Storie di Questo Mondo - Giugno 2011

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speciale

Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 2 e 3, Catania - Trimestrale del Consorzio Connecting People – reg. Trib. di Trapani N°323 del 17/07/2009 – distribuzione gratuita

A N N I

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S B A R C H I

Troppe storie sembrano storie dell’altro mondo, ma lo spazio in cui accadono è qui e ora. periodico di culture migranti e dell’accoglienza

anno 3 - N° 2 - GIUGNO 2011

L’ITALIA? UN PAESE SOLIDALE Intervista a José Angel Oropeza

NAUTILUS

Una rete a servizio dei rifugiati

SIAMO PARTE DI UN DISEGNO CHIAMATO EUROPA

Intervista al prefetto Sandra Sarti, autrice de “L’Italia dei rifugiati”

FRATELLI D’EUROPA L’Italia dei 150 anni e le nuove sfide dell’accoglienza per l’Europa


editoriale 1 Lettera al Presidente della Repubblica di C.d.a. di Connecting People

intervista 2 La sfida abita nel Mediterraneo di Serena Naldini

dossier 6 Serve un patto nuovo che abbracci sogni e bisogni di Claudia Fiaschi

punto di vista 8 Buon compleanno Italia di Padre Beniamino Rossi

oltremare 12 Obiettivo Lampedusa di Stéphane Ebongue Koube

progetti 14 Reti al servizio del rifugiato: il Progetto Nautilus di Serena Naldini

L’Italia e il sogno di una nuova vita di Edoardo Scordamaglia

Nautilus, ovvero l’inizio di un viaggio di Arianna Cascelli

150 anni di sbarchi 20 Torino 2011: potevamo essere solo in 300.000 di Mauro Maurino

Gli ultimi sbarchi dall’Africa: la Torino (e dintorni) che accoglie di Mauro Maurino

dossier Next 22 L’Italia? Un Paese solidale di Serena Naldini

Siamo parte di un disegno chiamato Europa di Serena Naldini

incontri 28 La storia di Saba di Monica Di Gioia, Manuela Ianniello

news 30 Notizie e curiosità da Lucca, Foggia, Campobasso, Taranto, Roma

GIUGNO 2011

press 34 Rassegna stampa sull’immigrazione a cura di Salvo Tomarchio

media connecting Pescatori di Uomini

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di Serena Naldini

Editore/proprietà Consorzio Connecting People Onlus via Virgilio Complesso 5 Torri 91100 Trapani

Comitato di direzione Giorgio Gibertini, Serena Naldini, Susanna Rognini, Mauro Maurino, Giuseppe Lorenti.

Impaginazione e stampa Studio Tribbù di Coop. Soc. Sciarabba via Sciarelle, 4 95024 Acireale (CT)

Direttore responsabile Giorgio Gibertini

Coordinamento editoriale Serena Naldini, Salvo Tomarchio

Progetto grafico e illustrazioni Giancarlo Ortolani / Tribbù

In redazione Arianna Cascelli, Angelica D’Agliano, Monica Di Gioia, Domenico Facciorusso, Maria Giovanna Fanelli, Claudia Fiaschi, Giorgio Gibertini, Manuela Ianniello, Stéphane Ebongue Koube, Mauro Maurino, Serena Naldini, Beniamino Rossi, Edoardo Scordamaglia, Salvo Tomarchio.

Redazione Via Lulli, 7/8 10148 Torino Via Sciarelle, 4 95024 Acireale (CT) sqm@cpeople.it

Se hai una storia da raccontare, se vuoi segnalare progetti, idee o esperienze, se desideri indicare destinatari che vorresti ricevessero il nostro periodico, puoi inviare una email a: sqm@cpeople.it


Lettera al Presidente della Repubblica

Cda Connecting People

Le chiediamo per questo di raccontare ai nostri concittaEgregio Presidente, dini che il nostro Paese è anche bello e che gli striscioni la nostra organizzazione è impegnata da anni nell’acostili sono minoranza chiassosa e volgare sopraffatta nei coglienza dei migranti. Grazie a questa attività, siamo numeri e nelle intenzioni di chi ha accolto e incoraggiato. testimoni quotidiani delle storie, delle aspettative e delle La seconda riflessione che intendiamo affidarle è che speranze di chi arriva nel nostro Paese. Siamo convinti l’emergenza, nella sua capacità di mettere in crisi il che questa esperienza così ricca non debba restare solo sistema, contiene in sé anche l’occasione per superare nostra. Ci rivolgiamo a lei in questo editoriale, anche a alcuni paradigmi consolidati sulla pratica dell’assistenza nome di tutti gli operatori coinvolti, perché, se possibile, si ai migranti che sembravano indiscutibili. È forse maturo faccia portavoce di quanto abbiamo visto in questi mesi il tempo per riaprire la discussione sulle politiche migranell’accoglienza dei migranti dal Nordafrica. Desideriamo torie, sull’efficacia di alcuni strumenti, sull’opportunità di infatti affidare il nostro racconto a una persona che abbia introdurre nuove forme d’ingresso regolare che integrino la statura morale e il prestigio istituzionale per raccontare la politica dei flussi. È forse maturo il tempo per rivedere a sua volta agli italiani. Come potrà immaginare, il nostro il complesso di prestazioni asessere testimoni è fondato su fatti sistenziali offerte ai migranti, ai vissuti in prima persona, su scelte quali vengono destinate rilevanti sofferte della nostra organizzaAbbiamo offerto risorse soltanto sino al giorno in zione, sull’assunzione individuale aiuto, ma abbiamo cui ottengono eventualmente lo e collettiva di responsabilità: anche raccolto grande status di rifugiato, e poi nulla più. elemento che caratterizza tutti coloro che decidono che ciò che disponibilità da parte del L’emergenza obbliga ad alzare lo sguardo al dopo e, mentre a testa sta succedendo li riguarda. reticolo di relazioni che bassa ci impegniamo a cercare Ebbene, la prima cosa che vogliaposti e disponibilità, non rinunmo dirle è che, a dispetto delle sostiene ancora l’Italia ciamo a progettare il domani. rappresentazioni giornalistiche, Guardiamo al domani affinché l’Italia è un Paese capace di solinon diventi una trappola in cui migranti e italiani perdano darietà, che affronta volentieri i vincoli di convivenza e i l’occasione storica di costruire un senso condiviso nella principi di giustizia distributiva. convivenza e nell’integrazione. Le chiediamo per questo Gestendo alcune tendopoli nel Sud e centri di prima accodi promuovere una discussione che porti il dibattito pubglienza nel Nord, abbiamo visto la gente comune arrivare blico lontano dalle secche della polemica per fecondare con piccoli doni, con offerte di aiuto, con disponibilità di nuove politiche italiane ed europee. Desideriamo infine tempo per le migliaia di migranti che abbiamo incontradarle la nostra piena disponibilità a collaborare con le to. Abbiamo visto giornalisti decidere di abbandonare la Istituzioni - attraverso i gesti quotidiani e ciò che ne deriva ricerca dello scandalo per approfondire il significato di un in termini di pensiero - per costruire un’Italia nuova. Conintervento e di una vicinanza con le persone, a prescinfidiamo che lei sappia scorgere in queste ultime righe il dere dal fatto che queste siano profughi o vite spinte a volto dei bimbi che ci sono stati affidati, le rughe preoccumigrare da ragioni di tipo economico. pate dei loro genitori mentre scrutano incerti l’orizzonte Abbiamo offerto aiuto, ma abbiamo anche raccolto e i volti - a tratti - chiusi degli italiani che, nonostante la grande disponibilità da parte di istituzioni locali, piccoli percezione di essere invasi, arrivano con le braccia piene comuni, parrocchie, imprese: dal reticolo di relazioni che di indumenti, biscotti e parole d’accoglienza. sostiene ancora l’Italia.


intervista

La sfida abita nel Mediterraneo Intervista a Ferruccio Pastore, direttore di FIERI di Serena Naldini, responsabile comunicazione Connecting People

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ecisioni politiche efficaci sui fenomeni migratori richiedono un valido supporto di conoscenza. In base a questo principio, FIERI (Forum Internazionale ed europeo di ricerche sull’immigrazione) promuove attività di ricerca, formazione, scambio, convegnistica, editoriali. Storie di Questo Mondo ha incontrato Ferruccio Pastore, il direttore del Forum.

Una preoccupazione evidente delle politiche europee sulla gestione delle migrazioni è legata al controllo delle frontiere. Su quali principi si basa la “difesa” della cosiddetta Fortezza Europa? E quali sono le principali misure adottate a questo fine? Sarei cauto nell’adottare il termine “Fortezza Europa”, innanzitutto per una ragione oggettiva: l’Europa è oggi il principale bacino di immigrazione legale al mondo, sia in termini di presenza assoluta di stranieri, decine di milioni di persone, sia in termini di flussi, cioè saldi migratori su base annua. Da questo punto di vista, l’Europa è dunque una terra aperta, che accoglie soprattutto da una fascia di vicinato - Nordafrica ed Europa orientale - ma anche da uno spazio globale. I sistemi migratori dall’America

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Latina e dall’Asia verso l’Europa, in particolare meridionale, si sono strutturati e rinforzati nel corso dell’ultimo decennio. Il vecchio continente è anche destinazione di flussi irregolari molto importanti. Se fosse una fortezza, sarebbe comunque una fortezza con delle brecce. D’altra parte, l’Europa è il vertice della qualità della vita nel mondo e questo fatto la dota di un grande potenziale d’attrazione. Anche se per certi versi in declino, resta un posto benedetto per nascerci e per viverci. Per questo motivo, la domanda di Europa eccede di gran lunga l’offerta di Europa sul mercato della mobilità globale: la maggior parte di coloro che desiderano trasferirsi in Europa non ci riesce. Sotto questo aspetto, l’Europa può essere considerata una fortezza difficile da raggiungere per tutti i poveri del mondo, difesa da filtri severi all’ingresso, seppur non funzionanti al 100%. Le cose sono cambiate nel corso del tempo. Oggi sembra inconcepibile, ma fino agli anni ‘80 non occorreva neppure il visto per entrare in Europa. Potevamo fare a meno di un sistema di controlli migratori, in primo luogo perché il divario di sviluppo e di reddito tra l’Europa e i suoi vicini era meno acuto di oggi. Con il divario, è cresciuto il valore aggiunto di un’eventuale migrazione.

Inoltre, in passato l’Europa dell’est era tenuta stretta in una gestione molto repressiva della mobilità internazionale. Il sistema di controllo sulle uscite permetteva soltanto a poche centinaia di “dissidenti” di passare le frontiere verso l’ovest. In trent’anni, gradualmente, si è messo in piedi un apparato di controllo sofisticato e costoso che non ha come unica finalità il respingimento dei migranti. Lo scopo è filtrare le persone secondo diversi criteri. Il modello è basato su una serie di livelli di controllo. Il primo è esercitato dai consolati, dagli uffici visti dei Paesi terzi, che da molti anni, almeno in teoria, dovrebbero funzionare secondo regole comuni sviluppate in ambito Schengen. In realtà così non è, perché tali regole vengono interpretate in maniera diversa, anche a partire da obiettivi politici. I grandi paesi europei concedono centinaia di migliaia di visti. I dati aggiornati sono reperibili sull’annuario statistico del Ministero degli Esteri. Parallelamente sono stati via via strutturati controlli sistematici alle frontiere esterne. Ben presto, è risultato evidente che un controllo esercitato solo sulla linea di frontiera non era sufficiente, essendo l’Europa un continente di grandi flussi turistici nei quali si possono inserire anche componenti di migrazione. Nei primi anni ‘90, nasce


intervista quindi una spinta ad anticipare il controllo. Nel caso della “frontiera blu”, ossia marittima, il controllo viene spostato dalle coste verso l’alto mare, in prossimità delle acque territoriali del paese di partenza. L’anticipazione dei flussi incide anche sui rapporti con i Paesi di partenza o di transito delle migrazioni, ai quali viene chiesto di svolgere dei compiti che tradizionalmente non svolgevano, cioè di setacciare i flussi di passaggio e controllare i flussi in uscita, impedendo uscite non autorizzate. Dal punto di vita delle relazioni internazionali, è una rivoluzione: con tutto il proprio peso economico, diplomatico e politico, l’Europa chiede a dei Paesi di svolgere una funzione che, non solo non è nel loro interesse fare, ma è contro il loro interesse. Generalmente, infatti, l’emigrazione è benefica perché produce rimesse e allevia la pressione sul mercato del lavoro interno. Inoltre, opporsi all’emigrazione dei propri cittadini significa opporsi a un sogno, a un’aspirazione forte e dunque è una posizione impopolare per il governo di un Paese, che si frappone tra la propria popolazione e un’idea - magari falsa, magari esagerata - di felicità, di benessere. Anche il controllo dei migranti di passaggio è un’azione costosa, pur se caratterizzata da un’impopolarità inferiore, perché si tratta di una popolazione terza, in genere priva di protezione. I migranti in transito sono il massimo nella vulnerabilità: in uno spazio altrui, in una terra di nessuno, privi di padroni, padrini, tutori, protezione diplomatica. Sono “nuda vita in transito”, per usare un concetto di Giorgio Agamben. È quindi evidente che il sistema di controllo europeo si basa sulla collaborazione dei Paesi terzi. Essa può essere inserita in un quadro di relazioni sostenibile - come nel caso dell’Europa dell’est - che presuppone una prospettiva di adesione all’Europa e delle contropartite tangibili, in termini commerciali, di facilitazione della circolazione, di liberalizzazione parziale del regime dei visti, oppure può essere basata su fondamenta più precarie - come nel caso dei Paesi del Mediterraneo - che prevedono solo aiuti economici ed equipaggiamento di polizia e militare senza ricadute sulla popolazione.

Dal punto di vista della lotta all’immigrazione illegale e della gestione dei rimpatrii, in Italia c’è una grande polemica sull’istituzione dei CIE. Quali potrebbero essere le iniziative alternative ai centri o di riforma dei centri stessi? L’apparato di trattenimento, detenzione e contenimento italiano è oggi sottoposto a una sfida impegnativa, ma si trovava già in un momento di grave crisi. Era già un sistema nato male, che ha incontrato problemi durante tutto il proprio sviluppo e oggi è arrivato al capolinea o ha bisogno di una profonda revisione. Il caos genera disparità di trattamento inaccettabili e picchi di maltrattamento altrettanto inaccettabili. In particolare, nella gestione di questa emergenza le tre tipologie fondamentali di struttura - CIE, CARA e CDA - vengono usate in maniera spesso intercambiabile con una componente di improvvisazione che è andata al di là della normale confusione dinanzi a un evento imprevisto.

L’apparato di trattenimento, detenzione e contenimento italiano è oggi sottoposto a una sfida impegnativa, ma si trovava già in un momento di grave crisi

Nei CIE finiscono persone con precedenti penali al fianco di persone fragili, vulnerabili e non è prevista la possibilità di distinguere il trattamento in base alle diverse storie di vita. Non le sembra che siano degli strumenti poco flessibili? Non le sembra che dovrebbe essere prevista anche la possibilità, in alcuni casi, di regolarizzare la posizione dei migranti ospitati nei CIE? Nel ‘98 lo strumento fu introdotto in maniera molto limitata e circoscritta sia per estensione, sia per durata, sia per numero di persone detenute, ma fu fatto l’errore di non regolamentarlo a sufficienza. C’è poi stato il tentativo di dettare una disciplina minima sull’organizzazione dei diritti all’interno dei CIE, non portato fino in fondo con suf-

La presenza degli stranieri in Italia dal 1980 a oggi. Elaborazione dati Ministero dell’interno

In alcuni casi, il trattenimento degli espellendi è una necessità, come extrema ratio, quando altri metodi non funzionano. Ma nei CIE non si può finire per caso. Pur non essendo vietato dal diritto europeo trattenere una persona in attesa di espulsione, vigono degli obblighi molto precisi sulla modalità di detenzione derivanti dai diritti fondamentali dell’essere umano. Se un paese democratico sceglie di dotarsi di strutture di trattenimento per persone che hanno violato una norma in materia di immigrazione, esso può farlo, ma senza dimenticare la dignità della persona. C’è poi il problema della durata della detenzione e della proporzionalità rispetto alla violazione.

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intervista ficiente determinazione neppure dal centro sinistra. Lo strumento infine è diventato la presunta soluzione a una serie di problemi. La durata della detenzione si è dilatata oltre l’utilità, strumentalizzando una normativa europea di cui si è colto solo un aspetto, cioè la possibilità di allungare la durata. In realtà, la direttiva in questione dispone che si dia priorità al rimpatrio volontario assistito - quasi totalmente assente nella nostra legislazione - e, a questo scopo, concede di allungare il periodo di permanenza nei centri. L’esplorazione della possibilità di regolarizzare la condizione di una parte di coloro che stanno nei CIE adesso appare assolutamente impraticabile politicamente, anche se sarebbe saggio porsi il problema. Aderendo invece a una logica binaria che distingue gli aventi diritto a restare in Italia da tutti gli altri, il trattenimento è consentito - non opportuno ma consentito - solo quando c’è una funzionalità dimostrabile rispetto al decreto di espulsione. Tutto ciò che va al di là è illegale.

visti nazionale di durata tendenzialmente superiore (a parte gli stagionali). L’Europa adesso ha fatto un piccolo passo: lo status di residente di lungo periodo, che viene concesso a chi risiede legalmente da più di 5 anni in un Paese, consente una certa libertà di spostarsi nello spazio comunitario per motivi di lavoro. Si tratta però di un diritto condizionato dal vaglio del paese di destinazione, che può anche opporsi. Formalmente, quindi, esistono provvedimenti che toccano anche la sfera dell’ingresso e del soggiorno per motivi di lavoro, ma sono misure con la lama spuntata che hanno inciso poco sulle normative e sulle politiche dei paesi membri.

In Europa si fa sempre più strada l’idea dell’importanza delle migrazioni di tipo economico soprattutto per l’industria così come per lo svolgimento di mansioni legate alla cura e all’assistenza delle persone. Nonostante questo, le politiche europee di apertura nei confronti dei lavoratori continuano ad apparire restrittive. Da cosa dipende questo? Che cosa dovrebbe fare l’unione europea in questa direzione?

Il sistema Schengen è un edificio complesso, basato fondamentalmente sulla fiducia. Nel momento in cui si abbattono le pareti tra le stanze di un appartamento, la decisione su chi entra dalla porta principale è una decisione che riguarda gli abitanti di tutte le stanze. Ci sono delle norme comuni sui controlli, ma spetta ai singoli stati applicarle. Fino ad oggi, il cerchio della fiducia si è allargato con successo, inglobando altri Paesi, oltre ai 5 Paesi fondatori (Benelux, Francia e Germania), attraverso un processo di armonizzazione normativa e delle prassi: Italia, Grecia, Austria, e ancora altri Paesi, fino ai recenti ingressi nell’area di libera circolazione Schengen anche di una parte dei nuovi membri dell’Europa dell’est. Alla fine degli anni ‘90, quando l’Italia è entrata, le diffidenze da parte degli altri Paesi erano molto forti. Fu operato uno scrutinio molto rigoroso sulle normative e sulle prassi italiane. La legge Turco-Napolitano del ‘98 che istituiva i CPT venne approvata in gran parte per soddisfare una richiesta precisa dei partners Schengen: un Paese, per essere degno

L’immigrazione legale per motivi di lavoro è il grosso anello mancante delle politiche europee. La Commissione europea ha fatto dei tentativi per armonizzare e rendere effettiva la competenza della Comunità europea sull’immigrazione legale, però gli stati si sono sempre opposti. Sarebbero tenuti a comunicarsi reciprocamente le intenzioni che hanno in materia di gestione dell’immigrazione legale per lavoro, prima di emanare un decreto flussi, una regolarizzazione o una nuova norma per l’ingresso di persone altamente qualificate. Ma anche questo meccanismo di coordinamento molto blando resta sostanzialmente inattuato. L’ingresso per motivi di lavoro è di pertinenza nazionale; non sono visti Schengen, ma

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Ultimamente, con gli sbarchi dalla Tunisia, si è riproposta la questione delle frontiere interne. In questo senso, può fare un po’ di chiarezza sull’attrito tra Italia e Francia? Quali sono le possibili soluzioni di fronte a una situazione di questo tipo?

della fiducia, doveva essere dotato non solo di un efficiente apparato di controllo delle frontiere, ma anche di un efficace sistema di espulsione. Questo ciclo espansivo dello spazio di libera circolazione e del cerchio della fiducia è andato avanti, senza grandi problemi, fino a quest’anno. Ma Schengen è una costruzione con un’ambiguità di fondo: pur sostenendo che non si possono fare controlli sistematici sui flussi alle frontiere interne, il patto non esclude, anzi contempla la possibilità di controlli a campione da effettuarsi non al posto di frontiera, ma lungo la fascia di frontiera. Sui treni tra Ventimiglia e Mentone, ci sono sempre stati i gendarmes che, con un uso di quello che gli anglossassoni - che lo proibiscono - definiscono “ethnic profiling”, fanno dei controlli a campione, a campioni molto mirati, scegliendo cioè le persone con un aspetto e un colore della pelle “a rischio” secondo degli standard un po’ arbitrari. Con gli ultimi avvenimenti, la fiducia ha subito un tracollo brusco, e forse definitivo. Perché? I governi europei hanno tutti una legittimazione politico-elettorale molto debole, il governo di Sarkozy in particolare. Un modo facile, o presunto tale, per consolidare un consenso in via di disgregazione è quello di essere inflessibili con i migranti. La Francia, inoltre, ospita le più grosse comunità nordafricane in Europa e quindi ha un potenziale di attrazione di eventuali flussi futuri maggiore di quella della maggior parte degli altri Paesi. La crisi della fiducia nasce quindi certamente da un interesse a breve termine del governo francese, al quale si va ad aggiungere un comportamento spregiudicato del governo italiano


intervista che ha scelto di concedere un permesso di soggiorno a delle persone sperando che esse non soggiornassero. Alla radice di questa crisi tra vicini, ora sedata sulla base di un progetto di riforma in senso restrittivo dell’intero sistema Schengen, c’è una concezione dell’immigrazione unicamente come problema. I flussi dalla Tunisia erano flussi di persone giovani, abili e formate, diplomate, molte anche con competenze di italiano. L’Italia è un Paese che importa decine di migliaia di lavoratori, di migranti legali da alcuni Paesi tra cui la Tunisia. Per un eccesso di ideologizzazione, di drammatizzazione del fatto migratorio siamo stati incapaci di convertire un fenomeno indesiderato, non previsto in un accadimento non solo gestibile, ma anche utile. L’Italia infatti concede da oltre un decennio una quota privilegiata di ingressi per lavoro al governo tunisino. Per il 2011, si sarebbe intanto potuto attingere da questa quota a fronte della domanda forte di lavoratori stagionali. Anche se molti di loro - si dice non vogliono altro che proseguire verso la Francia, si poteva almeno fare un tentativo di integrarli nel circuito di immigrazione legale per lavoro che è vitale in Italia. Infatti, il nostro Paese, nonostante un discorso politico spesso segnato da un’ostilità ideologica, rimane uno dei principali Paesi di immigrazione legale in Europa. La transizione in Nordafrica viene letta dall’Europa solo come una minaccia. E’ evidente che si tratta di una sfida

CHE COS’é FIERI FIERI (Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione) è un centro studi sui fenomeni migratori e l’inclusione delle comunità di origine immigrata, fondato nel 2001 da Giovanna Zincone, attuale presidente. Attraverso le sue attività, il Forum intende creare un ponte tra le attività di ricerca, da una parte, e i decisori politici, gli operatori del sociale, i media e l’opinione pubblica, dall’altra. Collaborano con FIERI sia docenti e ricercatori universitari, sia studiosi esterni al mondo accademico di comprovata competenza ed esperienza. FIERI è il partner italiano del Network of Excellence IMISCOE (International Migration, Integration and Social Cohesion in Europe), struttura di coordinamento dei centri studi europei sulle migrazioni. FIERI conduce ricerche comparate a livello internazionale, tra differenti sistemi politici, economici e sociali e a livello nazionale, tra diversi contesti locali. Accanto alle attività di ricerca, FIERI promuove progetti di formazione diretti a funzionari, decisori pubblici e studenti universitari e crea momenti pubblici di confronto e

di enorme complessità, ma anche di una straordinaria chance. Solo avendo come partner governi più democratici, retti da un consenso più ampio e capaci di una più equa redistribuzione delle risorse,

divulgazione dei risultati emersi dai lavori di ricerca. Dal 2003 organizza il ciclo di seminari e di documentari “Crocevia - Immigrazione, emigrazione, migrazione interna”. Molte delle ricerche del Forum sono pubblicate presso case editrici italiane e straniere tra cui Carocci, Franco Angeli, Laterza, Il Mulino, Amsterdam University Press, Peeters. Nel 2008 presso la Casa Editrice Carocci è stata avviata la collana FIERI che fornisce strumenti pratici a quanti operano nel settore delle politiche per gli immigrati. L’attività di FIERI è sostenuta dalla Compagnia di San Paolo e da altre importanti fondazioni, Fondazione CRT e NEF (Network of European Foundations) e da istituzioni nazionali e internazionali quali la Commissione Europea, l’ILO (International Labour Office), il MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca). Tra le istituzioni e gli enti che si sono rivolti a FIERI per commissionare ricerche e interventi di formazione su temi specifici, vi sono il Ministero del Welfare, le regioni italiane, le amministrazioni locali, la Camera di Commercio di Torino, l’INAIL.

l’obiettivo strategico di uno spazio euromediterraneo di mobilità e co-sviluppo, sancito da tanti bei documenti comunitari, può forse, nel lungo periodo, concretizzarsi.


dossier

Serve un patto nuovo che abbracci sogni e bisogni Il Manifesto per un Pacchetto Integrazione e la modifica della legge 381

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di Claudia Fiaschi - Presidente Cgm

ertamente è tempo di una nuova forma di cittadinanza. La continua e diversificata mobilità delle persone nei territori interroga le comunità umane, ne riconfigura periodicamente la demografia culturale e richiede uno sforzo nuovo: ridefinire i patti di convivenza umana che rendono possibile l’esistenza di una comunità nei suoi elementi costitutivi: l’identità linguistica, culturale, religiosa, i codici condivisi di comportamento, forme, luoghi e modi della comunicazione e della socialità, ruoli e funzioni di ciascuna delle parti nella e per la collettività e infine strumenti (leggi, scelte, azioni, servizi) capaci di trasformare in fatti diritti e responsabilità. I flussi migratori interni ed esterni vanno disegnando di fatto nuove forme di convivenza umana, nuovi legami di tipo familiare e nuove geografie nel mondo delle imprese e nel mondo del lavoro. Tutto questo accade in un Paese alle prese con il contenimento della spesa pubblica, col rilancio di una economia affaticata, con la ridefinizione complessiva del sistema di protezione sociale, sfide complesse

in grado di compromettere la coesione sociale del sistema. lla luce di questa consapevolezza è urgente una riscrittura del patto di convivenza comunitaria capace di tenere insieme sogni e bisogni degli uomini e delle donne che abitano da sempre, da poco e anche solo transitoriamente nelle nostre comunità. Uno sforzo per definire in quale modo le moderne comunità intendano proteggere e sostenere gli individui che in essa vivono, giungono e partono, che in essa operano, sviluppano ricchezza, lavoro, socialità, prossimità a prescindere dalle iconografie culturali che li accompagnano, ingaggiandoli in un patto capace di tenere insieme diritti e responsabilità degli individui, diritti e responsabilità della comunità. È necessario un nuovo civismo che tenga conto di come oggi viviamo: attraversando comunità, necessitando tutti di una capacità di mettere radici sufficienti nei luoghi che attraversiamo, senza perdere le radici profonde che ci legano ai luoghi da cui proveniamo e a cui “torniamo”. In questa ottica il Manifesto è un esercizio prezioso e anche coraggioso.

Prezioso perché prova a misurarsi con la concretezza e anche con i vincoli che la concretezza rende immediatamente evidenti, partendo da ciò che esiste e che può essere semplicemente riarticolato in modo diverso. Coraggioso perché, in un tempo in cui spesso si privilegia il dibattito e la discussione come premessa di ogni decisione e azione, accetta la sfida di mettere in piazza proposte concrete, di offrirle alla discussione comune e quindi soggette a essere emendate, perfezionate, affinate. Coraggioso anche perché prova a stanare i diversi attori della nostra comunità nazionale e ingaggiarli in piccoli o grandi - ma comuni - impegni per divenire tutti, ciascuno alla luce della propria identità e della propria missione, costruttori di un Paese “buono per viverci” così come lo sognano ogni giorno le persone che lo abitano. Una comunità casa dei sogni e dei bisogni degli uomini e non mercato degli interessi piccoli e grandi che attraversano un territorio, talvolta senza neppure abitarlo. Anche questo viaggio è appena cominciato. Buona strada.


dossier http://www.connecting-people.it/manifesto/pdf/manifesto-integrazione-web.pdf

Modifiche alle categorie previste dalla legge 381/1991 INSERIMENTO DEI RIFUGIATI, DELLE PERSONE CON PERMESSO DI SOGGIORNO PER MOTIVI UMANITARI E DEI SOGGETTI VITTIME DI TRATTA TRA LE CATEGORIE SVANTAGGIATE PREVISTE DALL’ART. 4 COMMA 1 DELLA LEGGE 381/1991 Attualmente i rifugiati in Italia sono circa 47.000. Solo nel 2008 sono state presentate quasi 31.000 domande d’asilo. Nel corso del 2005 le persone svantaggiate presenti nelle cooperative sociali di tipo B sono state 30.141. Idea di base Al fine di facilitare l’inserimento nel mercato del lavoro dei rifugiati, titolari di protezione umanitaria e vittime di tratta, si propone una modifica all’art. 4 comma 1 della Legge 8 novembre 1991, n. 381 (“Disciplina delle cooperative sociali”) inserendo, nella categoria delle “persone svantaggiate” i soggetti suddetti. L’agevolazione fiscale derivante dall’assunzione avrà un tempo massimo di 24 mesi e sarà estesa alle cooperative di tipo A. Meccanismo Il permesso di soggiorno di cui è titolare la persona rifugiata o beneficiaria di protezione sussidiaria o vittima di tratta rappresenta il documento che attesta lo svantaggio che dà accesso al tipo di agevolazione in oggetto. Note Questo provvedimento ha un costo contenuto per lo stato, pari al valore dei contributi figurativi versati per ogni lavoratore inserito e comporta numerosi vantaggi: - risparmio sul fronte della spesa sociale e assistenziale; - contrasto al fenomeno del lavoro irregolare dei cittadini migranti; - incentivo a creare una rete di collaborazione per la promozione dell’inserimento lavorativo dei richiedenti asilo, rifugiati e titolari di protezione umanitaria. L’ampliamento dei benefici fiscali alle cooperative di tipo A consente di far emergere un mercato sommerso particolarmente problematico, quello della badanza per l’assistenza degli anziani non autosufficienti. Provenienza dei soggetti inseriti nei progetti di recupero (fonte: Dipartimento per le Pari Opportunità)

Albania Romania Paesi Est Europa ed ex URSS Nigeria

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i d o t n u p a t s i v

Rubrica a cura del comitato scientifico di Connecting People

Comitato scientifico Johnny Dotti

Presidente Fondazione Solidarete

Chiara Giaccardi

Ordinario di Sociologia Processi Culturali presso Università Cattolica di Milano

Abdelkarim Hannachi

Docente di Lingua Araba presso Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Catania

Natale Losi

Direttore Scuola di psicoterapia etno-sistemico-narrativa di Roma

Mauro Magatti

Ordinario di Sociologia presso Università Cattolica di Milano

Padre Beniamino Rossi

Missionario Scalabriniano Presidente A.S.C.S.

Mario Morcellini

Direttore Dip. di comunicazione e ricerca sociale presso Università La Sapienza di Roma


punto dsi ta vi Buon compleanno, Italia di Padre Beniamino Rossi

Missionario Scalabriniano Presidente A.S.C.S

Nel 2011 si celebra il centocinquantesimo anniversario della nascita dello Stato-Nazione Italia. Può essere interessante leggere la storia di questi anni dell’Italia in chiave migratoria, non tanto perché si dovrebbe imparare qualcosa dalla storia (la storia è stata definita come “maestra della vita”: maestra che, tuttavia, nessuno vuole ascoltare!), ma proprio perché l’emigrazione è stata e rimane una caratteristica che ha accompagnato e continua ad accompagnare la storia italiana. Nel 1861, lo Stato Nazione appena nato si

dovette confrontare con la “questione agraria”: l’agricoltura italiana risultata arretrata ed inadeguata nel contesto europeo e mondiale, dominata com’era dal latifondismo (in particolare nel Meridione), con una classe imprenditoriale agricola contrassegnata da una incapacità di innovazione, mentre ampie zone praticavano un’agricoltura di sopravvivenza. Proprio a partire dalla questione agraria e dalla mancata rivoluzione industriale, inizia il “grande esodo” italiano verso le Americhe e l’Italia diventa uno dei principali Paesi d’emigrazione verso il “nuovo mondo”, a partire dagli anni ’80 del XIX secolo fino alla prima guerra mondiale. Nel periodo tra le due guerre, il ristagnamento dei flussi migratori, viene coniugato con la politica autarchica del fascismo, anche in funzione della politica coloniale fascista. Ma l’emigrazione riprende subito dopo la seconda guerra mondiale. Per oltre cento anni l’Italia è un Paese di emigrazione. Negli anni ’70, la tendenza cambia: diventato europeo,

passa, in modo anche abbastanza veloce, da Paese d’emigrazione a Paese d’immigrazione. Certamente la storia passata di Paese d’emigrazione non ha aiutato l’acquisizione di una mentalità e di una cultura della nuova situazione di Paese d’immigrazione: la politica migratoria italiana si è barcamenata con le varie “sanatorie”, tra contraddizioni e paure. La legge quadro Turco-Napolitano e la successiva Bossi-Fini non hanno saputo realizzare una governance dei flussi migratori, anche perché, scimmiottando a volte le legislazioni di altri Paesi, non si è riusciti ad avere una politica che scaturisse dalla propria specifica situazione migratoria. Nel 2000 l’Unione Europea è diventata il polo d’attrazione migratoria più importante, superando numericamente gli stessi Stati Uniti: in questa nuova fase è implicata anche l’Italia. La politica migratoria europea di questi ultimi anni ha avuto un andamento schizofrenico: da una parte la constatazione che le migrazioni sono strutturali per l’economia

Tra la fine dell’800 e la metà del ‘900 milioni d’Italiani furono costretti a emigrare. Fonte Flickr, foto di Kikina

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punto dsi ta vi elettorali, proponendosi così di frenare l’impetuosa avanzata di movimenti politici a chiara connotazione xenofoba. • Con l’entrata in vigore - il 1° dicembre 2009 - del Trattato di Lisbona, la materia riguardante l’immigrazione e l’asilo continua a far parte del cosiddetto terzo pilastro, determinato dalle scelte autonome degli Stati membri come sancisce il paragrafo 5 dell’articolo 63bis del Trattato, che salvaguarda «il diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini di paesi terzi, provenienti da paesi terzi allo scopo di cercarvi un lavoro dipendente o autonomo».

Negli ultimi mesi Lampedusa è stata meta degli sbarchi dei profughi libici e tunisini. Fonte Flickr

europea (anche nei periodi di crisi) e dall’altra la precarizzazione, accentuata dello status giuridico dei migranti extracomunitari, con una forte presenza in tutti i Paesi europei di clandestini (irregolari e indocumentati). Ciò ha favorito le politiche restrittive in nome della “sicurezza”, secondo la famosa formula: immigrazione = clandestini = insicurezza. Nonostante le politiche migratorie, i flussi migratori, che erano presentati all’opinione pubblica come invasioni selvagge, si stanno lentamente stabilizzando. Tutti ci ricordiamo (ed è storia ancora recente, per non dire cronaca) le reazione nei confronti dei marocchini, degli albanesi, dei rumeni, degli zingari o rom, che ciclicamente hanno tormentato i sogni italiani, sotto la pressione delle campagne propagandistiche di alcune forze politiche, chiaramente xenofobe. Di fatto si stanno stabilizzando sia gli albanesi e i rumeni, come gli immigrati dall’Est (moldavi, ucraini, ecc...) e gli emigrati dall’America Latina, come si erano stabilizzati precedentemente i flussi dal Nordafrica (Tunisia, Algeria, Marocco, Egitto). • Alcune riflessioni sulla situazione attuale. In queste ultime settimane è successo qualcosa di completamente nuovo e inedito: l’esplosione del mondo islamico sia del

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Nordafrica (Tunisia, Egitto e Libia), come pure del vicino oriente. E non bisogna dimenticare la pressione dei flussi migratori dell’Africa sub-sahariana. Le antiche formule del terrorismo islamico sembrano non spiegare i fenomeni nuovi di queste settimane, come sembrano non giustificare le reazioni politiche e militari da parte della Nato e delle Nazioni europee, e tantomeno le fibrillazioni davanti agli effetti di tali sconvolgimenti, che si stanno traducendo in una fuga per la sopravvivenza o fuga per la libertà. Si invoca, addirittura, di cambiare o sospendere i trattati che regolano la circolazione all’interno dell’Europa. Per far luce su tutto questo, vorrei citare alcune riflessioni di uno studioso dei fenomeni migratori, Lorenzo Prencipe, ex Direttore dello CSER di Roma. • In questi primi mesi del 2011, ancora una volta e in misura drammatica, migranti economici e richiedenti asilo, provenienti dall’altra riva del Mediterraneo e sempre più difficilmente distinguibili tra loro, sono diventati l’oggetto del contendere dei Paesi dell’Unione europea, evidenziando le palesi contraddizioni di un’Unione, volutamente disunita sulle politiche migratorie, che i singoli Stati pretendono gestire in proprio per ragioni essenzialmente

• Pur augurandosi che l’estensione del voto a maggioranza qualificata possa, in futuro, facilitare un vero processo decisionale in senso comunitario e un approccio più realistico delle politiche migratorie, per il momento le politiche degli Stati membri sull’immigrazione e l’asilo si propongono, quasi esclusivamente, di rassicurare i propri cittadini, assecondando le loro paure e, invece di promuovere reali opportunità d’inclusione e di coesione sociale, continuano a cavalcare lo slogan della tolleranza zero. È questa la ragione per cui i singoli Stati europei gareggiano nell’approntare legislazioni restrittive – di cui è sintomatica l’introduzione del reato di clandestinità nell’ordinamento giuridico italiano, ora condannato dalla Corte di Giustizia europea – che diventano, almeno in parte, causa di nuovi ingressi irregolari e aumentano le nuove povertà che colpiscono soprattutto i migranti meno protetti giuridicamente. • Dinanzi al possibile processo di liberazione da dittature decennali in Nordafrica, in Medioriente e nella penisola arabica, ascoltiamo in Europa, da un lato, roboanti dichiarazioni che rievocano una novella caduta di Muri atavici e, d’altro lato, si moltiplicano inviti e appelli a non sottovalutare le possibili derive islamiste delle rivoluzioni, a far fronte a epocali invasioni di migranti e/o profughi, per facilità, chiamati - tutti - “clandestini”.


punto dsi ta vi

• Dopo aver sostenuto per alcuni mesi, sotto la pressione della Lega, la tesi che la quasi totalità dei migranti arrivati in Italia non aveva i requisiti (solo perché proveniente dalla Tunisia) per richiedere l’asilo, tacendo il fatto che la valutazione dei requisiti per l’asilo è sempre individuale, il governo italiano decide di concedere un visto temporaneo per ragioni umanitarie con l’obiettivo di facilitare la libera circolazione di questi migranti nei paesi UE e la possibilità di raggiungere parenti, amici e conoscenti che vivono in Francia, Belgio o Germania.

• Tale soluzione, fra l’altro, contestata dagli altri paesi UE e ostacolata dalla Francia che ha immediatamente chiuso le sue frontiere con l’Italia ricominciando a controllare (in deroga agli accordi di Schengen) tutti coloro che pretendono di espatriare, è stata accompagnata da appelli - specie da parte del ministro degli Interni italiano - a una necessaria e indispensabile solidarietà europea con quegli Stati membri, nel caso specifico l’Italia, che si trovano ad affrontare particolari situazioni emergenziali. • In mancanza di tale solidarietà e quindi di una reale dimensione politica, si è perfino invocata l’inutilità di una UE, puramente monetaria e mercantile, e la possibile decisione italiana di farne a meno, sottacendo però il fatto che sono gli stessi Stati nazionali - tra cui l’Italia - a non voler cedere quote di sovranità nazionale, per es. in ambito migratorio, a una UE anche politica. • In realtà, si invoca la solidarietà europea solo per salvaguardare alcuni interessi nazionali che, naturalmente, entrano in conflitto con gli interessi di altri paesi membri. Dinanzi a tale situazione - in verità abbastanza disperante - credo sia utile più una riflessione su come e con quali mezzi

Padre Beniamino Rossi Presidente A.S.C.S. Agenzia Scalabriniana per Cooperazione allo sviluppo. Da anni la ASCS è impegnata a sostenere l’ampio ed articolato progetto della “missione scalabriniana” nel quartiere di Croix-de-Bouquets ad Haiti, che, oltre al seminario propedeutico, gestisce una scuola per 450 ragazzi , un poliambulatorio, una fattoria, una serie di strutture per la formazione dei laici e giovani in particolare, nonché la struttura della Conferenza episcopale haitiana.

Presentazione

• Dinanzi alla morte di centinaia d’immigrati nel Mediterraneo, assistiamo impassibili al macabro rimpallo di responsabilità tra chi avrebbe potuto salvarli in mare e non l’ha fatto per timore di doversi, poi, fare carico della loro accoglienza a terra. • In Italia, dinanzi all’arrivo reale di 25 mila migranti e/o profughi, soprattutto tunisini, e dopo l’iniziale tentativo governativo di tenerli tutti – e in condizioni disumane – sulla piccola isola di Lampedusa con l’obiettivo di rimpatriarli al più presto - perché clandestini - nei loro paesi di origine, abbiamo assistito nelle ultime settimane allo smistamento molto discrezionale, di questo “materiale umano” in alcune regioni italiane.

rilanciare il prcesso di armonizzazione comunitaria della politiche d’immigrazione e d’asilo, piuttosto che mettere a confronto due paesi (per es. Italia e Francia) interessati, fra l’altro, alla mera strumentalizzazione in chiave elettorale del fenomeno migratorio e non a una reale ricerca di proposte razionali nel pieno rispetto dei diritti fondamentali della persona.

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oltremare

Obiettivo Lampedusa Le tappe che hanno condotto all’emergenza nell’isola, dalla fuga di Ben Ali fino alla chiusura delle frontiere da parte della Francia

L

di Stéphane Ebongue Koube

La tempesta dopo la Rivoluzione. Per quanto contraddittorio possa sembrare, i primi importanti sbarchi a Lampedusa si sono verificati dopo che la “Rivoluzione del Gelsomino” ebbe raggiunto il suo principale obiettivo: la fuga, il 14 gennaio scorso, di Zinedine-el-Abidine Ben Ali, al potere dal

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1987. Centinaia, all’inizio, poi migliaia in seguito, giovani nordafricani, a bordo di gommoni di fortuna, hanno preso d’assalto la piccola isola siciliana. Erano già 5.000 alla prima metà di febbraio. In breve tempo, il centro d’accoglienza, previsto per accomodare 850 persone, è stato sopraffatto. Nulla è servito a bloccare il flusso. In 9.000, in 12.000 e, in seguito, in 18.000 persone sono state costrette a vivere nei vari campi in condizioni igieniche al limite dell’accettabile. Gli autoctoni di Lampedusa, diventati ormai una minoranza, sono stati i primi a dare l’allarme per il sentimento generalizzato di invasione e di insicurezza che prevaleva. Il governo italiano denunciò allora quella che definì “l’indifferenza dell’Europa” di fronte a quest’invasione senza precedenti. Schengen alla prova della primavera araba. Sotto la pressione dell’opinione pubblica interna, l’Italia firmò gli accordi con il nuovo governo tunisino al fine di rallentare

i flussi migratori e per favorire il ritorno dei clandestini in patria. Il 7 aprile, Roberto Maroni, il Ministro italiano dell’Interno, decise di concedere permessi di soggiorno

Stéphane Ebongue Koube È nato il 18/02/70 in Camerun. Ha conseguito un First degree in Journalism and mass communication e un master in English literature. Ha lavorato in Camerun come giornalista. Nel maggio del 2007 è arrivato in Italia, dove è rifugiato per motivi umanitari. Qui ha lavorato alla Claudiana, la casa editrice della chiesa Valdese a Torino.

Presentazione

e convulsioni socio-politiche che hanno agitato la strada araba (Tunisia, Egitto) all’inizio dell’anno, e ancora oggi la Libia, hanno avuto come conseguenza l’afflusso massiccio di rifugiati da questi paesi verso la piccola isola siciliana di Lampedusa, a qualche gomena dalle coste africane. Il numero senza precedenti d’immigranti registrati all’arrivo ha sconvolto il dispositivo d’accoglienza della città, causando problemi sociali e politici nella regione Sicilia e nell’intero Paese. A livello europeo, la rivolta araba ha innescato un acceso diverbio fra Francia e Italia, mettendo persino in discussione gli accordi di Schengen, uno dei pilastri essenziali della vita comunitaria europea.


oltremare Lettera dall’Europa Ciao Mamma, ho atteso così a lungo prima di scriverti perché accarezzavo la ferma speranza di poterlo fare soltanto per comunicarti la buona notizia che tutta la famiglia e tu aspettavate da tempo. Purtroppo, non sono riuscita a raggiungere il mio obiettivo e ciò non per mia negligenza, bensì perché tutti i miei sforzi sono risultati vani. La mia è un’amara realtà. Dopo otto anni di soggiorno in Europa, non sono riuscita ad agganciare un marito bianco, e forse nessun figlio meticcio arricchirà la nostra discendenza. Tutti i tuoi consigli, che suonavano come una campanella nella mia testa al momento della mia partenza, sono stati applicati alla lettera. Ogni giorno, ho fatto quanto possibile per sembrare più bella, più gentile, più disponibile e a volte persino più offensiva del solito, ma non é successo nulla. Non ho attratto l’attenzione di nessun uomo bianco, tranne quella di alcuni vecchi bavosi e fatiscenti che mi corrono dietro. Eppure quand’ero ancora al mio paese, noi tutti pensavamo che i bianchi fossero ghiotti d’amori esotici. Credevamo che bastasse essere di colore, giovane e bella per incantarli. Tutto falso. Al contrario di altri paesi europei, i matrimoni misti (bianco-nero) qui in Italia costituiscono una realtà tanto marginale quanto effimera. Ho osservato che sono di più le donne bianche che sposano uomini di colore, rispetto agli uomini bianchi che si uniscono a donne di colore, forse a causa delle grandi differenze culturali fra i coniugi. Per tornare a bomba, non sono la sola ad aver vissuto tale delusione. Tante altre ragazze qui, in mancanza di un marito bianco, vanno con i fratelli neri. Non sono facili neanche loro. Ed è con uno di loro che aspetto un bambino, un nero con un grande amore per la famiglia. Non lamentarti molto mamma. Un nipote è un nipote, bianco o nero che sia. Mi manchi tanto, Jeanne

provvisori ai migranti per consentir loro di viaggiare liberamente all’interno dell’Europa comunitaria nei paesi firmatari degli accordi di Schengen adottati nel 1997. Secondo tali accordi - ratificati dai Paesi dell’Unione, più la Norvegia e l’Islanda a eccezione del Regno Unito, dell’Irlanda coloro che sono muniti di un documento europeo valido all’interno della frontiera comunitaria non possono essere sottoposti a nessun tipo di controllo. L’iniziativa di Roma ebbe due conseguenze immediate, una delle quali era prevedibile, mentre l’altra si dimostrò un effetto a sorpresa. Come il governo Berlusconi aveva sicuramente calcolato, importanti flussi di migranti tunisini conversero a Ventimiglia (a 10 chilometri dalla Francia) non appena

venne rilasciato il documento. L’altro effetto, meno prevedibile, fu l’ira del governo francese che chiuse temporaneamente la frontiera con l’Italia, ancor prima d’imporre dei controlli. Nell’arco di una settimana, 1081 tunisini furono respinti verso l’Italia. Claude Guéant, il Ministro francese dell’Interno, invitò Roma a bloccare gli immigrati sul proprio territorio e a gestire la situazione in conformità con lo spirito e la lettera degli accordi di Schengen e di Dublino. L’affare venne gonfiato e le riunioni al vertice si susseguirono sia a livello bilaterale tra la Francia e l’Italia, sia a livello comunitario. Alcuni paesi come la Danimarca o la Francia preconizzarono di sospendere gli accordi. La crisi così innescata dagli immigrati

nordafricani in Europa ha portato alla luce le debolezze e l’estrema fragilità del sistema di sorveglianza delle frontiere esterne dell’Europa comunitaria. Sul piano politico, si è notata la reticenza di alcuni paesi nell’alienare la loro sovranità alla causa comune. L’eliminazione delle frontiere interne dell’Europa presuppone il rafforzamento del controllo di quelle esterne. Frontex, il dispositivo messo a punto a tale scopo, presenta parecchi punti deboli. Innanzitutto, Frontex non è dotato dei mezzi fondamentali. L’agenzia non dispone di elicotteri propri per poter svolgere le sue missioni di pattugliamento a largo delle coste europee. La seconda difficoltà è la complessità del quadro in cui si svolge il controllo delle frontiere esterne. Cecilia Malmström, Commissario europeo agli Affari Interni, ha proposto degli accordi concreti con i paesi di provenienza. Le stesse cause producono gli stessi effetti. L’afflusso degli immigrati nordafricani in Europa durante la “Primavera Araba” comprova di per sé che l’ondata migratoria dai Paesi poveri verso quelli ricchi è largamente dovuta allo stato di democrazia nei Paesi di provenienza e soprattutto alla natura delle relazioni tra i governi occidentali e la dirigenza di tali Paesi. Si è visto più volte come il sostegno compiacente offerto dagli Occidentali ai dittatori dell’Africa contribuisca a impoverire i Paesi di questi ultimi, spingendo in tal modo i cittadini a cercare altrove pascoli più verdi. Immigrare per sopravvivere è un’attitudine umana vecchia come il mondo. Tutte le crisi mondiali in Africa, così come altrove, si sono generalmente tradotte in un esodo massiccio delle popolazioni verso terre più ricche e stabili. Quest’ultima dimostra a sufficienza la grande ipocrisia degli Occidentali che alimentano le guerre e i conflitti e rifiutano di assumersene le conseguenze. Le azioni in corso da parte della NATO promettono altri arrivi e gli osservatori più ottimisti prevedono almeno 150.000 nuovi profughi a Lampedusa. In definitiva, il sostegno alla democrazia nei Paesi del Sud del mondo e la distribuzione equa delle ricchezze sono il modo migliore per combattere efficacemente l’immigrazione.

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progetti Reti a servizio del rifugiato: il progetto Nautilus Intervista a Giuseppe Lorenti, responsabile del progetto di Serena Naldini, foto di Giuseppe Consales

U

n questionario di sessanta domande: così parte la nave di Nautilus. Verso quale orizzonte? Giuseppe Lorenti, coordinatore del progetto, in questa intervista illustra il percorso previsto.

Che cos’è il progetto Nautilus? È un progetto, attivo da settembre del 2010, finanziato sul Fondo Europeo per i Rifugiati dell’Unione Europea e seguito dal Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno. I macro-obiettivi di Nautilus sono due: contribuire a rafforzare il sistema nazionale d’asilo e promuovere in maniera più razionale, più ragionata, percorsi di integrazione territoriale che coinvolgano richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale. Per integrazione,

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esponenti del partenariato intendiamo sia un’accoNautilus non è - ai beneficiari del progetto. glienza di tipo primario solo un punto La finalità è conseguire una legata a vitto e alloggio, di partenza, ma conoscenza delle persone sia un’accoglienza più soanche un punto che consenta percorsi più stanziale legata a percorsi di arrivo di mirati di integrazione. Il di inclusione lavorativa. questionario è molto lungo Oltre a Connecting Peocollaborazioni e articolato. Le circa sessanta ple, capofila del progetto, nate in altri domande vanno a esplorare il progetto vede la colcontesti le singole vite in profondità laborazione del Diparti(titoli di studio, competenze professionali, mento di comunicazione e ricerca sociale competenze linguistiche, frequenza di della Facoltà La Sapienza di Roma, OIM, corsi di italiano, casa, salute, propensione o AICCRE e consorzio Mestieri. meno a restare in Italia, ecc.) con l’obiettivo di definire un profilo migratorio. Al contempo, il questionario è uno spunto per A chi è rivolta e come si struttura l’attività? andare oltre. L’operatore che somministra un questionario così articolato riesce più I beneficiari sono rifugiati, titolari di protefacilmente a costruire una relazione con la zione internazionale e richiedenti asilo. Gli persona intervistata, fondamentale per un operatori impegnati nel progetto sono circa percorso di integrazione. trenta, distribuiti su dodici sportelli. Mi fa piacere sottolineare che quasi la metà degli operatori sono rifugiati. L’ultimo sportello Che cosa accade una volta è stato aperto a maggio, presso il CARA di compilato il questionario? Mineo. L’iniziativa è stata autorizzata dalla Prefettura di Catania, data l’emergenza Le informazioni raccolte vengono inserite degli ultimi due mesi. Lo sportello svolge in una banca dati, strumento la cui utilità un’attività di redazione di profili migratori e va oltre il termine del progetto, prevista a di orientamento al territorio per i quasi 2000 giugno 2011, consentendo di rimanere in richiedenti asilo, ospitati presso il centro di contatto con tutte le persone intervistate. Mineo, che provengono da ogni parte del Il sistema è costruito in maniera tale da mondo. Abbiamo messo a disposizione 7 poter essere consultato attraverso filtri per mediatori: un afghano, due somali, un eriricercare informazioni, elaborare report, treo e tre italiani che parlano arabo, inglese costruire profili più ristretti, ecc. e francese e che hanno già intervistato 500 richiedenti asilo.

Quali sono gli strumenti utilizzati? Lo strumento principale è la somministrazione di un questionario elaborato dal comitato scientifico - composto da

Nel progetto Nautilus è anche prevista l’attivazione di percorsi di inserimento lavorativo? Sì, percorsi di orientamento e di accompagnamento verso i servizi del territorio. Una


progetti delle prime attività realizzate dagli sportelli è stata la costruzione di una mappa ragionata dei servizi. Entrare in contatto in maniera strutturale con le reti territoriali è infatti indispensabile per promuovere percorsi reali di inserimento, che non siano affidati ad una singola, sporadica iniziativa. Così, il progetto Nautilus contribuisce e sostiene la costruzione e il potenziamento del sistema di servizi per l’asilo, creando una rete che tocca CARA, centri SPRAR e mondo del lavoro.

Quali sono le funzioni specifiche dei partner nell’ambito del progetto? Sottolineo che il partenariato di progetto è frutto di una collaborazione precedente. Da questo punto di vista, Nautilus non è solo un punto di partenza, ma anche un punto di arrivo di collaborazioni nate in altri contesti. Per quanto riguarda i ruoli nel progetto Nautilus, l’Università La Sapienza ha una funzione fondamentale su due temi: la formazione e la ricerca. Gli operatori di Nautilus hanno usufruito di un percorso formativo di cento ore sui temi dei linguaggi della multiculturalità, sugli aspetti legislativi del diritto d’asilo, ecc. A partire dai dati raccolti, inoltre, il Dipartimento si occuperà della pubblicazione di uno studio che fotografi, territorio per territorio, la situazione dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei titolari di protezione internazionale, un’analisi che in Italia non è mai stata fatta in maniera sistematica e completa.

base territoriale. Nautilus, quindi, grazie al partenariato con l’AICCRE acquisisce una potenziale capacità di moltiplicarsi o, quanto meno, gode di una diffusione a livello informativo.

analizzato il rapporto tra mass media e migranti e che ha visto, tra gli altri, l’intervento del prof. Mario Morcellini.

Gli altri partners, invece, che ruolo svolgono nell’ambito di Nautilus? Come vengono intercettate le persone? L’OIM ha una funzione di assistenza tecnica rivolta agli operatori degli sportelli, con delle visite di monitoraggio e verifica. Anche il consorzio Mestieri fornisce assistenza tecnica finalizzata soprattutto al sostegno della mappatura territoriale e alla costruzione di reti territoriali sul tema del lavoro, oltre a una funzione più consulenziale volta a dotare gli operatori di strumenti per l’orientamento e l’inserimento lavorativo. L’ultimo partner, l’AICCRE, è un’associazione di istituzioni locali che ha un proprio rappresentante in ogni consiglio territoriale per l’immigrazione, organo presente in tutte le Prefetture nazionali che coordina le attività in tema di immigrazione e asilo politico su

Quasi tutti gli sportelli sono allestiti all’interno dei CARA. Abbiamo inoltre optato per attivare due sportelli anche in assenza di centri, uno a Catania e uno a Torino. Torino è un luogo in cui esiste una commissione di esame delle domande di asilo e una città ad alta densità migratoria e a fortissima presenza di richiedenti o di titolari di protezione internazionale. Catania è stata scelta perché la Sicilia è sempre stata terra d’asilo.

Quando e come si concluderà il viaggio di Nautilus? E quali prospettive all’orizzonte? Nautilus si concluderà il 28 giugno con il convegno di presentazione dei risultati, convegno che assume una nuova prospettiva poichè Connecting People si è appena aggiudicata la gara per la prosecuzione delle attività fino al giugno 2012.

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Immagino che oltre alle funzioni descritte, l’Università abbia anche un ruolo più, per così dire, culturale.

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Scientifico e culturale. In questo senso, il 20 maggio Nautilus ha promosso con il Dipartimento di comunicazione e ricerca sociale de La sapienza un tavolo di lavoro dal titolo “Comunicazione e rifugiati”, che ha

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L’Italia e il sogno di una nuova vita Incontro con Suad Muhammad Bint Ibrahim, una giovane siriana ospite del Centro Accoglienza di Castelnuovo di Porto testo e foto di Edoardo Scordamaglia, mediatore culturale, sportello Nautilus di Roma -

A

vederla oggi Suad, ragazza siriana di 32 anni, sembra incredibile che il suo esile corpo sia riuscito a portare qui in Italia tutta la malinconia che le si legge in viso e il bimbo che tiene in grembo da ormai otto mesi. Qui al centro accoglienza di Castelnuovo di Porto tutti la conoscono o ne hanno sentito parlare, perché difficilmente i suoi occhi neri profondi si lasciano dimenticare. È forte dentro e fragile fuori, la maternità dona forse stanchezza ai suoi gesti ma dal modo di camminare lascia intendere che niente la può fermare ormai. È implacabile come un vento che

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da un ufficio all’altro del C.A.R.A con una viene dall’oriente, una corrente che sfida luce negli occhi prima di domandare e la morte per portare da noi una vita. un pallido silenzio sul viso mentre ascolta Non è mai tranquilla Suad, sembra cerle risposte. Sempre le stesse care senza sosta qualcuno che la ascolti, qualcuno che Mi accontento risposte. «Ancora niente! Devi aspettare, abbi pazienza. Puoi le dia una speranza a cui agdi vivere il tornare domani.» grapparsi almeno per un altro presente e Domani arriva subito per Suad, giorno. Ha paura per il suo cerco di non ma sembra come ieri. bambino, per il marito che è rimasto in Siria, non riesce a farmi illusioni Al centro accoglienza esiste solo il tempo presente, una sopportare l’attesa dei risulsul futuro linea continua ininterrotta, tati della commissione che senza il passato che fa troppo male e decreteranno il suo diritto a rimanere in senza il futuro, perché ancora non c’è abitalia come rifugiata. La sua vita è ormai bastanza luce per poterlo vedere. tutta un’ansiosa attesa, sembra danzare


progetti visitata senza essere toccata, di non essere ascoltata quando avevo bisogno di aiuto. Per fortuna si trovano persone sensibili che ti aiutano, ma si tratta di iniziative dei singoli e non di un reale sistema di accoglienza e integrazione. Una volta presi i documenti noi rifugiati siamo di nuovo soli, diventiamo invisibili e ce la dobbiamo cavare da soli. Paradossalmente stanno meglio coloro che ancora devono prendere il permesso perché nell’attesa almeno sono parcheggiati in un centro accoglienza. In alcune situazioni ho creduto di non farcela e di aver sbagliato alcune cose, ma mai ritornerei sui miei passi.

Da dove viene? Perché ha deciso di venire proprio in Italia? Sono siriana, ho 32 anni e sono venuta qui perché nel mio paese non potevo più stare. Non ho scelto l’Italia, né nessun altro paese. Quando fuggi non ti importa dove vai ma pensi solo ad allontanarti il più possibile verso un luogo che sicuramente sarà migliore di quello in cui ti trovi. Adesso però l’Italia è il paese in cui voglio restare, è il sogno di una nuova vita per tutti noi, io, mio marito e il bambino. Voglio che mio figlio abbia un nome italiano, suo padre ancora non è al corrente di questo, ma sono sicura che una volta qui in Italia riuscirò a convincerlo!

Da chi o che cosa sta fuggendo? Perché suo marito non è qui con lei? Fuggo da discriminazioni di ogni tipo. Io sono arabo-siriana, ma il mio cuore ha scelto un uomo curdo. La mia famiglia mi ha buttato fuori di casa nonostante fossi incinta, mi ha costretto a scegliere tra sottomissione e libertà e io ho voluto essere libera. Non potevo privare mio figlio di suo padre tradendo l’uomo che amo.

Per fortuna si trovano persone sensibili che ti aiutano, ma si tratta di iniziative dei singoli e non di un reale sistema di accoglienza e integrazione Non è bastato chiudere con i miei familiari, perché purtroppo mio marito è stato ingiustamente messo in carcere, senza nessun motivo, soltanto perché dei diritti di un curdo nel mio paese non interessa a nessuno. Lui è un ingegnere informatico, una persona onesta che aveva un negozio di computer. Mi sono ritrovata sola e confusa. Alla fine, ho trovato la forza di fuggire via da tutto e da tutti promettendo a mio marito che una volta in Europa sarei riuscita ad aiutarlo e che il nostro amore avrebbe vinto.

Sopra e nella pagina a fianco, alcune immagini della Siria.

Come vede il futuro di suo figlio? Gli racconterà un giorno tutta questa storia? Quanto è difficile lasciarsi tutto alle spalle e fare il viaggio della speranza con un bambino in grembo? Credo che per farlo bisogna arrivare a toccare il fondo. Io ero disperata. Sono stata rifiutata dalla mia famiglia soltanto perché ho seguito il mio istinto, perché ho voluto scegliere e non essere scelta! Ne ho viste di ragazze infelici nel mio paese, non voglio diventare così. È indescrivibile il dolore che si prova quando le persone che più ami ti respingono senza pietà, ad un tratto sembrano estranei. Ti senti abbandonata e provi un dolore insopportabile. Mio figlio mi ha dato la forza, è lui la mia speranza. Voglio soltanto dimenticare il passato e vivere in pace con la mia famiglia qui in Italia.

Come si è trovata qui in Italia? Ha mai pensato di aver sbagliato tutto? Ogni giorno mi passano per la testa mille pensieri e provo sensazioni contrastanti. A volte, mi ritrovo a ridere, mentre un minuto prima piangevo disperata. L’Italia mi ha accolto e di questo sono grata al paese, ma molte cose proprio non vanno. Nessuno ti spiega niente, uno dice una cosa e l’altro la smentisce poco dopo. Mi è successo di essere letteralmente abbandonata per ore in ospedale in attesa che arrivasse un interprete, di essere

Mi accontento di vivere il presente e cerco di non farmi illusioni sul futuro. Non posso negare, però, che sogno spesso una casa e vedo me e mio marito che abbracciamo nostro figlio. Il bambino sorride nel sogno. Mi piacerebbe che la sua vita fosse piena di allegria e spensieratezza. Quando sarà in grado di capire gli racconterò tutto e forse gli sembrerà una favola un po’ paurosa. Quando sarà adulto, spero che possa comprendere quanto lo amano i suoi genitori anche attraverso questa storia.

Per concludere, crede che avrà problemi a integrarsi qui in Italia? Sono in questo paese da circa 6 mesi e ho sentito parlare di discriminazioni razziali soltanto nei confronti degli africani di colore. Ho sentito dire che per loro è più difficile integrarsi. Per quanto riguarda me e la mia famiglia spero che non avremo problemi. Nostro figlio non avrà problemi, perché nascerà in Italia e sarà italiano. Per noi genitori sarà più difficile, ma faremo di tutto per imparare la lingua e integrarci a tutti gli effetti. Sto facendo un corso di italiano: è difficile ma voglio impararlo bene! Spero che mio marito possa raggiungermi al più presto. Ho avviato le pratiche per il ricongiungimento familiare e, se Dio vuole, presto potrò riabbracciarlo e presentargli suo figlio.

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Nautilus,ovvero l’inizio di un viaggio Breve panoramica su alcune storie di migranti che iniziano a ricostruire la propria vita nel nostro paese di Arianna Cascelli, Orientatrice sociale, Sportello Nautilus di Trapani

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di valutare il paese di accoglienza per quel che è, per quel che può leggervi chi aveva un’istruzione, una professione, un percorso ben definito, in quel recente passato ormai indefinito che era la propria vita. È questo

che i primi mesi di viaggio nel progetto Nautilus portano a galla, con l’obiettivo di aggiungere servizi, informazioni e collegamenti a sostegno di quelle realtà dell’accoglienza e quelle azioni del terzo

Centro Accoglienza Richiedenti Asilo (C.A.R.A.) Ogni giorno porta al centro accoglienza in cui arma migliore è avere pazienza dapprima l’istinto ma dopo prudenza sempre ai limiti d’umana decenza...

Assenti gli sguardi di alcuni ammalati che presto saranno da noi rifugiati sfortunati amici da tutto scampati fragili, deboli e giammai ascoltati...

Lacrime e sorrisi di fronte alla vita storia di ieri che non è mai finita ad ogni racconto si riapre ferita guerra, violenza, esistenza tradita...

Entrate pure al centro accoglienza dove il lavoro diventa esperienza dove l’ascolto riporta speranza dove l’attesa è soltanto una danza...

Bambini allegri se pur in disgrazia speranza innocente concede la grazia la vita li guarda con estrema avarizia eterna l’infanzia che da qui non inizia...

Edoardo Scordamaglia 17 aprile 2011

Poesia

H

a quasi quaranta anni, C., prima di partire era pasticcere – dalle foto dei suoi capolavori, si direbbe un ottimo pasticcere; M. faceva il sarto, ricorda con orgoglio l’alto numero di clienti che aveva; R. era un tecnico, di quelli che raccontano e i non addetti ai lavori faticano a capire i dettagli; poi pescatori, parrucchieri, agricoltori, saldatori, elettricisti, farmacisti, ingegneri; e così via. Non sono – solo – storie, sono bilanci di competenze professionali. Ma anche raccolte di aspettative, di impressioni, di “perché l’Italia”. È l’altra faccia dell’universo dei rifugiati – o titolari di protezione sussidiaria, o di permesso di soggiorno per motivi umanitari – che iniziano a ricostruire la propria vita nel nostro paese, quella che di volta in volta l’emergenza del momento – vera o presunta che sia – nasconde e mortifica. La faccia di coloro che molti chiamano immigrati, “come tutti”. Di cui vengono in rilievo le appartenenze sociopolitiche, le persecuzioni subite, i motivi della fuga, le ragioni cioè, che danno diritto ad una protezione. Di cui passano in secondo piano, spesso, la storia personale e professionale, l’esperienza, l’autonoma capacità


progetti settore già avviate al fine di promuovere l’integrazione dei titolari di protezione internazionale. È ciò che facciamo giornalmente nei 12 sportelli di orientamento al territorio aperti in tutta Italia: bilancio di competenze, orientamento al lavoro, alla formazione professionale e ai servizi del territorio. E potenziamento/creazione di reti tra i vari enti interessati dal fenomeno, che significa molto di più: è costruire, sensibilizzare, tirar fuori la faccia nascosta. L’obiettivo è conoscere meglio la popolazione di richiedenti e titolari di protezione internazionale presenti nel territorio italiano, scoprire dal loro punto di vista limiti e potenzialità della nostra “accoglienza”. (Una curiosità: uno dei maggiori problemi rilevati, prima ancora di quelli che sembrerebbero connaturati alla condizione di chi ha dovuto lasciare tutto, è quello di comunicare con gli italiani che “non parlano altro che italiano”, dice stupito chi di lingue ne conosce almeno tre.) Poi, fornire un orientamento ai servizi che offre il territorio, dal corso di lingue alla formazione professionale, dal lavoro all’abitazione. Un processo complesso, una sfida necessaria. E qualcosa, anche soltanto rispetto a un aumento della conoscenza del fenomeno dei rifugiati, si muove: dallo sportello di Trapani, grazie al supporto della Direzione Provinciale del Lavoro, è stato sollevato presso la Regione Sicilia il problema delle difficoltà di accedere alla formazione professionale standard da parte di questa particolare categoria di beneficiari, in ragione dell’impossibilità di dimostrare il titolo di studio posseduto. Contemporaneamente è aumentata la sensibilità dimostrata dagli enti di formazione, che ci ha permesso di inserire alcuni utenti in corsi di formazione professionale: più saranno avviati meccanismi di questo tipo, più sarà possibile allargare il ventaglio di possibilità a disposizione per l’integrazione. Ma c’è dell’altro. In generale, nell’avvicinare il territorio a una popolazione che gli appartiene e che spesso non conosce, nel “fare rete”, ad ogni incontro si aggiunge una tessera al mosaico. Chissà che un giorno il disegno non prenda forma.

Il progetto Nautilus Obiettivi 1: Potenziare l’attività ordinaria di orientamento e informazione offerte ai Richiedenti Protezione Internazionale; evitare la dispersione dei beneficiari di protezione, promuovere l’integrazione dei servizi offerti, creare un collegamento tra i CARA, rete SPRAR e altre realtà presenti sul territorio; 2: Raccogliere informazioni sui beneficiari di protezione internazionale, inclusi dati relativi alle loro biografie personali, ossia in merito alle loro generalità, nonchè ai loro background, esperienze professionali, qualifiche, interessi, aspettative, titoli di studio contribuendo a definire ”profili migratori” così come indicato dalla Commissione Europea. Attività realizzate • Intervistare i beneficiari attraverso la somministrazione di un questionario appositamente sviluppato per il progetto. • Inserire dati e informazioni rilevate su banca dati • Mappatura dei territori • Sulla base delle informazioni raccolte, fornire ai beneficiari servizi di orientamento,

informazione, sostegno e accompagnamento verso i servizi del territorio, quali centri Sprar o altre soluzioni territoriali di accoglienza, corsi di formazione professionale, borse lavoro, tirocini formativi, forme di inserimento lavorativo, forme di assistenza allíinserimento abitativo. Risultati attesi • Allestimento di 12 sportelli operativi • Realizzazione di 10.000 interviste individuali R.A. • Realizzazione di 30 tavoli di concertazione a livello locale (si specifica non 30 su ogni territorio ma in totale) • Inserimento di 2.000 R.A. nella rete SPRAR o in altre soluzioni di accoglienza presenti sui territori • Fornire ai beneficiari servizi di orientamento, informazione, accompagnamento verso corsi di formazione professionale, borse lavoro, tirocini formativi, forme di inserimento lavorativo, forme di assistenza all’inserimento abitativo.

Nell’ambito del progetto è stato prodotto un video documentario che ha toccato le città di Torino, Roma, Catania e Trapani, e che racconta Nautilus e le storie dei rifugiati. Foto di Giuseppe Consales

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I centri gestiti da C.P. in Piemonte Connecting People accoglie 224 persone, di cui 184 richiedenti asilo e 40 con permesso temporaneo (nel centro di Settimo Torinese). Ha inoltre accolto 4 minori non accompagnati, inseriti adesso in comunità alloggio e in famiglie affidatarie. In ogni centro è già attivo l’insegnamento della lingua italiana e sono partiti diversi laboratori manuali, di alfabetizzazione informatica, di volontariato e attività sportive.

Centro di Lemie Lemie (TO) Villa Buzzi

Centro di Forno di Coazze Coazze (TO) Casa Parrocchiale

Centro di Settimo Centro di Torinese Settimo Muzzano

Torinese (TO) Hotel il Giglio

Muzzano (BI) Casa Don Bosco

4 maggio 2011

4 maggio 2011

11 maggio 2011

17 maggio 2011

36

31

68 + 40 (ex art.20)

49

richiedenti asilo

richiedenti asilo

richiedenti asilo e titolari permesso temporaneo (ex art.20)

richiedenti asilo

Piccola Casa della Divina Provvidenza del Cottolengo

Parrocchia di Forno di Coazze

Seven Hotel srl

Istituto San Cassiano

Cooperativa sociale Crescere Insieme, Consorzio Kairòs

Cooperativa sociale Liberitutti, Consorzio Kairòs, FO.QU.S.

Cooperativa sociale Liberitutti, Cooperativa sociale Crescere Insieme, Consorzio Kairòs, FO.QU.S.

Consorzio Filo da Tessere, Cooperativa sociale Maria Cecilia, Cooperativa sociale Tantintenti

Piccola Casa della Divina Provvidenza, Associazione Ercole Premoli, Società Farmacie Comunali di Torino, ConfCooperative Torino

Associazione il Nodo, Società Farmacie Comunali di Torino, Confcooperative Torino, cooperativa il Ponte

ASD Beinasco Rugby F.C., Confcooperative Torino, Croce Rossa Italiana

Caritas Biella

Operativo dal

Numero di ospiti presenti

Tipologia di ospiti

Ente propietario dell’immobile

Soci impegnati

Collaborazioni

Italiani: popolo di eroi, santi, poeti, navigatori...e migranti! 150 anni di sbarchi, una storia lunga quanto l'Unità d'Italia, un ideale percorso in tre tappe sulle migrazioni che hanno segnato la nostra storia negli ultimi due secoli.


Torino, 2011

Potevamo essere solo in 300.000

di Mauro Maurino, consigliere di amministrazione Connecting People

Torino, prima capitale d’Italia nel 1861, contava poco più di 200 mila abitanti. Fin dall’inizio del secolo, era stata meta di migrazioni dalla campagna circostante, da tutto il Piemonte, dalla Savoia. Non doveva essere facile la vita, allora, e dei tanti giovani che venivano a cercare fortuna nella città, si occupavano quelli che poi vennero detti i “santi sociali”. D’altronde, loro stessi, a Torino, erano giunti da altre città. Con il passare dei decenni, queste migrazioni provenienti da luoghi vicini furono seguite da altre ondate: nei primi anni ‘20, dal Trentino e dalle regioni del nordest; nel dopoguerra, fu la volta dei profughi dell’Istria e della Dalmazia; infine, con il successo della Fiat e, più in generale, con l’industrializzazione, arrivarono i veneti e i meridionali. Il sud sembrava lontanissimo rispetto alla Savoia, ma i nuovi mezzi di trasporto consentivano di arrivare dappertutto in sole 48 ore. A 100 anni di distanza dal fatidico 1861, la città contava ormai più di un milione di abitanti. 50 anni dopo, i “torinesi” residenti sono solo

900.000, di cui circa 100 mila stranieri. Finita la migrazione interna, infatti, è cominciata - prima alla spicciolata, e poi sempre più impetuosa - la migrazione globalizzata. Innanzitutto, europea e poi dall’Africa, dal Sudamerica, dall’Asia. I demografi sostengono una tesi sorprendente: Torino, senza le migrazioni, oggi sarebbe abitata da 300.000 persone. Meno di quante ne abitino oggi nella sua cintura più prossima. È chiaro che parlare di “torinesi” vuol dire fare conto con gli sbarchi, quelli con i barconi, quelli delle persone riversate da treni, aerei, pullman e quelli di coloro che approdano dopo una lunga serie di passi sulle nostre montagne. Un ruscello di individui che ogni giorno giungono nella nostra città e che noi, nolenti o volenti, accogliamo. A volte in silenzio, altre volte in pompa magna, com’è avvenuto in queste ultime settimane. Il torinese ormai non esiste. Difficile immaginare oggi di trovare un discendente “puro” di coloro che abitavano questo sobborgo quando i Savoia nel 1563 decisero di

trasferirvi la capitale del loro staterello. Questa verità suggerisce un’idea: la città di cui siamo figli, discendenti da migranti noti e ignoti, quest’anno, oltre all’unità d’Italia, festeggia simbolicamente anche i suoi 150 anni di sbarchi. È avvezza alla differenza, alla polemica e alla paura. Ha vissuto il razzismo di chi teme e il coraggio di chi apre la porta. Ha negato diritti, per poi accordarli. È stata eroica e accogliente, così come ostile allo straniero. Nonostante queste contraddizioni - o forse grazie alla profonda umanità che le anima Torino è considerata una delle poche metropoli dove è possibile vivere bene. Una domanda, che è al contempo una speranza, chiude il cerchio di questa riflessione: i 150 anni di unità del nostro Paese - e la festa che facciamo, così sentita a Torino, città simbolo di questa unità - non dimostrano che un futuro di integrazione è possibile?

Gli ultimi sbarchi dall’Africa. la Torino (e dintorni) che accoglie

Abbiamo visto un pugno di cooperative, sostenute da Confcooperative Torino, che, senza attardarsi in discussioni intorno ai modelli, si sono semplicemente messe a lavorare, con l’umiltà feconda tipica del nostro recente passato, partecipando alla costruzione delle prime accoglienze piemontesi. Abbiamo avuto la fortuna di essere supportati da file di cittadini venuti a dare il proprio benvenuto ai nuovi arrivati con vestiti, cibo, tempo e simpatia. E di questo calore - poco raccontato dai media, ma respirato dai nostri ospiti - ci siamo avvantaggiati per dare protezione ai bimbi che andranno a rimpolpare le file della scuola elementare di Viù, ai loro fratellini e sorelline ancora in tenera età, e ai sette, ancora più piccoli, che nei prossimi mesi vedranno la luce in Piemonte. Non è facile convincere un padre fuggito dalla propria terra con i propri figli che il paese di montagna che gli ha dato ospitalità potrebbe trasformarsi da rifugio, da ripiego, a punto di partenza per il futuro. Non è semplice capire che cosa dice Hamed, quando si avvicina affermando che gli fa male una gamba. Non è facile credere che da 10 giorni si trascina per il mondo con un proiettile nella carne e attende paziente il concludersi di un interminabile appello, prima di potersi sottoporre a una visita medica. La povertà assoluta - quella che manca dei beni essenziali, cibo, casa, vestiti - è venuta a bussare impietosa alla porta delle nostre case. “Stavo per spedire in Africa questo pacco,” mi ha detto un imprenditore. “Adesso ho deciso di darlo a voi: l’Africa è venuta a trovarci.”

di Mauro Maurino

2011. Gli sbarchi proseguono e prosegue l’accoglienza in Piemonte. Alla fine di maggio, sono poco più di 800 le persone che hanno trovato ospitalità nella regione e, di queste, circa un quarto nelle strutture gestite da Connecting People. Al territorio piemontese è destinato un flusso di 3.900 richiedenti asilo. Fin dal mese di febbraio, abbiamo intuito che ci sarebbe stato bisogno di dare forma alla solidarietà: come Connecting People, abbiamo cercato dei partners che si unissero a noi per raccogliere e costruire risorse per l’accoglienza. Abbiamo incontrato un parroco e un imprenditore che hanno colto l’importanza di stare in prima fila per aprire - senza titubanze di sorta o facili distinguo - le porte del Piemonte, proponendo modi e luoghi - anche inediti - per ospitare futuri nuovi cittadini o migranti solo di passaggio. Abbiamo chiesto aiuto e siamo stati affiancati da vecchi e nuovi compagni, tra cui gli ordini religiosi che a Torino rappresentano gli epigoni dei santi sociali che nell’800 fecero della nuova capitale una città capace di accogliere. Abbiamo trovato autorità locali, rappresentanti del governo e della Regione, così come piccole comunità disposte a partecipare in vario modo a questa avventura.


DOSSIER

L’Italia? Un Paese solidale D

opo il convegno di presentazione del progetto Next, Storie di Questo Mondo incontrato José Angel Oropeza, Capo Missione OIM Italia.

In che cosa consiste la collaborazione tra OIM e Connecting People? Come OIM, cooperiamo con Connecting People in diversi campi. In primo luogo ci sono il progetto Nautilus e il progetto Next. Si tratta di due progetti finanziati con il Fondo Rifugiati dell’Unione Europea, il FER, amministrato dal Ministero dell’Interno e incentrato particolarmente

sull’attenzione ai migranti, ai rifugiati e alle persone vulnerabili che arrivano in Italia. Abbiamo esteso la collaborazione con Connecting People, attivando degli interventi di supporto al progetto di accoglienza al CARA di Gradisca d’Isonzo, come da richiesta del consorzio stesso. Nell’ambito di questa collaborazione, l’OIM si occupa di sviluppare la componente di attenzione psicosociale nei confronti dei rifugiati e dei migranti ospitati nella struttura. È senz’altro una collaborazione molto efficace - come abbiamo valutato all’interno della OIM - e necessaria per supportare la gestione di Connecting People attraverso l’esperienza dell’OIM in questo specifico campo dell’attenzione alle persone vulnerabili e ai migranti volta a migliorare la condizione e la salute psicomentale di questa fascia di popolazione.


Cenni di storia del diritto d’asilo

I

l Diritto di asilo (o asilo politico, in greco: άσυλον) è un’antica nozione giuridica, in base alla quale una persona perseguitata nel suo paese d’origine può essere protetta da un’altra autorità sovrana straniera. Questo diritto ha le sue radici in una lunga tradizione occidentale, anche se era stato già riconosciuto da egiziani, greci ed Ebrei La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo riconosce il diritto d’asilo all’art. 14 come diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni, non invocabile, però, da chi sia realmente ricercato per reati non politici o per azioni contrarie ai fini e ai princìpi delle Nazioni Unite. Hanno dunque diritto di asilo i “rifugiati”. Quello di “rifugiato” è uno status riconosciuto, secondo il diritto internazionale (art. 1 della Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951), a chiunque si

trovi al di fuori del proprio paese e non possa ritornarvi a causa del fondato timore di subire violenze o persecuzioni. In questo senso, l’asilo politico è un caso particolare di diritto di asilo, è il diritto di asilo, cioè, di chi è perseguitato per le proprie opinioni politiche, e che è perciò un rifugiato politico. La Convenzione di Ginevra del 1951 e il Protocollo del 1967 sono alla base del diritto internazionale del rifugiato. Secondo la Convenzione, un rifugiato è un individuo che: ha fondato motivo di temere la persecuzione a motivo della sua discendenza, religione, nazionalità, appartenenza ad un particolare gruppo sociale, opinione politica; si trova al di fuori del suo paese d’origine; e non può o non vuole avvalersi della protezione di quel paese, o ritornarvi,

per timore di essere perseguitato. Il Regolamento Dublino II (Regolamento CE n. 343/2003), che ha sostituito fra gli stati membri dell’Unione Europea la preesistente Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990, garantisce ad ogni richiedente lo status di rifugiato che la sua domanda sarà esaminata da uno Stato membro dell’Unione Europea. I parametri per stabilire la competenza di uno Stato hanno carattere oggettivo e sottintendono il principio che lo Stato membro responsabile dell’esame dell’istanza, indipendentemente da dove la stessa sia stata presentata, è quello in cui è avvenuto l’ingresso, regolare o meno, del richiedente asilo. Il Regolamento contempla tuttavia anche alcune specifiche regole di competenza volte a salvaguardare l’unità familiare dei richiedenti asilo.

di Serena Naldini. Foto Tribbù

Per il futuro quali sviluppi si augura? Abbiamo concordato con Connecting People di consolidare questa collaborazione, firmando un protocollo d’intesa per continuare l’appoggio al Centro di Gradisca d’Isonzo supportando l’integrazione dei migranti arrivati in Italia anche per la durata della prossima convezione con il Ministero dell’Interno, se proseguirà la gestione del centro da parte del consorzio. Credo che l’Italia da questo momento dovrà fare sforzi maggiori per trovare soluzioni alla problematica dei migranti in Italia e per assicurare un’integrazione più efficace, certamente per il benessere del migrante ma anche per il benessere della società e del paese intero.

Un momento della conferenza di presentazione a Gorizia. Nella pagina accanto José Angel Oropeza, Capo Missione OIM Italia.

Con l’esperienza maturata come cittadino del mondo, come si è definito durante la conferenza, come valuta la situazione italiana rispetto al tema dell’integrazione?

L’Italia è un paese molto collegato alle migrazioni. Tanti sono i migranti italiani che sono partiti per l’estero per lavorare a causa della situazione economica dell’Italia, dopo la seconda guerra mondiale.

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Fondata nel 1951, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) è la principale organizzazione intergovernativa in ambito migratorio. L’Italia è uno dei paesi fondatori.

Questi stessi migranti hanno ricostruito l’Italia, con il loro appoggio economico, con le rimesse che inviavano ai parenti rimasti in patria. Le rimesse sono state fondamentali per l’Italia nel momento del suo sviluppo e della sua ricostruzione. In seguito, circa venti anni fa, il paese ha conosciuto una migrazione importante, fatta da migranti che sono venuti per trovare un posto di lavoro e migliori condizioni di vita in generale. Queste persone sono state molto utili per l’Italia, perché il mercato del lavoro aveva carenza di manodopera.

E adesso? Credo che questo sia il momento che l’Italia faccia una politica a lungo termine, perché la popolazione italiana sta invecchiando e il paese ha bisogno di persone che lavorano. L’Italia ha realizzato che è necessario accogliere migranti altamente qualificati, migranti che possano sviluppare relazioni con i propri paesi d’origine, aprendo opportunità per l’Italia sul piano degli scambi commerciali. L’ultimo decreto flussi punta in questa direzione ed è un segnale estremamente positivo. Se l’Italia, come tutti i paesi europei, vorrà mantenersi prospera e competitiva dal punto di vista economico, dovrà necessariamente accogliere le migrazioni.

Dovrà essere certamente un’accoglienza che si sviluppa nel quadro di una politica razionale, ordinata. I flussi devono essere gestiti nell’ambito di una politica complessiva: l’accoglienza del migrante, l’integrazione, i diritti, i doveri. Non dimentichiamo i doveri che sono molto, molto importanti. Indubbiamente occorre anche gestire la migrazione irregolare o quella dei flussi migratori misti. L’Italia a mio avviso è un paese molto solidale e comprende molto bene il beneficio generato dalle migrazioni. Credo che farà tutto il possibile perché le migrazioni stesse producano effetti positivi per la società e per il paese nel futuro.


Noè, Nextore e i suoi amici Tra le azioni più importanti del progetto Next quella rivolta alle scuole dei comuni di Gradisca, Sagrado e Gorizia. Ragazzi e ragazze di elementari e medie dei tre comuni hanno ricevuto una copia della pubblicazione “Amici di Nextore - impariamo a convivere con altre culture” . Un coloratissimo fumetto ha riadattato la storia del patriarca Noè, costretto ad emigrare e lasciare la sua terra, trasportandola ai nostri giorni. Piccoli quiz, un concorso di disegno e una spiegazione a misura di bambino dei più importanti temi legati all’immigrazione hanno

Rispetto alla sua esperienza internazionale, ci racconta un modello di accoglienza che reputa particolarmente positivo ed efficace? Tutti i paesi sono differenti, le realtà sono tutte diverse. È molto difficile parlare di un modello unico o di un modello di maggior successo. Io credo che i paesi nordici abbiano attuato politiche e programmi per l’integrazione molto forti, che funzionano. Non dico che l’Italia non l’abbia fatto. L’Italia sta andando in questa direzione. Il problema è che l’Italia ha dovuto fronteggiare flussi migratori imprevedibili dal punto di vista della quantità di persone che si spostavano. Il paese si è trovato quindi a gestire l’emergenza. Questo è passato, fortunamente.

completato l’utile opuscolo. Incluso nel cofanetto destinato ai bambini un gioco dell’oca completo e illustrato a tema. Giocando, i bambini accompagnano Noè nella sua avventura verso l’integrazione e, con l’aiuto di Nextore, verso l’apertura di una fattoria. I disegni sull’immigrazione dei bambini che hanno partecipato al concorso saranno messi in mostra alla fine del mese di Giugno nei comuni che hanno aderito all’iniziativa.

Credo che il futuro sarà un futuro di politiche più razionali e di lungo respiro. Il problema resta sapere quello che comporterà in termini di flussi migratori ciò che sta accadendo nei paesi vicini all’Italia, la Tunisia, l’Egitto, l’Albania che stanno attraversando duri momenti di instabilità sociale. Ma l’Italia è ben preparata per confrontarsi con questa situazione, una situazione che certamente nessuno desidera.

OLL' C O I G IL DE

A C AR


Siamo parte di un disegno di Serena Naldini chiamato Europa

D

opo la presentazione del suo libro, L’Italia dei Rifugiati, presso la Cappella Bonaiuto a Catania, venerdì 11 marzo scorso, il Prefetto Sandra Sarti si è fermata con noi per una breve intervista. Secondo lei come cambierà il quadro della legislazione alla luce degli ultimi accadimenti nel Nordafrica? Non ne ho un’idea precisa in questo momento, perché la situazione è ancora in evoluzione. Credo che, rispetto al sistema che abbiamo maturato e di cui disponiamo oggi, si andranno a profilare delle modifiche strutturali che dovranno necessariamente includere dei momenti di integrazione. Il quadro di riferimento di cui abbiamo sinora disposto sta rapidamente mutando e la prima indicazione che abbiamo in relazione all’accoglienza di coloro che, così numerosi, stanno arrivando a Lampedusa è l’utilizzo del centro di Mineo e di tutti i centri che si troveranno presso le Prefetture, presso le Province italiane messi a disposizione dalla chiesa, dalle caserme, ecc. Da un punto di vista attuativo della procedura di accoglienza finora applicata appare chiaro che, specie in ragione della presenza di profughi che non chiedono asilo, ci saranno dei cambiamenti. Intanto è stato nominato il Commissario per l’emergenza sbarchi, individuato nel Prefetto di Palermo. Per dire cosa e come cambierà, tuttavia occorrerà anche valutare quale sarà la consistenza del fenomeno migratorio, cioè, quanti saranno gli arrivi, quante saranno le domande di protezione internazionale. D’altro canto, qualsiasi sistema amministrativo statale dispone di strumenti che gli consentono di rendersi operativamente flessibile al manifestarsi di nuove e urgenti esigenze sociali. Come è nata l’idea del libro? È nata dall’esperienza vissuta per cinque anni nella Direzione dei Servizi per

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l’immigrazione e l’asilo, in qualità di responsabile dello Sprar, di referente per il Fondo Europeo Rifugiati e da ultimo come vicedirettore. Più specificamente, l’idea è partita dalla constatazione che sui rifugiati sono stati pubblicati molti testi mirati all’approfondimento di alcuni argomenti particolari, come ad esempio la vulnerabilità, il disagio mentale, la situazione delle donne, i minori richiedenti asilo, ecc. Ma non c’era nessuna pubblicazione che desse un’idea unitaria e organica del tema, affrontato dal punto di vista del diritto nazionale, europeo e internazionale, che fornisse un quadro del raccordo delle disposizioni ai tre diversi livelli e illustrasse come, dal punto di vista attuativo, le strutture italiane avessero risposto alle previsioni normative. Occorreva quindi delineare un quadro d’insieme per consentire di comprendere quali fossero i confini, i limiti, i pregi e i difetti riscontrabili sul tema dell’Asilo in Italia. Il mio libro ha inteso fornire questa diversa e complessiva visione. Si tratta di un prodotto molto completo, dettagliato. Quanto è durata la stesura? Da febbraio a giugno del 2010, scrivendo di notte e nei fine settimana per non sottrarre tempo al lavoro della mia Direzione. Speravo tanto di riuscire a farlo pubblicare per la giornata mondiale del rifugiato, nel giugno del 2010, ma non è stato possibile e, quindi, con Cittalia che si è occupata della pubblicazione, abbiamo deciso di slittare alla fine di ottobre 2010, aggiornando a questo mese i dati che avevo citato. Quale è stato il metodo? È stato un metodo assolutamente logico e non precostituito che si è basato sull’esperienza di lavoro dedicata all’elaborazione della Direttiva procedure a cui ho partecipato a Bruxelles negli anni passati, così come all’elaborazione del testo del decreto legislativo di recepimento sui tavoli tecnici


del mio Ministero. Ho seguito dal vivo l’evoluzione del pensiero europeo e, conseguentemente, delle altre direttive come quelle sul’accoglienza, sulle qualifiche e sul rimpatrio, tutte mirate all’impostazione di una politica integrata e globale capace di realizzare un diritto di asilo comune europeo, cioè di un pacchetto di procedure e di standards di accoglienza non solo omogenei, ma comuni in tutti gli Stati membri. Ecco perché mi è sembrato necessario descrivere come i principi e gli indirizzi delineatisi in Europa fossero stati recepiti e attuati dall’Italia forse più e meglio che in altri Paesi. Basti pensare che il 10 settembre 2007 il sistema nazionale di accoglienza italiano e, in particolar modo lo SPRAR, sono stati presentati presso il Consiglio europeo come un modello di riferimento, come una best practice.

Questa ricerca ha cambiato qualcosa nel suo pensiero? Mi è servita molto, perché mi ha fatto sentire che il lavoro che stavamo facendo come Ministero dell’Interno faceva parte di un disegno più grande, che è appunto un disegno europeo, e che ricadeva non soltanto su tutti coloro che entrando nel nostro territorio chiedevano e ottenevano asilo, ma anche sui nostri cittadini, sulle collettività locali, coinvolgendo verticalmente e orizzontalmente tutte le Istituzioni con competenze per l’immigrazione. Ho percepito quindi una fortissima utilità, un’autentica pragmaticità e ho avvertito la sensazione di far parte della trasformazione storica che stiamo vivendo con la migrazione di tanta gente che arriva con grande sacrificio, tenacia e coraggio da paesi lontani, spinta dal bisogno di essere protetta.

Scrivendo il libro ho maturato la forte consapevolezza di essere parte, come del resto lo è ciascuno di noi, della trasformazione della nostra storia, una storia in cui i diritti umani ancora non sono ovunque rispettati, ma nel contempo ho avvertito l’onore e la fortuna di essere parte di uno Stato di diritto, retto da una Costituzione democratica, in cui il valore dei diritti umani è annoverato tra i principi posti a cardine dell’Ordinamento.

L’Italia dei rifugiati Nel volume viene tracciato il quadro della situazione dei rifugiati proponendo un excursus sulla storia del diritto d’asilo e delle politiche europee in atto, delineando le condizioni di maggiore vulnerabilità di donne, minori e di chi, per motivi legati alla negazione dei propri diritti nel paese di provenienza nonché per condizioni di viaggio sfiancanti o violenze e soprusi subiti, manifesta un disagio mentale. Ampio spazio è dedicato anche all’iter della domanda di protezione internazionale e al sistema nazionale di accoglienza, lo SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) senza tralasciare quelle che sono le fonti normative e la gestione dei fondi europei. Il volume, si pone come un importante contributo per gli amministratori e per chi si trova ad affrontare le problematiche relative ai rifugiati.

L’Italia dei Rifugiati Autrice: Sandra Sarti - Novembre 2010 Edito da Cittalia e ComuniCareAnci Scarica il pdf completo da http://goo.gl/AQO0j


incontri

Piccoli Comuni, Grande Solidarietà La storia di Saba Dal centro di San Lupo, il racconto di una rifugiata politica eritrea impegnata in un tirocinio formativo

V

di Monica Di Gioia e Manuela Ianniello

ive a San Lupo da un anno e da poco più di quattro mesi si alza tutte le mattine di buon ora per recarsi in un comune limitrofo presso la locanda dove sta svolgendo il suo tirocinio formativo. Nulla di strano fin qui, nella nuova vita di Saba, cittadina eritrea approdata nel piccolo paesino campano attraverso il progetto ministeriale “Piccoli Comuni Grande Solidarietà” che mira al reinsediamento e all’integrazione di rifugiati in paesi piccoli, con meno di 5mila abitanti. Una storia comune a molti altri connazionali emigrati dal cuore dell’Africa in cerca di fortuna e di una nuova vita. Il caso di Saba è tuttavia più complesso. In Italia è giunta da rifugiata politica, dopo essere stata arrestata in Libia. L’abbiamo incontrata nella cucina della locanda dove, dai primi giorni del mese di gennaio, riveste il ruolo di “assistente” al personale della cucina e nella preparazione di piatti di gastronomia locale. I “tirocini formativi” rivolti ai rifugiati del Centro di San Lupo rappresentano la fase iniziale di un più ampio percorso formativo voluto ed elaborato dai partner del

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progetto “Piccoli comuni, grande solidarietà” al fine di garantire il raggiungimento degli obiettivi preposti: inserimento degli ospiti in percorsi professionalizzanti, propedeutici all’avviamento al mondo del lavoro. Questa fase del Progetto ha potuto quindi offrire a questa cittadina eritrea una prima occasione di “riscatto” dopo la fuga dal paese natale, lontano dalla propria famiglia.

Come sei arrivata in Italia e a San Lupo?

Sono eritrea di Teseney, ma già a 7 anni mi sono trasferita insieme alla mia famiglia ad Asmara, la capitale del mio paese. Qui ho studiato fino a prendere il diploma di scuola media superiore.

Dal mio paese sono dovuta scappare perché mio marito aveva disertato il servizio militare e se non fossi andata via le conseguenze del suo gesto sarebbero ricadute su di me. Così siamo scappati, ma arrivati in Libia siamo stati arrestati ed incarcerati per tre anni che sono stati durissimi per entrambi. Nelle carceri libiche le violenze fisiche ed i maltrattamenti sono all’ordine del giorno. È stato però proprio nel carcere di Msratah che siamo stati contattati dall’Hcnur per aderire al progetto “Piccoli comuni – grande solidarietà”. Così nel 2009 siamo arrivati in Italia dove, dopo 6 mesi trascorsi nel C.a.r.a. di Salina Grande a Trapani, siamo stati trasferiti nel centro di San Lupo. In Sicilia ho fatto richiesta di asilo politico ed ho ottenuto un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria.

E dopo la scuola cosa hai fatto?

La tua famiglia è rimasta in Eritrea?

Ad Asmara ho lavorato come cameriera in un ristorante per due anni e dopo ho fatto lo stesso tipo di lavoro a Khartum in Sudan.

La mia famiglia è ancora laggiù. Non so come riescano a vivere. La speranza è quella di riuscire a trovare un lavoro che

Ciao Saba, ci vuoi raccontare la tua storia?


incontri mi permetta di portarli via da quel paese, dove la democrazia è soltanto un’illusione.

Come ti trovi a San Lupo? Sulle prime non è stato facile, San Lupo è un paese molto piccolo e non ci sono grandi opportunità di lavoro. Ma poi ho iniziato a lavorare in un salone per signore a Benevento, per imparare il mestiere di parrucchiera. Quest’esperienza è durata purtroppo solo un mese e a me è dispiaciuto perché quel lavoro mi piaceva anche se non lo avevo mai fatto prima.

In alto, il cortile d’ingresso del centro di San Lupo. In basso, la sala adibita a ludoteca all’interno. Nella pagina a fianco, una panoramica del piccolo comune in provincia di Benevento

E ora che fai? Ora sto svolgendo un tirocinio formativo, così come molti altri dei miei compagni inseriti nel programma di attività formative organizzato dal centro per la seconda fase del progetto. Io ho scelto un piccolo ristorante che offre anche servizi alberghieri. Qui mi occupo in particolare di collaborare con il personale della cucina nella preparazione dei piatti e di allestire la sala del ristorante. Mi piace molto la cucina italiana e sto cercando di imparare a metterla a punto.

vostra lingua, a comprenderla e parlarla. Infatti frequento anche la scuola serale per prendere il diploma di terza media. Anche con il titolare mi trovo bene anche se lui vorrebbe che prendessi di più l’iniziativa, che fossi più creativa e mi impegnassi di più a coordinarmi con i miei colleghi. Sto facendo del mio meglio anche grazie ai consigli della mia tutor del centro.

Quanto tempo dura il tirocinio? Come ti trovi? Abbastanza bene, in cucina siamo quasi tutte donne e questo mi ha aiutata anche se ho ancora qualche problema con la

Il tirocinio è durato 90 giorni, come previsto, ma per fortuna il titolare dell’azienda mi ha proposto di prolungarlo per altri 2 o 3 mesi per poi assumermi part-time. Ho ancora bisogno di fare pratica.

Ti piacerebbe continuare a fare questo lavoro in futuro? Sì certo, d’altronde è ciò che facevo anche nel mio paese e poi, come ho già detto, la cucina italiana mi piace molto.

Cosa pensi dell’Italia e degli italiani? Fortunatamente nel mio cammino ho incontrato molte persone buone e gentili, disponibili e pronte a darmi una mano. In questo sono stata molto fortunata. L’Italia è un grande paese dove con umiltà sto cercando di farmi una nuova vita, imparando la vostra lingua e lavorando onestamente. È dura, ma ho fiducia.

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news Borgo Mezzanone (FG), Campochiaro (CB), Manduria (TA)

Chiesa ed emergenza migranti: i vescovi in visita alle tendopoli gestite da Connecting People di Maria Giovanna Fanelli, direttore centro accoglienza immigrati di Campochiaro (CB)

“Pensando agli immigrati oggi, non bisogna fermarsi soltanto al fenomeno a cui stiamo assistendo in questi giorni, ma occorre pensare alla storia di ciascuno, a quello che ogni persona lascia nella propria terra, in particolare agli affetti, alla famiglia, agli amici, all’ambiente dove una persona è cresciuta, si è formata, ha sviluppato dei sogni... e poi si sente completamente sradicato”. Con queste parole, lo scorso 10 marzo l’arcivescovo della diocesi di Manfredonia-Vieste-S. Giovanni Rotondo, Mons. Michele Castoro, ha salutato gli immigrati che hanno preso parte alla conferenza tenutasi presso la sala formazione del C.A.R.A. di Borgo Mezzanone (FG). Oltre ai dirigenti del consorzio Connecting People, alla conferenza erano presenti il Vice Prefetto di Foggia dott.ssa Palumbo, il direttore dell’ufficio Migrantes della Diocesi di Manfredonia, padre Arcangelo Maya, e il direttore della Caritas diocesana, don Domenico Facciorusso. La partecipazione delle autorità pubbliche e religiose presso il C.A.R.A. di Foggia ha fatto sì che l’ormai difficile processo d’integrazione, auspicato dai media in un periodo di emergenza come quello attuale, si consolidasse con un’azione concreta. I centri di accoglienza si trasformano così da singoli centri istituiti per regolarizzare la posizione giuridica di un immigrato a vere e proprie comunità in cui ogni persona, immigrata e non, è libera di potersi confrontare con le istituzioni, con la diversità e con la complessità dei problemi che ogni

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cittadino straniero si trova ad affrontare dal momento del suo ingresso in Italia fino alla definitiva accoglienza e integrazione all’interno di un contesto sociale di riferimento. Questa non è la prima visita che l’arcivescovo effettua presso il C.A.R.A. di Borgo Mezzanone; già nei mesi passati, infatti, si era recato nella struttura. Si tratta di un gesto di stima verso l’operato della Prefettura di Foggia e di gratitudine nei confronti di Connecting People. Ma la solidarietà dell’arcivescovo sipontino è rivolta soprattutto agli ospiti del centro immigrati, vittime di privazione dei diritti umani, ai quali dedica queste parole: “Io vi auguro che a questo momento di prima accoglienza necessaria - confortevole così come assicura Connecting People assieme alle istituzioni - segua poi una regolamentazione giuridica per favorire un’integrazione che auspichiamo: un’integrazione culturale, lavorativa, un’integrazione degli affetti. È questo che tutti noi vi auguriamo”. All’interno del centro di accoglienza vive una realtà multietnica. Volti giovani e dai diversi colori. L’85% sono uomini, la maggior parte musulmani. I cristiani sono pochi, ma ben integrati con una moltitudine che sembra vivere la differenza religiosa come ricchezza sociale. Sono questi ultimi a raccontarsi al vescovo con storie di violenza e diritti umani calpestati, di fame estrema e di instabilità politica. La diversità in questi contesti multiculturali sembra non rappresentare un ostacolo e, quando emerge, diventa fonte di ricchezza e crescita personale per tutti. Anche l’appartenenza a un credo religioso lascia il posto agli uomini prima di ogni altra cosa. Ed è questa la sfida che da anni propone Connecting People, la persona prima di tutto. Ed è questa l’esperienza vissuta a Foggia. Lo stesso arcivescovo, nell’esprimere le proprie considerazioni, parla singolarmente ad ogni migrante: affetti, famiglia, amici, sogni, realtà comuni ad ognuno, di cui nessuno può fare a meno. Il discorso termina con queste parole: “Mi auguro che tutti i vostri sogni giovanili - perché vedo che siete tutti giovani - non trovino ostacolo nei disagi che state vivendo in quanto immigrati, che questa prova non spenga i vostri sogni giovanili!” L’arcivescovo esorta i giovani immigrati a non arrendersi, ma a guardare oltre ogni ostacolo. Augura loro

un’integrazione possibile, dove ognuno sia libero di esprimersi e vivere in maniera dignitosa. Prima di congedarsi, il vescovo ha inaugurato la piccola cappella che Connecting People ha voluto riservare ai cristiani. Essa è collocata in prossimità della sala di preghiera dei musulmani. Luoghi in cui la fede trova alimento, dove si prega in più lingue per tutti. La visita dell’arcivescovo Michele Castoro non è l’unica avvenuta in questo periodo all’interno di un centro di accoglienza. Il 30 marzo il vescovo di Oria, mons. Vincenzo Pisanello, nella cui giurisdizione diocesana ricade il territorio in cui sorge il centro di accoglienza immigrati di Manduria, ha visitato il campo e incontrato alcuni fra gli ospiti presenti. Nel suo discorso, il vescovo ha anche invitato i cittadini a considerare l’emergenza della situazione, sottolineando la necessità di accogliere i migranti nel rispetto della loro dignità umana. “L’Italia ha una doppia anima,” ha affermato mons. Pisanello, “una di accoglienza e l’altra di rifiuto. Vi ricordo che anche i nostri progenitori sono stati migranti e, per gratitudine nei confronti di chi li ha accolti, invito anche voi ad essere accoglienti nei confronti di questi fratelli sfortunati.” Il 13 aprile, l’arcivescovo della diocesi di Campobasso-Bojano, Mons. Bregantini si è recato alla tendopoli di Campochiaro (CB). I 216 ospiti tunisini hanno accolto l’arcivescovo con un cartello di benvenuto scritto in quattro lingue. Sono a conoscenza della netta presa di posizione della Chiesa in difesa di tutti i profughi. Anche in Molise, la Caritas si è messa a disposizione per offrire un aiuto agli immigrati accolti. Un aiuto che si somma a quello offerto tutti i giorni da Connecting People, che garantisce assistenza sanitaria, sociale e legale 24 ore su 24. “C’è stata solo l’Italia ad aiutarci”, dice un ragazzo di venti anni, con l’aiuto di un interprete. “La storia si ricorderà di questo”. Ha un altissimo valore simbolico, vedere duecento giovani, tutti di fede musulmana, applaudire e stringersi con affetto attorno a un arcivescovo cattolico. Mons. Bregantini ricambia con frasi che arrivano ai cuori di tutti, parlando di uguale dignità degli uomini davanti agli occhi di Dio e Allah, e pronuncia una preghiera in grado di abbracciare entrambe le religioni: “Credo che


news la preghiera a Dio e Allah possa cambiare soprattutto il cuore dei governanti, perché tutte le nazioni siano una casa dove si bussa e si trova la porta aperta”. L’arcivescovo si è soffermato più del tempo previsto, vivendo per qualche ora la vita del campo; ha apprezzato l’organizzazione del servizio e la cura minuziosa nei confronti di ogni singolo ospite, un esempio di come la gestione dell’emergenza immigrati possa essere affrontata senza esasperazioni e con uno spirito di crescita e arricchimento per tutti.

LUcca

Tessitori di comunità

I mediatori sono una risorsa preziosa. Si inseriscono nei contesti più diversi; traducono, decodificano, interpretano; osservano, accolgono, capiscono l’altro.

di Angelica D’Agliano, responsabile comunicazione So.&Co.

Qiang è un operaio cinese che lavora a Prato da diversi anni, pur non conoscendo l’italiano. Un giorno Qiang si presenta in ospedale. Dice di stare male, accusa difficoltà nella deglutizione e nel respiro. Soprattutto giura che “l’acqua che beve gli esce dagli occhi”. Nessuno sa come spiegarsi la cosa: si pensa a una malattia rara, o perfino a una qualche strana forma di superstizione. Finché non interviene un mediatore: Qiang si confida, gli parla dei turni massacranti, della moglie incinta che ha lasciato a casa insieme a un altro figlio di pochi mesi. E la disperazione che l’assale. Tutto gli appare così insopportabile da non poter nemmeno bere un bicchiere d’acqua senza scoppiare in pianto. Questa storia è una delle tante che sono state raccontate in occasione del seminario Tessitori di Comunità - Il lavoro di strada e in contesti di marginalità: il contributo del mediatore linguistico-culturale - che ha avuto luogo giovedì 24 febbraio dalle 15 alle 19, presso la sala riunioni del Comune di Capannori - preziosa occasione di formazione e confronto per operatori, educatori, assistenti sociali e mediatori. I mediatori sono una risorsa preziosa. Si inseriscono nei contesti più diversi; traducono, decodificano, interpretano; osservano, accolgono, capiscono l’altro. Ma devono ancora raccogliere la sfida di costruirsi un

professionalità “ampia” che vada al di là delle contingenze, e si faccia portatrice di un messaggio specifico. Da qui l’idea dei Tessitori di Comunità, seminario organizzato dal consorzio So.&Co. e dalla cooperativa Odissea nell’ambito del corso formativo Tessitori di comunità. Tecnico qualificato in mediazione culturale e linguistica per immigrati, progetto finanziato dalla Provincia di Lucca tramite Fondo Sociale Europeo. Come ha spiegato Elisabetta Linati, responsabile dell’agenzia formativa del consorzio So.&Co., «il corso, che finirà a maggio, si configura come proposta culturale e di riflessione, ma anche come start per attivare servizi nuovi e consolidare l’esistente». «I due nodi della mediazione linguistico culturale – ha affermato in un lungo e articolato intervento il tutor Delio Barbato, di fronte a una platea di oltre 40 persone – sono la nebulosità e la mancanza di un albo professionale. [...] Volendo prendere come modello filosofico di riferimento l’etica della cura elaborata da Joan Tronto e Virginia Held, possiamo immaginare una situazione in cui mediazione e relazione si intrecciano e infrangono l’equazione straniero=portatore di differenze da combattere. La mediazione ci aiuta a comprendere. In molti casi ci avvicina all’altro in una dimensione strettamente e intimamente umana». Il seminario ha visto la presenza, tra gli altri,

di Luca Menesini, vicesindaco del Comune di Capannori, Gabriele Bove, assessore alle politiche sociali, Lesli Mechi della cooperativa C.A.T. di Firenze e Gabriella Mauri del CEIS di Lucca.

LUnata (lu)

12 vite ripartono da qui di Angelica D’Agliano, responsabile comunicazione So.&Co.

Un tetto sulla testa, la consulenza di un avvocato, un aiuto concreto per trovare un lavoro. Al centro accoglienza immigrati di Lunata la cooperativa sociale Odissea, associata al consorzio So.&Co., lavora ogni giorno per aiutare chi arriva in Italia a farsi una nuova vita. Abbiamo intervistato il presidente Valerio Bonetti. Valerio, parlaci della vostra attività. La cooperativa sociale Odissea da diversi anni gestisce il centro accoglienza immigrati di Lunata: è un modo per offrire un aiuto e assistenza a migranti in difficoltà socio-abitativa. I numeri sui quali lavoriamo sono importanti. Tanto per dare un’idea generale, secondo dati della Prefettura di Lucca gli stranieri regolari presenti sul

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news territorio provinciale sono complessivamente 26.478 e la percentuale media della incidenza degli stranieri sulla percentuale dei residenti nei comuni della provincia di Lucca è 6,75%. A Capannori, il nostro comune di riferimento, i cittadini migranti sono più di 3200. Chi arriva da noi viene aiutato a trovare un lavoro e una casa, nel frattempo trova accoglienza all’interno della struttura, per un periodo che può andare dai sei ai dodici mesi. La capienza del centro è di circa 12 persone, ma ci sono liste di attesa abbastanza lunghe. Come si accede al servizio? Quasi sempre tramite richiesta fatta all’Ufficio Casa del Comune. Le domande possono anche essere fatte in loco e raccolte dallo Sportello Immigrati, un servizio molto apprezzato dalla popolazione migrante e gestito da un nostro socio per conto del Comune. È un meccanismo collaudato che garantisce trasparenza. Come si svolge la vita nel centro? A disposizione dei cittadini ci sono diversi servizi. Abbiamo uno sportello legale che apre due volte a settimana e offre consulenza sui permessi di soggiorno e altri adempimenti obbligatori per i migranti; i corsi di alfabetizzazione, più che altro per cittadini di lingua araba ma rivolti comunque a tutti gli ospiti stranieri; gli happening come il progetto MOSAICI, organizzato dal Comune di Capannori, con proiezione di film, serate a tema e sessioni di cucina tipica.

roma

Danielina e il mistero dei pantaloni smarriti di Redazione Sqm

Siamo in libreria: i glottodidatti che collaborano con la cooperativa sociale Apriti Sesamo (consorzio Nausicaa) hanno prodotto un bellissimo volume a fumetti con

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CD audio per insegnare l’italiano ai bambini. Si intitola Danielina e il mistero dei pantaloni smarriti ed è edito da Bonacci (http://www.bonacci.it/index.php?action= productsDetails&flag=new&pid=328) Danielina è una bambina italiana che ama mangiare, viaggiare, conoscere persone e posti nuovi. Accompagnata dal suo gatto Bubù, in questa avventura volerà fino in Turchia per cercare i suoi pantaloni preferiti, che ha misteriosamente smarrito. Questa è la trama di un divertente corso elementare di italiano per bambini, che fonde il divertimento della lettura e del fumetto con attività mirate all’apprendimento della lingua.

Borgo Mezzanone (FG)

L’arcivescovo incontra ospiti e dirigenza del CARA di don Domenico Facciorusso, direttore Caritas diocesana e parroco di Mezzanone

Lo scorso 10 marzo, l’arcivescovo della diocesi di Manfredonia-Vieste-S. Giovanni Rotondo, Michele Castoro, ha incontrato gli ospiti e la dirigenza del C.A.R.A. (Centro di prima Accoglienza per Richiedenti Asilo) di Borgo Mezzanone. Si tratta di un gesto di stima verso l’operato della Prefettura di Foggia e di gratitudine nei confronti dell’Ente gestore della struttura presente a Mezzanone. Ma la solidarietà dell’arcivescovo sipontino è rivolta soprattutto agli ospiti del Centro immigrati, vittime di diritti umani calpestati. Non c’è solo la povertà o la disoccupazione, infatti, dietro alla rivolta iniziata in Tunisia o alle inquietudini che si sono manifestate in molti Paesi musulmani. Le migliaia di sfollati interni, rifugiati e richiedenti asilo, attestano proprio che l’oppressione di un popolo da parte di un regime che non rispetta i diritti umani prima o poi scoppia.

L’arcivescovo Michele Castoro al CARA di Borgo Mezzanone (FG)

L’invito accorato di papa Benedetto XVI alla “assistenza e soccorso per le popolazioni colpite” prende forma nelle 31 strutture di cui il governo dispone per dare rifugio a circa 8.500 immigrati. Si tratta di centri di accoglienza distinti per tipologia di servizio. Ad accompagnare l’arcivescovo, il parroco della piccola borgata, Don Domenico Facciorusso, che da anni vive l’accoglienza e l’integrazione come sfide evangeliche oltre che culturali, e il direttore dell’ufficio “Migrantes”, Padre Arcangelo Maira, che, con la locale Caritas, anima spazi di spiritualità mediante, soprattutto, la Messa domenicale in lingua inglese e francese. Una chiesa locale che, in prossimità del centro e mediante la piccola parrocchia, offre tre servizi: l’ascolto e orientamento ai servizi territoriali; il dormitorio parrocchiale, che dal 2004 accoglie 12 richiedenti asilo di passaggio; e la settimanale del distribuzione vestiario. Ambiti in cui l’umanità ferita trova una strutturata solidarietà cristiana, apprezzata anche dalle stesse istituzioni. All’interno del centro accoglienza vive una realtà multietnica. Volti giovani e dai diversi “colori”. L’ 85% sono uomini, la maggior parte musulmani. I cristiani sono pochi, ma ben integrati con una moltitudine che sembra vivere la differenza religiosa come ricchezza sociale. Sono questi ultimi a raccontarsi al vescovo con storie di violenza e diritti umani calpestati, di fame estrema e di instabilità politica. Prima di congedarsi, il vescovo ha inaugurato la piccola cappella che l’ente gestore del centro immigrati ha voluto riservare ai cristiani. Essa è collocata in prossimità della sala di preghiera dei musulmani. Luoghi in cui la fede trova alimento, dove si recita il “Padre nostro” in più lingue, pregando per tutti.


FONDAZIONE XENAGOS La Fondazione Xenagos - in greco, guida dello straniero - nasce nel 2010, ha sede a Catania, e operare nei settori dell’integrazione sociale e dell’immigrazione. La fondazione intende favorire processi di accoglienza, di formazione professionale e di inserimento nel mondo del lavoro per le persone migranti, nonché di salvaguardia e aiuto per i minori non accompagnati, le donne e tutte le persone vittime di soprusi e violazioni della carta dei diritti umani. Per realizzare le proprie finalità, Xenagos si serve di una serie di strumenti quali la gestione dei beni confiscati alla mafia, la raccolta di fondi, l’assunzione di prestiti, l’acquisto di immobili, la stipula di convenzioni con enti pubblici o privati, l’organizzazione di esposizioni e congressi, lo svolgimento di attività formative, la pubblicazione e la diffusione di opere scientifiche, culturali e di riviste e la promozione di attività di studio e di ricerca. L’impegno della fondazione è volto alla ricerca, allo studio e all’elaborazione di proposte e soluzioni relative ai fenomeni legati all’integrazione sociale, abitativa e sanitaria e all’immigrazione nel suo complesso al fine di promulgare nuovi modelli di welfare state e favorire lo sviluppo socioeconomico dei paesi di origine dei migranti. Da oggi puoi contribuire all’attività della Fondazione Xenagos senza spendere nulla: devolvi il 5 per mille della tua dichiarazione dei redditi alla Fondazione Xenagos.

Donare il 5 per mille a XENAGOS è facile: Compila il Modello Unico, 730 o CUD Firma nel riquadro indicato come “Sostegno del volontariato...” Indica nel riquadro il codice fiscale della Fondazione Xenagos:

93164570876


press Rubrica a cura di Salvo Tomarchio

Repubblica.it 24.05.2011 Da immigrato a mediatore culturale. A Foggia dodici cittadini stranieri potranno acquisire questa qualifica professionale per facilitare l’inserimento di altri connazionali nel contesto sociale italiano, facendo da tramite tra i loro bisogni e i servizi offerti dagli enti territoriali, in particolare nell’area sanitaria, scolastica e amministrativa. Il corso, di seicento ore e gratuito, e’ organizzato dallagenzia di formazione professionale Smile Puglia, da Connecting People, consorzio impegnato nell’accoglienza dei migranti, e altri partner, nell’ambito del progetto della Provincia di Foggia ‘8 azioni per 1000 idee’. Il percorso - riferisce Connecting People in una nota - e’ rivolto a dodici immigrati in possesso di uno dei seguenti requisiti: richiedenti asilo, rifugiati o immigrati con permesso di soggiorno per motivi umanitari o per protezione temporanea. Agli allievi sara’ rilasciato un regolare attestato di qualifica, dopo il superamento di un esame finale. Il corso si concludera’ a giugno con un’esperienza lavorativa. Tra i partecipanti, ragazzi provenienti da Iraq, Ghana, Guinea, Costa D’Avorio, Egitto e Tunisia, tutti individuati grazie al progetto Nautilis del consorzio Connecting People [...]

Famiglia Cristiana 22.05.2011

di Alberto Chiara [...] fa effetto, non c’è dubbio. Vedere arrivare 31 africani in un borgo alpino che ufficialmente conta 27 residenti ma i cui abitanti sono meno, molto meno, beh, rappresenta una notizia». Accaduto in località Ferria, frazione Forno, Comune di Coazze, alta Val Sangone, provincia di Torino, un posto incantevole che ospitò in vacanza Camillo Benso conte di Cavour e che, nel 1901, accolse e ispirò anche Luigi Pirandello, il quale dalla scritta ancor oggi visibile sul campanile della chiesa di Coazze (“Ognuno a suo modo”) trasse il titolo della fortunata commedia del 1923: Ciascuno a suo modo. A Forno di Coazze sono seguiti dagli operatori della cooperativa Liberitutti, che agisce all’interno del coordinamento Connecting people. Spiega Daniele Caccherano, uno dei responsabili: «Non hanno diritto a diarie, distribuiamo noi tutto ciò di cui hanno bisogno, dagli spazzolini da denti ai maglioni, dai pigiami alle scarpe. Diamo loro anche schede telefoniche. [...]

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Il Sole 24 Ore 27.03.2011

di Aldo Bonomi Sicilia, Italia, Mediterraneo, Nord Africa, guerra, che adesso si chiama anche umanitaria, rivolte per il pane e la libert‡, umanit‡ dolente che sbarca in Sicilia... Parole che denominano lo stato di posizione e lo spazio di rappresentazione al confine sud del nostro paese. Entrano nel nostro vivere quotidiano. Interrogano nel fare microcosmi anche se rimandano a spazi geopolitici e geoeconomici non riconducibili al nostro racconto minuto. Il territorio puÚ essere sorvolato, anche drammaticamentebombardato, o vissuto e praticato. Come la frontiera che, come ci insegna Hobsbawn, segna le differenze e il limite pi˘ al centro che sul margine, ove i confini siincontrano. Centro e margine che vivono sincreticamente la questione degli sbarchi a Lampedusa. I territori del nord, incentrati in Europa, sono in preda alla sindrome da invasione. Quelli del sud, come la Sicilia, incuneata nel Mediterraneo, sono sotto sforzo da tempo nel farsi da terra di confine a terra di mezzo tra i sud e i nord. Nel dramma di Lampedusasi sa. » chiaro atutti che nessun territorio regge quando ilrapporto traresidenti e migranti diventa di pari e patta: cinquemila che ci vivono e cinquemila che ci sbarcano. Si interviene per svuotare l’isola dai dannati della terra. Al di l‡ della spettacolarizzazione e delle grida dell’emergenzami interessa raccontare quel ciclo fatto di sussurri e di attivit‡ del quotidiano che fa della Sicilia una terra che sa vivere sulla frontiera. [...]


press

La Gazzetta del Mezzogiorno.it 28.03.2011

La stampa

MANDURIA - «Dove è la Mecca? Dove è la Mecca?» chiede Mahdi, 24 anni dichiarati, fervente musulmano e grato all’Italia («Bravi gli italiani»). Molti giovani hanno tolto le scarpe e hanno pulito i piedi per inginocchiarsi e pregare. I più però si avvicinano al giornalista. Rispondono alle domande e ne approfittano per chiedere quanti chilometri dista Milano, oppure Bergamo. [...] Gli operatori del consorzio «Connecting People» si sono piazzati a sinistra dell’ingresso. C’è calca, il sole si fa sentire. I tunisini però sono ordinati. Si fanno identificare, poi prendono il ticket per il pranzo, ritirano due piatti con le lenticchie, il pesce e il purÈ, una mela e una bottiglia díacqua. [...]

20.03.2011

Famiglia Cristiana 14.04.2011

di Luciano Scalettari, Francesco Anfossi e Delia Parrinello

di Massimo Numa Parla l’amministratore di Connecting people che opera nei centri «I Cie? Una polveriera pronta ad esplodere. E i politici, di destra o sinistra, non importa, non hanno capito cosa sta succedendo dentro i centri. Mentre procura e Digos stanno operando al meglio, nella direzione giusta, una parte della magistratura ha valutato, in sede di giudizio, una serie di gravissimi episodi di violenza politica in modo assai superficiale. Aumentando così il livello di pericolo per strutture e operatori». Parla Mauro Maurino, presidente di Kairos e amministratore di Connecting People, il consorzio che si occupa di servizi e di logistica nei Cie. Nei giorni scorsi la sede di via Lulli ha subito l’ennesimo attacco da parte degli anarco-insurrezionalisti, gli stessi che, dall’esterno, pilotano e guidano, ormai da mesi e con effetti devastanti (avvalendosi persino della consulenza di un pool di legali vicini all’ala più violenta degli antagonisti), rivolte e distruzioni. [...]

Sarà che è arrivata la primavera e la sera è tiepida e profumata, ma nel grande prato davanti alla tendopoli di Manduria le centinaia di italiani e tunisini non si decidono ad andare a casa. “Casa” è un modo di dire, per gli immigrati. Loro rientrano nelle tende, nel campo illuminato a giorno e circondato dai furgoni dei Carabinieri e da decine di agenti. [...]

Adnkronos 07.04.2011 21.05.2011

di Francesca Britti Nautilus e Connecting People: la rappresentazione mediatica. Qual è l’immagine dei richiedenti di protezione internazionale diffusa dai media di informazione italiani? Quanto è difficile sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del diritto d’asilo facendo comprendere che i rifugiati sono vittime di gravi violazioni di diritti umani? Se n’è parlato oggi venerdÏ 20 maggio presso il dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale. Ad aprire i lavori la prof.ssa Giovanna Gianturco, che, dopo aver ricordato l’impegno del dipartimento nel progetto Nautilus, ha presentato uno dei membri di Connecting People, Giuseppe Lorenti. Il responsabile di formazione e ricerca del Consorzio ha raccontato la sua esperienza sul campo, citando soprattutto il centro di accoglienza di Mineo. [...]

IMMIGRATI: CONNECTING PEOPLE, PRONTI MILLE POSTI PER ACCOGLIENZA. TENDOPOLI E’ RISPOSTA INTERMEDIA, PARTE MIGRANTI PROSEGUIRA’ PER ALTRI PAESI . [...] Gli operatori del consorzio «Connecting People» si sono piazzati a sinistra dell’ingresso. C’è calca, il sole si fa sentire. I tunisini però sono ordinati. Si fanno identificare, poi prendono il ticket per il pranzo, ritirano due piatti con le lenticchie, il pesce e il purÈ, una mela e una bottiglia díacqua. [...]

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press

Redattore sociale 27.04.2011 FOGGIA - Il Consorzio Connecting People ha assunto lo scorso 20 aprile 3 infermieri tunisini, ora impiegati nel Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Foggia. L’iniziativa di formazione e selezione dei lavoratori si è sviluppata nell’ambito di un programma in collaborazione con l’Ambasciata italiana a Tunisi, il Governo tunisino, Obiettivo Lavoro, l’Oim e l’Agence Tunisienne pur la Cooperation Tecnique (Atct). « Il programma che ha portato alla selezione dei nuovi tre collaboratori è stato avviato già da tempo - afferma Orazio Micalizzi, vice presidente di Connecting People, ente gestore del Cara -, ma in questi giorni di esposizione mediatica negativa del mondo immigrazione questa piccolo ampliamento di personale rappresenta un evento particolarmente importante e carico di significati, che mostra anche quell’Italia di cui poco si parla ma che accoglie e integra giovani professionisti che vogliono lavorare».

Radio24 Intervista a Orazio Micalizzi

Frontiera TV Progetto Nautilus a Borgo Mezzanone

Torino Oggi 12.05.2011 Un albergo a tre stelle, l’hotel Giglio di Settimo Torinese, proprio vicino allo svincolo autostradale, è diventato l’ultima tappa di cinquanta profughi provenienti dalla Libia. Originari di altri paesi africani come il Niger, il Camerun o il Mali, sono arrivati nella città a nord di Torino nel più riservato silenzio e sono stati sistemati su un intero piano della struttura alberghiera. L’hotel Giglio potrebbe rappresentare soltanto la prima esperienza di questo genere e in futuro non è da escludere che altri alberghi possano essere coinvolti in operazioni di accoglienza profughi. Profughi che, in Piemonte, sono arrivati a quota 480. Il Sermig è la struttura che si è occupata di riceverne 33 sul territorio torinese, poi è stata coinvolta la Croce Rossa di Settimo (141), 31 sono stati smistati a Coazze e 36 a Lemie. E nei prossimi giorni ne sono attesi altri 65 ancora senza una destinazione precisa [...]

TGR Molise Visita di Mons. Bregantini alla Tendopoli di Campochiaro

Radio Mater Insieme in questo mondo Progetto Next

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Bruno e Fabrizio Urso PESCATORI DI UOMINI Una coproduzione Nois e Testimone di Pace

Recensione a cura di Serena Naldini

Genere: documentario Durata: 14’ Anno di produzione: 2009 Produzione: Nois e Testimone di Pace Regia: Bruno e Fabrizio Urso Fotografia: Giuseppe Consales Fonico di presa diretta: Salvatore Arcidiacono Mixing: Franco Russo AKA Franko Musiche: MediasoulSound

“Abbiamo bisogno della vostra collaborazione,” dichiara il comandante della capitaneria di porto di Lampedusa al capitano del Twenty Two, Salvatore Cancemi. È la notte tra il 27 e il 28 novembre del 2008 e un barcone al largo delle coste italiane ha appena inviato una richiesta di soccorso. Le motovedette non sono in grado di affrontare la tempesta. Solo il Twenty Two, uno dei più grandi pescherecci in porto, può tentare l’impossibile. Il mare ti circonda, in questo documentario di Bruno e Fabrizio Urso.

Ti prende, accompagna, sommerge. L’acqua si muove appena, prende la forma di un’onda grande e minacciosa, e poi torna a calmarsi. L’acqua diventa immagine, sciacquìo di sottofondo e voce narrante, per raccontare la storia di un salvataggio e, insieme, di tutti quei salvataggi che non si compiono. “Si capovolgono e non si sa niente,” dichiara Francesco Cancemi, direttore di macchina del Twenty Two. “E poi capita, in mezzo alle reti, di prendere qualcuno.” I pescatori di Mazara del Vallo sono tra i pochi testimoni di questa tragedia. Chi vuole arrivare nel nostro Paese è disposto a tutto pur di sbarcare sulla costa italiana, immaginata come varco per la fortuna. La fortuna - assieme all’elemento acqua - torna di frequente in questo racconto a più voci. Acqua e fortuna. Sono barche di fortuna quelle che si caricano di uomini, donne e bambini fino al collasso. È la fortuna la sostanza che consente al peschereccio di individuare il barcone perso nella notte, dopo quattro ore di ricerche. “Non si vedeva niente,” raccontano i marinai. “Si sentivano solo le voci: inglese, francese, arabo.” Ed è ancora la fortuna il motore del miracolo: in tre ore 300 persone in preda al panico lasciano un barcone di dieci metri senza che nessuno si faccia male. Abbiamo avuto fortuna, ripete il capitano del Twenty Two. Tra i trecento scampati, c’era anche un bambino, ricorda un marinaio, un bambino di circa dieci anni. “Che cosa sei venuto a fare qui?” gli aveva chiesto. “Fortuna, cerco fortuna,” aveva risposto. L’acqua è anche l’acqua del pianto

“a lacrime a dirotto” del capitano del Twenty Two nascosto nel bagno della cabina di comando, mentre la tensione si scioglie di fronte a quel “miscuglio di gente disperata” radunata sulla propria barca. All’acqua e alla fortuna, verso la fine della narrazione, si unisce Dio. Acqua, fortuna e Dio. Davide Palmeri, sergente della motovedetta CP 405, racconta di una donna che, una volta in salvo, si mette a pregare: “Io le dissi: adesso stai tranquilla, qui siamo tutti fratelli e sorelle. Lei guardò il cielo, guardò me e disse: Dio è soltanto uno.” Il capitano Salvatore Cancemi descrive così lo sbarco a Lampedusa: “La buona parte - non tutti e trecento, ma la buona parte - prima di scendere sono venuti in cabina a baciarmi. Dio ha voluto che ci hai salvato, dicevano, quindi sei un Dio per noi. E si mettevano a piangere.” E di fronte alla terribile domanda della “parte avversa” - perché non li avete lasciati in mare? - Cancemi risponde, non da eroe, ma con il sincero stupore di un uomo normale: “Ma come si fa a lasciare dei disperati? Ma come si fa?” Le immagini e i suoni originali dello scampato naufragio sembrano fondere in un legame l’acqua, la fortuna e Dio. L’acqua segna la transizione tra una parola e l’altra, tra una testimonianza e l’altra, come a voler indicare una sorgente comune, una fratellanza, un destino condiviso che trova nel mare - mare da attraversare, da affrontare, al quale affidarsi - una forma dicibile.

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