale. Su questi due elementi la fattiva collaborazione con l’Ufficio provinciale del lavoro di Trapani, nella persona del suo dirigente, ha consentito di ovviare a tale situazione in maniera di insinuarsi tra le pieghe di una norma farraginosa ed incompleta che ha risolto in senso positivo i requisiti che potevano ostare, in qualche maniera, all’accesso alla formazione per i richiedenti ed i titolari di protezione internazionale. Per i due requisiti in premessa si è arrivati alle seguenti determinazioni: 1. Considerare l’autocertificazione come elemento sufficiente per coprire quanto meno l’accesso ai corsi dove fosse consentito l’accesso con il solo titolo per la scuola dell’obbligo in Italia; 2. Considerare la domiciliazione presso i centri di accoglienza come dimora abituale del richiedente asilo e la certificazione rilasciata dalle autorità competenti come valido documento di riconoscimento e di certificazione della identità del richiedente l’accesso ai percorsi formativi.
Livello di istruzione della popolazione (15 - 64 anni) in generale e di quella straniera in Italia, % (2007)
Laurea e Post Laurea Stranieri Italiani
11,8 16,2
Diploma
41,2 45,2
Licenza media
47,0 38,6
Totale
100,0 100,0
(Fonte: III Rapporto INPS sui lavoratori immigrati per Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes)
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dall’accoglienza all’integrazione
Nautilus, impegno concreto per l’accoglienza ai migranti Un progetto ambizioso per accompagnare i richiedenti e titolari di protezione internazionale verso l’indipendenza e l’integrazione socioeconomica
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di Alessia Barbagallo - Ufficio di coordinamento del progetto Nautilus foto tribbù
i è concluso il 28 giugno 2011, con un convegno finale a Roma, Nautilus - Dall’accoglienza all’integrazione, progetto finanziato dal Fondo Europeo per i Rifugiati (F.E.R.) 2009 e dal Ministero dell’Interno. Per la prima volta Connecting People infatti, proprio nel 2009, è andata oltre la tradizionale attività di gestione di centri di accoglienza per migranti, presentando un progetto sull’Azione 1.2.A del F.E.R.: “Allestimento presso i centri di accoglienza per richiedenti protezione internazionale o nelle aree di riferimento del centro di Uffici di contatto - sportelli operativi”; l’unico progetto a valenza nazionale del fondo europeo, e sicuramente il più “ambizioso”. Il Consorzio Connecting People, in partenariato con l’OIM, il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale de La Sapienza, l’AICCRE e il Consorzio Mestieri ha così attivato dodici sportelli di contatto in tutto il territorio nazionale, in cui quotidianamente un orientatore ed un
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mediatore culturale hanno raccolto informazioni sui profili migratori di richiedenti e titolari di protezione internazionale e hanno svolto attività di informazione e orientamento su servizi socio sanitari e di accompagnamento al lavoro. Nell’insieme, sono stati raccolti dati su condizioni socioeconomiche, aspettative di vita, esperienze e competenze professionali di più di 4.000 beneficiari e ogni sportello ha raggiunto i suoi piccoli, grandi risultati nell’accompagnare i richiedenti e titolari di protezione internazionale individuati nel difficile cammino verso l’indipendenza e l’integrazione socioeconomica nella nuova società di accoglienza. Gli operatori degli sportelli di Catania e Caltanissetta, per esempio, grazie alla collaborazione con i progetti S.P.R.A.R. del territorio - precisamente Progetto Sirat Catania e Progetto Gueso Salam Acireale gestiti dal Consorzio il Nodo, e Progetto SPRAR Mazzarino gestito dalla cooperativa “I Girasoli” - tramite la somministrazione
del questionario Nautilus hanno individuato i profili dei titolari di protezione internazionale più adatti a ricoprire il ruolo di mediatore culturale. Cinque titolari di protezione sono stati così assunti da Connecting, proprio nell’ambito del progetto Nautilus. Inoltre, quattro titolari di protezione internazionale che, in seguito allo sgombero dell’immobile sito a Catania in viale Africa, erano rimasti senza fissa dimora, e altri due già ospiti di strutture SPRAR di Catania sono stati segnalati ad un’azienda edile di Caltagirone, che li ha assunti come operai di cantiere. Tramite lo sportello Nautilus di Foggia, Connecting People ha anche siglato durante questa prima annualità di progetto un protocollo d’intesa con Smile Puglia, grazie al quale ha inserito quattro titolari di protezione internazionale in un Corso di Formazione per Mediatori Culturali. L’iscrizione a questo corso ha coperto, tra l’altro, gli oneri relativi ad un’esperienza lavorativa conseguente al rilascio della qualifica di
dossier
In alto, un momento della partecipata tavola rotonda del convegno. In alto a destra, il qr code con la ripresa video del convegno.
mediatore culturale. Uno di questi partecipanti è stato poi assunto come mediatore culturale dal Consorzio Connecting people per le attività della Tendopoli di Potenza, aperta in seguito alla recente crisi umanitaria nordafricana. Possiamo andar avanti con altri esempi di buone prassi sperimentate nei diversi contesti locali in cui hanno lavorato i nostri operatori, come per esempio l’esperienza di Gradisca d’Isonzo, dove in seguito ad un protocollo d’intesa stipulato con il Comune di Sagrado in fase progettuale, si è realizzato il progetto “Incontriamoci in biblioteca”, che è stato per gli ospiti del C.A.R.A. un’occasione di apprendimento formativo ed esperienza lavorativa e li ha impegnati con diverse mansioni presso la Biblioteca comunale di Sagrado, come la presa in carico delle prenotazioni, il supporto nelle attività di classificazione dei libri, il prestito e la riconsegna e la realizzazione di iniziative culturali. Un altro richiedente protezione internazionale è stato inserito nel
Progetto “Professionisti/e in famiglia”, ha così partecipato ad un seminario su aspetti legali, pratici, igienico-sanitari e psicologici del mestiere di assistente familiare ed è stato iscritto presso lo Sportello Assistenti familiari di Gorizia di intermediazione per la ricerca del lavoro. Con Nautilus si è anche cercato, dove possibile, rispettando le direttive del Ministero sulle attività progettuali, di adattarsi e seguire le evoluzioni del fenomeno dell’asilo in Italia e quindi dei nuovi arrivi di migranti politici prodotti dalle rivoluzioni nordafricane, cercando di rispondere all’aumento dei bisogni dei beneficiari seguito alla crescita esponenziale degli sbarchi in Sicilia. Per questo Connecting People ha fatto la scelta di istituire, dal 9 maggio 2011, dopo l’apertura del C.A.R.A. di Mineo, un nuovo sportello di contatto proprio in quel centro, che per grandezza e tipologia di ospiti più di tutti gli altri necessitava di segnali forti di presenza e vicinanza ai nuovi arrivati nel nostro
paese, che purtroppo spesso sono stati carenti da parte dell’ente gestore e delle pochissime associazioni che hanno avuto la possibilità di operare al suo interno. Oltre alle consuete attività di sportello, si è scelto proprio qui di dare un ulteriore servizio ad personam agli ospiti del centro, supportandoli nella stesura di curricula e realizzando bilanci delle competenze. Gli esempi positivi di accompagnamento dei migranti politici nell’inserimento nel tessuto sociale e lavorativo locale sono stati per fortuna tanti nel corso del progetto ed hanno riguardato diversi beneficiari. Anche se numericamente, rispetto alle crescenti presenze nel nostro paese di richiedenti e titolari di protezione, sono state percentuali esigue, si è trattato sicuramente di segnali importanti per tutti gli ospiti dei C.A.R.A. che sono passati dai nostri sportelli e, speriamo, con la seconda annualità di Nautilus, di poter fare ancor di più.
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dossier Progetto Nautilus. Dall’accoglienza all’integrazione Nautilus è potenziamento del sistema nazionale d’asilo attraverso: - apertura di sportelli di informazione, orientamento, consulenza e conoscenza reciproca rivolti ai richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale a Catania, Caltanissetta, Trapani, Crotone, Brindisi, Bari, Foggia, Roma, Torino, Gradisca d’Isonzo, e da Maggio si è aggiunto lo sportello presso il Villaggio della solidarietà a Mineo; - attività formativa per gli operatori degli sportelli con 100 ore finalizzate non soltanto alla trasmissione di nozioni e informazioni sul fenomeno dell’asilo in Italia, ma soprattutto alla sperimentazione e condivisione di un linguaggio e una metodologia comune di intervento; - ideazone di un questionario, a cura del comitato scientifico di progetto, per la la raccolta di informazioni su dati socioanagrafici, esperienze e competenze professionali, aspettative di vita dei beneficiari ultimi; - creazione di una banca dati, che raccoglie informazioni e consente ricerche incrociate su alcuni campi: patrimonio essenziale per esercitare forme d’orientamento efficaci, razionali e non contingenti; - job matching, implementazione incrocio relativo ai profili professionali con la banca dati del consorzio Mestieri per avviare forme di job matching; - attività di analisi e mappatura territoriale delle
realtà impegnate a vario titolo sull’integrazione; - costruzione di network di comunità, elemento ineludibile per realizzare vera integrazione, attraverso la convocazione di tavoli di concertazione locale; - realizzazione e pubblicazione di un rapporto di ricerca sui dati raccolti grazie alla somministrazione del questionario su questa particolare tipologia di migranti.
Giuseppe Lorenti, direttore del progetto Nautilus. in alto, l’intervento del professor M. Morcellini
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Nautilus: la conoscenza è base per ogni politica efficace. L’obiettivo della ricerca condotta da Nautilus non è la conoscenza fine a se stessa, ma la definizione dei “profili migratori” dei rifugiati e dei richiedenti asilo, con lo scopo di supportare con elementi maggiormente aderenti alle realtà biografiche degli intervistati le policies di inclusione e integrazione, attivando percorsi di integrazione lavorativa coerenti con le competenze e le aspirazioni delle persone. Dai risultati delle attività è emersa l’importanza di una seria riflessione sul decreto flussi. L’emergenza umanitaria sta cambiando il volto del sistema d’asilo in Italia, rendendo sempre più stringente la necessità di strutturare un circuito integrato in grado di governare il fenomeno e di una legge dedicata e organica sull’asilo in Italia. La ricerca ha rilevato anzitutto una consistente presenza di titolari di protezione internazionali che possono (e devono) diventare forza lavoro per il nostro Paese.
dossier Nautilus ha raccolto più di 4000 interviste, ha conosciuto più di 4000 persone, può contribuire a rammendare la trama di più di 4000 storie. Condotta in collaborazione con il Dipartimento Ricerca Sociale de La Sapienza, la ricerca di Nautilus di prossima pubblicazione, farà riferimento a una base dati di più di 4000 interviste. L’intervista è molto approfondita. Composta da circa 60 domande, è frutto di un processo di collaborazione di tutti i partner: Connecting People ha messo in campo il proprio know how in tema di accoglienza, OIM la propria competenza in materia di asilo e del mondo dell’immigrazione, il consorzio Mestieri ha contribuito a focalizzare gli item importanti per definire i profili e le competenze professionali, il dipartimento de La Sapienza ha definito l’aspetto metodologico. Il questionario e’ stato distribuito in 12 sportelli presenti in tutti i centri d’accoglienza per richiedenti asilo presenti sul territorio compreso il nuovo centro di Mineo e con l’aggiunta della città di Torino dove non ci sono Cara ma ci sono storicamente molti rifugiati.
Da un’analisi intermedia, condotta su circa un quarto del campione degli intervistati, -è risultato che il 90,3% degli intervistati è sono uomini, per l’86% di età inferiore ai 34 anni. La religione è musulmana nel 78% dei casi, cristiana nel 20 % di cui il 9% sono cattolici. Provengono da 40 paesi ma quasi la metà arriva da Tunisia, Afghanistan e Somalia. Il 51% e’ partito dai paesi d’origine nell’ultimo anno e l’83% dichiara di voler rimanere in Italia. La grande frammentazione linguistica emersa ha reso evidente la necessità di formare mediatori linguistici. Quanto alle qualifiche, il 6% ha un titolo universitario e post laurea contro il 12% degli italiani. L’ 11% dei richiedenti asilo non ha alcun titolo di studio, il 40% è diplomato o con la licenza media, il 42% ha licenza elementare. Difficile l’accesso al mercato del lavoro: solo 24 persone su 1083 hanno un’occupazione stabile, l’87% degli intervistati non ha mai effettuato colloqui di lavoro. Alla domanda “Quale lavoro accetterebbe?”, tutti sono disponibili a fare sostanzialmente tutto. La questione abitativa è uno dei problemi più gravi. Tra gli ospiti dei Cara, l’83% giudica positivamente l’accoglienza ricevuta in Italia.
I più soddisfatti sono i tunisini (243 risposte positive su 244 intervistati), insieme ad afghani e pakistani. Meno soddisfatti sono somali e turchi. Quanto al fenomeno dell’autosegregazione, su 1082 intervistati ben 878 affermano di vivere in stretta relazione con i propri connazionali e il 77% non frequenta mai italiani. Oltre a fornire dati indispensabili per costruire efficaci politiche di integrazione, lo strumento dell’intervista ha consentito su ogni territorio l’instaurarsi di relazioni interpersonali, base per ogni possibilità concreta di intervento. Il futuro del progetto: Nautilus2 verso l’integrazione socio economica. La progettazione e la realizzazione di progetti di inclusione sociale richiede tempi lunghi. I primi risultati concreti in termini di integrazione si sono raccolti dopo diversi mesi di attività di una vasta équipe multidisciplinare distribuita sul territorio italiano. Il Progetto Nautilus 2, iniziato già da diversi mesi, potrà valorizzare tutto il lavoro fatto, costruendo percorsi di integrazione più numerosi e stabili.
Un intervento al convegno Nautilus di Nello Musumeci, ex sottosegretario al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
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intervista Servizi per migranti, servizi per tutti. A partire dal lavoro Conversazione di Mauro Maurino con Adriana Luciano, direttrice del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino e presidente del comitato scientifico di IRES Piemonte di Serena Naldini - Responsabile comunicazione Connecting People
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onversazione di Mauro Maurino con Adriana Luciano, direttrice del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Torino e presidente del comitato scientifico di IRES Piemonte di Serena Naldini Il lavoro è considerato da molti un fattore necessario all’integrazione. Che cosa pensa di questa affermazione? A quali condizioni ritiene che essa sia vera? Il lavoro è fattore d’integrazione se avviene in contesti di legalità, con un reddito che consente una vita dignitosa e condizioni di lavoro accettabili. I flussi migratori degli anni ‘50 e ‘60 si sono integrati anche grazie alla fabbrica fordista; modello discutibile, autoritario, senz’altro alienante, ma che si è anche dimostrato un contenitore capace d’integrazione, sia dal punto di vista delle
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condizioni economiche, sia dal punto di vista della promozione di processi di partecipazione sociale attraverso il sindacato. Nel mondo delle imprese industriali di medie o grandi dimensioni, l’integrazione dei lavoratori stranieri è favorita da forme di tutela analoghe a quelle di cui godono gli italiani. Nel settore agricolo, invece, una parte della domanda di lavoro è legata al mondo del caporalato che genera grandi diseguaglianze. In condizioni simili di sfruttamento, è difficile pensare al lavoro come fattore di integrazione. Detto questo, sottolineo che esiste un’agricoltura intelligente che vede imprenditori di qualità che sanno utilizzare la manodopera straniera in quei settori dove è sempre più difficile trovare lavoratori italiani disponibili a impegnarsi. Nel settore dei servizi la situazione è più differenziata. In generale, comunque, si può dire che se l’impresa è seria e rispetta la legge, il lavoro promuove realmente l’integrazione. La presenza di una quota considerevole di economia sommersa ha influenza sui processi migratori? Quali dimensioni di causa e di effetto sono rintracciabili? Sicuramente la questione della legalità è fondante. L’economia sommersa è un ele-
mento caratteristico dell’economia italiana e, come tutti i fenomeni sociali importanti e persistenti, ha caratteristiche sistemiche. Attraverso l’economia sommersa si genera lavoro e reddito che l’economia formale non riesce a produrre. Ma l’economia irregolare, a sua volta, non solo genera condizioni di lavoro e di vita inaccettabili ma frena lo sviluppo di un’economia sana. Un paese che consente facilmente di annidarsi nelle zone d’ombra – quale è l’economia sommersa - può esercitare una certa attrazione, diventando destinazione di un progetto migratorio, anche su coloro che non sono in possesso dei documenti richiesti dalla legge per soggiornare. Quanto più le leggi sono formalmente rigide e le possibilità di ingresso regolare sono scarse, tanto più si alimentano flussi di clandestini che favoriscono la sopravvivenza e l’estensione dell’economia irregolare. Una diversa regolazione degli ingressi, potrebbe ridimensionare il fenomeno. Mentre si discute di integrazione e lavoro dei migranti, gli italiani perdono il lavoro. È possibile intervenire per diminuire il senso di concorrenza? Quali sono a suo parere le scelte da fare? È difficile affrontare la questione in generale perché il mercato del lavoro non è unico. Pur accentuandosi nei momenti di maggior disoccupazione e minore domanda, alcuni fenomeni di concorrenza tra italiani e stranieri ci sono da sempre. Ci sono inoltre zone di complementarietà, con una domanda di lavoro che non trova risposta nel locale. Quanto più è elevata l’offerta di lavoro, quanto più si genera un peggioramento delle condizioni e dei livelli di reddito. At-
intervista tualmente, questo fenomeno si sta verificando anche in segmenti del mercato del lavoro in cui non si registra una concorrenza tra lavoratori italiani e stranieri. Il nostro è un paese con una popolazione caratterizzata da un basso livello di scolarità di dimensioni piuttosto consistenti. La concorrenza esiste nei settori e nelle zone in cui la domanda richiede lavoro a bassa qualificazione e l’offerta italiana è consistente: edilizia, agricoltura, pubblici esercizi, lavoro domestico. Gli stranieri non solo sono generalmente disponibili ad accettare condizioni di lavoro peggiori e retribuzioni più basse, ma spesso a parità di mansione possono contare su un livello di scolarità più alto, su una disponibilità al lavoro e su delle competenze di vita più robuste. I migranti spesso hanno una marcia in più: il fatto stesso di avere scelto di emigrare li qualifica come persone che hanno voglia di farcela, di impegnarsi, che non hanno paura di affrontare le difficoltà. Secondo lei, rendere più consapevole l’opinione pubblica che l’immigrazione può anche generare occupazione o di alcuni meccanismi che regolano il mercato del lavoro potrebbe cambiare le rappresentazioni sociali e diminuire la concorrenza? Sono almeno 20 anni che chi si occupa di migrazioni cerca di diffondere questi ragionamenti. Nelle rappresentazioni che le persone si fanno delle cose, però, valgono due cose: l’esperienza diretta e i pregiudizi che si diffondono con più facilità dove manca un’esperienza in grado di contrastarli. Gli stereotipi si diffondono di più nei momenti di difficoltà, quando la carica emotiva aumenta. Negli ultimi 20 anni, si è purtroppo anche irrobustita un’opinione politica che spaccia messaggi antimigrazioni con notevole efficacia, perché riesce ad intercettare il sentimento di paura delle persone. Si tratta di temi difficili, delicati, complessi, che non si affrontano con gli slogan. Ritengo preziosi, perciò, tutti i luoghi di dialogo che consentono di entrare nel merito delle cose, aprire ragionamenti, scalfire stereotipi, produrre cambiamenti. Si tratta però di processi complicati e difficili che vengono facilmente spazzati via da mezzi di comunicazione roboanti che in questi anni, so-
prattutto in alcuni territori, hanno avuto un ruolo significativo. La lotta in questi casi diventa impari. Gli slogan non si contrastano con slogan di segno opposto. Gli altri sono più forti, perché giocano sulla paura. Spesso però si registra una dissonanza tra ciò che si dichiara di pensare e i principi alla base delle proprie scelte. Siamo in grado di sfruttare questa dissonanza cognitiva e ribaltare la rappresentazione? Dove l’interazione è continuativa, come nei luoghi di lavoro, tra migranti e italiani finisce per generarsi comprensione reciproca. Il conflitto si accende e si alimenta soprattutto nei luoghi di prestazione di servizi pubblici: uffici anagrafe, ambulatori, ospedali, scuole. Qui i locali possono avvertire, anche fisicamente, il rischio di un aumento della competizione correlato alla scarsità delle risorse. Sono dell’idea che se l’amministrazione pubblica e le organizzazioni sindacali curassero di più il funzionamento dei servizi, potrebbero essere ridotte al mi-
Sicuramente la questione della legalità è fondante. L’economia sommersa è un elemento caratteristico dell’economia italiana e, come tutti i fenomeni sociali importanti e persistenti, ha caratteristiche sistemiche nimo gli elementi che generano malumori e paure. Mi è successo l’altro giorno: vado all’anagrafe, trovo una coda sterminata, display rotti, impiegati ciabattanti che vanno e vengono dagli sportelli, nessuno in grado di dare un’informazione di alcun tipo... Dopo una mezz’ora, ho cominciato ad ascoltare discorsi contro gli immigrati. Ci vorrebbe un’amministrazione intelligente. Far funzionare bene i servizi significa correttezza, gentilezza. E poi si tratta di eliminare la sciatteria evitabile: molte cose si possono fare anche con pochissimi euro. Quando la popolazione che ha meno risorse si sente più a rischio, la presenza di migranti viene vissuta come una minaccia.
Non ci avevo mai riflettuto in questi termini. Trovo interessante il tuo punto di vista. Molti anni fa, quando il fenomeno migratorio ha cominciato ad assumere una certa dimensione, inaugurammo il centro interculturale del Comune di Torino. Una delle prime attività del centro fu quella di realizzare un progetto di formazione rivolto a tutte le tipologie e i livelli di operatori del comune, dai vigili urbani, agli assistenti sociali, agli impiegati dell’anagrafe. Questa, a mio avviso, era un’attività da continuare. Si è fatta una tantum e poi mai più. Non è solo un’attività di formazione, ma un percorso che deve coinvolgere dirigenti. Ho fatto questa proposta qualche anno fa in un convegno sull’immigrazione organizzato da un sindacato. Nessuno ha mai ripreso il discorso, né in quel frangente, né dopo. Dovremmo lavorarci su, anche perché ha il segno di quelle attività che non intervengono direttamente sulla questione migranti - considerata come settore di lavoro - ma sui servizi alle persone, compresi gli italiani. Questa è una delle chiavi che bisognerebbe usare. Quando si parla delle condizioni dei migranti, si parla delle condizioni di tutti. L’ho sempre sostenuto: le politiche migratorie si fanno e non si dicono, ma soprattutto sono delle politiche per tutti. Lavoro e integrazione portano con sé il tema della mobilità sociale. L’Italia è un paese in cui l’ascesa sociale è condizionata molto più dall’appartenenza che non dal merito. La comparsa sulla scena dei lavoratori migranti può aiutare a cambiare questa situazione o al contrario trasformarsi in un fattore ulteriore di cristallizzazione attraverso l’affermarsi di meccanismi di difesa? Tutti gli studi sulle migrazioni mostrano che la mobilità sociale dei migranti si modella sulla struttura sociale dei paesi di arrivo. I processi hanno una dinamica più o meno forte a seconda di come funziona la mobilità sociale nei singoli paesi. In generale, le prime generazioni di migranti - se lasciamo da parte le migrazioni qualificate - hanno
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intervista
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il punto d’ingresso in una organizzazione di grandi dimensioni è predittore della mobilità di carriera. Un giovane che si laurea mentre lavora farà dunque più fatica a far valere il suo titolo di studio rispetto a una persona che era già in possesso del titolo nel momento dell’ingresso. Non c’è una cultura che sostenga questi percorsi individuali, come ad esempio la cultura del self made man statunitense che riconosce di più i percorsi individuali, anche all’interno delle organizzazioni. Qual è a suo giudizio la scelta da fare in Italia per costruire un’integrazione attraverso il lavoro? Come giudica l’idea di chiedere ai migranti di contribuire in modo particolare al finanziamento di un sistema di azioni orientate a favorire l’integrazione attraverso per esempio il versamento di contributi ad hoc? Se fossimo in un Paese civile, mi sembrerebbe un’ottima idea. Ma oggi in Italia c’è il rischio che questo contributo venga trasformato in una semplice tassa da far pagare in più agli stranieri senza dar loro niente in cambio. I meccanismi di prelievo sono molto centralizzati e quelli di erogazione hanno moltissime mediazioni. Non so se riusciremmo a garantire trasparenza e controllo sufficienti.
Adriana Luciano Insegna sociologia del lavoro all’Università di Torino ed è direttrice del Dipartimento di Scienze Sociali. I suoi studi riguardano il mercato del lavoro, l’immigrazione, le diseguaglianze di genere e lo sviluppo locale
Presentazione
quasi come unica chance quella del lavoro autonomo. Da questo punto di vista, il mercato è più democratico dell’organizzazione: se una persona ha delle capacità, può fare strada a prescindere dal colore della pelle. Nelle aziende è più difficile, anche se ci sono segnali di crescita professionale di lavoratori che entrano come operai comuni e poi diventano caposquadra. Molto spesso si parla di persone in gamba, capaci, che hanno voglia di lavorare e una marcia in più. Per le seconde generazioni, il processo è connesso con l’andamento della scolarità: indubbiamente nei paesi e nei contesti in cui i migranti di seconda generazione riescono ad avere un successo scolastico, si possono verificare processi di mobilità sociale, con l’accesso a professioni di livello più elevato. Questo è particolarmente vero in Italia. Nel nostro paese, non solo vi è la questione del forte peso dell’origine sociale nella mobilità intergenerazionale e in quella di carriera. E’ in parte il retaggio di una società tradizionale strutturata in caste, in parte la conseguenza di fenomeni diffusi di clientelismo. L’Italia è conosciuta nel mondo come il paese delle raccomandazioni. Per ragioni culturali e organizzative, la mobilità di carriera dentro le organizzazioni dipende più che in altri paesi dal punto di ingresso. Le ricerche sulla mobilità sociale mostrano che
Ha senz’altro ragione, ma non c’è il rischio che si entri in una deriva presente in Italia su molti temi? Ad esempio, secondo alcuni, dato che non siamo in grado di contrastare la mafia, allora non si fanno le grandi opere. Certo, è un rischio. Ma gli immigrati hanno poco potere di controllo sulle politiche pubbliche e se non c’è un forte controllo, diventa veramente elevata la probabilità che questo contributo all’integrazione diventi soltanto una tassa in più. Vanno senza dubbio studiati meglio i meccanismi per consentire la trasparenza. Allora può diventare un’idea realizzabile.
raccontare l’accoglienza, disegnare l’integrazione
29-30 sala conferenze gam torino via magenta, 31 novembre
29 novembre, ore 18.30 - 23.00 forme e rappresentazioni serata di artisti e opere a confronto sulla rappresentazione dei migranti e delle migrazioni 30 novembre, ore 8.30 - 17.30 fermata piemonte il convegno
Segui la diretta su http://www.fondazionexenagos.it/fermatapiemonte in collaborazione con
con il patrocinio di
Segreteria organizzativa via Lulli 8/7, 10148 Torino tel. 011.2207819 - fax 011.2261342 fermatapiemonte@fondazionexenagos.it
con il contributo di
FONDAZIONE CRT
progetti
Sardegna, quando l’accoglienza mira alla vera progettualità Coordinamento e strategie condivise caratterizzano l’impegno della Caritas di Cagliari e delle cooperative sociali di Federsolidarietà a favore dei profughi. Tra i punti di forza, “piccole strutture” e un confronto costante tra gli operatori di Maria Chiara Cugusi
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inergia, confronto e dialogo costante tra operatori caratterizzano il modello di accoglienza offerto dalla Caritas diocesana di Cagliari e dalle cooperative sociali di Federsolidarietà impegnate nel “Coordinamento Sardegna emergenza umanitaria Nord Africa”. Il valore aggiunto è dato da un’organizzazione basata su piccoli nuclei: “Un coordinamento unico in Italia per l’accoglienza dei profughi in piccole strutture (massimo 15/20 ospiti in ognuna) - sottolinea Carlo Tedde, referente territoriale del Consorzio Nazionale Connecting People -, che cerca di rendere più umana l’integrazione e l’inclusione dei profughi nelle comunità locali”. L’obiettivo è anche “quello di trasformare le buone prassi in istruzioni operative
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e procedure che scaturiscono dalla condivisione delle esperienze”. Dialogo e assistenza sanitaria, i punti cardine del sistema. Punto di forza del sistema è l’assistenza sanitaria, garantita dall’ambulatorio Caritas, in stretto contatto con gli enti ospedalieri. “Abbiamo fatto screening a tappeto per Hiv e tubercolosi - spiega Anna Cerbo, responsabile dei servizi medici della Caritas - oltre che la campagna vaccinale per tutti i bambini”. Tra i problemi maggiori, oltre alla diffidenza iniziale, anche il diverso background culturale: “Per la maggior parte, gli immigrati - continua la Cerbo non conoscono il concetto di prevenzione e vengono da paesi dove non potevano
curarsi, a causa dei costi troppo elevati. Mi ha colpito il caso di un ragazzo, di 22 anni, ora sotto cure mediche, che nel suo paese avrebbe rischiato di diventare cieco per una banale cataratta. Molti immigrati, inoltre, sono affetti da sordità, qualcuno a causa delle percosse subite”. Dovere dei medici è la prudenza, evitando ogni forma di ghettizzazione: “Abbiamo alcuni pazienti affetti da Aids: nel loro paese - continua la Cerbo -, questa malattia significa morte, mentre cerchiamo di far capire loro che qui è una malattia, da cui non si guarisce, ma che può essere cronicizzata”. Il valore aggiunto è dato dal confronto e dialogo costante tra gli operatori e la Protezione Civile. “A volte ci sembra di non fare abbastanza, ma abbiamo la
progetti culturale”. Solo così si può pensare a un consentire loro di essere competitivi e di consapevolezza di non essere soli”, spiega successivo inserimento lavorativo, attranon rimanere ai margini della società. AbCarlo Tedde. Tra i problemi maggiori, il verso tirocini formativi, ma anche incentivi biamo immigrati che dopo due anni non rapporto con le istituzioni e la mancanza alle aziende, borse di lavoro. capiscono ancora la nostra lingua e sono di percorsi di inserimento lavorativo. Un percorso che deve mirare a superare le costretti a dormire in auto”. L’obiettivo è A Sorgono, il Consorzio Solidarietà ha diffidenze e favorire la conoscenza reciprofavorire la conoscenza della realtà ospitanpreso in carico 18 nigeriani. “Nonostante la ca. Il laboratorio “Forme e colori dall’Africa” te, perciò, “stiamo investendo anche su un generosità della società civile, con gli Enti ideato dalla cooperativa Alkjmilla ha prosecondo modulo - continua Don Marco Lai Locali - continua Tedde - forse per la novità prio questa funzione: “Gli immigrati hanno -, dalle lezioni di educazione civica a quelle data dall’emergenza, non si è riusciti a la possibilità di raccontare il loro paese di educazione stradale, dalla fare molto. Il Centro Italiano - spiega Monia Podda, educatrice -, per scuola alla salute: dobbiamo Femminile in raccordo con esempio, attraverso delle cartine, abbiamo cercare di dare loro quegli il volontariato ha messo a riprodotto il viaggio che hanno compiuto”. disposizione delle ragazze Uno degli obiettivi strumenti fondamentali per piccole iniziative solidali, ma per ora proteggerli dal rischio di Nigeriane alcune macchine è trasformare le diventare gli ultimi della fila”. Tante nessun intervento strutturato da parte da cucito, per organizzare buone prassi delle istituzioni. “Ci siamo sentiti soli - sotUna gradualità importante dei corsi, ma manca ancora in istruzioni tolinea Stefania Russo, responsabile della anche dal punto di vista un intervento pubblico cooperativa Sicomoro -, senza la Caritas psicologico, per evitare “la coordinato che permetta di operative non saremmo riusciti a garantire neanche nascita di patologie deteravviare tirocini formativi”. l’assistenza legale”. minate dalla frustrazione Un modello di accoglienza del non riuscire a inserirsi basato su piccoli “nuclei”, Puntare alla progettualità, per superare nel territorio”, sottolinea Simona Murtas, dove, però, la convivenza resta difficile e, la logica assistenziale. responsabile del Centro d’ascolto Kepos. Il ogni giorno, gli operatori cercano di aiutare In vista della seconda accoglienza, si mira supporto psicologico è fondamentale: “la gli immigrati a superare pregiudizi e paure. a promuovere una progettualità capace di maggior parte di loro - continua la Murtas “Molti condomini - spiega Don Marco Lai superare la logica assistenziale e favorire - soffre delle patologie legate al trauma - non sono facili da gestire, perché, per la reale integrazione. Obiettivo, programmigratorio, che spesso provoca una sorta situazioni legate alla guerra, gli immigrati mare interventi capaci di “accompagnare” di “scollamento” tra corpo e psiche: con il sono abituati a non dormire, quasi che il quegli immigrati, che rimarranno nell’Icorpo si spostano, ma con il cuore sono anbuio possa avere una qualche ingerenza sola, verso una reale autonomia, grazie al cora nei loro paesi”. Ecco perché al di là dei sulla loro serenità: e ciò comporta uno stradialogo costante. “Un confronto necessario singoli colloqui, “dobbiamo investire nell’evolgimento delle giornate degli altri”. Per - spiega Don Marco Lai, direttore della Caducazione alla conoscenza del territorio, non parlare poi della cosiddetta “sindrome ritas diocesana di Cagliari - per individuare che consente di dare un significato alla della fame”, determinata anch’essa dall’estrategie comuni tra i soggetti gestori, in propria permanenza in un nuovo contesto sperienza pregressa della guerra: provviste accumulate sotto i letti, che rischiano di guastarsi, difficile far capire agli immigrati che qui non c’è questa necessità. Ci sono poi le differenze “territoriali”, con comuni che offrono maggiori opportunità rispetto ad altri, e diverse modalità di sistemazione: “Chi vive in una struttura o in un albergo - spiega Laura Manca, Vicepresidente di Federsolidarietà Sardegna - ha minore indipendenza rispetto a chi vive in appartamento, con divieti che creano una sorta di muro psicologico che ostacola il processo di acquisizione dell’autonomia; mentre il nostro compito dovrebbe essere quello di sostenerli in percorsi miranti a farli sentire adulti e responsabili”. Ecco perché occorre puntare su percorsi orientati verso la conquista dell’autonomia, senza però bruciare le tappe: “Il primo Da sinistra a destra i relatori del convegno: Carlo Tedde, referente territoriale del Consorzio Connecting People; l’ing. Giorgio Cicalo, protezione civile Sardegna; Don Marco Lai, direttore della Caritas obiettivo - spiega Don Marco Lai - è invediocesana di Cagliari; Giuseppe Scozzari, Consorzio Connecting People. stire nell’insegnamento dell’italiano, per
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progetti base alle esperienze fatte da ognuno di loro”. Tra le priorità, sostenere i ricorsi di chi ha ricevuto diniego, cercando di “abbattere” le frontiere e favorire la vera accoglienza. La prossima “tappa” sarà l’incontro con la Caritas italiana, per stabilire una serie di procedure condivise a livello nazionale. Priorità, definire le linee guida nell’uso di quelle risorse già messe a disposizione dalle istituzioni per la cosiddetta “seconda accoglienza”, attraverso forme di collaborazione soprattutto con il terzo settore. “Il tavolo regionale - sottolinea Don Marco Lai - ha destinato 500mila euro alla progettazione di accompagnamento verso l’autonomia. Sarà fondamentale incidere nella delibera, stabilire aree di intervento precise e riuscire a garantire un’accoglienza assimilata al modello Sprar”. Un occhio di riguardo sarà rivolto
all’assistenza legale e ai ricorsi di chi ha ricevuto diniego, già presentati al Tribunale di Roma, per cercare di chiarire le criticità emerse, dalla discriminazione di alcune nazionalità, come quella nigeriana, fino alle audizioni effettuate davanti a un solo commissario. In programma, anche un’azione coordinata tra legali Caritas, per sollevare una vera e propria “questione politica”, attraverso due azioni parallele: “Intendiamo intasare i tribunali di ricorsi - spiega Piergiorgio Deidda, avvocato Caritas - e accompagnare le audizioni con certificati sanitari, che dimostrino la presenza di sindrome depressiva post-traumatica”. Inoltre, ci sono da affrontare “diverse contraddizioni - continua Deidda -, perché, ad esempio, ad alcuni tunisini è stato concesso il permesso di soggiorno rinnovabile e, invece, alcune nazionalità sono state respinte, senza
considerare la loro lunga permanenza in Libia, un paese in guerra?” Occorre, poi, puntare sull’“accompagnamento” verso le audizioni e sul potenziamento della mediazione, in modo da favorire una maggiore consapevolezza da parte degli immigrati. Per quest’ultimo punto, “i soldi sono già stati messi a disposizione - spiega Don Marco Lai -, il problema è capire quali province potranno gestire le risorse in prima linea, nel momento in cui questi progetti, seppur fuori dai bilanci diretti, vanno comunque a incidere sul patto di stabilità”. Si affronterà anche il caso di rimpatrio volontario assistito, che dovrebbe essere garantito da una rete di associazioni, cercando di prevedere anche la possibilità del ritorno, anziché nei paesi d’origine, in Libia, dove la maggior parte dei profughi lavorava da anni.
Nautilus 2. Verso l’integrazione socio economica F.E.R. 2010 - Azione 1.2A OBIETTIVI
ATTIVITA’ Le azioni che si intendono realizzare sono le seguenti: 1) Proseguimento dell’attività degli sportelli di orientamento e informazione a richiedenti e titolari di protezione internazionale, istituiti con la prima annualità di progetto, presso o nelle vicinanze dei C.A.R.A. di Gradisca d’Isonzo, Roma, Crotone, Bari, Brindisi Restinco, Foggia, Caltanissetta e Trapani, più uno a Catania. Si attiveranno inoltre due nuovi sportelli, uno a Cagliari, dove è presente un centro di primo soccorso e accoglienza, ed uno a Milano, una di quelle aree metropolitane in cui all’elevata presenza di richiedenti e titolari di protezione internazionale non sempre si riesce a dare una completa e adeguata risposta in termini di accoglienza e orientamento; 2) Mappatura dei servizi del territorio finalizzata soprattutto all’orientamento e all’individuazione di percorsi di inserimento socioeconomico; 3) Realizzazione di interviste personalizzate per raccogliere dati su biografie, aspettative, condizioni abitative, competenze ed esperienze professionali;
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4) Aggiornamento del questionario e della banca dati utilizzati rispettivamente per la raccolta di dati sui profili migratori e loro archiviazione; 5) Corsi di educazione alla cittadinanza su istituzioni, società e cultura italiana, costituzione e diritti e doveri fondamentali, procedura sul diritto all’asilo, lavoro e formazione professionale, Servizio Sanitario Nazionale; 6) Processi di inserimento socio lavorativo attraverso forme di jobmatching; 7) Creazione di una rete di collaborazione con il Ministero dell’Interno e il Servizio Centrale; 8 ) Incontro nazionale con i rappresentanti AICCRE presenti nei CTI; 9) Realizzazione di 2 incontri nazionali con la partecipazione degli stakeholder che lavorano nel settore dell’asilo, della formazione professionale e del mercato del lavoro e dell’informazione; 10) Realizzazione di un convegno finale.
Obiettivo generale del progetto è quello di contribuire al miglioramento dell’intero sistema nazionale di asilo, utilizzando al meglio l’esperienza, il patrimonio di risorse umane, i network attivati nei territori e valorizzando le criticità emerse nella gestione di “Nautilus 1 – Dall’accoglienza all’integrazione” tramite: 1) 13 Sportelli: Trapani, Caltanissetta, Catania, Bari, Brindisi, Crotone, Foggia, Cagliari, Roma, Torino, Milano, Gradisca, Mineo; 2) Questionario e banca dati aggiornati; 3) 12.000 interviste; 4) 3.000 beneficiari di corsi di educazione alla cittadinanza (con rilascio di attestati per almeno 2.400 partecipanti); 5) 1.600 beneficiari inseriti nello SPRAR o in altre soluzioni territoriali di accoglienza; 6) 150 ore di formazione per gli operatori di progetto; 7) 2 tavoli di lavoro nazionali su mercato del lavoro e comunicazione; 8) 1 seminario con rappresentanti AICCRE nei Consigli Territoriali per l’Immigrazione delle Prefetture – U.T.G.
CENTRI PER MIGRANTI E ALTRE ATTIVITÀ CONSORZIO CONNECTING PEOPLE
FRIULI VENEZIA GIULIA
PIEMONTE
C.I.E. Gradisca di Isonzo (GO) 248 posti
Centro di accoglienza Lemie (TO) 36 ospiti
C.A.R.A. Gradisca di Isonzo (GO) 138 posti
Centro di accoglienza Coazze (TO) 31 ospiti Centro diffuso Torino e prima cintura 36 ospiti Centro di accoglienza Settimo Torinese (TO) 166 ospiti (di cui 40 con permesso di soggiorno ex art. 20) Centro di accoglienza Sommariva Bosco (CN) 58 ospiti Centro di accoglienza Ivrea (TO) 80 ospiti Centro di accoglienza Muzzano (BI) 49 ospiti
CAMPANIA Centro di accoglienza progetto di resettlement San Lupo (BN) 34 ospiti
BASILICATA C.I.E. Palazzo S. Gervasio (PZ) 100 posti (gestito dal 18 aprile al 16 luglio)
Connecting People inoltre gestisce i progetti Nautilus 2 e Next in progress finanziati dal Fondo Europeo per i Rifugiati e Tutti Inclusi finanziato dai fondi 8 per mille a diretta gestione statale.
PUGLIA C.A.R.A. Borgo Mezzanone (FG) 780 posti C.I.E. Restinco (BR) 83 posti C.A.R.A. Restinco (BR) 128 posti C.A.I. Tendopoli Manduria (TA) 1500 posti
SICILIA Centro di accoglienza Palermo 48 posti Centro di accoglienza Aci S. Antonio (CT) 51 ospiti Centro di accoglienza Giarre (CT) 33 ospiti Centro di accoglienza Locanda di Selinunte Castelvetrano (TP) 50 ospiti
È on line il nuovo sito di Connecting People www.connecting-people.it Scopri le novità, resta aggiornato sui progetti e sulle notizie che riguardano l’immigrazione. Scopri i contenuti multimediali e naviga nella versione digitale di
con l’archivio di tutti i numeri precedenti
I centri gestiti da C.P. in provincia di Catania Connecting People è presente sul territorio etneo con due centri gestiti dal Consorzio, che vede tra i soci impegnati il gruppo cooperativo Luoghi Comuni. Entrambi i centri sono stati inaugurati nell’estate del 2011 (a giugno Aci Sant’Antonio e a luglio Giarre) e nascono per tentare di far fronte alla crescita imponente di migrazioni dovuta alle emergenze relative agli sconvolgimenti politici e sociali nel Nord Africa, dei quali ancora oggi si sentono gli effetti. Il primo, situato ad Aci Sant’Antonio - un piccolo centro a circa quindici chilometri da Catania – in un edificio di proprietà della Diocesi di Acireale, è il Centro di Accoglienza (C.d.A.) “La Casa dei Giovani” che ospita quasi 50 persone e collabora anche con l’Università Popolare di Acireale. Il secondo, situato a Giarre – poco più distante rispetto alla provincia etnea, circa 30 km –, in un edificio di proprietà dei Padri Bocconiani, è il Centro di Accoglienza (C.d.A.) “Congregazione Missionari Servi dei Poveri” che può ospitare fino a 33 persone e collabora con il comune di Giarre. I due centri offrono accoglienza ai migranti che sono in attesa di giudizio da parte della Commissione.
Centro di Giarre
Centro di Aci Sant’Antonio
19 luglio 2011
29 giugno 2011
33
48
richiedenti asilo
richiedenti asilo
Padri Bocconiani
Diocesi di Acireale
Gruppo Cooperativo Luoghi Comuni
Gruppo Cooperativo Luoghi Comuni
Comune di Giarre, UISP
Università popolare di Acireale, UISP
Operativo dal
Numero di ospiti presenti
Tipologia di ospiti
Ente propietario dell’immobile
Soci impegnati
Collaborazioni
Catania, 1861
L’America non è il paradiso
di Marco Polimeni
Le ciminiere a Nord della Stazione di Catania rappresentano il simbolo di una città fiorente, che fonda la sua ricchezza sulla raffinazione dello zolfo dell’entroterra siculo. Il fenomeno dell’emigrazione che interessa la nazione in questi anni sembra non intaccare il Meridione, in particolare Catania. Questo stato di grazia, però, non è destinato a durare. All’alba del XX secolo la città etnea perde smalto ed entra in una crisi economica e culturale profonda. Inizia il grande esodo, mitigato solo dai flussi migratori dalle campagne circostanti che confluiscono in città, attirati dai benefici dell’industrializzazione. L’idea di progresso, che permea culturalmente tutta la civiltà occidentale, diventa la costante positiva del Novecento, ma resta spesso una chimera da inseguire, che accade sempre altrove. Progresso, però, vuol dire anche mezzi più veloci, viaggi più economici e traversate meno pericolose. Dal 1900 al 1915 più di un milione di siciliani lascerà la terra natale per inseguire
un sogno o, a volte, per fuggire da un incubo. Le stazioni e i porti sono gremiti di viaggiatori e di loro familiari, grandi valigie di cartone legate con spago e corde, pacchi, pacchetti e fiaschi di vino, qualche chitarra e un paio di fisarmoniche. Negli occhi di tutti, di chi parte e di chi resta, tristezza e speranza. Le partenze sono concentrate principalmente nei mesi meno freddi, soprattutto in Estate. Masse di uomini, donne e bambini, volti spaventati e sbigottiti che, per buona parte, vedono per la prima volta una nave o un treno, dando una forma a qualcosa di cui avevano solo sentito parlare. Alcuni di loro non hanno mai visto il mare. Qualcuno parte da solo, con la promessa di tornare, altri invece portano qualche parente o la famiglia intera. Quasi due settimane di viaggio per attraversare l’oceano, con una sistemazione in terza classe in balia delle intemperie; giornate interminabili in cui si consolidano amicizie, si condividono timori e speranze, e cresce la nostalgia.
L’America, poi, non è il Paradiso. I Siciliani sono inseriti nel censimento del 1911 come “non white”, la categoria dei non bianchi, di colore, mentre le statistiche considerano separatamente gli Italiani del Nord e quelli del Meridione come appartenenti a due razze diverse, una celtica e l’altra mediterranea. Gli Italiani del Meridione sono accusati di essere sporchi, rumorosi, arretrati, di praticare rituali religiosi primitivi, trascurare l’istruzione dei figli, di costringere in una condizione di subordinazione la donna all’interno della famiglia. Stranieri in terra straniera, gli emigrati meridionali hanno storicamente subito l’ostilità delle popolazioni indigene, sono stati trattati come esseri inferiori, umiliati, derisi, oggetto di continuo razzismo ed emarginati; solo col tempo e con molta fatica, sono riusciti a farsi apprezzare e ad adattarsi, a integrarsi con gli abitanti, conquistando il loro spazio nella società.
L’integrazione vera e propria si realizza quotidianamente “sul campo” e ognuna racconta una storia differente
Il grande cuore e l’incoscienza di una città con la cultura dell’accoglienza
o raccontate sui quotidiani, forse è anche per questo motivo che per quanto difficoltosa e penalizzante per tutta la popolazione isolana, in Sicilia l’accoglienza non è mai stata messa in discussione. L’integrazione, poi, è facilitata da reti strutturate di assistenza e da una cultura dell’accoglienza più consapevole, mentre i fenomeni di razzismo sono più rari e condannati socialmente. Questo è lo scenario. L’integrazione vera e propria, invece, si realizza quotidianamente “sul campo” e ognuna racconta una storia differente. Oggi la morfologia stessa della città di Catania è cambiata, alcuni quartieri sono stati ripopolati e riorganizzati seguendo i ritmi e le tradizioni di nuovi gruppi etnici, che risignificano lo spazio e i suoi confini, le relazioni e le separazioni. La conflittualità, inevitabilmente, entra in gioco negli spazi contesi, in quella spasmodica ricerca di un lavoro che a volte segna la differenza tra lo sbarcare il lunario e l’abbandonarsi alla illegalità o alla disperazione. Perché Catania è una città complicata e lo scenario che un immigrato si trova di fronte è complesso e pieno di contraddizioni. Da una parte, le giovani generazioni scappano dall’isola in cerca di un’opportunità - quella che i loro genitori ritenevano scontata, tranne poi essere sfumata improvvisamente -, dall’altra chi rimane deve affrontare quella che è percepita come l’invasione pacifica di un popolo migrante in cerca di un futuro che semplicemente non è lì, ma è - ancora una volta - altrove. Sembra un grande malinteso, ma è la storia del mondo che si ripete, alimentata quotidianamente da vicende concrete di grande disagio e determinazione, speranza e illusione.
di Marco Polimeni
Catania, 2011. Città multietnica per vocazione, centro nevralgico e crocevia di vite e racconti, Catania è abituata a veder partire la sua gente piuttosto che a riceverne di nuova. Come una cortese signora del Sud, però, non nega ospitalità a nessuno, ma “divide quel poco che ha, senza far complimenti”. Catania, d’altra parte, ha un grande cuore e un po’ d’incoscienza che la rende unica. Certo, rispetto ai primi anni del Novecento, il mondo è cambiato, e con esso i modi e i tempi dell’accoglienza, ma il carattere e la sensibilità di un popolo che ha subito - e subisce anche oggi, pur con minore intensità -, lo stesso destino sia all’estero che in Patria, sono componenti essenziali per comprendere le sfumature del fenomeno immigrazione a Catania. Il mondo è cambiato, per certi aspetti, ma il secolo e mezzo che divide le traversate dei primi migranti siciliani in America e gli sbarchi ininterrotti delle “Carrette del mare” a Lampedusa sembrerebbero dimostrare il contrario. E forse è perché certe immagini restano impresse nella coscienza, o perché certi racconti di avi e parenti lontani sono così intensi che evocano vicissitudini che finiscono per somigliare alle scene viste nei telegiornali
incontri
Trentasei vite in attesa Agosto 2011: nel piccolo paese di Lemie, 90 abitanti ad un’ora da Torino vive un gruppo di richiedenti asilo in attesa del giudizio della commissione di esame delle domande di Serena Naldini
A
rrivo ad agosto, appena oltre la metà. L’attesa è palpabile come il caldo che si attenua appena tra le mura spesse della casa che le accoglie. Sono trentasei le persone, le storie d’Africa che cercano una ripartenza da questo quadrato di pareti, da questo paese incastonato nelle alti Valli di Lanzo. Alberto, il direttore del centro, mi presenta due signore congolesi che hanno acconsentito all’intervista. “Al centro va tutto bene - mi dicono - Ma siamo arrabbiate con il direttore”. “E perché mai?” chiedo io. La donna più magra sorride, e non sembra faccenda usuale per lei.
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“Gli chiediamo tutti i giorni se gli hanno comunicato la data di incontro con la commissione. Lui ci dice di no e allora nous nous fâchons, noi ci arrabbiamo”. “Stiamo benissimo qui - dichiara l’altra donna - E Alberto è bravissimo, però è con lui che ce la prendiamo, anche se sappiamo che non è colpa sua”. Appena ottenuto il permesso, dovranno lavorare, mi spiegano: sono due donne sole, e da sole dovranno crescere i loro bambini. In Libia avevano un lavoro: una è maestra elementare e l’altra assistente sociale. “In Congo c’è tanta sofferenza. C’è la guerra - aggiungono - Siamo dovute fuggire
anche dalla Libia. Gheddafi ha spedito in Italia tutti gli stranieri, soprattutto i neri. Non abbiamo dovuto pagare un solo franco. Ucciderà tutti quelli che restano”. Mentre le signore salutano, Alberto mi chiede se desidero la traduzione. Decido di cavarmela con il francese e l’inglese che mastico; nel caso qualche parola sfugga, mi darà una mano lui. Dal corridoio proviene un certo tramestio. La porta socchiusa rivela due coppie con bambini. Le donne sono entrambe incinte. La prima coppia si siede. Lui è un ingegnere, lei una parrucchiera.“Faccio le treccine anche alle bianche - dichiara -
incontri So fare unghie, capelli, preparare le spose: questo è il mio mestiere e vorrei farlo anche qui in Italia”. L’inizio della loro fuga verso il Nord è recente e comincia da una violenza subita dalla signora da parte dei ribelli ugandesi durante la guerra in Congo. “Io mi trovavo al lavoro”, racconta il marito. La signora mi spiega di non essersi del tutto rimessa. “In un ospedale del Ciad, ho ricevuto le prime cure. Qui in Italia, vorrei continuare a curarmi”. E la cura desiderata sembra andare oltre la dimensione medica. Dopo il Ciad, la famiglia si ferma in Libia, dove l’uomo trova lavoro come elettricista. L’Italia non era nei progetti. Oltre al bimbo in arrivo, la coppia ha due figli qui in Italia, una di un anno e mezzo e uno di tre, e altri tre più grandi, lasciati con una zia in Congo. Non hanno più contatti con loro da quando sono arrivati qui in Italia. “Il mio più grande desiderio - dichiara l’uomo - è di riunire la mia famiglia”. Qui a Lemie? “Ovunque sarà, andrà bene”,
dicono entrambi, prima di salutare. L’altra coppia in attesa è formata da due giovani. L’uomo ha lasciato il Camerun nel 2005. E’ un muratore, ma anche un calciatore che ha giocato in seconda divisione. “Non avrei voluto venire in Europa come immigrato - racconta - Avrei voluto avere un documento prima di partire per la Libia. Ma non ho fatto in tempo”. Chiedo loro di raccontarmi come si sono conosciuti. “It was a difficult moment for me”, dice lui. Lei dichiara sorridendo di sentirsi molto fortunata e racconta, in un inglese molto ricco, la storia di una ragazza molto giovane costretta dopo la morte del padre a sposarsi con un amico ultracinquantenne del vecchio zio. La ragazza però aveva un unico desiderio per il futuro: proseguire gli studi oltre la maturità. Decide allora di fuggire dal proprio paese, dalla propria famiglia. “Per convincermi - dice - lo zio mi promise che avrebbe pagato i miei studi. Ma se non avessi acconsentito, mi avrebbe
buttato fuori di casa. Non avevo altra scelta che fuggire”, conclude semplicemente. “Mia madre? Le donne non contano niente in Camerun. Lo zio le ha detto di restarne fuori”. “E in Italia continuerai a studiare?” le chiedo. “No, preferisco lavorare adesso. Ho già una figlia e ne aspetto un’altra, che nascerà a settembre. Sono troppo vecchia, ormai”, dice. Non c’è l’ombra di un rimpianto nella sua voce. In Libia insegnava l’inglese ai bambini in una scuola privata. Qui in Italia, vorrebbe fare la commessa. “E oltre il lavoro, quali sono i tuoi sogni per la tua vita qui in Italia?” domando ancora. La ragazza sembra interdetta. Poi dichiara: “Tutti i sogni si accompagnano al lavoro. Come si potrebbero realizzare altrimenti?” Le chiedo uno sforzo di immaginazione, che forse le pare un salto nel vuoto, o forse solo un volo infantile. Comunque, non subito, risponde: “Mi piacerebbe tanto visitare Roma”.
In alto a sinistra una veduta di Lemie. Sopra un momento di una delle giornate di lavoro volontario che i migranti hanno offerto a Lemie
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incontri
Dal bouquet al dpi: storie di (stra)ordinaria integrazione La vita quotidiana dei migranti di Lemie, vista da un osservatore speciale: il sindaco di Serena Naldini
T
ra il paese di Lemie e gli ospiti del centro c’è stato un contatto, uno di quelli veri, che cambiano l’identità dei soggetti coinvolti. Secondo il filosofo Lévinas “l’incontro con l’altro è la dimensione fondamentale dell’esistenza, la fonte dell’etica e dell’identità: è nell’incontro con l’altro che si realizza la possibilità di essere se stessi”. Come spesso accade nei paesi piccoli - e Lemie ha 90 abitanti - il sindaco in prima persona si è messo in gioco. Ma Giacomo Liso lo ha fatto in modo decisamente originale, aprendo anche alcuni momenti della
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propria vita privata alle trentasei persone arrivate i primi di maggio dall’Africa. Come se Lemie fosse casa sua. E si preoccupasse di far sentire a casa anche i propri ospiti. Ma non solo. Tutto ciò, con lo stesso riguardo di prima per gli altri abitanti della casa comune. Si confronta con le sfide dell’accoglienza con spontaneità contagiosa, Giacomo Liso. Alto, dinoccolato e, in mezzo alla barba grigia, un sorriso frequente e saggio di chi sembra aver sempre vestito i panni di chi apre le porte a profughi subsahariani in fuga dalla Libia in guerra.
Signor sindaco, sappiamo che ha invitato gli ospiti della struttura di accoglienza alla festa di matrimonio di sua figlia. Come è andata? Hanno partecipato al taglio della torta e al rinfresco di chiusura, previsto nel pomeriggio. La loro presenza ha forse spiazzato alcuni degli altri invitati. Gli ospiti all’inizio sembravano un po’ intimoriti dal contesto, diverso dall’abituale. Piano, piano, una volta vinta la timidezza - aiutati molto anche dai loro ragazzini che depredavano le scodelle dei
incontri confetti - si sono ambientati. Alla fine, ho dovuto contenere il loro entusiasmo, perché, non conoscendo le nostre tradizioni, si stavano impadronendo di molte bomboniere e del bouquet della sposa. Comunque è stato simpatico e credo che si siano divertiti. Oltre a partecipare a momenti di festa, gli ospiti sono stati coinvolti anche in attività di volontariato o “di restituzione”, cioè una forma di ringraziamento nei confronti del paese che ha dato loro un tetto e doni di vario tipo. In che cosa sono stati impegnati? Per adesso, l’unica modalità per dar loro un’occupazione è il volontariato, perché per un’assunzione regolare occorre aspettare sei mesi dalla richiesta di asilo. I ragazzi hanno imbiancato i nuovi locali della biblioteca comunale e provveduto alla ricollocazione dei volumi nel nuovo sito. Hanno collaborato con il nostro cantoniere alla manutenzione ordinaria di una strada, ripulendo le canaline di sgrondo. Hanno dato una mano a installare due nuovi giochi nell’area bimbi del parco. Non hanno avuto ricompense in denaro, ma dei biglietti dell’autobus per Torino, mi ha detto il direttore del centro. E per il futuro che cosa si immagina? Credo sia venuto il momento di fare il passo più importante, avviando un’attività sistematica nel settore ambientale e cercando di creare delle opportunità di assunzione per alcuni degli ospiti all’interno di imprese. Mi sono permesso di scrivere diverse lettere ad aziende, chiedendo degli indumenti da lavoro e dei dpi per i nostri ospiti. Ho specificato che nell’attesa che si definisca il loro status, sono disponibili a un’attività di volontariato - o “di restituzione” - in ambito ambientale, ma sono sprovvisti di indumenti adatti. Ho anche sottolineato come la costrizione a non svolgere attività lavorativa possa diventare lesiva dell’identità personale e fonte di disagio per la comunità tutta.
Giacomo Liso, sindaco di Lemie. In alto a sinistra una foto di gruppo dei richiedenti asilo di Lemie invitati al matrimonio della figlia del sindaco
Il centro di accoglienza di Lemie Il centro di accoglienza è ospitato a Lemie (TO) in un immobile detto Villa Buzzi di proprietà della Piccola Casa della Divina Provvidenza del Cottolengo. Attualmente ospita 36 richiedenti asilo di diverse nazionalità.
I bambini frequentano scuola e asili del vicino paese di Viù e vengono giornalmente accompagnati dallo scuolabus comunale. Per i più piccoli è attivo anche un servizio di ludoteca e doposcuola pomeridiano.
All’interno del centro sono state attivate diverse attività ricreative e culturali destinate agli ospiti come i corsi di italiano, corsi di alfabetizzazione informatica ed è attivo un servizio sanitario.
La gestione del centro è affidata a Connecting People che si avvale della collaborazione della Cooperativa Sociale Crescere Insieme e del Consorzio Kairòs.
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press Rubrica a cura di Salvo Tomarchio
La Stampa
ANSA
09.10.2011
13.10.2011
di Niccolò Zancan Sami Aquid, 24, di Tunisi. Ad aprile è salito su un barcone, con un centinaio di connazionali ed è sbarcato a Lampedusa. Da un mese ha la carta d’identità italiana, rilasciata dal Comune di Ivrea. Abita in una comunità in Piemonte e lì svolge il suo nuovo lavoro: operatore sociale, contrattoda 38 ore alla settimana, tutto regolare. È uno delle migliaia di ragazzi tunisini partiti dalle coste nordafricane con il solito barcone, arrivato a Lampedusa nell’aprile scorso, dirottato nel Cie di Torino. Infine, da giugno, libero, con in tasca un permesso temporaneo. E destinato, come altre migliaia di giovani connazionali, a ritornare in patria sconfitto. Ma a volte il destino gioca strani scherzi. [...]
La Valsusa 13.10.2011
di Anita Zolfini
COAZZE - L’ultima foto di gruppo l’hanno fatto la scorsa settimana sui gradini del municipio di Coazze con in mano il certificato che l’amministrazione comunale ha consegnato loro per i lavori di manodopera svolti negli ultimi due mesi. Immortalati dallo scatto i profughi di Forno di Coazze, che proprio in questi giorni, a gruppetti, stanno salutando la casa parrocchiale di borgata Ferria che da cinque mesi li ospitava. Tanto clamore aveva suscitato il loro arrivo lo scorso 4 maggio, tanto silenziosa e alla spicciolata è oggi la loro partenza. Un viaggio della speranza: parliamo di donne e uomini, tutti trentenni, e un bambino, arrivati da Congo, Nigeria, Camerun, insieme a migliaia di connazionali. [...]
La Sicilia 26.10.2011
di Mariagrazia Tomarchio Sono 33 i rifugiati politici tra i 22 ed i 30 anni, originari del Burkina Faso e del Bangladesh, sbarcati nei mesi scorsi a Lampedusa e richiedenti asilo politico in quanto profughi di guerra, che sono ospitati a Giarre all’interno del centro sociale “Boccone del povero” in via Regina Pacis a Giarre. Ieri mattina, con un accordo firmato dal sindaco di Giarre, Teresa Sodano, un protocollo d’intesa tra il Comune di Giarre e il consorzio “Connecting people”, rappresentato dal vicepresidente dott.Orazio Ettore Micalizzi e dalla dott. Roberta Bonaccorso, si è data vita ad una speciale convenzione. [...]
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Continuare a contribuire al miglioramento del sistema nazionale di richiedenti e titolari di protezione internazionale: è l’obiettivo generale della seconda annualità del Progetto ‘Nautilus’, finanziato dal Fondo Europeo per i Rifugiati con il Consorzio Connecting People come capofila e Aiccre, Oim, Dipartimento Comunicazione e Ricerca Sociale de La Sapienza, Consorzio Mestieri, Itc e Consorzio Communitas come partner. Le attività messe in campo, informa una nota, saranno molteplici: innanzitutto proseguirà l’attività degli sportelli di orientamento e informazione istituiti con la prima annualità del progetto e ne saranno aperti altri due: a Cagliari e Milano. Questi si aggiungono a quelli già funzionanti che sorgono nei pressi o nelle vicinanze dei Cara di Gradisca d’Isonzo e a Roma, Crotone, Bari, Brindisi, Foggia, Caltanissetta, Trapani, Mineo, più uno a Catania e uno a Torino. Gli sportelli informativi sono una parte del sistema delle iniziative finalizzate a un approccio completo che prevede infatti - viene ricordato - una mappatura del territorio finalizzata soprattutto all’orientamento e all’individuazione di percorsi di inserimento socioeconomico dei beneficiari. Saranno tremila, ad esempio, i beneficiari che usufruiranno di corsi di educazione alla cittadinanza (con rilascio di attestati). Il raggiungimento di questi risultati rappresenterà il proseguimento naturale delle attività iniziate con ‘Nautilus 1’ e, tra l’altro, rafforzerà il valore aggiunto delle best practice sperimentate sia a livello locale che nazionale con la prima annualità di progetto, assicurando un raccordo ancor più razionale tra enti gestori dei Cara, Servizio Centrale e altri attori del sistema dell’asilo politico nel nostro paese.
press
La Repubblica 13.10.2011
di Claudia Brunetto Adesso che vivono nel cuore di Palermo e che dalla terrazza della casa dei francescani in via dell’Infermeria Cappuccini, dominano tutta la città, stanno bene. Anzi sperano di mettersi in regola con i documenti per trovare in fretta un lavoro ed essere indipendenti. Presto, infatti, saranno ascoltati da una commissione con la speranza di ottenere lo status di rifugiati politici per cui hanno fatto richiesta, appena sbarcati a Lampedusa, ormai alcuni mesi fa. Sono 46 migranti sui 25 anni, originari del Mali, che da tempo, però, vivevano in Libia per motivi di lavoro. Da lì sono stati costretti a partire quando è scoppiata la guerra. «I ribelli - raccontano - ci mettevano sulle barche e non sapevamo neanche dove saremmo arrivati. Adesso che siamo a Palermo ci troviamo bene, e vogliamo rimanere con i documenti in regola». Al centro di via Infermeria Cappuccini, gestito dall’associazione Connecting people, i migranti dormono, mangiano, giocano a dama e a pallone. Ma soprattutto vanno in giro a esplorare il territorio, a incontrare altri migranti e operatori dei vicini centri Caritas e Santa Chiara. E ogni giorno frequentano la scuola di italiano. Qualcuno segue i corsi di alfabetizzazione, altri le lezioni al centro Santa Chiara per conseguire il diploma di licenza media. «La nostra intenzione - dice Gaspare Sieli, direttore del centro di accoglienza - è quella di fare rete, di fare in modo che questi migranti possano essere autonomi e integrati nel territorio. [...]
Il Portico 17.07.2011 di R.C.
Mettere attorno ad un tavolo soggetti pubblici e privati, che da due mesi si stanno occupando dell’accoglienza degli emigrati richiedenti asilo, provenienti da Lampedusa ed in fuga dalla Libia. È il senso della giornata voluta dalla Caritas diocesana, in collaborazione con il Consorzio Solidarietà, Connecting People e Provincia di Cagliari. Un momento di confronto, per meglio definire le strategie e l’operatività nella gestione dei flussi migratori, che nel giro di due mesi hanno portato sull’Isola 434 persone provenienti dall’Africa. [...]
Gazzetta d’Alba 11.10.2011
di Cristina Borgogno Sono 58 i rifugiati accolti, dalla scorsa settimana, dal Cufrad (Centro francescano di volontariato) di località Paolorio. Una struttura specializzata per la cura dell’alcolismo e delle patologie correlate, che ospita 130 pazienti tra tossicodipendenti e alcolisti. In attesa di essere chiamati dalla Questura di Cuneo per conoscere il loro destino (otterranno il permesso di soggiorno o saranno rimpatriati), i profughi arrivano direttamente da Lampedusa. Si tratta di tre nuclei di persone. Dodici di loro, tutti giovanissimi tra i 18 e i 27 anni, sono della Costa d’Avorio, francofoni. Gli altri 46 parlano invece inglese e sono nigeriani: tra questi, tanti giovani, ma anche quarantenni che arrivano dalla Libia dove lavoravano come meccanici, artigiani e operai e dove hanno acquisito ottime professionalità. [...]
Marsala.it 12.10.2011
di Jana Cardinale Massiccia martedì pomeriggio al Complesso San Pietro la presenza di pubblico, di lavoratori immigrati, di esponenti delle istituzioni e della Chiesa all’appuntamento convocato dalla Cgil, dalla Fillea e dalla Flai Cgil di Trapani per parlare di “Caporalato e Immigrazione. Legalità, lavoro, diritti”: un’iniziativa dalla quale è emersa l’importante richiesta di una legge ad hoc sull’immigrazione. L’iniziativa rientrava nell’ambito della campagna di contrasto al lavoro nero e allo sfruttamento in agricoltura e in edilizia, particolarmente diffuso nelle zone del territorio marsalese. Il dibattito è stato coordinato dalla segretaria generale della Cgil di Trapani Mimma Argurio, grazie alla relazione della segretaria provinciale della Flai Cgil, Giacoma Giacalone, agli interventi dell’assessore Giuseppe Pinna, in rappresentanza del sindaco Renzo Carini, a quello del direttore dell’Ispettorato del Lavoro di Trapani, Luigi Chiarpotto, del vescovo di Mazara del Vallo monsignor Domenico Mogavero, del segretario regionale della Cgil Sicilia Antonio Riolo, del presidente del Consorzio nazionale “Connecting people” Giuseppe Scozzari e del segretario generale della Fillea Cgil Sicilia Franco Tarantino. “E’ un punto di partenza per analizzare il problema radicato che riguarda non solo gli immigrati – ha detto Mimma Argurio – chiediamo di mettere in attività un tavolo per costruire dei codici etici”. Il Vescovo Mogavero ha parlato di una “battaglia di civiltà”, verso chi ha dei bisogni ma è allo stesso tempo una risorsa per il territorio. “Nell’ultima manovra il caporalato è stato definito un reato penale – ha confermato Giacoma Giacalone – dobbiamo adesso portarla nel territorio e fare in modo che chi lo ha attuato paghi. E’ un problema complessivo che riguarda l’inserimento in un contesto sociale e civile in senso lato”. [...]
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news GRadisca d’isonzo (GO)
Biciclette elettriche, tosaerba e PC. Il progetto Next si chiude con tanti inizi di Redazione Sqm
Nell’ambito del progetto Next, finanziato dal FER, il 29 giugno a Gorizia 15 persone appartenenti alla categoria dei RARU (Richiedenti Asilo, Rifugiati e Titolari di Protezione Umanitaria) - provenienti da diversi paesi e accolti nel CARA di Gradisca di Isonzo e in altri centri del goriziano hanno ricevuto alcuni beni per proseguire le loro attività laboratoriali e tirocini volontari: tosaerba e indumenti da lavoro per la manutenzione del verde pubblico dei comuni, biciclette elettriche per consentire spostamenti a zero impatto ambientale, pc per i laboratori presso la biblioteca del comune di Sagrado. Le attività costruite da Next sono percorsi personalizzati rivolti a migranti con tratti molto spiccati di vulnerabilità. Il progetto Next oggi è concluso, ma i laboratori proseguono grazie alla rete di enti e operatori attivata dal progetto stesso sul territorio goriziano.
Zafferana etnea (CT)
Scuola d’estate della Fondazione Xenagos di Linda Rinaldi, Valentina Corrado e Claudia Verrillo Operatrici del progetto Piccoli Comuni Grande Solidarietà a San Lupo (BN)
La prima edizione della Scuola d’estate della Fondazione Xenagos, presso il grazioso albergo “Fermata Spuligni”, a Zafferana Etnea (CT), si è aperta con il moderatore Antonio Ragonesi del Comitato scientifico Fondazione Xenagos,
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Rossella Celmi, psicologa del team di formazione e Claudio Guzzetta, responsabile delle procedure del progetto Next illustrano ai partecipanti al progetto i beni che stanno per essere consegnati. Foto tribbù
che ha introdotto i lavori sottolineando il doppio taglio con cui si intende affrontare la tematica Emergenza Nord Africa nei due giorni di lavoro: un taglio obiettivo, basato sull’analisi dei dati, e l’altro invece soggettivo, basato sulla percezione del fenomeno migratorio in genere. Si entra immediatamente nel vivo attraverso un chiaro quadro storico del fenomeno migratorio in Italia e in Europa dall’800 a oggi, illustrato da Luca Einaudi, economista e storico esperto di tematiche migratorie che ha collaborato alla creazione del Programma Nazionale Asilo (PNA) in Italia avviato nel 2001 attraverso il Protocollo d’intesa, siglato tra Ministero dell’Interno, UNHCR e ANCI per l’attuazione di politiche innovative in materia di asilo. Tra alti e bassi dei flussi, nel giro di qualche decennio l’immigrazione in Italia è diventata ormai un fenomeno strutturale inarrestabile e i motivi di ingresso sono perlopiù per lavoro domestico (74% nel 2011). Presenta, invece, una visione dell’immigrazione dal punto di vista dell’Africa Salvatore Ippolito, rappresentante dell’UNHCR nel Sahara occidentale nonché uno degli ideatori del P.N.A. in Italia. Riferisce che da questa parte del mondo si emigra ancora poco verso l’Europa, rispetto ad altre aree del mondo (Balcani e Romania). Il fenomeno che per ora è limitato potrebbe tuttavia aumentare molto qualora il processo di urbanizzazione
e liberazione della mano d’opera africana dovesse continuare a crescere. Dell’immigrazione africana vista dall’Europa ci parla il rappresentante dell’OIM, Nadan Petrovic, che conferma l’esiguità dei flussi africani e richiama l’attenzione sulla passività dell’Italia rispetto a tale fenomeno, che tuttavia risulta preoccupante in quanto le stime prevedono un aumento dei flussi migratori provenienti proprio dall’Africa subsahariana e dal medio oriente. Anche Fulvio Viviano, giornalista per Sky, critica la passività e mancanza di organizzazione nel gestire l’emergenza approdi a Lampedusa. La situazione è stata gestita grazie alla solidarietà delle persone e alle organizzazioni umanitarie in quanto lo “Stato” è intervenuto solo dopo un mese quando ormai la situazione era divenuta veramente insostenibile. Dopo le diverse modalità di percezione dell’emergenza nord Africa, si passa al taglio più oggettivo dell’ultimo intervento della giornata di R. Compagnucci, Prefetto vice Capo Dipartimento e Vicario del Dipartimento per la Libertà Civili e l’Immigrazione, nonché uno degli ideatori del P.N.A. insieme ad Ippolito. Riprendendo i dati, Compagnucci ci riporta alla realtà cruda dell’inarrestabilità del fenomeno che vede l’Italia particolarmente esposta agli sbarchi. Compagnucci propone la via delle politiche di rotazione
news della forza lavoro, ideata e già applicata dai francesi in passato. Basato su accordi con i paesi di provenienza e sul desiderio di qualsiasi immigrato di ritornare in patria, si accolgono gli immigrati creando volani di ricchezza in base a relazioni egualitarie tra il paese di arrivo e provenienza. Il Prefetto fa presente la complessità di tale operazione, ma nello stesso tempo incoraggia ricordandoci la capacità degli italiani nel creare modelli, che potrebbe essere la giusta misura per un fenomeno di tali proporzioni, che potrebbe fare scuola di democrazia globale in Europa e nel mondo. Il secondo giorno si apre con il cruciale intervento di Fabrizio Curcio, del Dipartimento della Protezione Civile specificando come la sua funzione sia quella coordinamento delle responsabilità dei vari enti pubblici e privati coinvolti nelle emergenze del paese, come quella appunto dei profughi africani. Con tale esplicitazione sottolinea come le responsabilità, da sempre addossate sulla stessa, siano invece da condividere con tutto il paese Italia. La condivisione delle responsabilità si traduce poi nella predisposizione di un Piano per la gestione dell’accoglienza dei profughi tenendo conto, delle assegnazioni di profughi già avvenute in ogni singola regione. Egidi, funzionario della Protezione Civile dell’Emilia Romagna, ha illustrato il Sistema regionale di protezione civile per come è stato declinato in Emilia Romagna apportando alcune modifiche al sistema implementato dal Ministero dell’Interno. Un format che ha destato interesse da parte sia della Regione Sicilia che dalla Regione Lazio. Un sistema pensato per essere affidabile e sempre pronto ad affrontare situazioni emergenziali con il coinvolgimento del potenziale insito in tutti i territori regionali. È seguita una tavola rotonda e dibattito sui principali nodi del convegno. I lavori si sono conclusi con la consapevolezza di dover fare ancora tanta strada in Italia in materia di accoglienza. Per questo si rinnova l’impegno per tirare le fila della situazione tra un anno con la seconda edizione della Scuola d’estate di Xenagos.
Un momento della prima giornata di formazione della scuola estiva della Fondazione Xenagos. Foto tribbù
BARI
Cacciatori di aquiloni di Mariangela Recchia, insegnante lingua italiana presso il Centro C.A.R.A/C.I.E. di Restinco
La sede dei missionari Comboniani a Bari è stata la cornice per la Festa dei Popoli, giunta, ormai, alla VI edizione. L’evento, concepito per promuovere la conoscenza tra culture diverse, l’integrazione e l’esercizio alla convivenza, ha visto come protagoniste le comunità di migranti del territorio, in un incontro di razze e colori. Erano presenti tra loro anche un gruppo di afghani richiedenti asilo del C.A.R.A. di Restinco (Brindisi) impegnati in un laboratorio di aquiloni. I giovani Afghani si sono messi a disposizione per insegnare ai bambini italiani e stranieri le tecniche di costruzione degli aquiloni e far conoscere la cultura del loro paese tramite il gioco. L’ esperienza rientra in un progetto avviato nel centro di Restinco da circa un anno: “Volarte”, grazie al quale è stato possibile valorizzare un antica tradizione afgana. Fino a qualche tempo fa l’Afghanistan, terra di burqua celesti, guerre e montagne nel cuore dell’Asia, veniva immancabilmente ricordato come il “Paese dei talebani” o la “Patria di Bin Laden”. Appellativi scomodi. Quei tempi sono finiti, e oggi l’Afghanistan
sta a poco a poco cambiando volto, identità, cercando di riscattare la propria immagine. C’è un simbolo, uno su tutti, poetico e allegro, che meglio di altri sintetizza questa metamorfosi: è l’aquilone, immagine di libertà per eccellenza. In questa cornice, si è inserita la volontà, insieme ai ragazzi afghani, di dar voce al significato più profondo di questa tradizione millenaria, che sembra appartenere a tutti. Il progetto si è svolto inizialmente solo all’interno del centro di accoglienza e successivamente nelle scuole superiori di Brindisi, spazio privilegiato per favorire e diffondere processi interculturali. Inoltre, svariati sono stati gli interventi alle manifestazioni dei giovani richiedenti asilo afghani in collaborazione con l’associazione degli aquilonisti salentini “La rosa dei venti”.
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news Ivrea(TO)
Dalla Nigeria via Libia a Banchette di Ivrea: paese dell’accoglienza di Moreno D’Angelo
Da una decina di giorni sessantotto profughi provenienti dalla Libia ma di origine subsahariana, sono ospitati in un albergo a Banchette, un comune limitrofo ad Ivrea. Molti sono giovani coppie senza i bimbi lasciati nei paesi di origine, ovvero Nigeria, Ciad, Ghana Guinea e Sudan. Loro obiettivo è il riconoscimento dello status di rifugiato politico o la protezione sussidiaria al vaglio della commissione prefettizia che valuta le istanze. Per questo vengono anche assistiti nel formulare le loro domande in quanto, a volte, basta una scorretta traduzione o interpretazione per vanificare un percorso di inserimento che è costato duri sacrifici e la sfida di aver attraversato il mare su delle carrette per sfuggire a situazioni di emergenza. Tre mediatori culturali, un nugolo di operatori ed insegnanti coordinati da Davide Parisi, assistono i profughi in un contesto quanto mai aperto e tollerante delle popolazione locale. «Banchette è un paese dove sono ben inseriti da tempo oltre quattrocento immigrati e non vi è mai stato un problema» ha detto il sindaco di Banchette Maurizio Ceol portando il suo saluto ai profughi riuniti per l’occasione, insieme alle autorità locali ed ai responsabili delle cooperative e consorzi sociali che gestiscono questa impegnativa emergenza. Mauro Maurino, responsabile del consorzio sociale nazionale Connective People per la emergenza Nord Africa in Piemonte, descrive il percorso per rendere questa accoglienza un concreto percorso di integrazione: «Si tratta di persone a volte traumatizzate che non vanno parcheggiate. Occorre che imparino l’italiano e che si sviluppino percorsi di qualificazione professionale. L’Italia, nonostante la crisi, ha bisogno di
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almeno trecentomila operai e lavoratori. Per mantenere gli attuali livelli produttivi. Saranno loro che si occuperanno in futuro dei nostri anziani. Per questo bisogna fare in modo che questa accoglienza faccia in modo che queste persone possano restituire alla comunità qualcosa con il loro lavoro. «Ma per raggiungere – spiega Maurino - questi ambiziosi obiettivi occorre la collaborazione di diversi soggetti che operano come un rete interagente».La sua scommessa è quella di coniugare gestioni alberghiere in cui si realizzi la convivenza tra persone in accoglienza e l’ordinario utenza turistica. I primi segnali sono incoraggianti anche perchè l’impegno di questa gestione è di mantenere ottimi livelli nella qualità di servizio. La società fa parte del ramo sociale di Confcooperative. Le altre sedi piemontesi in cui vengono ospitati profughi in centri di accoglienza per richiedenti asilo sono a Lemie (Lanzo), Settimo Torinese e Coazze. Questa ultima è salita alla cronaca per gli striscioni e le iniziative denigratorie con cui alcuni esponenti leghisti avevano dato il benvenuto ai profughi. A quanto emerge oggi il clima tra ospiti nordafricani e popolazione locale è assolutamente sereno.
Torino
Ventimila fogli bianchi per i centri di accoglienza di Redazione Sqm
La Burgo Group, attraverso il dott. Paolo Pansa dell’Ufficio Marketing, ha donato un bancale di 48 confezioni da 5 risme di fogli ai centri di accoglienza di Connecting People in Piemonte. Prendiamo le 120 mila pagine bianche come un augurio per 450 storie di vita che ricominciano qui in Italia. Alla Burgo Group un grazie sincero anche dalle pagine scritte di Storie di Questo Mondo.
Roma
L’Italia sono anch’io di Redazione Sqm
Connecting People aderisce alla campagna nazionale “L’Italia sono anch’io” promossa da 19 organizzazioni della società civile. La campagna, per cui sono previsti numerosi banchetti di raccolta firme, propone una riforma del diritto di cittadinanza che preveda che anche i bambini nati in Italia da genitori stranieri regolari possano essere cittadini italiani e una nuova norma che permetta il diritto elettorale amministrativo ai lavoratori regolarmente presenti in Italia da cinque anni. Per raggiungere questi obiettivi le due proposte di legge di iniziativa popolare debbono raccogliere 50mila firme entro la fine di febbraio 2012. Sul sito web www.litaliasonoanchio.it tutti i dettagli dell’iniziativa e la mappa dei banchetti attivi.
San lupo (BN)
Mario (Mehari) va a vivere da solo di Nello Pomona
Oggi è un giorno emozionante per noi operatori del progetto di resettlement “Piccoli Comuni Grande Solidarietà” di San Lupo. Il primo ospite che va a vivere da solo, dopo aver trovato lavoro in una piccola impresa del luogo, segna il primo passo verso l’autonomia completa e ci infonde nuove energie. Mehari, Mario come vuole essere chiamato italianizzando il suo nome, dopo essersi ricongiunto con la moglie può finalmente impegnarsi in un progetto di vita completamente autonomo. Un ringraziamento a tutti i ragazzi di San Lupo per il lavoro svolto e a tutti coloro che si sono adoperati perché questi risultati divenissero raggiungibili.
Emanuele Crialese TERRAFERMA
Una produzione Cattleya e Rai Cinema Recensione a cura di Salvo Tomarchio
Genere: film drammatico Durata: 88’ Anno di produzione: 2011 Produzione: Cattleya - Rai Cinema Regia: Emanuele Crialese
“Terraferma non è un film sull’immigrazione, non è un film sui migranti. Non lo è, anche se lo può sembrare. È prima di tutto un film sugli italiani, sugli occidentali e su quella che sforzandoci ogni giorno di più per legare significante e significato, chiamiamo “la nostra civiltà”. In un’isola piccolissima vive Filippo, un pescatore di vent’anni orfano del padre, che prova insieme al nonno Ernesto a proseguire la tradizione di famiglia, fatta di sacrifici, rispetto per il mare e, soprattutto per l’uomo. L’altro figlio di Ernesto, Nino, si dedica invece al turismo, e tira a
campare cercando di spremere il più possibile i turisti che d’estate affollano l’isola. Giulietta, madre di Filippo, vive con angoscia e insofferenza la condizione dell’isola, l’assenza di prospettive per la sua vita e per quella del suo ragazzo. Questo equilibrio fragilissimo, tra vecchio e nuovo, passato e futuro, esplode nel quotidiano, nelle vite di tutti i protagonisti dal momento in cui Ernesto e Filippo soccorrono un barcone di migranti durante una battuta di pesca; riportandosi a casa una donna incinta e l’altro suo figlio. Da questo momento appare chiaro che la disperata ricerca di una “terraferma” non è solo un dato di cronaca, ma diventa quasi un tratto esistenziale, che ogni personaggio del film vive a suo modo e che nella narrazione trova uno sbocco esemplare, feroce e concreto soltanto nella coraggiosa scelta degli uomini e donne che decidono di attraversare il mare per dare vita ai propri sogni. E proprio questo esempio di ricerca, lotta e voglia di vita che viene da lontano, che ha un colore diverso ma gli stessi occhi, che irrompe e contamina di vita il mare delle spensierate italiche vacanze estive, mette a nudo le contraddizioni, l’assenza di certezze, lo spaesamento; la terraferma di valori e orizzonti che manca così prima di tutto ad ognuno di noi. Manca ad una madre che non ha il coraggio di aspirare ad una vita fuori dall’isola, manca ad un figlio chiuso dentro se stesso, manca a chi rinnega la propria umanità per paura di perdere i pochi propri privilegi da occidentale.
Preservare la vita, restare umani, avere cura degli altri, obblighi morali che diventano pretese impossibili e paradossali, retaggi di un “codice del mare” che male si accorda al codice e alla legge dello Stato, lontano e sordo, per cui “salvare la gente in mare è diventato proibito”. Terraferma diventa così un film che ci interroga sul nostro passato, che chiede prepotentemente a tutti noi dove abbiamo perso la saggezza dei nostri nonni, la saggezza dei pescatori per cui la vita di un uomo vale più della “pubblicità”, per cui l’unica legge sempre valida è quella non scritta, quella nascosta dentro il nostro essere umani. Il mare diventa uno specchio deformante che riflette e ci restituisce il meglio e il peggio del nostro essere umani, il meglio è il peggio della nostra Italia. Ci restituisce la civiltà dei pescatori insieme al cinico consumare luoghi e persone proprio delle vacanze all’occidentale, ci restituisce la gratitudine di una madre salvata dall’inferno e gli occhi di suo figlio che chiedono solo futuro, pescatori.Crialese riesce dunque nell’impresa di raccontarci una fetta di presente, complesso, contraddittorio e incerto concedendosi il lusso di farne quasi una cronaca per immagini, senza cedere nemmeno un attimo nella retorica dell’accoglienza e senza nemmeno tentare un’epopea dei migranti. E in questo suo raccontare e raccontarci ci mette ancora una volta di fronte ad una questione che non ha ancora trovato risposte certe e condivise.
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