L’ANGOLO DEI LETTORI RAPITI “ Leggere è andare incontro a qualcosa che sta per essere e ancora nessuno sa cosa sarà.” - Italo Calvino
«I libri sono portatori di civiltà. Senza libri, la storia è silenziosa, la letteratura è muta, la scienza è inetta, il pensiero e la speculazione sono ad un punto morto. I libri sono i motori del cambiamento, le finestre sul mondo, i fari eretti nel mare del tempo» - Barbara Tuchman La trasformazione della parola orale in parola scritta è senza dubbio uno degli scatti evolutivi più importanti dell’essere umano, pari soltanto alla precedente conversione dei versi primitivi in una forma di linguaggio sensato, e non è un caso se è da questa grandiosa rivoluzione che tradizionalmente comincia “la storia”. In che modo ci saremo evoluti senza testimonianze del passato, senza poter avere impressi i pensieri dei più grandi filosofi e le scoperte delle grandi menti della storia, senza poter usufruire dell’esperienza di chi è venuto prima di noi…Ci saremmo davvero evoluti? E come sarebbe stata strutturata la nostra società senza leggi scritte, contratti o accordi di pace? Sarebbe stata anarchia. Il libro è stato il primo vero mezzo di comunicazione di massa; l’intera esistenza dell’essere umano si basa sulla nostra capacità di poter diffondere attraverso la parola scritta qualsiasi nozione o idea vogliamo, che entrerà inevitabilmente a far parte del bagaglio culturale dei nostri simili, e che sommandosi a molte altre andrà a creare all’interno del singolo individuo qualcosa di indispensabile: Un’opinione.
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La Meccanica deL cuore Mathias Melzieu
Quattro cHiaccHiere con M aria rosaria d’a Mico
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Hugo e rose
cHiMaManda ngozi adicHie:
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sturdust
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cecità
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seta
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iL gigante sepoLto
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La triLogia dei coLori
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Maus
Bridget Foley
Nail Gaiman e Charles Vess
Josè Saramago
A. Baricco e Rébecca Dautremer
Kazuo Ishiguro
Maxence Fermine
Art Spiegelman
Una pessimistica ottimista
ana Juan Tra i silenzi di una storia
aLessia roccHi Quando alla storia si intreccia la fantasia
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generazioni a confronto
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autori o Lettori?
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L’aLtro Lato deL 2020
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più Libri più Liberi
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editoria auMentata
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10 Libri iMperdibiLi degLi uLtiMi trent’anni
novità
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WatcH & cHiLL
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Consigli Let terari Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria! Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è una immortalità all’indietro
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- Umberto Eco
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”
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TRAMA
N
ella notte più fredda del mondo possono verificarsi strani fenomeni. È il 1874 e in una vecchia casa in cima alla collina più alta di Edimburgo il piccolo Jack nasce con il cuore completamente ghiacciato. La bizzarra levatrice Madeleine, dai più considerata una strega, salverà il neonato applicando al suo cuore difettoso un orologio a cucù. La protesi è tanto ingegnosa quanto fragile e i sentimenti estremi potrebbero risultare fatali. Ma non si può vivere al riparo dalle emozioni e, il giorno del decimo compleanno di Jack, la voce ammaliante di una piccola cantante andalusa fa vibrare il suo cuore come non mai. L’impavido eroe, ormai innamorato, è disposto a tutto per lei. Non lo spaventa la fuga né la violenza, nemmeno un viaggio attraverso mezza Europa fino a Granada alla ricerca dell’incantevole creatura, in compagnia dell’estroso illusionista Georges Méliès. E finalmente, due figure delicate, fuori degli schemi, si incontrano di nuovo e si amano. L’amore è dolce scoperta, ma anche tormento e dolore, e Jack lo sperimenterà ben presto. Intriso di atmosfere che ricordano il miglior cinema di Tim Burton, ritmato da avventure di sapore cavalleresco, una favola e un romanzo di formazione, in cui l’autore, con scrittura lieve ed evocativa, punteggiata di ironia, traccia un’indimenticabile metafora sul sentimento amoroso, ineluttabile nella sua misteriosa complessità.
Una storia sulla diversità raccontata con toni surreali, delicati, ironici e a tratti amari. - Repubblica
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RECENSIONE La meccanica del cuore è un libro del 2007, il primo di Mathias Malzieu ad essere stato pubblicato in Italia (nel 2012); l’edizione è a cura della Feltrinelli, e la bellissima copertina, come tutte le altre dei libri dell’autore, è stata illustrata da Benjamin Lacombe. Nel 2013 ne è stato tratto un film d’animazione scritto e diretto dallo stesso Malzieu con la collaborazione di Stéphane Berla; anche la colonna sonora è affidata al gruppo musicale dello stesso autore (di cui è vocalist), mentre in questo caso il character design è stato affidato all’illustratrice italiana Nicoletta Ceccoli. È uno di quei libri incredibilmente difficili da incasellare in un unico genere letterario: presenta molti punti in comune con la classica struttura delle favole, un’assidua ricerca dell’amore degna dei più commoventi romanzi rosa, ma con un realismo e delle tinte cupe classiche di un libro gotico, senza contare la componente fantastica e surrealista; eppure tutto ciò non sembra importante, anche durante la lettura è sempre presente un non detto,
qualcosa di non esplicitato che non riusciamo a recepire a pieno sino alla chiusura del libro, quando abbiamo la chiara percezione che tutta la trama non sia altro che una grande metafora per qualcosa di molto più grande, che riguarda la storia di ognuno, non solo quella di Jack. Molto più che per la sua trama, che ad ogni modo colpisce dritto al cuore chiunque abbia mai provato amore (e non solo quello romantico), questa piccola perla si distingue per l’incredibile maestranza nello scrivere dell’autore. Mathias Malzieu ha delle grandissime doti da paroliere, ed ogni capitolo è perfettamente bilanciato a quelli precedenti e successivi, con momenti distensivi o più intraprendenti, dando al susseguirsi degli eventi un ritmo che non concede spazio alla noia. La lettura di questo libro di appena centosessanta pagine è molto scorrevole, ma non per questo lo stile narrativo è semplice o semplificato, nasconde invece in se moltissima poesia; tutto questo però senza influenzare la sospensione dell’incredulità che ogni
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fantasy che si rispetti deve mantenere. È infatti ineccepibile il modo in cui dimentichiamo di star leggendo una storia surreale, immergendoci completamente nel mondo che ci presenta l’autore, e accogliendo con un’ ottica di completa normalizzazione cose o eventi che ci risulterebbero paradossali fuori contesto.
salverà la vita donandogli un cuore artificiale, si chiama Madeleine, stesso nome del dolce che grazie agli scritti di Marcel Proust, tutto il mondo accomuna al concetto di ricordo.
Altro tema fondamentale è la crescita, sotto ogni suo aspetto in effetti, anagrafico ed Little Jack, il protagonista, nella emotivo. Il libro non parla solo Uno, non toccare le lancette. sua diversità e nel modo in cui il delle età di Jack, ma di quelle dei Due, dominala rabbia. mondo si approccia a lui, ricorsentimenti in modo universale; Tre, non innamorarti, da una sorta di Edward mani inizialmente confusi, ma sinceri mai e poi mai. di forbice. Anche l’atmosfera in e favolistici, propensi all’idealizcui ci catapulta il racconto evoca zazione dell’amore, poi pieni di quelle bartoniane, nonostante il soggetto sia una tenera passione ed intensità, come tutto nell’adolescenza, fino ricerca dell’amore. a morire se non vengono accuratamente nutriti, con Ma il vero protagonista di questo racconto è il cuore, costanza e pazienza. con tutti i suoi sentimenti le contraddizioni ed i ricordi; non a caso la strega da cui si reca la madre di È un romanzo breve ma intenso, pieno di passione e jack per metterlo al mondo e che successivamente gli sentimento, ma soprattutto pieno di vita.
TITOLO:
La meccanica del cuore TITIOLO ORIGINALE:
La mécanique du cœur AUTORE:
Mathias Melzieu GENERE:
Fantasy romantico ANNO DI PUBBLICAZIONE:
2007 CASA EDITRICE:
Feltrinelli
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MATHIAS MALZIEU
Cantante, musicista e scrittore francese, leader dei Dionysos, considerato uno dei migliori gruppi rock francesi. Vive a Parigi. In Italia i suoi libri sono tutti editi da Feltrinelli, e hanno riscosso un grande successo di critica e di pubblico in diversi paesi del mondo, soprattutto La meccanica del cuore e Una sirena a Parigi, che hanno visto realizzata anche un loro adattamento cinematografico. È cresciuto e ha passato la sua adolescenza a Valenza, Francia. Voleva giocare a tennis e seguire le orme del suo idolo John McEnroe, m un incidente gli fece cambiare idea. Durante la convalescenza iniziò a scrivere canzoni con l’aiuto della sua chitarra, e fu allora che tre dei suo compagni di scuola si unirono a lui (Éric Serra-Tosio, Mickael Poyo e Guillerme Garidel), con i quali formali gruppo musicale Dionysos nel 1993. La cantante e violinista Babet si unì a loro nel 1997. Nel 2007 collabora con il cantante Jean Guidoni, scrivendo per lui la canzone “Oh loup!”. Nello stesso anno partecipa alla produzione dell’album “Tout n’est plus si noir…” della band francese Weepers Circus, suonando l’ukulele in na delle tracce. Ha scritto e prodotto canzoni e album musicali per molti altri artisti, tra i quali Olivia Ruiz e Cali. Nel 2010 fa un’apparizione nel film “Gainsbourg” di Joann Sfar, nel quale lui ed i suoi compagni dei Dionysos interpretano dei musicisti. Oltre ai numerosi dischi e concerti con il suo gruppo, nel 2003 scrisse una raccolta di fiabe “38 mini westerns avec des fantômes”, cimentandosi per la prima volta nella scrittura creativa. Successivamente nel 2005 arrivò il primo romanzo, “Maintenant qu’il fait tout le temps nuit sur toi” (tradotto “ora che il buio è sempre su di te” inedito in Italia), che scrisse subito dopo la mote della madre e in onore di sua sorella Lisa, inoltre ispirò il suo album “Monsters in Love”. Nel 2007 pubblica “La meccanica del cuore”, libro accompagnato dall’omonimo album musicale, che lo portò alla notorietà internazionale come scrittore. Successivamente nel 2011 scrisse “L’uomo delle nuvole”,
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che ispira alcune delle sue canzoni inserite nell’album “Bird ‘n’ Roll”; nel 2013 pubblicò “Il bacio più breve della storia”, e “Vampiro in pigiama” nel 2016, che di nuovo fu accompagnato da un’omonimo album del suo gruppo musicale, e che scrisse durante un ricovero a causa di un’anemia aplastica, per la quale fu costretto a sottomettersi ad un trapianto di midollo osseo. Il suo ultimo libro è “Una sirena a Parigi” del 2019, la cui storia è ispirata all’alluvione che ha inondato Parigi nel 2016, sommergendo il ponte Alexandre III. L’autore si è cimentato anche come regista, infatti nel 1014 ha co-diretto (assieme a Stéphane Berla) il film d’animazione “Jack et la Mécanique du cœur”, ancora non tradotto in Italiano, basato sul suo libro La meccanica del cuore. I Dionysos hanno curato la colonna sonora della pellicola, che è stata anche il primo lavoro cinematografico a cui ha partecipato l’illustratrice sammarinese Nicoletta Ceccoli; il film è stato candidato all’European Film Awards come miglior film d’animazione. Nel 2020 Malzieu dirige “Una sirena a Parigi”, adattamento del suo omonimo romanzo, e trova una giusta misura tra i diversi linguaggi: animazione (il richiamo è al suo Jack et la mécanique du cœur), momenti da videoclip, e tanta musica.Ha avuto un ottimo riscontro sia dal pubblico che dalla critica: in Italia al Box Office ha incassato nelle prime 7 settimane di programmazione 32 mila euro e 13,3 mila euro nel primo weekend. Mathias Malzieu è un’artista dalle molte sfaccettature, ed è sicuramente interessante la sua tendenza ad unire il suo talento musicale al suo spirito autoriale e artistico, senza contare che anche al livello di marketing si è rivelata un’intuizione promettente, che permette ai fan dei Dionysos di avvicinarsi ai suoi romanzi e viceversa. È innegabile inoltre la sua predilezione per la fiaba e la poetica, l’elemento fantastico è sempre preponderante nelle sue opere, ricorre nei testi delle sue canzoni, nei contenuti dei suoi libri, e scorre anche attraverso la macchina da presa.
BIBLIOGRAFIA
Il bacio più breve della storia
Una sirena a Parigi
L’uomo delle nuvole
Vampiro in pigiama
FILMOGRAFIA
Bridget
Foley
Hugo e Rose
«Il romanzo geniale e profondo di Bridget Foley terrà i lettori stregati mentre procede verso una stupefacente conclusione». - Booklist
TRAMA
R
ose è delusa dalla sua vita pur non avendone motivo: ha una bella famiglia e una deliziosa casa in un bel quartiere. Ma per Rose questa vita ordinaria è messa in ombra dalla sua altra vita, quella che vive ogni notte nei suoi sogni. Da bambina, in seguito a un incidente, ha iniziato a sognare una meravigliosa isola ricca di avventure. Su quest’isola non è mai stata sola: c’è sempre stato Hugo, un ragazzo coraggioso che cresce assieme a lei negli anni fino a diventare il suo eroe. Ma quando Rose incontra casualmente Hugo nella vita vera i suoi sogni e la vita reale cambieranno per sempre. Si trova infatti davanti l’uomo che ha condiviso le sue incredibili avventure in luoghi impossibili, che è cresciuto assieme a lei, ma ambedue sono molto diversi da come si erano immaginati. Il loro incontro casuale dà il via a una cascata di domande, bugie e a una pericolosa ossessione che minaccia di rovesciare il mondo di Rose. Lei vorrà veramente perdere tutto ciò che le è caro per capire lo straordinario rapporto che li unisce? Sorretto da un’immaginazione vibrante e da una scrittura poetica, Hugo e Rose è un romanzo che resterà impresso a lungo nella mente dei lettori.
coloro che pubblicano, tra gli altri, il fenomeno Elena Ferrante e che mai sono soliti darsi a frivolezze, credevano in questa fiaba moderna e un giorno, per email, mi hanno chiesto e tu ci credi?.
RECENSIONE
Hugo e Rose passeggiava su spiagge incantate e tra generi confinanti, il rosa e il fantastico; era diverso, ma volevo capire diverso in che senso. Inizialmente l’ho considerato un libro delicato – che sa renderti ispirato e emotivo senza eccessi – andava bene l’ombra di quei petali delicati che adesso, disfatto del tutto il mazzo, seccano tra queste pagine. Chissà se sono capitati nel punto in cui i due protagonisti stanno per incontrarsi, o chissà se diventano gialli, quasi di carta pesta, nel capitolo – più o meno a metà – in cui devono scegliere, combattuti, tra realtà e fuga. Chiariamoci, non che la trama menta. Abbiamo sì una Rose casalinga disperata dall’immaginazione iperattiva, e sì un incontro surreale: il bambino che sogna da tutta la vita e che diventa adulto insieme a lei – esiste anche a occhi aperti. Ma Rose, mamma a tempo pieno e moglie insoddisfatta, è fatta di carne (stando a lei, troppa) e non di nebulosi cliché: nessun marito traditore o catastrofiche storie di traumi. Se Rose è a un bivio, infelice, è perché i suoi bambini fanno più capricci che nei film per famiglie e i chili di troppo, causati da una vita sedentaria e dolci caldi, le hanno formato un morbido salvagente intorno al girovita di cui si vergogna profondamente. Da trent’anni si addormenta pensando al suo Hugo – compagno di mille avventure – e alla dettagliata geografia di un mondo fantastico: sabbia rosa, castelli irraggiungibili, acque limpide e belve che si uccidono con spade forgiate con fili d’erba.
La parola giusta per descrivere questo libro è “inaspettato”. Non è la banale storia d’amore che alcune sinossi riassumevano e che i lettori d’oltreoceano, vagamente amareggiati, spesso reclamavano. Si è rivelato, a conti fatti, speciale, coraggioso, originale: a modo suo. Il romanzo d’esordio di Bridget Foley, ai primi passi appena ma bravissima, sfiora corde semplici e ha un suono familiare, come se fosse un lento già ballato, o così si pensa. La storia che passa dalle parti di Domeniche da Tiffany e Se tu mi vedessi ora non è quel che sembra, a conferma di un’impressione iniziale sorta per determinate aspettative legate a una determinata casa editrice:
Bridget Foley descrive la quotidianità di una famiglia comune di cui avremmo potuto leggere, magari, in un romanzo borghese vecchio stile con straordinaria fantasia. Due coniugi intimi e fedeli l’un l’altro che non hanno troppo a cui pensare – scuola pubblica o privata per i bambini, quand’è che Penny smetterà di usare il vasino, sarà giusto acquistare la bici della discordia per il compleanno del primogenito – che, sin dalla prima notte insieme, hanno una persona a dividerli. Josh vive un bizzarro ménage sentimentale: condivide il letto con sua moglie, che ama perdutamente anche con le smagliature e le pappe dei neonati tra i capelli, e i suoi sogni segreti. Si può essere davvero gelosi di un semplice frutto dell’inconscio? Finché Hugo non si presenta a cena su invito – anche lui studiato per essere contro
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i luoghi comuni, appesantito, sfiduciato e impiegato in sani e salvi – anche se qualche segno del folle volo resta, un poco nobile fast food – e coi suoi vividi disegni e sottoforma di livido – ma niente sarà più lo stesso. Il tutto un trascorso insieme non diventa importante per fantasy tradizionale con belve da fumetto, la narrativa d’autore con donne medie allo specchio, il giallo di Rose. Prima di andare a dormire e al risveglio. Ma arriva il momento in cui da uno stile fiabesco, ras- un misterioso principe azzurro (medio anche lui), in sicurante, si passa a una scrittura cupa e angosciosa. una narrazione semplice e complessa insieme dove il In trecento pagine, Hugo e Rose sa essere tenerissi- sogno è metafora, diretta conseguenza, meditata elamo e inquietantissimo senza bisogno di una parola di borazione. Chi è ospite nel sogno dell’altro, infatti? Chi l’architetto, chi il costruttore, tra troppo. I sogni sono fatti di malui e lei? Ancora prima dei fiori teriale invisibile, fuggevole: sono Rose immaginava di essere secchi, ancora prima di un finale imprevedibili, come la Foley. anche lei speciale, nel modo in visionario e giustissimo, in deAll’improvviso, diventano incubi cui tutti sono speciali e quindi terminati momenti, determinati e non si prendono la briga di avnessuno lo è per davvero. dialoghi, il libro mi aveva dato vertire. La vita di coppia si carica di complicazioni, mentre i sogni hanno strascichi per- sensazioni quasi thriller, o meglio di suspense, come se ci fosse qualcosa di sbagliato ma non si riesce ad cepibili anche quando si è vigili e attenti. individuare cosa, come se ci fosse una pagina rosa che Nel mondo di Morfeo e nelle cucine di angeli del fo- in realtà copre il più marcio degli scenari. colare spazientiti, ma non per questo madri cattive, È un racconto che travalica i generi d’appartenenza, e si compie un salto stupefacente. Da Cecelia Ahern a prendendo due opposti, da un lato l’odio incarnato e Stephen King, passando su una voragine in cui pulsano dall’altro l’amore personificato, ci si accorge pian piano le piccole faccende quotidiane, le grandi frustrazioni, di come parlino in maniera nuova, personale, di vuoti, i mostri del mare aperto. Si giungerà dall’altra parte mancanze e però.
TITOLO:
Hugo e Rose TITIOLO ORIGINALE:
Hugo & Rose AUTORE:
Bridget Foley GENERE:
Sperimentale ANNO DI PUBBLICAZIONE:
2015 CASA EDITRICE:
Edizioni E/O
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BRIDGET FOLEY
Originaria del Colorado, Bridget Foley ha frequentato la Tisch School of the Arts della NYU e la School of Theatre, Film and Television della UCLA. Ha lavorato come attrice e sceneggiatrice prima di diventare una scrittrice. Il suo primo libro, Hugo & Rose, è stato pubblicato nel 2015, Mentre l’era digitale continua a catapultare gli editori sulla scena globale, la Foley rimane decisamente di basso profilo, ed è estremamente complicato reperire informazioni su di lei e sul suo percorso, sembra quasi si rifiuti di essere coinvolta nel circuito oltre il limite richiesto dai suoi doveri di scrittrice. Ora vive una vita ferocemente creativa con la sua famiglia fuori Seattle, ed è onorata di essere un membro dei
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Seattle7Writers, un gruppo di scrittori che ha deciso di aprire un blog online per aiutare gli aspiranti scrittori di Siattle ad emergere nel mercato editoriale: «La missione di questo blog è raggiungere gli scrittori locali e fornire loro supporto collegandoli a librai, bibliotecari e lettori locali. Forniamo anche loro supporto agli dando consigli per migliorare il loro stile e le loro abilità di scrittura. È il sogno di ogni scrittore essere pubblicato in tutto il mondo. Ma il nostro obiettivo è almeno pubblicarli prima a livello locale collegandoli agli editori di quì. seattle7writers.org vuole essere terreno fiorente per tutti gli aspiranti scrittori locali che vengono scoperti prima dai loro lettori nella loro città.»
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STURDUST Una nuova edizione di una delle opere più amate di Nail Gaiman illustrata da Charles Vess
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TRAMA
I
n una fredda sera di ottobre una stella cadente attraversa il cielo e il giovane Tristan, per conquistare la bellissima Victoria, promette di andarla a prendere. Dovrà così oltrepassare il varco proibito nel muro di pietra a est del villaggio e avventurarsi nel bosco dove ogni nove anni si raccoglie un incredibile mercato di oggetti magici. È solo in quell’occasione che agli umani è concesso inoltrarsi nel mondo di Faerie. Tristan non sa di essere stato concepito proprio lì da una bellissima fata dagli occhi viola e da un giovane umano, e non sa neppure che i malvagi figli del Signore di Stormhold e Signore degli Alti Dirupi sono anche loro a caccia della stella...
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RECENSIONE
Quando Victoria, la ragazza più bella e ambita del villaggio, nel tentativo di rifiutarlo definitivamente, promette a Tristan si concederà a lui solo se le porterà la stella cadente che è appena sfrecciata nel cielo, il ragazzo si lancia verso un’avventura surreale, scoprendo un mondo nuovo e surreale. La sua ricerca sarà lunga e piena di pericoli. Fin dalle primissime pagine, è chiaro che ci si trova davanti ad una vera e propria favola, con tutti i canoni e gli stereotipi (trattati in maniera assolutamente innovativa) del genere: streghe, principi, fanciulle in pericolo e tanta magia, e non a caso il libro si apre con il classico “C’era una volta”. Anche lo stile che Gaiman ha deciso di adottare per questo libro ricorda molto quello delle favole più famose, tanto da riportarci con la mente a quelle sere d’infanzia in cui mamma e papà ci leggevano “La bella addormentata nel bosco” e “Cappuccetto rosso” prima di andare a letto. Questo libro non riporta assolutamente uno di quei racconti in cui il protagonista si ritrova a fare da “solista”, è piuttosto una narrazione corale, che segue vari personaggi che in qualche modo sono collegati tra di loro, anche se non si capisce subito in che modo. L’intreccio delle storie a cui assistiamo inizialmente è effettivamente un po’ confusionario, e solo a fine lettura si riesce a mettere insieme i pezzi del puzzle, quando il lettore a ormai creato un certo legame con i personaggi e le loro avventure; si realizza che la confusione precedente era voluta, e che Gaiman come sempre, si rivela un’autore geniale. Le storie comunque sono tutte estremamente ecoinvolgenti: Il protagonista, e il filo conduttore della storia, è senz’altro Tristan, ma tutti i personaggi secondari non agiscono come semplici comparse di contorno, ma ognuno ha obbiettivi e desideri ben definiti, il che li rende estremamente realistici e complessi. Il libro si apre in realtà con una breve avventura
TITOLO:
Sturdust AUTORE:
Nail Gaiman ILLUSTRATORE:
Charles Vess GENERE:
Fantasy ANNO DI PUBBLICAZIONE:
1999 CASA EDITRICE:
Mondadori
del padre di Tristan, che ci presenta il contesto in cui si svolgerà a storia. Ci sono poi tre fratelli, tre principi (superstiti di sette), eredi del Signore di Stormhold, che cercano la stella perché il loro padre sul letto di morte ha lasciato il potere assoluto a chiunque di loro riuscirà a recuperarla, e sono pronti a tutto, anche ad uccidere il loro stesso sangue. Ci sono poi tre anziane streghe, le Lim, che vogliono mangiare il cuore della stella, intrinseco di purezza e buone intenzioni, grazie al quale torneranno giovani e belle. Per ultima, ma non meno importante, c’è una vecchia megera che gira per il regno con la sua bancarella di preziosi fiori magici, e che tiene imprigionata una bellissima fanciulla che sembra avere un passato misterioso di cui non può parlare.Tristan in un modo o nell’altro, entra in contatto con ognuna di queste storie, inizialmente lontane da lui, ma a cui è bene prestare attenzione, dato che tante cose non sono come appaiono e tanti piccoli dettagli si riveleranno fondamentali. Parlando del protagonista invece, senza fare troppi spoiler, possiamo dire che Tristan è diciassettenne abbastanza anonimo, magro e dai capelli color paglia, che passa le giornate tra il suo lavoro di garzone e aiutando il padre nella sua fattoria. È un timido sognatore e si ritrova, per un amore un po’ folle, a vivere quell’avventura che aveva sempre sognato. È l’unico dei personaggi a cercare la stella per amore, e non per avidità e, forse proprio per questo, sarà lui il primo a trovarla, anche se tenersela non sarà così facile, sia a casa di tutti i rivali che dovrà affrontare, sia perché la stella si rivelerà essere “qualcosa” di completamente inaspettato, che cambierà per sempre la sua vita. Una storia piena di avventura, ma anche dolce e romantica. Una vera favola, per chi è rimasto un po’ bambino, e per chi ama sognare. Neil Gaiman si conferma, ancora una volta, una mente geniale ed originale ed uno scrittore versatile, capace di saltare a suo piacimento tra generi e target diversi senza perdere la sua meravigliosa penna magica. Nella versione originale, il romanzo illustrato fu pubblicato per la prima volta in quattro parti per la DC, per poi essere editato in un unico volume, e anche in Italia è stato edito più volte sia nella versione illustrata, da Magic Press e poi da Planeta DeAgostini, sia come volume di narrativa dalla Mondadori, dove però non possiamo ammirare le illustrazioni di Charles Vess. Questa non è certo l’unica collaborazione che Gaiman
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fa con degli illustratori, ma è molto capace ogni volta sceglie artisti con caratteristiche molto diverse tra di loro, ricercando lo stile più adatto all’opera a cui intende dare vita. Ad esempio se in “Sandman - Cacciatori di Sogni” (illustrato da Yoshitaka Amano) troviamo un regno onirico che prova a fissare radici nella realtà, in Stardust troviamo l’esatto opposto: ambientato in un tipico paesino di campagna inglese, pieno dell’atmosfera dei classici ottocenteschi di avventura, che però assume le tinte di un’ambientazione fantastica, palesemente ispirata alle leggende sul Regno delle Fate appartenenti alle culture nordiche. Se poi al testo aggiungiamo le illustrazioni “pastellate”
di Charles Vess, intrinseche di magia e fantastico in ogni sfumatura, ma che mantengono una certa chiarezza e realismo (e non le splendide immagini “lucenti” e oniriche di Yoshitaka Amano), il passaggio diventa una sfumatura e un must per tutto il testo. Bellissima la versione Italiana del libro, cartonata e più grande del solito, quasi a voler ricalcare le forme dei libri antichi di fiabe. Nell’opera, è impossibile non riconoscere tutto il repertorio di Gaiman tra tradizione inglese e ispirazione fiabesca nordica, concentrati nel viaggio di un ragazzo alla scoperta dell’amore e del suo vero Io. Resta una favola, sì, ma non chiamatela per bambini!
NAIL GAIMAN
Neil Richard Gaiman nasce il 10 novembre 1960 a Porchester in Inghilterra, e nel corso della sua carriera si è dimostrato un ottimo giornalista, scrittore, sceneggiatore di fumetti, ma anche televisivo e radiofonico. Dopo essere stato rifiutato più volte dagli editori, Gaiman intraprende la carriera di giornalista nella speranza di creare una rete lavorativa efficace che potesse aiutarlo a pubblicare in futuro le sue opere. In particolare, in quel periodo realizzò numerose interviste e recensioni di libri, specialmente in ambito musicale. Durante questi anni scrisse il suo primo libro, una biografia dei Duran Duran, e produsse numerosi articoli per la rivista Knave. Alla fine degli anni ‘80 scrisse, con un registro umoristico prettamente inglese, Don’t panic: The Official Hitchhikers Guide to the Galaxy; la realizzazione di questo libro divenne occasione di intraprendere una proficua collaborazione con Terry Pratchett. Insieme i due autori diedero vita a Good Omens, un romanzo incentrato sull’arrivo di un’imminente apocalisse. Nella storia personale di Gaiman, l’amicizia con il famoso realizzatore di fumetti Alan Moore ebbe un ruolo fondamentale considerato che fu la sua guida-stimolo che lo incanalò nel meraviglioso mondo dei fumetti. In quegli anni Gaiman scrisse due comic-book con Dave McKean: Casi Violenti e Signal to Noise. L’accoppiata tra le parole del giovane talento inglese e le tavole geniali di McKean produssero un’allenza artistica solida che si consoliderà fortemente negli anni successivi. Poco dopo la pubblicazione di questi volumi, Gaiman iniziò a lavorare per la DC Comics che produsse la serie limitata di Black Orchid. La bibliografia di Gaiman e il suo successo cominciarono a divenire di ampio raggio; sicuramente il suo lavoro più conosciuto divenne la serie di Sandman, in cui, riprendendo la mitologia della fine del romanticismo tedesco, creò un’opera colossale in dieci volumi sul mondo onirico regnato da Sogno. L’opera, dalle raffinatissime influenze culturali, cambiò per sempre la storia del fumetto mondiale. La serie, infatti, risultando di pregevole fattura culturale aprì il mondo del fumetto ad un target di persone molto ampio,
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trasformandolo in un media adulto non più confinato ad una nicchia di adolescenti. La serie iniziò nel 1988 e si concluse nel 1996, seppur siano stati pubblicati di recente due volumi, Notti eterne e I cacciatori di sogni, che rispettivamente ampliano la conoscenza degli Eterni ed esplorano il mondo dei sogni in una storia prettamente orientale creata per la celebrazione del decennale di Sandman. Nel 1991, Gaiman pubblicò The Books of Magic, una mini storia in quattro parti in cui un teenager scopre il suo ruolo nel destino del mondo in una storia magica che richiama notevolmente il più recente Harry Potter. Dalla serie è nato uno spin-off scritto da Johnn Ney Reiber dallo stesso titolo. Gaiman si è dimostrato ben presto un artista eclettico, scrivendo canzoni, poesie, sceneggiati tv. Uno di questi Nessun Dove, scritto per la BCC, che divenne successivamente un libro di grande successo e, in patria, un appuntamento immancabile per i fortunati fruitori delle puntate ambientate nella Londra di sotto. L’autore è anche artefice dell’adattamento inglese del lungometraggio animato La Principessa Mononoke di Miyazaki. Durante la composizione di American Gods, Gaiman cominciò a scrivere su un sito internet (www.neilgaiman.com) promozionale descrivendo giorno per giorno la stato della sua creazione. L’iniziativa ebbe così tanto successo che non solo ancora oggi l’autore continua a scrivere sul blog quasi quotidianamente che, addirittura, una parte del blog è stato pubblicato in Inghilterra col il titolo di Adventure in the Dream Tale. Neil Gaiman ha ricevuto numerosi premi per la sua produzione letteraria. Nel 1991 stupì tutti quando gli venne assegnato per un episodio di Sandman (Le terre del sogno: Sogno di una notte di mezza estate) il World Fantasy Award. Mai nessuno prima di lui aveva vinto un premio riservato alla letteratura con un fumetto e sinora nessun altro ci è più riuscito. Successivamente ha vinto altri premi prestigiosi tra cui il Nebula Award e l’Hugo Award a testimoniare la sua importanza anche come autore di racconti e romanzi. Attualmente vive negli States con la moglie, le due figlie Holly e Maddy, il figlio Mike ed un numero imprecisato di gatti.
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CHARLES VESS
Charles Vess è un illustratore e fumettista americano, specializzato nell’illustrazione di genere fantasy. Già alla fine degli anni ‘80 Vess aveva trovato una nicchia nel mondo del fumetto fantasy con pubblicazioni come “The Raven Banner: A Tale of Asgard” di Alan Zelenetz e pubblicato dalla Marvel Comics nel 1985; ha dipinto la copertina del numero di debutto di “Web of Spider-Man”, ha scritto e disegnato una storia in “The Amazing Spider-Man”nel 1986), ed ha creato “Spider-Man: Spirits of the Earth”, graphic novel del ’90). Ha illustrato l’adattamento ufficiale a fumetti di “Hook” di Steven Spielberg e nel 1993 ha realizzato le cover di undici numeri (n. 129-139) di “Swamp Thing” della DC Comics. Ha collaborato più volte con Neil Gaiman, illustrando “The Land of Summer’s Twilight”, ha lavorato su tre numeri dell’acclamata serie “The Sandman”, tra i quali il numero 19 (Sogno di una notte di mezza estate) che ha vinto il World Fantasy Award per il miglior racconto breve, l’unico fumetto ad aver avuto l’onore, dato che dopo l’accaduto gli organizzatori del premio
hanno modificato le regole per escludere i fumetti dalla competizione. Tra il 1997 e il 1998 la collaborazione tra Vess e Gaiman è continuata nella serie in quattro parti “Stardust”, una novella in prosa a cui Vess ha contribuito con 175 dipinti. Stardust ha vinto un Alex Awarddall’American Library Association. Ha ricevuto un Mythopoeic Award, e Vess ha ricevuto nel ’99 il World Fantasy Award come miglior artista per il suo lavoro nella serie. Un altro dei suoi lavori più importanti è senz’altro la collaborazione, nel 2018, alla versione illustrata della saga di “Earthsea” di Ursula K. Le Guin, che Vess ha collaborato durante il processo creativo. Vess ha descritto il loro lavoro insieme come una vera collaborazione, dicendo «Non credo che mi abbia creduto quando ho detto che volevo collaborare. Ma, dopo quattro anni e solo il Signore sa quante email, mi ha inviato una copia del suo ultimo libro, del suo saggio e con la dedica “A Charles, il miglior collaboratore di sempre.”». Il libro è stato pubblicato nell’ottobre 2018 e ha vinto un Locus Award 2019, e un premio Hugo nel 2019.
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In un tempo e un luogo non precisati, all’improvviso l’intera popolazione diventa cieca per un’inspiegabile epidemia. Chi è colpito da questo male si trova come avvolto in una nube lattiginosa e non ci vede più. Le reazioni psicologiche degli anonimi protagonisti sono devastanti, con un’esplosione di terrore e violenza, e gli effetti di questa misteriosa patologia sulla convivenza sociale risulteranno drammatici. I primi colpiti dal male vengono infatti rinchiusi in un ex manicomio per la paura del contagio e l’insensibilità altrui, e qui si manifesta tutto l’orrore di cui l’uomo sa essere capace. Nel suo racconto fantastico, Saramago disegna la grande metafora di un’umanità bestiale e feroce, incapace di vedere e distinguere le cose su una base di razionalità, artefice di abbrutimento, violenza, degradazione. Ne deriva un romanzo di valenza universale sull’indifferenza e l’egoismo, sul potere e la sopraffazione, sulla guerra di tutti contro tutti, una dura denuncia del buio della ragione, con un catartico spiraglio di luce e salvezza.
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RECENSIONE
Il libro “Cecità” ci propone una nuova umanità composta da uomini e donne che non vedono, ma badate bene: la loro cecità non è come quella che ciascuno di noi conosce. Non è una cecità buia e nera; questa malattia porta in un mondo completamente bianco, un “mare di latte” forse più spaventoso delle tenebre più profonde. È forse questo il lato più inquietante, insieme al fatto che questo contagio da pochi casi è diventato pian piano un’epidemia a livello mondiale che costringe il governo ad attuare misure estreme e ai limiti di una dittatura. La storia personale e le esperienze di ciascun personaggio vengono messe da parte, chiunque soffra del “mal bianco” deve essere internato poiché considerato pericoloso per le persone ancora sane, ma servirà? José Saramago ci porta nella quotidianità di queste persone, ci fa ascoltare i loro pensieri, ci rende partecipi delle loro paure e della loro follia, del loro manicomio esistenziale. La cosa più inquietante sono le analogie alla situazione attuale, con la pandemia del COVID-19 in corso. Saramago ha immaginato quello che sarebbe successo venticinque anni dopo, grazie al cielo con meno violenza, ma comunque pregno di egoismo sociale. Non poteva pensare ai canti dai balconi ma quasi: «Quella sera ci furono di nuovo lettura e audizione, non
avevano altra maniera di distrarsi, peccato che il medico non fosse, per esempio, un violinista dilettante, che dolci serenate si sarebbero allora potute sentire in questo quinto piano, i vicini invidiosi avrebbero detto: Quelli o gli va bene la vita o sono degli incoscienti e credono di poter sfuggire alla sventura ridendosene della sventura degli altri». Cecità è una lettura cruda e realistica di una società che si trova a riscoprire se stessa da zero in seguito a un cambiamento radicale, dove forme di pensiero completamente diverse o opposte cercano di convivere o di sottomettersi una volta per tutte, secondo la legge del più forte (o del più scaltro in questo caso). Una lettura crudele ma forse veritiera di quello che ci potrebbe aspettare se ci lasciamo andare all’egoismo e all’indifferenza verso l’altra persona. La scelta stilistica proposta dall’autore risulta molto singolare: l’assenza di una punteggiatura, soprattutto nei vari dialoghi presenti nel libro, crea un testo fluido e allo stesso tempo caotico, poiché non sempre si riesce a capire quale personaggio sta esperimento il proprio pensiero. Caos che sembra voler sottolineare con forza quello che sta succedendo. Un’altra particolarità è quella di non usare nomi di battesimo (considerati superflui) ma solo alcune caratteristiche. Questa scelta sembra nascondere il desiderio dell’autore di fare in modo che il lettore si identifichi in qualcuno di questi personaggi e provi a ragionare su suoi possibili comportamenti in una situazione critica, come quella descritta in Cecità. Un modo per scavare a fondo nel proprio subconscio e chiedersi cosa avrebbe fatto o farebbe ciascuno di noi se fosse colpito da questa cecità abbagliante. «Perché siamo diventati ciechi? Non lo so,
forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione. Vuoi che ti dica cosa penso? Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che vedono. Ciechi che pur vedendo non vedono.»
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TITOLO:
Cecità TITIOLO ORIGINALE:
Ensaio sobre a Cegueira AUTORE:
José Saramago GENERE:
Critica sociale,distopico ANNO DI PUBBLICAZIONE:
1995 CASA EDITRICE:
Feltrinelli
JOSÉ SARAMAGO
José de Sousa Saramago, uno dei più celebri scrittori portoghesi, nasce nel 1922, abbandonò gli studi universitari per difficoltà economiche. Il suo primo romanzo, “Terra del peccato”, del ’47, non riceve un grande successo nel Portogallo oscurantista di Salazar, il dittatore che Saramago non ha mai smesso di combattere, ricambiato con la censura sistematica dei suoi scritti giornalistici. Nel 1959 si iscrive al Partito Comunista Portoghese che opera nella clandestinità sfuggendo sempre alle insidie ed alle trappole della famigerata Pide, la polizia politica del regime. In effetti, bisogna sottolineare che per capire la vita e l’opera di questo scrittore non si può prescindere dal costante impegno politico che ha sempre profuso in ogni sua attività. Negli anni sessanta, diventa uno dei critici più seguiti del Paese nella nuova edizione della rivista “Seara Nova” e nel ‘66 pubblica la sua prima raccolta di poesie “I poemi possibili”. Diventa quindi come detto direttore letterario e di produzione per dodici anni di una casa editrice e, dal ’72 al 1973, è curatore del supplemento culturale ed editoriale del quotidiano “Diario de Lisboa”. Fino allo scoppio della cosiddetta Rivoluzione dei Garofani, nel 1974, José Saramago vive un periodo di formazione e pubblica poesie, cronache, testi teatrali, novelle e romanzi. Il secondo Saramago (vicedirettore del quotidiano “Diario de Noticias” dal ‘75), libera la narrativa portoghese dai complessi precedenti e dà l’avvio ad una generazione post-rivoluzionaria. Nel ’77 pubblica il romanzo “Manuale di pittura e calligrafia”, seguito nel 1980 da “Una terra chiamata Alentejo”, incentrato sulla rivolta di una regione del Portogallo. Ma è con “Memoriale del convento” (1982) che
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ottiene finalmente il successo tanto atteso. In sei anni pubblica tre opere di grande impatto: “Memoriale del convento”, “L’anno della morte di Riccardo Reis” e “La zattera di pietra”, ottenendo vari riconoscimenti. Gli anni Novanta lo consacrano sulla scena internazionale con “L’assedio di Lisbona”, “Cecità” e “Il Vangelo secondo Gesù” (1991), che ha suscitato molte controversie nel cattolico Portogallo, e le aspre critiche e la censura imposta sul libro dal governo lo indussero a lasciare il paese per vivere alle Canarie. Criticò la Bibbia nel 2009, con l’uscita del suo ultimo romanzo “Caino”, descrivendo un Dio «vendicativo, rancoroso, cattivo, indegno di fiducia». Nel 1998, con molte polemiche da parte del Vaticano, gli è stato conferito il Nobel per la letteratura. José Saramago muore il 18 giugno 2010 nella sua residenza a Lanzarote, nella località di Tías, sulle Isole Canarie. Uno dei tratti che più caratterizzano le opere di Saramago è il narrare eventi da prospettive piuttosto insolite e controverse, cercando di mettere in luce il fattore umano dietro l’evento. Sotto molti aspetti, alcune sue opere potrebbero essere definite allegoriche. Saramago tende a scrivere frasi molto lunghe, usando la punteggiatura in un modo anticonvenzionale. Molte delle sue opere iniziano con un avvenimento inaspettato, surreale o impossibile, che si verifica in un luogo imprecisato, dal quale scaturisce poi una storia complessa, occasione per studiare le mille forme del comportamento e del pensiero umano. I protagonisti sono spesso senza nome, ed è frequente l’uso dell’ironia. Non ci sono eroi, ma semplicemente uomini, con pregi e difetti, e in effetti non manca la pietà e la compassione dello scrittore per loro, piccoli rappresentanti del genere umano.
L’enorme carico di tradizioni, abitudini e costumi che occupa la maggior parte del nostro cervello zavorra impietosamente le idee più brillanti e innovative.
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Seta
TRAMA
E
ra il 1861 e Hervé viveva in un paesino nel sud della Francia chiamato Lavilledieu. Il suo lavoro consisteva nel comprare bachi da seta ancora sotto forma di uova, all’estero, confezionarli e rivenderli a fabbricanti di seta del paese. Un anno però, le epidemie che si stavano sviluppando in Francia, si espansero fino all’Egitto e alla Siria, luoghi dove lui recuperava i bachi. Non trovando più lavoro, Hervé si mise ala ricerca disperata di una soluzione: la seta cinese. L’ambiente cinese è completamente diverso da quello a cui lui è abituato in Francia, lo sconvolgimento della sua vita avviene però quando vede una giovane, bella ragazza accovacciata sulle gambe del suo fornitore. L’anno seguente riesce anche in qualche modo a comunicare con questa ragazza, che sembra interessata a lui. Viene colpito ogni volta di più dalla bellezza e dalla magia di quella donna, tanto che con il passare del tempo i suoi viaggi non avevano più solo l’obiettivo di recuperare i bachi, ma anche di rivedere la misteriosa fanciulla.
Seta, uno dei più grandi successi di Alessandro Baricco, è diventato un libro illustrato. Questo grazie alle opere di una delle più eleganti e celebrate illustratrici francesi, Rébecca Dautremer, che nel 2001 ha chiesto all’autore di poter illustrare il romanzo. Con il suo lavoro l’artista non si limita semplicemente a tradurre in tavole esplicative ciò che riporta la scrittura, ma reinventa una sua interpretazione dell’opera. Dice la stessa Rébecca Dautremer:
«Dare un volto a Joncour e non darlo al misterioso sconosciuto in Giappone, immaginare un baco da seta lungo un chilometro, un tatuaggio sul corpo di un guerriero giapponese, Flaubert e un elefante, qualche bel fiore azzurro e anche un paio di chiappe. Vuol dire dare un’immagine alla fedeltà tradita, all’amore silente, ai desideri e alle pene». Queste meravigliose immagini accompagnano un testo già di per se molto poetico, creando una sinergia stupefacente. Un prodotto molto raffinato, un libro prezioso.
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RECENSIONE
Non credo servano molte parole per lodare il testo di Alessandro Baricco. Seta è un’opera superba, che ha incantato i lettori di tutto il mondo, intrinseca di una magica poesia, rispecchia in tutto e per tutto lo stile che l’autore riversa in ogni sua opera. Parliamo di un romanzo breve, il testo è conciso, ma mai essenziale, Baricco riesce a creare mondi nella mente del lettore utilizzando poche righe, una capacità meravigliosa e rarissima. Nessuna descrizione chilometrica, mai nulla di scontato; pochi personaggi, ognuno unico a suo modo, le cui vite appaiono piatte nella loro routine, che poi si trasformano, come un bruco che diventa farfalla, in esistenze eccezionali, come quella del protagonista - Hervé Joncour – guidata dal folle saggio Baldabiou. Il tema del viaggio e il fascino per l’esotismo, per un mondo lontano e misterioso come il Giappone, si intrecciano nel romanzo di Baricco. Un racconto leggero come la seta più raffinata, ma anche intenso e profondo, per questo a mio parere si merita a pieno titolo la definizione di classico contemporaneo. Nel 2016 il bestseller diventa un libro illustrato, per la casa editrice Feltrinelli. Partiamo da un presupposto: lo scrittore era contrario all’idea di pubblicare un’edizione illustrata del suo romanzo. Quando il volume
TITOLO:
Seta AUTORE:
Alessandro Baricco ILLUSTRATRICE:
Rébecca Dautremer GENERE:
Narrativa ANNO DI PUBBLICAZIONE:
2016 (ed. illustrata di Seta,1996) CASA EDITRICE:
Feltrinelli
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uscì in Italia, pubblicò un articolo su Repubblica per raccontarne i retroscena. «Nessuno scrittore sano di mente
vorrebbe che un suo libro fosse stampato con delle figure. È come se buttassero in acqua la Pellegrini coi braccioli» questa era stata la sua prima reazione. Poi Baricco e Dautremer si incontrarono, l’idea di realizzare una edizione illustrata era stata sua, dopo che nel 2001 era restata affascinata dal romanzo, e si accordarono sul da farsi. La sua edizione illustrata uscì prima in francese (2012) e poi in italiano (2016). Alla fine Baricco racconta che teneva una copia dell’edizione realizzata da Dautremer sul comodino, spiegando: «È di una bellezza accecante». Naturalmente un testo funziona sempre da solo, ma le illustrazioni di Dautremer suggeriscono nuovi percorsi e impongono pause di lettura diverse, anche se la prosa di Baricco già di per se a volte diventa teatrale: è veloce e coinvolgente, e isola segmenti di racconto entro pause. In Seta, le tinte monocromatiche (i colori dominanti sono rosso, verde e nero) si adattano alla luminosità del paesaggio giapponese, ricco di un’atmosfera irreale, trasmettendo una strana sensazione di amore, illusione e sogno. Mentre l’uso di un sottilissimo tratto di matita in alcune tavole erotiche richiama i disegni della tradizione giapponese. Dà ai soggetti dinamicità, con una prospettiva deformata che ricorda il grandangolo fotografico. Dautremer disegna con un tratto fiabesco, definito evocativo e ammiccante, che a volte sembra quasi tradire il testo di Baricco, reinterpretandolo.
ALESSANDRO BARICCO
Scrittore tra i più conosciuti e amati dai lettori di narrativa in Italia, Alessandro Baricco nasce a Torino nel 1958. Da sempre appassionato di musica, che influenza anche la sua attività di brillante saggista e di narratore sin dagli albori. È considerato un critico musicale scaltro e di notevole apertura, infatti il suo esordio letterario avviene proprio con un libro dedicato al grande compositore Rossini, dal titolo “Il genio in fuga. Sul teatro musicale di Rossini” edito inizialmente da Einaudi, ma che verrà poi ristampato dal Melangolo. Nel 1991 prende corpo il primo esempio della sua vena narrativa, “Castelli di Rabbia”, che si è aggiudicato il
Premio Selezione Campiello. Il romanzo fu prontamente pubblicato da Bompiani, e provocò molte discussioni, non solo tra i lettori, ma anche nell’ambiente della critica letteraria. Questa sorte sembra contrassegnare tutta l’attività dell’autore che provoca continuamente, ancora oggi, poca uniformità nel giudizio delle sue opere, in qualunque campo si sia cimentato negli anni. È senza dubbio un autore controverso, amato o odiato, accusato di fatuità o difeso a spada tratta come uno dei pochi esempi di intellettuale eclettico e coerente, ma nonostante tutte le critiche il suo personaggio e il suo lavoro non lasciano mai indifferenti, e nessuno oserebbe mai definirlo banale.
Ha collaborato a trasmissioni radiofoniche e ha esordito in TV nel 1993 come conduttore di “L’amore è un dardo”, una fortunata trasmissione di Raitre dedicata alla lirica, che rappresentava il tentativo di gettare un ponte tra un mondo affascinante ma spesso impenetrabile ai più, e il comune pubblico televisivo. Ha in seguito ideato e condotto “Pickwick, del leggere e dello scrivere “, programma dedicato alla letteratura, affiancato dalla giornalista Giovanna Zucconi.
Un romanzo dalla storia molto particolare è invece il breve “City”, del 1999, che lo scrittore ha scelto di promuovere unicamente per via telematica. L’unico spazio dove Baricco parla di City è il sito Internet appositamente creato: www.abcity.it. Al riguardo spiega che:
Nel 1998, è protagonista di un’altra avventura televisiva, scaturita stavolta dalla pratica teatrale. Si tratta della trasmissione “Totem”, durante la quale, prendendo spunto da alcune pagine di testi letterari, commenta e narra i passi più salienti di racconti e romanzi, facendo in controluce riferimenti di ogni genere e in specie di tipo musicale.
Per quanto riguarda il suo rapporto con il computer e la Rete, ha affermato che:
Per quanto riguarda invece la sua attività di osservatore del mondo, bellissima la rubrica curata su “La Stampa” e “La Repubblica”, in cui Baricco, con stile narrativo, stendeva articoli e riflessioni circa gli avvenimenti più disparati, dalla partita di tennis al concerto pianistico, dalle performance delle star del Pop alle rappresentazioni teatrali. Il tentativo era quello di ritrarre fatti legati alla quotidianità o al caravanserraglio mediatico tramite un’ottica che porti il lettore a svelare quello che spesso si cela in seconda battuta dietro il grande circo che la realtà rappresenta. Il frutto di queste esperienze nel mondo dello spettacolo darà vita ai due volumi di “Barnum”, dal titolo omonimo della stessa rubrica, che non a caso riportano il sottotitolo di “Cronache dal Grande Show”. Tra romanzi, saggi, racconti e sceneggiature, Alessandro Baricco ha all’attivo 32 pubblicazioni, tra le quali alcuni dei libri più apprezzati della letteratura moderna, come “Oceano Mare”, “Novecento” e “Seta”.
«Non mi sembra onesto parlare in pubblico di ciò che ho scritto. Tutto quello che avevo da dire su City l’ho scritto qui e ora me ne starò in silenzio»
«La filosofia del link mi affascina, lo amo di per sé, come la filosofia del viaggio e dello scarto. Lo scrittore, però, viaggia fra i limiti della sua testa, e per la lettura la cosa affascinante è ancora sempre seguire il viaggio di uno. Credo che, di fatto, poi Conrad facesse questo: apriva delle finestre, entrava, si spostava. Flaubert faceva questo. Ma è egli stesso che ti detta il viaggio e tu segui. Quella libertà di vedere un testo e viaggiarci come tu vuoi mi sembra una libertà che non trovo così affascinante. Trovo più affascinante seguire un uomo che non ho mai conosciuto nel viaggio che ha intrapreso notando aspetti che lui stesso avrà notato o meno. Ripercorrere le sue orme, questa credo che sia la cosa affascinante della lettura.»
Nel 1994 fonda (insieme a Antonella Parigi, Dalia Oggero, Marco San Pietro e Alberto Jona) la scuola di narrazione e comunicazione “Holden”, di cui è attualmente il preside. Nel 2008 scrive e dirige il suo primo film, “Lezione ventuno”, che ruota attorno al personaggio del professor Mondrian Kilroy, già presente nel suo romanzo City, e ad una sua lezione riguardo la nascita della nona sinfonia di Beethoven.
RÉBECCA DAUTREMER
«Colori caldi e tratto deciso»: così Rébecca Dautremer definisce il proprio lavoro di illustratrice, a cui è approdata quasi per caso. Il suo stile è estremamente originale, unico e ben riconoscibile, le sue Illustrazioni sono da tutti considerate delicate, eleganti, nostalgiche e poetiche. Fin da giovanissima appassionata di fotografia, amplia i suoi interessi anche alle arti grafiche a inizio anni ‘90. Si iscrive quindi ad un corso di grafica all’ENSAD (Ecole Nationale Supérieure des Arts Décoratifs) di Parigi e inizia ad accumulare le prime esperienze come illustratrice, collaborando saltuariamente con la casa editrice Gautier-Languereau. Diplomatasi nel 1995, le viene offerto di illustrare L’Enfant espion di Alphonse Daudet, a cui segue a brevissima distanza La Chèvre aux loups di Maurice Genevoix. Pian piano i suoi lavori sono sempre più apprezzati, sia dal grande pubblico che da altri editori francesi. La svolta arriva nel 2003, quando ne “L’innamorato” impone il proprio stile, e l’anno successivo “Principesse dimenticate e sconosciute” lancerà definitivamente la sua carriera. Rébecca Dautremer ha illustrato molti volumi, anche in collaborazione con il marito, lo scrittore Taï-Marc Le Thanh. Tra le loro collaborazioni ricordiamo “Babayaga” (2008),
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“Elvis” (biografia di Elvis Presley in versione illustrata, 2009), nonché “Mia sorella è carnivora!”, “Maleducato!” e “Chi è stato?”, tutti e tre del 2010. Dello stesso anno sono “Nat” e “il segreto di Eleonora” (di Gallucci, e l’illustratrice curerà la parte grafica del film che ne sarà tratto) e “Il diario segreto di Pollicino” (scritto insieme a Philippe Lechermeier). La maggior parte delle sue opere in Italia sono edite da Rizzoli, che nel 2012 pubblica anche “Il piccolo teatro di Rébecca”, un silente book in cui sono raccolti tutti personaggi delle fiabe da lei creati o reinterpretati. A proposito di fiabe, l’anno successivo le sarà chiesto di re-illustrare a suo gusto il grande classico di Lewis Carrol. Il risultato sarà, nel 2013, l’uscita di Alice nel paese delle meraviglie. La rinnovata collaborazione con Philippe Lechermeier porterà a “una bibbia” (2014): volume che attraverso un inedito affresco narrativo e iconografico infrange con grande poesia il nostro immaginario. Da segnalare che la Dautremer fa parte del team creativo dalla Maison Kenzo, e ha curato la grafica di vari prodotti dell’azienda, in primis il profumo “Flower by Kenzo”.
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TRAMA
Il leggendario re Artú è ormai morto e la pace che ha imposto sulla futura Inghilterra resiste seppur fragile. Nella dimora buia di Axl e Beatrice, tuttavia, non c’è posto per nessuna pace. La coppia di anziani coniugi è afflitta da una sorta di inspiegabile amnesia. A causarla pare essere una strana nebbia che sta contagiando tutto il regno. Axl e Beatrice ricordano di aver avuto un figlio, ma non sanno piú dove si trovi, né che cosa li abbia separati da lui. A dispetto della vecchiaia e dei pericoli devono mettersi in viaggio e scoprire l’origine della nebbia incantata, prima che il ricordo di ciò a cui piú tengono sia perduto per sempre. Non possono indugiare oltre: a dispetto della vecchiaia e dei pericoli devono mettersi in viaggio e scoprire l’origine della nebbia incantata, prima che la memoria di ciò a cui più tengono sia perduta per sempre. Lungo il cammino si uniscono ad altri viandanti - il giovane Edwin, che porta il marchio di un demone, e il valoroso guerriero sassone Wistan, in missione per conto del suo re - e con essi affrontano ogni genere di prodigio: la violenza cieca degli orchi e le insidie di un antico monastero, lo scrutinio di un oscuro barcaiolo e l’aggressione di maligni folletti, il vetusto cavaliere di Artù Galvano e il potente drago Querig...
TITOLO:
Il gigante sepolto AUTORE:
Kazuo Ishiguro GENERE:
Fantasy epico ANNO DI PUBBLICAZIONE:
2015 CASA EDITRICE:
Einaudi
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RECENSIONE
Ambientato in un’epoca non definita, verosimilmente subito dopo la morte di re Artù, Il gigante sepolto è un romanzo complesso scritto dal premio Nobel per la letteratura del 2017 Kazuo Ishiguro che per il suo settimo romanzo torna ai temi a lui cari da sempre: la fallibilità e il ruolo della memoria, la dimensione onirica e quella nostalgica dell’esistenza, il dolore della vecchiaia e della perdita; tuttavia lo fa qui scegliendo una forma inedita e quanto mai sorprendente. Una generazione dopo Re Artù, in un desolato paesaggio abitato da britanni e sassoni, tutto pare avvolto nella nebbia, presenza fissa e costante, nella narrazione. Sappiamo pochissimo dei protagonisti, molto poco dell’ambientazione, non ci è chiara la meta del viaggio né sono ben definiti i personaggi che i due protagonisti incontrano durante tutto il loro iter. È come se
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il “contorno” interessasse poco allo scrittore di origini nipponiche. Quel che importa sono Axl e Beatrice, il loro rapporto, i loro ricordi, questo costante rimando al loro passato, a questo amore che li ha legati per una vita e che li tiene saldamente assieme. La coppia di anziani abbandona il proprio loculo nelle viscere della roccia per recarsi da un figlio che dovrebbe risiedere in un villaggio non lontano. Ma nulla può dirsi con certezza, perché ogni ricordo si perde in un’amnesia collettiva, «una nebbia
fitta come quella che pesava sopra gli acquitrini. Non c’era l’uso di pensare al passato, tra quella gente, nemmeno se prossimo». In un viaggio di pochi giorni, i due protagonisti faranno incontri rivelatori quanto enigmatici: un barcaiolo carontiano che traghetta coppie come loro verso un’isola dalle qualità particolari, lasciando spesso a terra lugubri vedove; villaggi attaccati da orchi e preda di crudeli superstizioni; elfi, folletti, draghi, guaritori e monaci infidi. Sono sospinti dal desiderio di riavere i ricordi di questa lunga vita trascorsa insieme, ma lentamente emergono anche vaghe reminiscenze di passati dissapori. È un’ambivalenza che si riflette a livello collettivo: vale la pena sollevare la “nebbia che li obnubila” e riportare alla luce vecchi massacri di innocenti, “un odio nero e profondo come gli abissi del mare”, mettendo a rischio la fragile pace tra britanni e sassoni? Una volta scoperta la causa della nebbia dei ricordi, è questo il dilemma su cui si concentrano Axl e Beatrice, così come Galvano e il guerriero sassone Wistan. Ishiguro ha risposto alle attese dei suoi lettori con il suo solito coraggio e gusto per l’osare. Innanzi tutto perché la nebbia che oscura i ricordi ispira talvolta nei personaggi pensieri e comportamenti angosciati ed angoscianti, molto vicini al linguaggio del sogno, elemento che contraddistingueva il suo romanzo più controverso, Gli inconsolabili (1995). Le due opere condividono non solo la riflessione sulla memoria, ma anche la mancanza di risposte certe
a molte questioni, come è prevedibile da un’atmosfera onirica. C’è inoltre un coraggio di genere: cerca di ricreare un vero e proprio romanzo cavalleresco. Eppure “tradisce” tutti i parametri del genere. Non ci sono tornei, avventure epocali, scontri all’ultimo sangue, duelli. Diversamente dal romanzo moderno, che ha un climax che si sviluppa nel corso di tutta la narrazione del romanzo moderno, il romanzo cavalleresco è composto da un susseguirsi di avventure e momenti critici che si aprono e chiudono in successione. Riflette sul tema del viaggio come scoperta di se stessi, come rimettersi in gioco nonostante l’età, della memoria che riaffiora: presto o tardi, tutti noi siamo chiamati a fare i conti con il nostro passato. Il filo rosso che traina la storia è la memoria dei due protagonisti: passato e presente convivono in loro. In un’intervista di qualche anno fa, Ishiguro ha definito così Il gigante sepolto:
«Un tentativo di defamiliarizzare cose familiari, per far vedere in modo efficace fatti ai quali ci siamo tanto abituati da non accorgercene più». Un tentativo certamente riuscito. Il gigante sepolto è probabilmente il libro meno “universale”, meno “per tutti” di Ishiguro. Ha scommesso, ha tentato ed ha avuto successo.
KAZUO ISHIGURO
Kazuo Ishiguro è uno scrittore giapponese naturalizzato britannico, ha frequentato le scuole in Inghilterra, dove la famiglia si trasferì nel ’60, ma è stato educato secondo le tradizioni giapponesi. Si è laureato in filosofia e letteratura alla University of Kent, per poi seguire corsi di scrittura creativa, avendo tra gli insegnanti M. Bradbury e A. Carter. Privilegia una forma di scrittura non lontana dal tradizionale realismo occidentale, differenziandosi in questo dagli orientamenti postmoderni e dalle aperture multiculturali dei giovani scrittori britannici. Suo tema dominante è la rievocazione di un passato individuale e nazionale, situato negli anni del secondo dopoguerra, in un mondo dove è in atto un totale mutamento di costumi, accompagnato dalla perdita dei valori tradizionali. Forse è alle sue origini orientali che è da ricondurre la meticolosità descrittiva e l’estrema chiarezza formale delle sue opere, così come gli accenni e le parabole che usa per descrivere una realtà sinistra e crudele, presenti soprattutto nei primi romanzi, “Un pallido orizzonte di colline” del 1982 e “Un artista del mondo fluttuante” del 1986, entrambi ambientati in Giappone. La fama mondiale di Ishiguro è dovuta al romanzo “Quel che resta del giorno” del 1989, grazie al quale ha vinto il suo primo Booker Prize, un romanzo integralmente britannico, che arriva al grande pubblico anche grazie all’accurata versione cinematografica di J. Ivory del 1993.
La rievocazione di un passato, individuale o collettivo, comunque irrecuperabile è del resto il tema dominante di tutta la produzione letteraria di Ishiguro, come dimostrano anche i successivi romanzi “Gli inconsolabili” del 1995 e specialmente “Quando eravamo orfani” del 2000, dove l’indagine su una misteriosa, remota sparizione ha le suggestive movenze di una detective story. Nel 2005 ha scritto “Non lasciarmi”, per il quale è stato premiato con il suo secondo Booker Prize e con il Premio Commonwealth Writers. È uno dei suoi lavori più apprezzati, I cloni di “Non lasciarmi” hanno coinvolto critici, docenti, studenti e lettori di ogni età in riflessioni attorno ai confini dell’umano, al valore della vita e al carattere sottilmente pervasivo delle forme contemporanee di sfruttamento. Il tutto è stato poi amplificato dall’altrettanto riuscita versione cinematografica, prodotta dallo stesso Ishiguro. Nel 2017 gli è stato conferito il premio Nobel per la letteratura «perché, nei suoi romanzi di grande forza emotiva, ha svelato l’abisso sottostante il nostro illusorio senso di connessione con il mondo». Della sua produzione più
recente vanno citati la raccolta di racconti “Notturni,Cinque storie di musica e crepuscolo” del 2009, e i romanzi “Il gigante sepolto” del 2015 e la sua ultima fatica, ancora inedita, Klara and the sun del 2021.
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Neve Il violino nero L’apicoltore
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TRAMA
Tre colori, tre favole piene di poesia e di emozioni. La prima storia, Neve, è bianca e riposante, come la neve e l’Asia che la ispirano. Yuko è un giovane poeta giapponese. Nei suoi haiku sa cantare solo lo splendore e la bianchezza della neve. Soseki è un anziano pittore divenuto cieco che vive nel ricordo di un amore perduto. Neve è una ragazza bellissima. Il suo corpo giace per sempre tra i ghiacci. A legare i loro destini, un filo, disperatamente teso tra le cime di due montagne, come simbolo di un esercizio funambolico impossibile da eseguire. Il violino nero è la seconda storia, nera come le note del pentagramma, inquietante come l’atmosfera di una Venezia silenziosa ma percorsa da echi della coscienza e dei desideri. Un giovane genio coltiva l’ambizione di “mutare in musica la propria vita”. Una donna misteriosa esprime in un canto dalle divine sonorità la profonda innocenza della sua anima. Un anziano liutaio ha creato uno splendido violino, nero come gli occhi e la chioma di quella donna. L’apicoltore, la terza storia, ha il colore dell’oro come il sogno folle di un giovane che dal Sud della Francia parte per l’Africa. Aurélien cerca in ogni cosa l’oro della vita, ossia la bellezza, la magia, il colore caldo del sole, ed è incantato dalle api, “che possono morire d’amore per un fiore”. Dopo infinite avventure farà ritorno a casa per scoprire dentro di sé il seme di un puro amore per l’unica donna che lo ha da sempre aspettato, piena di fiducia e speranza.
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RECENSIONE
L’edizione, della Bompiani, contiene tre racconti, i quali sono stati in principio publicati separatamente come tre brevi libri: “Neve” del 1999, “Il violino nero” del 2001 e “L’apicoltore” del 2002, che ha ricevuto il Premio Murat “Un romanzo francese per l’Italia”, per poi essere uniti in un unico volume in “La trilogia dei colori” nel 2003. Nel 2008 è stato pubblicata anche l’edizione di “neve” illustrata da Georges Lemoine. Bianco nero e giallo: tre colori agli antipodi, distanti, quasi opposti per il rapporto brillantezza/oscurità di cui sono permeati, una triade di tonalità completamente differenti, ma che nascondono la natura di uno stesso sogno. Yuko, Johannes ed Aurélien condividono una visione utopica della vita, un trio di uomini geograficamente lontanissimi ma emotivamente e mentalmente vicini, che sembrano seguire la stessa strada verso l’ignoto, verso un futuro che potrebbe riservare loro qualsiasi risvolto esistenziale. I tre protagonisti della Trilogia di Fermine infatti, possiedono un sogno nel cassetto, una sorta di chiodo fisso, che sembra impossibile ignorare. Tentare di estirpare un’idea così ben radicata nella
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mente, ma soprattutto nel cuore di un soggetto, è inutile; anche quando le persone a lei care sembrano essere contrarie per validi motivi e per il suo bene, anche se la natura sembra ribellarsi di fronte a tanta fermezza, lei continuerà comunque a voler affrontare e sconfiggere qualsiasi Chimera possa palesarsi sul suo cammino, a considerare qualsiasi ostacolo mai abbastanza importante da scegliere di rinunciare. Tuttavia non è tutto oro quel che luccica. Non perdere la speranza, giocare il tutto per tutto pur di vedere realizzati i propri sogni e vivere perciò appieno la propria vita è sicuramente uno scopo nobile, degno di essere prefissato, ma in cui potrebbe celarsi qualcosa di meno percepibile, di rischioso se non si è in grado di conoscere bene se stessi, e che rischia di cancellare completamente il confine tra realtà e fantasia. È il punto di non ritorno che trasforma il sogno in mania, in fissazione estrema, il principio di una malattia che travolge qualsiasi cosa senza fermarsi, senza lasciare il tempo di pensare a cosa si incontra sui propri passi, alle conseguenze che potrebbero scaturirne, e senza alcuna remora perché in linea con il proprio desiderio e le proprie convinzioni, giuste o sbagliate che siano. Solo alla fine di questo cammino ignoto, quando è ormai troppo tardi per tornare indietro, si capisce di aver sbagliato, anche solo nelle modalità, di aver esagerato nel seguire i propri propositi e di aver perso troppo durante il tragitto. Anche se le intenzioni sono inizialmente giuste, eque e legittime, possono tramutarsi in una melma che amalgama a se il suo ideatore, che lo attira a se e non lo lascia più andare. TITOLO:
La trilogia dei colori (Neve, Il violino nero, L’apicoltore) AUTORE:
Maxence Fermine GENERE:
Racconti ANNO DI PUBBLICAZIONE:
1999 /2002 CASA EDITRICE:
Bompiani
È possibile a questo punto acciuffare la felicità, senza più lasciarsi trascinare, inermi, da quel sogno ormai compromesso? È forse tutto perduto? Come si suol dire, la speranza è l’ultima a morire, ed è musica per le orecchie di chi crede ancora nel bicchiere mezzo pieno. La speranza pervade la trilogia dei colori: essa è insita ogni capitolo caratterizzato da una minima lunghezza, un sospiro anelato e necessario per vivere; è in ogni parola, parte di una scrittura armoniosa e conturbante, travolgente nella sua semplicità leggiadria. Ogni dettaglio di quest’opera è fondamentale per arricchire la sinfonia, per renderla unica ed imprimersi nella mente del lettore, sia durante il viaggio fenomenale che Maxence Fermine permette di intraprendere, sia a fine lettura quando si realizza una verità non scontata, riflessiva e impossibile da dimenticare.
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MAXENCE FERMINE
Dopo aver trascorso parte della sua infanzia a Grenoble, si trasferisce a Parigi, vivendovi per 13 anni. Riesce a iscriversi alla facoltà di Lettere per un anno, poi decide di partire per l’Africa, in Tunisia, con valige piene di libri, pronto a vivere nuove avventure. Resterà quì per molto tempo, innamorato del deserto, e lavorando in uno studio di design. Il suo primo romanzo è “Neve” (1999), che lo lancia nel mondo editoriale e gli consente di venir etichettato da subito come un’autore interessante ed estremamente personale. Il libro diventa un best seller, tradotto in 17 lingue, e forte di questo primo successo decide di dedicarsi completamente alla scrittura di romanzi. Nello stesso anno pubblica “Il violino nero” (arrivato in Italia nel 2001) e l’anno dopo, nel 2000, “L’apicoltore” (arrivato in Italia nel 2002), vincitore del Premio del Duca e il Premio Murat nel 2001, che conclude “la trilogia dei colori”. Questa serie resta ancora oggi l’opera più apprezzata dell’autore. Oltre a questi troviamo “Opium”del 2002 (in Italia nel 2003), “Billard blues” del 2003) (in Italia nel 2004) e “Amazone e la leggenda del pianoforte bianco” del 2004 (in Italia nel 2005), grazie al quale si aggiudica il Premio Europe 1.
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Seguono i romanzi “Tango Masai. L’ultimo sultano”, scritto nel 2005 (arrivato in Italia nel 2006) e “Il labirinto del tempo” del 2006 (arrivato in Italia nel 2008). Nel 2014 scrive “il palazzo delle ombre” (in Italia nel 2017), un romanzo dalle tinte gotiche, più oscuro di quanto avesse scritto fino a quel momento, ma riscontrando grande successo di critica e pubblico. Alcuni dei suoi lavori più apprezzati riguardano una nuova serie di racconti illustrati, chiamata “La Serie del Regno delle ombre”, di cui fanno parte “La piccola mercante di sogni” del 2012 (illustrato da vari artisti, arrivato in Italia nel 2013), “La bambola di porcellana” del 2013 (illustrato da Lionel Richerand, arrivato in Italia nel 2014) e “La fata dei ghiacci” (illustrato da Louise Robinson, arrivato in Italia nel 2015). Vari dei suoi scritti, almeno cinque, non sono ancora stati tradotti in Italia, e tutti quelli pubblicati sono editi dalla Bompiani. I suoi romanzi vengono tradotti in molti paesi, e tra tutti è particolarmente apprezzato dai lettori Italiani, tra i quali riscuote un grande successo. Attualmente vive in Savoia con la sua famiglia e dal 2010 lavora come reporter per l’Alpes Magazine.
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L
a storia di una famiglia ebraica tra gli anni del dopoguerra e il presente, fra la Germania nazista e gli Stati Uniti. Un padre, scampato all’Olocausto, una madre che non c’è più da troppo tempo e un figlio che fa il cartoonist e cerca di trovare un ponte che lo leghi alla vicenda indicibile del padre e gli permetta di ristabilire un rapporto con il genitore anziano. Un uomo intervista il padre e gli chiede di raccontare come è riuscito a sopravvivere all’olocausto, alla guerra e la follia nazista. Una storia familiare sullo sfondo della più immane tragedia del Novecento, raccontata in forma di fumetto, dove gli ebrei sono topi e i nazisti gatti. La graphic novel è fortemente autobiografica, si sviluppa sulla base dei racconti del padre dell’autore, un sopravvissuto al campo di concentramento di Majdanek e a quello di Auschwitz. A spezzare la narrazione delle vicende d’epoca nazista, si interpongono istantanee di vita quotidiana che mostrano il difficile rapporto tra Spiegelman e il padre, che reduce dagli orrori del nazismo, ha uno stile di vita impossibile che impone anche a chi gli sta intorno (raccoglie e conserva anche il filo di rame che trova per strada); il figlio all’apparenza indifferente, è tormentato da un enorme senso di inadeguatezza di fronte a ciò che ha vissuto il genitore.
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RECENSIONE
Maus di Art Spiegelman è una graphic novel estremamente ricca di temi e contenuti, è una di quelle opere alla quale si possono addurre vari piani interpretativi. È la storia di un fumettista emergente americano che si confronta con la storia della sua famiglia, affrontando il suicidio della madre e la figura del padre, sopravvissuti alla Shoah, e contemporaneamente tentare di tramandare la memoria dell’Olocausto attraverso un mezzo di certo poco comune, e che potenzialmente avrebbe potuto rivelarsi disastroso: la narrativa a fumetti. In Maus è presente una duplice narrazione, formata da due piani storici che dialogano costantemente tra loro: il racconto di Vladek Spiegelman, sopravvissuto ad Auschwitz che narra la vicenda della sua deportazione, e la quotidianità del figlio Art nella New York di fine anni Settanta, che ascolta i racconti del padre riguardo il momento più oscuro della storia moderna. Il loro è un rapporto forte e pieno di ostacoli, determinati dai difficili caratteri, ma che delinea una storia tanto intensa quanto appassionante, che lascia l’amaro in bocca, ma che è bene leggere. Si compone di due parti, inizialmente pubblicati come due albi separati: “Mio padre sanguina storia”, “E qui sono cominciati i miei guai”.
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Art Spiegelman, detto Artie, è un fumettista emergente americano sposato con Françoise, francese convertita all’ebraismo. Artie, infatti, è ebreo da parte della madre, Anja, morta suicida nel 1968, e suo padre, Vladek, anche lui ebreo, non avrebbe mai e poi mai accettato che sposasse una “gentile”. Vladek è, infatti, un tipo particolare. Da giovane fu un uomo d’affari scaltro, dotato di grande intraprendenza e spirito di adattamento, doti che gli consentirono di sfuggire alle persecuzioni naziste, prima, e alla reclusione nei campi di concentramento in seguito. Ora è anziano, malato e profondamente segnato dall’esperienza nel lager e dal suicidio della
«Mickey Mouse è il più miserevole ideale mai esistito? I sentimenti salutari dicono ad ogni giovane indipendente e a ogni persona dignitosa che il parassita sporco e immondo, il peggiore portatore di malattie del regno animale, non può essere il tipo ideale di animale? Basta con la brutalizzazione giudaica della gente! Abbasso Mickey Mouse! Indossate la svastica!» Una volta scelti i topi per gli ebrei, scovare l’animale adatto per i tedeschi quindi non gli è difficile: i gatti per i nazisti, i maiali per i polacchi, i cani per gli americani, le renne per gli svedesi, le rane per i francesi, tranne che Françoise che è rappresentata come una coniglietta. La narrazione inizia dal’35 quando Vladek è un bel ragazzo che vive e fa affari a Czestochowa, nella natia
moglie. Tirchio, attaccato ai beni materiali, egoista, addirittura razzista, logora tutti coloro che gli vivono accanto, a partire dalla seconda moglie Mala. Nel primo libro troviamo, in un viaggio a ritroso nel passato, che è un modo per ricostruire la storia di un periodo ben preciso, la vita della sua famiglia, il suicidio della madre e risolvere i suoi problemi esistenziali, Art inizia a interrogare il padre sugli anni della sua giovinezza fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale e man mano che il vecchio parla, ne disegna la storia, utilizzando dei topi per raffigurare gli ebrei. La scelta degli abbinamenti gli è ispirata proprio da un giornale di propaganda dell’epoca dove compariva la frase:
Polonia, e della sua storia fino ad arrivare al ’44, con il fallito tentativo di passare il confine con l’Ungheria, finito con la deportazione ad Auschwitz (Mauschwitz). Nel secondo libro sono più chiari i due livelli della storia: quella di Vladek, che narra al figlio le vicende sua e di Anja nel campo di concentramento, e quella di Artie, che racconta al lettore come vive la sua condizione di figlio di un sopravvissuto e di una madre suicida e fratello di un bambino perfetto, che i genitori hanno sempre mitizzato e adorato. I due piani sono spesso intersecati e in alcune parti si susseguono senza soluzione di continuità tavole sulla difficile convivenza tra padre e figlio, ognuno con il suo
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modo di vivere, tavole su Vladek, il sopravvissuto segnato dall’Olocausto, e tavole su Artie, cresciuto nella tranquilla New York degli anni Sessanta ma lacerato da insicurezze e risentimenti. Vladek racconta al figlio tutto l’orrore della vita ad Auschwitz in modo apparentemente sconclusionato. Non segue l’ordine cronologico in cui si sono svolti i fatti, ma focalizza il ricordo sul modo in cui sopravviveva: come si procurava il cibo e si puliva, quali lavori faceva (lo stagnaio, il calzolaio, l’insegnante di inglese e lavori ‘sporchi’), come si sottraeva alle selezioni, come cercava di mantenere i contatti ed aiutare Anja, deportata nel campo femminile di Birkenau. Il tutto con la speranza di poterne/doverne uscire vivo.
sembra l’esatta antitesi di un tema declinabile in “comic strips”: è l’impresa compiuta da Art Spiegelman, che, consegnando alle stampe il suo “Maus” – storia di una famiglia ebraica tra gli anni del dopoguerra e il presente, fra la Germania nazista e gli Stati Uniti – ha firmato uno dei più clamorosi casi letterari della scena mondiale, accreditandosi come il più autorevole padre della ‘graphic novel’, e al tempo stesso consacrandone ufficialmente il linguaggio e l’innovativa capacità di raccontare. Negli Stati Uniti è stato inizialmente pubblicato a puntate, tra il 1980 ed il 1991, ed ha vinto uno Special Award del premio Pulitzer nel ’92, il massimo riconoscimento giornalistico mondiale. Successivamente è stato tradotto in circa venti lingue diverse. È una testimonianza toccante sotto forma di grphic novel.
Raccontare a fumetti un evento drammatico di portata storica come la Shoah, che a prima vista
TITOLO:
Maus
GENERE:
Graphic Novel
TITOLO ORIGINALE:
CASA EDITRICE:
Maus: A Survivor’s Tale
Einaudi (preced. edito da Rizzoli)
AUTORE:
Art Spiegelman
ANNO DI PUBBLICAZIONE:
1989/1992 (publ. in due albi)
ART SPIEGELMAN
Art Spiegelman è nato a Stoccolma nel 1948 da genitori ebrei polacchi rifugiati, che di lì a poco hanno deciso di trasferirsi negli Stati Uniti. Inizia a disegnare professionalmente all’età di 16 anni. Periodo cruciale per la vita sua e di suo padre è stato, nel 1968, il suicidio, per ragione ignota, della madre, poco dopo il ritorno di Art da un ospedale psichiatrico in cui era stato rinchiuso per uso di droga. A questo proposito, nel 1972, Spiegelman ha scritto il fumetto “Prigioniero sul pianeta Inferno - un caso clinico”, in cui ha presentato le sue opinioni riguardo agli avvenimenti. Nel 1980 fonda con la moglie Francoise Mouly la prestigiosa rivista Raw, dedicata ai fumetti e alla grafica di avanguardia. Sulle pagine di Raw pubblica la sua storia più famosa, “Maus”, in gran parte autobiografica e incentrata sui difficili rapporti tra un figlio autore di fumetti e il padre ebreo sopravvissuto all’Olocausto, con gli ebrei ritratti come topi e i nazisti come gatti. Tra i riconoscimenti avuti per Maus ci sono una borsa di studio Guggenheim, la candidatura al Nazional Book Critics Circle Award e, nel 1992, lo Special Award del premio Pulitzer. Ha pubblicato svariati lavori su riviste statunitensi come New York Times, Village Voice e The New Yorker. Di quest’ultimo tra il 1993 e il 2002 è stato anche direttore artistico e copertinista. Nel 1999 illustra “The wild party” il racconto di Joseph Moncure March. I disegni de “L’Ombra delle Torri” (In the Shadow of No Towers) nascono dall’urgenza di raccontare, di riflettere sull’11 settembre, su quello che la gente ha visto, su quello che la gente ha immaginato, su quello che la gente ha rimosso, sull’uso che il governo di George W. Bush ha fatto di quella tragedia. Spiegelman con questa pubblicazione torna a disegnare dopo un decennio d’assenza durante il quale si era limitato a scrivere saggi e a realizzare copertine per magazine e riviste di rilievo. Insieme a Françoise Mouly, direttrice artistica del The New Yorker, Spiegelman ha pubblicato tre volumi di una serie di racconti illustrati per bambini “Little Lit” (20002003), scritti e illustrati da personaggi come Neil Gaiman, Lorenzo Mattotti, J. Otto Seibold...Attualmente insegna alla School of Visual Arts di New York.
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Interviste Il mondo non è stato creato una volta, ma tutte le volte che è sopravvenuto un artista originale.
”
- Marcel Proust
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”
Quattro chiacchiere con
Maria Rosaria D’amico Vuole fare una breve introduzione riguardo il suo lavoro e i suoi progetti?
Ho però notato che ha collaborato anche al libro “Coppedè esoterico”
Si certo, allora io sono Maria Rosaria D’amico, docente di storia dell’arte al liceo classico Cicerone di Frascati. Da anni mi occupo della promozione e della divulgazione del territorio dei Castelli Romani. Ho preso anche il patentino di guida turistica autorizzata per Roma e provincia qualche anno fa, e ho trovato estremamente interessante la nostra storia, la storia soprattutto dei Colli Albani che non tutti conoscono. Dunque ho cominciato a fare interventi all’interno di alcune pubblicazioni, insieme anche ad altri studiosi riguardo i Castelli Romani, per poi concentrarmi sul periodo storico del 1600, scrivendo il mio libro “ Il Seicento nei Castelli Romani”, che si focalizza proprio sulle opere principali dell’epoca. Passando attraverso le Ville Tuscolane di Frascati, di Grottaferrata e Monte Porzio, o Palazzo Chigi ad Ariccia, Castel Gandolfo, e facendo un breve itinerario, anche turistico dato che mi sono occupata per tanti anni di strutturare pacchetti turistici sia per italiani che per stranieri. Me ne sono occupata per più di vent’anni, poi sono stata assorbita dalla scuola. Per un po di tempo sono riuscita ad occuparmi di entrambe, come nel Giubileo del 2000 quando per tutta l’estate, ho assistito i turisti guidandoli soprattutto nella città di Roma, quindi nei grandi siti, come la Cappella Sistina. C’erano poi delle tappe prestabilite anche nei Castelli Romani, come l’Abbazia di San Nilo ad esempio, un sito che purtroppo non tutti conoscevano prima, ma che lasciava sempre tutti a bocca aperta. Adesso mi occupo dell’alternanza scuola-lavoro, ed ho organizzato un PCTO che si chiama “Girovagando per i Colli Albani”, in questo modo i ragazzi vengono introdotti alla cultura e la storia, strutturando loro per primi pacchetti turistici, facendo ricerche sulla ricettività e l’accoglienza, o raccontando la storia dei nostri paesi attraverso anche l’enogastronomia. Dunque le mie pubblicazioni sono soprattutto sui Castelli Romani.
Si, se parliamo di Roma ho partecipato anche a questa collaborazione, con Daniele Botti, che è una pubblicazione molto particolare. Io mi sono occupata della parte Architettonico-artistica, ma contiene anche una parte simbolica del quartiere Coppedè, per l’appunto sul suo aspetto esoterico e sui simboli che caratterizzano le facciate di molte case e costruzioni. Per me è stata una riscoperta, avevo già visitato il quartiere anni prima, ma attraverso quest’ottica, questa curvatura, è stato molto interessante, ed è un quartiere che non tutti conoscono, perché è un po nascosto.
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Si, io stessa vivo a Roma da tutta la vita ma l’ho scoperto da poco. È bellissimo, dovrebbe essere molto più pubblicizzato, inoltre ci hanno girato tantissimi film, sia datati di qualche tempo fa, ma anche più moderni. È un luogo magico, entrando sembra di stare in una favola, riscoprendolo soprattutto sotto quell’ottica, comprando il libro, e Daniele Botti scrive davvero molto bene. Quale luogo dei Castelli Romani più la affascina? Ho citato l’Abbazia di San Nilo, e devo dire che ce l’ho proprio nel cuore, è un gioiello sia storico che artistico. Lì ovunque spazia la tua vista si ha una rappresentazione di qualcosa al di fuori del normale, come se entrassi, anche in questo caso, in un mondo a parte. Quel tipo di architettura, ma soprattutto il rito bizantino/greco non ortodosso. Gli affreschi sono dei piccoli gioielli, ma anche la biblioteca antica, con i Codici miniati da San Nilo. È preziosa per me, anche perché il mio percorso è cominciato tanti anni fa con il compianto Dottor Bruno Martellotta, e le mie prime visite guidate erano proprio all’abbazia di San Nilo con il Gruppo Archeologico Latino. Anche i Castelli Romani sono sempre stati avvolti dal mistero, sono pieni di leggende e miti. Ce n’è qualcuno che la colpisce particolarmente? Oh si, ad esempio Tuscolo. Era una città molto importante, molto potente e di grande levatura, non solo
uccidere il suo predecessore. È la Dea Diana taurica, di origine orientale, anche questo un’altro fatto mitologico particolare. Vuole presentare il suo libro “ Il Seicento nei Castelli Romani”?
architettonica, ma come struttura sociale, e nella leggenda la si fa risalire a Telegono, figlio di Ulisse e della Maga Circe. Le grandi città con una storia di potere, come Tuscolo che era una città forte quando Roma era ancora un villaggio di capanne e fango, hanno sempre storie mitologiche che ne narrano la nascita. Sappiamo che Tuscolo forse ha origini Etrusche, da “Tusculum”, “Piccola Tuscia”, ma anche questo è da vedere, ci sono varie ipotesi su quest’etimologia. Ma non solo questo, c’è anche tutta la storia di Alba Longa, quindi di Albano, i Castra Albana, e la mitica lotta tra Orazi e Curiazi, durante il periodo dei Sette Re. Anche questa è una storia molto importante, dipinta e ritratta da molti, ad esempio Jacques-Louis David ne “il giuramento degli Orazi”, un bellissimo dipinto neoclassico del ’700. Anche il mito della Dea Diana, molto cruento, che si svolgeva sulle coste del Lago di Nemi, infatti la Dea è legata sia alla città di Nemi che di Genzano, dove al centro della piazza principale si trova una colonna con la luna che rappresenta la Dea. Vi era un rito molto cruento in quanto il custode della Dea Diana, uno schiavo, doveva lasciare dopo un certo numero di anni il suo posto ad un altro schiavo, che però doveva
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Si, questo è un libro che ho scritto grazie anche all’aiuto dell’associazione “Amici di Frascati”, che si occupa della divulgazione della storia del territorio, facendo anche conferenze e mostre. Ho avuto quest’idea prendendo spunto proprio dalla mia attività di guida turistica, ma questo libro è particolare, perché ci sono siti che sono visitabili, e a cui si poteva, almeno prima della pandemia, accedere con più facilità rispetto ad altri che rimangono invece chiusi al pubblico. Ad esempio tra queste Villa Aldobrandini, in cui è aperto il giardino, ma l’interno è sempre chiuso; la stessa Villa Grazioli a Grottaferrata, trasformata in un hotel ristorante, ed è dunque necessario chiedere dei permessi per visitarla, per non parlare di Villa Lancellotti, privata; O ancora Villa Parisi, anch’essa privata, anche se la Signora Parisi è una donna molto aperta, anche alle scuole ad esempio. Io stessa ho portato i miei alunni, e lei stessa ci ha fatto da guida parlando anche della storia della famigli, molto interessante. Ho deciso dunque di inserire siti visitabili e non, specificando i contatti per ottenere gli accessi. Poi citando anche le chiese, aperte al pubblico naturalmente, la
chiesa di Castel Gandolfo, la chiesa di Ariccia, passando anche attraverso la parte seicentesca di Monte Porzio, con il Duomo. Perchè si interessa tanto ai Catelli Romani? Beh, ad esempio i miei stessi alunni, magari sono di Grottaferrata o di Frascati e non conoscono nulla delle loro città, quindi anche nella mia attività scolastica, al di là del programma ministeriale, (che ha ovviamente come centralità Roma, ma che poi si espande visto che la stori dell’arte è tentacolare, arrivando ovunque), voglio lasciare ai miei alunni queste informazioni in più su dove vivono. Scoprono cose che mai avrebbero pensato di poter sentirsi dire. Ora purtroppo a causa della pandemia non si può, ma mi piacerebbe, magari attraverso un tour virtuale, fargli vedere i siti. Scoprire la storia e le bellezze dei luoghi in cui si abita, questo è fondamentale per me. Non bisogna dare alla provincia minor importanza di quella che ha, i Castelli Romani, Colli Albani, te lo posso assicurare dopo tanti anni di studio, non sono per nulla inferiori alla città di Roma. Si, i paesi dei Castelli Romani sono bellissimi anche solo per come sono strutturati dal punto di vista architettonico, basta passeggiare per restare ammirati da alcuni scorci mozzafiato. Esatto, certo noi siamo molto piccoli rispetto a Roma, ma abbiamo una storia di circa cento anni in più di
Roma, molti non lo sanno. È quello che molti non si aspettano di vedere. È ovvio che quando si hanno dei turisti la prima cosa che vanno a vedere siano il Foro Romano o San Piero. Pochi arrivano ai castelli, bisogna anche vedere cosa si racconta su di noi. Ho sentito cose veramente invereconde, il vecchietto col bicchiere di vino in fraschetta sulle brochure non si può più vedere, infatti sempre con i ragazzi al PCTO stiamo lavorando a qualcosa di diverso, un’altro tipo di grafica. Tante delle persone che venivano in visita con me rimanevano stupiti, si aspettavano solo vino e porchetta, che comunque sottolineo, fanno parte della cultura enogastronomica, dell’imprenditorialità dei Castelli, ma è come limitare Roma ai rigatoni con la pajata e alla cacio e pepe. Se vogliamo dirla tutta anche la regina Elisabetta adora la cacio e pepe, ma non può ne deve essere solo quello. Bisogna equilibrare gli ingredienti, altrimenti diamo dei Castelli Romani un unico spaccato. Anche i nostri panorami ad esempio, sono meravigliosi, quando non c’è foschia da Castel Gandolfo c’è un panorama spettacolare, o dal Monte Cavo, si vedono i due laghi e poi il mare, sono panorami che hanno guardato Imperatori, sono panorami che hanno guardato Papi. Le ville estive sono tutte qui, la Villa di Domiziano, la Villa di Cesare, il palazzo Pontificio…c’era qualcosa in più in questi luoghi che li attraevano.
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UNA PESSIMISTICA OTTIMISTA
CHIMAMANDA NGOZI ADICHIE 68
La scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie. Vive tra la Nigeria e gli Stati Uniti. Tra i suoi libri più noti, «Americanah» e «Dovremmo essere tutti femministi». Uno dei punti di forza degli stereotipi è che sono meno falsi di quanto sostengono i loro critici. Il vero problema è che sono incompleti, e ci offrono una visione parziale, falsata, della realtà. La scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie lo chiama «il pericolo di un’unica storia», cioè del pensiero quando diventa unico. Lo stereotipo funziona così: trasforma un pezzo di verità, «gran parte degli immigrati sono messicani», nell’unica verità, «tutti i messicani sono immigrati». Qual è l’orizzonte prioritario del femminismo? Intendi per gli uomini? O per le donne? Il punto centrale del femminismo è che uomini e donne sono diversi e queste differenze sono state la base per l’oppressione. Uno dei maggiori problemi riguarda la comunicazione tra uomini e donne: in generale le donne hanno molta più familiarità con gli uomini rispetto agli uomini con le donne. Vale anche in letteratura: le donne hanno bisogno degli uomini, ma in generale gli uomini non hanno bisogno delle donne. Così gli uomini ascoltano gli uomini, meno le donne. Ragioniamo per stereotipi. Che sono veri, ma incompleti. Come completiamo questa storia? Bisogna dare a voi uomini gli strumenti per esprimere le emozioni. Molto lavoro deve essere fatto dagli uomini, tra gli uomini, con gli uomini. Molte cose di cui le donne si lamentano, gli uomini le fanno perché hanno paura di provare vergogna davanti ad altri uomini. Molta mascolinità è performance per altri uomini, non per le donne. Il femminismo deve occuparsi di ragazze e donne, perché soffrono di più per l’oppressione. Ma dobbiamo parlare anche di ragazzi e uomini, perché possiamo cambiare le donne quanto vogliamo, ma se gli uomini non cambiano, nulla cambia. Per questo dobbiamo essere tutti femministi. Un mondo senza questa oppressione, è una vittoria per tutti, a prescindere che tu sia uomo o donna.
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Le donne, secondo te, e intendo le femministe, hanno ancora bisogno di definirsi streghe? Non è, anche questo, uno stereotipo da superare? Viviamo in un mondo misogino al quale ci dobbiamo ribellare e quindi sì, ne abbiamo ancora bisogno, se per strega intendi una donna che appunto si ribella. Parlando di stereotipi, un altro che si sposa bene col termine strega e cioè aggressività. Se per un uomo essere aggressivo significa dimostrare forza, per la donna questo stesso termine assume invece una connotazione negativa; se una donna è forte, se parla in pubblico, se si fa sentire diventa in automatico una donna aggressiva ma il perché la gente dica questo io non lo so. Quello che so è che se viviamo in un mondo dove c’è questa ostilità, se viviamo in un mondo dove le donne vengono uccise tutti i giorni da uomini che conoscono, dove le donne non hanno lo stesso potere degli uomini, se non hanno lo stesso tipo di salario pur lavorando nelle stesse posizioni dei maschi, se in alcuni paesi alle donne non è nemmeno permesso lavorare fuori casa, allora non è più una questione di cambiare la maglietta per dire dovremmo essere tutti femministi. Le donne portano un doppio fardello quindi se oltretutto vengono anche accusate di essere arrabbiate, aggressive. Ecco, questo è esattamente il motivo per il quale c’è ancora bisogno di femminismo; se c’è questo tipo di aggressività nei nostri confronti vuol dire che c’è della misoginia e se c’è della misoginia abbiamo bisogno del femminismo.
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Spesso la rabbia rischia di diventare odio. Il femminismo a volte sembra odio verso i maschi. Il problema è che quando le donne mostrano rabbia, gli uomini la leggono come odio verso di loro. C’è un livello di rabbia giustificata, che le donne sentono che dovrebbe essere permesso loro di provare. Guardiamo le statistiche della violenza sessuale: ho incontrato donne che lavorano nei rifugi per stupro, e le ho viste piene di rabbia, e lo capisco. Alcune femministe ritengono non sia loro responsabilità far sentire meglio gli uomini in un sistema oppressivo verso le donne. Parlare della rabbia delle donne non dovrebbe essere letto come odiare gli uomini, perché ovviamente non tutti gli uomini sono violenti ma certo sono gli uomini a fare violenza. E perché se parli agli uomini di femminismo, subito diventano molto difensivi? Gli uomini non possono essere ridotti a quelli che fanno violenza sulle donne né il femminismo alle estremiste che odiano gli uomini. Ti vedi come un ottimista o un pessimista? Una pessimistica ottimista. Perché voglio ancora credere che tutto andrà bene, anche se so che non lo farà. Nel 2012 hai tenuto un intervento alla TEDxEuston Conference, un evento annuale dedicato all’Africa, nel quale esprimevi il tuo concetto di femminismo. È qualcosa che hai imparato dalle donne della tua famiglia? Dopo quel mio discorso pubblico, una serie di amiche mi hanno cominciato a chiedere come avrei potuto
spiegare a loro e agli altri come essere e/o continuare ad essere femminista. Così è nato il libro Cara Ijeawele, che ho scritto anche perché in profondità volevo scrivere di ciò che credevo fosse il femminismo, prima di tutto scriverlo a me stessa. Non ho preso nessun tipo di ispirazione né dai genitori né dai nonni; piuttosto ho tenuto ben presente l’osservazione del mondo, del mondo nel quale io vivo e di quella parte del mondo nel quale non vivo. Sinceramente non riesco a capire come mai se le persone sono attente a quello che succede, se le persone sono per così dire alfabetizzate, non si rendono conto che viviamo in un mondo misogino; se uno non si rende conto di questo allora bisogna rendere giustizia e dire che il femminismo non solo ci deve essere ma è necessario. Questo libro non viene da aneddoti, da cose sentite o vissute dai miei antenati. Forse la gente pensa questo perché noi africani per qualche motivo veniamo sempre guardati come la gente che ha degli antenati ai quali attingere. I tuoi libri, i tuoi discorsi pubblici ti hanno trasformata in un’icona del movimento femminista. E tu lo percepisci come un dovere, un piacere o una croce? È sia un fardello sia un piacere. Io non ho mai avuto l’intenzione di diventare un’icona del femminismo, non era nei miei piani e non mi penso e non mi vedo come una il cui lavoro è fare la femminista. Io mi sento prima di tutto una scrittrice, la letteratura è l’amore della mia vita e anche la vocazione della mia vita, ma partendo proprio dalla scrittura mi è capitato appunto di parlare in pubblico, e parlando per esempio del sessismo, mi sono trovata a dover fronteggiare tutta
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questo interesse. Quando ero una bambina non sapevo neanche per dire cosa fosse il femminismo, però ero arrabbiata, mi continuavo a chiedere perché una bambina dovesse chiedere il permesso per fare delle cose, cosa ci si aspettava che una bambina facesse o non facesse e questo mi rendeva davvero furibonda; da questo punto di vista sono sempre stata femminista. Poi mi è capitato di parlarne in quella prima occasione molti anni fa ed è stato come decollare dentro questa idea. Diciamo che è una scelta quella che io ho fatto, certamente ho scelto di parlare di questi problemi, e come in tutte le scelte ci sono delle conseguenze che mi rendo conto devo sopportare. Quindi diciamo che ci sono delle volte in cui mi fa molto piacere andare fuori e parlare e farmi sentire, però questo mi fa mancare anche quell’altra parte di me che vorrebbe starsene a casa seduta comodamente in poltrona a leggere poesie che sono la cosa che mi piace di più al mondo. Mi piace moltissimo tutto quello che faccio e tutto quello che mi è capitato, però io amo anche il silenzio e occuparmi di letteratura. Ma è un grande piacere che mi commuove ancora oggi e che ritengo davvero una delizia della vita quando un’altra donna viene da me e mi dice di essere molto felice perché io l’ho aiutata, perché sono riuscita ad ascoltarla o perché nelle mie parole ha trovato la soluzione a qualcuno dei suoi problemi. Se quello che io dico serve alle persone per cambiare, per capire meglio le cose allora sono felice, per me questa è gioia. Cosa si può fare per quelle donne che non hanno il privilegio della cultura, che non hanno cioè gli strumenti per capire quanto misogino sia il mondo in cui viviamo? Sicuramente l’istruzione è molto importante per una donna. Però, ti dico, mia nonna non era acculturata ma era comunque femminista. Per esempio non ha
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voluto sposare l’uomo che la famiglia aveva deciso che lei dovesse sposare. E aggiungo che per esempio la mia parrucchiera, una donna che non è particolarmente colta, è molto più femminista di tante altre donne, magari più istruite e sofisticate. Sei donna e sei nera, due caratteristiche che sviluppano nell’Altro una certa discriminazione e una serie di stereotipi. Come donna africana, di quali altri stereotipi ci puoi parlare? Ero in Australia, tempo fa, ad un evento. Alla fine, una donna (bianca) si avvicina e mi dice una cosa tipo “Boogo woogo”. Io resto muta e immobile, allora lei mi dice “Ma è lingua zulù”, partendo dal presupposto che io, essendo africana, conoscessi la lingua zulù, che è parlata solo in poche parte del continente. Oppure mi hanno chiesto cosa ne pensassi della Namibia, ma io non conosco nulla della Namibia. Questo è lo stereotipo dell’africano che, essendo tale, dovrebbe avere la conoscenza di tutto ciò che riguarda l’Africa, ignorando che ci sono un sacco di lingue e situazioni differenti da nazione a nazione. Un suo pianto di gioia? Per una foto dei miei genitori; mio fratello era andato a trovarli nella nostra città, e ci ha inviato una foto dove mio padre ride. Era in piedi, nel salotto di casa, e mia madre sedeva ridendo con lui. Come ho guardato quella foto ho iniziato a piangere. Mi ha fatto pensare che sono fortunata, i miei genitori ci sono ancora, sono insieme, li adoro, adoro vederli ridere, la loro risata era incredibile e la fotocamera l’ha catturata bene. Mi ha riempito di gratitudine! Ma mi ha anche reso consapevole della mortalità. Le emozioni contrastanti fanno piangere.
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Ana Juan Tra i silenzi di una storia
Ana Juan è un’illustratrice, scrittrice e pittrice spagnola. Nata a Valencia nel 1961 e trasferitasi a Madrid nei primi anni Ottanta, ha alle spalle numerose pubblicazioni e mostre in tutto il mondo, dalla Spagna agli Stati Uniti, passando per il Giappone. The Night Eater, il primo libro per bambini che ha scritto e illustrato, ha vinto nel 2004 l’Ezra Jack Keats New Illustrator Award, un importante premio consegnato agli autori emergenti di letteratura per l’infanzia. Nel 2007 con For you are a Kenyan Child vince il Premio Junceda de Ilustración, e nel 2010 ha ricevuto il prestigioso Premio nazionale di illustrazione conferito dal Ministero della cultura spagnolo. In Italia, con logosedizioni ha pubblicato: Amantes, da cui sono strati estratti i racconti, pubblicati singolarmente, Amore diverso, Amore fedele, Amore finale, Amore sconosciuto, Amore settimanale e Amore volatile (tutti disponibili anche in inglese, francese e spagnolo); senza contare Circus, L’isola, Snowhite, Sorelle, Demeter (disponibile anche in inglese, francese e spagnolo), Promesse (disponibile anche in inglese, francese e spagnolo), Carmilla, Lacrimosa (disponibile anche in inglese e francese), Frida e Anna dei miracoli. Inoltre vanno nominate le raccolte Complete Works e Cartoline Ana Juan.
Dal 1995 ad oggi, Ana Juan ha realizzato oltre venti copertine per il The New Yorker , una delle più prestigiose riviste statunitensi, famosa anche per le illustrazioni particolarmente belle e curate che ogni volta propone in prima pagina. Ha realizzato vari articoli per El País e le copertine dei romanzi di Isabel Allende e di diversi classici della letteratura mondiale. La sua ultima fatica uscita in Italia lo scorso anno è la versione illustrata de L’uomo vestito di nero di Stephen King. È Conosciuta per le sue interpretazioni originali, malinconiche, e talvolta un po’
spietate, della realtà e delle storie che accompagna con le sue illustrazioni.Il suo mondo è fatto di luci e ombre, di atmosfere al contempo romantiche e macabre che a tratti ricordano Chagall. Il suo mondo è fatto di luci e ombre, di atmosfere al contempo romantiche e macabre che a tratti ricordano Chagall. Il suo è un mondo perlopiù monocromatico o addirittura in bianco e nero, ma che sembra contenere tutti i colori del mondo tanto è comunicativo. Oggi quest’autrice straordinaria si è prestata a rispondere a domande che rivelano in lei una profonda consapevolezza non solo delle sue opere, ma di quale sia lo scopo ultimo dell’illustrazione.
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Lei è ormai un’istituzione nel mondo dell’illustrazione. Sicuramente in passato avrà avuto momenti chiave che hanno determinato la sua carriera come artista. Quale tra tutti è quello che ha più influito nel suo lavoro? Prima di tutto, non mi considero affatto un’ “istituzione”. La mia vita professionale è all’attivo, e sto ancora imparando ogni giorno. Tutto influisce nel tuo lavoro, le piccole e le grandi cose. Le gioie e i dolori. Non posso dire ci sia stato un avvenimento preciso, solo una madre che ha pensato bene che il piccolo talento che aveva sua figlia andasse coltivato e trasformato in un mestiere che la rendesse indipendente. La vita è un susseguirsi di eventi che sommandosi l’un l’altro ci conducono al nostro presente. In qualche modo le sue opere riescono sempre a suscitare forti emozioni nello spettatore, ma cosa prova mentre disegna, e cosa vuole esprimere? Il concetto della creazione non dovrebbe essere amplificato. La creazione è un misto di abilità e talento che vengono acquisiti attraverso un lavoro consapevole e continuo. Il disegno è il mio linguaggio, col quale comunico con il mondo. Quando racconto storie uno dei miei scopi è lasciare al lettore una domanda, un’inquietudine in molti casi prodotta dalla fugacità del tempo e dall’incapacità che gli esseri umani hanno di coglierla e di esserne i proprietari.
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A partire dai romanzi gotici del ’700, il genere horror si è fatto sempre più spazio, e oggi è uno dei più apprezzati. Secondo lei perchè il macabro affascina tanto le persone? Viviamo minacciati dai nostri stessi fantasmi ed è per questo che siamo attratti dallo scoprire questi fantasmi anche negli altri. Il macabro, il morboso sono un riflesso delle nostre stesse paure. Quali sono le sue fonti di ispirazione? L’ispirazione non va cercata vicino, arriva sempre da strade inaspettate, dalla lettura, dalla riflessione, dall’osservazione e dalla documentazione. Sono influenzata da tutto ciò che mi trasmette emozione, ovviamente correnti e movimenti come l’espressionismo tedesco insieme ad altri, mi hanno interessato per un certo periodo. Man mano che procedi lungo la strada, compaiono sempre nuove influenze estetiche, e alla fine queste influenze lasciano un residuo che, filtrato dalle tue stesse esperienze, si riflette nel tuo lavoro.
La maggior parte delle sue opere sono in bianco e nero, disegnate a carboncino. Cosa la affascina di questa tecnica? “Snowhite”, la mia versione di “Biancaneve”, mi ha dato l’opportunità di reinterpretare liberamente una favola classica, ed ho imparato a lavorare in bianco e nero, recuperando ciò che avevo già imparato negli anni di preparazione all’ammissione all’università di Belle Arti. Avevo sempre avuto un problema tecnico nel risolvere il bianco e nero e guardando indietro al mio passato ho scoperto una strada per il futuro. Onestamente non mi sento a mio agio a lavorare a colori, sono una disegnatrice. Il bianco e nero o una tecnica monocromatica mi permettono di creare atmosfere, emozioni e personaggi al servizio di ciò che voglio esprimere e continuare a disegnare liberamente. Secondo lei nel corso degli anni è cambiato l’approccio e la fruizione del libro illustrato? L’illustrazione è innegabilmente in auge, da sempre sottovalutata rispetto alla pittura. L’illustrazione è diventata una specializzazione a se nelle università di Belle Arti e nel campo dell’editoria, la battaglia contro il libro elettronico ha fatto volgere lo sguardo degli editori verso testi classici e privi di copyright. Questi testi, quando illustrati, acquisiscono una caratteristica che il libro digitale non può avere e rende possibile che il libro “viva” nel formato cartaceo.
Inoltre il lettore di libri illustrati è cambiato: dal libro illustrato che è rivolto solo ad un pubblico infantile-adolescente, siamo arrivati a raggiungere il mondo adulto che ha già familiarità con le immagini. Attraverso le sue pubblicazioni ha toccato e reinterpretato vari mondi, dai classici letterari come “Carmilla”, a favole come “SnowWhite”, a letteratura moderna ne “L’uomo vestito di nero”, o con storie completamente nuove come “Amantes”; come definisce il modo di avvicinarsi ad opere così differenti? Quando affronti il testo, devi sempre prendere delle decisioni, cercare di non mostrare ciò che l’autore non intendeva, cercare di non dare un messaggio equivoco ma lasciando comunque spazio alla fantasia. L’illustrazione non deve riflettere specularmente il testo perché poi diventa qualcosa di ripetitivo, l’illustrazione deve suggerire, avvolgere o addirittura negare il significato del testo, creando così un’altra immagine nella mente del lettore. Quando ci troviamo di fronte a un testo, dobbiamo liberarci dei nostri pregiudizi e di tutto ciò che può condizionare la nostra visione. Ad esempio, ho illustrato “Il giro di vite” di Henry James, un’opera estremamente visionaria, quindi mi sono dovuta sforzare per evitare di cadere in luoghi comuni ed addentrarmi nell’essenza del testo. Se Henry James non voleva rivelare se i
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fantasmi esistessero o meno nella sua opera, non sarei di certo stata io a farlo. Quando illustri devi dedicarti a camminare tra le righe, ascoltando i silenzi che pian piano si trovano nel testo, perché è in quei silenzi che si trova l’illustrazione. Quale tra tutte le tue pubblicazioni hai trovato più stimolante? Ogni progetto ha una storia alle spalle e contemporaneamente ti lascia qualcosa, a volte nel bene e altre nel male, ma ognuno ha il suo posto. Se dovessi evidenziarne uno, forse sarebbe “Amantes”, non tanto per me ma per la ripercussione che questo titolo ha avuto e continua ad avere. Per un motivo o per l’altro, tutte le esperienze professionali sono un arricchimento.
Come è nata la collaborazione con Stephen King? Ha lavorato direttamente con lui? La collaborazione è stata una proposta dell’editore, il signor King non ha avuto niente a che fare con questo processo, ma il risultato gli è stato mostrato prima di essere pubblicato. Ci ha fatto solo due domande, sempre tramite il suo agente, ovviamente: Perché c’erano animali morti nelle illustrazioni? Perché non aveva mostrato l ‘”uomo in abito nero” che aveva dato il titolo alla storia? Ho risposto alla sua prima domanda dicendo che era un modo di ritrarre la morte di cui è impregnata la storia e alla sua seconda domanda, ho risposto che se l’uomo vestito di nero non appariva è perché era già stato descritto a fondo nel racconto, e rappresentarlo graficamente sarebbe stata una ripetizione inutile. Personalmente ho preferito lasciare questo compito all’immaginazione del lettore. Ci ha dato la sua approvazione dandomi carta bianca per andare avanti con il mio approccio all’illustrazione del suo testo. C’è un autore con cui vorrebbe collaborare? Personalmente, non ho mai sognato di illustrare nessun autore nello specifico, in un modo o nell’altro ho lasciato la scelta delle opere che ho illustrato al caso, ma sono arrivata alla conclusione che non sono io a scegliere i libri che illustro, sono loro che scelgono me.
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Lei ha lavorato molto anche con la rivista “The New Yorker”, per la quale ha realizzato molte copertine. Qual’è il processo di realizzazione per un’illustrazione destinata ad una rivista? Se ti riferisci nello specifico al “The New Yorker” il processo ha molte sfaccettature: puoi ricevere l’offerta direttamente dall’art director perché trova il tuo lavoro adatto a un argomento, oppure lei può fare una proposta ad un gruppo di illustratori con cui è solita lavorare, ricevendo molti schizzi e idee con i quali iniziare a fare una selezione, o ancora puoi inviarle schizzi liberamente su qualsiasi argomento, generico o specifico. Successivamente ci sarà un processo di selezione da parte dell’editor creativo e da lui le proposte verranno inoltrate al direttore della rivista che sceglierà quella più consona a ciò che il numero vuole dire. Sembra un processo lungo e complicato, a volte lo è e a volte no. È abastanza attiva sui social, come questi nuovi mezzi hanno influito sul suo lavoro? I social sono un aiuto favoloso fintanto che siano ben gestiti, ma non è il mio caso, sono abbastanza riservato quando si tratta di mostrare il mio lavoro e le mie piccole miserie, trovo difficile espormi in questa vetrina, ma ci provo. Bisogna riconoscere che i social ti aiutano a capire che non sei il centro del mondo, che ci sono più persone che lavorano con interessi simili o diversi ai tuoi, inoltre sono un ottimo mezzo per promuovere il tuo lavoro. Per di più è confortante ritrovare amici che sono scomparsi da tempo dalla tua strada e farne di nuovi. Sta lavorando a qualche nuovo progetto? No, a nessuno in particolare. Sto lavorando, oltre agli incarichi editoriali, a piccoli semi di idee cercando di trovare il più adatto al momento che sto vivo. Ancora una volta lasceremo al caso la scelta della strada da seguire.
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Alessia Rocchi Quando alla storia si intreccia la fantasia: Ánghelos è la trilogia d’esordio di Alessia Rocchi, composta dai libri Ánghelos, Il libro oscuro di Dracula e Quando il vampiro cominciò a sognare. I volumi seguono le vicende del Conte Nikefóros Ánghelos nel corso dei secoli, seguendo avvenimenti e personaggi storici realmente esistiti e non, attraverso la ricerca di un’identità forse perduta. Oggi faremo qualche domanda all’autrice.
Mi ha sempre colpito il fantasy perché è un genere in cui si cela sempre molto simbolismo. Poi nell’arco degli anni ho variato un pò, mescolando al fantasy anche del gotico, quindi mi sono avvicinata alla letteratura su vampiri, lupi mannari e fantasmi…cose anche leggere magari, ma che a me piacciono ahahah...
Grazie di aver accettato l’intervista. Volevo sapere: quali sono i suoi punti di riferimento in letteratura e quali scrittori le sono di ispirazione.
Come si è avvicinata al genere Fantasy?
Certo, ma vedi purtroppo in Italia è un genere un pò sminuito, ed è strano perché ci sono italiani che li sanno scrivere anche molto bene. È pieno di simboli come dicevo, anche solo nell’eroe che estrae la spada, il famoso viaggio dell’eroe con la sua psicologia, cose che appartengono anche noi in effetti, ma comunque è un genere poco sviluppato nel nostro paese, non abbiamo molti autori fantasy, per carità ce ne sono e anche di molto bravi, ma sono pochi rispetto ad altri tipi di letteratura. Infatti ad esempio al “Premio Strega” non è mai accaduto che ammettano in gara un fantasy, sembra sia escluso a priori…magari poi questa è una mia sensazione, un’impressione forse sbagliata, ma in effetti si tende sempre a favorire la letteratura di un certo genere.
Bé fin da bambina mi interessavano le storie più classiche del fantasy, che raccontavano di draghi e magia, come Il Signore degli anelli, I Cavalieri della tavola rotonda, La spada di Shannara, che poi erano i libri che avevano i miei genitori in casa; ma devo dire mi affascinano anche quelli dalle tinte horror, altro genere che a me piace molto…è che anche il fantasy stesso andrebbe diviso in vari sottogeneri.
Se pensi ad esempio alla Divina Commedia, in fondo Dante per parlare di se stesso si fionda all’inferno, con tutte quelle immagini così forti, molto fantasy se ci pensi, però sono talmente evocative che tu non puoi far altro che ricordarle, con il Cerbero, i Gironi dell’inferno… ma in Italia purtroppo è così, non funziona molto. È un genere molto affascinante, ma molto più sviluppato ed apprezzato dagli anglosassoni.
Innanzitutto tutti gli autori classici, si parte sempre dai più essenziali, quindi i classici di ogni tipo, passando da Zolà a Verga a Pirandello. Poi ho come predisposizione personale George Orwell, che per me è uno dei più grandi scrittori mai esistiti, e mi affascina soprattutto la letteratura distopica, un genere che riporta opere molto iteressanti, come anche il Mondo Nuovo di Aldous Huxley, ecco….ma poi in effetti leggo di tutto, è importante.
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Bé la lettura deve essere prima di tutto uno svago, un piacere.
Riguardo il suo libro, a differenza di molti romanzi di genere, nei suoi racconti è molto chiara l’approfondita ricerca e la cura ai cenni storici; come ha mescolato personaggi e avvenimenti realmente esistiti al fantastico, alla sua storia? Viene molto istintiva questa cosa, perché la realtà non può escludere il fantasy e viceversa. Mi piaceva inserire questi elementi soprannaturali all’interno di una storia già scritta, la storia vera dell’anno 1000 nel sud Italia, nella città longobarda di Benevento. Inserire la figura di un vampiro mascherato all’interno della storia mi sembrava una cosa bella, mi interessava. A dir la verità non ci ho pensato troppo, non l’ho elaborato come progetto, mi è venuto molto naturale. Ho pensato, in fondo accadono tante cose strane nella vita, allora perché non inserire un elemento soprannaturale che si muove nella storia reale, ecco…. Una delle cose più particolari è il fatto che lei ha scelto di ambientare ogni libro della trilogia in un’epoca storica differente. Nel primo siamo nel 999, nel secondo 1476 e nel terzo nel 1726. Come mai ha scelto di cambiare così tanto il periodo? Perché mi piaceva l’idea di passeggiare nella storia, dato che questo vampiro in fondo è una creatura eterna, allora l’ho inserito in tre momenti particolari. Uno è la storia dell’anno 1000, quindi il cambiamento, anche se poi non è vero niente riguardo il terrore per la fine del mondo, perché dal punto di vista storico sappiamo che è una favola che si è diffusa, nella realtà non c’era nessuna paura dell’anno 1000. (è successa invece una cosa simile nel 2000, e considerando gli ultimi mesi forse ci hanno preso ahahah) Nel 1476 invece c’era il Principe Dracula che mi divertiva far incontrare con un vampiro dell’anno 1000, quindi questo doppio gioco tra le due figure. Anche perché questo principe realmente esistito viene identificato come un vampiro, da Bram Stoker quando scrive appunto Dracula. Infine nel 1700 perché è in quegli anni che, nascono l’enciclopedia, la scienza, e l’illuminismo…in questo periodo si vuole studiare la storia dei vampiri, anche perché la scienza si interessa molto al corpo umano ed a tutte le sue particolarità. C’erano manifestazioni
un po’ particolari, o focolai nell’est dell’Europa, uno in Serbia se non ricordo male, e gli scienziati cominciarono a studiare questa figura, non solo dal punto di vista letterario, ma anche dal punto di vista scientifico…è nel’700 che si diffonde l’interesse per questa figura del vampiro. Insomma mi piaceva l’idea di inserire il mio protagonista in momenti specifici della storia, momenti chiave anche per la sua “specie” se così vogliamo dire. Il protagonista è un personaggio molto enigmatico, per la sua personalità o per le sue caratteristiche, si è ispirata a qualcuno oppure è completamente frutto della sua fantasia? No no, è completamente frutto della mia fantasia. Certo, poi l’esperienza fa sempre parte nell’opera che uno scrive, ma comunque è un personaggio inventato di sana pianta. C’è qualche episodio particolare, durante la stesura di questi romanzi, che le rimane impresso e le piace ricordare? In realtà le cose più belle avvengono durante le presentazioni del libro, dove si entra in contatto con tante persone che ti supportano.
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La cosa che mi piace di più è quando si può parlare della propria opera con altre persone che si confrontano con te e ti fanno delle domande, come in questo preciso momento, è molto bello perché vuol dire che hai toccato una corda ed è molto emozionante poter interagire con altre persone. Un’altra cosa interessante è quando un’altra persona che ha letto il tuo libro riesce a cavare fuori dal personaggio un tratto della personalità che io stessa magari non avevo visto o considerato. È molto bella questa cosa perché diventa una sfumatura che magari può esserti utile in futuro, un suggerimento. Queste sono le cose che ti rimangono: l’interazione con il lettore. E’ veramente molto bello, ogni volta che qualcuno legge un libro ne crea una propria interpretazione, e magari ti offre delle sfumature alle quali tu non avevi neppure pensato e che ti fanno riflettere. Come se i personaggi diventassero delle persone reali che neanche l’autore riesce a conoscere fino in fondo perché sono complessi quanto un persona vera. Esattamente, bravissima è proprio questo, poi il personaggio cambia con te se ci dedichi il tempo e gli anni, perché io ho sempre pensato che i libri per scriverli ci servono gli anni…certo magari evitare di fare come Martin ahah… per carità, io lo adoro quell’uomo perché scrive da Dio (come anche Steven King, sono i grandi che io amo profondamente), e di certo lui ci impiega moltissimo tempo. Diciamo che impiega molto tempo per costruire un personaggio e molto poco per distruggerlo… Brava, questa è una cosa su cui ci rifletto molto, ma che è fondamentale. È molto realistica la narrazione, certo è dura perché nell’ambito della letteratura i lettori si aspettano determinate scenlte, ma penso che se non piace questo tipo di romanzo si è liberi di dirigere le proprie attenzioni verso altri generi. Lui ti trascina in un mondo che per quanto fantastico è estremamente crudo e realistico, tanto che per te diventa reale, e magari vuoi bene ad una persona (personaggio), ti affezioni e all’improvviso muore e ci stai veramente male. È bravo a far questo, trovo veramente geniale la figura ed il pensiero di quell’uomo.
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Tra le righe Ho degli amici (i libri), la cui società è per me deliziosissima; sono uomini di tutti i paesi e di tutti i secoli; distinti in guerra, in pace e nelle lettere, facili a mantenersi, pronti sempre ai miei cenni, li chiamo e li congedo quando più mi aggrada … essi non van mai soggetti ad alcun capriccio, ma rispondono a tutte le mie domande.
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- Francesco Petrarca
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generazioni a confronto
«È un problema segnalato da molti, non soltanto insegnanti e non soltanto in Italia. La deconcentrazione continua è una vera patologia: i ragazzi sono sottoposti a ripetuti attraversamenti di altri linguaggi […] I ragazzi non leggono più, la lettura è diventata un’attività frammentaria, come la scrittura. I giovani fanno le loro ricerche in Internet: prevalgono il copia-incolla e il leggi e salta» Questo è ciò che afferma Duccio Demetrio, docente di Filosofia dell’educazione all’Università Bicocca di Milano, ma sarà proprio così? I cosiddetti millennials, i nati tra il 1981 e il 1996, sono la prima generazione ad aver avuto un approccio precoce ad internet e a tutte le piattaforme ad esso collegate, nonché coloro che più di tutti hanno effettivamente contribuito alla creazione del villaggio globale. C’è però anche un’altra generazione che dovrebbe essere esaminata, ed è quella a cui fa riferimento il Professor Demetrio: la Generazione Z, ossia i nati tra il 1997 e il 2010, sono la prima generazione nata e cresciuta nell’era digitale, e che riceve impulsi e stimoli dal mondo del web. L’approccio intensivo dei Millennials al web è avvenuto effettivamente durante le scuole dell’obbligo, ma difficilmente prima dei 12/13 anni, mente per la nuova generazione il contatto è stato molto più radicale, perché internet aveva già invaso ogni singola casa privata, e molti di questi ragazzi hanno avuto le loro prime esperienze digitali anche prima delle scuole elementari. Come menzionato la Generazione Z è la prima a nascere e crescere nell’era digitale, e di certo le risposte della mente agli impulsi si sono sviluppate in modo diverso rispetto alle generazioni passate, ma questo non è necessariamente un male. Se da una parte è possibile che l’assuefazione dai social e dal mondo digitale porti ad una più facile distrazione, dall’altra è innegabile che le nuove generazioni siano più portate ad aprire la mente, ad accettare realtà differenti, e a pensare in maniera più trasversale. Inoltre il continuo bombardamento di informazioni che arriva dal web, assolutamente imparagonabile a quello della televisione, porta i ragazzi a dover necessariamente selezionare le informazioni, che sempre più spesso sono contrastanti, e quindi a ricercarne la fonte, a valutare quali siano le più attendibili, e quindi a farsi domande. Effettivamente sono meno influenzabili dai media, almeno per quanto riguarda l’immediato. Nel 2020 ho fatto un sondaggio generazionale per capire effettivamente in che modo uomini e donne di tutte le
età percepiscono il mondo letterario. Ho preso in esame quasi quattrocento soggetti, che poco avevano a che fare tra loro: il sondaggio è stato pubblicato online in un gruppo di lettura, in uno di compro-vendita di mobili usati, in un’altro creato dai fan di De Andrè, in uno dedicato alla lavorazione ai ferri…i soggetti sono poi stati divisi in cinque fasce generazionali: La prima è tra i 14 ed i 23 (A), la seconda tra i 24 ed i 32 anni (B), la terza tra i 33 ed i 44 (C), la quarta tra i 45 ed i 59 (D), e l’ultima riguarda gli over 60 (E). Si è cercato di includere più realtà possibili nel sondaggio, e sono emersi dati effettivamente molto interessanti, ma c’è comunque da considerare il fatto che trattandosi di un sondaggio online (nonostante fosse specificato nella descrizione che chiunque potesse farlo), una fetta di popolazione che non è abituata affatto a leggere e che non si interessa dell’argomento, con ogni probabilità non ha partecipato al sondaggio. A dimostrazione di questo solo una persona, su 382, ha dichiarato di non leggere affatto nel corso dell’anno. Per questo motivo stiamo parlando di percentuali riguardanti solo quel 58% della popolazione italiana che secondo un’indagine portata avanti dal MIBACT legge almeno un libro l’anno (ebook compresi). Nella prima domanda del questionario viene chiesto “Quanto tempo dedichi alla lettura?”. In realtà in questo caso non c’è una divisione così netta nelle risposte, in tutte le fasce d’età a predominare è la lettura di un paio d’ore giornaliere. Tuttavia si rileva una certa difficoltà nella fascia B a trovare una metodicità: la maggior parte dei soggetti, anche se hanno dichiarato di leggere giornalmente, hanno specificato nelle risposte aperte che in realtà leggono quando possono, e che hanno risposto facendo una media, nonostante l’intensità della lettura sia molto saltuaria in base al periodo. È interessante che stiamo parlano della fascia d’età che a causa di lavori precari o di studi universitari, ha più difficoltà, in generale, ad avere una vita quotidiana regolare.
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Se rispetto al tempo dedicato alla lettura non si sono riscontrate grandi differenze, lo stesso non si può dire riguardo il dove: mentre le categorie più giovani si ritrovano a leggere la sera o nei momenti di pausa durante la giornata, come anche sui mezzi, la grande maggioranza dell’ultima fascia, ha risposto che in realtà legge quando ne ha voglia, durante la giornata, senza badare all’orario. Questo è ovviamente riconducibile alla tranquillità del pensionamento. È interessante notare anche come ci sia un drastico calo della lettura su mezzi pubblici tra la fascia C (il 10%) e la D (il 4,5%), calo che si conferma anche nella fascia E dove questa opzione sembra sparire del tutto. La categoria che legge meno di tutti in vacanza o nei weekend è invece la B, un dato (2,7%) che spicca molto, specialmente rispetto ai numeri alla fascia A (8,9%) e D (10,2%).
Solitamente acquisti...
Online 32,2 % In libreria 67,8 %
Un’altro punto in comune più o meno a tutte le fasce d’età, è il tipo di lettura, spopolano infatti i romanzi (di qualsiasi genere letterario), che si aggiudicano il primo posto nel sondaggio con il 68,5% di lettori. A seguire troviamo giornali e riviste, letti dal 9,5% dei soggetti, subito dopo i saggi con il 7%, i testi specialistici con il 2,4 %, e infine i fumetti con l’ 1,6%. Solo l’ 11% dei lettori legge abitualmente diversi tipi di contenuti, spaziando nell’immenso mondo letterario. È da sottolineare che a differenza dei romanzi, universalmente preferiti da tutti, i numeri delle altre categorie sono molto variabili a seconda delle età: mentre i fumetti vengono citati più volte nelle fasce A e B, sono completamente assenti tra le persone più in la con gli anni, e viceversa per quanto riguarda i testi specialistici, nominati solo nelle fasce C e D, lasciando quindi indifferenti giovani e anziani. Fortunatamente invece i saggi sono presenti in ogni fascia d’età, anche se con una discrepanza notevole tra la categoria A (2,2%) e la B (7, 3%), che poi va a stabilizzarsi nelle ultime tre fasce. I romanzi sono senza dubbio i libri più commerciali, i più letti, e quindi quelli che più di tutti influenzano la società. Li leggiamo sin dall’infanzia, e ci accompagnano per tutto il corso della nostra vita, e ognuno può scegliere quale sia il genere che preferisce leggere. Ne esistono decine, con altrettante sottocategorie, ma non viaggiano su linee parallele, al contrario molto spesso questi generi si intrecciano tra di loro, dando vita a volte a nuove categorie. Sono talmente diramati alla base della nostra società da influenzare la percezione di determinati argomenti, creare stereotipi o immaginari comuni ben definiti, che possono addirittura entrare
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Utilizi gli audiolibri?
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Si,
Leggi gli eBook?
Si, li trovo utili 14,4 %
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Mai neanche provati, non mi interessano 79,8 %
a far parte del nostro linguaggio (come la nascita del genere Giallo, chiamato così solo in Italia, per via della collana di grande successo “Gialli Mondadori”, la cui copertina era per l’appunto gialla). L’editoria è importante per la storia delle forme letterarie, ma a sua volta anche le forme letterarie influiscono massicciamente sull’evoluzione, la crisi o l’incremento dell’industria editoriale. In ambito prettamente tecnico invece, ormai la brossura ha raggiunto la copertina rigida sia in termini di usufruibilità che di apprezzamento, e questo si può riscontrare anche nel nostro sondaggio: su un totale di 382 soggetti, il 22 % preferisce la brossura, il 19,4 % la copertina rigida, mentre al 58,6 % risulta indifferente. Dunque sembrerebbe che la brossura sia addirittura preferita dal lettore medio. I tascabili sono stati senz’altro una rivoluzione per l’editoria, introdotti da Aldo Manuzio nel 1495 con le sue “Aldine”, e perfezionate con la rilegatura in brossura da Allen Lane nel 1932, con la casa editrice Penguin Books, con il preciso scopo di rendere determinate letture più accessibili al grande pubblico, attraverso dei “pocket books”, edizioni molto economiche ma di buona qualità (ogni volume costava sei pence, l’equivalente di un pacchetto di sigarette). Nascono così i tascabili odierni, era un progetto estremamente pretenzioso e molto rischioso dal punto di vista finanziario, in cui la maggior parte degli altri editori non aveva fiducia, per questo riuscì ad ottenere i diritti d’autore delle prime opere a poco prezzo.
No, non li apprezzo 63,6 %
A volte, ma preferisco il cartaceo 22 %
Per quanto riguarda i fattori di vendita invece, a discapito delle aspettative, senza troppa variabilità tra le varie fasce d’età, il 67,8% dei lettori totali, prova ancora piacere nel comprare i libri nelle librerie, e solo il 32,2% acquista abitualmente online, di cui tra l’altro molti ricercano libri usati, ed è proprio questo il dato più rilevante: il 32,2 % dei lettori acquista abitualmente, se non esclusivamente, libri usati. Questo potrebbe inficiare moltissimo sul mercato editoriale, soprattutto perché il divario sembra ridursi nelle nuove generazioni, gli acquisti di seconda mano nella categoria B arrivano addirittura al 40,4%.
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“Leggere è andare incontro a qualcosa che sta per essere e ancora nessuno sa cosa sarà.” Italo Calvino
C’è poi da interrogarsi se e in che modo, le varie fasce d’età interagiscono con i nuovi metodi apprendimento del testo, come ad esempio gli audiolibri. Almeno per il momento questa nuova visione della “lettura” non sta avendo molto successo in nessuna generazione. Il 79,8 % dei lettori non ha neanche mai provato ad usarli, ritenendoli poco adatti a loro, quindi ci concentreremo sulle opinioni e reazioni del restante 20,2 % che ha avuto esperienze in merito. Tra questi il 46,8% li ha abbandonati poco dopo i primi tentativi, etichettandoli con un grande no, e le principali cause indicate sono due: a quanto pare non agevola la concentrazione e si tende a distrarsi, inoltre si perde la magia dell’immaginazione. Il restante 53,2% che ha dichiarato di usarli, ha specificato di farlo sporadicamente, solo in assistenza al cartaceo, da ascoltare quando si ha altro da fare o per agevolare l’apprendimento delle lingue straniere. Per quanto riguarda gli eBook invece, il discorso è più complesso. Anche qui inaspettatamente, non c’è un grande divario di opinioni tra le varie fasce d’età, eccezion fatta per la categoria più anziana, che risulta ancora più restia della media totale ad usare i nuovi mezzi tecnologici. A differenza degli audiolibri, che molti soggetti si rifiutano a prescindere di utilizzare, i libri digitali sono molto più diffusi e facili da trovare, quindi la quasi totalità degli esaminati li ha provati. L’ eBook è senz’altro stata una grandissima svolta nel mercato editoriale, ormai quasi ogni libro può essere acquistato sia in formato digitale che tradizionale, ed effettivamente è utile soprattutto per tomi molto grandi. Con un solo Kindle possiamo portare con noi libri di mille pagine (o meglio un’intera libreria), e leggerli nei momenti di pausa, in metro o sull’autobus, con estrema comodità. Tuttavia la risposta al sondaggio non è affatto positiva: il 63,6 % dei lettori è contrario all’utilizzo, e non ne è un fruitore, per varie ragioni in effetti, ma la più comune è che risulta una lettura “impersonale” e fredda, mancando il contatto con la carta. Infatti a seguito di questa maggioranza troviamo un blocco formato dal
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22 % dei soggetti che usa gli ebook, ma solo in casi particolari, sporadicamente, per comodità durante gli spostamenti, o in mancanza del cartaceo, che comunque continuano a preferire di gran lunga agli eBook. Solo il 14,4 % usa abitualmente il formato digitale, considerandolo utile e maneggevole, nonché economico; tuttavia anche tra gli apprezzatori si fa sentire l’ingombrante presenza del libro cartaceo, che non accenna a lasciare il trono del favorito. Le due grandi rivoluzioni che internet ha portato nel mondo editoriale sono per l’appunto gli eBook e la vendita attraverso librerie online. Molti nella nascita di queste nuove piattaforme hanno visto la morte delle librerie fisiche, proprio come con il boom degli eBook hanno decretato la morte della stampa. Nel 1975 la rivista “Bloomberg Business-week” preannunciava la morte della carta stampata entro gli anni Novanta. Nonostante questo però, dopo oltre vent’anni, entrambe continuano a sopravvivere, sembra addirittura che l’uso della carta continui ad aumentare, con mezzo milione di tonnellate prodotte ogni anno, quantità che conferma l’importanza della carta stampata anche nell’era digitale. È mia ferma convinzione che esista una netta distinzione tra i due mondi, che sono molto diversi, e sono molti i fattori socio culturali che mantengono un certo equilibrio. Le librerie e le biblioteche non sono semplicemente negozi di libri, sono luoghi di aggregazione, raccoglimento e studio, dove non ci si reca solo per comprare un nuovo volume, ma si sfrutta l’occasione per incontrare qualche amico, fare una passeggiata per recarsi sul posto, per studiare, o per chi ama particolarmente la lettura semplicemente dare un’occhiata ai libri esposti, toccarli, leggere la prima pagina…ed è per questo che anche il libro stampato probabilmente non morirà mai. A dimostrazione di questo anche le risposte alla domanda “Credi che gli eBook porteranno alla morte del libro stampato?”, che risultano essere per l’ 82,7 % un forte no, mentre il 7,9% ha risposto con un forse, ed il 9,4 con un si. Tuttavia quasi tutti coloro che hanno asserito che i libri digitali potrebbero effettivamente
Umberto Eco
“Ci sono
due tipi di libro, quelli da consultare e quelli da leggere. I primi occupano molto posto in casa, sono difficili da manovrare, e sono costosi, e potranno essere sostituiti da dischi multimediali, così si libererà spazio, in casa e nelle biblioteche pubbliche, per i libri da leggere. I libri da leggere non potranno essere sostituiti da alcun aggeggio elettronico. Son fatti per essere presi in mano, anche a letto, anche in barca, anche là dove non ci sono spine elettriche, anche dove e quando qualsiasi batteria si è scaricata, possono essere sottolineati, sopportano orecchie e segnalibri, possono essere lasciati cadere per terra o abbandonati aperti sul petto o sulle ginocchia quando ci prende il sonno, stanno in tasca, si sciupano, assumono una fisionomia individuale a seconda dell’intensità e regolarità delle nostre letture, ci ricordano (se ci appaiono troppo freschi e intonsi) che non li abbiamo ancora letti. [...] Il libro da leggere appartiene a quei miracoli di una tecnologia eterna di cui fanno parte la ruota, il coltello, il cucchiaio, il martello, la pentola, la bicicletta. Il coltello viene inventato prestissimo, ma per tanto che i designer si diano da fare, modificando qualche particolare, l’essenza del coltello rimane sempre quella. Potete inventare un sistema di cambi sofisticatissimo, ma la bicicletta rimane quella che è, due ruote, una sella, e i pedali. Altrimenti si chiama motorino ed è un’altra faccenda.”
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soppiantare i cartacei, hanno specificato che l’ipotesi non li entusiasma, e che preferirebbero di gran lunga non accadesse. La conclusione della risposta è stata quindi guidata da un qualche immaginario comune che vede l’ eBook come un prodotto estremamente affermato, cosa che a quanto pare non è veritiera. È interessante sottolineare inoltre che la lettura attraverso un libro stampato è un’attività che coinvolge più sensi, non solo a vista:
«gli occhi che seguono le parole sulla pagina, il naso che aspira l’odore familiare della carta, della colla, dell’inchiostro, del cartone o della pelle, la mano che accarezza la pagina ruvida o morbida, la legatura liscia o scabrosa; persino il gusto è sollecitato, a volte, quando il dito viene bagnato con la lingua per meglio voltare pagina (ed è così che muoiono avvelenate le vittime dell’assassino nel Nome della rosa di Umberto Eco).» (Storia della lettura, Alberto Manguel)
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Nel sondaggio molti lettori sottolineano addirittura il fatto che spesso si ritrovano ad acquistare lo stesso volume due volte: prima in eBook e se trovano la lettura appassionante comprano il cartaceo per rileggerlo o semplicemente per tenerlo nella propria libreria. Questo sottolinea anche na certa dose di affezione alla tradizione e all’abitudine, cosa che non è da sottovalutare. Per concludere, stiamo davvero parlando di un sondaggio generazionale? Di certo sono emersi dati molto interessanti dal punto di vista del mercato editoriale, che ci rivelano molto anche sul metodo di acquisto da parte del lettore medio, ma c’è davvero questa grande differenza tra i lettori giovani ed i lettori anziani? Nessuna significativa in effetti, persino nell’aspetto tecnologico, tutti i lettori, anche i più giovani, si sono rivelati tutti molto ancorati ad un una visione estremamente tradizionale della lettura. L’unico aspetto rilevante che cambia risulta essere il contenuto delle letture preferite, tuttavia questo era un fattore molto più che ovvio, oserei dire banale; come con qualsiasi altro prodotto sul mercato, l’età è uno dei fattori più di rilievo quando si vanno a definire i gusti e le necessità di un determinato target. Le nuove tecnologie, il bombardamento mediatico, il velocissimo cambiamento sociale che stiamo vivendo in questi anni…tutto questo ha davvero inciso sulla volontà o la capacità di un ragazzo di leggere un buon libro? Effettivamente no, almeno stando ai risultati degli ultimi anni. Secondo i dati dell’Istat, dagli anni ’60 ad oggi il mercato librario è sempre stato in crescita, e di generazione in generazione sempre più preadolescenti si avvicinano alla lettura. Purtroppo temo che l’idea che le nuove generazioni siano ignoranti e poco interessate alla cultura sia l’ennesimo stereotipo imposto “dalla vecchia guardia”. Le sentenze di negligenza e incompetenza da parte delle vecchie generazioni rispetto alle nuove sono sempre esistite, e di certo continueranno ad esistere, ma nonostante questo l’umanità continua a crescere, evolversi e migliorare (anche se con alti e bassi).
“Oggi il padre teme i figli. I figli si credono uguali al padre e non hanno né rispetto né stima per i genitori. Ciò che essi vogliono è essere liberi. Il professore ha paura degli allievi, gli allievi insultano i professori; i giovani esigono immediatamente il posto degli anziani; gli anziani, per non apparire retrogradi o dispotici, acconsentono a tale cedimento e, a corona di tutto, in nome della libertà e dell’uguaglianza, si reclama la libertà dei sessi”
Platone, 400 a.C.
“La nostra gioventù ama il lusso, è maleducata, se ne infischia dell’autorità e non ha nessun rispetto per gli anziani. I ragazzi d’oggi sono tiranni. Non si alzano in piedi quando un anziano entra in un ambiente, rispondono male ai loro genitori…”
Socrate, 400 a.C.
“Non ho più speranza alcuna per l’avvenire del nostro Paese, se la gioventù d’oggi prenderà domani il comando, perché è una gioventù senza ritegno e pericolosa”
Esidio, 720 a.C.
“Questa gioventù è guasta fino in fondo al cuore. Non sarà mai come la precedente. Quella di oggi non potrà conservare la nostra cultura”
Iscrizione di Babilonia, oltre del 1000 a.C.
“Il nostro mondo ha raggiunto uno stadio critico. I ragazzi non ascoltano più i loro genitori. La fine del mondo non può essere lontana”
Sacerdote egiziano, 2000 a.C.
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Conigli sulla lettura dagli esperti del settore…
Spesso tendiamo a separare con troppa facilità la figura degli scrittori da quella dei lettori, dimenticando che ogni scrittore (o per lo meno gli scrittori degni di questo nome) sono a loro volta prima di tutto lettori, con opinioni e idee a volte contrastanti rispetto al mondo della lettura e all’approccio più adatto con cui si deve affrontare.Come abbiamo visto ci sono moltissimi motivi per cui è importante leggere, ma esiste un modo migliore per farlo? In effetti è un’attività che si può fare in moltissimi luoghi, a casa, al mare, in montagna, in metro…inoltre non sembra essere un’impedimento neanche la postura, si può leggere in piedi, seduti su una scrivania oppure sdraiati in un letto. Ma come ci dice Manguel (raccontando della sua esperienza personale), a volte certi libri richiedono un luogo e una postura ben precisa:
«certi libri non esigono solo un contrasto fra il loro contenuto e l’ambiente; alcuni sembrano richiedere particolari posizioni per la lettura, posizioni che a loro volta richiedono un luogo adatto. […] Spesso il piacere della lettura dipende in gran
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1. Storia della lettura, Alberto Manguel, p.161 2. Vita di Charles Dickens, J. Forster, 2007, Rea Edizioni, p.45 3. Storia della lettura, A. Manguel, p. 265. 4. Giornate di lettura: scritti critici e letterari, M. Proust, Il Saggiatore, 1965, p. 130-134
parte dalla comodità fisica del lettore. […] Ci sono libri che ho letto in poltrona e altri che ho letto alla scrivania. Ci sono libri che ho letto nella metropolitana, in macchina e in autobus. Trovo che i libri letti in treno partecipino della qualità di quelli letti in poltrona, forse perché in entrambi i casi posso facilmente astrarmi da quanto mi circonda»1. Lo scrittore francese Daniel Pennac, trattando della figura del lettore nel suo libro “Come un romanzo”, fa riferimento ai diritti imprescrittibili che un lettore possiede e ne individua ben dieci: il diritto di non leggere, il diritto di saltare le pagine, il diritto di non finire un libro, il diritto di rileggere, il diritto di leggere qualsiasi cosa, il diritto al bovarismo, il diritto di leggere ovunque, il diritto di spizzicare, il diritto di leggere a voce alta e il diritto di tacere.Quindi, un insieme di ovvie nozioni che spingono il lettore ad avanzare dei veri e propri diritti sulla lettura, superando il dogma imposto del «leggere è un dovere». Dopo averli elencati, egli gli spiega tutti, uno ad uno, alla conclusione del suo libro. Come un romanzo è rivolto in particolare ai giovani (Pennac è anche professore di francese in un liceo parigino da ventotto anni) per stimolarli alla lettura e al piacere che essa può suscitare; è uno strumento prezioso che aiuta anche i genitori e gli insegnanti a comprendere il difficile rapporto dei
ragazzi con i libri. Oggi - afferma Pennac - ai ragazzi non piace molto leggere, preferiscono spendere il loro tempo davanti alla televisione o facendo altre cose. Leggere per loro significa farlo perché si è obbligati, dal professore o dai genitori. Ma alcuni verbi - sostiene lo scrittore - non sopportano l’imperativo, verbi come amare, sognare e leggere. Se si ordina di leggere il risultato, molto probabilmente, sarà nullo. Tra i lettori più famosi nella storia della lettura un posto speciale spetta a Charles Dickens. Lo scrittore inglese fu un appassionato di lettura sin da bambino, leggeva avidamente romanzieri come Defoe, Fielding e Goldsmith. Nel 1853, come viene riportato da Carlo Izzo nel suo Autobiografismo di Charles Dickens, il famoso romanziere si presenta per la prima volta in pubblico come lettore di episodi scelti dai suoi romanzi e dai suoi numerosi racconti. Fu un episodio isolato ma destinato ad avere un lungo seguito perché, a partire dal 1858, le letture pubbliche diventeranno per Dickens la principale occupazione, una vera e propria mania che gli provocherà anche molti problemi di salute. Inoltre, l’ampia conoscenza della letteratura drammatica, dagli elisabettiani ai drammaturghi della Restaurazione e del Settecento, contribuì ad accendere la sua passione per il teatro. John Forster, il suo biografo più famoso, nell’opera Vita di Charles Dickens (1875) ci racconta la prima volta di Dickens al teatro (a portarlo
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fu un suo cugino) e come egli divenne uno dei più assidui frequentatori del Museo Britannico di lettura. Ecco come Forster ricorda le letture di Dickens: « egli raccontava una storia con prontezza e vivacità, e
cantava delle ariette comiche tanto graziosamente, che avevano l’abitudine di levarlo su di una seggiola o di un tavolino, in casa e fuori, perché potesse meglio mostrare i suoi talenti, ed allorché egli mi parlò di questa particolarità, aggiunse che non se ne rammentava mai, senza che la sua sottile ed aspra voce di fanciullo non risuonasse ancora alle sue orecchie, e che arrossiva al pensiero dell’orribile noia che egli doveva aver causato a tutte le persone inoffensive, chiamate per ammirarlo» 2 Anche Manguel, nella sua “Storia della lettura”, dedica alcune pagine alle famose letture pubbliche del grande scrittore inglese:
«Dickens era un lettore molto più professionale. La sua versione del testo – il tono, l’enfasi, persino i tagli e le correzioni per renderlo più accetto alla lettura orale – mettevano bene in chiaro che doveva esserci una e una sola interpretazione.
Questo divenne evidente nelle sue famose tournées di lettura. La prima, partendo da Clifton e concludendosi a Brighton, comprendeva circa ottanta letture in più di quaranta città. Leggeva “in magazzini, sale di riunioni, librerie, uffici, saloni, alberghi e sale da ballo”. Seduto a un’alta scrivania, e più tardi a una più bassa perché il pubblico potesse seguire meglio la sua mimica, egli pregava gli ascoltatori di considerarsi “un piccolo gruppo di amici riunitisi per ascoltare una storia”. Il pubblico reagiva come desiderava Dickens. Un uomo scoppiò a piangere […] Un altro, ogni volta che stava per ricomparire un certo personaggio, “rideva e si asciugava gli occhi” […] Questi effetti si dovevano al corretto impiego di una tecnica: Dickens aveva passato almeno due mesi ad allenarsi alla lettura e alla mimica. Ci ha lasciato anche gli appunti di questa lavorazione. Sui margini dei suoi “libri da letture” aveva segnato i toni da usare, come: “Allegro...Severo... Patetico...Misterioso...Vivace”, nonché i gesti: “Cenno di assenso... Punto... Brivido... Guardarsi attorno terrorizzato…”» 3
Un altro celebre scrittore, ma a sua volta appassionato lettore, fu Marcel Proust, la cui opera più celebre è “Alla ricerca del tempo perduto”. Come si evince dal suo saggio “Giornate di lettura” (che userà poi come parte della Prefazione a “Sesamo e gigli”, una sua traduzione dei romanzi di Ruskin.) lo scrittore considera l’azione di leggere come uno dei piaceri più intensi che la vita può offrirci. Quando si finisce di leggere un libro, infatti, si prova una sorta di dispiacere perché:
«Quegli esseri ai quali avevo dedicato maggior interesse e affetto che non alle persone del mondo reale, senza osare di confessarmi sino a qual punto li amavo, e, quando i miei congiunti mi trovavano in atto di leggere e avevan l’aria di sorridere della mia emozione, affrettandomi a chiudere il libro con un’indifferenza simulata o una noia finta; quegli esseri per i quali avevo ansimato o singhiozzato, non avrei saputo più nulla di loro.» 4 Dopo varie descrizioni di luoghi e di momenti di lettura, soprattutto legati alla sua infanzia, Proust espone la sua teoria riguardo la figura del lettore, e lo fa citando prima quella di Ruskin, secondo il quale lo scrittore inglese mostra che la lettura è, appunto, una conversazione con uomini molto più saggi di quelli che possiamo conoscere nella nostra cerchia, riferendosi a sua volta a
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Cartesio, il quale afferma che «la lettura di tutti i buoni
libri è come una conversazione con tutti i valentuomini dei secoli passati che ne furono gli scrittori». È proprio su questo punto che Proust non è d’accordo, secondo lui «la lettura non può esser assomigliata a una
conversazione, foss’anche con il più saggio degli uomini, in quanto la lettura, al contrario della conversazione, consiste per ciascuno di noi nel ricever comunicazione del pensiero di un altro, ma restando sempre da solo»4 Una lettrice particolare del secolo scorso fu senz’alto Virginia Woolf. Nel 1926, la scrittrice fu invitata a tenere una conferenza presso i College femminili dell’Università di Cambridge, intitolata “Come dobbiamo leggere un libro?”. Il saggio fu successivamente pubblicato nella raccolta Una stanza tutta per se” (1929) e rivendica per il genere femminile la possibilità di essere ammesse ad una cultura che, fino a quel momento, era stata di esclusivo dominio maschile. Il primo consiglio che la Woolf si sente di dare a quel pubblico femminile che ha davanti a sé è quello di seguire il proprio istinto nel leggere un libro e di abbandonare consigli o regole. Lei sostiene che:
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La foto sulla sinistra è di Virginia Woolf, nel cerchio troviamo, partendo dal centro in senso orario, Marcel Proust, Daniel Pennac, Charles Dickens, Italo Calvino e Alberto Manguel.
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«lasciarci dire come leggere, che cosa leggere, che valore assegnare a ciò che leggiamo, sarebbe distruggere quello spirito di libertà che è l’essenza di simili santuari. In qualunque altro luogo possiamo essere soggetti a leggi e a convenzioni; ma lì non ce ne sono. […] dirò che per godere la libertà bisogna sapere controllarsi. Non dobbiamo scialacquare le nostre forze, disorientati e ignoranti; spruzzare dell’acqua per tutta la casa quando vogliamo innaffiare una sola rosa; dobbiamo piuttosto impiegare quelle forze accuratamente e vigorosamente, nel punto esatto. Questa è forse una delle prime fra le difficoltà in cui ci imbattiamo non appena entrati in una biblioteca. […] Da dove cominciare? Come possiamo fare ordine in questo affollato caos, per poter trarre da ciò che leggiamo il piacere più profondo e più ampio possibile?» Quindi, oltre a seguire il proprio istinto, la Woolf ci dice che il lettore deve anche saper controllarsi se vuole trarre piacere dal libro che legge. Inoltre, non è necessario chiedere ad un libro di essere vero o falso, nemmeno dare ordini allo scrittore, dobbiamo solo cercare di abolire qualsiasi preconcetto quando ci mettiamo a leggere e di trarre tutto il profitto possibile da esso. Un altro problema che si pone la scrittrice nel suo saggio è il seguente: fino a che punto un’opera può subire l’influenza della vita dell’autore? La Woolf è dell’idea che è il lettore che deve trovare una risposta, «poiché niente è più fatale che lasciarsi guidare dalle preferenze altrui in un terreno così personale».
Verso la fine del saggio la scrittrice individua due processi di lettura: Il primo è quello di ricevere delle impressioni «con il massimo possibile di comprensione»; il secondo consiste nel giudicare questa folla di impressioni, se vogliamo trarre dal libro il massimo piacere. Inoltre essa afferma: «Sarebbe dunque assurdo sostenere che la seconda parte della lettura, il giudizio, il confronto, sia così semplice come la prima, cioè quella di aprire la mente al rapido affollarsi di innumerevoli impressioni. Continuare a leggere senza il libro, confrontare una forma fantasmale con l’altra, aver letto abbastanza e con la necessaria comprensione per poter fare di questi paragoni qualcosa di vivo e di illuminante, tutto ciò è difficile.[…] Perciò, se leggere un libro come dovrebbe essere letto richiede le più rare qualità d’immaginazione, intuito e giudizio, converrà forse dire che la letteratura è un’arte molto complessa e che è improbabile che noi si possa riuscire, anche dopo un’intera vita dedicata alla lettura, ad aggiungere qualcosa di valore alla critica di questa letteratura. Dobbiamo restare lettori: non saremo mai investiti dalla addizionale gloria spettante a quegli esseri eletti che oltre a essere lettori sono critici.»
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L’ALTRO LATO DEL
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Dire che il 2020 è stato un anno difficile è senz’altro un eufemismo, una semplificazione. Nel giro di pochi mesi un intero continente ha rischiato di finire in cenere bruciato dalle fiamme, ci sono stati terremoti e inondazioni, esplosioni in Medio Oriente, si è rischiata la terza guerra mondiale, un meteorite ha sfiorato la terra… ma nulla rispetto alla pandemia causata dal Covid19, che al momento (Ultimi dati OMS. Fonte: Health Emergency Dashboard, 21 Gennaio ore 11.05 am) ha causato la morte di 2.058.227 persone. La vita di tutti è cambiata, tutto questo ha causato l’aumento esponenziale di un debito publico già di per se elevatissimo,
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ha diffuso tra la gente paura e ansia sociale, il che ha portato anche ad una follia generale fatta di fake news e diffidenza verso la scienza. Certo è che quanto una tale catastrofica sequenza di eventi si abbatte sulla nostra vita quotidiana, si tende a non vedere qualsiasi cosa di bella e positiva accada nel frattempo: C’è stata una significativa riduzione dell’inquinamento atmosferico, ed il continente africano è stato dichiarato libero dall’epidemia della Polio; in campo sociale si è ottenuta la legalizzazione dell’aborto in Argentina, in Italia la Camera ha approvato la legge Zan contro l’omotransfobia, la misoginia e le violenze
20 ai danni di persone con disabilità; certo l’omicidio di George Floyd è stato un evento tragico, ma ha dato il via a una serie di manifestazioni negli Stati Uniti e poi diffuse in tutto il mondo, dando sempre più spazio al movimento Black Lives Matter; le ultime elezioni hanno portato alla Casa Bianca Kamala Harris come Vicepresidente, la prima donna (per giunta non bianca) nel suo ruolo in oltre 250 anni di storia, e a fine anno, a dicembre 2020, è stato finalmente approvato il vaccino per il Covid-19, di cui al momento è in atto la campagna di vaccinazione, e che probabilmente consentirà il ritorno alla normalità entro il prossimo autunno.
In tutto questo se c’è un settore che non si è mai fermato è proprio quello editoriale. Tra le difficoltà e le nuove sfide che ci siamo trovati ad affrontare in questo 2020, i libri si sono dimostrati ancora una volta un rifugio sicuro, un modo per evadere dalla realtà, informarsi, trovare conforto e viaggiare, pur costretti a rimanere fermi. E anche in quest’anno difficile, non sono mancati gli autori che si sono distinti grazie alle loro opere. Tra romanzi, saggi, libri per bambini e raccolte di poesia, il Guardian ha selezionato i migliori libri del 2020. Eccone alcuni.
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Fiction Tra i migliori libri 2020, nella categoria “fiction” troviamo nomi noti ma anche qualche debutto. Diversi i romanzi già disponibili nel nostro paese, tra cui l’ultimo volume della trilogia di Hilary Mantel, “Lo specchio e la luce” (Fazi 2020), Jenny Offill con “Tempo Variabile” (NN Editore 2020) ed Elena Ferrante con “La vita bugiarda degli adulti” (E/O 2019), di cui sono già stati acquistati i diritti da Netflix per realizzarne una serie tv. Tra i romanzi per i quali dovremo invece aspettare, l’ultimo lavoro di Maggie O’Farrell, che uscirà per Guanda nel 2021 con il titolo “Nel nome del figlio Hamnet”, “The Silence” di Don DeLillo, anche questo previsto per il 2021 e pubblicato da Einaudi e, sempre per Einaudi, il romanzo autobiografico di Martin Amis “Inside story”, in uscita nel 2022. Segnaliamo anche “Shuggie Bain” di Douglas Stuart, vincitore del Booker Prize 2020.
Gialli e Thriller Per gli appassionati del genere, il Guardian segnala il ritorno di Don Winslow con “Broken” (HarperCollins Italia 2020), una raccolta di sei romanzi brevi, “Il club dei delitti del giovedì” di Richard Osman (SEM 2020) e “When no one is watching” di Alyssa Cole. Fantascienza Tra le proposte per la fantascienza troviamo, tra gli altri, “The Ministry for the Future” di Kim Stanley Robinson, che pone l’attenzione sugli effetti del cambiamento climatico, e “The New Wilderness” di Diane Cook, una delle opere inserite nella shortlist per il Booker Prize 2020.
Bambini e ragazzi
Politica
Tra i migliori libri 2020 tante le proposte anche per i più giovani, tra il nuovo libro illustrato di Oliver Jeffers, “What We’ll Build”, il ritorno del personaggio di Julian, già protagonista di “Julián è una sirena” (Franco Cosimo Panini 2018), nella nuova opera di Jessica Love “Julian at the Wedding” e il thriller per ragazzi “Eight Pieces of Silva” di Patrice Lawrence.
Per la categoria “politica”, spicca su tutti il nome di Barack Obama con “Una terra promessa”, il primo attesissimo volume del memoir dell’ex presidente, pubblicato in Italia da Garzanti; troviamo poi la biografia “Boris Johnson: The Gambler” di Tom Bower e il memoir scritto da Mary Trump, “Too Much and Never Enough”. Scienza
Poesia Per gli appassionati di poesia, tra le migliori uscite del 2020, secondo il Guardian troviamo “Rendang”, di Will Harris, vincitore del Forward Prize per il miglior debutto, inoltre “The Air Year” di Caroline Bird, anche lei vincitrice del Forward Prize per la miglior raccolta 2020. Biografie e memoir In questa categoria troviamo molti nomi celebri, tra cui Mariah Carrey con la sua autobiografia “The Meaning of Mariah Carrey”, Michael J Fox con “No Time Like the Future” e Matthew McConaughey con “Greenlights”.
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Infine, in un anno in cui la scienza è diventata all’improvviso parte integrante della nostra vita quotidiana, non poteva mancare questa categoria. Tra i titoli selezionati dal Guardian troviamo “The Rules of Contagion” di Adam Kucharski, “Explaining Humans” di Camilla Pang e “Stephen Hawking: A Memoir of Friendship and Physics”, una biografia del grande fisico scritta dall’amico e collaboratore Leonard Mlodinow.
Fino al giorno in cui mi minacciarono di non lasciarmi più leggere, non seppi di amare la lettura: si ama, forse, il proprio respiro? Harper Lee
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Più libri più liberi è la Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria e si svolge a Roma nel mese di dicembre. Dal 2017, la manifestazione si tiene presso il nuovo centro congressi della capitale, La Nuvola, progettata dall’archistar Massimiliano Fuksas. È la prima fiera italiana dedicata esclusivamente all’editoria indipendente dove ogni anno circa 550 editori, provenienti da tutta Italia, presentano al pubblico le novità ed il proprio catalogo. Cinque giorni e oltre 650 eventi in cui incontrare gli autori, assistere a reading e performance musicali, ascoltare dibattiti sulle tematiche di settore. Più libri più liberi nasce nel dicembre del 2002 da un’idea del Gruppo Piccoli Editori dell’Associazione Italiana Editori. L’obiettivo è quello di offrire al maggior numero possibile di piccole case editrici uno spazio per portare in primo piano la propria produzione, spesso “oscurata” da quella delle imprese più grandi, garantendogli la vetrina che meritano. Una vetrina d’eccezione, al centro di Roma e durante il periodo natalizio. Ma Più libri più liberi non è solo questo, il vero cuore della fiera è il programma culturale: incontri
con autori, reading, dibattiti su temi di attualità, iniziative per la promozione della lettura, musica e performance live scandiscono le cinque giornate della manifestazione in una successione continua di eventi per tutti i gusti e per tutte le età. La fiera è anche un luogo di incontro per gli operatori professionali, dove discutere le problematiche del settore e dove individuare le strategie da sviluppare. Più libri più liberi partecipa ad ALDUS, la rete europea delle fiere del libro cofinanziata dall’Unione Europea nell’ambito del programma Europa Creativa. Purtroppo per il 2020 non è stato possibile realizzare l’evento a causa della pandemia del Covid-19, ma ci sono già grandi aspettative per l’edizione 2021. Tuttavia per compensare questa mancanza, si è organizzato l’evento Insieme – Lettori, autori, editori, che ha riscosso un grande successo, con 30mila partecipanti, in sicurezza. È stato l’evento che ha riportato nella Capitale i libri, gli autori, i lettori. Una grande manifestazione in presenza con 168 stand, incontri, reading e performance artistiche e musicali, che per
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quattro giorni hanno animato l’Auditorium parco della Musica di Roma e il Parco archeologico del Colosseo. Nonostante la delicata situazione sanitaria attuale, il festival si è svolto nel rigoroso rispetto di tutti i protocolli di sicurezza e la risposta del pubblico è stata straordinaria: circa 30 mila presenze, tutto esaurito per la maggior parte degli eventi e viva soddisfazione da parte degli editori. Tra i molti incontri e reading con autori italiani e stranieri, grande successo per Paolo Giordano, Zerocalcare, Erri De Luca, Valerie Perrin, Manuel Vilas, Igiaba Scego, Gianrico Carofiglio, Michela Murgia, Maurizio Molinari, Maurizio De Giovanni, Valeria Parrella, Cristina Comencini. Sold out anche gli eventi e le performance al Palatino e a Massenzio, tra i quali l’incontro con Moni Ovadia e Wole Soyinka, i reading di Claudia Durastanti, Giulio Cavalli, Elena Varvello, Daniele Mencarelli, e l’installazione di Michal Rovner. Grande soddisfazione è stata espressa da Angelo Piero Cappello, direttore del Centro per il libro e la lettura:
«Adoperandosi da sempre in favore di iniziative di promozione della cultura, è stato naturale per il Centro per il
libro e la lettura sostenere il Festival Insieme, collaborando di concerto con tutte le istituzioni coinvolte. In un momento come quello che stiamo attraversando, in cui le limitazioni imposte dalla pandemia non sempre consentono di vivere collegialmente eventi simili, è solo lavorando Insieme, proprio come il titolo della manifestazione suggerisce, che potremo superare le difficoltà del presente e le sfide del futuro senza mai smettere di offrire occasioni di riflessione, incontro e dialogo». Albino Ruberti, capo di gabinetto del presidente della Regione Lazio ha commentato: «Queste giornate del
Festival Insieme sono state un segnale di speranza in un momento storico così delicato. Abbiamo assistito a un format inedito in cui i tre principali eventi letterari della città hanno unito le forze e hanno dimostrato che è possibile vivere la socialità e la vita culturale in sicurezza. Insieme, con coraggio, l’industria culturale sta affrontando le difficoltà e il pubblico di queste giornate ha dimostrato quanto sia stato importante vivere in serenità importanti momenti di condivisione». Molto soddisfatto anche Vittorio Bo, commissario dell’Istituzione Biblioteche di Roma: «La nuova formula
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di Letterature, all’interno della grande cornice di Insieme, ha dimostrato quanto è essenziale il dialogo tra i linguaggi. Gli spazi straordinari di Massenzio, Tempio di Venere e Palatino sono stati teatro di una intensa e profonda relazione tra il pubblico e le diverse anime della cultura letteraria, artistica e teatrale e siamo convinti che questa dimensione abbia consentito a tutti di riappropriarsi dei luoghi della cultura in modo nuovo e più ricco. In un momento delicato per la ripresa della vita sociale e culturale del nostro Paese, il rapporto con AIE e LibriCome si è ulteriormente rafforzato nel segno di un comune progetto, davvero innovativo e coraggioso e siamo convinti che possa ulteriormente crescere nel futuro». «Certamente voglio ringraziare tutti gli autori, gli editori, le istituzioni che hanno reso possibile questo piccolo miracolo», ha commentato Daniele Pitteri, Ad della Fondazione Musica per Roma. «Un coraggio da intendersi non come sfida, ma come responsabilità e cura, qualcosa che va ben oltre la semplice attenzione verso le persone o la semplice applicazione delle regole. Questa è stata la leva che ha consentito la riuscita di questo evento, il cui successo di pubblico è stato superiore alle aspettative. Ed è proprio per questo che il mio grazie va soprattutto a tutto lo staff e alle decine di ragazzi e collaboratori che in questi quattro giorni sono stati decisivi per far sì che le persone potessero ritrovare la gioia e il piacere dei libri e della lettura».
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Edit oria au men tata 116
Negli ultimi anni sono in ballo una serie di progetti e sperimentazioni incentrate sulla realtà aumentata, della quale si stanno ancora studiando le effettive possibilità, e utilizzi. È ormai assodato che esista un potenziale enorme per le applicazioni di realtà aumentata nell’editoria, e in particolare in connessione con la stampa. Fino a vent’anni fa la stampa era (insieme alla televisione) la fonte d’informazione primaria, ma ora la situazione è molto diversa: Internet ha stravolto il mondo editoriale. Se il mercato dei libri cartacei ha resistito molto dignitosamente alle nuove tecnologie, tutto il resto del mercato editoriale ne ha incredibilmente sofferto. Giornali, riviste, magazine sono oggi acquistati da pochi, e c’è il serio rischio che nel giro di qualche decennio scompaiano del tutto. L’uso dei media digitali, permette di raggiungere più facilmente e più velocemente il target, e non c’è nessuna differenza nell’approfondimento delle informazioni. Siamo in una fase di transizione, in cui gli editori sono costretti a riflettere in maniera critica sul futuro dell’editoria.
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Ma partiamo spiegando cos’è la realtà aumentata e in cosa differisce dalla realtà virtuale. Graziano Terenzi, founder e CEO di Inglobe Technologies, compagnia leader nella progettazione e applicazione della tecnologia AR sin dal 2008, in un’intervista per lindro.it del 2017 ha spiegato che:
«Certamente, si tratta di due concetti strettamente interconnessi. La Realtà Virtuale (VR) è quella tecnologia che proietta le persone in ambienti virtuali totalmente ricostruiti al computer e permette loro di visualizzare e interagire con gli elementi digitali di questi ambienti per mezzo di opportuni display immersivi e dispositivi di interazione. Esempi di dispositivi immersivi sono Oculus, acquisita da Facebook alcuni anni fa, HTC Vive e Samsung Gear, che permette di costruire ed esperire la Realtà Virtuale su dispositivi mobili – i comunissimi Smartphones. La Realtà Aumentata (AR), d’altro canto, è la tecnologia che, piuttosto che proiettare le persone in un ambiente digitale, porta gli elementi digitali nel mondo fisico in cui le persone si muovono e interagiscono. Anche in questo caso le persone possono interagire con gli elementi digitali per
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mezzo di opportuni dispositivi di visualizzazione e di elaborazione. Sono oggi disponibili diversi tipi Smartglasses e Smarphones che permettono di abilitare funzionalità di Realtà Aumentata. Come puoi vedere, se consideriamo come una linea il continuum che ha il mondo fisico (Reale) a un estremo e gli ambienti virtuali all’altro (Virtuale), la Realtà Aumentata si trova più vicina all’estremo del mondo fisico, mentre la Realtà Virtuale si trova più vicina all’estremo degli ambienti totalmente digitali. Nel mezzo si trovano invece una serie di scenari intermedi. Potremmo anche dire che AR e VR sono due facce della stessa medaglia. E questa medaglia si chiama Mixed Reality. Entrambe queste tecnologie sono entrate ormai nel mainstream grazie al diffondersi di applicazioni e dispositivi di grande successo.» La logica di base è più o meno la stessa dei QR code, ma con un risultato completamente diverso: il codice QR è solo una codifica visuale di informazione, come il link per un sito web, ma a differenza di un sistema di Realtà Aumentata, non permette l’identificazione del sistema di riferimento 3D dell’immagine o dell’oggetto per visualizzare contenuti digitali interattivi in tempo reale. Questa tecnologia ha infinite potenzialità, che possono
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effettivamente adattarsi a qualsiasi cosa, non non solo alla carta stampata, il che non fa che offrire agli editori la possibilità di creare contenuti di nuova concezione.
«A mio avviso il mercato dell’editoria non è morto e non ha il destino segnato. È vero tuttavia che il futuro dell’editoria dipenderà da quanto gli editori sapranno sfruttare il potenziale offerto dal digitale. È questo tipo di prodotto, infatti, a registrare oggi il tasso di crescita più alto in questo settore. La Realtà Aumentata è indubbiamente una delle tecnologie a più alto impatto per l’editoria, permettendo di innovare i prodotti esistenti e di creare persino nuove tipologie di prodotto. Il futuro dell’editoria dipende quindi da come gli editori sapranno interpretare il cambiamento trainato dall’AR.»
Google, Sony, Intel, Epson, Facebook ecc.) all’interno dell’ecosistema mondiale dell’AR e le individua come società di punta su cui valutare potenziali investimenti. È vero però che la mancanza di un ecosistema robusto e capace di supportare l’innovazione su queste tecnologie in Italia costituisce un freno alla creatività e al fermento che comunque rileviamo in questo ambito. Gli investimenti di Venture Capital in Italia, anche se in crescita, sono comunque bassissimi rispetto ad altri paesi europei. In sintesi, in Italia la situazione sembra essere alquanto contraddittoria rispetto all’adozione di queste nuove tecnologie. Ci sono tanti buoni esempi di applicazione ma ne troviamo anche di meno buoni. Uno dei settori in cui sicuramente l’AR avrebbe ampio vasto di utilizzo è l’edutainment (intrattenimento educativo).
Può sembrare strano, ma l’Italia è di fatto uno dei mercati al centro di questa rivoluzione oggi. Lo è grazie alla visione e lungimiranza di diversi attori. Parliamo sia di customers (early adopters) che di vendors (early entrants). Una recente infografica realizzata da SuperVentures – fondo di Venture Capital dedicato ad AR/VR-, colloca diverse società italiane (accanto ai colossi del calibro di
«Al di là del potenziale di business, moltissimi docenti e studenti utilizzano oggi in tutto il mondo le nostre tecnologie AR per l’apprendimento riuscendo a fare cose che fino a ieri erano impensabili, aumentando il livello di engagement degli studenti, così come i risultati dell’apprendimento. Come dimostrano molti studi empirici, alcuni dei quali
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eseguiti utilizzando proprio le nostre piattaforme di creazione di contenuti, la performance nell’apprendimento e la ritenzione dell’informazione appresa dagli studenti con l’AR è incrementata in maniera significativa rispetto all’uso di metodi d’insegnamento tradizionali. Dal nostro punto di vista, al netto delle difficoltà implementative all’interno delle scuole – soprattutto in Italia- dovute spesso alla carenza di fondi per l’acquisizione di tecnologie e di personale qualificato, gli insegnanti sono sicuramente alcuni degli attori più sensibili di questo cambiamento. L’AR è la regina delle tecnologie per l’apprendimento oggi. Un esempio: imparare le relazioni Terra/Sole o un teorema di geometria nello spazio guardando semplicemente le immagini bidimensionali su un libro può essere molto difficile e poco stimolante. Farlo con la Realtà Aumentata è più facile e divertente. E anche i risultati lo dimostrano nel senso che gli studenti apprendono prima e meglio. Non sono io a dirlo. Ci sono tanti studi che lo provano.» Qualunque materiale stampato, come un poster, un segnale, una confezione, la pagina di un giornale, rivista o libro, potrà fornire un contenuto aggiuntivo in associazione con una telecamera, un algoritmo che riconosce il contenuto della pagina, e una piattaforma per il reperimento dei dati digitali associati. In altre parole, la
combinazione di un sistema di realtà aumentata con la stampa fornirà un valore aggiunto rispetto a quello che è possibile con la carta. Al di là delle sfide che sicuramente devono essere affrontate, esiste un potenziale enorme per le applicazioni di Realtà Aumentata nell’Editoria, e in particolare in connessione con la Stampa. Quello che emerge è che esiste la possibilità concreta che l’AR, la Realtà Aumentata, offra un valore aggiunto notevole, sia in termini culturali che commerciali, ai prodotti editoriali cartacei, senza sostituirli. Un tale potenziamento corrisponderebbe quindi ad opportunità di mercato che sono ancora tutte da esplorare. La stampa interattiva offre nuove occasioni alle aziende che vogliono innovare i loro prodotti e servizi. Qualsiasi supporto cartaceo, dalle pagine di una rivista ad uno stand pubblicitario, sarà provvisto di componenti elettroniche che produrranno dei dati che saranno inviati ad una piattaforma, per poi essere analizzati e utilizzati per offrire nuove esperienze utente. I dispositivi mobili rendono accessibili i contenuti in qualsiasi luogo, in modo tale che l’utente può avere accesso in maniera diretta e interattiva ai contenuti informativi. Quest’opzione può risultare utile in diverse circostanze, come per esempio nel caso in cui un utente volesse essere informato sugli eventi e accadimenti rilevanti nelle vicinanze.
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libri imperdibili degli ultimi trent’anni...
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Il mercato editoriale è sempre più in espansione, nascono nuovi sottogeneri letterari con la stessa velocità con cui spariscono, e la quantità di nuove per che esce ogni anno è in aumento. Questo ha sicuramente buttato nel calderone un numero non indifferente di libri poco apprezzabili, ma ha anche dato la possibilità di emergere a progetti “rischiosi” che probabilmente in un altro periodo non sarebbero stati sostenuti, ma che si sono rivelati perle del panorama letterario moderno. Per questo stilare una lista di soli dieci libri imperdibili è stata un’impresa non da poco, a tratti disperata. Anche concentrandosi sono sugli ultimi trent’anni, tralasciando tutte le magnifiche opere antecedenti al 1990 (da Tolstoj a Tolkien, a Calvino), è inimmaginabile la quantità di libri che sono stati pubblicati nell’ultima decade. Qualsiasi soluzione avessi trovato, mi sono detta, sarebbe stata imperfetta, quindi alla fine ho deciso di prendere una linea ben precisa, e selezionare quelle opere che più di tutte hanno influenzato in qualche modo il pubblico, che non si sono limitate ad essere casi
letterari, ma che sono entrati talmente tanto nell’immaginario collettivo da diventare cult (come L’amica geniale o la saga di Harry Potter), o che magari nonostante un successo non troppo palesato, sono riusciti ad ottenere un riscontro nel mondo reale, portando alla luce problematiche particolari (Americanah) o influenzando un intero genere letterario (American Gods). Ogni titolo è stato scelto per un motivo diverso, il che ha reso molto variegata questa lista, che va dai romanzi thriller a quelli per ragazzi, da autori Italiani ad autori orientali. Ma questa non è una lista come tutte le altre, per questo in realtà di libri ne ho inseriti solo nove, perché un libro “imperdibile” deve essere fondamentalmente quello che ci ha colpito di più, che ci ha lasciato qualcosa o che addirittura ci ha cambiato la vita. Tutti vorrebbero vedere il loro libro preferito inserito in questa lista, per questo il decimo posto resta vacante, perché ognuno possa riempirlo con l’opera che più lo rappresenta.
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Kafka sulla spiaggia - Haruki Murakami Negli ultimi anni, lo scrittore giapponese Haruki Murakami ha ottenuto una certa fama in Italia, tanto che ormai qualsiasi appassionato di letteratura ha letto almeno uno dei suoi libri. Kafka sulla spiaggia è un romanzo impregnato di realismo magico, che vede l’intrecciarsi di due vite solo apparentemente distanti tra loro: quella di un giovanotto di 15 anni, in fuga da un’ inquietante profezia, e quella di un anziano.
L’eleganza del riccio - Muriel Barbery Questo romanzo francese rimase per ben 10 mesi in cima alla classifica delle vendite nel Paese d’origine, e per un periodo fu il più venduto anche in Italia. Il romanzo narra due storie parallele, quella di Renée, una portinaia solitaria dall’insospettabile cultura, e quella di Paloma, una dodicenne intelligente e ribelle che progetta di uccidersi il giorno del suo prossimo compleanno. Le vite di entrambe verranno stravolte e cambiate dall’avvento di un terzo personaggio, che insegnerà ad entrambe qualcosa di più sulla vita.
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Pulp - Charles Bukowski Scritto nel 1993, pubblicato nel 1994 subito dopo la morte dell’autore. Pulp è dedicato alla cattiva scrittura, a quella prosa senza fronzoli che ancora oggi tanti provano a imitare ma che solo Charles Bukowski ha saputo imporre come un marchio di fabbrica. Dietro le sbronze, le scopate e la vita dissoluta dei suoi personaggi si nascondono l’aspra critica alla modernità, la ricerca della prospettiva umana e la semplicità di chi sa riconoscersi polvere e bestemmie. Bukowski scrive questo romanzo quando è ormai spacciato. La morte è dietro l’angolo. Vuole scrivere dignitosamente la parola fine.
Un indovino mi disse - Tiziano Terzani Terzani è stato un giornalista ed un personaggio singolare del nostro secolo. Questo suo libro è un libro che racconta di un anno di viaggi, che decide di affrontare con ogni possibile mezzo di trasporto, tranne che l’aereo, perché decide di seguire le usanze orientali, rispettando la profezia di un indovino, che un giorno gli disse di non prendere aerei in un dato anno. È però un anno in cui vola senza ali, in cui si mescola ancora di più al mondo, questo anno gli ridà il senso della vastità del mondo e gli fa riscoprire l’umanità più varia. E’ un libro di viaggi e di incontri.
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Harry Potter e la pietra filosofale - J.K. Rowling Nel 1997 Harry Potter e la pietra filosofale da vita ad una saga che segnerà profondamente un’intera generazione di bambini e ragazzi, per questo in realtà questa posizione dovrebbe essere ricoperta da tutti i sette libri, presi come blocco unico; l’ultimo libro Harry Potter e i doni della morte, era così atteso da aver venduto 20 milioni di copie nelle primissime ore successive alla sua pubblicazione. Gli appassionati della saga trascorsero la notte precedente alla sua uscita in fila davanti alle librerie, pur di essere tra i primi ad accaparrarsi una copia dell’ultimo, avvincente capitolo delle avventure del maghetto più amato della letteratura.
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Le intermittenze della morte - José Saramago L’ennesimo capolavoro del grande scrittore portoghese José Saramago racconta di una nazione dove, da un giorno all’altro, nessuno muore più, perché la Morte ha smesso di fare il proprio lavoro. Dopo un primo momento di euforia, le persone cominciano a rendersi conto degli enormi problemi provocati da una condizione di immortalità, tanto che alcuni decidono di abbandonare il Paese per recarsi dove è ancora possibile morire.
Chiamami col tuo nome - André Aciman Il tenero racconto di un adolescente che ricorda la sua avventura estiva con un giovane uomo. Un’attrazione che si trasforma presto in un sentimento di amore totalizzante come può esserlo solo in giovanissima età, in questo libro che, nel 2007, suscitò alcune polemiche a causa del suo modo disinibito di trattare il tema dell’omosessualità. Nel 2017, il regista italiano Luca Guadagnino ne ha tratto un film, riuscendo a preservare interamente la poesia del testo.
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Americanah - Chimamanda Ngozi Adichie Americanah è il terzo romanzo di Chimamanda Ngozi Adichie (nata ad Abba in Nigeria nel 1977), una delle più brillanti scrittrici nigeriane del nostro tempo. La vicenda narrata copre più continenti e si estende per diversi decenni, seguendo le vite parallele di Ifemelu, una donna schietta e sensibile, e Obinze, l’uomo di cui lei è innamorata. È una satira sociale, tramata di un umorismo malinconico, e insieme è una storia di formazione al femminile, travestita da romanzo sentimentale. Con Americanah Adichie ha conquistato il pubblico e la critica aggiudicandosi il National Book Critics Circle Award del 2013.
L’amica geniale - Elena Ferrante La tetralogia de L’amica geniale, della misteriosa autrice Elena Ferrante, è uno dei più straordinari casi letterari italiani degli ultimi 10 anni. Ambientata a Napoli nella seconda metà del Novecento, la saga racconta la storia di due amiche, Lila e Lenù, dai destini profondamente diversi, eppure strettamente intrecciati. Il primo capitolo della tetralogia è diventato una serie TV nel 2018.
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Rubrica Novità ”
L’uomo ha due grandi doti: la “parola” per dare suono ai pensieri, e la “scrittura” per darne loro un senso nel tempo.
”
- Gianfranco Iovino
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LA SPADA E IL CRISANTEMO
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uando viene contattata dalla Cia, l’ex Sottotenente Joanna Edwards non può immaginare che quello sarà il primo passo della sua nuova vita. Quella vecchia, in fondo, non le sarebbe mancata poi molto: da quando è tornata dall’Afghanistan le sue giornate oscillano penose tra alcol e antidolorifici, gli unici conforti che riescono ad offuscare per brevi momenti i suoi sensi di colpa per un evento terribile di cui è stata responsabile. La missione che le viene affidata è molto particolare: dopo essersi disintossicata, frequenterà infatti un PhD in Lingue e Culture Orientali ad Harvard, copertura che le consentirà di lasciarsi alle spalle un passato troppo pesante da gestire. Lo scopo della missione, però, è ancora avvolto dal mistero, e poi c’è lei, l’unica in grado di impugnare la spada senza rimanere uccisa. Per portare avanti il suo compito dovrà trasferirsi in Giappone, dove scoprirà importanti dettagli sulla leggenda che la riguarda e, soprattutto, raggiungerà la consapevolezza necessaria per abbracciare il proprio destino, mentre le ombre di una terribile minaccia incomberanno su di lei e sulle persone a lei care... Fantasy in stile giapponese ricco di suspense e colpi di scena, “La spada e il crisantemo” catapulta il lettore in un mondo popolato da forze oscure e terribili.
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AUTOBIOGRAFIA DI PETRA DELICADO
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etra Delicado, la dura, femminista e idealista, poliziotta di strada per le vie di Barcellona, si racconta in una confessione ininterrotta, calda e autentica, e si interroga sul senso della vita e la complessità dei rapporti umani. ... Con la scoperta del sesso e i primi amori germoglia in Petra l’orgoglio femminile. Nei romanzi gialli di Alicia Giménez-Bartlett, la protagonista Petra Delicado della polizia di Barcellona non è solo l’ispettrice, brusca, franca e femminista, che risolve i delitti. È anche altro: la determinazione a essere riconosciuta in quanto donna, la rivendicazione di indipendenza rispetto al passato politico del suo paese e la voglia di capire la società in cui vive. Così inchiesta dopo inchiesta il personaggio di Petra si è mostrato al lettore sempre più ricco, secondo un progetto che adesso sembra essere stato chiaro fin dall’inizio, cioè dopo i tanti romanzi che ne raccontano le avventure, raccontare il background di Petra. Una confessione che con ironia e coraggio spinge a interrogarsi sulla propria vita mentre ci si appassiona alle vicende e alle riflessioni di un personaggio che voltata l’ultima pagina ci si accorge di amare ancora di più, per la sua umanità, il suo coraggio, per il suo essere Petra.
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STORIE DI VITA DI ARTE E DI DSA
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n libro, ma allo stesso tempo un percorso dentro la realtà concreta delle cose, elaborato in osmotica coesione da individui che hanno vissuto e agiscono con il proprio e l’altrui mondo interiore ed esteriore. Testimonianza di vita e arte, che in una letterale visione del contemporaneo, riassumono la capacità di saper accogliere, affrontare e dominare: diversità, eterogeneità e complessità del sociale, in riferimento e non solo, alle problematiche del DSA visto nel duplice aspetto intrinseco dentro e fuori. Un viaggio tra riflessione e consapevolezza che vede l’arte come punto d’incontro, attraverso l’esperienza, l’interazione, la rappresentazione, l’ascolto e la pratica. Un libro frutto di una coralità di voci, a cura di Enrico Pusceddu, docente dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Una pubblicazione che si prefigge l’obiettivo di normalizzare la diversità, che non necessariamente dev’essere negativa. Conoscere e interagire con il diverso, anziché evitarlo o stigmatizzarlo, può trasformarsi in un arricchimento. Guardare ad altre realtà, ad altre storie e testimonianze diverse dalla nostra, saper accogliere, affrontare e dominare un’eterogeneità sociale, ci apre le porte a nuovi sguardi, nuove idee e possibilità che altrimenti non avremmo mai preso in considerazione.
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DARWIN
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obby era un bimbo dal naso troppo grande per il suo volto delicato, che faticava a pronunciare la lettera W, come il nonno e il papà. Aveva una passione sfrenata per gli insetti e gli piaceva inventare linguaggi segreti con il fratello Erasmus. Quando la madre Susannah morì, Bobby divenne Charles. Venne rinchiuso in un terribile collegio dove i ragazzi non imparavano nulla, subivano soprusi di ogni genere e punizioni degne di un carcere. In seguito provò a studiare medicina a Edimburgo, ma non aveva considerato la sua fobia per il sangue e il terrore dei ladri di cadaveri. Valutò allora l’idea di studiare teologia a Cambridge e farsi prete, ma ben presto si rese conto che non riusciva a credere in ciò che non si può spiegare. Era pigro, pauroso, problematico, ma un giorno il destino volle metterlo alla prova. Così, il giovane Charles si imbarcò su una piccola nave insieme a un caparbio capitano che voleva dimostrare la fondatezza delle storie della Bibbia. Partì per un lungo viaggio intorno al mondo, nonostante la salute cagionevole e il costante mal di mare. Durante i lunghi anni di navigazione, Charles si fece uomo e divenne Darwin.
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ANVEERSIA IL CENTROMONDO
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ono trascorsi vent’anni da quando Ludvig Marfen ha messo al bando la magia, su Anveersia: chiunque sia scoperto a praticare le arti occulte sarà perseguito dalla legge. Un bel problema in un mondo popolato da streghe, sciamani e creature fantastiche, in cui la magia fa parte del DNA degli esseri viventi. E un problema ancora maggiore per i gemelli Grammell, che una mattina di settembre ricevono a casa uno strano pacchetto, contenente un oggetto magico tanto enigmatico quanto illegale. Chi glielo avrà inviato? E perché proprio a loro? Ma soprattutto, saranno disposti a mettere a repentaglio le loro vite per risolvere il mistero che nasconde? Una storia che si fa leggere piacevolmente e come protagonisti due gemelli alle prese con un mistero da risolvere, oggetti magici e una missione da compiere. Nel mondo di Anveersia le cose non sono sempre come sembrano e sarà solo mettendo in campo le capacità di ciascuno che i protagonisti potranno superare pericoli e trame per arrivare alla verità… Il romanzo d’esordio di Gregorio Bisio, il primo libro di una saga che presto conquisterà i più appassionati lettori del genere fantasy.
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LA SOLA COLPA DI ESSERE NATI
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iliana Segre ha compiuto da poco otto anni quando, nel 1938, con l’emanazione delle leggi razziali, le viene impedito di tornare in classe: alunni e insegnanti di «razza ebraica» sono espulsi dalle scuole statali, e di lì a poco gli ebrei vengono licenziati dalle amministrazioni pubbliche e dalle banche, non possono sposare «ariani», possedere aziende, scrivere sui giornali e subiscono molte altre odiose limitazioni. È l’inizio della più terribile delle tragedie che culminerà nei campi di sterminio e nelle camere a gas. In questo dialogo, Liliana Segre e Gherardo Colombo ripercorrono quei drammatici momenti personali e collettivi, si interrogano sulla profonda differenza che intercorre tra giustizia e legalità e sottolineano la necessità di non voltare mai lo sguardo davanti alle ingiustizie, per fare in modo che le pagine più oscure della nostra storia non si ripetano mai più.
«Per me è molto importante sentirmi sulla tua stessa strada. Perché hai vissuto ciò che io ho solo letto, e perché avendolo vissuto non hai assecondato l’istinto di rispondere all’odio con l’odio.» «Non abbiamo bisogno di eroi, serve però tenere sempre viva la capacità di vergognarsi per il male altrui, di non voltarsi dall’altra parte, di non accettare le ingiustizie.»
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Rubrica Watch Chill ”
Il cinema racchiude in sé molte altre arti; così come ha caratteristiche proprie della letteratura, ugualmente ha connotati propri del teatro, un aspetto filosofico e attributi improntati alla pittura, alla scultura, alla musica.
”
- Akira Kurosawa
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acconta la storia di Claire Randall, una giovane infermiera che ha soccorso tantissimi feriti durante la Seconda Guerra Mondiale e che appena conclusa decide insieme al marito Frank di concedersi una seconda luna di miele nelle Highlands scozzesi. Arrivati ad Inverness i due coniugi si dedicano alle loro passioni, Frank studiando la storia del luogo ove è nato per saperne di più sul suo passato e Claire, si bea della rigogliosa flora scozzese per approfondire le sue conoscenze tra i boschi. Tutto sembra andare per il meglio finché i due, dopo aver assistito ad una tipica danza celtica per celebrare la primavera attorno ad un mistico cerchio di pietre, Il Craigh Na Dun, non vengono coinvolti in un’esperienza al tempo stesso straordinaria e terribile. Claire, infatti, dopo questo avvenimento, durante una gita tocca una delle pietre del cerchio e viene magicamente trasportata indietro nel tempo, nel 1743, dove si sta assistendo ad un duro scontro tra i ribelli locali e la Giubbe Rosse inglesi e la donna capisce subito di essere in pericolo. Fra i militari Claire incontra causalmente il
Capitano Jonathan “Black Jack” Randall, un antenato di suo marito a lui incredibilmente somigliante, ma purtroppo quest’uomo è molto differente dal suo amato e cerca addirittura di stuprarla, ma grazie al salvifico intervento di Murtagh Fitzgibbons la donna sfugge alle grinfie dell’uomo e viene portata al castello di Leoch di proprietà della famiglia MacKenzie. Qui la donna dà subito prova delle sue avanguardiste capacità mediche tanto da salvare il nipote del Lord del castello, Jamie Fraser, che in seguito la costringe a rimanere per sfruttare la sua competenza come guaritrice e moglie, mentre il cuore di Clare si ritrova diviso tra due uomini e due vite inconciliabili. Outlander è una serie televisiva britannico-statunitense, trasposizione della celebre saga omonima di Diana Gabaldon. In lingua originale ad oggi sono editi otto dei dieci libri annunciati dall’autrice, ognuno dei quali (tranne il primo) è stato pubblicato suddiviso in due volumi nella versione italiana, per un totale di 15 libri.
SERIE:
di Ronald D. Moore dal 2014 - in corso GENERE:
Storico/Fantasy/Romantico DOVE VEDERLO:
Chili
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ulla base delle Profezie di Agnes Nutter, Strega (messe per iscritto nel 1655 prima che Agnes facesse saltare in aria tutto il villaggio riunito per godersi il suo rogo), il mondo finirà di sabato. Sabato prossimo, per essere precisi. E per questo motivo che le temibili armate del Bene e del Male si stanno ammassando, che i Quattro Motociclisti dell’Apocalisse stanno scaldando i loro poderosissimi motori pronti a lanciarsi per strada, e che gli ultimi due cacciatori di streghe si preparano a combattere la battaglia finale, armati di istruzioni antiquate e di innocue spillette. Atlantide sta emergendo, piovono rane dal cielo. Tutto sembra proprio andare secondo il Piano Divino. Non fosse che un angelo un filo pignolo e un demone che apprezza la bella vita - ciascuno dei quali si è, come dire? affezionato a usi e costumi umani - non fanno esattamente salti di gioia davanti alla prospettiva dell’incombente catastrofe cosmica. E allora, se quei due (Crowley e Azraphel) devono mettersi al lavoro subito per scovare e uccidere l’Anticristo (mica una bella
cosa, visto che è un ragazzino simpaticissimo). Ma c’è un piccolo problema: sembra proprio che qualcuno lo abbia scambiato con qualcun altro... Good Omens è l’adattamento televisivo del romanzo del 1990 Good Omens: The Nice and Accurate Prophecies of Agnes Nutter, Witch, in Italia meglio conosciuto con il titolo Buona Apocalisse a tutti!, scritto da Terry Pratchett e Neil Gaiman. Quest’ultimo è anche lo sceneggiatore, lo showrunner e il produttore esecutivo della miniserie. Di una prima versione, scritta da Terry Jones e Gavin Scott, si è sentito parlare nel 2011, ma il progetto non ha fatto ulteriori passi avanti. Dopo la morte di Pratchett, Gaiman si è rifiutato di lavorare da solo all’adattamento, ma ha cambiato idea quando ha ricevuto una lettera del collega, scritta per essere inviata dopo la sua morte, nella quale lo esortava a portare avanti il progetto. Nel gennaio del 2017 è arrivato infine l’annuncio dell’ordine a Prime Video di una miniserie di 6 episodi prodotta in collaborazione con BBC.
MINI SERIE:
di D. Mackinnon del 2019 GENERE:
Fantasy/Satira/Commedia DOVE VEDERLO:
Amazon Prime Video
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iccole Donne, il film scritto e diretto da Greta Gerwig, è la versione cinematografica dell’omonimo romanzo di Louisa May Alcott, pubblicato per la prima volta nel 1868. La storia è quella delle sorelle March, Meg (Emma Watson), Jo (Saoirse Ronan), Beth (Eliza Scanlen) e Amy (Florence Pugh), quattro giovani donne determinate a seguire i propri sogni, alle prese con i classici problemi della loro età, sullo sfondo della Guerra Civile Americana. Figura di risalto del gruppo è Jo, che si distingue dalle altre per la sua indole indipendente e per la sua perenne ricerca di libertà, che fanno di lei una donna ribelle in pieno contrasto con la figura femminile tradizionale del tempo. Determinata e testarda, Jo desidera affermarsi come scrittrice, nonostante i tempi non siano ancora maturi per un’autrice donna. La giovane, però, è pronta a tutto pur di realizzare il suo desiderio e spronerà le sue sorelle a fare altrettanto con i lori sogni
e a ribellarsi a quel rigido sistema sociale che le vuole sposate in un matrimonio di convenienza, abili solo a badare a casa e figli. Nel cast del film troviamo anche Laura Dern nel ruolo della madre, Timothée Chalamet in quello del giovane Theodore ‘Laurie’ Laurence, Meryl Streep nei panni della zia March, oltre a Chris Cooper, Bob Odenkirk e Louis Garrel che interpreta Friedrich Bhaer. Piccole Donne segna il ritorno di Greta Gerwig dietro alla macchina da presa a due anni di distanza dal suo folgorante esordio Ladybird, pluricandidato agli Oscar. Anche se è ambientato a fine Ottocento in New England, Piccole Donne è un film che affronta tematiche contemporanee e con personaggi che potrebbero tranquillamente vivere nel mondo di oggi. Lo ha detto Florence Pugh durante un’intervista, spiegando che, chiunque ha una o più sorelle, si riconoscerà nel legame che unisce Jo, Meg, Beth e Amy March.
FILM:
di Greta Gerwing dal 2019 GENERE:
Dramma/Sentimentale/Storico DOVE VEDERLO:
Amazon Prime Video
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lisa, giovane donna muta, lavora in un laboratorio scientifico di Baltimora dove gli americani combattono la guerra fredda. Impiegata come donna delle pulizie, Elisa è legata da profonda amicizia a Zelda, collega afroamericana che lotta per i suoi diritti dentro il matrimonio e la società, e Giles, vicino di casa omosessuale, discriminato sul lavoro. Diversi in un mondo di mostri dall’aspetto rassicurante, scoprono che in laboratorio (soprav)vive in cattività una creatura anfibia di grande intelligenza e sensibilità. A rivelarle è Elisa. Condannata al silenzio e alla solitudine, si innamora ricambiata di quel mistero capace di vivere tra acqua e aria. Ma il loro sentimento dovrà presto fare i conti con una gerarchia ostile incarnata dal dispotico Strickland. In piena corsa alle stelle contro i russi, gli Stati Uniti non badano a spese e a crudeltà. Per garantirsi e garan-
tire al suo Paese un futuro stellare, Strickland è deciso a tutto.Sospeso tra nevrosi terrestri (la Guerra Fredda e l’irriducibile paura del diverso) e iridescenze acquatiche, La forma dell’acqua inventa sotto i nostri occhi un nuovo continente, tra mare e terra, scongiurando l’annegamento con la potenza dei fantasmi. Proseguendo la sua relazione con lo straordinario, l’autore avanza nella Storia e produce un’articolazione sottile, ma senza gravezza metaforica, tra realtà e doppio fantasmagorico che spiega i suoi oscuri meccanismi. Precipitato in piena Guerra Fredda, il racconto agisce su due livelli, quello della cronaca realista (la violenza della Storia) e quello dell’immaginario mitologico (l’incontro con la straordinaria creatura), e osserva due movimenti, quelli su cui si equilibra tenacemente il cinema dell’autore.
FILM:
di Guillermo Del Toro dal 2017 GENERE:
Dramma/Sentimentale/Fantasy DOVE VEDERLO:
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