Cassandra 106 - Aprile

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EDITORIALE

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APRILE 2021

uante volte abbiamo protestato e protestiamo contro i pregiudizi? Quante volte cerchiamo di difendere quei diritti umani necessari e basilari che troppo spesso sono compromessi dal pregiudizio? In molte occasioni ci siamo riusciti, abbiamo vinto tante battaglie contro il pregiudizio, ma la “guerra” siamo destinati a perderla. Forse un giorno riusciremo ad eliminare il pregiudizio sociale, che “autorizza” un gruppo di individui a sentirsi superiore ad un altro solo sulla base di caratteristiche il più delle volte irrilevanti a determinare l’effettivo valore di una persona. Forse. Ciò che sicuramente resterà, però, sarà un’altra forma di pregiudizio, più individuale, più soggettiva e che più difficilmente viene attaccata dal singolo. Il pregiudizio è un giudizio a priori, che non è il mero frutto, per esempio, di insegnamenti specifici, ricevuti da piccoli, ma deriva da una personale riela-

borazione di ciò che ognuno ha ascoltato e vissuto, ovvero dal modo in cui osserva la realtà. Il pregiudizio individuale crea una battaglia interiore in ogni soggetto, perché l’uomo vede il mondo solo attraverso i propri occhi e, per quanto possa tentare di adattare le proprie idee e le proprie azioni ad ogni specifica circostanza, resterà per sempre schiavo di sé stesso e della propria mentalità, qualunque essa sia. Ognuno di noi è il risultato delle proprie esperienze e del proprio carattere, e le idee che si formano a partire da questo connubio sono del tutto imprescindibili dall’uomo stesso. Questo non significa che ogni nostra azione sia stata e sia destinata a rimanere una conseguenza dei pregiudizi, ma la pretesa di abbandonarli del tutto forse è troppo alta. I nostri occhi ci ingannano e ci raccontano le storie che vogliamo sentire. Anche quando crediamo di essere liberi dal

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pregiudizio, in realtà ne siamo schiavi. Ognuno di noi è schiavo dei propri pregiudizi e non esiste modo per liberarsi da questi, perché sarebbe come negare una parte di sé stessi, sarebbe come credere fermamente in un valore e allo stesso tempo condannarlo come un atroce male. Ad ogni modo i pregiudizi si possono contenere, ridurre, confrontare con quelli altrui… si può cercare di ignorarli in favore della libertà, e non una libertà dagli altri o dal mondo circostante, ma una libertà da noi stessi, dal nostro (pre)giudizio… un pensiero libero dalle nostre esperienze.

Nel corso della storia l’uomo ha cercato di pensare in modo libero rispetto alle idee prevalenti della società e dell’epoca, ora è giunto il momento di pensare in modo libero rispetto alla nostra stessa natura. Non possiamo arrivare a negare noi stessi per sentirci liberi, ma possiamo cercare di plasmare il nostro pensiero in modo incondizionato, continuando a metterci nei panni di chi abbiamo di fronte, per vedere ogni situazione e ogni problema da una prospettiva diversa. Zoe

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SARPI

Maledetti sarpini Sarpivision song contest

pag 6 pag 8

ATTUALITÀ

Contro il patriottismo Masturbazione femminile Stendiamo un velo pietoso

pag 10 pag 12 pag 14

CULTURA

Nuovi puritani Apologia di Caino Cinque pezzi facili Commissione cinema

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NARRATIVA Arte velata L'ora d'aria

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SPORT

Transgender e pari opportunità

TERZA PAGINA Oroscopo Ipse dixit

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MALEDETTI SARPINI

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appiamo tutti che il Sarpi è pieno di stereotipi e miti che non sempre, nel bene o nel male, rispecchiano la realtà delle cose e l’obiettivo di questo articolo è proprio quello di mettere a tacere alcune di queste voci e portare un po’ di meritata giustizia a noi sarpini. Partendo dal pezzo forte del repertorio, mi chiedo: è così pericoloso percorrere la famigerata scala sinistra? Leggende metropolitane narrano che orribili sciagure si abbattano su chiunque decida di sfidare quella scalinata e, per amore della scienza, ho deciso di riportarvi la mia testimonianza diretta. Nel mio primo ancora felice, ma non troppo, anno di Sarpi, presa dall’emozione e dalla voglia di farmi notare, decisi di correre giù dalla scala sinistra assieme a una mia compagna. Ai tempi ci sembrava un’impresa epica, che solo pochi primini avevano avuto il coraggio di tentare, e devo ammettere di essermi sentita abbastanza figa. Ma ci sono state delle conseguenze? Sì, lei ha cambiato scuola pochi mesi dopo e io mi sono beccata ben due debiti, ma non credo che c’entrasse tanto la maledizione della scala quanto le mie scarse conoscenze in grammatica latina e il fatto che il mio professore di scienze di allora, la-

ziale, avesse scoperto, grazie al mio migliore amico, che sono romanista (ma questa è un’altra storia). Da allora, non soddisfatta, ho ritentato l’impresa un altro paio di volte, ma sono riuscita ad arrivare in quarta senza troppi problemi, e non so nemmeno io come. In conclusione, direi che per i più coraggiosi è decisamente un’esperienza da provare; alla fine si vive per il brivido dell’avventura o no? Tengo a precisare che, in caso veniste rimandati, bocciati o doveste morire inciampando sui gradini, non mi assumo alcuna responsabilità: in prigione ci andrò per altri motivi. Passando ora a uno degli stereotipi che vorrei fosse vero, vi presento il famoso “sarpini ricchi sfondati con la puzza sotto al naso”. Fossi ricca sicuramente non rimarrei in questo buco di città ad ammazzarmi di greco tutti i giorni, ma lascio credere al popolino ciò che più desidera. A parte le cazzate, sinceramente credo che noi sarpini, quando vogliamo, sappiamo essere molto simpatici e socievoli (a meno che non si parli del Lussana) e fortunatamente non ho incontrato troppi ricconi che se la tirano. Se sei un riccone, scrivimi pure su Instagram, anche se te la tiri. Al contrario di quanto si dice in giro, ho notato che noi studenti del Sar-

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S***I pi siamo molto aperti alle relazioni umane, forse grazie all’influenza delle materie che studiamo o forse, ipotesi più plausibile, perché ne sentiamo talmente la mancanza che ci aggrappiamo a ogni minima interazione sociale pur di scambiare due parole con qualcuno che non sia il dizionario di latino. Non è nemmeno vero che i sarpini sono “sottomessi ai professori” o “poco casinisti”. Ovvio, non mi immaginerei mai di arrivare ai livelli dell’ITIS in cui se non lanci almeno un coltello al giorno contro la lavagna, allora tanto vale non andare a scuola, ma non siamo neppure così innocenti come ci dipingono. Ho sentito storie esilaranti riguardo a pizze ordinate in seminarino durante le lezioni e partite di carte clandestine negli ultimi banchi. Potrei raccontarvi anche di quella volta che due mie compagne rubarono un

panettone intero dai bidelli (scusate: personale ATA) o di quando, grazie all’aiuto del mitico professor Zappoli, sono potuta entrare nell’aula insegnanti per farmi dare la crostata, o ancora di quando un mio ex-compagno passò metà della lezione di scienze chiuso nell’armadio della classe. Per non parlare di cosa è successo agli apericena, alle guerre delle patate, alle cogestioni. Insomma, ci sarebbero mille altri episodi che potrei elencare, ma credo di aver reso l’idea. Di stereotipi ce ne sono molti e sempre ce ne saranno, è naturale, ma ciò che conta è non adeguarcisi e sapere che spesso la realtà è diversa da come ce la si aspetta, anzi la maggior parte delle volte è anche meglio. Anastasia Anzano, IVG

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SARPIVISION SONG CONTEST

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i abbiamo chiesto di votare la canzone più sopravvalutata di sempre. Ecco il (p)odio.

Musica leggerissima

Tanti auguri a te

Alice non lo sa

Tanti auguri a te Al primo posto è stata votata la iper-sentita tanti auguri a te! Canzone tipica e onnipresente ai compleanni, è la versione italiana di una celebre canzone inglese inventata nel 1893 da due maestre d’asilo. Questa canzone veniva usata come saluto all’ingresso in aula da parte della classe (Good morning to all). Non si sa di preciso chi poi l’abbia tramutata in canzone per il compleanno. Se una singola persona avesse il copyright sulla canzone sarebbe più ricca di Bezos sicuro! Effettivamente, come direbbero i nostri cari bergamaschi, na pöde piö! Praticamente si ripete per quattro volte “tanti auguri a te”....spesso il nome della persona sta pure male perché troppo lungo. Quindi bastaaaa…. proponete altre canzoni, su! Ribelliamoci a questa banalità. Musica leggerissima Al secondo posto (ri)troviamo Musica leggerissima di Colapesce e Dimartino. Da menzione onorevole nello scorso numero a seconda canzone più sopravvalutata in questo il passo è breve, anzi brevissimo. In realtà il brano premio stampa dello scorso festival di Sanremo sta ancora vivendo la classifica parabola da hit estiva, avendo dominato tutte le classifiche e monopolizzato ogni stazione radio. Tuttavia per i sarpini Musica leggerissima è talmente leggera da essere già entrata nella fase ascendente della sua parabola, pronta

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S***I a scivolare per sempre nell’oblio di una playlist ‘Best of pop: 2021’ persa nei meandri più reconditi di Spotify. Spiaze. Alice non lo sa Sul gradino più basso del (p)odio, abbiamo Alice non lo sa di Francesco De Gregori. Dato il tono invettivo di questo numero non risparmieremo il noto cantautore italiano da una seria critica che Rudy Zerbi levati (sì, sotto la voce di critici musicali su Wikisource c’è Zerbi, boh, critico de che). Iniziamo dicendo che questa canzone ci ha conciliato il sonno più e più volte, la voce di De Gregori dovrebbero usarla in quei video che ti rilassano, quelli usati per la meditazione. Dobbiamo ammettere che probabilmente sarà causa degli altissimi riferimenti poetici, ma questa canzone segue tutt’altro che un filo logico, peccato che non ne segua nemmeno uno illogico. Di certo è chiaro che ci sono dei gatti che cito testualmente: guardano, sciolgono e girano nel sole. Boh magari prima di guardare i gatti Alice s’è se presa una pasticchetta. Infine possiamo dire con assoluta certezza che lo sposo saputa la gravidanza della sposa abbia deciso di andare a fare una vacanzina…( e perché proprio in Messico). Se nulla avete capito di questo commento vi assicuro che era nostra volontà, perché, proprio come la canzone di De Gregori, probabilmente abbiamo fatto dei riferimenti poetici troppo alti che, poveri sarpini, voi non avete capito. Menzione disonorevole La menzione speciale di questo numero è Somebody to love dei Jefferson Airplane. Uscita nel 1967 ma tornata in voga grazie a TikTok negli ultimi mesi, ci sta tartassando le orecchie a causa di un trend dove vengono ricordate le peggio esperienze degli utenti. In Somebody to love la band ha mixato per la prima volta la musica folk con il rock psichedelico, connessione costante nei lavori successivi dei Jefferson Airplane. Dal sound originale e piacevole (preso a piccole dosi), parla della ricerca di qualcuno da amare; in poche parole non c’entra assolutamente nulla con i TikTok che stanno spopolando. Amici tiktoker basta rovinarla, cambiate trend! Leonardo Gambirasio e Riccardo Dentella VE, Martina Musci e Maddalena Foschetti IID

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CONTRO IL PATRIOTTISMO

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er definizione il patriottismo è il sentimento di amore, obbedienza e devozione verso la propria patria. Solitamente determina un senso di appartenenza e profondo orgoglio verso una comunità alla quale ci si sente legati da valori affettivi, storici o culturali. La parola patria non ha per tutti la stessa accezione: per alcuni è il luogo in cui si è nati e cresciuti, per altri è il paese d’adozione in cui si è scelto di vivere, ma può identificarsi anche con una cultura a cui ci si sente legati per appartenenza. Volendo definire me stessa in base alle mie radici geografiche e culturali, avrei di fronte le seguenti alternative: vivo sulla Terra e sono umana, sono europea, sono italiana oppure posso dire di essere di Bergamo. Questo è solo un esempio, ma il concetto che vorrei esprimere è che io, come ogni persona, posso dare diversi significati alla parola patria, il che è utile per ricordare che non sempre la devozione che caratterizza il patriottismo deve essere volta allo Stato. Ricordare questa distinzione fra patria e nazione serve anche a sottolineare che c’è una differenza, anche se talvolta molto sottile, fra patriottismo e nazionalismo: il primo è rivolto “all’interno”, alla propria comunità,

mentre il secondo afferma, almeno nel senso che gli attribuiamo oggi, la supremazia della propria nazione a discapito delle altre. Tuttavia accade molto spesso che il patriottismo sia utilizzato come schermo per nascondere sentimenti di nazionalismo, si afferma l’amore per la propria casa come strumento e giustificazione per soprusi verso altri. Il patriottismo, nella sua forma positiva, dovrebbe spingere non ad una obbedienza cieca ma ad un sentimento critico e all’analisi degli errori del passato, per costruire uno Stato migliore. Infatti l’amore più vero non è quello che venera l’oggetto amato ignorandone i difetti, ma quello che li riconosce e ci lavora per temperarli. Nell’Italia in cui viviamo, così come in tutta l’Europa, accrescere tale sentimento sarebbe assai benefico; d’altronde non si può ignorare che questa critica costruttiva del passato è almeno in parte già in corso, anche se procede a rilento e spesso si scontra con la tendenza opposta del voler tornare ai “bei vecchi tempi”. Un aspetto centrale nei regimi totalitari di inizio Novecento era l’esaltazione della Patria quasi al pari di una divinità, tanto che le critiche nei confronti del regime erano bollate come anti patriottiche e anche di

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A*******À Hitler si diceva che sì, magari non faceva tutto nel modo giusto, ma aveva ristabilito l’onore della Germania dopo la sconfitta della Prima Guerra Mondiale. Molte guerre, nel corso della storia, si sono combattute in nome della patria e morire servendo nell’esercito era visto come un onore. Non è mia intenzione negare che sia onorevole battersi per la libertà, ma quanto spesso le guerre sono state causate da ideologie personali o interessi economici, coperti sotto la pretesa del bene pubblico? Il nostro mondo è ormai caratterizzato profondamente dalla globalizzazione, che ha portato ad una scena internazionale in cui non è più possibile slegare i Paesi gli uni dagli altri per l’intreccio dei loro rapporti economici, politici e anche culturali. E in questo senso il patriottismo volto alla nazione, anche quando è positivo e autocritico, è destinato ad essere superato, mentre i confini fra gli Stati diventano sempre più labili. È mio parere quindi che non sia il patriottismo in sé ad essere nocivo, ma che esso, essendo facilmente manipolabile, rischi di strabordare nel nazionalismo, passando da amore per la propria gente ad odio verso gli altri, e che, anche quando questo non accade, sia un sentimento ormai obsoleto in un panorama mondiale sempre più aperto.

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Bent double, like old beggars under sacks, Knock-kneed, coughing like hags, we cursed through sludge, Till on the haunting flares we turned our backs, And towards our distant rest began to trudge. Men marched asleep. Many had lost their boots, But limped on, blood-shod. All went lame; all blind; Drunk with fatigue; deaf even to the hoots Of gas-shells dropping softly behind. Gas! GAS! Quick, boys!—An ecstasy of fumbling Fitting the clumsy helmets just in time, But someone still was yelling out and stumbling And flound’ring like a man in fire or lime.— Dim through the misty panes and thick green light, As under a green sea, I saw him drowning. In all my dreams before my helpless sight, He plunges at me, guttering, choking, drowning. If in some smothering dreams, you too could pace Behind the wagon that we flung him in, And watch the white eyes writhing in his face, His hanging face, like a devil’s sick of sin; If you could hear, at every jolt, the blood Come gargling from the froth-corrupted lungs, Obscene as cancer, bitter as the cud Of vile, incurable sores on innocent tongues,— My friend, you would not tell with such high zest To children ardent for some desperate glory, The old Lie: Dulce et decorum est Pro patria mori. Wilfred Owen, 1921

Anna Piazzalunga IIIC

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MASTURBAZIONE FEMMINILE

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rovate ad entrare in una stanza occupata da quattordici ragazze e chiedere loro se, nel caso in cui si masturbassero, si sentirebbero a proprio agio nell’ammetterlo, con la stessa tranquillità che, molto probabilmente, un ragazzo loro coetaneo sarebbe propenso ad avere. Una sola ammetterebbe a testa alta di toccarsi e di non aver timore nel parlarne. Delle altre, tre sosterrebbero di non averci mai pensato, ma che in tal caso non si riterrebbero capaci di esporsi con tanta serenità; due instaurerebbero una discussione sull’”immagine” che impone loro di mantenere l’autoerotismo segreto; quattro si limiterebbero ad una risposta secca, un “no” coinciso senza troppi giri di parole; l’undicesima concluderebbe che la sua risposta dipenda dall’interlocutore; altre due puntualizzarebbero come si tratti di un argomento privato su cui non hanno intenzione di proferire ulteriori dettagli ed alla quattordicesima verrebbe in mente di scrivere un articolo analizzando le tredici opinioni precedenti. Come penso abbiate compreso, queste non sono risposte supposte infondatamente, bensì il risultato di un sondaggio realmente sottoposto e

nato da una mia curiosità personale. Il messaggio che salta immediatamente all’occhio, è come il 77% di queste ragazze reputi inopportuno parlare di masturbazione, in quanto ritenuta ancora un tabù tra il genere femminile. E perché, a differenza dei ragazzi, siamo incerte nell’accettare la masturbazione, sebbene comportamento completamente naturale? Prevedibilmente, molto dipende dall’educazione ricevuta da bambine riguardo al piacere sessuale, che la società odierna ci ha abituate a considerare pratica disdicevole, non adatta “alle brave ragazze”, e che in qualche modo si contrappone alla figurazione della donna pura, casta, indifesa ed incapace di completarsi da sola. Possiamo trovare esempi persino nella vita dello spettacolo, dove molto poco spesso capita di assistere a scene riguardanti l’autoerotismo femminile, e le maggiori di queste sono mostrate esclusivamente in comicità, come fossimo sempre obbligate a stemperare la tensione creatasi aprendo questo tipo di discorso. Occorre però, per comprendere al meglio la nascita di questo stigma, compiere un ulteriore passo indie-

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A*******À tro: fra il settecento e l’ottocento, in occidente, fu appunto diffusa dalla scienza moderna una visione prettamente negativa della masturbazione, dal momento che gli scienziati di allora attribuirono ad essa la responsabilità di ogni tipologia di malanno: dalla semplice febbre, alla cecità, l’epilessia o la tubercolosi spinale. Queste credenze potrebbero derivare in particolar modo proprio dall’etimologia della parola: “masturbazione” infatti, proviene dal latino “manu” e “stuprare”, ossia “violare con la mano”. Tale atteggiamento venne abbandonato solamente agli inizi del novecento, con la nascita della sessuologia. Nonostante ciò, essendo correlata alle grandi questioni umane del sesso e della generazione della vita, la masturbazione ha interessato anche le grandi religioni monoteiste, seppur quasi sempre descritta da connotazioni negative. Nel Cristianesimo, per esempio, un’opinione rigida e severa della masturbazione iniziò a svilupparsi già nel Medioevo; e ancora adesso, nell’ideologia cattolica, siffatta abitudine, in particolar modo nelle donne, è considerata peccaminosa in quanto dissente dall’espressione di sessualità predicato da Dio. È proprio per questi motivi che le conversazioni riguardanti la masturbazione, soprattutto quella femminile, sono tuttora evitate, ritenute,

appunto, un tabù. Sarebbe perciò interessante far comprendere che questo comportamento non produce nulla se non che incertezze e dubbi inesprimibili nelle menti delle ragazze. Spesso, per di più, a causa di suddetta mancanza di informazione, alcune si ritrovano ad ignorare completamente l’esistenza di questa “attività”, o anche a ritrovarsi impreparate nel raggiungimento del piacere da sole. Sembra, dunque, che nelle ragazze il fine ultimo della masturbazione non siano altro che i sensi di colpa, i quali sorgono successivi ad un comportamento che passa per immorale e scandaloso. Capita inoltre talvolta di sentirsi anche costrette alla ricerca di un alibi per sottrarsi a questo piacere personale, ritenendolo così non altro se non una scellerata perversione. Se ne ignorano pertanto i benefici, i quali proseguono oltre l’effimera soddisfazione: scoprirsi, conoscere il proprio corpo, e (secondo alcuni studi) finanche migliorare il sonno e alleviare lo stress, sono solo alcuni dei vantaggi (spesso ignoti) conseguenti alla maturbazione. In conclusione, citando il regista, sceneggiatore, attore, comico, scrittore e commediografo statunitense Woody Allen, “Non denigrare la masturbazione, è fare sesso con qualcuno che ami.”. Chiara Inzaghi, IC

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STENDIAMO UN VELO PIETOSO

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ecentemente il Senato francese ha votato per vietare l’hijab a chiunque abbia meno di 18 anni, legge che segue quella del 2004 che vieta l’uso del velo nelle scuole che ha destato molto scalpore e spinto a tacciare di islamofobia la Francia. Il termine hijab (in arabo: ‫بﺎﺠﺣ‬,"celare allo sguardo”) indica ogni tipo di separazione posta davanti a un individuo per sottrarlo alla vista. Nella Sharia islamica hijab significa ciò che impedisce la fitna (la dissoluzione morale, ovvero l’adulterio) tra i due sessi e segnala le differenze sociali. Il suo uso è antico: oggi è per tutti il simbolo delle donne musulmane, ma ha un significato importante anche per le donne cristiane, induiste ed ebree. Veli e foulard hanno sempre fatto parte della storia delle donne: per sedurre, per pregare, per i lutti e per sposarsi. Nella religione cristiana fino agli anni ’60 le donne erano obbligate a portare i copricapi in chiesa e nella contemporaneità è ancora d’obbligo per le suore. Lo stesso vale per le donne ebree sposate che indossano il tichel. Il velo non è obbligatorio per legge in nessun paese musulmano, tranne per quattro: Iran, Arabia Saudita, Afghanistan e Pakistan.

Secondo un gruppo di sociologi, con l'avvento dell'Islam il velo diventò un simbolo di ritrovata dignità femminile, dato che la donna ottenne di alcuni precisi diritti (al mahr , ad esempio, una quota di beni o denaro versata dall'uomo a tutela dell'eventuale vedovanza o ripudio); secondo altri (come Monica Lanfranco e Maria Di Rienzo), l'obbligo del velo manifesta invece la sottomissione della donna, vista come proprietà del marito e costretta a nascondere il capo a tutti gli altri uomini. «La nostra legge è la Sharia, e prevede che le donne portino l’hijab. Il Corano dice solo che le donne non devono vestire in maniera immodesta». Così si è espresso Qadir Hekmat, uno dei massimi comandanti dei talebani, in un’intervista a ‘La Repubblica’. L’indumento più famoso è il burqa, che è l’abito islamico che cela maggiormente il viso poiché copre anche gli occhi, anche se è meno utilizzato rispetto al niqab, che invece lascia una piccola area libera attorno agli occhi. Esso è diffuso nei Paesi del Golfo arabo: Arabia Saudita, Yemen, Bahrain, Qatar e Kuwait. L’obbligo di utilizzo del burqa o del niqab, così come del velo classico, è

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A*******À un atto violento contro la libertà e la dignità della donna che non può essere accettato come normalità. Deve essere invece una scelta indipendente di verità religiosa e di fede vissuta, poiché mostra la loro appartenenza all’Islam. Per molte donne musulmane il fatto di negar loro la possibilità del velo è l’ennesimo atto di sottomissione della donna, che ancora una volta non può decidere per se stessa cosa indossare o meno. Se infatti da un lato le donne combattono contro l’obbligo del velo di alcuni paesi di linea radicale, dall’altro combattono contro un occidente che vorrebbe che non lo indossassero. Dove finisce la libertà di scelta femminile se si impone il codice di abbigliamento da seguire? Come afferma Leila Ahmed, non possiamo valutare il livello di emancipazione delle donne arabe dal loro livello di occidentalizzazione. Come le donne occidentali, anche le donne musulmane devono rifiutare la cultura androcentrica di qualsivoglia tradizione come già invitano a fare i movimenti femministi arabi. Velate o svelate è la dicotomia che intercorre tra le donne islamiche e occidentali. È difficile per una società come la nostra, laica e sopraffatta dalla nudità, comprendere la scelta religiosa del velarsi.

In Francia e in Svizzera, due dei Paesi che hanno già approvato il divieto del velo, seppur con delle condizioni, non sono state analizzate diverse opzioni, ma si è caduti nello stereotipo. In Svizzera infatti vige la proibizione per burqa o niqab in luoghi pubblici. Al referendum “Sì al divieto di dissimulare il proprio viso” la maggioranza dei votanti ha infatti risposto affermativamente.

La mia speranza è che in futuro più persone possano riflettere sulla nostra società e chiedersi se sia un velo a limitare la libertà delle donne o tutte le discriminazioni subite.

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Annalucia Gelmini IIE


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NUOVI PURITANI

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enete bene a mente, per necessità futura, questa definizione della Treccani: Puritanéṡimo: Atteggiamento di eccessivo e intransigente moralismo. Partiamo dal presupposto che a me gli americani non piacciono tanto. Trovo siano una nazione le cui persone tendono a polarizzarsi agli estremi di un’ideologia, in cui le care vie di mezzo sono difficilmente percorribili. Tuttavia, in questa moltitudine di pigra aderenza a un ideale piuttosto che a un altro, spiccano alcune persone dallo straordinario intelletto e dalla invidiabile profondità artistica. E questo è il motivo per cui a me gli americani piacciono molto. A fine anni ‘80, in certe università americane di idee liberali, si svilupparono dei movimenti giovanili molto sensibili alla situazione delle minoranze. Per garantire loro una totale integrazione e rispettare in pieno la loro identità culturale e religiosa, si rendeva obbligatorio cambiare certi termini con cui negli anni ci si era rivolti a un dato gruppo di persone e che avevano assunto un significato offensivo. Questa è, in breve e semplificata, la nascita del cosiddetto politicamente corretto. Fu così che negli States si iniziò a

dibattere: chi era contro il politically correct lo considerava una limitazione alla libertà di parola e individuale, mentre quelli a favore si appellavano al buon senso del nessuno offeso e consideravano i contrari persone bigotte e arretrate. Così, col passare degli anni negli ambienti liberali americani e soprattutto nello show business e a Hollywood, si è arrivati a stare molto attenti alle parole che venivano usate, a chi venivano dati i premi e soprattutto ad attaccare e tentare di gettare nell’oblio chiunque si opponesse ai dettami della correttezza politica. Sono solo pochi i registi che ad esempio hanno avuto la possibilità di lavorare con piena libertà creativa, grazie allo status che negli anni avevano già guadagnato: pensiamo a Tarantino, amante dell’uso della parola nigger e spesso attaccato per questo, o a Clint Eastwood e alla sua militanza nel partito repubblicano. Ma qualcosa non quadra, è come se nella strada del progressismo si fosse introdotta una scorciatoia che porta indietro. Durante le proteste del ‘68 i giovani scesero in piazza chiedendo che fosse riconosciuta più libertà a coloro che erano oppressi e che venissero giudicati non per il loro sesso o il colore della pelle, ma per i meriti che

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C*****A potevano dimostrare: desideravano per l’appunto la possibilità di dimostrarlo. Oggi siamo arrivati al punto in cui, per accedere agli ambitissimi Academy Awards, i premi Oscar, bisognerà avere nella troupe o nel cast una percentuale di una minoranza o di membri della comunità LGBTQ+. Ciò significa che un responsabile girerà per i grandi set delle immense produzioni hollywoodiane a segnare, con fare alla Joseph Goebbels, chi è bianco, chi è nero, quanti sono gay e così via. Si sta continuando dunque a giudicare le persone per i loro attributi esteriori, proprio quelli che non dovrebbero contare, ma che pare sia impossibile non vedere. Una parte di popolazione è totalmente intransigente verso chi non ha sempre un occhio puntato al potenziale offensivo delle sue frasi. Anzi, le frasi quasi non hanno importanza, perché si arriva ad attaccare la singola parola o addirittura la lettera: se dici nigger, faggot o kike sei già colpevole, se esprimi un concetto nella sua interezza e complessità provando a spiegare perché esiste una differenza tra uomo e donna sei colpevole. Gli Stati Uniti sono riusciti a distruggere la cosa più importante della comunicazione: il contesto. Coloro che non riescono a scindere le parole dal contesto hanno il cervello completamente intriso e affogato nell’ideologia, credono ciecamente a quello pensano, hanno la ragione dalla loro perché rispettano tutti, tranne quelli

che non la pensano come loro. Ovviamente l’Italia ha aperto le braccia al peggio che l’America potesse offrire e l’ideologia ha iniziato a serpeggiare. Per una volta dovremmo avere il coraggio di scostarci dagli amici oltre Atlantico, perché quello che succede là non è progressismo e soprattutto non è nulla di nuovo. Gli States non hanno mai fatto pace con il loro passato, con i loro problemi di identità e sono condannati a rivivere sempre la stessa storia. Il politicamente corretto, infatti, altro non è che un nuovo ciclo del Puritanesimo, che ha caratterizzato quelle persone che per prime hanno provato a domare il selvaggio territorio americano per creare una terra morale. Queste attitudini recenti ricordano proprio quello che la Treccani definisce un intransigente moralismo, perché nonostante le idee siano cambiate nel corso degli anni e si siano fatte più inclusive, e per l’amor di Dio ben venga, le modalità con cui gli americani le fanno passare sono rimaste le stesse. Le stesse di quel popolo la cui storia si caratterizza per una concezione positiva della violenza, poiché quest’ultima ha il potere di cambiare le cose. E dunque ecco a voi l’ultima, coercitiva, fantastica ideologia degli americani: una di quelle grandi persone americane, il comico George Carlin, la definì Fascism pretending to be manners.

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Anonimo


C*****A

APOLOGIA DI CAINO

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ggi vi consiglio un libro che segue alla perfezione il tema di questo numero. Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; anche Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. […] Caino disse al fratello Abele: «Andiamo in campagna!». Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. […] È da questo episodio biblico, uno dei più noti della Genesi, che Andrea Camilleri basa la sua ultima opera teatrale, Autodifesa di Caino. Si tratta di un monologo in cui egli, nei panni di Caino, affronta un’indagine sull’esistenza umana, una sorta di “esercizio di preparazione all’ignoto”, come racconta in un’intervista ad Avvenire. In questo testo Caino prende la parola dopo tremila anni, per

giustificare le proprie azioni. Si scopre che egli condivide solo la madre con Abele: il padre infatti non è Adamo, bensì rispettivamente Lucifero e un arcangelo. Tuttavia, Caino non è un assassino per il semplice fatto di essere figlio del tentatore: egli spiega che il Male è insito in chiunque; l'unica cosa che divide la vittima dal carnefice è una scelta morale, che trasforma potenziali assassini in fratricidi fatti e finiti. A rendere ancora più significa-

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C*****A tiva la riflessione è la voce del commissario Montalbano, perchè Caino non guarda, tàlia, non si agita, si catàmina; addirittura, nel narrare la storia, si paragona ad Andrea Camilleri stesso. In queste ottanta pagine scarse scorgiamo quindi un Caino molto moderno, che sceglie, è consapevole e si pente. Un Caino che si affida a noi, denotando una maturità psicologica difficilmente individuabile nell'episodio della Genesi. Ho finito davvero – recitano le

ultime righe del monologo – Non voglio che pronunciate il vostro verdetto ora. Riflettete su quanto vi ho raccontato questa sera e poi decidete da voi. Secondo coscienza. Pro tip per quelli di quinta: magari ci scappa anche qualche collegamento per l'orale e una bella figura con i professori :)

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Samuele Sapio VE


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CINQUE PEZZI FACILI

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ood morning, Sarpi! Non voglio dirlo, ma lo dico lo stesso… è sempre un po’ un azzardo parlare di film che vengono considerati mostri della cinematografia, si rischia subito di passare per pazzi ignoranti o ricercati esperti rompiballe, sempre a cercare il pelo nell’uovo. Ci importa particolarmente? No. Distruggiamo comunque, umilmente, film osannati dal grande pubblico? Oh sì. Vorrei fare una premessa: c’è comunque da sottolineare che le pellicole suggerite oggi, a mio parere sopravvalutate per una ragione o per l’altra, sono tutte indubbiamente molto belle; non prendiamo neanche in considerazione la larga fetta di trash televisivo, solamente film belli che, per qualche motivo, mi urtano particolarmente. Concluso il mio bravo preambolo vagamente paraculo, vi propongo allora cinque film, tutti inspiegabilmente premiati agli Oscar, che trovo eccessivamente acclamati dalla critica. Spero vi piaccia perché mi piace indignarvi ;) La grande bellezza (2013) di Paolo Sorrentino Jep Gambardella è un critico teatrale sessantacinquenne di cui sappiamo, fin da subito, quanto gli piaccia molto più l’odore della casa dei vecchi piuttosto che la fessa; Jep, sempre immerso nei più esclusivi eventi mondani di Roma, ha pubblicato solo un libro, largamente apprezzato dal pubblico, ma non riesce a scriverne altri a causa di un blocco creativo. Il film segue il suo viaggio alla ricerca della propria autenticità, della ‘grande bellezza’ che non riesce a trovare; Jep, infatti, con il volto inespressivo velato da quell’annoiata malinconia tipica di Servillo, sempre attorniato da amici super radical chic, perennemente impegnato tra salotti, feste e party, è stravolto da questa contemporaneità priva di autenticità. Tutto è fittizio ed estremamente monotono, apparentemente sofisticato ma in realtà culturalmente vuoto, e lui è vincolato da regole silenti, implicitamente condivise dall’ambiente che frequenta. Questa opprimente monotonia viene rotta da alcuni avvenimenti che lo sconvolgono profondamente, portandolo a fare un bilancio della propria vita e a provare insofferenza nei confronti di quel circolo vizioso nel quale vive.

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C*****A Profondo, riflessivo, geniale? ‘Il mediocre imita, il genio copia’ sosteneva Picasso, e onestamente questo è l’unico modo in cui riesca a scorgere genialità in questo film, vincitore agli Oscar come miglior film straniero; sicuramente non è male, probabilmente sono io a non avere in simpatia Sorrentino, ma appare evidente quanto ‘La grande bellezza’ sia la copia, nemmeno troppo riuscita, della ‘Dolce vita’ di Fellini. Forse un omaggio al grande regista? Può darsi, ma sicuramente non è un caso isolato nella sua filmografia… furbacchione di un Paolo. La vita è bella (1997) di Roberto Benigni La conoscete tutti la toccante storia di Guido Orefice, ebreo deportato in un campo di concentramento insieme alla moglie Dora e al figlioletto Giosuè. E’ probabilmente uno dei film più difficili su cui muovere una qualsiasi critica, avvolto com’è da una patina di sacralità, forse anche per il tema trattato, che lo rende uno degli intoccabili. La vicenda è indubbiamente molto commovente, il pianto scappa sempre, ed è inevitabile; guardare tutto dagli occhi di un innocente, di un bambino, scioglierebbe anche il cuore più gelido. Ok, ma a parte toccare corde sensibili? Non so, personalmente l’ho trovata una trovata furba per far breccia nei cuori del pubblico e soprattutto dell’Academy. Tentativo riuscito alla grande, intendiamoci; il film ha vinto tre Oscar, Benigni si è aggiudicato la statuetta come miglior attore a scapito di Tom Hanks in ‘Salvate il soldato Ryan’ ed Edward Norton in ‘American history X’. Serve davvero aggiungere altro? Sì dai, voglio commentare anche la comparsa del carro armato americano giunto alla fine per liberare i prigionieri del campo… ma non erano mica stati i Sovietici? Interstellar (2014) di Christopher Nolan Siamo nel XXI secolo, ed il mondo sta diventando completamente inabitabile, a causa carestie e tempeste di sabbia. Cooper, ex ingegnere e pilota della NASA, ora è un agricoltore che vive con il suocero e due figli. Strani messaggi criptici nella stanza della figlia, Murph, lo conducono ad una base segreta della NASA; decide di entrare, viene catturato e condotto all’interno

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C*****A della struttura. Dopo solo qualche minuto di dialogo, forse per disperazione, quelli della NASA decidono che Cooper è quello giusto per salvare l’umanità, e gli svelano l’esistenza di un wormhole, un cubicolo spazio-temporale che conduce ad un’altra galassia e a nuovi pianeti, possibilmente vivibili. Cooper decide di dirigere questa missione esplorativa che potrebbe salvare l’umanità, senza lasciare nemmeno un bigliettino alla figlia, che oltre ad avere un nome discutibile si sentirà abbandonata per due terzi del film. Allora, Nolan tecnicamente è sempre perfetto, e le scene nello spazio lasciano davvero a bocca aperta. La cosa che non reggo proprio è quanto si impegni nel rendere necessariamente complicata ed eccessivamente cervellotica qualunque pellicola realizzi; ‘abbuffa’ con dedizione il film con passaggi inutilmente complessi, per confondere lo spettatore, il quale arriva alla conclusione che la pellicola sia geniale, proprio perché complessa. È un brutto vizio che ricorre spesso, in particolar modo nelle ultime prodizioni, per le quali ha avuto a disposizione budget altissimi da spendere, e potete giurarci che li abbia spesi tutti; come Interstellar, anche Inception, in alcuni passaggi, ma in particolare Tenet, sono come grandi calderoni in cui Nolan ha cercato di far rientrare più ingarbugliamenti mentali possibili; personalmente preferisco di gran lunga, ad esempio, Memento, ben riuscito anche senza troppi spunti interessanti ma poco sviluppati, né tante pretese. Shakespeare in love (1998) di John Madden 1593, Londra. Will Shakespeare, giovane autore in ascesa, è colto da un blocco creativo. La conoscenza di una ragazza, Viola De Lesseps, lo stimola alla scrittura di una nuova opera, che alla fine sarà Romeo e Giulietta. La ragazza è appassionata di teatro, e nonostante le convenzioni dell’epoca proibissero alle donne di salire sul palco, si presenta sotto spoglie maschili per recitare il ruolo di Romeo nell’opera scritta da Will. Nasce una bellissima storia tra i due, destinata però ad avere vita breve, in quanto lady Viola è già promessa in sposa ad un nobiluomo. Non ho molto da dire, se non che ho riso per quante candidature e premia-

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C*****A zioni abbia ricevuto questo film; se volete vedere un film leggero e disimpegnato che romanzi la vita di Shakespeare sicuramente lo consiglio, ma mi chiedo come possa aver vinto l’Oscar come miglior film nel ’99, davvero. La favorita (2018) di Yorgos Lanthimos Ambientato nell’Inghilterra del IXX secolo, il film ruota intorno agli intrighi di corte tra la regina Anna, di salute precaria e mentalmente instabile, l’astuta consigliera ed amica intima Lady Sarah, che si approfitta della facilità con cui la regina cede alle lusinghe e ai piaceri carnali, ed Abigail, cugina di Sarah arrivata a corte come sguattera. La giovane, determinata a raggiungere una posizione sociale elevata, ricorre alle proprie capacità seduttive per riuscire ad entrare nelle grazie della regina. Si instaura allora un triangolo amoroso, nel quale ciascuna delle cugine cerca di prevalere sull’altra nel ruolo di Favorita della regina, in un continuo gioco di astuzie, imbrogli e sotterfugi. Onestamente non so bene perché questo film non mi piaccia; nominato a dieci candidature Oscar nel 2019, tra cui quella per miglior film, e aggiudicatosi la statuetta per la miglior attrice protagonista, è considerato dalla critica e dal grande pubblico una piccola perla. Io, non capacitandomene, sono andata a vederlo ben due volte al cinema, rimanendone totalmente delusa (e più povera). Scenografia, fotografia e costumi sono impeccabili; colori e atmosfera catturano molto l’attenzione, ricordando un po’ Marie Antoniette della Coppola; ho apprezzato anche quanto sia tangibile la sofferenza dei personaggi, nascosta dietro ai vestiti sfarzosi e al rigido bon ton di corte. Embè? Non so raga, qualcosa però non mi convince proprio. BONUS: Avatar (2009) di James Cameron, non so come primo in classifica mondiale per quantità d’incassi. Margherita Nè Allegra, VE

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C*****A

COMMISSIONE CINEMA

A

proposito di cinema, se anche voi aspirate ad una cultura cinematografica così ampia, oppure se siete già degli accaniti cinefili o, più realisticamente, se il venerdì sera non sapete cosa fare, venite alle proiezioni di commissione cinema! Le proiezioni avvengono il venerdì alle 21.00 e per partecipare vi basta accedere al link che ogni settimana Linda Sangaletti vi invia con tanto amore alla mail istituzionale. Questo il palinsesto delle prossime proiezioni:

Quarto Potere

V per Vendetta

Snowpierce

30/04

07/05

14/05

Orson Welles

Underground Emir Kusturica

21/05

James McTeigue

Roma

Alfonso Cuarón

28/05

Bong Joon-ho

Blue Velvet David Lynch

04/06

Inoltre, ci sarà anche una sorpresa in collaborazione con commissione ambiente, riguardo alla quale troverete tutte le informazioni sull'instagram di cinema:

@commissionecinema

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N*******A

ARTE VELATA Son Daniele da Volterra, pittore, manto alle vergogne del Buonarroti, per questo noto, ignoto come autore. Ciò mi fu imposto dai sacerdoti di rigor vaghi, e di tremendi danni per l’om che donò a Uomo divine doti Tendenza invece opposta in questi anni, in cui l’Alighieri, indegno razzista, del razzismo spande tutti i malanni. Modi grossolani, ma impeto altruista, per cui un’ultima raccomandazione di stile ai giovani censori in vista: contro l’arte accorrete alla tenzone, ma di una pietra sopra è più elegante un velo pietoso, da Braghettone. Francesco Giammarioli, IVA

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N*******A

L'ORA D'ARIA

I

l signor Mario Rossi è andato al lavoro oggi. Ha attaccato la giacca all’apposito appendiabiti che c’è all’ingresso, e con passo spedito si è diretto verso la sua scrivania, la 213. Ha acceso il computer, inserito la password e ha eseguito le attività rituali. Durante la pausa, è andato a prendere un caffè e si è indispettito nel constatare che, ancora una volta, il signor Bianchi ha consumato la sua bevanda a meno di due metri dalla macchinetta. “Incivile” ha pensato fra sé, mentre aspettava compostamente il suo turno. Dopo il lavoro è tornato a casa. È salito sulla sua automobile un po’ datata che, con qualche singhiozzo, anche oggi è riuscita efficientemente a scortarlo a casa, senza nemmeno che la pattuglia abbia dovuto chiedergli l’autocertificazione... si vede che è un uomo in regola. Arrivato a casa, ha inserito le chiavi nella toppa e ha un po’ esitato sull’ingresso, come se ci fosse qualcosa che lo trattenesse dall’entrare. Mario fa sempre così, dice che gli manca “l’imprevisto” e così a volte se ne inventa uno. Oggi ha deciso che il suo imprevisto è che la chiave sembra difettosa e quindi non si incastra bene nella toppa, e deve fare un po’ di giri a vuoto prima di riuscire ad aprire la porta. Ieri, invece, il suo imprevisto è stata

la colazione; ha lasciato il pane troppo tempo a tostare e, con uno stupore da premio Oscar, ne ha preso un pezzo con la punta delle dita e l’ha buttato, infastidito. Poi ha sorriso tra sé quando ha visto che questo piccolo “incidente” gli avrebbe causato persino un ritardo in ufficio; un doppio imprevisto, e il secondo del tutto inaspettato. Una giornata veramente memorabile. Ma oggi no, oggi non c’è niente da ricordare, oggi Mario si siede in cucina e legge il quotidiano. Guarda i numeri dei contagiati e ridacchia tra sé, ricordando il suo profondo odio per la matematica al liceo... Mai nel peggiore dei suoi incubi avrebbe immaginato che la sua vita si sarebbe basata sulla matematica. Poi arriva la fatidica ora che aspetta pazientemente, ogni giorno. Quando il suo orologio da polso segna le sei in punto, Mario è già pronto davanti alla porta con una tuta grigia; l’aveva comprata non appena aveva scoperto che il "jogging" era l’unico motivo valido contemplato dai decreti per uscire. Così Mario esce e anche oggi si gode l’ora d’aria. Si perde nel cielo azzurro della primavera, si stupisce sempre dello stesso oleandro, quello all’incrocio tra la via di casa sua e il centro; segue con gli oc-

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N*******A chi le trame nere dei rami sullo sfondo azzurrino; esita a guardare i petali dei fiori, così fragili che sembra di poterli fare cadere con un solo sguardo. Osserva i corvi, neri come la pece, piccoli puntini nel cielo e pensa che, alla fine, i re dei cieli si sono vendicati e ce l’hanno fatta a metterci in gabbia. Poi, mentre cammina a passo lento, godendosi la sensazione del suolo sotto ai piedi, chiude gli occhi e ascolta i rumori della città. Uno sportello che sbatte, il motore di un’auto, la serranda di un bar che si abbassa per la chiusura, il clacson di un automobilista arrabbiato, il chiacchiericcio di due ragazzine a passeggio, le ruote di un passeggino sull’asfalto, il campanello di una bici, i tacchi di una signora che esce dall’ufficio, la risata di un bimbo che corre in avanti lasciandosi il papà alle spalle, il fruscio del vento tra le foglie degli alberi, il verso di un corvo. E così cammina, riempiendosi gli occhi di colori e le orecchie di suoni, cercando di strapparne quanti più possibili. Poi rientra nella sua casa, al 13B di un condominio anonimo. L’edificio è di un bianco sbiadito. Il terrazzo vicino all’appartamento di Mario esibisce dei fiori rosso sgargiante, impeccabilmente curati. A Mario non sono mai piaciuti, con il cielo così azzurro sembrano ricalcare inquietantemente la scena di apertura di Blue Velvet di David Lynch. Arrivato a casa, infila la chiave nel-

la serratura, che stavolta non gli dà problemi. È già finita, l’ora d’aria. Si siede sul divano, chiude gli occhi nello sforzo di riportare a casa i suoni di quel mondo colorato che si è lasciato alle spalle. Mentalmente visualizza quell’oleandro, quello che ogni giorno gli regala uno stupore; ma, mentre si abbandona a questo pensiero, sente il suono di un’ambulanza dalla finestra e così i colori svaniscono, non si ricorda più com’era quell’oleandro all’incrocio, ripiomba il grigio nella stanza, si attacca alle pareti, divora i suoni e li tramuta in silenzio. Sopravvive solo il ticchettio dell’orologio, l’unica prova che in questo mondo ingessato il tempo scorre ancora.

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Claudia Buttiglieri, VE


S***T

TRANSGENDER E PARI OPPORTUNITÀ N

el linguaggio quotidiano contemporaneo compare sempre più frequentemente il termine “trans” o anche “transgender”. L’ISS (Istituto Superiore di Sanità) definisce tale condizione come “un’identità di genere diversa dalle caratteristiche del sesso biologico. Ad esempio una persona che nasce uomo, ma che si sente donna (e viceversa)”. Alcune indagini statistiche hanno mostrato che la percentuale di persone transgender in Italia oscilla tra lo 0,5% e l’1,2% della popolazione (circa 400mila persone), quindi un numero molto esiguo rispetto al totale della popolazione. In confronto al passato, anche se certo non mancano numerosi episodi di discriminazione, esse sono meglio inserite nel contesto sociale, che oggi sembra tendenzialmente più aperto rispetto al passato, anche se è vero che questo accade in aree geo-politiche assai diversificate. Un esempio significativo è quello del neopresidente degli Stati Uniti Joe Biden, che ha nominato in Delaware la prima senatrice transgender, Sarah McBride. In questi articolo verrà preso in esame un aspetto specifico e molto attuale della questione, che si inserisce in un dibattito già aperto, cioè la presenza delle donne transgender nelle competizioni sportive femminili. Spesso infatti ci si chiede se esse debbano prendervi parte, oppure se debbano gareggiare in quelle maschili, ovvero nel loro genere biologico d’ap-

partenenza. Le risposte fornite non sono univoche, dato che nei vari sport vengono adottati criteri diversi. Il rugby, per esempio, ha vietato la partecipazione delle atlete trans per le competizioni più importanti, come le Olimpiadi, mentre nelle gare di discipline olimpiche, come stabiliscono le regole decise dal CIO (Comitato Internazionale Olimpico) dopo le Olimpiadi di Rio nel 2016, le donne transgender possono partecipare, ma devono avere un livello di testosterone inferiore a10 nanomoli per litro (poi ridotto a 5) a partire da un anno prima della competizione. Fino al 2003 era obbligatorio l’intervento chirurgico con due anni di terapia ormonale, mentre ora viene valutato soltanto il livello di testosterone, accompagnato da un’autodichiarazione sul proprio sesso. Queste norme valgono in ambito internazionale, mentre quelle delle singole federazioni sportive possono cambiare da paese a paese. I provvedimenti presi e i numerosi cambiamenti fanno capire come la questione sia dibattuta e di non semplice interpretazione e definizione. Un dato di partenza è però sicuro: gli uomini hanno per natura più vigore e forza fisica rispetto alle donne. Una donna allenata può essere più forte di un uomo non allenato, ma un uomo allenato sarà sempre più forte rispetto a una donna allenata. Questa, inoltre, produce a stento 3 nanomoli per litro di testosterone, il che significa che il range consentito alle atlete transgender (anche solo con 5 nanomoli per litro) è comunque generoso.

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S***T Oltre a questo, permane in esse una struttura fisica e una resistenza più elevata, non come quella di un uomo ma comunque superiore a quella delle altre atlete, perché la massa muscolare e la forza non spariscono, come sottolinea la scienziata Joanna Harper (autrice del libro Sporting Gender) in un’intervista rilasciata all’emittente americana ABC. Un’ulteriore riprova a sostegno di questo è che per le persone che effettuano la transizione inversa (da donna a uomo), non è presente alcun tipo di limitazione riguardo alle gare con altri uomini. Questo perché, essendo nate donne, in partenza hanno molta meno forza fisica e quindi devono fare molto più allenamento e procedere con sistematiche terapie ormonali assumendo testosterone (ovviamente nelle dosi appropriate). Da questo punto di vista lo svantaggio iniziale non è quasi mai colmabile, ma esistono rari casi di uomini trans che hanno ottenuto traguardi importanti, come nel caso di Chris Mosier, atleta transessuale entrato a far parte della nazionale statunitense maschile di triathlon nel 2015. Alle atlete transessuali succede la stessa cosa, ma all’inverso. Per quanto l’uso di appositi farmaci limiti la circolazione di testosterone nel sangue, in esse rimarrà sempre quel vantaggio iniziale dal quale sono caratterizzate essendo nate uomini. Come ho accennato in precedenza, queste considerazioni riguardano le competizioni internazionali, in cui si applicano regole piuttosto stringenti. Le federazioni nazionali, invece, sono in genere meno severe. In Spagna, ad esempio, queste atlete potrebbero ben presto partecipare alle gare sportive in base al sesso registrato, senza alcun test di verifica del genere biologico. Questa tuttavia è una norma ancora allo stato di bozza di legge, proposta da Irene

Montero, ministro delle Pari Opportunità e appartenente al partito di sinistra Podemos. Negli Stati Uniti, invece, le norme cambiano da Stato a Stato. Proprio negli USA è molto praticata la disciplina non olimpica delle arti marziali miste (nota anche come MMA), aperta anche alle atlete transgender. Una di esse, Fallon Fox, è uno dei volti più noti di questo sport: nel corso di un combattimento (combattente donna cisgender) già nel primo round ha causato alla sua avversaria una commozione cerebrale, una frattura ossea orbitale e sette punti di sutura alla testa. Si tratta certo di un esempio estremo, ma va messo in conto che ciò possa verificarsi. Un altro caso, piuttosto noto, riguarda la sollevatrice di pesi neozelandese Laurel Hubbard, che nella categoria femminile continua a infrangere record e a vincere medaglie d’oro, ma esistono numerosi altri esempi come questi in diverse parti del mondo. In questo modo succede spesso che molte atlete biologicamente donne, che si sono allenate molto duramente e per lungo tempo per raggiungere traguardi importanti, si vedano superate da avversarie dotate di forza nettamente superiore, vedendo così vanificati i loro sforzi. Le atlete transgender e le atlete biologicamente donne si possono davvero considerare sullo stesso piano? Si potrebbe prendere in considerazione l’idea di una categoria a parte per queste atlete? Perché qui non si tratta di mettere in discussione la loro identità di genere, ma di garantire un’autentica uguaglianza di partenza nella competizione. È giusto che vinca il migliore, ma con le stesse condizioni di partenza per tutti.

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Andrea Mangini, VE


T***A P****A

OROSCOPO ARI ET E

TORO

La tua combattività ti permette di non farti schiacciare, però attento a non distruggere! Mito da sfatare: irascibilità Hobby da non sottovalutare: collezionare monete Cibo sopravvalutato: ghiacciolo all’anice

Vi piace godere dei piaceri offerti dal pranzo sul divano guardando una serie, che è ben diverso dal non far niente! Mito da sfatare: pigrizia Hobby da non sottovalutare: modellismo Cibo sopravvalutato: ravioli alla zucca

GEMELLI

CANCRO

Siete un vulcano di idee e alcune sono in contrasto tra loro ma questo non vuol dire essere incoerenti, la vostra creatività travolge chi vi sta intorno! Mito da sfatare: doppiogiochismo Hobby da non sottovalutare: bricolage Cibo sopravvalutato: mostarda

LEON E

La tua corazza nasconde non fragilità ma determinazione, alla prima difficoltà sarai la roccia di tanti altri. Mito da sfatare: fragilità Hobby da non sottovalutare: scacchi Cibo sopravvalutato: canditi

V ERGI N E

Il tuo voler stare al centro dell’attenzione non significa che ignori gli altri, la tua generosità non ha pari. Mito da sfatare: egocentrismo Hobby da non sottovalutare: biliardo Cibo sopravvalutato: trippa

Sei selettivo e ligio al dovere, ma alla fine sarai circondato solo da veri amici. Continua così! Mito da sfatare: asocialità Hobby da non sottovalutare: ricamo Cibo sopravvalutato: cervello fritto in pastella

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T***A P****A

SCORP ION E

BI LANCIA

La tua schiettezza può spaventare, ma in realtà stai solo valutando se dare fiducia o meno. Mito da sfatare: disprezzo Hobby da non sottovalutare: decoupage Cibo sopravvalutato: caramelle troppo zuccherate

Non è falsità ma desiderio di armonia : evitare i conflitti per te significa andare incontro all’altro. Mito da sfatare: falsità Hobby da non sottovalutare: giardinaggio Cibo sopravvalutato: lingua di manzo

CAP RICORNO

SAGI T TARIO

Non sei impassibile ma solo concentrato sui tuoi obbiettivi, una volta raggiunti metti da parte i doveri e ti dedichi ai piaceri. Mito da sfatare: impassibilità Hobby da non sottovalutare: pesca Cibo sopravvalutato: uova a occhio di bue

Il tuo entusiasmo non è segno di infantilità ma di travolgente voglia di vivere. Mito da sfatare: immaturità Hobby da non sottovalutare: fare vasi di terracotta Cibo sopravvalutato: lumache

P ESCI

ACQUARIO

Forse è vero, sei pazzo, ma non prenderla male: il tuo modo di vivere è unico! Mito da sfatare: pazzia Hobby da non sottovalutare: birdwatching Cibo sopravvalutato: gelato all’amarena

La tua leggerezza non è un difetto ma un pregio: sai essere anche caloroso e presente! Mito da sfatare: superficialità Hobby da non sottovalutare: astronomia Cibo sopravvalutato: carciofi

Valentina Aresi e Giulia Cortesi, IIIE

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T***A P****A

IPSE DIXIT IC Rossetti: Il sale è salato

Parlando della sintassi del verbo Messi: qualche libro di grammatica chiude un occhio, io apro anche il terzo!

IIF Traducendo Medea Messi: Medea convince le figlie di Pelia a farlo a pezzettini con il pretesto di farlo nuovo, un po’ come quando ti fanno il vaccino: “non sentirà nulla, sarà come nuovo” e tu ci credi!

IIIG Oliva legge l'Iliade Linda: Profe, ma sta leggendo in metrica? Oliva: Sì... è grave che tu non te ne stia accorgendo

Edo: Come è fatto questo argomento sul libro? Messi: BENE! L’ho fatto io!

Cuccoro: In Cina gli studenti devono dire di aver capito anche se non hanno capito Gaia: Beh, non è tanto diverso da quello che facciamo noi

Cazzani: Gatti smettila di presentare Edo: Ah profe non me ne ero accorto Cazzani: Anche io dirò di non essermene accorta quando ti darò 4 In Dad parlando dell’eco delle aule Edo: Profe lei produce un rumore strano Messi: Gatti non è una cosa carina da dire

Cuccoro: Ragazze, se continuate a parlare vi perdete la spiegazione; avete capito cosa ho detto? Benedetta: Eh? Cuccoro: Appunto Oliva: Edoardo, cosa vuol dire aes alienum? Edoardo: Essere straniero Zappoli: [...] E così si sviluppò la figura del mercante ambulante

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T***A P****A vere sugli ipse dixit, che poi mio marito si scandalizza: "Lorella, ma cosa dici?!"

Gaia: È un po' come la signora che vende i tartufi in centro Linda: Ma nella vita bisogna essere furbi, bisogna saper fregare gli altri Cuccoro: Questo è un metodo molto italico di affrontare la vita, Maianti!

Ruggeri: Noi condividiamo la stessa speranza: che la verifica di matematica vada bene. Lilli: Quando in terza arriviamo alla stechiometria, gli alunni cominciano ad odiarmi... Come se fossi la personificazione della stechiometria

Zappoli, spiegando: Mi sembro un invasato Linda: Profe, ma quindi possiamo fissare noi le date delle versioni? Oliva: Sì, basta che non le rimandiate alle calende greche Daniele [comparendo da dietro la tapparella]: SO' LILLO IIIE Bonasia: Zeus è onnitutto. Bonasia: Quest'anno c'è Parello Ninfa, l'anno scorso? Classe: Mongelli! Bonasia: Ah, certo, come ho fatto a dimenticarmi? Mongelli Marisa per sempre! Bonasia: Dovete smetterla di scri-

IIIF Parlando della polemica su Dante che viene definito un arrivista copione da un giornalista tedesco Nardone: L’invidia è una brutta bestia Matteo: Il libro tedesco più famoso è il Mein Kampf Nardone: No dopo questa esco Maria Arcangela Nardone ha lasciato la riunione Giorgio: Virgi ci regge Nardone: Giorgio Lorenzi a te Virgilio non reggerà mai, ti lascerà precipitare Beretta: Siamo in 21 chi manca? Alessia Perego sta partecipando

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T***A P****A Beretta: Ah ecco la Perego, come faccio a spiegare senza la Perego... PEREGO ‘N DO SET? Nardone: Non tirate troppo la corda che poi la Nardone si incazza... fa come la Von der Leyen, ritira l'ambasciatore Nardone chiede ore pomeridiane Forno: Profe io ogni 2 venerdì ho coro Nardone: Va bene fra ti spiego Dante cantato, faccio una performance rappata Risolvendo problemi tecnologici Profe: Cosa sentite? Gaia [con estremo impegno retorico]: Sentiamo solo VUUUUUUUUUUUUUU Lilli: Non dovete sottovalutare le materie che non vi interessano, nella vita non dovrete usare solo le cose che vi interessano. Matteo: Comunque questo argomento di sicuro non dovremo usarlo. Bosio [in DAD]: Matteo sei sveglio? Matteo [citando Aldo Giovanni e Giacomo]: A volte dorme di più lo sveglio che il dormiente.

Talla le prende di sacrosanta ragione da Matteo Nardone: Perchè vi menate? Forno: Perchè non dovrebbero? Nardone: C’hai ragione pure tu IIIC Buonincontri: Qual è l'affresco di Cimabue che rappresenta Gesù in croce? Livia: L'impiccagione di Cristo... tipo Buonincontri: Questa la segno negli annali. IVG Viscomi [traducendo un’orazione di Lisia]: Durante le esequie della madre, la moglie del povero Eufileto è stata avvicinata e sedotta da questo latin lover, o meglio, greek lover in questo caso Nasti: ειρηνη quindi la pace Viscomi: Si ειρενη fiocca Ire: -_Viscomi: Masernio, visto che sai come scrivere con i caratteri greci sul computer, scrivi quello che ti detto Mase scrive la parola in chat Viscomi: Grazie Masernio, copiate quello che ha scritto, per una volta che non è lui che copia da voi, ma voi da lui

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T***A P****A Viscomi: Ilaria ci ha regalato un momento di ilarità, d’altronde...

Profe: Claudia chi? Ceci: Io

Mase: Profe, ma Stazio non sarebbe stato in purgatorio altro 100 anni per Virgilio? Viscomi: No, c’è scritto un anno Mase: Ah, forse ho contato gli anni lunari

Moretti [a proposito della pioggia nel pineto]: L'hanno usata per la pubblicità dell’aceto Ponti, guardate [gira il tablet]: [parte la pubblicità dello sci nautico] [sipario]

IVE Santini [parlando di Romolo e Remo che fanno delle scorribande e dividono il bottino con i contadini] Non stiamo parlando di Robin Hood ma quasi

Salvi [a Samu]: Perchè sei qui davanti? Samu: Per stare più vicino a lei e seguire meglio Salvi [compiaciuta]: Che ruffiano

VE Cla: Sì rifà alla satira menippea Salvi: Scusa non ho sentito puoi ripetere? Cla: Ho detto che si rifà alla satira di Orazio Cala il sipario

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