Cassandra - Giugno 2020

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epilogo

editoriale

U

ltimo numero dell'ultimo mio anno. La prima cosa che mi viene in mente è che mi sento giovane e pieno di speranze future. La seconda è che mi sento vittima di un furto, dato che questa seconda parte dell'anno se n'è andata via veloce tra un decreto e l'altro, chiusa tra le quattro mura di casa. Abbiamo ricominciato a vedere la luce del sole, questo è vero, ma niente sa di normalità. È quasi strano non trovare un muro dopo un dieci venti passi, mettersi le scarpe, vedere delle persone in 3D. Ma che cosa sono stati questi mesi, a che cosa è servita questa pausa forzata? Solo ad appiattire la curva dei contagi? Scopo nobile, ma quali conseguenze ha avuto sulle nostre vite, come usciamo (almeno parzialmente) da questo periodo? Sicuramente è stata un'occasione per concentrarsi su aspetti della vita di ciascuno che solitamente sono messi in secondo piano, offuscati dalle urgenze ordinarie, con grandi possibilità di introspezione e confronto con se stessi e, dunque, spazi di crescita personale: c'è stato modo di annusare davvero noi stessi, sentire cosa non va e quanto e come, guardare la vita da lontano per capirla forse un po' meglio come un certo quadro di un certo spettacolo di un certo trio comico. E c'è un sacco di roba da sistemare, che non va, che sì ma no, che magari ma non so boh vediamo tanto ho tempo e invece è giugno e non ho mai studiato Hegel e non so neanche cosa devo fare per la maturità. Eh regaz pure la stora della maturità dovete sorbirvi: si arriva in quinta apposta per sbatterla in faccia ai non ancora maturandi. Però di solito lo si fa dopo un periodo di transizione, in cui ci si avvia verso il commiato, piano, gradualmente, con calma. Qua no, tic tac febbraio giugno università mondo vero. Ed è subito panik. Abbiamo chiuso gli occhi un attimo e sono già le sette, siamo in ritardo ed è settembre, non sappiamo neanche in che via abitiamo, forse neanche la città. E diremmo che bello, se non fosse che è stato tutto veloce. Ironico, visto che tutto si è fermato e a Venezia ci sono i delfini che guizzano nei canali limpidi e l'Himalaya si vede di nuovo. Eppure, non c'è stato il tempo di salutare questo ultimo pezzo di un "prima" che, nel bene o nel male, ci ha formato: sono stati i mesi più lenti e più veloci allo stesso tempo. Ci siamo accorti di quanto l'inerzia sia insopportabile, frustrante, stressante: mille propositi si sono schiantati contro il muro davanti al letto. Così, tra un "non ce lo dicono" e l'altro, siamo arrivati a giugno, con le riaperture parziali di locali vari, ma con la consapevolezza che tutto è ancora incerto. Ci sembra strano vedere le città di nuovo vive, le strade non più vuote, gli amici nuovamente a fuoco e senza pixel. Ci fa strano perché sappiamo di averne perso un pezzo. Fine dell’editoriale più piagnucoloso del mondo. Baci. Trattateci bene Cassandra Pena, VC

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in dic e

SARPI Sarpi’s got talent - Elio Biffi Sarpivision Song Contest

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ATTUALITÀ Cassandra

pag 7 L’arte cambia il mondo, ma quando il mondo cambia l’arte? pag 8 Non ci sono più i giovani di una volta pag 10 I due problemi del Brasile: il Coronavirus e Bolsonaro pag 12

CULTURA Playlist di maggio Il fascino discreto della giovinezza Il tempo invecchia in fretta

NARRATIVA Ciecamente

Cr Mercury Memoria Margarita Margarita Margarita (o La Morte) La primavera

sport

Lacrime di cuoio

terza pagina Ipse Dixit

Test Swag: siamo quello che guardiamo Oroscopo

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pag 22 pag 22 pag 23 pag 23 pag 25

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sarpi

sarpi’s got talent: elio biffi

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iunto, ahimè, al mio ultimo numero, ho voluto chiudere col botto intervistando Elio Biffi, voce e tastiere dei Pinguini Tattici Nucleari. Il tuo primo ricordo del Sarpi? L’Open Day, sufficiente per scegliere questa scuola. Allora mi affascinò l’edificio in sé, so che può sembrare una banalità ma è bello trovarsi a proprio agio nello spazio in cui si studierà. Ovviamente anche il primo giorno di scuola è impresso nella mia mente, tutti fuori da scuola aspettando che chiamassero tutti a mano a mano per entrare; io ero fra gli ultimi avendo scelto l’indirizzo musicale. Al tempo c’erano diversi curricula fra cui, appunto, quello musicale che dedicava due ore alla settimana allo studio della storia della musica ed al coro. I momenti più belli? È una fetta di vita di cinque anni, uno sforzo gigantesco scegliere le cose migliori. Qui ho incontrato i miei migliori amici. Ancora oggi, dopo dieci anni, l mio gruppo di amici più stretto presenta un nucleo “sarpino”. Il ballo delle terze, una festa delirante che mi porterò sempre addosso: pensare che nello stesso luogo in cui avevo studiato per cinque anni si faceva baldoria… Intenso. I concerti della mia sezione, occasione per stringere legami con tanta altra gen-

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te facendo quello che più amo: cantare e suonare. Il LastSupperParty, che ho praticamente inventato assieme a studenti di altre scuole. Tanti i momenti epici di questa festa aperta a tutti gli studenti di Bergamo, soprattutto quando ci pioveva in testa l’universo e 5 mila studenti cercavano in un’ora di sciamare fuori dal Lazzaretto sotto il diluvio universale mentre si formava un vero e proprio lago. Come hai mantenuto intatti i rapporti dopo la maturità? Inizialmente organizzavamo qualche volta all’anno pizzate o pranzi in casa di qualcuno; ovviamente in seguito queste occasioni di riunirsi sono pian piano scomparse ma alcuni, da semplici compagni di classe, sono entrati nella mia compagnia. Non credo esista una soluzione uni-

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sarp i voca, ciascuno, purtroppo o per fortuna, vive le relazioni in modo diverso ed è difficile dare un consiglio. Bisogna sicuramente accettare il fatto che le relazioni vanno e vengono e cercare di farle fruttare il più possibile. Quando hai iniziato ad intendere la musica come il tuo lavoro? Non ho pianificato nulla, ho sempre fatto cose che mi piacevano ed è capitato che una diventasse ciò per cui, ogni tanto ma neanche troppo spesso, guadagno dei soldi. Ho iniziato a suonare sin da piccolo ma odiavo fare pratica; solo al liceo, suonando in contesti differenti, mi sono divertito molto. Ho colto quindi ogni occasione di salire su un palco per esprimermi, far fruttare lo studio e coinvolgere le persone. Com’è nata la band? La band è nata quando io ero ancora al Sarpi con una mia band e non li conoscevo. Fra i fondatori c’erano individui assurdi e geniali ma poi alcuni hanno abbandonato. Sono entrato nella band con un’idea di progetto serio nel 2015, quando vinsero il concorso “Nuovi Suoni Live”. Con i soldi del premio è stato prodotto “Diamo un calcio all’aldilà”, primo vero disco, non più una raccolta di cose realizzate nel tempo. L’anno dopo abbiamo iniziato a fare concerti fuori dalla regione e, passo dopo passo, siamo arrivati al Festival ed ai tour annullati nei palazzetti. Aneddoto più divertente di Sanremo? Esattamente prima del grande litigio, Bugo ha cantato con noi “Back In The U.S.S.R:”. Secondo me duettando con Simone Pagani ha capito la bellezza di suonare con una persona così meravi-

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gliosa ed ha preferito andarsene piuttosto che cantare con Morgan. Siete passati in major, avete sentito la differenza? Ogni cambiamento ha pro e contro. Adesso è meglio perché funziona meglio ma al tempo c’era la bellezza caotica dell’incoscienza e della giovinezza: il tentativo di fare tutto in prima persona ci ha incasinati ma al contempo ha formato un’identità molto forte. La nostra storia è virtuosa in entrambi i sensi, ovviamente prima non avremmo mai potuto farne un mestiere anche a causa del nostro approccio incosciente. Consigli a chi, come voi, parta da zero e voglia andare da qualche parte? Non bisogna voler diventare come noi, ognuno deve trovare ciò a cui dedicarsi. È raro che qualcuno pianifichi sin da giovane l’intera esistenza, ma soprattutto che riesca senza e non diventi frustrati. Esistenzialismo a parte, chi vuol suonare deve suonare. Non serve una storia Instagram, ma ore ed ore di prove e la costante ricerca di palchi per suonare. Bisogna farlo per passione, non per essere acclamati. Con chi ti piacerebbe fare un feat? Vorrei collaborare con chi sta facendo cose nuove: le basi dell’ultimo disco di Willie Peyote ricordano band fusion hiphop-RnB americane attuali, Madame e The Supreme propongono la propria musica in modi che mai avrei immaginato. Il mio sogno bagnato segreto sarebbe fare come la PFM, riarrangiare brani di De André con una band che suoni di Cristo. Matteo Sangalli, VD

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sarpivision song contest

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er questo numero vi abbiamo chiesto quali siano secondo voi le canzoni che, sebbene siano state scritte da cantanti non più giovanissimi, sappiano ancora adattarsi e proporsi ad un pubblico più giovane. Ecco i risultati:

mo così vicina e sincera; leggendo il testo può sembrare sdolcinata e ripetitiva, ma è proprio nella sua spontaneità che troviamo sentimenti ed emozioni che ci si addicono, li sentiamo nostri e quindi li accettiamo così come sono: semplici ma allo stesso tempo complessi.

La canzone vincitrice è “Vengo dalla Luna” di Caparezza, singolo pubblicato nel 2003 come quarto estratto dell’album Verità Nascoste. “Vengo dalla Luna” ebbe un grande successo, tanto da essere certificato disco di platino, sia per le innovative sonorità rap-rock, tipiche del rapper pugliese, sia per il testo riflessivo e provocante. Nel brano, infatti, Caparezza critica apertamente i pregiudizi sociali contro gli immigrati, tematica attualissima anche a 17 anni di distanza, e chissà per quanto tempo ancora. In questo pezzo il rapper di Molfetta si finge un alieno, proveniente appunto dalla Luna, che non riesce a capire le ragioni dietro all’odio e alla discriminazione riservategli dagli esseri umani. “Torna al tuo paese, sei diverso!” “Impossibile, vengo dall’universo” è una barra di grande effetto estratta dal testo del brano che vi consigliamo caldamente di leggere mentre ascoltate il pezzo per poter comprendere al meglio il suo messaggio.

Si posiziona all’ultimo posto “La libertà” di Gaber, il pezzo risale al 1973 ma è estremamente attuale. L’unico modo per capire questo capolavoro di cantautorato è ascoltarlo leggendo il testo (vi chiediamo di provare a farlo ora). Bene! Ora vi sarete resi conto che il messaggio principale del cantautore milanese è quello di una libertà valida fino al momento in cui non va ad intaccare la libertà di un altro. Se vi state chiedendo cosa ci sia di così attuale in questo concetto, provate a pensare a quante volte avete parlato sopra un’altra persona pensando che fosse vostro diritto e aveste la libertà di farlo oppure a quanto spesso giudichiate una persona per come si veste o per quello che pensa: eh, cari miei, lì state sorpassando il limite della vostra libertà.

Al secondo posto troviamo “Your song” di Elton John, una delle canzoni più romantiche ma anche più semplici ed eterne che siano state mai scritte. È stata composta da Bernie Taupin (poeta e strettissimo collaboratore di Elton) quando aveva 17 anni, ecco perché la sentia-

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Your Song

Cari sarpini, continuate ad ascoltare musica (sparatevi la playlist del mese di Cassandra o qualche brano indie che non fa mai male) ma soprattutto l’anno prossimo vi vogliamo più carichi che mai. Buona estate e…Stay tuned.

Vengo dalla Luna

Martina Musci, IF Leonardo Gambirasio e Riccardo Dentella, IVE

La Libertà

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at t ua l i t à

CASSANDRA

Addio, mamma. Non piangere. Cara patria, fratelli miei che siete ormai sottoterra, e tu, papà, ci rivedremo presto! Scenderò tra i morti vittoriosa.” (Troiane, Euripide)

Con queste parole Cassandra, la profetessa inascoltata dai suoi concittadini e dai suoi stessi familiari, tributa il suo struggente commiato a Troia, la sua città ormai distrutta. Cassandra è giovane, ma la morte occupa un posto importante nella sua esistenza: profetessa di sventura, è destinata a non essere creduta. “Anziana” per la sua saggezza ma nel fiore della giovinezza anagraficamente. Quel fiore verrà reciso poco dopo ad Argo, in terra straniera, ma questo non conta. Chi avrebbe mai pensato che più di 3000 anni dopo la guerra di Troia anche i giovani del 2020 si sarebbero dovuti confrontare con la paura dell’ignoto e con la morte? Nel caos calmo provocato dal virus anche noi, di solito sempre in movimento, ci siamo dovuti fermare a riflettere. E in questo periodo di incertezza, risuonano come dei moniti le parole di due persone giovani che, loro malgrado, sono state delle Cassandre. La prima figura è quella di Li Wenliang, il medico cinese che a fine 2019 aveva lanciato l’allarme relativamente alla rapida diffusione del coronavirus. Inascoltato, è stato ridotto al silenzio ed è morto a causa del virus. Dopo che è stata dimostrata la veridicità delle sue affermazioni, è diventato un eroe nazionale, un martire. Credo che ne avrebbe fatto volentieri a meno. L’altra Cassandra di cui vorrei parlare

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proviene dagli USA, ed è la più giovane parlamentare della storia statunitense: Alexandria Ocasio-Cortez. È sostenitrice delle idee del democratico Bernie Sanders, e negli ultimi tempi si è battuta, oltre che per la questione climatica, anche per quella della sanità. Questo settore, fortemente privatizzato negli ultimi anni negli Stati Uniti, è stato messo duramente alla prova dal virus. Probabilmente, con una gestione più oculata del sistema sanitario, sarebbe stato possibile contenere meglio il dilagare dell’epidemia in quello che finora è il Paese più colpito al mondo. Tendenzialmente, nel mondo scientifico come in quello della politica, si è portati a dare maggiormente credito a figure abbastanza in là con gli anni. Non è un caso che, in tutto il mondo, siano solo due i leader under 35 di un governo nazionale (l’austriaco Sebastian Kurz e la finlandese Sanna Marin). Per fare un esempio, entrambi i candidati alle prossime elezioni presidenziali negli USA hanno più di 70 anni: non sembrano esserci venti di cambiamento. Anziano spesso diventa sinonimo di oculato, saggio. Ed è per questo che, frequentemente, le idee dei più giovani rimangono inascoltate. Il problema è che spesso anche i giovani possono essere “anziani” nel senso buono del termine. Ma in molti, troppi casi parlano al vento. Sperando che le mie parole, in questi mesi e anni, non abbiano fatto la stessa fine e siano state almeno sbirciate, saluto tutti i miei 25 lettori. È stato bello.

Alessandro Cecchinelli, VE

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attu alità

L’ARTE CAMBIA IL MONDO, MA QUANDO IL MONDO CAMBIA L’ARTE?

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ari amici, stiamo attraversando un’emergenza terribile paragonabile a una guerra. Il mondo si è fermato e non sappiamo quando e come riprenderà. Conosciamo però i valori che abbiamo sempre voluto porre al centro del nostro lavoro e dell’istituzione che rappresentiamo: nessun virus può distruggerli. Dovremo ricominciare da lì, ma fare anche tesoro di questa drammatica esperienza per rilanciare coraggiosamente nuove idee con responsabilità. Così inizia il messaggio postato sul sito del Museo Arte di Gallarate. E le nuove idee sono state rilanciate, in effetti. Per esempio, la piattaforma di Google Arts&Culture ha iniziato una collaborazione con 2500 musei, che da tutto il mondo hanno aperto le loro porte per delle mostre virtuali. È possibile osservare le opere presenti nei musei e in certi casi addirittura vivere il museo nella sua totalità, grazie alla funzione Google Street View, che permette di “camminare” tra le opere. In alcuni casi, attraverso delle esposizioni specifiche, è possibile comprendere più a fondo le opere e

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il loro artista. Tra questi musei è presente anche il Getty Museum, che si è distinto per un’iniziativa particolare. Il 25 marzo infatti ha creato la Getty Challenge, che consiste nel ricreare quadri con un po’ di fantasia e originalità, rendendo quindi vive le opere. Per la verità questa trovata non è nuova (la prima volta che un quadro venne ricreato fu nel 1982), ma il museo ci ha ricordato che in una situazione come quella che stiamo vivendo non dobbiamo trascurare e dimenticare l’arte. E soprattutto, come ha affermato Annelisa Stephan del Getty Museum, “Non siamo Van Gogh o De Chirico, ma tutti abbiamo il potere di creare”. Anche il Teatro alla Scala sta collaborando con Google Arts&Culture, infatti è possibile visitarlo virtualmente accompagnati da spiegazioni registrate. Insomma, non è come viverlo, però è già un buon inizio. E il 7 maggio, 92 artisti hanno pubblicato una loro performance, direttamente da casa, del concertato dal ‘Simon Boccanegra’ di Giuseppe Verdi. Un’idea che richiama il video condiviso il 5 aprile dai

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at t ua l i t à ballerini del Mikhailovsky Theatre. Ognuno infatti ha realizzato un balletto direttamente da casa loro sostituendo oggetti di scena con utensili da cucina. Restando in tema è giusto parlare dell’iniziativa della Royal Opera House. Dal 27 marzo all’1 maggio sul canale YouTube dedicato sono state caricate diverse esibizioni che quindi si possono vedere in qualsiasi momento, gratuitamente. Per Broa-

On!, aperto in aprile, tutti i venerdì Webber rende disponibile uno dei suoi musical in versione integrale. Nemmeno il resto del mondo della musica si è fermato. Il 29 marzo la stazione radio americana iHeartRadio si è rivolta a diversi cantanti statunitensi per creare il Living Room Concert, che ha raccolto 10 milioni di dollari per l’organizzazione Feeding America. Due giorni

dway non è stato diverso. Il famoso distretto di New York rimarrà chiuso fino al 6 settembre, ma gli spettacoli non si sono fermati. Con karaoke di canzoni Disney ed esibizioni improvvisate via Instagram, gli attori hanno fatto in modo che i loro fan non rimanessero a bocca asciutta. Particolarmente degna di nota è l’iniziativa lanciata da Andrew Lloyd Webber, ideatore di musical quali The Phantom of the Opera e School of Rock. Sul canale YouTube The Show Must Go

dopo, su Rai Uno è andato in onda il concerto Musica Che Unisce, un progetto dedicato alla raccolta fondi per la protezione civile. All’iniziativa hanno partecipato alcuni tra i più grandi nomi della musica italiana. Abbiamo citato soltanto pochi esempi, ma dappertutto ci sono stati eventi analoghi. Perché il mondo si sarà fermato, ma l’arte sicuramente no. Quindi, la prossima volta che sarete annoiati in quarantena, andate a spulciare internet. Qualcosa troverete. Rebecca Battaglia e Teresa Molinari, IF

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attu alità

Non ci sono più i giovani di una volta

Si considerano onniscienti (i giovani) e sono sempre assolutamente certi di quanto asseriscono, anzi è proprio per questo che eccedono sempre”. Una frase, questa, molto attuale, che viene ripetuta spesso anche se con parole diverse. Il concetto, che ognuno di noi ha sentito almeno una volta, è uno ed è molto chiaro: non c’è rispetto da parte dei giovani, ma abbonda quell’atteggiamento che gli antichi greci chiamavano “ὕβρις”. Inoltre “la gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani; i giovani d’oggi sono tiranni”. Leggendo queste poche righe, si potrebbe pensare che gli autori di tali frasi siano nostri contemporanei o, forse, che siano vissuti nel secolo scorso. Tuttavia, non è così, perché esse andrebbero ricondotte, rispettivamente, ad Aristotele e a Socrate. Forse, se già nell’antica Grecia l’idea di gioventù era questa, i “giovani di una volta” non sono mai esistiti. Ma facciamo un passo indietro. Uomini che hanno fatto la storia, come Aristotele, sostengono un’idea, millenaria ormai, secondo cui i giovani non sono degni di rispetto, dal momento che sono i primi a non portarlo. Questa, però, è una vera e propria mancanza di rispetto e, soprattutto, di fiducia nei confronti di una generazione agli albori, che sta ancora imparando come destreggiarsi nel mondo e nella vita. Sicuramente ci sono molti giovani impulsivi, arroganti, che si considerano onniscienti, ma, d’altronde, ci sono anche molti anziani con gli stessi atteggiamenti, che, tuttavia, ap-

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paiono come marchio accanto alla parola “adolescente”. È certo, però, che non siamo gli unici ad essere giudicati e spesso siamo noi ad “attaccare” per primi, considerando gli anziani noiosi, poco interessanti, senza nulla da dire, dei “vecchi bacucchi” insomma, che dovrebbero solo farsi da parte ed evitare di ostacolare la gioventù. Ognuno pensa di avere ragione e giudica chi ha un’opinione diversa dalla sua, arrivando a svalutare l’altro e identificarlo, in un caso, come “giovane immaturo” e, nell’altro, come “vecchio inutile”. L’errore, quindi, viene commesso indistintamente, da tutti, quasi a simboleggiare un divario che, in realtà, non ha senso di esistere. Spesso ci crediamo davvero superiori e, altrettanto spesso, siamo ritenuti inferiori. A volte, queste sensazioni di superiorità e inferiorità addirittura convivono, poiché, anche quando ci riteniamo onniscienti, ci rendiamo conto di non essere valutati tanto per quello che siamo, che pensiamo o che diciamo, ma più che altro per la nostra età. Eppure, questo criterio è, con tutta probabilità, il meno adatto per giudicare una persona, dal momento che non si focalizza su ciò che realmente si è, ma su un numero, su un numero insignificante. E proprio per questo, il problema non sono i giovani di ieri, di oggi o di domani, e neppure gli anziani, perché tutti continuano a cambiare, a prescindere dall’età e dall’epoca storica, e il cambiamento è parte della nostra natura di esseri umani. Il problema risiede nel costringersi a catalogare le persone in

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at t ua l i t à una categoria, il problema è il pregiudizio. Ormai si sente quasi il bisogno di dare ad ognuno un’etichetta, in contrasto con un’idea di libertà generale che dovrebbe invece permeare il nostro mondo e permetterci di vedere oltre il pregiudizio, sia in riferimento all’età sia in ogni altra situazione. Tra le tante cose che possiamo imparare quest’anno, forse non rientra anche un modo per eliminare questa idea di marchio, di categoria? Quante “etichette” abbiamo infranto in questa quarantena? Quanti nonni “vecchi e poco tecnologici” hanno imparato a fare videochiamate? E quanti giovani hanno cucinato, preparando pranzi imbanditi, perfettamente in stile con quelli natalizi della nonna? Per non parlare dell’amore che abbiamo sviluppato per l’aria aperta, per due passi al parco, proprio noi che eravamo etichettati come “tecnologici” o “nativi digitali, sempre chiusi in casa al telefono”. Forse è vero che i giovani, di qualunque epoca, sono la parte più intrepida e, a volte, più arrogante della società, ma il senso di entusiasmo, di fiducia e speranza verso il futuro è una fase che tutti hanno passato, come è normale che sia; è una fase che serve a formarci come individui, a garantire la nostra unicità e, soprattutto, è una fase che ci porta a contatto con le prime prove e ci permette di acquisire gli strumenti necessari nella prospettiva di un futuro in cui all’entusiasmo subentrerà l’esperienza. Lasciamo perdere i pregiudizi, dunque, e impariamo a farci rispettare, senza smettere mai di portare rispetto. Zoe Mazzucconi, IIIA

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attu alità

I DUE PROBLEMI DEL BRASILE: IL CORONAVIRUS E BOLSONARO

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entre nel resto del mondo il diffondersi del Coronavirus sta iniziando a rallentare, in Brasile la crescita continua in maniera spaventosa segnando un R0 al 2,81 (in Italia è da tempo inferiore a 1). I contagiati sono più di 600.000 e ci sono oltre 800 morti al giorno, senza considerare che i pochi tamponi effettuati non garantiscono la correttezza dei numeri. A ciò bisogna aggiungere l’enorme problema della povertà e le complicazioni che l’inevitabile crisi economica porterà. In una situazione così difficile e drammatica, per fortuna, il presidente Jair Messias Bolsonaro ha dato l’ennesima prova di tutta la sua competenza e umanità. A marzo, molto lucidamente, ha prima definito il Coronavirus come una fantasia, poi, in un discorso alla nazione, lo ha paragonato ad un “piccolo raffreddore” sostenendo che “se un brasiliano si butta nelle fogne non gli succede niente”. Questo suo negazionismo epidemiologico, criticato fortemente dall’Oms, lo ha portato ad unirsi alle panelaço, le proteste dei cittadini contro i lockdown imposti dai governatori di alcuni stati brasiliani e a licenziare il ministro della salute Luiz Mandetta che aveva difeso l’isolamento sociale e le misure preventive. Inoltre, come se non avesse già dimostrato abbastanza di essere un grandissimo presidente, continua a girare per le strade senza protezioni, facendosi selfie e stringendo mani, organizza grigliate provocatorie e, in maniera molto preoccupante, alza le spallucce e fa battute quando gli chiedono cosa ne pensa del fatto che il Brasile ha superato per numero di morti la Cina. Tuttavia, il folle atteggiamento di

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Bolsonaro non è immotivato, ma si basa sulla consapevolezza che, se il Brasile si dovesse fermare totalmente, non riuscirebbe più a ripartire. Il “Messia”, come lo chiamano i sostenitori, ha infatti dichiarato «Siamo destinati a vivere in un Paese povero. Le persone stanno morendo? Va bene, ma molte di più moriranno se si continua a distruggere l’economia». Sebbene la prospettiva di un ulteriore tracollo economico sia purtroppo fondata e verificata, essa non giustifica né la chiusura del presidente a cercare compromessi o misure per una frenata parziale del paese, né, tantomeno, il sacrificio di tante vite umane. Fortunatamente però, in questi giorni molti governatori si sono ribellati al decreto presidenziale che impone la riapertura e anche il nuovo ministro della sanità, scelto da Bolsonaro perché favorevole a misure poco rigide, si è accorto che “forse il lockdown è necessario”. Pur sperando davvero con tutto il cuore in un rallentamento del virus in Brasile, le stime parlano chiaro, pronosticando 88.000 morti entro agosto. Il dramma in Brasile non finirà presto. Vorrei concludere con la dichiarazione di Joao Doria, governatore di San Paolo ribellatosi al “Messia”: «Siamo alle prese con due disgrazie: il coronavirus e il Bolsonaro virus». P.S. Avevo già concluso l’articolo quando il nuovo ministro della sanità si è dimesso. Non so se essere felice perché ha preso le distanze da Bolsonaro o triste perché ora verrà sostituito con uno ancor più accondiscendente al “Messia”.

Paolo Raimondi, IVE

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cu l t ur a

playlist di maggio

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on potevamo piú ascoltare la musica sul pullman o insieme agli amici. Peró scommetto che nei momenti un po’ tristi di questa quarantena, in camera da soli, senza niente da fare, ognuno di noi si è un po’ affidato ai propri artisti preferiti, alle canzoni che forse ci sono iniziate a piacere piú di prima perchè ci riempivano di malinconia; quella bella che ti mette un po’ di speranza. Ecco allora una manciata di canzoni che hanno migliorato i nostri ultimi tre mesi. EMOTON1 – BAUTISTA Emoton è l’unione delle parole emo e reggaeton, che dette così sembrano più distanti fra loro che lussaniano e cervello. La combo però è bellissima e ancora poco conosciuta. Tra qualche anno potrai dire che tu l’avevi ascoltato a meno di 10.000 views. BASTA – 2004SGRANG I raga vogliono dimostrare che non sono solo gli amici di Massimo Pericolo che non sono stati in carcere, ma molto molto di più. Pezzone incredibile e Generic 16 MARZO – ACHILLE LAURO Tipo spiaggia, sera con un leggero vento che alza la sabbia ma non ti finisce negli occhi, birrette, falò e una recente delusione amorosa. Comunque qualcuno dovrebbe far uscire Vasco Rossi dal corpo di Achille Lauro. BUDOKAI – COLLAZIO Loro sono dei ragazzi milanesi e gasano come la bidella che entra in classe e ti dice che lunedì entri alle 9. Teneteli d’occhio. SEMPRE - MAGGIO, TANCA Ti riempie di gioia ma di quelle un po’ spezzacuore. L’uscita di questa canzone penso sia stata la cosa piú bella successa dall’8 marzo per ora. KARMA POLICE - RADIOHEAD Va be i Radiohead ci stanno sempre, no? JUMP IN THE LINE - HARRY BELAFONTE Prima di ascoltarla dovete vedervi Beetlejuice peró (in attesa che la fantastica commisione cinema del Sarpi ritorni piú forte di prima). SUNFLOWER, VOL. 6 - HARRY STYLES Uscite all’aria aperta a saltellare tra i prati fioriti con la brezza primaverile che potrete godervi ancora per poco, lasciate perdere per un attimo l’allergia e mettetevi questa canzone nelle cuffiette. Linda Sangaletti e Paolo Raimondi, IVE

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Il fascino discreto della giovinezza

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n una sera di scroll poco impegnativo ho trovato un’immagine di Noora e William, due personaggi di una serie norvegese dal titolo ‘Skam’, e mi sono chiesta cosa ne fosse stato di loro, cosa idealmente poteva essere successo nelle loro vite.

Nelle serie tv per ragazzi, se ci si distacca dall’idea di personaggi in quanto tali e li si considera come persone, i protagonisti saranno innegabilmente cresciuti dopo la fine delle puntate e le loro vite saranno andate avanti. Eppure questi personaggi sono bloccati nel tempo, perché, anche se idealmente le loro vite sono andate avanti, nel nostro immaginario rimarranno sempre giovani ed è curioso che sia così, visto che noi diciamo ‘sono cresciuto con loro’, ma di fatto loro non lo sono. Questa eterna giovinezza non riguarda solo i personaggi delle serie tv che

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guardiamo oggi: è un concetto che ci portiamo appresso da secoli, più o meno volontariamente. È innegabile che fosse presente anche nella mitologia greca, per esempio, o per una morte improvvisa che stroncava le vite dei più giovani o, in modo decisamente più mistico, quando gli dei portavano in cielo un giovane mortale sottoforma di costellazione. Ora come allora in un certo senso è come se si promettesse quell’eternità in modo più o meno diretto. Anche se non volessimo vederla come una sorta di promessa, è innegabile che con il passare del tempo ci sia una sorta di imposizione a livello di modelli. Nella stipulazione di modelli sociali la giovinezza è nettamente preferita alla vecchiaia. Un esempio? Se scrivo Audrey Hepburn, rievoco una certa immagine nella vostra mente: una lei giovanissima. Se si trattasse di Marylin Monroe avrebbe anche senso, visto che è morta giovane, ma con Audrey risulta chiaro che c’è qualcosa di imposto nell’idea che abbiamo di lei, visto che è morta a sessant’anni ma nonostante questo rimane nelle nostre menti solo l’immagine di lei poco più che adolescente. Anche le generazioni più anziane sono coinvolte in questa imposizione di mo-

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cu l t ur a delli e banalmente lo dimostra il fatto che le due attrici citate prima non siano della nostra generazione. Rendersi conto che questo fenomeno è reale e tangibile, svela il modo in cui viene plasmato il nostro modo di percepire noi stessi e le nostre vite. Da qui ha inizio non solo il mito dell’eterna giovinezza, ma anche molti altri falsi miti, che si diffondono nella nostra società senza trovare ostacoli per il semplice fatto che nessuno denuncia la loro falsità. Queste idee ci possiedono e ci governano con mezzi che non sono logici, ma psicologici, e quindi radicati nel profondo del nostro essere. È come se ci dessero per certi versi un senso di sicurezza, eliminando l’incertezza di una nostra opinione in merito. È sotto la spinta di un fenomeno di sicurezza, fondamentalmente, che accettiamo e addirittura veneriamo certi modelli nella nostra esistenza. Da parte sua, chi ce

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li impone, combatte soprattutto coloro che svelano la menzogna che sta nelle origini, quindi, nel caso del mito dell’eterna giovinezza, quelle persone che pur non volendolo si fanno portavoce della ‘possibilità’ opposta. Queste persone vengono neutralizzate in ghetti moderni (per esempio le case di riposo), o per lo meno vengono tenute a distanza dalle camere televisive e dai media in generale, che si impegnano per darne una certa idea a loro conveniente, che rende gli anziani mostrati ‘standard’. In questo senso le persone anziane hanno un compito molto importante: svelare il proprio volto e farsi portavoce della realtà, perché solo così si potrebbe uscire da modelli e schemi prestabiliti e trovare un’età diversa dalla giovinezza. Costanza Rossi, VC

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cu ltu ra

Inseguendo l’ombra, il tempo invecchia in fretta

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n questo testo si propone un confronto metaletterario di tre testi uno greco, uno italiano, uno straniero - che ripercorrano il fil rouge di gioventù e vecchiaia tramite quattro focalizzazioni differenti.

VECCHI INSEGNANTI Critone, Il vecchio e il mare, Il nome della rosa

Nel panorama letterario moderno e contemporaneo, insegnamento e apprendimento sono sviluppati per lo più come temi secondari, quasi mai costituiscono il fulcro dell’opera, spesso per la volontà da parte dell’autore di non trasmettere una rigida impronta pedagogica. Impronta che d’altronde neanche Socrate volle lasciare: fervido sostenitore del fatto che un’idea possa essere modificata o smentita solamente attraverso il dialogo, il filosofo taccia la scrittura di un dogmatismo troppo limitante. Fortunatamente, attraverso Platone sono stati tramandati alcuni dei suoi dialoghi, dei quali il Critone è forse il più celebre rappresentante. Qui l’idea di confilosofia socratica è praticamente scissa in due blocchi, il breve discorso argomentativo dell’allievo e il lungo monologo del maestro, che confuta ogni singolo punto della

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peroratio di Critone, infine rimasto senza parole. Il processo di apprendimento, dunque, sembra esulare lievemente dal puro concetto di maieutica, pur presente nei rapidi cenni di assenso dell’allievo, e avviene tramite un flusso condensato di razionalità, che si insinua nella mente e fa cambiare totalmente opinione.

Ne Il nome della rosa, invece, Adso, dal momento in cui viene posto al fianco di Guglielmo da Baskerville, non abbandona più per un attimo il frate, divenendo di fatto la sua ombra. La sete di conoscenza del giovane è ben soddisfatta dal vecchio francescano, che fin da subito dimostra ottima logica induttiva e abilità retoriche, rinsaldate da un immenso bagaglio culturale. Inoltre, dato che l’opera è narrata in prima persona attraverso gli occhi dell’assistente stesso, si può notare come questi dimostri di saper rielaborare gli spunti ricevuti. In questo senso, in lui si

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cu l t ur a delinea un percorso di maturazione, che talvolta lo porta tuttavia a tormentarsi a causa di alcuni dubbi di moralità, come nel caso del suo rapporto con la ragazza sconosciuta. Al desiderio di apprendimento filosofico-culturale si mescola la curiosità insaziabile di svelare il mistero, qualità che condivide con il maestro e che sembra essere il fondamento su cui costruire una conoscenza superiore. Simile vicinanza, ma modalità diversa sembra presentare il capolavoro di Hemingway. Ne Il vecchio e il mare il linguaggio asciutto ed evocativo guida il lettore nella vita di un vecchio pescatore, che ha trasmesso il suo sapere a un bambino ormai cresciuto; inizialmente i due rammentano le giornate in cui andavano a pesca insieme, quando l’apprendimento era garantito da un’esperienza autoptica non tanto incentrata sulle parole, quanto sui gesti e sulle movenze del maestro.

Il giovane ha in comune con Adso la sete di conoscenza, ma nutre verso il vecchio un amore profondo che prevarica sulla rispettosa stima dell’assistente verso Guglielmo. Una

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tenerezza che necessita di pochi dialoghi, semplici e naturali, così come semplici e naturali sono i momenti finali, in cui il giovane si prende cura del vecchio in seguito alla sua impresa, in un ribaltamento di ruoli che è suggello di un affezione viscerale, ma anche simbolo di un inevitabile passaggio di consegne.

GIOVENTÙ COMPIANTA Troiane, I promessi sposi, Caduto fuori dal tempo

Ecuba è la mater dolorosa per eccellenza. Fin dall’Iliade sembrava un personaggio non totalmente compiuto, quasi dovesse ancora completare la propria αριστεία, chiudere il cerchio. Euripide ha il merito di aver rifinito questa figura, innalzandola tramite il dolore a ultimo baluardo dell’orgoglio troiano. Infatti, la sofferenza più grande che lei prova sembra essere quella nei confronti del popolo trucidato, inteso nel suo insieme, non nei vari singoli. Singoli la cui sorte tuttavia ha bruciato e continua a bruciare nel suo animo. Come madre di una popolazione, è disperata e per i

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cu ltu ra figli morti e per quelli vivi. Non fa in tempo a metabolizzare l’uccisione di Polissena, che subito Andromaca le si palesa davanti, sostenendo che la ragazza morta ha avuto più fortuna di lei viva. Ecuba ne è perfettamente consapevole, e comunque esorta la nuora a un ‘finché c’è vita c’è speranza’ che ha il sapore amaro di una bugia bianca pronunciata a fatica. Il momento in cui la nonna accarezza i riccioli del nipote Astianatte ci teletrasporta a più di duemila anni dopo, dritti nel cap. XXXIV dell’opera manzoniana. In una Milano lugubre sconvolta dalla peste e devastata dai monatti, Renzo nota un ‘vestito bianchissimo’ indosso a una bimba ‘ben accomodata, co’

capelli divisi sulla fronte’, scena che a livello visivo sembra richiamare alla mente la bambina dal cappottino rosso de The Schindler’s List. Il corpicino senza vita è sorretto dalla madre, che tuttavia la tiene in braccio dritta, come se fosse viva. L’apparizione della donna ‘dalla giovinezza avanzata, ma non trascorsa’ suscita nello spietato monatto un insolito senso di rispetto, un sentimento nuovo, quasi di ossequio verso un dolore palpabile, ma non comprensibile. Il

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picco patetico della scena si esprime proprio nelle laconiche parole della madre, che pronuncia un addio dal sapore di un ‘arrivederci, a tra poco’. La perdita di un figlio è il cardine del prosimetro visionario di D. Grossman, Caduto fuori dal tempo, opera quasi teatrale (prevalentemente

costituita da monologhi e dialoghi), che narra il comportamento di una serie di personaggi accomunati dallo stesso tipo di lutto. Un uomo decide di partire alla ricerca del figlio perduto, verso un laggiù imprecisato. La trama è fortemente ellittica, il filo che normalmente tiene insieme le scene sembra dipanarsi in una serie di flash istantanei: la disorganicità grafica e contenutistica riflette i frammenti dell’anima dei genitori spezzati dal dolore. In sostanza quest’opera andrebbe considerata come una poesia, fra l’altro autobiografica, con l’autore che cerca anche di catalizzare nelle pagine il sentore di un’esperienza di vita quotidiana, che cerca di continuare (“UOMO: Come faremo ad avvicinarci l’uno all’altra, pensai/ quella notte,/ come ci ecciteremo?/ Quando

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cu l t ur a ti bacerò/ le schegge di vetro/ del suo nome/ nella tua bocca/ taglieranno la mia lingua...”). Infine, tutti i viandanti, con la voce rotta si fonderanno in uno struggente coro delirante, fino a riconoscere che: “È morto/ è/ morto. Ma/ la sua morte,/ la sua morte/ non è/ morta”.

RAPPORTO PADRE-FIGLIO

Ilio’ sullo sfondo, che lascia spazio a una scintilla di doloroso amore familiare, preludio di un ultimo saluto. Di addio si parla anche nel più letto Bildungsroman della letteratura italiana, L’isola di Arturo, un addio alla propria terra madre da parte di un ragazzino che un padre non ce l’aveva.

Iliade, L’isola di Arturo, La strada

Siamo nel canto VI dell’Iliade, uno dei più famosi, sia per il confronto tra Glauco e Diomede, sia per il colloquio fra Ettore e Andromaca. In questo secondo frangente si colloca l’incontro fra l’eroe troiano e il figlio Astianatte. Celeberrima è la scena in cui il piccolo si spaventa (εκλίνθη ιάχων = si scostò, emettendo un grido), a causa dell’elmo di metallo con cimiero chiomato. I due genitori allora sorridono teneramente, il padre bacia il figlio e, sollevandolo, pronuncia una preghiera a Zeus: il bimbo dovrà essere sovrano di Troia, più coraggioso del padre. Quindi rende il piccolo alla sposa, con un affetto evidenziato dall’inarcatura di παιδ’εόν (v. 483), in richiamo anaforico con l’espressione ben più commovente presente nell’invocazione, παιδ’εμόν (v. 477): il ‘mio figlio’ è dunque l’ultimo pensiero di un eroe consapevole di stare per morire e che comunque non prega la divinità di donargli una speranza di vittoria, quanto di offrire un futuro alla sua famiglia. In questo passo sembra ovattarsi la ‘guerra di

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O meglio, ce l’aveva, ma “viveva, la maggior parte del tempo, lontano, rimaneva assente intere stagioni”. Eppure, agli occhi di Arturo era un eroe, bello e dannato, incomprensibile e ammaliante nel suo mistero. Questa almeno è l’equazione di partenza, sconvolta dalla variabile Nunziatella, amata nemica della giovinezza. Verso la fine del romanzo, l’immaginario idilliaco che il ragazzo aveva costruito attorno alla figura del padre e dei suoi viaggi va completamente in frantumi, in seguito al confronto con Tonino Stella e al litigio successivo con il genitore stesso, in partenza per l’ennesima volta. In un turbinio di gelosia e odio, Arturo scrive al padre una violenta lettera d’addio e decide di lasciare la sua isola, che da madre

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cu ltu ra generosa e sincera si era trasformata in una matrigna perfida e menzognera. Dunque, è proprio la menzogna ciò che il ragazzo non riesce a sopportare: il fatto che tutta la sua giovinezza si sia basata su un’adorazione mitica del padre, poi resa fumo dallo scontro con la realtà. Tutt’altro tipo di relazione è delineata nel commovente romanzo di C. McCarthy, La strada. In un futuro post-apocalittico imprecisato, un padre e un bambino camminano.

L’ambientazione è ridotta all’osso, un nastro di catrame sgangherato che corre fino all’orizzonte. Anche i dialoghi sono brevi, smozzicati, le raccomandazioni del padre si mescolano alle curiosità del bambino. La quotidianità è la ricerca di soddisfazione di quei bisogni primari, che l’uomo non vuole far mancare al figlio, ma di cui quest’ultimo prova a dissimulare l’assenza, per non preoccupare il papà ulteriormente. Continue opposizioni fra ‘buoni’ e ‘cattivi’, ‘vivi’ e ‘morti’, ‘chi porta il fuoco’ e chi non lo fa, come ultimo simbolo di una civiltà che proprio in loro due trova i suoi ultimi rappresentanti, perché

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li sospinge avanti l’immenso amore reciproco e la fallace consapevolezza che non si separeranno mai.

GIOVENTÙ RIMPIANTA

Mimnermo, Il ritratto di Dorian Gray, Tristano muore

In Mimnermo, molti testi elegiaci sono solitamente strutturati in due polarità antitetiche: la lode della giovinezza e il biasimo della vecchiaia. Nel frammento 2 West, l’umanità intera è accomunata tramite una celebre similitudine alla condizione delle foglie (οἷά τε φύλλα), fragile e precaria. Tanto breve quanto preziosa è questa stagione, l’unica degna di essere vissuta, a seguito della quale nulla vale più. All’uomo si aprono due strade, la vecchiaia o la morte, e la seconda è di gran lunga più preferibile della prima (αὐτίκα δὴ τεθνάναι βέλτιον ἢ βίοτος). Da vecchio, infatti, l’uomo, oltre a non poter più gioire per i raggi del sole e oltre a essere inevitabilmente disprezzato dai giovani (cfr. frammento 1 West), va incontro a molteplici destini: dissoluzione del patrimonio e conseguente povertà, mancanza dei figli, malattia mentale. In un quadro tetro e pessimista si chiude il frammento, aperto invece dalla fiorita stagione di primavera (πολυάνθεμος ὥρη ἔαρος), a testimonianza di una perentoria consapevolezza della fragilità della figura umana. Nell’opera di Oscar Wilde, emerge sicuramente un disprezzo della vecchiaia che fa scaturire nell’uomo qua-

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cu l t ur a si una malattia mentale, ma il tutto è considerato in una prospettiva di godimento edonistico istantaneo, di pura e incorrotta bellezza che fiorisce. Se in Mimnermo è più presente la mancanza della possibilità di amare, di vivere serenamente, nel romanzo ottocentesco l’integrità corporea e l’aspetto estetico sono le Muse a cui ispirarsi. “La bellezza è una specie di Genio - in verità più grande del genio, perché non ha bisogno di spiegazione”. Dunque, alla luce della turpe scena finale, appare drammatico il discorso iniziale di Lord Henry, che esorta Dorian ad apprezzare il presente immediato, prima che arrivi il momento in cui le rughe gli solcheranno il volto, le guance si scaveranno e lo sguardo si appannerà. La giovinezza è bellezza e la bellezza è piacere.

Nel Tristano muore di A. Tabucchi tutto ciò non è presente: vi sono i ricordi di una vita e di un popolo, narrati in ordine sparso con una punta di nostalgia, da parte di un uomo

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che sta per morire, burbero e incattivito dalla cancrena alla gamba. Si rivolge a uno scrittore silenzioso, copista e spettatore che, al pari del lettore stesso, cerca disperatamente di mettere insieme frammenti sgangherati di ricordi e allucinazioni, rimpianti e filosofie. Tristano, soldato italiano inviato in Grecia dal regime fascista, si trova a sparare a un tedesco che aveva ucciso una donna e un bambino indifesi e da lì diviene un partigiano della Resistenza, un eroe nazionale di un paese

non suo, campione di una guerra ‘che taglia gli anni’. Consapevole che ‘è tutto fermo, Tolomeo aveva ragione’, che ‘la stirpe di Caino agisce sempre allo stesso modo’, il moribondo Tristano, l’intrepido, l’amante, il traditore, è lo specchio di un secolo moribondo a sua volta, è testimone di una vita e una Storia che rifuggono il riassunto, con parole che si staccano dalla carta. Francesco Giammarioli, IIIA

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n arrativa

ciecamente

C

ome si può? Luce colpiscimi, rispondimi e perdonami se nel tuo nome ho amato riso e battuto le mani a ritmo. Se ho detto una parola di troppo e rimasta un attimo di troppo al fianco sbagliato. Se ho visto tranquillità in dei sorrisi

infernali. Se mi tormento in nome di alcune promesse. Se ti ho giurato fedeltà con i chiodi al petto. Se non ho ancora tolto i chiodi. Se non smetto mai di vederti anche nei vicoli ciechi. Ada Cundari, IIIF

cr mercury

H

ai presente il mercurio cromo? Sì, quella roba rossa che si mette sulle ferite per fare coagulare il sangue. O per disinfettarle, non mi ricordo. Non so neanche come mi è venuto in mente il mercurio cromo. Penso spesso prima di addormentarmi. Di solito penso testi di canzoni e ogni tre per due mi alzo dal letto e accendo la luce per scrivere le barre. Altrimenti me le scordo. Invece questa sera ho pensato al mercurio cromo. È quasi una cosa indie. Eppure di indie non ne so niente. Avrò ascoltato al massimo sei canzoni, toh. Non è che mi dispiaccia eh, ma non fa per me. Maledetto mercurio cromo. Che poi cosa vuol dire? Che se ci penso magari c’è un motivo. O no? O appena chiudo gli occhi i miei pensieri vanno a caso? Penso che secondo

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Freud ci sia una certa corrispondenza tra ciò che si sogna e la nostra interiorità. Penso per sentito dire, perché io Freud non l’ho ancora studiato. E non so se ho voglia di studiarlo. Magari mi parte un trip assurdo e divento psicanalista da grande. Non è malissimo come prospettiva di vita, oh. Soprattutto non è per niente male per uno che un piano non lo ha ancora, come il sottoscritto. Massì, chissenefrega di diventare grandi. Il modo per fare i soldi lo trovo, dai; con i soldi mi ci compro da vivere; con il vivere soddisfo me stesso. Me lo auguro, almeno, e lo auguro anche a te. Basta, ora mando tutto alla Còsti e spengo il telefono, perché con tutto il buio della camera la luce mi dà fastidio agli occhi. Che già sono stanchi, poveretti. Son stanco anch’io.

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n arr a t i v a

memoria

margarita

i fermò un istante, tra il rimestare delle posate in cucina, le urla dei bambini in corridoio, il sibilo di un soffio di vento che sollevava le tende in salotto. Si fermò nel sussurro immobile di una voce, tra il disordine sparso e sotteso, la morsa di un singulto, tamburellio di un germoglio di pioggia. Si fermò nella carezza di una mano sulla guancia, calore disilluso, sentore di una pacata presenza inconsistente. Si fermò, nella melodia degli odori di un momento mai risorto dalle ceneri del tempo, lacrima di un’anima bambina. Si rannicchiò, e chiuse gli occhi nella culla di un amore di petali, simulacro d’ingenua speranza. Chiuse gli occhi nel profilo di un orizzonte sbiadito, verso mai segnato sulle vertebre di un corpo d’ombra e sinfonia. Chiuse gli occhi nel mormorio spento di un’assenza invocata dalla voragine di un cielo plumbeo martoriato da scarti di luce. Respirò nella fugace corsa di un attimo bagnato da un bacio d’eternità, vano appiglio di candida ebrezza. Respirò tra il fruscio indistinto di un mattino di perla, poesia di uno sguardo vecchio come la spuma d’un mare che si mischia alla grazia del cielo, visibilio di silenzio. Aprì, per un istante, occhi d’umano, deriva di uno spasimo dilaniato, scontro di anime di seta, riposo di tersa malinconia. Fuori, la tenerezza di una nota di luce riposava, scossa dal candore di un riso che nessun altro era in grado di percepire. Per un istante, trovò la quiete. In cucina, l’acqua scorreva nel lavandino, il rumore di uno scalpiccio si diffondeva dal corridoio. Marta Rossi, VF

MARGARITA MARGARITA (o La Morte)

S

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M

argarita Margarita Margarita. Lei san che tace, cadente di pelle che piange, sabbia tra inguine e ciglia. Non si ha paura di lei disgusto disgusto! il disguido dei sensi suoi portatori di smezzati nonsensi canta inno! inno di nazione! ricolme parole di gonfiante nullezza. “Cos’è l’animo, bambini ammezzati da mezzosi ossicini in crescita, senza una

fede pienante in cui credere? Nulla Nulla Nulla, o la Morte.” La mort, la mort de jolie terre, pietate! E così dal carillon si cantano sciagure su di lei notre pute fin dall’era di Nottanza Scura, quando li suoi sfilacciati peluzzi cranici soffocavano la terra sfruttata da zombie diploidi e la stecchivano, accarezzandone i rinsecchiti uteri. Le ciel fluorescent alimentato dai corpi carbonizzati di giovani schiavi dell’etica moralista ammodernata da esistenzialisti fumatori la fanno piangere. La truie danza pesante sull’orlo sfrangiato del cataclismante Faraglione Bianco, occhio di milioni di cicloni orbi, terrestrialmente

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n arrativa rigeneranti ma tristosamente luttuosi. È lì il posto che la razza diploide ignora, che non menziona, che sputa a parole solamente soltanto quando accidentalmente ubriaca. Solo lì può esserci nido pacifico per gli stanchi seni bigi, le natiche scolorite e villose, l’alito più delizioso e sensuale mai percepito margarara titina. Profuma di tutti i desideri che nell’Aldilà saranno esauditi. È il paese dei balocchi, soffocati da quel fiato, ma è esclusivamente per aploidi, per amorfi, per storti, per non pensanti, per autotrofi, per grotteschi.

La consapevolezza pare a lei margarara titina un contratto discostante incostante alquanto svantaggioso, privazione dell’assoluto dell’incoscienza costanza sicurezza ingenuità tenerezza amore. Non abbandonarsi, dice, non abbandonarsi a me non è amore e attaccamento per il concretamente materialistico vitaleggio respirante (o vita) ma odio e repulsione per lei medesima. Per il suo corpo di vecchia. Per il suo involucro spento e vuoto e triste TRISTE PERCHÉ NON HO MALE SUL MIO PETTO, NON NE PORTO. VOI SÌ. VOI MI STRAPPATE, MI SPIN-

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GETE, MI INCOLPATE. IO CURO. Se solo l’avessero mai guardata negli occhi, non-morti glabri, se solo l’avessero baciata, netti roditori, se l’avessero rivista come Sibilla dei Tempi Che Furono allora sì SÌ l’amerebbero come la giovane regolatrice del nascere d’Alba. Solo lei a tutelare il suo opposto, il respirare, il Pulsare. Solo lei in opponenza a nulla. Margarita Margarita Margarita. NOTA DELL’AUTRICE: le storie sono un po’ come l’energia, non si inventano e non si stracciano. Molti affermano che le storie d’orrore non esistono così paranormali, io dico che ci sono solo diversi punti di vista. Non sono comunque per il relativismo universale: esistono persone buone e buone e basta. Margarita è l’autoritratto della bambina che parla nella mia bocca, ma anche il veleggiare della morte. Margarita non è un fantasma, ha un odore di pulito che fa commuovere. Margarita è invisibile da molti punti di vista ma ciò non la rende irreale. Il mondo è pieno di Margarite che saturano l’aria e vi carezzano i capelli, i peli delle braccia. Non si è mai soli veramente, diploidi, non camminiamo mai su una strada isolata. Loro sono con noi. Sempre. Imik, VE

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n arr a t i v a

È

la primavera

inevitabile che l’uomo provi odio. Lo dimostrano le guerre, le uccisioni e tutto quello di cui l’umanità si è macchiata in questi millenni. L’uomo combatte l’inverno, quando fuori si gela e anche i cuori sono ghiacciati, quando la neve cade fitta e le città sono immerse in un silenzio surreale. Gli uomini continuano a combattere anche quando la neve inizia a sciogliersi, quando le giornate si allungano, quando i bambini tornano a giocare. Ma poi improvvisa, meravigliosa, arriva la primavera. La primavera, timida timida, si fa strada tra gli animi freddi della gente e porta calore; arriva silenziosa, come un raggio di sole che illumina la stanza buia delle fessure delle imposte; come un bambino che la mattina di Natale cammina in punta di piedi fino in salotto per vedere se sono arrivati regali. La primavera, inevitabilmente, arriva. E le persone fanno la guerra. Sbocciano i primi fiori: le corolle che sorridono al sole creano uno spettacolo delicato e affascinante. E le persone si puntano contro le pistole. Gli animali si risvegliano dal letargo, con lentezza e con quella sensazione di tranquillità che si ha nella consapevolezza di avere una vita davanti. E le persone chiudono le porte in faccia agli amici.

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Tornano gli uccellini, che con il loro canto allegro e quieto allietano le giornate. E le persone non si sorridono più. Volano le farfalle, appena nate, sorprese dal cambiamento che hanno fatto e inconsapevoli della loro immacolata bellezza. E le persone provano rancore. Poi, d’un tratto, le persone provano una sensazione nuova: escono in giardino e guardano i fiori appena sbocciati. Vedono il sole, un sole gioioso che dona luce senza voler niente in cambio. Vedono il cielo tinto di blu, come non lo si vedeva da tanto tempo. Vedono i bambini che tornano a giocare insieme e vedono il loro sorriso puro e sempre acceso. Allora le persone abbassano le pistole, le lasciano cadere, si avvicinano gli amici e tendono loro la mano, camminano per le strade contenti, perché ormai non fa più freddo. Forse c’è ancora speranza. Forse c’è ancora una piccola possibilità che l’uomo apra gli occhi il cuore e che osservi attentamente la vita, che la osservi bene, in tutte le sue sfaccettature e che inizi ad apprezzarla. E a quel punto le guerre saranno dimenticate e sarà sempre primavera. E tutti gli uomini si ameranno. Caterina Olivari, ID

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lacrime di cuoio

A

lzo gli occhi e l’accecante azzurro del cielo mi costringe a socchiudere le palpebre, ma non posso volgere lo sguardo altrove, non prima di aver scorto un puntino scuro in mezzo a quella distesa celeste. Finalmente lo trovo e lentamente lo vedo farsi sempre più vicino, sempre più tangibile. Pianto i tacchetti sul terreno viscido, inarco leggermente la schiena e preparo il mio corpo all’impatto quando, senza neppure voltarmi, avverto che il mio marcatore è dietro di me. È giovane ed esuberante, lo si sente dalla corsa leggera e dal passo veloce, scandito da respiri regolari. Si posiziona dietro le mie spalle e facendo pressione con il fisico tenta di smuovermi. Ma di qui non mi sposto, ragazzo: in quattordici anni non ho perso un contrasto e non ho intenzione di cedere oggi. Il pallone piomba velocissimo dall’alto, quindi impatta sul mio petto. Per un attimo si fa tutto buio, poi riprendo conoscenza e con una serie di tocchi mi divincolo dalla morsa asfissiante del ragazzo. Ho addomesticato la sfera, ora sono in controllo. Al vedere la trequarti campo avversaria sono tentato di involarmi in percussione verso la porta e segnare sotto gli scroscianti applausi del pubblico, ma il senso di squadra mi forza a passarla al talentuoso numero 8, ventenne regista dai piedi d’oro. Lo vedo tentare un’assurda giocata da prestigiatore. Ridicolo. La mezzala avversa-

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sport

ria ora in controllo è un numero 10, un rapido fantasista, subito tallonato dalla mia arcigna marcatura. Vuoi superarmi, non è così? Sai di essere più veloce di me, cosa aspetti? Il 10 tenta uno scatto, ed ecco che il mio piede si frappone tra la sua corsa elegante e la palla. Non conta la velocità, ragazzo, conta la posizione. Questo campo mi appartiene, conosco ogni sua zolla, dunque la sfera non andrà dove io non voglio. Torno in possesso. Ogni minuto che trascorro in campo è una sofferenza, sento le ginocchia stanche e le membra logore, ma non posso cadere: ho vissuto più di un decennio di partite e sono la coscienza vivente di un gruppo immaturo e inesperto. Adesso devo impostare la manovra, guardate, state a … Lo scarpino affonda nel fango. Scivolo goffamente. Libera dal giogo, la palla schizza sul fantasista avversario. Tento di rialzarmi, ma il ragazzino è più veloce. La rete è violata, il silenzio ottura le orecchie. Il 10 non mi guarda nemmeno, mi lascia schiacciato dal peso della vergogna. Le sostituzioni sono esaurite e devo restare in campo, eppure vorrei tanto sprofondare nel fango e farmi da parte. Ormai, nemmeno questo terreno ricorda chi io sia stato.

Francesco Forte, IIH

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terz a p a g i na

ispedischit

IID Alessandro:Profe ma quando finisce la scuola? Nardone:Troppo tardi per i miei gusti C.: Drug dealer è lo spacciatore...potrebbe servirvi in futuro [Un’ora e venti dopo l’inizio della versione di greco] Gaia: Profe scusi, si può usare il dizionario? IIIG [Vittoria inizia a leggere] [In chat] Sofia: A che pagina siamo? Viscomi: 91, scusate Irene: 91 Viscomi: L’ho scritto prima io! IVE Minervini: In piazza vecchia c’è una mostra di peperoncino e cannabis, è un trippiccante [Parlando del senso della vita in Kafka] Paolo: Ma se tanto non possiamo trovare un senso alla vita, che senso ha vivere e andare avanti? Cioè a sto punto mi ammazzo Moretti: E questa può essere una soluzione... [Spiegando una ricetta per la torta di mele] Moretti: ...e queste sono le dosi se la tortiera è da 24 cm... Classe: Se no?

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Moretti: Beh, c’è il convertitore di torte online, ragazzi! [Entrando in videolezione in ritardo] Raffaelli: Scusate ma mi sono fermata a parlare nei corridoi Minervini: Ecco Leonardo, tu sei più adatto alla filosofia perché hai questa visione distorta... Paolo: Sei solo storto IIIA Profe: Se sarei Zoe: I bei tempi sono proprio andati Betta: Anche quelli verbali Toffetti: Il superlativo di multus? Elisabetta: Multissimus Toffetti: Sì, nel latino maccheronicus IIIH Marchesi [Entrando in modalità presentazione]: Adesso io non vi vedo più, quindi sono vietati spogliarelli o altro Giaconia: Questo pennarello è il mio dio, e chiunque di voi stia ridendo ora è un eretico. VC

Benzoni: Una specie si considera estinta quando non ci sono più abbastanza individui per poterla ripopolare. Costi: Ma quindi i pappagalli di Rio si sono accoppiati tra figli e madri. Lodo: Ma allora Adamo ed Eva… Caino e Abele… Chri: Sì, esatto, Caino si è accoppiato con sua madre.

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terza pagin a

siamo ciò che guardiamo

Q

uesto periodo è stato durissimo, ma lo streaming ce l’ha addolcito. Le sessioni di binge watching sono state giornaliere e meravigliose. Ho recuperato robe impensabili ordinariamente. Netflix l’ho visto più di mia madre, il che è significativo, visto che abitiamo insieme. Quindi godiamoci questo bel test sulla vostra relazione multimediale.

Veloce veloce: film o serie? 1)Film 2)Serie 3)Entrambi

Quanti film vedi alla settimana? 1)Più di cinque 2)Meno di tre 3)Tra tre e cinque

Che cosa pensi dei cortometraggi?

1)>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>> 2)Non mi piacciono 3)Non ne vedo molti, ma ogni tanto mi piace guardarne.

Dopo aver finito una serie

1)Cerco subito qualcosa di diverso 2)Ho un senso di vuoto estremo non riesco a vedere niente per giorni 3)Cerco qualcosa di simile

Mi piace guardare

1)Horror 2)Commedie romantiche 3)Drammi

Il mio regista preferito tra 1)Quentin Tarantino 2)Steven Spielberg 3)Woody Allen

Preferisco

1)Solo film, meglio se sotto le due ore 2)Serie lunghissime interminabili 3)Miniserie

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terz a p a g i na E se ti dicessi che tutto questo si riflette sulle tue relazioni affettive? AHIAHIAHIAHIAHI

MAGGIORANZA DI 1:

Ami gli incontri brevi, intensi. Vivi la vita un quarto di miglio alla volta, prendendo impegni che sai di poter portare a compimento, senza metterti in condizioni di impegno eccessivo. L’ideale è una cosa breve, ma intensa, che ti lasci un segno indelebile: se si prolungasse, diventerebbe noiosa, ripetitiva, invece tu ami le emozioni forti. Insomma, sei un po’ da una botta e via.

MAGGIORANZA DI 2:

Storie lunghe, lente, a volte troppo: ci sguazzi. Ogni ora è funzionale alla successiva, vorresti che non finisse mai. Vivi in prospettiva futura, non ti accontenti di un’esplosione, preferisci il lento ma costante incedere dell’Etna. Sei family friendly, semplice, quotidiano, quasi dolce. Illuso che non sei altro: tutto finisce, anche Beautiful.

MAGGIORANZA DI 3:

Aurea mediocritas, costanti stimoli bifronti: a seconda dell’umore, ti concedi a un’ora di piacere, o ti impegni in una storia lunga, e quando finisce ci resti sotto.Non eccedi in nessuna direzione, ma fatichi a far coesistere la tua doppia natura di edonista e democristiano, angelo e diavolo. Finché le tue voglie peccaminose non sussistono durante la lunga relazione, non è un problema. Ma in caso contrario, il tradimento comporta conseguenze.

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oroscopo: cronache dagli antipodi celesti

Imik, VE

ARIETE CANCRO

Io interiore: uscite al sole come vampiri alluciati, la vostra anima non potrà che risplendere stile Edward Cullen Amore: sarete effettivamente troppo luminosi per relazioni mortali…magari Zeus in forma divina? Movie: Hong Kong Express Negozio post40: parruccheria (parrucchiera era banale)

Io interiore: dubbi, dubbi, dubbi, molti dubbi Amore: arrugginiti, arrugginiti come pochi Movie: Bond, James Bond saga Negozio post40: Ikea

TORO

LEONE

Io interiore: vi siete agitati per uscire a gogo, in verità ora le stelle vi dicono che siete in imminente pericolo (Sibilla Cooman approves) Amore: ve la girate in tondo ma se non vi decidete a essere decisi e scegliere, rimarrete forever asocial Movie: Fire Walk With Me Negozio post40: cartoleria

Io interiore: unici fiori del deserto a non cambiare al chiuso o all’aperto. Wonderful. Amore: baci, abbracci, tante coccoleee Movie: Profondo Rosso Negozio post40: antiquari

VERGINE GEMELLI Io interiore: le natiche della vostra mente ultimamente fiacche, riceveranno un inaspettato tonico Amore: attività fisica i n t e n s i v a Movie: The Shining Negozio post40: libreria

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Io interiore: né sì né no, uscite dal loculo un po’ intrippati su voi stessi Amore: risveglio della vostra parte suina… EHM…istintiva Movie: The Rocky Horror Picture Show Negozio post40: birreria o per biancheriaaa

giugno 2020


terz a p a g i na

BILANCIA Io interiore: insolazioni vi porteranno a riflessioni profonde sul senso delle crepe del soffitto Amore: è una cosa sempliceeeee, eppure lo ignorerete per questo mese. Ops Movie: Alphaville Negozio post40: gioiellerie o per argenterie

SCORPIONE Io interiore: molto, molto poco soleggiato Amore: brutti immusoniti poco attraenti Movie: Clueless Negozio post40: padelle padelle, manici di scopa (Diagon Alley)

CAPRICORNO Io interiore: caos cosmico Amore: litigi, litigi in vista se non vi sciallerete Movie: Harry Potter whole saga Negozio post40: per vestitini eleganti

ACQUARIO Io interiore: dormire unico motto vitae (mentalmente) Amore: rotoloni regina, non finiscono maiiiii come le vostre opportunità today Movie: The Lighthouse Negozio post40: fumetteria

SAGIT TARIO Io interiore: capovolti e spensierati, proprio tanto a rovescio Amore: vi strusciate beati sul fondo di affetti non per forza da ricambiare Movie: Vi Presento Joe Black Negozio post40: elettronica, babe

giugno 2020

PESCI Io interiore: vi sembra di partecipare ad una corsa ad ostacoli dentati, è tutto in your mind! Amore: non siate spaventati dal nulla cosmico, è una fase Movie: Fargo Negozio post40: di dischi

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Hanno scritto per questo numero: Caterina Olivari di 1D, Silvia Lombardi di 1E, Elisa Ruggeri di 1E, Rebecca Battaglia di 1F, Davide Bonacina di 1F, Teresa Molinari di 1F, Francesco Forte di 2H, Francesco Giammarioli di 3A, Zoe Mazzucconi di 3A, Ada Cundari di 3F, Riccardo Dentella di 4E, Leonardo Gambirasio 4E, Margherita Né Allegra di 4E, Paolo Raimondi di 4E, Linda Sangaletti di 4E, Rocco Piantelli di 5B, Chiara Beretta di 5C, Christian Dolci di 5C, Costanza Rossi di 5C, Matteo Sangalli di 5D, Alessandro Cecchinelli di 5E, Imik di 5E, Anna Magni di 5F e Marta Rossi di 5F. Hanno disegnato per questo numero: Linda Sangaletti di 4E e Tommaso Brignoli di 5C Hanno impaginato questo numero: Riccardo Dentella e Samuele Sapio di 4E Copertina e non solo: Alessia Faustini di 5C Direttrice: Costanza/Cassandra Rossi di 5C Vicedirettore: Christian/Pena Dolci di 5C Caporedattori: - Sarpi: Matteo Sangalli di 5D -Attualità: Samuele Sapio di 4E -Cultura: Anna Magni di 5 F e Chiara Beretta di 5C -Narrativa: Francesco Giammarioli di 3A -Sport: Alessandro Cecchinelli di 5E -Terza pagina: Pena di 5C Segretarie: Zoe Mazzucconi di 3A, Arianna Di Francisca di 5E, Alessia Faustini di 5C Grazie di tutto. È stato stra bello.


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