100 Anni Bauhaus - Esame di Graphic Design - Accademia di Belle Arti di Roma

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100 Anni del Bauhaus Progetto a cura di Sara Potente, Chiara Protani ed Elsa D' Angelo Accademia Belle Arti di Roma Indirizzo Grafica e Fotografia - Graphic Design Corso di Graphic Design Docente: Massimo De Orazi Stampato presso Legatoria Rumori Progetto grafico: Sara Potente e Chiara Protani Testi a cura di Elsa D' Angelo Anno Accademico 2018/2019


Sommario Introduzione Storia Architettura Design Arte

Fotografia Danza Donne del Bauhaus Nel dopoguerra


Il Bauhaus si può definire ben più di una scuola, nonostante nasca come tale nel 1919 in Germania, fondata dall’architetto e designer Walter Gropius. Ha raccolto negli anni tantissimi artisti tra i suoi insegnanti e alunni, trasformandosi negli anni in un vero e proprio movimento artistico che ha trasceso i confini territoriali e temporali; nonostante la Bauhaus cessa formalmente di esistere come scuola nel 1933 la sua influenza sull’arte e design è stata indiscutibile fino ad arrivare - e rimanere - ai giorni nostri in tantissime opere e prodotti.



Il Bauhaus si può definire ben più di una scuola, nonostante nasca come tale nel 1919 in Germania, fondata dall’architetto e designer Walter Gropius. Ha raccolto negli anni tantissimi artisti tra i suoi insegnanti e alunni, trasformandosi negli anni in un vero e proprio movimento artistico che ha trasceso i confini territoriali e temporali; nonostante la Bauhaus cessa formalmente di esistere come scuola nel 1933 la sua influenza sull’arte e design è stata indiscutibile fino ad arrivare - e rimanere - ai giorni nostri in tantissime opere e prodotti.



La ragione di ciò si può trovare con facilità nella filosofia e nell’essenza del Bauhaus: viene fondata per far cessare il divario tra arti maggiori e le arti cosiddette “minori” come design, architettura e tutte quelle discipline che seppur innegabilmente artistiche, spesso avevano negato il titolo “arte” a causa di una lunga e arretrata visione d’insieme. Il Bauhaus ha come concetto di base che tutte le discipline, dalla pittura all’architettura, alla falegnameria alla ceramica, siano uguali. Perciò non vi sono modi diversi di progettare un palazzo o un mobile da quelli che si userebbero per un quadro o una scultura, per esempio. Questa mancanza di paletti ha permesso alla filosofia di questa scuola di diffondersi con facilità; i canoni estetici di linearità e uniformità si possono trovare in moltissimi luoghi ed oggetti che vediamo ogni giorno ed arrivati ai 100 anni dalla creazione del Bauhaus non si può fare a meno di celebrarlo e riconoscere l’influenza che ha avuto sulla nostra società fino ai giorni nostri.



Storia Il Bauhaus è una scuola (Staatliches Bauhaus) di design fondata da Walter Gropius, architetto e designer, a Weimar in Germania, nel 1919 ed attiva fino al 1933. La scuola fu tanto importante da dare il nome alla corrente artistica, appartenente al Movimento Moderno. Il termine Bauhaus era stato ideato dal fondatore della scuola e richiamava il termine medievale Bauhütte che indicava la loggia dei muratori. Erede delle avanguardie anteguerra, il Bauhaus fu una scuola, ma rappresentò anche il punto di riferimento fondamentale per tutti i movimenti d’innovazione nel campo del design e dell’architettura del XX Secolo. La scuola ebbe il compito di riunire vari artisti e designer di alto calibro (con alcuni nomi di spicco come Vassily Kandinsky e Paul Klee) ed insegnare e diffondere i dettami del design secondo la loro visione artistica e lavorare su prodotti che racchiudessero quest’ultima. Nella scuola erano infatti ammessi non solo artisti “classici” come pittori e scultori ma anche designer e artigiani (la parola Bauhaus deriva dal termine medievale Bauhutte che indica la loggia dei muratori) proprio per sottolineare il lato manuale e pratico del loro lavoro.


La scuola tenne una mostra, “Am Horn” con i lavori degli alunni ed insegnanti nel 1923, prima di doversi spostare a Dessau nel 1925 fino al 1926 ed a Berlino nel 1932, dove rimarrà fino alla sua chiusura nel 1933. Il Bauhaus ebbe anche vari direttori oltre a Gropius; dal 1928 fino al 1930 fu Hannes Meyer e dal 1930 fino al 1932 Mies Van Der Rohe assunse la direzione della scuola. Il lavoro del Bauhaus si concentrò su una visione unitaria dell’arte e artigianato con un linguaggio nuovo e diretto, molto simile alle avanguardie e al Neoplasticismo di quel periodo. Leggendo ‘Bauhaus’ la prima cosa che viene in mente è la corrente artistica che ha influenzato fino ai giorni nostri un intero filone estetico incentrato sul minimalismo, linearità e sperimentazione. Il contributo che il Bauhaus ha apportato al nostro modo di vedere e concepire non solo l’arte ma anche architettura, scultura, design, perfino tessitura e danza. Com’è stato possibile tutto ciò? La risposta va cercata nella storia del Bauhaus dalla quale si evince come questa corrente sia riuscita a toccare così tante discipline senza mai assumere diverse sfaccettature. Va innanzitutto spiegato che il Bauhaus nasce come scuola con sede fisica. Non è, infatti, una corrente senza un luogo fisso, le sue coordinate spazio-temporali sono molto facili da collocare: nasce nel 1919 a Weimar, fondata dal Walter Gropius che ne sarà il direttore fino al 1928.


Il nome stesso della scuola è un indicatore di quanto poliedrica volle essere la sua influenza fin dal principio: Bauhaus deriva dal termine medievale Bauhütte che indica la loggia dei muratori. E’ facile evincere l’apertura mentale della scuola e dei suoi insegnanti, difatti il Bauhaus fu una delle prime strutture a permettere alle donne di studiare arti e mestieri e anche ad insegnare, seppur rimanendo su quelle manuali come ceramica e tessitura. Il Bauhaus nasce in un periodo storico alquanto particolare e turbolento: nasce nel 1919, ovvero un anno dopo la fine della prima guerra mondiale e la sua sede viene chiusa nel 1933, due anni prima che inizi della seconda guerra mondiale. Questo non è un caso: la visione dell’arte e della società del Bauhaus, che si rifletteva molto facilmente nella struttura della scuola, non era per niente gradita all’ascesa del nazismo. Nonostante l’esperimento Bauhaus sia durato complessivamente 13 anni, la sua influenza superò con grande forza l’ostacolo della guerra fino ad arrivare ai giorni nostri e imporsi con alle varie correnti artistiche ancora presenti. La scuola racchiuse un’enorme quantità di artisti di grande calibro; è facile trovare nomi come Kandiskji e Mondrian nel registri degli insegnanti. Nel 1922 alla scuola si tenne un corso sulla corrente artistica De Stijl,



quest’ultima influenzò molti degli estetismi che hanno caratterizzato il Bauhaus: linearità, forma, sperimentazione, colori primari. Questi punti diventarono dei punti cardine per la scuola che finirono per diventare ciò che ora consideriamo l’estetica Bauhausiana. L’anno dopo, nel 1923, si organizzò la prima mostra comprensiva dei lavori di insegnanti e studenti; questa fu la prima occasione in cui le opere della scuola furono esposte al pubblico e di conseguenza la prima pubblica affermazione del Bauhaus e della sua filosofia ed estetica. Dal 1925 inizia uno dei primi spostamenti delle sedi del Bauhaus. La prima sede fu fondata a Weimar grazie alla socialdemocrazia della città che permise la creazione della scuola,

tuttavia un cambio di governo dello stato dove si trova Weimar, la Turingia, costrinse il Bauhaus a trasferirsi e come nuova sede fu scelta Dessau dove fu costruito l’edificio oramai simbolo della scuola. Nel 1928 Hannes Meyer diventò il direttore della scuola di architettura, il quale rimase fino al 1930 quando delle tensioni di natura politica tra studenti portarono all’allontanamento di Meyer a favore di Mies van der Rohe, il quale rimase fino alla chiusura dell’istituto nel 1933. Ultima città sede della scuola fu Berlino dal 1932 al 1933, dove chiuse in maniera definitiva con l’ascesa del partito nazista. La storia del Bauhaus venne interrotta prematuramente a causa del nazismo


e tutte le limitazioni che ne derivavano; una libertà espressiva come quella che il bauhaus si riproponeva sarebbe stata completamente castrata e distrutta. Nonostante la sua breve esistenza però, l’ influenza di questa scuola è rimasta negli anni un punto cardinale a 360° per l’arte in tutte le sue forme e declinazioni, permettendo all’estetica ed al pensiero del Bauhaus di continuare a prosperare fino ai giorni nostri ed a rimanere un capitolo importante per tutti gli artisti e designer. Di cquesto però parleremo più avanti, di come lo spirito Bauhausiano sia sopravvissuto e rinato dopo la seconda guerra mondiale, e di come abbia isirato tutte le generazioni a venire.


Nel 1919 Gropius aveva richiesto al Ministero degli Interni la possibilità di far frequentare a studenti interessati un corso alla Scuola per costruttori edili, ma le lungaggini burocratiche lo portarono ad organizzare privatamente un corso di architettura. Nel 1922 Gropius tenne lezioni di teoria dello spazio e assunse Emil Lange affinché dirigesse il laboratorio di Architettura che in realtà non fu mai aperto. Nonostante ciò i laboratori del Bauhaus collaborarono agli interni, all’arredo di progetti affidati allo studio di Gropius come il teatro di Jena realizzato da Gropius e Meyer, abbandonando i principi espressionisti e seguendo quelli di De Stijl. A Weimar Adolf Meyer insegnò come docente straordinario ed Ernst Schumann tenne un corso di disegno tecnico e di costruzioni.


Gropius fondò inoltre una cooperativa edilizia, composta da molti professori, che si potesse occupare della progettazione di un sobborgo che ospitasse studenti e docenti. Il progetto rimase solo sulle carte e i modelli esposti all’esposizione del 1923, poiché stato e comune crearono molti ostacoli alla sua realizzazione. Principio fondamentale di questo progetto è la standardizzazione, ben esplicato dal nome attribuito al progetto: “Gioco delle costruzioni in grande”. Nel 1924 si formò un “gruppo di lavoro di architettura” composto da Muche, Breuer, Molnar, per protesta alla mancata realizzazione del laboratorio di architettura. Un vero e proprio laboratorio di architettura ci fu solo a Dessau, con la direzione di Hannes Meyer. Il direttore voleva che l’architettura rispondesse alle esigenze della collettività e ne migliorasse le condizioni.

L’insegnamento fu diviso in base al grado di formazione degli studenti nei: • “Baulehre”, corso teorico tenuto da ingegneri e in successione dagli architetti Hans Wittwer e Ludwig Hilberseimer (si interessò principalmente all’urbanistica e all’edilizia abitativa) •

“Bauabteilung”, corso pratico che si strutturò in tre fasi consecutive: ~ risoluzione di piccoli problemi architettonici ~ partecipazione in team a grandi lavori (come per il sobborgo Törten e la scuola dell’ADGB) ~ tesi di diploma (tra le più importanti il lavoro sul feudo Vogelgesang di Konrad Püschel, la progettazione di un scuola elementare-asilo di Vera Meyer-Waldwck, la “casa collettiva per operai” di Tibor Weiner e Philipp Tolziner).


Parallelamente Mart Stam tenne un corso straordinario con la finalità di realizzare un progetto per il concorso teso alla creazione del quartiere sperimentale “Haselhorst” di Berlino. Inoltre gli studenti si concentrarono nella progettazione della villa a Mentone della famiglia Garavagno, della scuola del sindacato tedesco ADGB e dell’ampliamento del sobborgo Törten. Ludwig Mies van der Rohe, che diresse la scuola a partire dal 1930, diede molta importanza dell’architettura, facendone l’insegnamento cardine dell’istituto. L’insegnamento durante la sua direzione fu strutturato in tre fasi: • Apprendimento delle nozioni tecniche (fisica, scienza dei materiali, legislazione edilizia, riscaldamento e aerazione)


• ”Seminario per l’edilizia abitativa e l’urbanistica”, tenuto da Ludwig Hilberseimer, verteva su alcuni principi fondamentali: ~ gli appartamenti devono essere orientati in direzione est-ovest ~ i complessi abitativi dovevano comprendere case alte e case ad un piano ~ progettazione di tipi: case singole isolate, case singole con pianta a L e molti altri tipi ~ adeguamento delle infrastrutture all’interno dei complessi architettonici. • ”Bauseminar” che consisteva in alcune lezioni di Mies van der Rohe in cui aveva molta importanza il disegno. Il corso proponeva di risolvere tre progetti: casa A (casa d’abitazione con studio), casa B (casa singola, isolata e su due piani), casa C (casa unifamiliare e ad un solo piano) con particolare attenzione al rapporto tra esterno e interno, tra privato e vicinato.





Il Bauhaus rivoluziona la filosofia della costruzione il cui aspetto diventa secondario rispetto all’uso per cui viene realizzata. Il lavoro dell’Architetto parte dallo studio analitico ragionando sulle funzioni dell’edificio e sulle varie parti di esso. Le funzioni diventano il motore primo della creazione della forma, la tensione dell’architettura non è solo legata alla rappresentazione, ma anche e soprattutto all’uso. La nuova scuola di Dessau e le villette costruite per gli insegnati diventano il modello Architettonico della Corrente. Inoltre secondo gli insegnanti al Bauhaus, i materiali dovevano riflettere la vera natura di oggetti ed edifici. L’onestà come designer era di massima importanza. Questo significava che non modificavano o nascondevano materiali per amor d’estetica. Non c'era motivo di nascondere la struttura di un oggetto o di un edificio, come l'acciaio o una trave, semplicemente perché questa era parte integrante del progetto. L’architetto americano Louis Sullivan fu il primo ad utilizzare la famosa espressione “form follows function”, ovvero “la forma segue la funzione”, una delle idee fondamentali del Bauhaus. Significa che nel design una forma deve essere sempre applicata per via della sua funzione piuttosto che del suo fascino estetico. L’utilità veniva al primo posto ed erano evitati gli ornamenti eccessivi.


Un esempio perfetto di questo concetto é proprio l’edificio progettato da Gropius nel 1925 in occasione del trasferimento del Bauhaus a Dessau, Questo edificio conteneva molte caratteristiche che in seguito divennero i tratti distintivi dell’architettura modernista, compresa la costruzione a telaio in acciaio, una cortina di vetro e un piano a girandola asimmetrico, in cui Gropius distribuiva studio, aula e spazio amministrativo per la massima efficienza e logica spaziale. La scuola Bauhaus rivoluziona la filosofia della costruzione, la cui estetica diventa secondaria all’uso per cui viene realizzata. Il lavoro dell’architetto è quello di analizzare con attenzione le funzioni a cui l’edificio è preposto e queste diventano fondamentali per la forma che avrà. L’edificio della scuola di Dessau, così come le villette costruite per gli insegnati, diviene ben presto il manifesto del nuovo clima razionalista della cultura architettonica europea ed il modello architettonico della corrente.


Quest’ultimo infatti è un esempio di architettura funzionale: la sua forma a doppia elle, in cui nessuna parte è preponderante rispetto alle altre, è improntata alle molteplici funzioni a cui l’edificio scolastico è preposto (le aule, l’auditorium, i laboratori, gli uffici amministrativi e gli alloggi degli studenti). Il complesso appare scomposto nelle varie componenti funzionali e poi ricomposto in un tutt’uno, in modo lineare ed uniforme, escludendo qualsiasi punto di vista privilegiato. L’edificio inoltre non è dotato di una facciata principale, ma ogni lato costituisce una diversa facciata della costruzione. Insieme alle strutture, i cui spessori sono calcolati in relazione alle forze portanti, sono protagoniste le superfici vetrate, per la necessità di dare luce ai locali di lavoro e, al tempo stesso, di non celare ciò che avviene entro un

complesso scolastico in una società nuova, in cui tutto deve essere ‘trasparente’. Una significativa innovazione rispetto al passato ed in linea con uno dei criteri fondanti dell’architettura Bauhaus secondo il quale la forma è subordinata alla funzione e le funzioni sono equipollenti fra loro, nessuna è predominante sulle altre. Walter Gropius, fondatore del Bauhaus, fu il primo ad applicare la nozione di “Gesamtkunstwerk” - una sintesi delle arti - ai tempi moderni. Gesamtkunstwerk combina molteplici forme d’arte, come le belle arti e le arti decorative, unificate attraverso l’architettura nel caso del Bauhaus. Un edificio non era solo una carcassa vuota per la scuola Bauhaus, rappresentava solo una parte del progetto e tutto ciò che vi si trovava all’interno contribuiva al concetto generale.


DESIGN Tra tutti gli oggetti di cui si compone il mondo domestico, ce ne sono alcuni che non sono nati semplicemente come strumenti funzionali a portare a termine un compito come lavare piatti o stirare camicie, ma hanno dietro studi e ricerche sia artistiche che sociali. Proprio in questo momento qualcuno potrebbe essere seduto su una sedia Wassily senza aver la minima idea di quale sia la storia di questo ammasso di tubi metallici e pelle che a un occhio distratto sembra non avere proprio nulla di speciale esclusa la sua mansione di luogo dove poggiare il sedere. Eppure questa semplice sedia è uno degli oggetti simbolo di una scuola d’arte, ma anche filosofica e di scienze sociali, nata in Germania esattamente cento anni fa e che ha lasciato un segno talmente forte nel mondo moderno da essere ancora alla base di moltissime correnti architettoniche e di design. La Bauhaus, si interrogava su come si potesse cambiare la direzione dell’industrializzazione e del consumismo spersonalizzante che ne derivava. L’obiettivo del bauhaus era fare sì che la produzione seriale di oggetti e di abitazioni non perdesse anche l’ultima traccia di umanità in favore dell’asetticità, evitando che le persone rimanessero schiacciate dalle macchine e caricando di significato anche gli oggetti più banali di uso quotidiano.


Per farsi un’idea immediata di quali fossero i principi alla base di questo collettivo, basta leggere qualche riga del manifesto scritto proprio da Gropius, secondo cui la separazione tra artista e artigiano che aveva avuto luogo con la rivoluzione industriale aveva generato una distinzione classista e ingiusta tra chi crea oggetti e chi invece “fa arte”. Lo schieramento apertamente socialista degli insegnanti e degli allievi della Bauhaus, ritenuta dai nazisti una scuola degenerata, troppo internazionalista e anti-tedesca, fu la causa principale della sua chiusura nel 1933. Oltre agli aspetti più concettuali e astratti su cui si fonda la scuola della Bauhaus, è nell’applicazione concreta di questi principi, che si manifesta tutta la bellezza della sua missione. Nel ritorno alle forme elementari, alla geometria, ai colori primari, si articola la complessità di una ricerca formale che oggi potrebbe apparire semplice e scontata, ma che ha cominciato a delinearsi proprio in quel contesto culturale. Ciò che sembra modesto e scarno ha alla base un processo creativo per nulla superficiale o sbrigativo, concretizzazione della massima di Mies van der Rohe per cui “less is more”: è molto più difficile togliere che aggiungere. Anche l’uso dei materiali come il vetro e il metallo, combinati con il cemento, ha la precisa volontà di fare in modo che lo spazio interno e lo spazio esterno di un edificio si compenetrino, dando luogo a un’integrazione sia metaforica che letterale tra uomo e società. Esistono così tanti oggetti che prendono ispirazione da queste idee e dal loro modo di concepire il design e l’architettura da perderne il conto. A tal proposito proprio quest’anno, fino al 19 maggio il Vitra Design Museum celebra il

centenario del Bauhaus con una mostra dedicata all’imprenditore e designer Anton Lorenz, figura chiave per la nascita dei mobili moderni in tubolare d’acciaio. Presenti anche i mobili di Marcel Breuer, Mart Stam e Ludwig Mies van der Rohe, oltre a oggetti e documenti della tenuta di Lorenz. Lo stile minimalista dell'arte, dell'architettura e del design Bauhaus rifletteva queste le idee fondamentali di funzionalità e materiali veri. Influenzati da movimenti come Modernismo e De Stijl, gli artisti del Bauhaus privilegiavano le forme lineari e geometriche, evitando invece le forme floreali o curvilinee. Le uniche cose importanti erano la linea, la forma e i colori. Tutto il resto non era necessario e poteva quindi essere ridotto all’osso. A Weimar il laboratorio di Grafica ebbe due anime: la legatoria e la tipografia. In legatoria l'insegnamento tecnico-pratico fu svolto da Otto Darfner, un rilegatore molto stimato in quel momento, mentre l'insegnamento formale fu affidato a Paul Klee. Tra i due maestri vi furono conflitti tali che Otto Darfner decise di abbandonare la scuola.


In tipografia Lyonel Feininger e Carl Zaubitzer si occuparono rispettivamente dell'insegnamento formale e di quello tecnico-pratico]. Il laboratorio formava i suoi allievi nella silografia, l'incisione su rame e li impiegò nella produzione di diverse opere tra cui la "Nuova grafica europea" (rimasta incompiuta) e lavori su commissione dei maggiori artisti del tempo. Successivamente, nel 1923 fu fondata la casa editrice "Bauhaus-Verlag München-Berlin" che produsse tra le diverse pubblicazioni la "Cartella dei Maestri" (1923) e il libro "Bauhaus 1919-1923". Con il trasferimento della scuola a Dessau fu aperto il laboratorio per la stampa e la pubblicità, diretto da Herbert Bayer, attento ai problemi della pubblicità e ai suoi rapporti con la psicologia. Il laboratorio fu dotato di una sala per la composizione manuale, di una platina da stampa e una rotativa. Meyer nel 1928 istituì il laboratorio per la pubblicità, che fece dirigere da Joost Schimdt, che tenne delle lezioni con il maestro di fotografia Walter Peterhans. Joost Schmidt tenne un corso di pubblicità che si basava

sulla combinazione di foto e testo e sul disegno di forme tridimensionali prospetticamente precise. Lo seguivano esercizi non solo sulla composizione della superficie ma anche sullo spazio tridimensionale. Solo dopo aver seguito tutti questi processi gli studenti potevano passare alla progettazione di manifesti. Schmidt credeva che il problema pubblicità non poteva risolversi nella semplice propaganda-persuasione ma che la pubblicità fosse comunicazione e informazione. Gli studenti si occuparono della reclamizzazione dei prodotti realizzati dalle ditte Rasch e Polytex in collaborazione con la scuola, ma anche dello stand del Bauhaus all'esposizione del Werkbund a Breslavia, della mostra "Volkswohnung Bauhaus" a Dresda, degli apparecchi da riscaldamento dell'azienda Junkers, della mostra pubblicitaria di Berlino, dello stand dell'"industria conserviera tedesca" alla "Hygieneausstellung" a Dresda, dello stand della ditta inglese Venestra, produttrice delle prime finestre in acciaio, alla fiera di Lipsia e dell'importante mostra itinerante "Dieci anni di Bauhaus". Il laboratorio di fotografia fu incentrato sulle lezioni di Walter Peterhans, in contrasto con le idee sulla fotografia di Moholy-Nagy, intente a far sì che gli studenti sapessero fotografare in modo tecnicamente perfetto. I lavori di questo laboratorio furono per la maggior parte delle nature morte, influenzate dalla pittura "trompe-l'œil", e che possiedono titoli come "Lepre Morta", che ne fanno assumere una “dimensione enigmatica”. A Berlino il piano di studi strutturato in sette semestri non prevedeva l'apertura del laboratorio di pubblicità per mancanza di docenti.







ARTE


Già nell’Ottocento, William Morris, con le sue Arts and Crafts, aveva cercato di portare la bellezza alle masse. Come Morris, anche Walter Gropius pensa che l’industria non debba essere nemica dell’artista, ma sua alleata, e che il prodotto creato non deve essere privilegio dei pochi, ma accessibile a tutti. Ed è su queste basi che nel 1919 riorganizza l’Accademia delle Belle Arti e la Scuola di Arti Applicate di Weimar nel Bauhaus.In questa “casa della costruzione”, teoria e pratica, arte e artigianato hanno un unico scopo: riscattare l’oggetto d’uso dall’appiattimento della produzione industriale e non vi insegnano professori ma maestri di straordinario talento. Personaggi come Paul Klee, Wassily Kandinsky, Oskar Schlemmer, Laszlo Moholy-Nagy, Marcel Breuer e Gunta Stölzl, l’unica donna a insegnare alla scuola. Il corso propedeutico o Vorkurs, della durata di sei mesi, era obbligatorio e doveva preparare gli allievi a sviluppare una nuova attitudine nei confronti della percezione e dell'espressione artistica. Nei primi anni della Bauhaus, fino al 1923, fu affidato a Johannes Itten, che ne fece uno strumento di iniziazione degli studenti a stili di vita, modi di vestire, cura del corpo e dell'alimentazione secondo un modello venato di utopia e provocazione, partendo da un approccio teosofico e dall'influenza di filosofie orientali. Con il trasferimento della scuola a Dessau le lezioni del primo semestre furono affidate a Josef Albers, quelle del secondo a László Moholy-Nagy. Il corso di Josef Albers si strutturò in lezioni sui materiali (seguendo un piano preciso: vetro, carta, metallo) e sui principi fondamentali della costruzione, visite in fabbriche ed esercitazioni pratiche tese alla realizzazione di piccoli oggetti.


Le lezioni di László Moholy-Nagy si svilupparono sulla composizione nello spazio. Successivamente il corso fu affidato per l'intero anno al solo Josef Albers, influenzato dalla lezione di Johannes Itten. Nel 1930, sotto la direzione di Mies van der Rohe, l'insegnamento di base rimase intatto con le uniche eccezioni di non essere più obbligatorio e dell'ampliamento del corso propedeutico di Josef Albers che ora conteneva delle lezioni di disegno a mano libera, volute dal direttore per migliorare le capacità degli studenti prima che si accingessero allo studio dell’architettura.Con la direzione di Hannes Meyer la formazione base si arricchì sia il corso di scrittura di Joost Schmidt e le lezioni sul tema "L'uomo" che lo studio del nudo tenuti da Oskar Schlemmer. Paul Klee oltre ad essere uno dei più importanti artisti del XX secolo, è stato anche uno stimato docente; tenne un "insegnamento formale figurativo" che consisteva nello studio delle proporzioni, delle immagini riflesse, delle forme e colori primari, basato sull'analisi dei suoi dipinti. Nel 1922 vi si aggiunse un corso sulla teoria del colore. Diresse, tra l’altro, il laboratorio di legatoria (aprile 1921-marzo 1922), per poi occuparsi del laboratorio di pittura su vetro dall’ottobre del 1922 all’ottobre del 1924. Dall’ottobre del 1923 tenne un corso di “teoria compositiva elementare




della superfice” come parte del corso preliminare. Nella sede di Dessau, dall’aprile del 1927 Klee tenne il corso di pittura da lui fortemente richiesto. Nell’ottobre dello stesso anno cominciò ad insegnare “teoria della composizione” nel laboratorio di tessitura. Paul Klee ha fondamentalmente sviluppato la sua teoria dell’arte durante il periodo trascorso al Bauhaus. Nel 1920, nel suo libro Confessione creatrice, aveva dichiarato: «L’arte non riproduce il visibile, ma lo rende visibile». E’ a partire da queste parole che Paul Klee ha costruito le sue teorie sul colore e sulla forma. Teorie che ha trasmesso come docente ai suoi studenti in modo che potessero continuare a lavorare a partire da questi elementi su base individuale. Nel suo approccio all’arte, Klee ha tentato di evitare qualsiasi tipo di dogma e questo si riflesse anche nella sua esperienza al Bauhaus. Per via del suo modo gradevole ma certo non superficiale di insegnare, era noto nella scuola come il ‘mago’. Dai suoi allievi venne soprannominato anche il Buddha: era, infatti, molto distaccato da tutte le attività sociali svolte all’interno dell’istituto e veniva considerato, sempre dai suoi studenti, alla stregua di un oracolo. Nella scuola Klee svolse una forte azione equilibratrice, tanto che Gropius lo definì «l’estrema istanza morale del Bauhaus».


Un’altro grande pilastro dell’insegnamento nella Bauhaus fu Kandinskij. Nel giugno 1922, Walter Gropius assunse Wassily Kandinsky al Bauhaus di Weimar, dove insegnò fino alla sua chiusura a Berlino nel 1933. Dal 1922 al 1925, diresse il laboratorio di pittura murale al Bauhaus di Weimar e insegnò lezioni di elementi di forma astratta, disegno analitico e di composizione cromatica, seguendo i principi dell'analisi e della sintesi e dando importanza agli effetti del colore nelle sovrapposizioni tra di essi e nella loro percezione. Nel 1924, Kandinsky fondò il gruppo di artisti Die Blaue Vier (The Blue Four) insieme ad Alexej Jawlensky, Paul Klee e Lyonel Feininger. Al Bauhaus di Dessau, ha insegnato elementi di forma astratta e disegno analitico nel corso preliminare dal 1925 al 1932. Dal semestre invernale 1926-1927 è stato a capo del dipartimento di pittura e dal 1927 ha diretto il laboratorio e le lezioni di pittura libera. Nel 1926 pubblicò l'importante libro “Bauhaus Point and Line to Plane”. Dal 1932 al 1933 al Bauhaus di Berlino, è stato a capo dei corsi preliminari di elementi di forma astratta e disegno analitico e del corso di pittura libera. Nel 1933, Kandinsky emigrò a Parigi e visse lì nel sobborgo di Neuilly-sur-Seine fino alla sua morte. Gli esercizi di Vassily Kandinskij si possono suddividere in quattro gruppi: sistemi di colore e sequenze, corrispondenza di colore e forma, relazione fra forme, colori e spazio. Con la direzione di Hannes Meyer, Paul Klee e Vassily Kandinskij riuscirono ad ottenere la possibilità di condurre dei corsi di pittura. I risultati ebbero un'impronta surrealista, influenzata dalla tecnica di Klee.







fotografia

Un capitolo fondamentale della storia della fotografia è quello legato alla scuola tedesca del Bauhaus, all’interno del quale ebbe un ruolo molto particolare. In essa confluirono diverse esperienze degli anni precedenti, il che rese la produzione fotografica del Bauhaus assai eclettica; nondimeno l'affinità di spirito e di intenti che animava insegnanti e studenti della scuola, conferì ad essa una certa unitarietà ideale, se non strettamente formale. Non sorprende che il Bauhaus e la fotografia non vengano associati con la stessa immediatezza di altri termini, quali architettura o design. In effetti questa tecnica non godette sulle prime di grande attenzione. Inizialmente venne considerata in buona sostanza quale medium, attraverso cui far conoscere


al mondo il lavoro del Bauhaus, ovverosia fotografando manufatti ed edifici a marchio della scuola di Weimar per cataloghi, pubblicazioni e manifesti. Tali testimonianze fotografiche rimangono comunque di fondamentale importanza per la preservazione della memoria della scuola, in molti casi esse suppliscono alla perdita dell’oggetto e ne mantengono intatte le intenzioni. Non mancavano quindi le fotografie legate alla pubblicità e alla tipografia, così come al teatro. Di particolare interesse sono poi le numerose istantanee, dilettantesche o professionali, che presentano un’attestazione e un ritratto della vita quotidiana, all’esterno e all’interno degli edifici e dei laboratori , che trasmettono tutto l’ottimismo e l’audacia dei membri del Bauhaus. Nonostante l’iniziale scarsezza d’interesse, grazie alla meritoria opera di alcuni pionieri del campo, anche la fotografia venne elevata a mezzo artistico del tutto pari

alle altre forme espressive, soprattutto data l’acquisizione di consapevolezza artistica, figlia delle sperimentazioni del primo Novecento. Se si parla di Bauhaus e fotografia, colui che è a dare impulso all’esplorazione del mondo della pellicola, e anche la sua figura centrale, è senza dubbio Laszlo MoholyNagy. Originario dell'Ungheria, qui si era formato tra le suggestioni mistiche della teosofia, e la fede nel progresso tecnologico. Partendo dal costruttivismo di Malevic, Moholy-Nagy va alla ricerca di forme nuove che nascano dall'azione creatrice della luce: la macchina e i materiali fotografici non possono non diventare così il suo principale strumento di lavoro. Nel 1920 si trasferisce a Berlino, dove iniziò a sperimentare una fotografia senza fotocamera che chiamerà "fotogramma", consistente nell'impressionare la carta sensibilizzata in modo diretto creandovi sopra




giochi di luce ed ombre. Mentre Christian Schad, pochi anni prima, aveva fatto lo stesso, ma solo con oggetti bidimensionali, come fogli di giornale, Moholy-Nagy (e allo stesso tempo anche Man Ray) utilizzò a questo scopo oggetti tridimensionali proiettandone forma e riflessi in prospettiva sul piano, trasformandoli così in «modulatori di luce». Ma qual era il fine di questa ricerca? Alcune parole dello stesso Moholy chiariscono bene le sue intenzioni: «L'uomo è la sintesi di tutte le sue facoltà sensoriali, e raggiunge il massimo quando le sue facoltà costitutive sono sviluppate fino al limite delle sue potenzialità. L'arte è strumentale in questo processo»; «L'arte cerca di creare nuove relazioni tra i fenomeni noti e quelli sconosciuti, e ci spinge ad acquisirli attraverso le nostre capacità funzionali. Questa è la ragione del costante bisogno di


nuove espressioni creative». L'allargamento della visione equivale dunque a un potenziamento delle capacità umane: per contribuire a questo, la fotografia deve saper sperimentare e passare dalla riproduzione alla produzione. In quest'ottica fotocamera e obbiettivo furono utilizzati cercando soprattutto prospettive inusuali, ad esempio vedute dall'alto (sulla scia dell'inglese Alvin L. Coburn); ma fu usata anche la tecnica del fotomontaggio, prima sfruttata soprattutto in ambito surrealista: questo perché nessun purismo poteva avere un senso, tutto era orientato a un fine più generale. La presenza di Làszló Moholy-Nagy e l’attenzione alle nuove forme di comunicazione visiva, permisero la nascita di diversi autori significativi nell’ambito della fotografia tra le due guerre. Làszló Moholy-Nagy è uno dei protagonisti della fotografia europea degli anni Venti e Trenta. Tratta

collage, immagini realistiche con l’utilizzo della prospettiva e dell’inquadratura, immagini astratte e i celebri fotogrammi “off-camera”. Oltre ad essere un’importante fotografo, fu anche un regista, un teorico e un grande divulgatore della fotografia. Walter Gropius volle Moholy-Nagy nel 1923 come insegnante del corso preliminare. Al Bauhaus non esisteva un corso di fotografia, essa veniva insegnata e utilizzata invece per diverse applicazioni: per documentare il lavoro, per ritrarre la vita di gruppo e i suoi protagonisti, o per farne grafica, manifesti. Lucia Moholy, moglie di Moholy-Nagy, eseguì splendidi ritratti, e documentò l'architettura e la produzione di design della scuola. Florence Henri (che fu al Bauhaus un solo anno, nel 1927) creò studiate composizioni, sia lavorandovi come fotografa pubblicitaria, sia conducendo con esse raffinate ricerche tra costruttivismo


e surrealismo, fotografando e dipingendo ad un tempo. T. Lux Feininger realizzò molte immagini degli allestimenti teatrali, della banda musicale della scuola, degli allievi, tutte ricche di spontaneità e con tagli di inquadratura che, per allora, erano davvero originali: può sembrare strano, ma tante foto dal taglio poco ortodosso che ci siamo scattate tra amici in gita o al mare devono qualcosa a questo fotografo. Umbo (pseudonimo di Otto Umbehr), nelle sue immagini più riuscite, si avvicinò compositivamente a Moholy-Nagy, ma i giochi d'ombra, o di rispecchiamento operati sulle persone conferiscono ad esse un carattere volutamente surrealista. Palesemente orientati in tal senso sono invece i fotomontaggi di Herbert Bayer, come l'immagine di due mani nei cui palmi sono due occhi, di sapore daliniano, e l'autoritratto in cui egli scompone il suo stesso braccio come se il proprio corpo fosse una statua marmorea. Moholy-Nagy lasciò il Bauhaus nel 1928, e l'anno seguente fu istituito il corso di fotografia, che fu affidato a Walter Peterhans, attivo a Berlino come fotografo professionista. Peterhans volle cambiare la direzione della ricerca, e ridare autonomia alla fotografia rispetto alla grafica, per portare alla massima espressione la «propria visione nuova di cose e persone» che essa è capace di offrire; definendo «falsi problemi» le fotografie con lenti distorcenti o senza prospettiva di Moholy, egli intese dedicarsi allo sviluppo tecnico dei materiali, e alla risoluzione di problemi quali la resa tonale e l'ampiezza della grana: nelle sue composizioni l'attenzione a questi aspetti è assai chiara. Al Bauhaus, comunque, la fotografia non fu mai costretta ad essere una sola cosa, e si inaugurò qui la sua funzione moderna interdisciplinare, spaziante tra tutti i campi della comunicazione visiva. Oltre alla teoria e alla pratica fotografica, gli alunni venivano stimolati alla fantasia compositiva e alla visione formale. Gli esempi migliori di questa “nuova visone” sono le composizioni di Peterhans: nature morte composte da arrangiamenti quasi casuali di materiali diversi – vetro, metallo o tessili,- con altri oggetti, piume, fili e steli d’erba – illuminati in modo da rivelarne le ombreggiature più suggestive e ottenendo un effetto inaspettato, surreale e quasi magico. La riscoperta della possibilità fotografica nasce perché dettata dalla necessità di sviluppare un mezzo che fosse tanto veloce quanto comunicativo, fornendo una “nuova visione” della realtà attraverso le prospettive inusuali, le riprese ravvicinate e i tagli particolari. Nonostante l‘apporto di grandi artisti dell’epoca, come Erich Cosemüller, Andreas e Lux Feininger, Lucia Moholz e Walter Peterhans, il Bauhaus non può comunque essere considerato una scuola di fotografia, tendendo conto della grande individualità all’insegna di cui professori e studenti lavoravano. Le fotografie e i lavori fotografici prodotti dal Bauhaus possiedono stili nettamente differenti ed eterogenei, poiché così come l’istituzione si è sempre dichiarata aperta agli influssi esterni, così fu anche la fotografia. Stratificata nel contenuto e differenziata nello stile, anche a volte contrastante.

Nonostante quindi non si possa parlare di vera e propria corrente, la fotografia del Bauhaus ha a sua volta aperto innumerevoli strade a coloro che hanno intrapreso in momenti successivi la sperimentazione fotografica, suggerendone tecniche e inventive sempre nuove e affascinanti, cui tutt’oggi non possiamo prescindere. Dalle edizioni del Bauhaus rimase una testimonianza ancora valida sul dibattito in corso degli sviluppi dei nuovi mezzi di comunicazione. Il clima artistico tipico del Bauhaus favorì lo sviluppo di alcune personalità attive nel campo della fotografia. Le fotografie di Florence Henri ad esempio, segnarono il punto di incontro tra il Dadaismo, l’oggettività della fotografia tedesca e l’artificiosità della fotografia di moda. La stagione delle Avanguardie storiche è stata una palestra fondamentale per la crescita di un’intera generazione artistica di autori. Un’alta personalità di rilievo fu Lucia Moholy, moglie di Làszló Moholy-Nagy e stampatrice di molti suoi fotogrammi. Lucia Moholy, all’inizio degli anni ‘20, segue il marito alla Bauhaus di Weimar e qui inizia il suo lavoro, lungo cinque anni, di documentazione quotidiana delle attività svolte negli studi e nei laboratori dell’istituto. Mentre Làszló Moholy-Nagy e gli altri fotografi della scuola erano concentrati su una ricerca concettuale che utilizzasse la



fotografia come strumento, Lucia Moholy ha costantemente ritratto cose – oggettii, edifici, spazi – e persone come Paul Klee, Kandinsky, Anni Albers e tutti gli artisti che frequentavano quelle aule. Fare documentazione equivale ad essere neutrale? Al contrario. Chi ha osservato, negli anni, la fotografia di Lucia Moholy ha potuto cogliere una chiara presa di posizione. Moholy non riproduceva gli oggetti, affiancava il lavoro dei progettisti. Il forte uso del chiaroscuro, le angolazioni non convenzionali, le superfici riflettenti, il bianco e nero prevalente rendono questa fotografia parte integrante del lavoro di sviluppo del prodotto. Il lavoro di Lucia Moholy si inserisce così in quella fotografia di design che, da sempre, cerca di fare un passo avanti rispetto allo still-life utile solo al marketing dell’industria. L’oggetto, così come lo conosciamo, nasce anche durante una serie di precise scelte fatte al momento della ripresa fotografica. Questa cosa, l’architetto Walter Gropius, la capì immediatamente. Quando nel 1933, con l’ascesa del nazismo, la Bauhaus chiude anche la sede di Berlino, Lucia Moholy aveva già lasciato la scuola da un pezzo ed era a Londra a scattare ritratti agli artistocratici inglesi. La fuga precipitosa dalla Germania, avvenuta subito dopo aver conosciuto a Berlino un rappresentante del Partito Comunista arrestato dopo il loro incontro, la costringe a lasciare alla Bauhaus



fotografia come strumento, Lucia Moholy ha costantemente ritratto cose – oggettii, edifici, spazi – e persone come Paul Klee, Kandinsky, Anni Albers e tutti gli artisti che frequentavano quelle aule. Fare documentazione equivale ad essere neutrale? Al contrario. Chi ha osservato, negli anni, la fotografia di Lucia Moholy ha potuto cogliere una chiara presa di posizione. Moholy non riproduceva gli oggetti, affiancava il lavoro dei progettisti. Il forte uso del chiaroscuro, le angolazioni non convenzionali, le superfici riflettenti, il bianco e nero prevalente rendono questa fotografia parte integrante del lavoro di sviluppo del prodotto. Il lavoro di Lucia Moholy si inserisce così in quella fotografia di design che, da sempre, cerca di fare un passo avanti rispetto allo still-life utile solo al marketing dell’industria. L’oggetto, così come lo conosciamo, nasce anche durante una serie di precise scelte fatte al momento della ripresa fotografica. Questa cosa, l’architetto Walter Gropius, la capì immediatamente. Quando nel 1933, con l’ascesa del nazismo, la Bauhaus chiude anche la sede di Berlino, Lucia Moholy aveva già lasciato la scuola da un pezzo ed era a Londra a scattare ritratti agli artistocratici inglesi. La fuga precipitosa dalla Germania, avvenuta subito dopo aver conosciuto a Berlino un rappresentante del Partito Comunista arrestato dopo il loro incontro, la costringe a lasciare alla Bauhaus


“„Non colui che ignora l'alfabeto, bensì colui che ignora

tutti i negativi delle migliaia di fotografie scattate durante i cinque anni trascorsi nella scuola. Fotografie che lei stessa pensa siano perse per sempre. Ma a partire dagli anni ‘40, le fotografie di Lucia Moholy iniziano a comparire sempre più spesso nei cataloghi, nelle brochure, negli strumenti di marketing usati per veicolare gli oggetti della Bauhaus. Qualcuno aveva portato in salvo quelle fotografie, le stava usando e, tuttavia, la firma di Lucia Moholy non era mai presente. Le stampe erano riproduzioni di alta qualità, Lucia Moholy ritiene quindi che i suoi negativi esistano ancora, che non si tratti di riproduzioni. Così la fotografa cerca spiegazioni, scrive a Walter Gropius, l’architetto nel frattempo si è stabilito ad Harvard, dove prosegue la sua ricerca di sviluppo del Movimento

la fotografia, sarà l'analfabeta del futuro.“ -MoholyNagy

Moderno. È lui ad aver portato con sé i negativi negli Stati Uniti, ad averli salvati dal nazismo, ad aver compreso il valore di quelle immagini e della funzione più profonda della fotografia: testimoniare. Soprattutto, il fondatore della Bauhaus ha capito che queste fotografie potevano giocare un ruolo decisivo per creare l’immaginario della scuola nelle generazioni future. Il bianco e nero, le ombre nette, le linee rette marcate, la staticità degli oggetti, le rigorose linee prospettiche, l’attenzione costante alla funzionalità, sono arrivate a noi grazie la macchina fotografica di Lucia Moholy e alle pellicole portate negli Stati Uniti dall’architetto Walter Gropius. Non solo, considerando che molti degli oggetti pensati alla Bauhaus non sono mai entrati in produzione, l’archivio della fotografa rappresenta l’unica documentazione possibile di quel lavoro. Ma siccome il diritto d’autore, e i tentativi di aggirarlo, è


un tema che ha radici lontane, la fotografa e l’architetto iniziano una intensa corrispondenza su un punto: chi è il vero proprietario delle fotografie? Chi ha scattato le foto, o chi ha progettato l’oggetto? Temi mai passati di moda. Così come non è mai passato di moda un altro dettaglio: Lucia Moholy non è mai stata retribuita per quel lavoro. Probabilmente, il suo era stato un modo per partecipare alla vita day-by-day della scuola, un modo per seguire l’incarico professionale del marito alla Bauhaus. Insomma, immagini prive di una firma e di un incarico. Al termine di una lunga battaglia legale, Lucia Moholy riesce ad ottenere qualche centinaio di negativi, circa 300, anche se la stragrande maggioranza delle sue fotografie era già stata utilizzata per le più varie attività di marketing, di comunicazione e di trasmissione della memoria storica del


mondo Bauhaus. Un mondo che noi abbiamo conosciuto in bianco e nero, per scelta di una fotografa di cui conosciamo il nome, ma alla quale è stata bruscamente cancellata la firma. Ad ogni modo, tornando alle varie interpretazioni della fotografia all’interno della scuola, molto significative sono le fotografie degli edifici del Bauhaus a Dessau, le quali si inseriscono perfettamente nella corrente interpretativa dell’architettura.L’istituto rivoluziona, inoltre, la filosofia della costruzione il cui aspetto diventa secondario all’uso per cui viene realizzata.

Al Bauhaus studiò anche il fotografo Paul Citroën, divenuto noto per i suoi collage di molte immagini uguali ripetute in modo ossessivo, al fine di coprire tutta la superficie dell’opera. Concludiamo citando i nomi di due italiani, entrambi scomparsi di recente, che intrapresero in quegli anni la loro attività, tra pittura e fotografia, sulle orme del Bauhaus: Luigi Veronesi, autore di molte composizioni astratte, realizzate anche con la tecnica del "fotogramma" a colori; e Franco Grignani, che ha sperimentato per tutta la vita, utilizzando svariate tecniche fotografiche (ma non solo), gli effetti sulla visione della forma e della luce, diventando uno dei più grandi teorici della percezione.


DANZA


Il Bauhaus, la scuola di disegno industriale fondata da Gropius nel 1919 a Weimar, ha proposto un modello esemplare di perfetta integrazione fra arte e tecnica in vista di una riqualificazione estetica dell’ambiente destinata ad influire sui comportamenti umani e a ricondurli verso uno stato di ritrovata armonia. Il programma prevede il coinvolgimento di tutte le arti visive, assegnando un ruolo privilegiato all’architettura e al teatro che, per il loro carattere interdisciplinare, si pongono come modelli di creazione collettiva e aggregazione comunitaria. Per quanto riguarda il teatro, fra i docenti emerge la figura di Oskar Schlemmer (1888-1943) che, chiamato inizialmente a dirigere il laboratorio di scultura, assume dopo il ritiro di Lothar Schreyer nel 1923, anche la guida del laboratorio teatrale, che con lui assume un’importanza senza precedenti.

Fondamento della concezione scenica di Schlemmer è la riscoperta delle leggi armoniche che legano l’uomo allo spazio e nelle quali si riflette l’ordine del cosmo. Di qui la profonda investigazione sulla figura umana, “misura di tutte le cose”, nella quale si conciliano le opposte polarità dell’organico e del numero. L’altro termine di riferimento è lo spazio, governato da leggi matematiche a carattere astratto in analogia con lo spazio cosmico. La relazione fra i due termini è data dal ballerino, che segue sia la legge del corpo che quella dello spazio, ma perché la conciliazione sia possibile occorre che l’uomo superi i suoi condizionamenti fisici, le emozioni, a sua stessa conformazione corporea per potenziare l’essenza matematica che vive in lui e lo collega allo spazio. Schlemmer tende così a trasformare la figura umana in un manichino geometrico, servendosi dell’ausilio di un costume ispirato ora alle leggi prismatiche dello spazio, ora alle direttrici del movimento, ora alla stessa struttura corporea indagata nella sua occulta impalcatura simbolica. Queste proposte trovano un’applicazione esemplare nel Triadische Ballet, il cui progetto risale al periodo tra il 1912 e il 1915, ma la cui prima esecuzione integrale si colloca all’epoca del Bauhaus con la

rappresentazione data a Stoccarda nel 1922. Come suggerisce il titolo, il balletto è suddiviso in tre sezioni, ciascuna caratterizzata da un colore diverso corrispondente ad un diverso stato d’animo. Si passa così da una prima sequenza a carattere gioioso-burlesco, con scene giallo limone, alla seguente, cerimoniale e solenne, su una dominante rosa, per chiudersi con una fantasia mistica commentata dal nero. Tutto il lavoro vive su una struttura trinitaria: tre ballerini (due uomini e una donna), dodici azioni coreografiche, diciotto costumi. Nei costumi, realizzati con imbottiture e forme rigide di cartapesta, si combinano le forme primarie del cerchio e del cono, che assecondano le direttrici di movimento. Come pedine su un’immaginaria scacchiera, i ballerini si avvicendano ritmicamente sul palcoscenico, disegnando figure geometriche coniugate secondo i moduli ricorrenti del cerchio e della spirale. Le posizioni del danzatore sfuggono al vocabolario del balletto accademico per rispondere piuttosto ai principi dell’euritmica dalcroziana. Tutto si svolge con la cronometrica precisione di un balletto meccanico. Il modello ispiratore è la marionetta, nella quale Schlemmer individua lo strumento per liberare la danza da ogni affettazone sentimentale. La



marionetta sta a rappresentare, second una tematica cara ai romantici, il modello di una condizione anteriore di esistenza, uno stato di innocenza e unità originarie che l’uomo moderno ha definitivamente perduto. Il lavoro di ricerca si struttura in tre sezioni, ciascuna delle quali approfondisce le tematiche chiave dell’apparato teorico di Schlemmer. Ogni sezione può essere letta come un’analisi dei caratteri costitutivi e delle influenze accolte dal teatro schlemmeriano per risalire, in un ragionamento a ritroso, ai due capi opposti e complementari di cui esso costituisce la sintesi: il dionisiaco – pulsione irrazionale e incontenibile – e l’apollineo – ambito del razionale e del commensurabile. La struttura propone, in termini hegeliani, un procedimento composto di tesi, antitesi e sintesi in cui le aree di interesse individuate sono affrontate in altrettanti capitoli. Nella prima sezione, Origini e sviluppo del teatro Bauhaus, si definisce il tema generale di riferimento nella storiografia esistente, anche alla luce degli esiti più recenti delle ricerche promosse dalla fondazione Bauhaus di Dessau, dal Bauhaus Arkiv di Berlino e dalla Staatsgalerie di Stoccarda, sede dell’ archivio Oskar Schlemmer. Partendo dalle influenze delle avanguardie teatrali nella



formazione artistica di Schlemmer, si arriva a definire alcuni dei valori confluiti successivamente nella comunità del Bauahus: l’aspirazione a fondare una nuova società – ovvero l’intera umanità-, il perseguimento di un’ opera d’arte totale basata su una “mitologia privata” secondo la definizione di Manfredo Tafuri, il rapporto tra uomo, spazio e industria e infine le relazioni tra espressionismo e nuova oggettività, chiarite da una storiografia che ha messo in luce la matrice «oscura» del Bauhaus negli scritti di Joseph Rykwert, Manfredo Tafuri, Hans Wingler e Marcel Franciscono, per anni obliterata da una presunta totale adesione della scuola alle istanze dell’ oggettività e del razionalismo. Nella seconda sezione, incentrata sul rapporto tra il teatro del Bauhaus e la tragedia greca, si affronta il tema della celebrazione – sia essa cultuale o festiva – come momento fondativo nella costruzione di miti privati, volti a essere comunque universalmente condivisibili. La rilettura della figura di Dioniso fornita da Karloy Kerényi e della nascita della tragedia Greca secondo Friedrich Nietzsche mostrano analogie e riferimenti precisi nelle opere e nei personaggi di Schlemmer, che invoca nei suoi scritti la presenza di un demone sulla scena, ribadendo l’intenzione di recuperare il teatro come originaria “visione di Dio”. Altre figure dionisiache sono rintracciabili nei personaggi femminili delle azioni teatrali, una su tutte l’Arianna danzante nel labirinto del terzo atto del Balletto Triadico. È qui che si vuole dimostrare come la prorompente forza dionisiaca venga addomesticata e disciplinata da Schlemmer nei telai delle scene riportate al grado massimo di astrazione, per divenire danza spaziale nei costumi spazio-plastici.


Gli attori-marionetta di Schlemmer, mutuati dal drammaturgo Henrich von Kleist, divengono così architetture semoventi in cui l’attore in carne e ossa tende alla grazia divina, compiendo i soli gesti che i costumi permettono. Nell’ultima sezione, incentrata sul rapporto tra spazio progettato e corpo umano, si analizza l’opera di Schlemmer in relazione alla prospettiva rinascimentale, teorizzata proprio in quegli anni da Panofsky come forma simbolica nell’attuazione di un processo di astrazione della figura umana che riporta ordine nel dinamismo. A questo punto la tesi rileva la convergenza delle esperienze di Oskar Schlemmer e Paul Klee mostrando i diversi punti di contatto nell’indagine sul dinamismo quale attributo imprescindibile della contemporaneità; seppure con mezzi e linguaggi artistici diversi tra loro, entrambi perseguono la ricerca di un equilibrio dinamico nel quale l’uomo possa riconoscere una nuova modalità di abitare e percepire la realtà. La ricerca mira a fornire una lettura del corpus teatrale di Schlemmer mediante l’analisi dei processi creativi e progettuali che, sempre orientati alla definizione di un rapporto tra uomo nuovo e nuova architettura, assimilano elementi mitologici e genuini per la costruzione della società del futuro.


AZNAD






Donne La data della nascita del Bauhaus a Weimar, aprile 1919, segna la chiusura di un’epoca. Che non sia un episodio qualsiasi per la storia della cultura europea lo si capisce subito. Si apre, con quell’avvenimento, una storia nuova per tutta l’avanguardia artistica del Novecento. Viene spazzata via la vecchia organizzazione accademica della scuola con l’unificazione dell’Accademia di Belle Arti e la scuola di Arte Applicata, fondata da Henry van de Velde nel 1906. La formazione fra arte e artigianato caratterizza l’inizio, per poi essere soppiantata dall’idea di preparare i progettisti per la produzione industriale seriale.



«Nulla mi ostacola nella mia vita, posso darle la forma che voglio io». - Gunta Stölzl

«Io non cerco né di raccontare il mondo né i miei pensieri, ma solo di comporre l’immagine». - Florence Henri


Qualè stata la forza dirompente del Bauhaus? Nell’architettura, nella pittura, nella definizione dello spazio abitativo, nel design i contributi sono enormi. L’unicità della sua forza va ricercata, però, in qualcosa che nasce nell’intera comunità degli insegnanti e degli studenti. È in quel rapporto costruito su un reciproco scambio che si forma la coscienza di una responsabilità sociale comune. Le componenti fondamentali del Bauhaus di Weimar emergono nel programma di Walter Gropius, che pone l’accento sulla sintesi fra artigianato e arte e lo materializza nella decisione di rinunciare al titolo accademico di professore da sostituire con quello artigianale di maestro, al quale possono accedere anche gli studenti, una volta compiuta la loro formazione. Superato un corso elementare generale obbligatorio, gli studenti entrano in un’officina dove svolgono il loro tirocinio. L’insegnamento è affidato agli artisti “maestri della forma” insieme ai “maestri artigiani” che curano la direzione delle officine. Lì avviene il gioco con i materiali più disparati, con la carta, il gesso, il legno, il vetro, le canne intrecciate, il fil di ferro, i tessuti. La loro composizione è affidata alla capacità creativa degli studenti, che progettano e realizzano gli oggetti. Pratica e sperimentazione sono al centro dell’attività della scuola. Il gruppo di architettura non si forma subito, nonostante Gropius


fosse convinto del primato dell’architettura e della necessità di dover unificare tutte le arti figurative. È solo dopo il trasferimento del Bauhaus a Dessau nel 1925, a seguito del deterioramento dei rapporti con l’amministrazione di Weimar e gli attacchi sempre più forti degli estremisti di destra, che apre la scuola di architettura. L’amministrazione concede il terreno e i finanziamenti per la costruzione della sede, il famoso edificio progettato dallo stesso Gropius e vero manifesto del movimento razionalista di quegli anni. Hannes Meyer sostituisce Gropius alla direzione della scuola di Dessau nel 1928 e la sua era è segnata dalla concezione che l’arte è “per tutti”. Nell’officina del mobile sono prodotti mobili popolari, economici e pratici, così come dalle altre officine escono oggetti per le case dell’edilizia sociale. A Meyer succede Mies van der Rohe fino alla chiusura definitiva del Bauhaus da parte dei nazisti. La nuova sede di Berlino è ospitata in una vecchia fabbrica abbandonata e la scuola assume sempre più le caratteristiche di

un’accademia di architettura. Gli attacchi da parte dei nazionalsocialisti si fanno sempre più violenti, il Bauhaus è definito un covo di bolscevichi. La situazione diventa insostenibile e il collegio dei docenti è costretto a sciogliere definitivamente il Bauhaus il 19 luglio 1933. L’esperienza definita da Gropius «una pluralità di individui disposti a collaborare insieme, senza rinunciare alla loro identità» finisce quel giorno. Nel manifesto della scuola di design, arte e architettura di Weimar, l’architetto fondatore proclama l’assoluta uguaglianza tra donne e uomini, eppure le studentesse sono escluse dalla maggior parte dei corsi e costrette a seguire lezioni considerate più consone alla figura femminile, come tessitura e ceramica. La politica di genere della scuola acclamata non è affatto all’avanguardia. Più donne che uomini si iscrivono alla scuola nel 1919, e Gropius insiste sul fatto che non ci sarebbe stata «nessuna


differenza tra il sesso bello e quello forte». Quelli del “sesso forte” hanno accesso alla pittura, all’intaglio e, dal 1927, al nuovo dipartimento di architettura della scuola. Il “bel sesso” al contrario viene dirottato nei corsi di tessitura e di ceramica. Molte donne provengono dalla grande Scuola Superiore d’arte del Granducato di Sassonia, una delle poche accademie d’arte che accettavale donne già prima della nascita della Repubblica di Weimar. L’annuncio di Gropius «Sarà ammessa come apprendista qualsiasi persona eticamente integra, indipendentemente da età e sesso, qualora il “collegio dei maestri” ne valuti positivamente l’inclinazione e la formazione antecedente» riscuote quindi un grande favore di pubblico.

Nel semestre estivo del 1919 la quota femminile tra gli studenti ammessi, con 84 donne rispetto a 79 uomini, supera il 50%. Il collegio dei maestri, però, si trova impreparato di fronte a un’affluenza tanto massiccia, per cui Gropius pretende una «rigida selezione subito dopo l’ammissione, soprattutto per la presenza numerica eccessivamente elevata del sesso femminile». Una selezione che si concretizza nell’orientamento delle donne verso materie di loro competenza e nel loro confinamento nel laboratorio di tessitura, che per un periodo è anche chiamato “sezione femminile”. La ventenne Gertrud Arndt, piena di ottimismo e speranze, vincitrice di una borsa di studio, si reca al Bauhaus per iscriversi al corso di architettura e le viene detto che per lei l’unico corso disponibile è quello di tessitura. Non tutte le donne, tuttavia, accettano volontariamente l’orientamento alla tessitura e, per effetto della selezione operata il numero delle donne che si iscrivono diminuisce costantemente. La tessitura viene considerata una forma di artigianato artistico e quindi relegata alle posizioni più basse nella gerarchia dell’arte e del design. Eppure, per ironia della sorte, il laboratorio di tessitura è per lungo tempo l’unico a fare profitti, andando quindi a co-finanziare le digressioni artistiche delle sezioni di dominio maschile. Una famosa foto di Lux Feininger mostra un gruppo di giovani donne sulle scale del Bauhaus di Dessau: hanno capelli corti, indossano pantaloni, il loro sguardo spregiudicato fissa l’obiettivo.


e queste giovani determinate donne sono arrivate al Bauhaus da pari a pari, perché il loro nome non ha raggiunto la notorietà dei loro colleghi? Tutti ricordano i nomi di Gropius, Paul Klee, Wassily Kandinsky, László MoholyNagy e Ludwig Mies van der Rohe, pochi conoscono Gunta Stolzl, Benita Otte, Marguerite Friedlaender-Wildenhain, Ilse Fehling, Alma Siedhoff-Buscher, Anni Albers o Gertrud Arndt. Anni Albers, tessitrice e designer tessile rivoluzionaria, arriva al Bauhaus nel 1922, con la speranza di continuare gli studi di pittura che ha iniziato alla School of Arts and Crafts di Amburgo. Trascorre la maggior parte del tempo nel laboratorio di tessitura della scuola e diventa rapidamente la padrona del telaio. La sua tessitura sviluppa modelli a spigoli vivi. I suoi primi arazzi hanno un impatto considerevole sullo sviluppo dell’astrazione geometrica nelle arti visive. Albers esplora le possibilità funzionali dei tessuti con attenzione, sua è la tenda in cotone e cellophane che assorbe insieme il suono e la luce riflessa. Nel 1931 arriva alla direzione del laboratorio di tessitura e diventa una delle prime donne ad assumere un ruolo di guida. Dopo la chiusura della scuola si trasferisce negli Stati Uniti per insegnare presso il prestigioso Black Mountain College.



Gunta Stölzl annota nel suo diario «Nulla mi ostacola nella mia vita, posso darle la forma che voglio io». Ha 22 anni quando si iscrive al Bauhaus. Destinata al laboratorio di tessitura, cattura immediatamente l’attenzione dei suoi insegnanti e colleghi con il suo stile patchwork di modelli e mosaici caleidoscopici. Questi disegni audaci sono poi diventati i rivestimenti delle sedie di Marcel Breuer, oltre a meravigliosi arazzi e tappeti. Marianne Brandt è una delle poche che riesce a entrare nelle officine dei metalli. László Moholy-Nagy riconosce il talento creativo della giovane Brandt nelle prime fasi della sua formazione e le consente di accedere al workshop di dominio maschile, dove raggiunge presto un maggiore successo rispetto ai suoi compagni. Gli oggetti in metallo per l’uso quotidiano della Brandt sono ancora un marchio del Dessau Bauhaus e lei viene celebrata non solo come

pioniera della lavorazione dei metalli, ma come donna ampiamente riconosciuta in un’industria a forte dominio maschile. Le lampade a globo che progetta nel 1926 e la lampada da comodino Kandem, con riflettore regolabile, sono portatrici del design Bauhaus. Tessuto di Gunta Stolzl su sedia di Marcel Breuer Margarete Heymann, giovanissima e determinata, segue l’esempio di Marianne Brandt, resistendo al dovere di seguire altre donne nel laboratorio di tessitura e persuadendo il fondatore della scuola a farle prendere parte al laboratorio di ceramica. Questo è il campo in cui inizia a formare il suo stile unico, creando oggetti angolari formati da cerchi e triangoli e decorati con motivi costruttivisti. La chiusura del Bauhaus da parte dei nazisti nel 1933 è seguita da anni caotici e tragici per molti ex membri della scuola: sei donne muoiono nei campi di concentramento, una in un bombardamento.



Gunta Stölzl annota nel suo diario «Nulla mi ostacola nella mia vita, posso darle la forma che voglio io». Ha 22 anni quando si iscrive al Bauhaus. Destinata al laboratorio di tessitura, cattura immediatamente l’attenzione dei suoi insegnanti e colleghi con il suo stile patchwork di modelli e mosaici caleidoscopici. Questi disegni audaci sono poi diventati i rivestimenti delle sedie di Marcel Breuer, oltre a meravigliosi arazzi e tappeti. Marianne Brandt è una delle poche che riesce a entrare nelle officine dei metalli. László Moholy-Nagy riconosce il talento creativo della giovane Brandt nelle prime fasi della sua formazione e le consente di accedere al workshop di dominio maschile, dove raggiunge presto un maggiore successo rispetto ai suoi compagni. Gli oggetti in metallo per l’uso quotidiano della Brandt sono ancora un marchio del Dessau Bauhaus e lei viene celebrata non solo come

pioniera della lavorazione dei metalli, ma come donna ampiamente riconosciuta in un’industria a forte dominio maschile. Le lampade a globo che progetta nel 1926 e la lampada da comodino Kandem, con riflettore regolabile, sono portatrici del design Bauhaus. Tessuto di Gunta Stolzl su sedia di Marcel Breuer Margarete Heymann, giovanissima e determinata, segue l’esempio di Marianne Brandt, resistendo al dovere di seguire altre donne nel laboratorio di tessitura e persuadendo il fondatore della scuola a farle prendere parte al laboratorio di ceramica. Questo è il campo in cui inizia a formare il suo stile unico, creando oggetti angolari formati da cerchi e triangoli e decorati con motivi costruttivisti. La chiusura del Bauhaus da parte dei nazisti nel 1933 è seguita da anni caotici e tragici per molti ex membri della scuola: sei donne muoiono nei campi di concentramento, una in un bombardamento.





Nel

dopoguerra


Il Bauhaus non fu mai ricostituito dopo la seconda guerra mondiale, tuttavia la sua eredità nel mondo artistico è ben riconoscibile fino ad oggi sia in Europa occidentale che negli Stati Uniti. Difatti proprio negli Stati Uniti, a seguito della fuga di molti insegnanti del Bauhaus dalla Germania durante l’instaurazione del regime nazista, molti di loro si rifugiarono negli Stati Uniti dove il movimento nato dai canoni Bauhausiani si chiamerà International Style. Difatti molte scuole di design nate in quel periodo si basavano sui dettami e percorsi che il Bauhaus aveva creato poco tempo prima in Europa. Alcune delle scuole che più si avvicinano al Bauhaus sono il Vchutemas, nato in Unione Sovietica a seguito della rivoluzione dal 1920 al 1927 e Hochschule für Gestaltung (scuola superiore di design) fondata a Ulm in Germania dal 1955 fino al 1968. Un tentativo di formazione di una scuola che costituisse un Bauhaus nel dopoguerra ci fu nel 1953 per mano del pittore danese Asger Jorn che proponeva la creazione di

un’organizzazione di liberi artisti sperimentali simile alla scuola di Gropius. Nel corso del 1954 nacque il “Movimento Internazionale per un Bauhaus Immaginista” che raccolse svariati consensi, facendo varie mostre e laboratori negli anni fino al 1957 dopo il quale il movimento cessò di esistere per fondersi in un altro movimento artistico. Nonostante una vera e propria scuola modello Bauhaus non si ebbe più negli anni avvenire, è innegabile che moltissime delle tendenze che vediamo fino ad oggi siano direttamente (chi più e chi meno) influenzate dal Bauhaus e questa probabilmente si può considerare un’eredità ben più importante di qualsiasi scuola fisica. I siti della scuola del Bauhaus di Weimar e Dessau sono stati riconosciuti come patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1996. L’epilogo tragico che si trasforma in prologo epico. I Nazisti, obbligando il Bauhaus – la celebre scuola di arte, design e architettura fondata nel 1919 a Weimar – a chiudere i battenti nel 1933, innescarono una diaspora


drammatica ma incredibilmente feconda per tutti quei Paesi che ebbero la fortuna di riceverne i migranti. Volevano bloccare il contagio ma, a conti fatti, non fecero altro che favorire una pandemia inarrestabile, i cui effetti si fanno sentire ancora oggi, a cent’anni di distanza dalla Genesi. Il caso più noto è quello degli Stati Uniti, che accolsero a braccia aperte un numero considerevole di Bauhäusler, tra cui i maestri più famosi: Walter Gropius (il Pio GroPius, fondatore del Mito) ad Harvard, Mies van der Rohe all’Illinois Institute of Technology, Josef e Anni Albers al Black Mountain College, Moholy-Nagy al New Bauhaus Chicago, etc. Furono loro a diffondere – ognuno a modo suo – i semi dell’esperienza tedesca dall’altra parte dell’Atlantico, influenzando le nuove generazioni di progettisti. Si pensi soltanto a qualche nome destinato a diventare celeberrimo, come Paul Rudolph o I.M. Pei, allievi di Gropius; oppure ai tanti emuli di Mies, da Philip Johnson, allievo molto particolare, in avanti. La santificazione del

mito americano del Bauhaus avvenne con una cerimonia sacra, tenuta in una cattedrale newyorkese: nel 1938, il Museum of Modern Art mise in scena una grande mostra – con allestimento e catalogo firmati da Herbert Bayer – che divenne il Nuovo Testamento. Nel resto del mondo, il Verbo si diffuse però in maniera molto più ampia e diversificata, come rimarcano le tante mostre preparate in occasione dell’attuale Giubileo (1919-2019). L’esposizione in scena al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, fino al 26 maggio 2019, illustra per esempio i rapporti tra Olanda e Bauhaus, partendo dalle origini fino alla traiettoria dei circa trenta esponenti della scuola, studenti e maestri, che dopo il 1933 ripararono nei Paesi Bassi lavorando per le industrie olandesi, aprendo studi professionali e insegnando a loro volta. Molto meno nota è però l’eco del Bauhaus negli altri continenti, finalmente rivelata da un progetto di ricerca curato Marion von Osten e Grant Watson, Bauhaus Imaginista, che dopo tappe preliminari




in giro per il mondo viene riassunto in occasione del centenario presso la Haus der Kulturen der Welt di Berlino (fino al 10 giugno 2019). In mostra si scoprono collegamenti e percorsi poco noti e spesso imprevisti, che conducono a un cambio di prospettive geografiche e storiografiche sul Bauhaus. Al centro della mostra vi sono soprattutto i molti esperimenti pedagogici che in diversa maniera possono essere considerati affini (o ispirati) a quello di Gropius e colleghi. Interessante, ad esempio, è il parallelo tra il primissimo Bauhaus e la scuola d’arte Kala Bhavan vicino a Calcutta, fondata lo stesso anno (1919) dal poeta indiano Rabindranath Tagore, che cercava di trovare una strada post-coloniale per il design locale mischiando tradizioni orientali (dall’India a Java), avanguardie e Arts & Crafts britanniche. Il risultato fu una specie di “modernismo rurale” (rural modernism), legato al contesto ma aperto allo scambio internazionale. L’esperienza del Bauhaus, e soprattutto l’approccio didattico di Johannes Itten, entravano in risonanza con la

scuola indiana. Se ne accorse la storica dell’arte austriaca Stella Kramrisch: chiamata a insegnare a Kala Bhavan, scrisse a Itten per organizzare una mostra sul Bauhaus a Calcutta, che si tenne nel 1922 alla 14th Annual Exhibition of the Indian Society of Oriental Art. Fu la prima mostra sulla scuola tedesca fuori dalla Germania; il primo tassello della sua fama internazionale. L’esposizione berlinese è generosa di collegamenti: si va dalla Nigeria a Taiwan, dalla Corea del Nord alla Cina, dal Messico agli Stati Uniti, dal Brasile al Marocco, dalla Russia al Giappone. In molti Paesi, questo radicale rinnovamento didattico rappresentava un antidoto all’accademismo fino a quel momento imperante, spesso di matrice coloniale, al quale opporre la freschezza delle tradizioni locali. In questo senso, il Bauhaus funzionò, come nel caso del Research Institute for Life Design di Tokyo, fondato nel 1931, da piattaforma di scambio culturale in cui veniva meno l’accademica gerarchia tra arte alta e arti applicate. L’arte, spogliata del lato più vetusto della sua


sacralità, diveniva materia da utilizzare quotidianamente per migliorare la vita di tutti, riflettendo gli impulsi – purtroppo presto disillusi – verso la democratizzazione della società. È importante sottolineare come la mostra eviti accuratamente la celebrazione del Bauhaus come motore e modello unico delle tante storie raccontate. Piuttosto, la complessità delle singole voci tende a creare una rete priva (o quasi) di gerarchie, esaltando l’arricchimento specifico generatosi in ogni singolo capitolo. Possiamo quindi parlare di molti Bauhaus, non di uno solo. Diversi Bauhaus coesistettero e si alternarono durante l’apertura della Scuola, ma molti di più – ufficiali o ufficiosi, collegati o paralleli – costituirono la sua eredità postuma, secondo un processo di strumentalizzazione che rappresenta un problema critico interessante al pari dell’effettiva attività della sua storia “originale”. L’evoluzione del post-Bauhaus negli Stati Uniti, a cui già si è fatto riferimento, rappresenta bene la polifonia di

voci che si spartirono la sua eredità. Un esempio per tutti: la citata mostra del 1938 al MoMA trattava soltanto il periodo di Walter Gropius (1919-1928), escludendo le direzioni di Hannes Meyer e Mies, segnando l’inizio di un processo di “censura” storiografica. In Italia, nel secondo dopoguerra, si possono invece ricordare le opposte interpretazioni date da Bruno Zevi e Giulio Carlo Argan. Per il primo, la scuola tedesca era considerata infatti “l’antipolo del dogmatismo lecorbusieriano e quasi una camera di decantazione per l’evoluzione dal razionalismo alla ‘tendenza organica’”. Invece per Argan, che nel 1951 pubblicava per i tipi di Einaudi una mitica monografia, la figura di Gropius (in quanto sinonimo di Bauhaus) fu presa a simbolo della necessità di un ruolo sociale e politico dell’architetto. Ognuno tirava acqua al suo mulino e il Bauhaus diveniva uno specchio nel quale riflettersi, magari aggiustando l’inclinazione per accentuare l’inquadratura più conveniente.




Insomma, il Bauhaus – come tanti altri fenomeni culturali – è stato canonizzato in vario modo a seconda della singola interpretazione o ideologia, con effetti dirompenti. Su questo aspetto faceva riflettere Reyner Banham, che già in Theory and Design in the First Machine Age (1960) aveva messo in luce le contraddizioni della scuola. Nel suo intervento intitolato Il Vangelo del Bauhaus, scritto per una conferenza alla radio inglese e poi pubblicato nel 1968 su The Listener, Banham ragionava sul successo mediatico della scuola, a partire dal suo primo incontro con il libro The New Vision di Moholy-Nagy (1939). Con il suo acuto sarcasmo, il critico britannico scriveva: “Questo incontro… non fu come una conversione sulla via di Damasco, ma ebbi la netta sensazione di aver fra le mani un testo sacro, il Terzo Testamento, il vangelo secondo il Bauhaus”. Banham sottolinea come simili libri, caratterizzati da un efficace ordinamento di concetti e relative immagini, fecero grande presa in Inghilterra: “Libri del Bauhaus come quelli di Moholy o

di Klee (…) devono essere apparsi stupendamente solidi e convincenti (…): le teste d’uovo delle scuole d’arte vi si attaccarono come a dei salvagenti”. Se Gropius, com’è noto, non riuscì a realizzare il suo proposito di fondare un nuovo Bauhaus in Inghilterra, l’influenza arrivò attraverso pubblicazioni, piuttosto che tramite un contatto diretto con i protagonisti della scuola. “Libri, libri, sempre parole stampate. Divennero veramente parole divinatorie, perché i riformatori delle scuole d’arte sembravano credere che in quei libri vi fosse la rivelazione di un sistema educativo eternamente e universalmente valido. Sembrava che i docenti dovessero ridursi allo stato di umili depositari del Verbo (…)” Va citata la rielaborazione – molto più raffinata – operata da Alessandro Mendini, che negli anni Settanta scelse l’iconografia del Bauhaus come sintesi – perfetta dal punto di vista comunicativo, data la sua fama – di un approccio funzionalista da superare nell’ottica di una liberazione della figura di designer come artista.





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