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“Quel viaggio in India segnò la mia rinascita”

Il reportage fotografico del 1977 rivive ora in un libro autobiografico

Un viaggio per cambiare in meglio la propria vita, un libro per aiutare tanti altri a migliorare la loro. “La mia rinascita”, infatti, anche se racconta di come e perché l’esperienza in India nel lontano 1977 abbia influito sulla carriera dell’autore – nel convincerlo a lasciare, di fatto, quella lanciata ma comoda nel settore pubblico per accettare la sfida e i rischi della professione privata -, parla anche a una società che può trovare nelle foto, a tratti drammatiche, un’occasione di riscatto: passare, insomma, dall’insensibilità con cui si è abituati a guardare certe dinamiche, alla solidarietà verso il prossimo. “Non nella lontana India, o in qualche altro luogo dove la miseria è diventata talmente normale che ha assunto una sua dignità sociale, ma anche attorno a noi, perfino nella ricca – o almeno così crediamo tutti – San Marino”. La fotografia che metaforicamente scatta Enzo Zafferani dell’odierna comunità sammarinese è ancora più forte di quelle che scattò lungo le rive del Gange più di 45 anni fa: “Facciamo finta di non vederlo, ma c’è una fascia di popolazione che vive difficoltà economiche enormi ed è un numero di persone che cresce ogni giorno di più, a causa non solo delle varie crisi che colpiscono l’economia globale, ma anche a ciniche prassi burocratiche e legali che sempre più spesso ridu- cono a livelli di povertà anche chi comunque ha un lavoro e una casa. Sono i nuovi poveri, ed è a loro che ho voluto pensare nel momento in cui sono arrivato alla conclusione del mio libro, perché questo progetto possa servire anche ad aiutare gli altri, per quanto quel viaggio ha aiutato me”.

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Il riferimento, come detto, è alla sua “rinascita”, avvenuta a metà degli anni ’70 quando era vice Direttore dell’Ufficio Tributario di San Marino e lanciatissimo verso la successione dell’allora Direttore, prossimo alla pensione. “Fu in quel periodo che, invitato dal mio amico Tino, gradissimo reporter di San Marino, accettai di far parte di un

C onsorzio Terra di San Marino

“Se avessi il pentolino, l’olio ed il sale, mi farei il pane cotto, se avessi il pane” dice un antico proverbio che si rivolge soprattutto a chi vuole realizzare qualcosa, ma non dispone dei mezzi per farlo.

Il Consorzio Terra di San Marino però, visto che si cura anche delle tradizioni locali, lascia da parte il significato e si concentra sulla ricetta. Sì, perché il pane cotto, o, per dirla in dialetto, “e pen cot”, è un piatto che affonda le sue radici nella memoria dei tempi. Un “cibo” che, grazie al ricettario del CTSM, non verrà “dimenticato” e che, perché no, può essere proposto a tavola.

Oggi prepararlo richiede davvero poco, anche come spesa economica, ma se pensiamo a mezzo secolo fa e più, non era così frequente ed era “cosa sacra per tutti”. Il pane, spiega nell’introduzione l’opuscolo, “si consuma fino all’ultima briciola, raffermo e secco, si abbrustolisce sulla brace, si bagna nell’acqua, si inzuppa nel brodo”. In campagna, forse più ieri di oggi, “il giorno in cui si cuoceva il pane nel proprio forno e lo si mangiava fresco” era “un giorno allegro”. Vediamo gli ingredienti, partendo da una certezza: utilizzare il pane del Consorzio Terra di San Marino in quanto è buono, controllato e perché così si dà una mano ai produttori di grano e ai professionisti che trasformano le farine. Per quattro persone servono 300 grammi di pane duro tagliato a fette, acqua, olio evo e sale. Si inizia con il far bollire il pane in acqua salata per circa trenta minuti. A questo punto bisogna condire con gruppo di professionisti e appassionati fotografi in India, già allora e forse più di oggi teatro di scene drammatiche, spesso purtroppo anche macabre, intervallate da altre di una bellezza e di un’umanità quasi incredibile in un contesto come quello. Ovviamente non eravamo i tipi da viaggio organizzato”, sorride Zafferani nel raccontarlo, “e trovammo presto il modo per vivere appieno quell’esperienza, evitando appositamente le sicurezze e le comodità dei turisti occidentali: volevamo vedere la vera India, spaventati ma attratti anche dalla sua parte più oscura. E ci riuscimmo. Ma non vi trovai l’orrore che immaginavo, bensì una religiosità for- tissima, che permeava ogni gesto anche il più terribile come la crematura dei cadaveri lungo le sponde dei fiumi. L’effetto di certe scene era devastante, solo parzialmente distratto dalla consapevolezza – e quindi dalle accortezze che dovemmo prendere – che certe fotografie fossero illegali. Ma in un modo o nell’altro riuscii a rubare centinaia di scatti”. Ed è qui che la storia del viaggio diventa la storia del libro: “Al mio rientro, come detto, capii quanto quelle immagini mi avevano cambiato e da lì cambiò anche la mia vita, a livello professionale in primis, ma anche come approccio alla vita e al mondo intero. Feci stampare le diapositive, erano più di

700, che divennero per diverso tempo un motivo di confronto con familiari e amici durante gli incontri conviviali. Poi, dopo un trasloco, andarono perdute… per riapparire, quasi per caso, solo vent’anni dopo. Si stavano rovinando e così, grazie alla maestria dell’amico Arcangelo Gabriele Mazza, le ho fatte digitalizzare: ripresero vita e con loro ripresi anch’io a parlare di quel viaggio con gli amici, di come mi cambiò la vita. Era un sentimento talmente forte ed evidente che tutti, che meritava di diventare qualcosa di più che un ricordo personale”. Il libro è in vendita nelle edicole di San Marino.

Daniele Bartolucci

Rubrica periodica a cura del Consorzio Terra di San Marino tel.(00378)0549-902617 Fax.(00378)0549-906278 mail to: consorzioterradisanmarino@ omniway.sm olio crudo extravergine di oliva (quello della Cooperativa Olivicoltori Sammarinesi è eccezionale). “Questo piatto di semplice e povera preparazione”, riporta il ricettario, “in realtà un tempo era già un lusso avere in casa un filo d’olio. Spesso l’olio veniva sostituito dal lardo sfatto e da qualche pezzo di pane raffermo”. Come i lettori più attenti avranno colto, si parla anche di “brodo” che, visto il periodo (siamo ancora in inverno), può essere una “calda” proposta da servire in tavola. Per quattro persone occorrono 500 grammi di carne di manzo e un pezzo di gallina, due litri di acqua, e poi una cipolla, una carota, un sedano, tre o quattro pomodori e il sale. Una volta “raggruppati” gli ingredienti, bisogna immergere la carne in acqua fredda, salare appena, “schiumare” con una ramaiola il grasso che viene a galla e poi aggiungere gli ortaggi. Far bollire lentamente per due ore o due ore e mezza e poi travasare il tutto in un altro recipiente attraverso un colabrodo. Non prima di aver letto le parole di Dante Graziosi, politico e scrittore italiano: “Le danze ripresero in attesa della cena, che cominciava con il brodo del bollito”.

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