Storie di questo mondo - Anno 3 Numero 1 Febbraio

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Troppe storie sembrano storie dell’altro mondo, ma lo spazio in cui accadono è qui e ora. periodico di culture migranti e dell’accoglienza

ANNO 3 - N° 1 - FEBBRAIO 2011

trimestrale del Consorzio Connecting People - reg. trib. di Trapani N° 323 del 17/07/2009 - distribuzione gratuita

INCONTRI A colloquio con Abu Touq Mufid, Imam di Catania DOSSIER

Manifesto integrazione: immaginare il futuro dell’Italia

PUNTO DI VISTA

Spunti sul dialogo interreligioso

OLTREMARE

Il rapporto con il Sacro in Africa

BANDO DI CONCORSO Per la realizzazione del nuovo logo della Fondazione Xenagos

WWW.FONDAZIONEXENAGOS.IT


editoriale 1 Il dialogo tra le religioni è un dialogo tra uomini di Giorgio Gibertini

dossier 2 Gli occhi del dopodomani di Marco Demarie

La proposta del manifesto Redazione SQM

intervista 8 Ricorda che sei stato straniero in Egitto di Mauro Maurino

incontri 10 Siamo tutti fratelli nell’umanità di Mario Indelicato

punto di vista 12 Alcuni spunti sul dialogo interreligioso di Padre Beniamino Rossi

oltremare 18 Gli africani e Dio di Stéphane Ebongue Koube

progetti 20 La Fondazione Xenagos di Serena Naldini

Progetto Nautilus Redazione SQM

Progetto Next di Sebastiano Pomona

news 24 Notizie e curiosità da Roma

FEBBRAIO 2011

press 26 Rassegna stampa sull’immigrazione

Editore/proprietà Consorzio Connecting People

Coordinamento editoriale Serena Naldini, Salvo Tomarchio

Direttore responsabile Giorgio Gibertini

Progetto grafico e illustrazioni Giancarlo Ortolani / Tribbù

a cura di Salvo Tomarchio

media connecting 28 Valentina Postika, in attesa di partire di Serena Naldini

Impaginazione e stampa Studio Tribbù di Coop. Soc. Sciarabba Via Dafnica 90, 95024 Acireale (CT)

In redazione Giorgio Gibertini, Mario Indelicato, Stéphane Ebongue Koube, Mauro Maurino, Serena Naldini, Sebastiano Pomona, Beniamino Rossi, Salvo Tomarchio.

Se hai una storia da raccontare, se vuoi segnalare progetti, idee o esperienze, se desideri indicare destinatari che vorresti ricevessero il nostro periodico, puoi inviare una email a: sqm@cpeople.it


Il dialogo tra le religioni è un dialogo tra uomini Giorgio Gibertini

Direttore di Storie di questo mondo

mondo religioso presenti in Italia: il gesuita Mario Vit Mentre scrivo questo editoriale, dall’altra parte del di Venezia, Abu Touq Mufid, Imam della moschea di Mediterraneo, il rumore dei media ci porta il numero Catania, il dott. Demarie, responsabile studi, archivio dei morti delle “rivolte del pane” che stanno colpendo storico e documentazione della fondazione CompaTunisia, Egitto e non solo, soffocando del tutto il rumognia di San Paolo ed infine due brevissimi interventi re delle onde provocato dai barconi della speranza che degli amministratori locali nostri grandi collaboratori non hanno mai smesso di approdare al nostro piane(Gianni Pompeo, sindaco di Castelvetrano ed Irma De rottolo. Il Medio Oriente è in subbuglio, le nostre città Angelis, sindaco di San Lupo) per concludere con Abdel pure, provate dalla crisi globale e da una convivenza Karim Hannachi del comitato scientifico di Connecting che, anche col vicino di casa, ha riflessi globali. People e docente di lingua araba all’Università di CaIn questo numero la nostra rivista, ormai matura, dopo tania (ricordo che per tutti è disponibile il Qr code per aver presentato ufficialmente una chiara proposta vedere gli interventi video sul telefonino). Siamo condi Pacchetto Integrazione, si è spinta verso il terreno tenti del lavoro svolto, delle interviste scivoloso e spinoso del Dialogo interraccolte, degli spunti che resteranno religioso: scivoloso perché facilita la qui indelebili e vedrete che anche voi, caduta nella retorica, spinoso perché che vi accingete alla lettura di questa ogni parola usata ha un peso e può Bisogna andare edizione, avrete come la sensazione generare vita o conflitto. Ci siamo a oltre gli steccati, che queste pagine, una dopo l’altra, si lungo confrontati, su questo tema, anche tra noi giornalisti di Storie di partendo proprio cerchino, si rincorrano per cercare ciò che unisce e non ciò che divide, ciò Questo Mondo oltre che con i considal dialogo che arricchisce nel rispetto reciproco. glieri nazionali del nostro Consorzio Un piccolo consiglio mi permetto di Connecting People che ha, tra i suoi rivolgere a tutti voi. Leggete queste pregi, quello di radunare uomini e pagine con un occhio sulle parole donne provenienti da diverse estrae l’altro rivolto verso l’Alto, o meglio l’Altro o meglio zioni ideologiche, politiche ed anche religiose oltre ancora l’Oltre per scorgere, almeno col cuore, l’unico che da varie latitudini del nostro Bel Paese. Anche il Dio che guarda giù ad ognuno di noi e che ci ha dato fattore geografico non è ininfluente perché ognuno la Sapienza e l’Intelligenza per andare oltre gli steccati ha portato nei propri dialoghi, anche magari davanti partendo proprio dal dialogo, anche quello interreliad un buon rosso, l’esperienza di quello che stava gioso. Io ho una convinzione: credo che la varietà sia vivendo al proprio paese o nella Capitale d’Italia. In sempre una ricchezza se porta all’unico Dio. So che questo primo numero del 2011, nell’anno in cui si femolti magari non saranno d’accordo su questo mio steggiano i 150 anni dell’Unità d’Italia, abbiamo quindi pensiero ma penso che il dialogo, anche quello qui pensato di parlare anche di un’Italia diversa e, se non ben rappresentato, ci debba condurre alla Verità che unita nell’affrontare il tema dell’integrazione, almeno è una sola. Ognuno ha il suo cammino da fare, coi suoi è unita in queste pagine nel desiderio di parlarne, di tempi e le sue esperienze. Noi lo abbiamo cominciato. dialogare. Ci siamo affidati a massimi interpreti del


dossier

Gli occhi del dopodomani Prossimità e socialità per una multietnicità serena di Marco Demarie

L’

integrazione delle persone migranti è un obiettivo fondamentale per l’Italia del 2010 che guarda all’Italia del 2020, e oltre. Questo è il merito fondamentale del Manifesto per un Pacchetto integrazione: la capacità di mettere in fila misure realizzabili (quasi) nell’oggi, con il chiaro intento di produrre, attraverso di esse, una “normalizzazione della natura migratoria della società italiana” (e anche di indicare le risorse per farlo). Questo è infatti il punto a mio avviso centrale: l’Italia deve trasformarsi in una società in cui i flussi di popolazione

diventino un elemento, governato ma normale, dello sviluppo del Paese. Con un’espressione un po’ trita, si può dire che uscire dalla logica dell’emergenza non significa sottacere le emergenze che si producono effettivamente (siano esse di tipo schiettamente criminale, microcriminale o di sfruttamento): queste vanno contrastate e combattute; ma prendere sul serio il fatto che, come è accaduto in tanti paesi e in tanti momenti storici, la nostra società si è avviata su una strada di complessificazione etnica e culturale. Nulla sarebbe più deleterio che coltivare l’immagine del bastione assediato e anzi già infiltrato dalle quinte colonne. Vuol dire questo che l’Italia deve smettere di pensarsi come Italia? Piuttosto il contrario: questa nostra Italia - che speriamo sempre più europea - deve trovare un proprio modo, adeguato a una cultura viva consegnataci dalla nostra storia, di evolvere verso una multietnicità accettata e serenamente vissuta. Può il Terzo Settore contribuire a questa evoluzione? A giudizio di chi scrive, moltissimo, per due ragioni fondamentali. In primo luogo, perché, nelle sue varie articolazioni,

esso è tra le realtà più capaci di cogliere le caratteristiche territoriali dell’immigrazione (spesso, come tutto, alquanto differenziate in Italia), offrendo “prossimità” in modo adeguato. In secondo luogo, perché esso può creare occasioni di socialità condivisa tra migranti e autoctoni, allentando la costrizione lavoro/casa - o, nei casi più problematici, lo sbandamento anomico sul territorio. Con una cautela: pur con tutta la sensibilità del caso, che talvolta esige eccezioni, il terzo settore non deve proporre soluzioni etnicizzate, ma aperte; non assistere, ma coinvolgere. La libertà di scegliere, la partecipazione congiunta (pensiamo allo sport dilettantistico: un ambiente su cui lavorare molto) è il miglior antidoto contro i fallimenti del multiculturalismo ideologico e della ghettizzazione, imposta o scelta. Molti progetti sono pienamente consapevoli di questi dilemmi. Le fondazioni di origine bancaria, che il Manifesto opportunamente chiama in causa, sono all’avanguardia in questo campo e particolarmente attente alla problematica. Che, come dicevo, dobbiamo guardare con gli occhi del dopodomani.

Marco Demarie, 52 anni, è attualmente Responsabile del Centro Studi, Archivio Storico e Documentazione della Compagnia di S. Paolo. Dottore in Economia e Commercio, è stato Direttore della Fondazione Agnelli.


La presentazione del Manifesto per un pacchetto integrazione si è svolta il 7 luglio 2010 presso la Sala del Mappamondo della Camera dei Deputati. Foto e trascrizione interventi di Studio TribbÚ


dossier solo alcuni piccoli bisogni. Le proposte del Manifesto invece ritengo possano apportare ottimi benefici anche agli enti locali. Altro elemento notevole è la proposta di formazione degli operatori locali: spesso le nostre buone idee non sono supportate per via della mancanza di risorse umane capaci di portarle a compimento. Non posso che dare il mio supporto a questa proposta ed evidenziare il ruolo chiave che possono avere gli enti locali se coinvolti attivamente nel processo.

Rita Scaringi

Servizi Sociali di Trapani

Giovanna Genco

Ass. Pol. Soc. di Partanna Volevo intanto soffermarmi su tre parole chiave che secondo me sono essenziali in questo Manifesto. Condivido il termine convivenza e il modo in cui è presentato dal Manifesto. Non si può però parlare di convivenza se non pensiamo al coinvolgimento attivo delle istituzioni scolastiche nel processo di integrazione dell’immigrato che arriva in Italia. Non si può parlare di convivenza se i genitori dei ragazzi che frequentano le nostre scuole non sono educati a far frequentare i nostri gruppi giovanili ai propri figli. Su questa base mi sento di sostenere che un ruolo determinante deve essere dato alle istituzioni scolastiche nel renderle parti attive nel processo di costruzione della proposta di legge. Altro elemento importante è l’autofinanziamento di questa proposta. Spesso l’ente locale ha molte difficoltà nel reperimento dei fondi per portare avanti buone idee sul tema della convivenza e dell’integrazione. Con il “Piano di Zona” in collaborazione con il comune di Castelvetrano riusciamo ad attivare alcuni servizi, ma il Piano copre

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Apprezzo questa iniziativa. Io vengo da un territorio che conosce i problemi e le tematiche legate all’immigrazione. Nei servizi sociali lavoriamo in collaborazione con lo Sprar, essendo Trapani una città in cui insistono un Cara e un Cie. Questa proposta progettuale è interessante soprattutto perché viene da un elemento del Terzo Settore che non chiede risorse ma propone delle opportunità per ricavarne alcune. Su questa base si può dunque ragionare sui tanti elementi possibili per elaborare proposte concrete sul territorio.

Abdel Karim Hannachi Comitato scientifico di CP

Il Manifesto è un lavoro interessante perché legge la realtà, la interpreta, individua i problemi e propone soluzioni concrete, fattibili e non ideologiche. Adesso è importante tradurre tutto in un’iniziativa concreta in Parlamento. Il lessico che noi utilizziamo quando parliamo non è altrettanto importante quanto la definizione che noi diamo allo stesso lessico: è importante sapere ciò che intendiamo quando diciamo qualcosa. L’integrazione ad esempio è qualcosa di molto positivo se la intendiamo come reciproca e parziale: una nuova identità significa prendere parte della cultura di origine e assimilarla con una parte della cultura nuova. Questo processo riguarda anche gli autoctoni, l’Italia del futuro non è l’Italia di ieri. Gli immigrati non sono un corpo estraneo alla società italiana, sono un problema interno, organico alla società, impossibile da espellere. Gli immigrati arricchiscono la nostra economia (la pizza, solo per fare un esempio comune, la continuiamo a gustare per il lavoro degli immigrati che raccolgono i


dossier pomodori!). La discussione sull’integrazione è un argomento interno alla società italiana. Il domani è un progetto di tutti. Questa iniziativa è molto concreta e rappresenta un progetto di società plurale in cui oltre all’integrazione si guarda all’arricchimento che parte dalle specificità culturali per provare a costruire principi, valori e progetti comuni. Un cittadino escluso non può fare la sua parte in questo progetto, la cosa più urgente è lavorare alla partecipazione e dunque alla cittadinanza. Se noi oggi escludiamo una persona, domani diventerà un problema per la nostra società. Costerà di più includere domani chi viene escluso oggi. Tutte le leggi sull’immigrazione finora hanno viaggiato sulla dicotomia cittadino/non cittadino, integrazione/esclusione. L’unica legge che forse lavorerà davvero sull’integrazione sarà quella che si aprirà con queste parole: lo straniero è uguale al cittadino.

che dovrebbe iniziare a sostituire integrazione. In tal senso il coinvolgimento di tutte le forze della società va proprio in questa direzione. Auguro a Connecting People che la classe politica recepisca questo messaggio e lo faccia in maniera trasversale per dare soluzione a questi problemi.

Gianni Pompeo

Sindaco di Castelvetrano Questa iniziativa parte nel modo giusto e ci sono i presupposti per fare bene. Ritengo molto importante la possibilità che la proposta del Manifesto si autofinanzi in un momento di crisi come questo. Altro elemento che mi piace è il termine convivenza

Irma De Angelis

Sindaco di San Lupo Voglio portare un piccolo suggerimento a questo strumento di integrazione ma soprattutto di politica della convivenza. A San Lupo stiamo sperimentando un progetto che non si limita all’accoglienza dei rifugiati ma propone ospitalità e formazione con

l’obiettivo di fornire poi opportunità per l’inserimento nel contesto socio-lavorativo. Questo Manifesto viene dalla pratica quotidiana e dalla conoscenza diretta e profonda di Connecting People che da tempo lavora in diverse realtà con passione ed entusiasmo ed è già un pacchetto completo rispetto ai punti della nostra

Questa nostra Italia deve trovare un proprio modo, adeguato a una cultura viva consegnataci dalla nostra storia, di evolvere verso una multietnicità accettata e serenamente vissuta. legislazione che richiedono una revisione. Nel comune di San Lupo, ad esempio, abbiamo visto che nella fase di avviamento sorgono i problemi più grossi: i rifugiati, che hanno già alcune agevolazioni, incontrano serie difficoltà per via della mancanza di un quotidiano sostentamento oltre quello previsto dai progetti. C’è bisogno per i comuni di strumenti che permettano, soprattutto in questa fase, di assistere e rendere da subito queste persone più o meno autonome. Una quota del 5X1000 potrebbe essere prevista a questo scopo per i comuni che ospitano rifugiati o centri che ospitano immigrati.


dossier

I luoghi e le proposte per un’integrazione possibile Per immaginare iniziative che possano migliorare il livello di integrazione e la qualità della vita delle nostre comunità occorre partire dai luoghi quotidiani, nei quali, giorno per giorno, avvengono scambi concreti tra culture.

Le imprese

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I luoghi di lavoro sono contesti nei quali i lavoratori trascorrono gran parte della propria giornata. La “costrizione” del proprio tempo, da un lato, garantisce loro una fonte di reddito, dall’altro, genera la necessità di servizi. Nell’ambito di un Pacchetto Integrazione, questo si può concretizzare per l’impresa nella costruzione di un sistema che aiuti i lavoratori e le loro famiglie nei processi di integrazione. Risorse umane integrate e soddisfatte rappresentano un vantaggio competitivo dell’impresa. Proposte

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Strutturazione di un sistema di welfare aziendale che supporti l’integrazione e faciliti la mobilità sociale. Per il suo finanziamento, cfr. “finanziamento di progetti finalizzati all’integrazione attraverso uno storno dell’1% dei contributi previdenziali dei migranti - misura tesa a finanziare l’integrazione attraverso il tessuto delle imprese (pag. 10)”.

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Analisi degli istituti contrattuali che possono favorire l’integrazione attraverso i luoghi di lavoro. Per la sua realizzazione, è sufficiente che sindacati datoriali e dei lavoratori orientino i vari livelli di contrattazione non solo rispetto a rivendicazioni di tipo salariale, ma anche alla ricerca di forme contrattuali innovative che favoriscano l’integrazione.

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Iniziative di partenariato tra camere di commercio italiane e istituzioni economiche dei paesi di provenienza finalizzate al supporto di progetti imprenditoriali transnazionali che promuovano, in un’ottica di sviluppo sostenibile, il “made in Italy” all’estero e i prodotti “etnici” in Italia (cfr. Possibilità di utilizzo del Patto di Barcellona), nonché il modello italiano di welfare e di impresa sociale.

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Le associazioni e le altre organizzazioni del terzo settore L’associazionismo, sia laico che confessionale, è per natura vicino al territorio, ai suoi problemi così come ai circoli virtuosi e alle risorse che esso è in grado di generare.

Il terzo settore rappresenta uno dei principali punti di riferimento per i migranti, poiché offre servizi e reti di relazioni, momenti di socialità e sostegno. Le associazioni e le altre organizzazioni del terzo settore rappresentano una dimensione capace di fare cultura anche oltre le frontiere, soprattutto quando operano sia nelle terre di provenienza, sia in quelle di arrivo. Proposte

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Promozione e realizzazione di progetti di sviluppo locale nei paesi di provenienza, finanziati da campagne di orientamento di una quota delle rimesse che i migranti inviano nei luoghi di origine.

2

Orientamento esplicito di risorse provenienti dalle fondazioni bancarie per la promozione di iniziative rivolte all’integrazione, quali: servizi nei territori di accoglienza • sostegno a progetti di sviluppo nei paesi di origine • promozione dell’associazionismo transnazionale.

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Modifica dell’articolo 4 della legge 381/91 (cooperazione sociale) attraverso l’inserimento dei “rifugiati” e dei “soggetti vittime di tratta” tra le categorie svantaggiate.

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dossier

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La scuola e gli altri enti formativi

La scuola è uno dei luoghi riconosciuti da sempre come cruciale per l’integrazione e la mobilità sociale. Grazie all’obbligo scolastico, tutti i bambini migranti hanno l’opportunità di imparare l’italiano e di inserirsi nella rete sociale e affettiva dei loro coetanei. È pur vero che i figli dei migranti devono superare maggiori difficoltà rispetto ai loro pari italiani, e che la capacità della scuola di integrarli deve essere migliorata. Uno degli strumenti per attenuare questi ostacoli è certamente l’inclusione dei loro genitori e degli adulti migranti in genere in percorsi formativi che prevedono innanzitutto l’apprendimento della lingua e della cultura italiana. Proposte

1

Corsi serali per migranti orientati all’apprendimento della lingua italiana con titolo riconosciuto a livello regionale.

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Corsi serali di alfabetizzazione informatica rivolti ai migranti, per consentire loro di mantenere i legami con la realtà di provenienza e di utilizzare l’informatica per rapporti bancari, reperimento informazioni, etc.

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Destinazione di fondi ministeriali per la formazione degli insegnanti ai temi dell’intercultura e del dialogo interreligioso.

Le risorse economiche Il Pacchetto Integrazione può realizzarsi senza gravare in modo significativo sul bilancio dello Stato. I lavoratori stranieri stessi sono chiamati a partecipare al suo finanziamento. Sono disponibili quattro possibili fonti di risorse economiche:

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Destinazione del 10% della quota statale dell’otto per mille dell’IRPEF. Stima: circa 5 milioni di euro annui.

2

Destinazione dell’1% dei contributi INPS versati dai lavoratori stranieri per la realizzazione di iniziative di integrazione gestite dalle aziende. Stima: circa 70 milioni di euro annui.

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Destinazione del 2% delle erogazioni delle fondazioni bancarie a progetti del Pacchetto Integrazione. Stima: circa 35 milioni di euro annui.

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Destinazione di una quota delle risorse messe a disposizione della contrattazione collettiva per istituti contrattuali che favoriscano l’integrazione tra italiani e migranti.

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intervista

Ricorda che sei stato straniero in Egitto Intervista a Don Mario Vit sul dialogo tra religioni e migrazioni di Mauro Maurino

L’

Italia è un Paese a maggioranza cristiana e ancor meglio cattolica. Oggi le migrazioni stanno cambiando il panorama e si affacciano nel nostro territorio tradizioni religiose diverse e a volte distanti dalla nostra. Cosa significa questo per chi ha la responsabilità di “governare” la Chiesa? Che i responsabili delle chiese devono vedere i processi migratori come facenti parte delle proprie radici, della propria storia, una storia difficile ma benedetta: “Ricorda che sei stato straniero in Egitto”.

Dal Concilio Vaticano Secondo (ved. Nostra Aetate) all’enciclica Caritas in veritate la Chiesa ha sempre preso apertamente posizione a favore della libertà religiosa. Come si impegna la Chiesa nell’educare a questa libertà?

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In che rapporto colloca la libertà religiosa con il rispetto dei diritti umani? Come risponde la Cei a chi afferma che costruire una moschea equivale a rispettare i diritti umani? Non c’è libertà religiosa senza rispetto dei diritti umani, per ottenere i quali bisogna fare un lungo percorso di purificazione. Credo che la Chiesa possa trarre dalla sua esperienza la gioia di consentire a ogni appartenenza religiosa la costruzione di un luogo di culto.

Che cos’è il dialogo interreligioso e perché è importante quando si ragiona di migranti e religione? Come si rapporta al dialogo fra le culture e quanto può favorire percorsi di integrazione? L’impegno per il bene comune, sottolineato in Caritas in veritate da Papa Benedetto può costituire la base di partenza per un dialogo concreto tra credenti in religioni diverse e tra credenti e non credenti? Lo Spirito di Dio non può esaurirsi in una cultura e in una forma religiosa di credenza: il pluralismo è costitutivo delle nostre radici trinitarie.

Secondo alcune ricerche in Europa oggi si professano di religione islamica il 5% dei residenti. Si prevede che questo dato salirà al 20% in capo a 20 anni. Correlato a questo, si sta affermando un sentimento ostile all’Islam. Dall’altra parte in Indonesia è nato un movimento musulmano che ha lo scopo di arginare la diffusione del cristianesimo. Vengono fatte manifestazioni in difesa della tradizione islamica e si stigmatizza la presenza dei cristiani. Come guarda a questi fenomeni? Non ricordano alcuni movimenti di casa nostra di segno uguale e contrario? Da cosa deriva questo incrudimento nella difficoltà di accettazione di religioni diverse? L’idea delle radici cristiane dell’Europa è un aiuto oppure un macigno sulla strada della convivenza? Ogni volta che si identifica la religione con una cultura o con interessi particolari la religione perde il suo carattere di gratuità, di libertà e di istanza critica e diviene ideologia. Il virus più pernicioso dell’esperienza religiosa è il nazionalismo. La nostra tradizione culturale occidentale e specificamente europea è stata fecondata da una pluralità di esperienze religiose di tradizione ebraicocristiana. Proprio per questo - tranne alcuni periodi di smarrimento - ha maturato un atteggiamento di tolleranza e di democrazia.


intervista Mario Vit

Presentazione

Padre Mario Vit nasce a Portogruaro (VE) il 30 dicembre 1933. Entra nella Compagnia di Gesù a Lonigo (VI) il 21 novembre 1953. Studia Teologia a Chieri (TO) dal 1961 al 1965, e qui viene ordinato sacerdote il 12 luglio 1964. Compie a Firenze il Terzo Anno di Probazione (196667). Negli anni 1967-1975 si dedica a studi di Psicologia a Palermo e di Sociologia a Trento. Dal 1968 al 1975 è Direttore del Centro universitario e Rettore della chiesa di S. Francesco Saverio a Trento. Dal 1976 al 1981 assiste i profughi del Terremoto in Friuli. Dal 1981 al 1989 viene inviato a Gorizia come aiuto del Direttore del Centro Stella Matutina e Assistente AGESCI. Dal 1989 al 2002 assume la responsabilità di aiuto del Direttore e successivamente di Direttore del Collegio Universitario “Antonianum” di Padova. Viene infine inviato a Trieste nel 2002 come Direttore del Centro Culturale “Veritas”, quando la Compagnia decide di chiudere il Collegio patavino e di concentrare le proprie risorse e attenzioni su Trieste.

Abbiamo lavorato a un Manifesto per un Pacchetto Integrazione, nel quale, tra le altre, avanziamo la proposta di promuovere un programma statale per l’edilizia religiosa dei diversi culti. Come conciliare l’idea che lo stato finanzi le diverse religioni e l’idea della laicità dello Stato? C’è conflitto tra queste due posizioni o si conciliano naturalmente? Non tutte le religioni hanno bisogno di un “luogo” di culto. Per tanti ebrei, ad esempio, il luogo privilegiato del proprio rapporto con il divino è il “tempo”: l’ebraismo, secondo costoro, non è la religione del luogo ma del tempo. E con il tempo inclemente è difficile pregare. Lo Stato pensi prima a garantire le case e il lavoro e poi si preoccupi di sostenere i luoghi di culto.

Ogni volta che si identifica la religione con una cultura o con interessi particolari la religione perde il suo carattere di gratuità, di libertà e di istanza critica e diviene ideologia

Buddismo Cristianesimo Ebraismo Giainismo Induismo Islam

Noi crediamo che la libertà religiosa e il dialogo fra religioni diverse sia una delle condizioni utili e necessarie per l’integrazione dei migranti perché contribuisce a costruire la dimensione culturale e relazionale della vita dell’uomo, sia di colui che arriva che di colui che accoglie. In che misura e a quali condizioni questa affermazione è condivisibile? Come praticarla? E pensate bene. Traducete il dialogo in opere di bene così che anche altri benefici della libertà dai bisogni fondamentali dell’uomo. I nostri padri, schiavi in Egitto, venivano utilizzati come manovalanza e merce, e contraevano la cultura della sopraffazione. Quale cultura, quali “stili di vita” proponiamo ai nostri concittadini emigrati? Quale integrazione e con quali “modelli”? Quelli dell’apparire e della furbizia? Dell’arroganza e del disprezzo della povera gente?

Neopaganesimo Shintoismo Sikhismo Taoismo

A partire dalla Sua esperienza nella Pastorale giovanile, come il dialogo interreligioso può facilitare il cammino delle seconde generazioni di immigrazione? Noi abbiamo memoria corta, viviamo alla giornata. Quando le seconde generazioni di immigrati avranno superato il bisogno del riconoscimento identitario attraverso la separazione e anche l’opposizione, il rischio è l’omologazione. Occorre mantenere la memoria attraverso il contatto con chi fa fatica, con chi è indietro, con chi è ultimo. “Ricordati che sei stato schiavo”. Non dobbiamo dare nulla per scontato.

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incontri Siamo tutti fratelli nell’umanità Incontro con Abu Touq Mufid, Imam della moschea di Catania di Mario Indelicato

“A

s-salâm`alaykum” - ovvero “la pace sia su di voi” - è il saluto beneaugurante che Abu Touq Mufid, Imam della moschea di Catania, rivolge agli studenti della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania in occasione della sua partecipazione ad un laboratorio didattico. Mentre parla dei fondamenti della religione islamica, spiegando cosa siano i cinque pilastri dell’Islam - la testimonianza di fede, le preghiere rituali, il digiuno del mese di Ramadan, l’elemosina canonica o Zakat, il pellegrinaggio alla Mecca - la cosa che desta maggiormente l’attenzione è la grande quantità di temi che accomunano le tre grandi religioni monoteistiche. Intonando una Sura (in arabo uno dei “capitoli” in cui è suddiviso il Corano, ndr) dice Mufid che: “Siamo tutti fratelli nell’umanità” e aggiunge “a cominciare dal nome di Dio-Allah, passando per il grande patriarca Abramo e fino ai libri sacri, abbiamo in comune addirittura l’80%”.

Da dove viene? Da quanto vive in Italia? Sono Palestinese, ho 52 anni e sono in Italia dal ‘76, prima al Nord, e dal ‘78 vivo a Catania. Ho studiato Farmacia, sono sposato ed i miei cinque figli sono nati tutti in Italia, uno a Jesi nelle Marche, gli altri quattro sono tutti “siciliani”. Dall’ `81 sono uno degli Imam della comunità catanese.

Ecco, ma chi è e che cosa fa un’Imam? L’Islam non ha clero, l’Imam è semplicemente una guida che aiuta i fratelli musulmani nella preghiera e non un rappresentante ufficiale dell’Islam. Ogni comunità sceglie i propri Imam tra i membri più degni. Nei paesi musulmani si scelgono come Imam i più preparati, anche laureati in teologia. Nelle comunità di immigrati invece si sceglie la persona più adatta. Se però le parole di un Imam non hanno radici nel Corano, egli parla solo per se stesso ed esprime solo i suoi pareri personali.

Quanti sono e come vivono i musulmani a Catania? Ci sono mai stati episodi di intolleranza? In Sicilia ci sono circa 70000 musulmani di cui solo il 20% è praticante e frequenta le 35 moschee dell’isola. In città negli anni ‘80 è sorta la prima moschea italiana, adesso ci sono tre moschee e non ci sono mai stati atti di discriminazione razziale. La nostra è una comunità in continua crescita a cui stato, regione e comune hanno dato molti contributi per aiutare gli stranieri a stabilirsi nella società italiana; ma c’è tanto da fare per il continuo afflusso di immigrati con esigenze sempre nuove. Sono necessari molti altri sforzi sia da parte della comunità islamica sia da parte delle istituzioni soprattutto per quanto riguarda lo studio della lingua e la comprensione delle abitudini. A Catania abbiamo sempre trovato accoglienza, e in tutto il Meridione, c’è rispetto massimo e tolleranza tranne qualche battuta d’arresto, ad esempio dopo l’11 settembre…

Gli islamici sono integrati a Catania e più in generale in Italia? Se per integrazione intendiamo lo “sciogliere” la propria identità culturale in un’altra è un processo assurdo, se invece per integrazione intendiamo uno scambio ed un arricchimento reciproci è necessaria per poter convivere rispettandoci l’un l’altro. Il processo è cominciato tardi in Italia - le prime leggi per l’immigrazione si sono avute nel 1987 mentre in altri stati si è cominciato molto prima - e c’è ancora tanto da fare e non è facile. Occorre però uno sforzo maggiore dei governi, ed occorre impiegare le risorse esistenti in modo corretto.

Cosa chiederebbe all’amministrazione comunale per la comunità islamica catanese? Da tempo chiediamo un cimitero per musulmani, ma chiediamo anche luoghi di culto e luoghi per insegnare ai nostri bambini la religione islamica e la cultura araba. Vorremmo anche luoghi di incontro e dialogo con la società che ci ospita.

Cronaca alla mano, l’Islam come vede il ruolo della donna nella società? La condizione della donna da parte dell’Islam è vista dall’esterno attraverso i mass media che sono limitati ad alcuni casi che non rappresentano tutto l’Islam; in realtà il mondo islamico ha grande considerazione della donna; ella è madre, figlia, sorella. Donna e uomo si completano e


incontri Sicilia e Islam Quella del rapporto tra Islam e Sicilia è una storia millenaria. Una storia che affonda le proprie radici nell’alto medioevo, dallo sbarco a Mazara del Vallo nell’827 d.C.. Indebolita e spossata dal dominio bizantino, la Sicilia con la conquista araba, rifiorì sia economicamente che culturalmente e godette di un lungo periodo di pace e prosperità. I musulmani, nel complesso rispettosi delle radici religiose e culturali dell’isola, imposero solo ai cristiani che non intendevano convertirsi all’Islam una fiscalità leggermente più pesante rispetto a quella riservata ai sudditi musulmani. In un tale rapporto di sostanziale tolleranza parecchi dei maggiori esponenti della cultura e dell’arte in lingua araba scrivono in arabo della Sicilia e dalla Sicilia. Geografi, storici, poeti, artisti, artigiani, alcuni addirittura nativi dell’isola, altri vi approdano e se ne innamorano. Il popolo siciliano diventò, anche grazie all’apporto genetico arabo, un popolo di “sangue misto” ma proprio per questo s’arricchì.

Il miscuglio di “razze” è, contrariamente a quanto si pensa oggi, un fattore antropologicamente corretto e biologicamente evolutivo. Nel 1061 il dominio arabo finisce ma, anche dopo la conquista normanna rimase in Sicilia una piccola minoranza di musulmani. Un viaggiatore persiano, Ibn Giubair, descrive la Sicilia sotto la dominazione di Guglielmo II come una terra ricca di cultura musulmana, che conviveva pacificamente con quella cristiana, e così descrive le donne di Palermo nel 1200: “le donne cristiane di questa città all’aspetto sembrano musulmane, parlano arabo correttamente,

si ammantano e si velano come quelle”. In epoca moderna, la presenza islamica in Sicilia, come in generale in Italia, è quasi inesistente fino agli anni ‘60 - ‘70, quando iniziano ad arrivare in Italia i primi studenti dai paesi arabi. Oggi tracce della presenza musulmana in Sicilia si scorgono nella maggior parte dei nomi di paesi o di città (da Alì ad Alcantara, da Favara a Marsala), nella granita, nel “couscous”, nel “pane e panelle”, nel personaggio di “Giufà” (la “maschera” simbolo della Sicilia) ed in molto altro ancora.

sono indispensabili per creare una famiglia. Il capofamiglia è l’uomo ed è lui che prende le decisioni, però egli ha sempre una donna dietro che esercita una pressione sull’uomo. “Preghiera con bambina”

Allora come si “giustifica” l’uso del burqa?

Foto di Michele D’Agata

Il Corano, non obbliga all’uso del burqa - che è una tradizione di alcuni paesi arabi - anche se le donne sono tenute a mantenere il capo coperto. Però credo che se è una libera scelta della donna può andar bene. Le donne non devono essere obbligate, però , così come c’è la libertà per le donne di spogliarsi ci può essere anche quella di coprirsi!

A sinistra: Abu Touq Mufid, Imam

Com’è vista l’omosessualità? La condanniamo, perché l’obiettivo del matrimonio è formare una famiglia e fare dei figli; gli omosessuali non possono formare una famiglia. L’uomo però dentro casa sua può fare ciò che vuole, le religione non vuole che si faccia in pubblico allo stesso modo dell’intimità tra uomo e donna.

della moschea di Catania

Per concludere, secondo lei che relazione c’è tra terrorismo e Corano? Il Corano dice che “chi uccide un’anima innocente uccide tutta l’umanità”, Allah è misericordioso e clemente, e questo non coincide con la violenza. Il terrorismo non è religione. Come i siciliani non sono tutti mafiosi, così i musulmani non sono tutti terroristi. Purtroppo i media giocano un ruolo importante; quando, ad esempio, negli anni’80 ci fu la guerra tra Unione Sovietica ed Afghanistan gli stessi mujâhidîn

afgani - che furono finanziati, armati ed addestrati dagli Stati Uniti - oggi invece, sono chiamati dai mass media terroristi o talebani. È il bisogno di un nemico che porta la civiltà occidentale a combattere chiunque, una volta c’era la guerra fredda, oggi la guerra al terrorismo islamico. Volato il tempo a nostra disposizione, delle parole di Abu Touq Mufid ci resta dentro un grande messaggio di fratellanza, di tolleranza, di rispetto e voglia di stare insieme che di questi tempi non guasta.

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i d o t n u p a t s i v

Rubrica a cura del comitato scientifico di Connecting People

Comitato scientifico Johnny Dotti

Presidente Fondazione Solidarete

Chiara Giaccardi

Ordinario di Sociologia Processi Culturali presso Università Cattolica di Milano

Abdelkarim Hannachi

Docente di Lingua Araba presso Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Catania

Natale Losi

Direttore Scuola di psicoterapia etno-sistemico-narrativa di Roma

Mauro Magatti

Ordinario di Sociologia presso Università Cattolica di Milano

Padre Beniamino Rossi

Missionario Scalabriniano Presidente A.S.C.S.

Mario Morecellini

Preside Facoltà di Scienze della comunicazione presso Università La Sapienza di Roma


punto dsi ta vi Alcuni spunti sul dialogo interreligioso di Padre Beniamino Rossi

Missionario Scalabriniano Presidente A.S.C.S

Hans Kung, in un discorso del 9 novembre 2001 (Crossing the Divide – Superare la divisione) tenuto all’ONU, sintetizzava le idee maturate nel “Parlamento delle religioni mondiali” di Chicago del 1993 in queste affermazioni: “Non c’è pace tra le nazioni senza una pace tra le religioni; non c’è pace tra le religioni senza dialogo tra le religioni; non c’è dialogo tra le religioni senza un modello etico globale; non c’è sopravvivenza del nostro pianeta e nella giustizia senza un nuovo paradigma di relazioni internazionali fondato su modelli etici globali” (KUNG Hans, Ciò che credo, p. 326). Nel mondo, che sta diventando sempre più un “villaggio globale”, accanto ad un’economia planetaria e ad una interdipendenza di tutti i vecchi ed i nuovi Stati-Nazione, assistiamo ad un pluralismo culturale, sociale e religioso che pervade tutte le società locali. Si tratta di un fenomeno grandioso nel quale le migrazioni moderne stanno giocando un ruolo fondamentale e “strutturale”. Per parlare in termini cristiani, il cristianesimo all’inizio del terzo millennio, nel villaggio globale e plurale del mondo, è chiamato ad annunciare ancora una volta la “buona - bella notizia” di Gesù alle donne ed agli uomini di questo nostro tempo: siamo in una situazione di “Galilea delle genti”, in una società ibrida e meticciata sia dal punto di vista culturale che religioso, come la terra dove Gesù ha iniziato la sua “missione”; per le donne e per gli uomini di oggi deve risuonare la grande speranza che sono amati oggi dal Padre e che il Padre vuole oggi impiantare nella loro storia il suo Regno. Ad uno sguardo superficiale le religioni sembrano costituire un ostacolo al

Da anni il Dalai Lama è impegnato nel difficile percorso di dialogo e integrazione del Tibet Fonte Flickr, foto di Lauren Victoria Burke

dialogo: nella visione di “scontro delle civiltà”, teorizzata da Samuel Huntington, il “risveglio del sacro”, rilevato dal politologo americano, ha il sapore ed il colore del fondamentalismo religioso che fa rinascere nuove paure e nuove contrapposizioni. Ma si può sperare e lavorare per un “incontro delle diversità”: una pace tra le religioni è possibile, anzi è indispensabile. Senza pretendere di dare una visione esaustiva e completa, vorrei semplicemente accennare a tre aspetti preliminari del dialogo tra le religioni.

La “conversione” delle religioni Sono le religioni, in quanto storicizzazioni culturali e cultuali di fede e credenze religiose, che sono chiamate continuamente alla “conversione” verso la realtà plurale del mondo di oggi, per non scadere nella visione ideologica o cascare nella tentazione del “fondamentalismo”. • Ogni religione, infatti, tende a promuovere una “comunione” forte e coesa ma principalmente (e spesso esclusivamente) tra coloro che si identificano in essa (i “fedeli”), vedendo gli altri e l’altro come “infedeli”. In questo contesto, le religioni, pur proclamando

un Dio di pace, un Dio universale per tutti gli uomini, con la loro azione cultuale e formativa, che vuole definire ed identificare la propria area di influenza, più che a promuovere la “comunione delle diversità”, tendono a definire, approfondire ed enfatizzare, in modo a volte esclusivo, le peculiarità di appartenenza, di credenza, di culto e di pratica religiosa. Inoltre, le religiosi storiche hanno vissuto e stanno vivendo in modo difficile e conflittuale il rapporto con la modernità, che si esprime proprio nell’attuale realtà multiculturale, multietnica e multireligiosa. Tale difficoltà e conflittualità è stata vissuta dalla religione cristiana (cattolica in particolare) già all’epoca dei lumi (secolo XVIII) e della rivoluzione francese e durante tutto il secolo XIX, caratterizzato dall’anticlericalismo, dalla laicizzazione e dalla secolarizzazione. Il percorso lungo, difficile ed a volte contraddittorio, di riconciliazione tra la Chiesa cattolica e la modernità è stato raggiunto nel Concilio Ecumenico Vaticano II, con la Costituzione pastorale Gaudium et Spes. Oggi assistiamo al difficile e complesso rapporto tra la modernità e l’Islam: la cultura secolarizzata

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punto dsi ta vi occidentale sta intaccando valori, tradizioni e comportamenti millenari, ritenuti parte integrante dell’identità sociale, culturale, religiosa islamica; di fronte a tale aggressione “satanica”, alcune frange intellettuali e conservatrici acuiscono la teorizzazione di un

fondamentalismo religioso forte e deciso, che sconfina talvolta nelle pratiche violente e criminali del terrorismo. Infine, le religioni sono portatrici di una visione sacrale e teocentrica dell’universo, dell’uomo e della storia e, per quanto riguarda la conduzione della

società, di una visione “teocratica”: è questo uno dei punti nodali di scontro tra le religioni e la modernità di oggi, che ha una visione antropocentrica dell’universo, dell’uomo e della storia, ed una visione democratica per quanto riguarda la costruzione e conduzione della società. Il cammino di abbandono della visione teocratica della società da parte del Cristianesimo è stato lento, progressivo e non ancora compiuto, anche se può trovare le sue fondamenta nella persona stessa di Gesù e nel messaggio evangelico. Sarà complesso e difficile anche il cammino che dovrà compiere la religione islamica, nata come visone teocratica della società, nella quale la legge civile si identifica con la legge religiosa: dopo la dissoluzione dell’impero ottomano, nella costituzione degli Stati-Nazione nel secolo XX nell’area islamica, si è registrato fino ad oggi il tentativo di instaurare Stati “islamici”, obiettivo centrale questo del fondamentalismo islamico.

Due cammini di “conversione” delle religioni

Il dialogo tra la chiese cattolica e ortodossa negli ultimi anni ha fatto sensibili passi avanti Fonte Flickr, foto di Beppe Modica

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A. Ogni singola religione deve operare una riconciliazione con la modernità: vedere in essa non tanto una “nequizia dei tempi”, ma piuttosto un “segno dei tempi”, uno stimolo dello Spirito perchè le religioni si rivolgano verso il presente e verso il futuro del nostro mondo e non siano ripiegate sulla tradizione e su un passato che è tramontato. Così, le “conquiste” qualificanti della società moderna possono essere pensate e valutate come un prodotto dello Spirito di Dio: • la centralità della persona umana, amata da Dio come “un assoluto” e, quindi, da ritenere un “assoluto”; l’alterità (il “tu” fondamento metafisico del mio “io”); i diritti della persona umana, centro del pensare ed agire nei rapporti interpersonali e nei rapporti sociali, economici e politici; • la solidarietà e la corresponsabilità tra tutte le donne e tutti gli uomini,


punto dsi ta vi Padre Beniamino Rossi Presidente A.S.C.S. Agenzia Scalabriniana per Cooperazione allo sviluppo. Da anni la ASCS è impegnata a sostenere l’ampio ed articolato progetto della “missione scalabriniana” nel quartiere di Croix-de-Bouquets ad Haiti, che, oltre al seminario propedeutico, gestisce una scuola per 450 ragazzi , un poliambulatorio, una fattoria, una serie di strutture per la formazione dei laici e giovani in particolare, nonché la struttura della Conferenza episcopale haitiana.

Presentazione

• l’utilizzazione dei beni di questo cittadini dello stesso villaggio globale (la “globalizzazione solidale”); mondo da ridistribuire tra fratelli, con • l’uguaglianza e la correlazione, prouna particolare attenzione a quelli più deboli, formando ad un rapporto di prio nella diversità dei generi, tra servizio e di condivisione con la natura donna ed uomo; e con l’universo. • la pace come dialogo e cooperazione Dopo secoli di lotte religiose sulle “teotra popoli, etnie, culture e religioni; logie”, alla ricerca del “volto” di Dio (della • la necessità di condivisione, di dibatproclamazione della “verità” tito e di incontro nelle Siamo in una della descrizione di Dio “agorà” locali ed intersocietà ibrida e proprio di ogni religione), nazionali per la diffici si potrebbe concentrare cile costruzione, nella meticciata sia gestione delle conflitdal punto di vista sulla ricerca del “cuore” di Dio, del suo Amore, unico tualità, di una società culturale che ed irripetibile, verso ogni coesa ed integrata; religioso donna ed ogni uomo che • la riscoperta della natuvengono in questo mondo, da Lui amati ra e di un rapporto equilibrato con essa singolarmente in modo totale. come fattore fondamentale per la convivenza per uno sviluppo economico e tecnico vivibile; Le migrazioni: provocazione per il cri• l’impegno scientifico e tecnico per stianesimo ad una nuova “missione” il miglioramento dei rapporti tra gli uomini, per la moltiplicazione delle Il cristianesimo ha vissuto quattro grandi comunicazioni e per il miglioramento stagioni missionarie: la stagione missionadel vivibilità umana. ria degli inizi, che ha visto la scristianizzaB. Seguendo la tradizione di molte zione dell’impero romano; l’assordimento religioni, che hanno come centro del loro e l’inculturazione cristiana dei popoli “barinsegnamento e della loro educazione l’orbari” fino alla composizione delle “Societas toprassi, esse devono operare il processo Christiana” del medioevo cattolico e della di una “nuova” inculturazione della fede. ecumene ortodossa; l’espansione geoSi tratta di impostare un annuncio ed una grafica del cattolicesimo e del protestancatechesi religiosa, che presentino: tesimo all’epoca successiva le scoperte • la visione di un Dio “centrato sull’uomo”; geografiche; la grande epopea missionaria • la visione dell’uomo e del senso dell’epoca della colonizzazione. della sua vita che sia soAnche altre religioni, tra cui stanzialmente “per dono”; l’Islam, hanno conosciuto • lo scopo dei rapporti tra le donne e gli uomini, finalizzato alla costruzione di una società solidale e fraterna;

una forte espansione geografica, secondo differenti parametri storici. Ognuna delle religioni tentava di allargare i propri spazi territoriali di omogeneità religiosa. Nel mondo decolonizzato e globalizzato siamo in una situazione di stallo e di contrapposizione esplosiva: i margini di espansione sono diventati esigui e, sotto molti aspetti, anacronistici, sconfinando nell’aggressività del proselitismo e della violenza. La “missionarietà” deve scoprire nuove strategie e nuovi contenuti. Il Dio che ama e parla alle donne ed agli uomini della globalizzazione sembra proporre il linguaggio della “convivenza” delle difficoltà e, quindi della “pace

Assisi è spesso teatro di incontri ecumenici e interreligiosi Fonte Flickr, foto di Stefano Pertusati

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punto dsi ta vi ecumenica fra le religioni mondiali” (KUNG Hans, Op. Cit., p. 336). In questo contesto le migrazioni moderne possono essere viste come la “provocazione” a questa nuova cultura missionaria. In effetti, le migrazioni presentano, sotto l’aspetto sociale, politico e culturale, caratteristiche inedite e si collocano nella stagione della globalizzazione che caratterizza il nuovo millennio. Le migrazioni del mondo globalizzato sono da considerarsi ”strutturali” alle economie e alle società, ma devono essere considerate come “strutturali” anche sotto l’aspetto religioso. La Chiesa cattolica nel Concilio Ecumenico Vaticano II si è autodefinita “sacramento” del Padre, del Figlio e dello Spirito nella storia delle donne e degli uomini di oggi: “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Lumen Gentium 1). E si è impegnata ad esserlo in modo “missionario”: dopo secoli di Societas Christiana, che aveva dato la sensazione di essere divenuta “stanziale”, lo Spirito Santo sta mettendo la Chiesa di nuovo in movimento, la sta rendendo di nuovo “pellegrina”, affinché annunci ad un mondo, mai così intercomunicante e mai così cosciente delle proprie diversità, che esso è chiamato a vivere in modo “comunionale” le proprie diversità.

Questo annuncio deve essere svolto prima di tutto nell’interno variegato di ogni chiesa locale: l’impegno verso una “cattolicità culturale” sostituisce l’antica visione “geografica” della cattolicità. Se l’obiettivo dell’annuncio e della catechesi missionaria della Chiesa pellegrina è quello della promozione della “comunione delle diversità”, l’atteggiamento della Chiesa e dei cristiani verso le migrazioni (diversità evidenti) diventa la “cartina di tornasole” per verificare fino a che punto tale annuncio di comunione stia penetrando nella mente, nel cuore e negli atteggiamenti di coloro che si definiscono “credenti”. Assistiamo, di fatto, ad atteggiamenti xenofobi proprio in tanti che si dicono e si professano “fedeli” e praticanti cattolici: l’annuncio e la catechesi della “comunione delle diversità” è da rivolgere innanzitutto a coloro che si sentono parte della Chiesa e l’invito alla “conversione” coinvolge in primo luogo proprio costoro. Ma assistiamo anche ai migranti cattolici che vivono da “vittime dell’emigrazione”: sono fagocitati in un riduzionismo delle aspirazioni che tarpa le ali dello spirito; si rinchiudono in se stessi in ghetti etnico linguistici ed in identità chiuse

Sono tante le aree in cui ancora esistono tensioni fra ebrei e musulmani Fonte Flickr, foto di Dario Buonfantino

La condizione della donna è uno dei temi che spesso fanno esplodere il conflitto “Richiamo” Foto di Michele D’Agata

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e necrofile. L’annuncio e la catechesi della “comunione delle diversità” deve essere rivolta proprio a loro: senza una “conversione” non possono accogliere la “buona - bella notizia” che il Regno del Padre si costruisce proprio nella loro storia. La Chiesa per evangelizzare deve lasciarsi evangelizzare continuamente dal Vangelo di Gesù ed anche i cristiani (sia autoctoni che migranti), per poter annunciare Gesù, devono prima lasciarsi evangelizzare e catechizzare da Gesù. La Chiesa, quindi, è chiamata, prima di tutto nel suo interno, a operare una “conversione” ad una cultura di “comunione”. L’annuncio di vivere “in modo comunionale le diversità” si allarga alla dimensione “ecumenica”. Quando, nel secolo XVI, era esplosa la “riforma”, la visione dell’omogeneità confessionale di quel tempo era esplosa anche la stagione funesta delle “guerre di religione” e si era composta un’omogeneità confessionale a macchia di leopardo secondo il principio “cujus regio ejius religio”. Ma questo dogma sociopolitico-culturale-religioso era entrato in crisi con le migrazioni del XIX secolo ed ancora di più con le migrazioni


punto dsi ta vi

odierne, che hanno reso di attualità l’ecumenismo come paradigma di convivenza pacifica sociale, culturale e religiosa; basti pensare alle migrazioni ortodosse dall’Est Europa. Le migrazioni hanno portato in ogni società locale un pluralismo religioso globale, che ci impone di superare l’antica visione delle “religioni in lotta” e perfino la “competizione delle religioni”. Uno accanto all’altro, oggi, perfino nella nostra Italia “cattolica” sono presenti modelli religiosi plurimi: dal modello indù, a quello di Buddha e di Confucio, che si intrecciano con l’antico modello ebraico e al modello islamico diventato una minoranza ormai altamente significativa, mentre si è venuta formando nel corso dei decenni passati una categoria di persone che si dicono e si vogliono areligiose (gnostici – atei – miscredenti – anticlericali - laicisti, ecc.). Sono nati in questi anni i “movimenti ecclesiali” che si pongono come “missionari” soprattutto questa ultima categoria di persone, alla ricerca di una “radicalità evangelica”. Credo che sia da ripensare una nuova

missionarietà verso la variegata “Galilea delle genti” che è diventata ogni nostra società locale. Dobbiamo forse riscoprire la “missionarietà” del Padre di misericordia che continua ad amare questo nostro mondo concreto, abitato dalle sue figlie e dai suoi figli, diversi e diversificati secondo i nostri parametri di etnia, cultura e religione: quella missionarietà che l’uomo Gesù di Nazareth ha vissuto veramente con “radicalità”. Personalmente credo che le donne e gli uomini di oggi, diversi nelle loro fedi e nelle loro credenze, sono chiamati a “narrare, nelle loro diversità, le grandi cose che il Dio d’amore compie nella loro concreta esistenza”. Hans Kung così descrive quello che lui definisce la sua “visione di speranza”: 1. Sempre più persone realizzeranno che le tre grandi religioni profetiche (Ebraismo, Cristianesimo e Islam) costituiscono un primo sistema religioso di movimento coerente, che ha una comune origine semitica... I fedeli di queste tre religioni professano tutti la fede nell’unico Dio di Abramo, Colui che ha creato e porta a compimento

questo mondo; credono in un corso della storia orientato al futuro ed in un’etica fondamentale di elementare umanità (i 10 comandamenti). 2. Sempre più persone, in uno spirito di riconciliazione, impareranno a farsi arricchire anche dal secondo sistema di correnti religiose, quello che trae origine dalla mistica indiana (induismo e buddhismo soprattutto) e dal terso sistema di carattere sapienziale cinese (confucianesimo e taoismo): dai loro valori spirituali, dalla loro profonda mistica, dalla loro concezione del mondo e dell’uomo, che si tramandano nei secoli. 3. Sempre più, all’opposto, le stesse tre religioni profetiche, attingendo alla loro inesauribile eredità, faranno dono alle altre religioni delle loro esperienze spirituali, lontane da ogni tipo di colonialismo religioso, da ogni presunzione trionfalistica, da ogni svalutazione o monopolizzazione spirituale. Nell’insieme, non un mondo ideale delle religioni, ma religioni che, senza rinunciare alla propria verità, vivano in pace” (KUNG Hans, Op. cit. pp. 337-338).

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oltremare

Gli Africani e Dio

Fonte Flickr, foto di Nora my love

Le religioni e il rapporto con il sacro degli africani di Stéphane Ebongue Koube

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Le religioni tradizionali africane Sebbene non esistano parole nelle lingue africane per designare in modo preciso il concetto di religione, la realtà spirituale in Africa è ben anteriore all’arrivo dell’Islam verso l’VIII secolo e del Cristianesimo tra il XV e il XIX secolo. Gli africani sono intimamente legati alla natura e alle forze che la regolano e credono in un Dio unico. Occorre infatti notare che tutte le parole nelle lingue africane per indicare Dio lo riconoscono come uno solo, al contrario di alcune letterature che conferiscono un carattere politeista alle religioni africane. Tali parole variano in base al luogo di riferimento. Dio si chiama Amma in Dogon, Engai in Massai, Maa Ngala in Mandingue, Olodumare in Yoruba, Nyame in Fang, Nzambe in più lingue bantu. Dio è allo stesso tempo unico e plurale nelle sue azioni e gli spiriti e le forze della natura rappresentano le sue diverse sfaccettature, come la trinità per i cattolici. Secondo fonti concordanti, gli adepti delle religioni tradizionali africane sono sparpagliati in 43 paesi e corrispondono

a quasi 100 milioni di individui, vale a dire il 70% degli adepti di religioni tradizionali nel mondo. In Africa invece, rappresentano il 12% della popolazione totale, poiché il 45% degli africani è cristiano e il 40% musulmano. Le religioni africane influenzano svariati aspetti delle usanze dell’Islam e del Cristianesimo. Nella Chiesa Cattolica, ad esempio, si osserva l’introduzione di alcuni

Stéphane Ebongue Koube È nato il 18/02/70 in Camerun. Ha conseguito un First degree in Journalism and mass communication e un master in English literature. Ha lavorato in Camerun come giornalista. Nel maggio del 2007 è arrivato in Italia, dove è rifugiato per motivi umanitari. Qui ha lavorato alla Claudiana, la casa editrice della chiesa Valdese a Torino.

Presentazione

N

umerosi studi sui fondamenti e sulla forma del pensiero religioso africano sono unanimi nel riconoscere che il rapporto dell’africano con il Sacro è essenziale nella vita quotidiana. Tutte le attività trovano senso e vitalità nell’interazione permanente fra il Creatore e le creature. Oggi, i rapporti tra gli africani e Dio si sono modificati in modo significativo, in seguito all’influenza invadente della spiritualità occidentale o orientale, benché quest’ultima in minor misura. Le religioni tradizionali africane perdono del terreno rispetto a quelle dette “del libro”. Allo stesso tempo, la sovrimposizione delle stesse su un substrato tradizionale fortemente radicato ha creato forme di sincretismo e credenze particolari. Al di là degli aspetti puramente religiosi, la povertà strisciante nel “Continente Nero” ha dato origine ad attività para-spirituali. Così, sballottati fra sollecitazioni di natura diversa, gli africani hanno comunque conservato un rapporto particolare con Dio. Occorre porci alcune domande per meglio approfondire tale argomento. Quali sono i fondamenti del pensiero religioso africano? Quali sono i rapporti fra le religioni tradizionali e quelle dette “del libro”? Si può ancora parlare oggi di una spiritualità specificamente africana?


oltremare Religioni africane e globalizzazione. Le nuove fedi di Stéphane Ebongue Koube

Il proselitismo dell’Islam e del Cristianesimo, con particolare riferimento alla sua componente pentecostale, ha condizionato le credenze tradizionali al punto da farle diventare marginali. La propaganda islam-cristiana le dipinge come stregoneria, paganesimo o credenze non ben definite. Esistono comunque delle notevoli resistenze, soprattutto nell’Africa dell’Ovest e in quella Centrale. I Fong-Egbe, gli Ewe, gli Yorubas del Togo, della Nigeria e del Benin, ad esempio, praticano ancora in modo permanente e ortodosso il Vodu, mentre i Fang del Gabon e della Guinea Equatoriale praticano il Bwiti, in cui l’Iboga, una pianta allucinogena della foresta equatoriale svolge un ruolo di primo piano. Escludendo il proselitismo delle nuove religioni, le religioni tradizionali africane svaniscono per altri motivi, quali l’invecchiamento e la scarsità dei preti tradizionali e il disinteresse dei giovani verso quella forma di spiritualità che giudicano antica. Più che le Chiese cattoliche e protestanti, ormai considerate dai giovani come Chiese “morte”, si moltiplicano in modo notevole in Africa le Chiese dette “del risveglio”. Tre ragioni possono giustificare tale successo: • La facilità con cui ognuno può creare una Chiesa. A tal riguardo, in molti paesi africani al Sud del Sahara, non vi è nessun ostacolo amministrativo alla creazione di una Chiesa. Nessuna attenzione è rivolta né verso l’integrità morale, né sulla formazione spirituale di chi vuole avviare un’impresa del genere.

elementi del culto tradizionale africano, quali la danza e gli strumenti di musica tradizionale. In alcuni canti rituali diventati canti liturgici, si sono soltanto sostituiti i nomi delle divinità africane con Gesù, Dio o Maria. Gli egittologi affermano che ogni popolo al sud del Sahara ha ereditato dei principi della religione primitiva degli Egizi antichi che traggono origine nella Valle del Nilo. In seguito, con le migrazioni e le mescolanze diverse, si è verificata una diversificazione dei modi di esprimere la

• Il messaggio è alimentato dalla grande povertà dei fedeli. Lontano da un messaggio puramente spirituale centrato sul paradiso e sulla vita eterna, come per i cattolici o i protestanti tradizionali, i pastori delle Chiese dette “del risveglio” predicano sulla ricchezza, la prosperità, il matrimonio, la fecondità, il lavoro e, a volte, il viaggio degli africani che sognano di raggiungere l’Europa. Un tale messaggio è più pratico e più attraente di quello che predica il ritorno di Gesù per premiare i buoni e punire i cattivi. • L’aspetto spettacolare delle cerimonie religiose: i pastori dicono di compiere dei miracoli, aiutati in ciò dall’azione dello Spirito Santo. Lo stato di “trance”, in cui l’individuo parla più lingue è ampiamente diffuso. Alcuni versi della Bibbia sono abusivamente predicati: essi invitano i fedeli a effettuare delle donazioni a favore della Chiesa. Anche in questo caso, è evidente il sincretismo col pensiero spirituale tradizionale. Anche senza volerlo, i cristiani africani oggi sono in qualche modo ibridi, a cavallo tra credenze ancestrali e nuove fedi. Ciò può spiegare la loro difficile integrazione in un contesto culturale diverso. Al di fuori dell’Africa, vi è la tendenza a ricreare un sistema spirituale simile a quello consueto, dove il ritmo, la danza e i miracoli rivestono un ruolo importante. In Europa, e in Italia in particolare, vi sono parecchie chiese africane frequentate esclusivamente da fedeli africani. Nelle chiese abitualmente frequentate da Europei, la presenza africana è marginale.

propria spiritualità. Tuttavia, tutte le religioni hanno conservato una base comune, articolata intorno al culto degli antenati, il totemismo e la credenza nella reincarnazione. Qui, l’assenza di proselitismo è dovuta alla similitudine delle abitudini religiose ovunque. In Africa, la linea di demarcazione tra religione e tradizione è talmente lieve che i due concetti si confondono. Secondo l’etnologo francese Marcel Griaule, “La religione tradizionale africana è un sistema di relazioni fra il mondo

Fonte Stock.XCHNG, foto di Cristiano Galbiati

visibile degli uomini e il mondo invisibile regolato da un Creatore e dalle potenze diverse della natura che rappresentano la sua manifestazione”. Le forze della natura costituiscono una rete d’intermediari tra Dio e gli uomini. Tutti gli aspetti della vita quotidiana sono legati alla spiritualità: le stagioni, la nascita, la pubertà, il matrimonio, la vecchiaia e la morte. Al contrario del pensiero giudeo-cristiano, la morte nel contesto religioso africano non è sinonimo d’annientamento. La morte è una fine certa, ma altresì l’inizio di un altro percorso. La credenza in una forza vitale cosmica è centrale. Tale forza proviene dagli spiriti della natura, dagli antenati, dai capi villaggi e dagli iniziati. I riti e i culti partecipano allo sviluppo di tale forza. La preghiera, i sacrifici, la danza sacra sono le principali forme di culto. Qui, il sacrificio ricopre quattro funzioni: • Una funzione divinatoria, per interpretare gli atti e le situazioni passate. • Una funzione d’identificazione, per stabilire un legame tra il mondo dei vivi e quello degli antenati. • Una funzione di purificazione, per purificare l’individuo da tutti gli errori commessi e dai divieti infranti. • Inoltre, è necessario durante i riti di passaggio che conferiscono all’individuo una funzione sociale diversa. Il capo villaggio è anche capo spirituale. In Africa, i luoghi di culto corrispondono ai luoghi di vita. Il limite tra il sacro e il profano è quasi inesistente. In alcuni casi, rispetto a circostanze particolari, esistono posti e tempi sacri. Sono luoghi in cui alcuni spiriti entrano in contatto con dei corpi posseduti o in stato di trance. Nei riti religiosi africani, digiuni, preghiere, offerta di sacrifici e le cerimonie dedicate agli antenati ricoprono una grande importanza.

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progetti La fondazione Xenagos L’ultima scommessa di Connecting People di Serena Naldini

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el mese di maggio dello scorso anno è nata Xenagos - Fondazione per l’integrazione, una fondazione senza scopo di lucro costituita per volontà del consorzio Connecting People al fine di sviluppare attività a favore dell’integrazione culturale e sociale delle persone migranti nelle terre d’approdo. “Abbiamo creato una fondazione di partecipazione per rendere l’integrazione un problema, un fenomeno condiviso,” afferma Orazio Micalizzi, presidente di Xenagos. “Le prime azioni in questa direzione,” continua

Micalizzi, “sono l’indizione del concorso per il logo della nostra organizzazione e la garanzia finanziaria concessa a una cooperativa che interviene nel campo dei migranti.” La fondazione intende favorire processi di accoglienza, di formazione professionale e di inserimento nel mondo del lavoro per le persone migranti, nonché di salvaguardia e aiuto per i minori non accompagnati, le donne e tutte le persone vittime di soprusi e violazioni della carta dei diritti umani. Questi scopi sono perseguiti anche sostenendo la progettazione di consorzi e cooperative in questo ambito. Xenagos è una fondazione aperta. Possono divenirne membri persone fisiche o giuridiche, enti pubblici e privati che vengano ritenuti meritevoli di assumere tale qualifica per caratteristiche relative alle finalità perseguite e all’esperienza acquisita. “Presto promuoveremo i primi incontri con possibili partner e altri soggetti interessanti,” dichiara Mauro Maurino, vicepresidente. ”I primi passi della fondazione sono infatti orientati all’acquisizione di un minimo di visibilità per costruire le alleanze e le partecipazioni che consentano di raggiungere gli obiettivi ambiziosi che ci siamo posti.” Xenagos - in greco, guida dello straniero - ha sede a Catania ed esplica le proprie finalità di solidarietà sociale anche in ambito internazionale. Oltre a Micalizzi e Maurino, il Consiglio di Amministrazione della neonata fondazione vede la partecipazione di Vito Luca Scozzari, mentre il Consiglio Generale è composto, oltre che dai tre membri del Consiglio di Amministrazione, da Carlo Tedde. L’impegno della fondazione è volto alla ricerca, allo studio e

all’elaborazione di proposte e soluzioni relative ai fenomeni legati all’integrazione sociale, abitativa e sanitaria e all’immigrazione nel suo complesso, sia in Italia che in ambito europeo e internazionale, al fine di promulgare all’estero nuovi modelli di welfare state e favorire lo sviluppo socioeconomico dei paesi terzi, in particolare dei paesi di origine dei migranti. Per realizzare le proprie finalità, Xenagos si serve di una serie di strumenti quali la gestione dei beni confiscati alla mafia, la raccolta di fondi, l’assunzione di prestiti, l’acquisto di immobili, la stipula di convenzioni con enti pubblici o privati, l’organizzazione di esposizioni e congressi, lo svolgimento di attività formative, la pubblicazione e la diffusione di opere scientifiche, culturali e di riviste e la promozione di attività di studio e di ricerca. Lo statuto della fondazione prevede inoltre la possibilità di eleggere un comitato scientifico per supportare Xenagos sotto il profilo tecnico-scientifico nel perseguimento della propria finalità, in particolare nella definizione e realizzazione degli obiettivi e dei progetti. “La scelta degli strumenti con cui intervenire non è neutrale,” sostiene Micalizzi. “Le fondazioni hanno una vocazione redistributiva accentuata, sono potenzialmente capaci di raccogliere risorse anche da soggetti considerati lontani e trasformano risorse private in risorse di pubblica utilità,” spiega il presidente di Xenagos. Il consorzio Connecting People ha dotato la neonata fondazione del proprio bagaglio esperienziale, arricchendo la scommessa che essa rappresenta con il pensiero scaturito dal proprio operare pluriennale nel campo delle culture migranti e dell’accoglienza. Per quanto concerne le risorse economiche, Connecting People ha investito in Xenagos una somma pari a 150.000 euro, di cui 100.000 come fondo di dotazione e 50.000 come fondo di gestione della fondazione. “L’integrazione è una prospettiva che richiede lavoro e risorse,” conclude Maurino. “Connecting People ha messo a disposizione di un’idea di integrazione un piccolo patrimonio. La nostra attesa è che altri si uniscano a noi, investendo su questa scommessa. Per poco o tanto che sia, siamo certi che sapremo gestire con oculatezza quanto ci è affidato”.

Loretta Alberghina “Somali Girl”, tecnica mista su tela, 30x30



progetti Progetto Nautilus Dall’accoglienza all’integrazione Redazione SQM

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l progetto Nautilus persegue l’obiettivo di migliorare l’efficienza del sistema nazionale d’asilo, orientando i richiedenti e titolari di protezione internazionale verso l’insieme dei servizi offerti sul territorio. Nautilus mira a costruire la base conoscitiva necessaria per un’efficace politica d’integrazione socio economica. L’azione progettuale si concretizza nella costituzione di dodici Sportelli di Contatto che con la loro attività contribuiranno al raggiungimento di diversi obiettivi: potenziare l’attività ordinaria di orientamento e informazione offerte ai richiedenti e titolari di protezione internazionale; evitare la dispersione dei beneficiari di protezione,

tipologia: interviste ai beneficiari attraverso promuovere l’integrazione dei servizi offerla somministrazione di un questionario apti, creare un collegamento tra i CARA, rete positamente sviluppato per il progetto, inseSPRAR e altre realtà presenti sul territorio. rimento dati e informazioni rilevate su banca Contemporaneamente sarà fondamentale dati, mappatura dei territori. Sulla base delle raccogliere informazioni sui richiedenti informazioni raccolte, ai e titolari di protezione internazionale, inclusi dati L’azione progettuale beneficiari saranno forniti relativi alle loro biografie si concretizza nella servizi di orientamento, personali, ossia in merito costituzione di dodici informazione, sostegno e verso i alle loro generalità, nonsportelli di contatto accompagnamento servizi del territorio: centri ché dai loro background, Sprar o altre soluzioni territoriali di accoesperienze professionali, qualifiche, interessi, glienza, corsi di formazione professionale, aspettative, titoli di studio contribuendo borse lavoro, tirocini formativi, forme di ina definire “profili migratori” così come serimento lavorativo, forme di assistenza indicato dalla Commissione Europea. Le all’inserimento abitativo. attività previste sono tante e di diversa

Partenariato di progetto

Risultati attesi

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Consorzio Connecting People IOM - Organizzazione Internazionale per i Migranti Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale - La Sapienza AICCRE - Associazione Italiana per il Consiglio dei Comuni e Regioni d’Europa Consorzio Mestieri

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Allestimento di 12 sportelli operativi Realizzazione di 10.000 interviste individuali ai richiedenti e titolari protezione internazionale Realizzazione di 30 tavoli di concertazione a livello locale Inserimento di 2.000 R.A. nella rete SPRAR o in altre soluzioni di accoglienza presenti sui territori Creazione della banca dati Inserimento dati rilevati su banca dati Fornire ai beneficiari servizi di orientamento, informazione, accompagnamento verso corsi di formazione professionale, borse lavoro, tirocini formativi, forme di inserimento lavorativo, forme di assistenza all’inserimento abitativo Pubblicazione di un rapporto di ricerca


progetti Progetto Next Accoglienza, Riabilitazione e Integrazione Di Sebastiano Pomona direttore del progetto

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per migliorare ulteriormente la qualità l partenariato costituito dal Consordel lavoro all’interno dei centri e i livelli di zio Connecting People, e dall’Orgareciprocità col territorio. nizzazione Internazionale per le MiSono stati così individuati gli obiettivi grazioni, che hanno maturato significative specifici del progetto che possiamo riasesperienze nella gestione di fondi comusumere nel modo seguente: ob. A) raffornitari, nazionali e regionali per la realizzazare la rete territoriale fra enti pubblici e zione di progetti complessi in partnership privati, principali attori del settore; ob. di ampia articolazione associativa e/o istiB) rafforzare le competenze di operatotuzionale, d’intesa con alcuni enti pubblici ri pubblici e privati che contattano il die privati della Provincia di Gorizia, gestisce sagio dei gruppi c.d. nel territorio il Progetto vulnerabili attraverso NEXT, finanziato dal F.E.R. Il lavoro che l’utilizzo di strumenti 2009, con l’obiettivo di ha condotto alla a comprenderlo; migliorare le condizioni di elaborazione di NEXT atti ob. C) creazione e foraccoglienza e di presa in si è articolato mazione di n. 3 équipe carico di soggetti vulneattraverso sistematici multidisciplinari in grarabili, attraverso il raffore proficui momenti di do di rispondere sia ai zamento della rete territoriale e la messa in pratica confronto tra tutti gli bisogni personali dei soggetti vulnerabili, sia di una sperimentazione di interlocutori alle eventuali necessità gruppi di trattamento clidei servizi di accoglienza; ob. D) sperinico secondo l’ottica psico-sociale. mentare gruppi di trattamento secondo Il processo di coinvolgimento dei partner l’ottica psico-sociale nel CARA di Gradisca ha avuto inizio fin dalla fase di costruzione d’Isonzo e/o presso servizi eventualmendell’idea progettuale. Il lavoro che ha conte segnalati dagli enti locali del territorio; dotto alla elaborazione di NEXT si è infatti ob. E) Inserimento lavorativo dei soggetti articolato attraverso sistematici e proficui vulnerabili nelle cooperative sociali del termomenti di confronto tra tutti gli interloritorio attraverso la promozione di borse cutori che hanno aderito all’iniziativa. lavoro; ob. F) realizzare una strategia di coL’esigenza di realizzare le azioni che l’inimunicazione e informazione rivolta alla coziativa prevede, prende l’avvio da una rimunità locale su migrazioni e asilo politico. cerca realizzata da Connecting People nel Attualmente sono in fase di realizzacorso del 2009 nel territorio della Provinzione le attività formative delle équipe cia di Gorizia, poi confluita nel testo “Visioni di Confine” Sviluppo Locale Ed., che, partendo dalla gestione del C.I.E. e del C.A.R.A. di Gradisca d’Isonzo, approfondisse l’interazione tra i centri e la comunità locale al fine di fornire indicazioni articolate su cosa fare, in quale direzione farlo e come proseguire

multisciplinari, che saranno costituite da operatori del pubblico e del privato sociale goriziano e la selezione dei destinatari delle azioni di trattamento gruppale provenienti principalmente dall’accoglienza presso il CARA di Gradisca e dagli altri enti di accoglienza del territorio. NEXT contribuisce allo sviluppo di una buona prassi territoriale di presa in carico psicosociale. Infatti, l’iniziativa si sviluppa attraverso la facilitazione di un continuo processo di consultazione/supervisione che viene guidato da una Struttura di coordinamento composta dai rappresentanti di ciascun partner e da un Gruppo di esperti. Il 28 gennaio u.s., presso la Sala Della Torre gentilmente concessa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia, si è tenuto il convegno inaugurale dal titolo “NEXT – Prospettive Territoriali dell’inclusione sociale di persone vulnerabili richiedenti asilo/titolari di protezione internazionale” cui hanno partecipato autorità ed operatori del territorio. Al convegno inoltre ha relazionato, tra gli altri, il Direttore Regionale per il Mediterraneo dell’O.I.M. José Angel Oropeza che ha attenzionato il ruolo e gli ambiti di intervento in Italia dell’Organizzazione.


news ROMA

Dossier immigrazione Caritas-Migrantes 2010 di Serena Naldini responsabile comunicazione CP

La presentazione nazionale del XX Dossier immigrazione ha avuto luogo il 26 ottobre al teatro Orione a Roma e in contemporanea in tutte le regioni italiane. Per sottolineare l’importante ricorrenza dei venti anni, l’edizione 2010 del Rapporto ripropone la copertina del 1991, anno di pubblicazione del primo Dossier, e viene lanciata con lo slogan: “Per una cultura dell’altro”. “20 anni per la conoscenza dell’altro, per superare pregiudizi e chiusure e promuovere l’integrazione e le pari opportunità in un intreccio di doveri e di diritti,” commentano Caritas Italiana e Fondazione Migrantes, i due organismi pastorali della Cei che promuovono il Dossier insieme alla Caritas diocesana di Roma e che si occupano delle migrazioni con specifiche competenze. La presenza di immigrati regolari in Italia è cresciuta di 10 volte dal 1990 arrivando agli attuali cinque milioni. A questo forte aumento, corrisponde però anche una crescita dell’atteggiamento di chiusura nei confronti degli stranieri, sia da parte dei politici sia da

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parte della popolazione, basato principalmente sull’idea che gli immigrati siano un male per l’Italia. La tesi principale del Dossier 2010 è che questa visione si discosti non solo dalla dottrina sociale della Chiesa cattolica, ma anche dagli interessi del paese. Molti dati statistici in effetti attestano che il nostro sistema economico è in profonda crisi. In questo contesto l’immigrazione, lungi dal rappresentare un ulteriore fattore negativo, risulta essere un’opportunità per l’Italia, per diversi ordini di ragioni. Innanzitutto, i migranti rimediano alle carenze di manodopera in vari settori - in particolare servizi di cura alla famiglia, edilizia e agricoltura - introducendo nel sistema all’incirca 2 milioni di persone che rappresentano il 10% di tutti gli occupati. In secondo luogo, i migranti garantiscono ai lavoratori italiani opportunità occupazionali più soddisfacenti, svolgendo lavori di livello inferiore rispetto alla loro formazione (4 su 10), fornendo prestazioni in orari disagiati (sera, notte e festivi) e percependo una retribuzione inferiore (-23% rispetto agli italiani, una media di 971 euro). Questo fatto è confermato da diversi studi, tra i quali uno della Banca d’Italia (luglio 2009). I migranti danno un apporto alla creazione del PIL (11%) di molto superiore alla loro consistenza numerica (7% sulla popolazione residente) e pagano tasse e contributi nella misura di un miliardo di euro l’anno in più rispetto alla spesa sociale in loro favore da parte dello Stato. Nello stesso senso, i migranti assicurano un supporto notevole all’INPS, pagando annualmente 7,5 miliardi di contributi previdenziali e al contempo gravando in misura minimale sui bilanci previdenziali: attualmente è pensionato 1 immigrato su 30 (tra gli italiani 1 su 4), mentre nel 2025 sarà pensionato 1 immigrato ogni 12 (e tra gli italiani 1 su 3). I migranti potrebbero essere anche di maggior supporto al Paese. Le nuove normative, però, rendono complicata l’acquisizione di un permesso di soggiorno stabile, pregiudicano la concessione dei mutui (dal 10% di qualche anno fa siamo scesi al 6,6%) e incidono negativamente sulla possibilità di costituire nuove imprese. È inoltre troppo breve il periodo di sei mesi concesso ai disoccupati per trovare un nuovo lavoro, soprattutto in considerazione dell’attuale crisi occupazionale. Nonostante le previsioni lascino intendere che l’Italia, a metà secolo, si collocherà presumibilmente

al vertice europeo per numero di migranti, i fondi vengono soprattutto destinati alle azioni di contrapposizione alle migrazioni. Secondo una stima riportata nel Dossier, si tratta di circa 2 miliardi e mezzo di euro. Il Rapporto sottolinea come invece siano necessarie risorse che favoriscano l’integrazione, sia per l’inserimento dei quasi 5 milioni di immigrati in posizione regolare, sia per i richiedenti asilo (17.670 nel 2009). Detto con le parole di Mons. Guerino Di Tora, Vescovo ausiliare della diocesi di Roma e Presidente della Commissione Migrazioni della Conferenza Episcopale del Lazio, “la società multiculturale deve diventare una società interculturale.” Ricordando Mons. Luigi Di Liegro, fondatore del Dossier, commemorato durante la presentazione del XX Rapporto, Mons. Di Tora, prosegue con queste parole: “Le culture si devono incontrare: multicultura è solo un dato di fatto, mentre intercultura è una strategia imperniata sul confronto, sul dialogo e sulla mediazione.”

DA “LA BUSSOLA QUOTIDIANA” DEL 18.1.2011

Sosteniamo la nuova democrazia di Giorgio Gibertini direttore di Storie di questo mondo

San Lupo, paesino sperduto nella Provincia beneventese, con novecento abitanti e 35 eritrei “rifugiati politici” come ospiti. Qui incontriamo Mourad Aissa «tunisino italiano e italiano tunisino», come dice lui, un uomo di 36 anni, sposato, una figlia di nome Tamara. Laureato in Fisica e Chimica, è in Italia dal 2001 come mediatore culturale. Oggi è direttore del Centro di accoglienza per eritrei di San Lupo, gestito dal Consorzio Nazionale Connecting People nell’ambito del progetto ministeriale PON-Piccoli comuni grande solidarietà. Profondo conoscitore sul campo del fenomeno immigrazione, Mourad ci accoglie nel suo centro felice «perché una nuova Tunisia democratica sta nascendo e io lo voglio testimoniare».


news

Dottor Aissa, la situazione in Tunisia la preoccupa? Come la sta vivendo? Sono preoccupato, ma pure felice. Quello che il mio Paese ha vissuto dal 17 dicembre al 14 gennaio sarà ricordato dalla storia perché sta nascendo davvero una nuova Tunisia, dal basso e finalmente democratica. Sono preoccupato perché a sentire i miei famigliari la situazione non è ancora stabile ma c’è tanta voglia di ricominciare, di ricostruire, di ripartire.

I flussi migratori dalla Tunisia all’Italia sono sempre stati regolari e non hanno mai provocato problemi. Ora, causa questa situazione in atto, dobbiamo aspettarci una invasione di tunisini? Sì, finora il rapporto tra italiani e tunisini è stato ottimo soprattutto per chi, come me, è venuto nel vostro Paese regolarmente,

in cerca di lavoro e si è stabilizzato. Ci sono tanti tunisini in Italia e in generale in Occidente, perfettamente integrati. Credo che ora vivremo due momenti: inizialmente è possibile che, a causa della situazione di “limbo” e di grande confusione in corso, molti tunisini si riversino in Italia in cerca di fortuna magari chiedendo asilo politico proprio a causa della nuova situazione. Voglio essere il più chiaro possibile: vi potranno essere alcuni miei connazionali che cercheranno di strumentalizzare la situazione per trovare tutti gli escamotage possibili onde farsi accogliere. Chi era povero in Tunisia, in questa fase lo è ancora di più e quindi farà di tutto per sopravvivere. Fino a ora non era possibile entrare in Italia se non con permesso regolare di soggiorno o come clandestini: la situazione attuale ha dato una possibilità in più, quella dell’asilo politico e molti ne approfitteranno.

La seconda fase? Come sa, quello attuale è un governo di transizione; ma tra qualche mese i Paesi occidentali dovranno impegnarsi a sostenere il governo. Gli imprenditori occidentali presenti in Tunisia (soprattutto gli italiani) non debbono però abbandonare il Paese, ma dare segnali di sostegno alla nuova

gestione pur di transizione e offrire lavoro dignitoso a chi legittimamente lo chiede. Anche il governo italiano deve impegnarsi a sostenere il mio Paese cercando di lanciare progetti che, in Tunisia, mantengano vivo il turismo. C’è del resto bisogno anche di sostegno propriamente politico in modo che i tunisini decidano di rimanere in loco per favorire lo sviluppo e la crescita economica. Si può puntare anche sull’aspetto motivazionale poiché i tunisini si sentono davvero attori protagonisti del nuovo scenario e non più succubi come lo sono stati per tutto questo periodo: sono stati loro a mandare via il governo, a conquistare la democrazia, a guadagnarsi il rispetto di tutto il mondo.

E voi tunisini che avete fatto fortuna all’estero, tornerete? Mi piacerebbe tornare, certo. Ma quando sento i miei famigliari, capisco che noi emigrati all’estero possiamo aiutare il nostro Paese benissimo da qui parlando a voi occidentali di quello che realmente accade, inviando fondi, recandoci in patria per le vacanze e sensibilizzando l’Occidente intero perché, come ho detto, è davvero questo il momento di sostenere la nuova Tunisia democratica.


press I testi completi sono consultabii e scaricabili nella sezione stampa del sito www.connecting-people.it

Rubrica a cura di Salvo Tomarchio

Corriere della Sera 11.10.2010

di Gian Guido Vecchi È la prima volta che tutti i vescovi e i patriarchi delle sei chiese cattoliche orientali, oltre ai latini, si ritrovano assieme in Vaticano, «radunati presso il sepolcro di Pietro», ha scandito ieri mattina Benedetto XVI. Ed è la prima volta che un’assemblea è dedicata non a un tema, un Paese o un continente, ma a una regione del mondo, come ricordava padre Federico Lombardi. ‘Il sinodo sul Medio Oriente che si apre oggi per due settimane segna la volontà del Papa di non lasciare che la condizione della sparuta minoranza cristiana “nella culla della Chiesa” sia oscurata o dimenticata, come quasi sempre accade. E vuole richiamare l`attenzione sia della comunità internazionale sia dei cristiani d’occidente. Su 356 milioni di abitanti, in Medio Oriente ci sono sei milioni di cattolici (1,6 %) e 20 milioni di cristiani (5,6 %). Presenti da duemila anni, in tanti Paesi stanno fuggendo. A volte perseguitati e uccisi come in Iraq, spesso ridotti a cittadini in sedicesimo. [...]

Il Venerdi di Repubblica

Italia oggi

17.09.2010

06.10.2010

di Paolo Griseri

di Sergio Soave I recenti avvenimenti di cronaca che hanno riguardato le comunità islamiche presenti in Italia, naturalmente, hanno un carattere eccezionale e non possono indurre a generalizzazioni improprie. Tuttavia il sottofondo culturale sul quale si innesta la sottomissione della donna e dei figli, fino a rendere del tutto ovvia perché consuetudinaria la facoltà del capo famiglia di disporre del loro destino e, nei casi limite, della loro vita, ha una base diffusa e reale. Se questo dipenda da un’interpretazione corretta, o fondamentalistica dei precetti del Corano è questione che riguarda gli esegeti e gli organizzatori di questa religione. Invece i comportamenti concreti che ne derivano e che negano principi fondamentali garantiti dalle leggi occidentali, a cominciare dalla pari dignità dei sessi e dalla libertà personale debbono essere resi effettivi per chiunque viva dove queste leggi hanno vigore, indipendentemente dalla fede e dalle convinzioni dei singoli o delle comunità di immigrati. [...]

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Quotidiano Nazionale 06.10.2010 di Aldo Forbice

Come accade sempre, quando viene uccisa una donna, soprattutto se immigrata e pachistana musulmana, si alza il coro sull‘ “intollerabile barbarie”. Così è avvenuto anche stavolta a Modena per l’uccisione a colpi di mattone di Shahnaz Begun da parte del marito, e del tentato omicidio della figlia “ribelle” Nosheen da parte del fratello, a sprangate. Uomini contro donne, musulmani contro musulmane che non rispettano le “regole schiavistiche” del Corano. Ma siamo sicuri che l’lslam prevede queste orribili punizioni per le donne che non rispettano le imposizioni degli uomini? [...]

È uno dei comandamenti più citati nella Bibbia: «Ricordatevi che anche voi foste stranieri in terra d’Egitto». Nell’Esodo (22,22) all’obbligo del ricordo viene associato il comportamento conseguente: «Non maltratterai lo straniero perché anche voi foste stranieri in terra d’Egitto». Semplice e, ancor oggi, scandaloso. Per aver citato quel versetto biblico nel titolo del suo libro sull’lmmigrazione in Italia, don Antonio Sciortino, si è beccato della tonaca rossa e del cripto-islamico. Il leghista Matteo Salvini prevede che, «se fosse per lui, entro tre anni il suo settimanale si chiamerebbe “Famiglia Musulmana”. Nella redazione milanese di Famiglia Cristiana, Sciortino sorride e, come si diceva negli anni Settanta, non risponde alle provocazioni. Il colloquio avviene all’indomani delle polemiche su un editoriale del settimanale che attaccava il governo: «Sciortino torni a occuparsi della fede che sennò in paradiso non ci va» aveva dichiarato, beffardo, Calderoli. Ma il direttore non si scompone nemmeno di fronte alle bordate più sgangherate [...]


press

La Repubblica

Redattore Sociale

11.10.2010

24.01.2010

lnvocazioni e preghiere in turco, ebraico e farsi. E l’arabo ammesso come lingua ufficiale. Contornato da una babele linguistica che ha fatto da significativo sfondo all’evento, Benedetto XVI ha aperto ieri con solennità il Sinodo per il Medio Oriente, la grande assemblea di tutti i vescovi cattolici della travagliata regione i cui lavori cominceranno oggi per continuare in Vaticano per due settimane. Con il rito di apertura, svoltosi nella liturgia latina, letture in greco e latino, e le preghiere dei fedeli in inglese, il Papa ha spiegato che la Chiesa è chiamata a essere segno e strumento di unità e riconciliazione» in paesi «purtroppo segnati da profonde divisioni e lacerati da annosi conflitti». Un compito arduo ha osservato dal momento «che i cristiani in Medio Oriente si trovano spesso a sopportare condizioni di vita difficile». [...]

ROMA - “Se la Tunisia non raggiunge una situazione di stabilità, può darsi che alcuni sceglieranno la strada dell’immigrazione clandestina verso l’Europa”. A parlare è Mourad Aissa, direttore del centro di accoglienza per rifugiati di San Lupo (Benevento): impegnato oggi nella direzione del progetto “Piccoli comuni, grande solidarietà”, Aissa, trentaseienne, è un tunisino arrivato in Italia nel 2001 dopo aver conseguito una laurea in chimica e fisica. Nelle settimane appena passate, una serie di rivolte popolari hanno cambiato la faccia del suo paese, determinando la fuga del presidente Ben Alì e poi la formazione di un governo di transizione con il compito di guidare il Paese alle elezioni, previste entro sei mesi. Un governo, però, ancora criticato dai manifestanti per la presenza, fra le sue fila, di numerosi personaggi legati alla gestione Ben Alì. Dal suo osservatorio nella provincia di Benevento, Aissa - che segue tutta la vicenda - mette in evidenza l’importanza di quanto accaduto, dicendosi “estremamente felice per quello che c’è stato”: “Finalmente le persone lottano per ottenere libertà, per poter partecipare realmente alla vita politica e sociale del paese. Per la prima volta la gente comune si sente protagonista. Eppure, Aissa sottolinea anche che la situazione è ancora molto incerta per il popolo tunisino: “É una situazione che potrebbe spingere alcuni a tentare di emigrare, giungendo in Italia per vie illegali, anche se credo che la rivolta sia nata proprio dalla profonda esigenza di migliorare le condizioni sociali e politiche sul posto”. Da questo punto di vista, “molto dipenderà dagli imprenditori e in generale dalle condizioni economiche: se ci sarà lavoro lì, non ci sarà bisogno di riversarsi in massa in Europa. Se le condizioni invece rimarranno difficili come lo erano prima, se cioè non ci sarà lavoro, se non arriverà la libertà vera, allora il problema si trasferirà anche altrove”.

di Marco Ansaldo

Redattore Sociale 24.01.2010 di Gina Pavone

ROMA - Sono 34 i rifugiati scappati dall’Eritrea e passati per le carceri libiche: alcuni di loro ci sono rimasti rinchiusi anche per tre anni, poi sono arrivati in Italia grazie a un programma dell’Unchr, l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati. Ora provano a costruirsi una vita nuova, e soprattutto indipendente, a San Lupo, piccolo paese campano che ospita il progetto “Piccoli comuni, grande solidarietà”, gestito dal consorzio Connecting People in collaborazione con il consorzio di cooperative sociali Amistrade di Benevento. “Si tratta - spiega Mourad Aissa, origine tunisina, in Italia dal 2001, oggi direttore del centro di San Lupo - di un progetto di resettlement, cioè di reinserimento, organizzato dalla Comunità Europea insieme al Ministero dell’Interno: per colpire le organizzazioni criminali che organizzano il traffico di esseri umani, una delegazione è andata a selezionare direttamente in Libia i rifugiati da destinare al reinserimento”. [...]

di Gina Pavone

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Caterina Carone VALENTINA POSTIKA in attesa di partire Recensione a cura di Serena Naldini

Regia: Caterina Carone Anno di produzione: 2009 Durata: 77’ Tipologia: Documentario Genere: Sociale Paese: Italia Produzione: FaberFilm Il film ha vinto il Premio Solinas Documentario per il Cinema nel 2008 e il 27° Torino Film Festival (2009), come miglior documentario italiano.

Valentina Postika è una badante moldava. Carlo Paladini è un partigiano ottantenne. Valentina vive per costruire un futuro migliore in patria per sé e per i tre figli, mentre Carlo ricorda il proprio passato di dirigente del Partito Comunista negli anni ‘50 a Pesaro. Caterina Carone, la regista, è la nipote di Carlo. Le viene l’idea di girare il documentario perché sente la necessità di lasciare una traccia della vita del nonno che sia più strutturata della scia di foto, oggetti, ricordi che ogni persona si lascia alle spalle. Il lavoro

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si trasforma poi, strada facendo, in un progetto diverso, nel quale prende piede Valentina, che da comparsa diviene coprotagonista della pellicola. Soltanto dopo qualche mese trascorso dalla regista e dal cineoperatore nell’abitazione di Carlo Paladini, i protagonisti cominciano ad abituarsi alla presenza della telecamera consentendo la ripresa di immagini più naturali. Valentina Postika non guarda mai l’obiettivo, tende a sfuggire allo sguardo indagatore della macchina. Carlo, al contrario, talvolta la cerca per scambiare un’occhiata d’intesa, soprattutto dopo i battibecchi con la badante. Certo, dietro la telecamera, c’è Caterina, la nipote. Ma forse la differenza si può attribuire anche a un atteggiamento diverso dei due protagonisti nei confronti del documentario. Carlo ha compiuto scelte, ha cresciuto figli, ha riempito gli armadi e i cassetti della memoria. Può stare in mezzo al palco, guardare l’obiettivo e raccontare, anche solo attraverso la presenza del corpo che si muove nell’ambiente familiare della propria casa, ricca di passato e di ricordi. Valentina, dal canto suo, vive come tra parentesi, in attesa di partire, appunto, come dice il titolo del film. La sua vita è altrove. E quando la vita è altrove, risulta difficile porsi al centro della scena. Particolarmente toccante - in una pellicola asciutta, senza alcuna sbavatura sentimentale - la ripresa video dei figli di Valentina per mano di un parente, nel contesto di una casa in costruzione, edificata presumibilmente con i soldi che Valentina manda al proprio paese grazie al lavoro di assistenza a Carlo. La

figlia maggiore appare disorientata, sembra non gradire la telecamera. È anche lei una persona in attesa. Di un importante ritorno. Non riesce a parlare alla mamma, di cui percepisce solamente la mancanza. Perciò la ragazzina, invitata a dire qualcosa, parla della mamma. “Voglio che torni a casa,” dichiara. “Vorrei che fosse tranquilla e che stesse bene.” “Mamma, vieni a casa,” dice invece senza indugio Jorgie, il figlio minore di Valentina. È un ragazzino smilzo, dal volto sveglio. Guarda in macchina, cerca la mamma. E tenta di convincerla. “Non ti faremo fare niente, ti faremo solo riposare.” Il film si compone di molteplici livelli di riprese video, girate in tempi, momenti e per ragioni diverse. Le immagini dell’archivio privato di Carlo Paladini, relative sia alla vita privata, sia alla vita pubblica del protagonista si alternano alle riprese della famiglia di Valentina in Moldavia. Vi sono frammenti in bianco e nero di interesse storico che fanno da sfondo allo sviluppo della vita di Carlo, oltre a video di ritagli di giornali e nastri audio. Il sapiente montaggio riesce ad armonizzare questa ricca stratificazione di significati con le riprese girate ad hoc per il documentario. Emerge così la complessità di una vita. Anzi di due vite. E, a ben vedere, seppur nelle loro distanze, chiusure, testarde solitudini, che generano attriti quasi quotidiani, Valentina e Carlo si incontrano, intrecciando le loro intime ricerche, tese entrambe a dare un senso al presente. Attingendo, l’una dai progetti di futuro e l’altro dalla memoria di una storia.


...nel prossimo numero di

DOSSIER PRESENTAZIONE

A Gorizia, la conferenza di apertura del progetto Next di Connecting Peoplea

INTERVISTA

Josè Angel Oropeza direttore dell'ufficio regionale per il mediterraneo dell'Oim e capo missione per l'Italia e Malta


via Virgilio complesso 5 Torri - 91100 Trapani via Trieste n.10 - 95100 Catania Tel.095 7225388 - Fax 095 22463026 E-mail: segreteria@cpeople.it p.iva 02194760811 www.cpeople.it


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