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La Rinuncia di Vidura e il Saggio Consigliere Bhagavatha Vahini
Capitoli 6 e 7
LA RINUNCIA DI VIDURA E IL SAGGIO CONSIGLIERE
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GIUNTO A PALAZZO, VIDURA chiese notizie circa la salute dei suoi parenti. Kuntidevi, la regina-madre, rivolgendogli uno sguardo amorevole, esclamò: “Finalmente possiamo rivederti,
Vidura!” Di più non riuscì a dire. Dopo un po’ di tempo riprese a parlare:
“Come hai potuto rimanere lontano così a lungo, trascurando proprio quei bambini che tu curasti con tanto amore, dimenticandoti di me e di tutti coloro che ti tenevano in sì grande considerazione? È per grazia tua se oggi i miei figli regnano. Dove sarebbero oggi se tu non li avessi salvati in tante situazioni critiche? Noi siamo stati i bersagli di innumerevoli disgrazie, ma la peggiore è stata la tua lontananza; essa ci ha pesato molto. Avevamo persino perso la speranza di rivederti. Oggi i nostri cuori sono tornati a vivere, e le speranze distrutte dalla disperazione stanno rinascendo. La nostra gioia ora è piena. Oh, che giorno felice!” Kunti si sedette asciugandosi le lacrime. Vidura le strinse le mani, ma non poté trattenere il pianto. Ricordava i vari episodi del passato riguardanti i Pandava e i Kaurava.
Disse: “Madre Kuntidevi! Chi può vincere il fato? Ciò che deve accadere, accade. Il buono e il cattivo che gli uomini compiono dà come risultato il bene e il male. Come si può affermare che l’uomo sia libero, quando invece è legato a questa legge di causa ed effetto? Egli è una marionetta nelle sue mani: essa tira i fili ed egli si muove, gli piaccia o no. Tutto è Sua Volontà,
Sua Grazia.” Mentre Vidura esponeva così le verità spirituali fondamentali che governano gli eventi umani, i fratelli Dharmaraja, Bhima,
Nakula e Sahadeva gli erano seduti vicino, pieni di attenzione.
Kunti infine alzò la testa e disse: “Grazie alle tue benedizioni, abbiamo vinto la guerra; ma non siamo stati in grado di salvare la vita dei figli di Draupadi e del figlio di Subhadra. La sfortuna ci ha colpito assai duramente. Naturalmente, come tu hai detto, nessuno può sfuggire al proprio destino. Dimentichiamoci, quindi, del passato; non c’è motivo di preoccuparsi di ciò che non può essere rimediato. Devo dire che ora la mia sete è stata molto alleviata perché ho potuto rivederti; dove sei stato tutto questo tempo? Raccontaci!”
A questo punto, Vidura rispose di esser stato in pellegrinaggio in numerosi luoghi santi. I fratelli ascoltavano rapiti la sua storia, interrompendolo con le loro domande. Dharmaraja disse più volte che stava aspettando il giorno in cui anche lui avrebbe potuto fare le stesse sante esperienze. Egli congiungeva le mani in segno di rispetto ogni volta che veniva menzionato un santuario e, con gli occhi chiusi, immaginava di trovarsi là. Bhima lo interruppe, chiedendogli: “Sei andato nella città di Dvaraka? Per favore, raccontaci la tua esperienza.” Dharmaraja aggiunse: “Avrai certamente incontrato il Signore Krishna, non è vero? Raccontaci dettagliatamente tutto quello che è successo.” Anche Kuntidevi era desiderosa di udire il suo racconto, poiché disse: “Racconta, racconta! Ora mio figlio si trova laggiù. Lo avrai certamente incontrato. Come stanno tutti? Spero che gli anziani genitori, Nanda e Yashoda, stiano bene, e così pure Devaki e Vasudeva.” Una pioggia di domande cadde su Vidura, ancor prima che cominciasse a parlare.
Vidura non era particolarmente propenso a rispondere. Parlava come se fosse ansioso
di evitare l’argomento, poiché aveva appreso da Uddhava, che aveva incontrato sulla via di Dvaraka, che il clan degli Yadava era stato sterminato, mentre Krishna aveva concluso la Sua carriera umana. Vidura non voleva addolorare i Pandava, mentre questi gioivano per averlo rivisto dopo tanto tempo. “Perché dovrei essere io la causa del loro dolore, dopo aver portato tanta gioia?” – si domandava. “Certamente verranno a saperlo da Arjuna che tornerà da Dvaraka con la triste notizia.” Così, tenne per sé le notizie che gli stavano uscendo dalla bocca, e diede soddisfazione a se stesso e ai presenti descrivendo la grandezza di Krishna. Vidura osservò: “Non volevo far visita a parenti e amici indossando queste vesti da asceta; pertanto, non ho incontrato nessuno dei capi Yadava, né Nanda né Yashoda o altri. Così egli tacque, senza dilungarsi ulteriormente su Dvaraka e sul suo pellegrinaggio.
“Sono venuto da voi avendo saputo che avete vinto la guerra e che siete impegnati a governare pacificamente il regno che era vostro di diritto. Ho sentito un forte richiamo verso questi ragazzi che ho curato fin da piccoli; è stato l’affetto per loro ad avermi portato qui. Fra tutti i miei parenti e amici, ho sentito il bisogno di far visita soltanto a voi; non ho voluto incontrare nessun altro” - egli affermò - e portò il discorso sugli insegnamenti vedantici che voleva impartire. Al termine della conversazione, Dharmaraja pregò Vidura di prendere alloggio negli appartamenti predisposti per lui e lo accompagnò personalmente. Dopo aver incaricato alcuni addetti di mettersi al suo servizio, pregò il Saggio di accomodarsi e riposare.
Vidura non gradì molto l’idea di trascorrere il tempo in mezzo ai lussi di corte, ma accettò per non far dispiacere a Dharmaraja. Si sdraiò sul letto, ricordando il passato. Sospirò nel pensare agli stratagemmi impiegati da suo fratello, il cieco Dhritarashtra, per distruggere i Pandava, figli dell’altro suo fratello Pandu. Ma quegli intrighi erano ricaduti poi su Dhritarashtra, causando la distruzione della sua intera famiglia. Vidura ammirò la magnanimità mostrata da Dharmaraja nei confronti di Dhritarashtra. Nonostante quest’ultimo avesse cercato di torturare i Pandava in mille modi, egli lo trattava con grande rispetto e attenzione e non gli faceva mancare nulla. Il Saggio s’indignò ripensando alle nefandezze compiute da Dhritarashtra, tanto più che il vecchio re, dopo tutte le sue iniquità, continuava a crogiolarsi con totale indifferenza nel lusso di corte, invece di coltivare il distacco dagli effimeri piaceri dei sensi per cercare di realizzare l’obiettivo della vita umana: la Liberazione dal ciclo delle nascite e delle morti. Provò allora un dolore straziante al pensiero che suo fratello stesse sciupando i pochi anni che gli rimanevano da vivere sulla terra.
La sua visione yogica gli rivelò che presto anche i Pandava sarebbero scomparsi e che lo stesso Krishna, che li aveva protetti qui, li avrebbe protetti anche nell’aldilà. Vide anche che il re cieco avrebbe sofferto ancor di più dopo la loro dipartita. Decise allora di mandare quel suo sciagurato fratello in pellegrinaggio verso la realizzazione finale del suo destino, senza indugiare oltre. Così, Vidura uscì nel buio della notte, senza farsi notare da nessuno, e si incamminò verso la residenza di Dhritarashtra.
Il re cieco e sua moglie Gandhari si aspettavano quella visita, avendo saputo del suo arrivo in città. Così, quando Vidura entrò, il re lo abbracciò e, incapace di trattenersi, pianse lacrime di gioia. Il Saggio ascoltò tutte le disgrazie che avevano colpito lui e i figli e le lamentazioni circa il proprio stato, e cercò di consolarlo con i profondi insegnamenti delle Scritture. Ben presto si accorse, tuttavia, che il cuore pietrificato del vecchio re non si sarebbe intenerito con i consigli che gli stava dando, ma che la sua ostinata stupidità poteva essere smossa solo impartendo duri colpi.
Cambiò allora tono e cominciò a e insultarlo. All’udire quelle parole, Dhritarashtra si allarmò e lo implorò: “Fratello! Bruciamo di dolore per la perdita dei nostri cento figli e tu punzecchi le nostre piaghe con l’affilata lama del tuo irato vituperio. Ancor prima di gustare la gioia del tuo ritorno tanto atteso, perché
cerchi di immergerci ancor più profondamente nell’angoscia? Ahimè! Dovrei forse biasimarti per la tua durezza di cuore? Qui tutti mi deridono, tutti mi incolpano, e non posso neppure confidarmi con te, se anche tu fai così.” Con il capo piegato e appoggiato sul palmo delle mani, Dhritarashtra si sedette in silenzio.
Vidura colse quel momento ritenendolo il più opportuno per istillargli la lezione della rinuncia, la sola che avrebbe potuto salvarlo dalla perdizione. Sapeva che il suo fine era irreprensibile; perché voleva che entrambi si recassero in pellegrinaggi verso luoghi sacri, si colmassero di santità, incontrassero uomini grandi e buoni per imparare a riconoscere il Signore dentro di loro, e così salvarsi. Decise, quindi, di usare parole ancor più dure per trasformare lui e la regina. Anche se mosso da profonda pietà per la loro miserabile condizione, Vidura pensava agli orrendi giorni in cui entrambi avrebbero avuto bisogno di tutto il coraggio che la saggezza (Jnana) soltanto può conferire. Egli era, quindi, determinato a incitarli all’azione; perciò, aggiunse: “O stolto re! Non ti vergogni? Trovi ancora gioia nei piaceri materiali? A che ti varrà sguazzare in un pantano di fango fino alla morte? Ritenevo che tu ne fossi più che sazio. Il tempo è come un cobra che sta in agguato per ferirti a morte; credi forse di sfuggirgli e di vivere in eterno? Nessuno, per quanto grande, è sfuggito al suo morso. Tu rincorri le gioie di questo mondo transitorio e cerchi di soddisfare i tuoi desideri per ricavarne qualche misera soddisfazione, e intanto sprechi anni preziosi. Rendi invece degna la tua vita; non è troppo tardi per iniziare lo sforzo. Abbandona questa gabbia chiamata casa e allontana dalla tua mente i meschini piaceri di questo mondo. Ricorda la gioia che ti aspetta, il mondo che ti accoglierà alla fine del tuo viaggio. Salva te stesso. Evita lo stolto fato che ti porterà a lasciare questa vita nel dolore per la separazione da parenti e amici. Impara a morire tenendo il pensiero del Signore fisso nella mente al momento della tua dipartita. È molto meglio morire in letizia nel fitto della più buia foresta che morire con l’angoscia nel palazzo di questa capitale. Vai, va’ a fare penitenza (Tapas). Allontanati da questo luogo, da questa prigione che tu chiami casa.”
Vidura continuò a impartire i suoi ammonimenti a Dhritarashtra: “Hai ormai raggiunto un’età avanzata; eppure, senza alcuna vergogna o esitazione, conduci la vita di un cane. Forse tu puoi non considerarla un’ignominia, ma io sì. Vergognati! Il tuo modo di trascorrere le giornate è peggiore di quello di un corvo.”
Dhritarashtra non poté sopportare oltre e gridò: “Basta, basta! Taci, ti prego. Mi stai torturando a morte. Queste non sono parole che un fratello dovrebbe rivolgere a un altro fratello. Ascoltandole, non mi sembra proprio che tu sia Vidura, mio fratello; non mi avresti rimproverato così crudelmente. Forse che Dharmaraja, con il quale vivo ora, è un estraneo? Mi sono rifugiato presso uno straniero? Che cosa vai dicendo? Perché queste parole così aspre? Dharmaraja si prende cura di me con amore e premura. Come puoi dichiarare che conduco la vita di un cane o di un corvo? È un grave peccato nutrire simili idee. Questo è solo il mio destino e nulla più.” Dhritarashtra chinò poi la testa continuando a lagnarsi.
Vidura lo derise e osservò: “Non hai vergogna a parlarmi così? Dharmaraja può, per sua bontà, prendersi più cura di te che non di suo padre. Può accudirti con un amore più grande di quello dei tuoi stessi figli. Questo è semplicemente il riflesso del suo carattere; non è che la messa in pratica del significato del suo nome. Tu, invece, dovresti fare progetti per il tuo futuro! Hai già un piede nella tomba, e ciecamente pensi solo a riempirti lo stomaco e a vivere negli agi e nelle mollezze. Rifletti per un istante su quanto hai torturato Dharmaraja e i suoi fratelli per soddisfare gli sciagurati propositi dei tuoi malvagi figli, come pure su quanti stratagemmi hai ordito per distruggerli. Li hai rinchiusi in una casa di cera e l’hai incendiata. Hai cercato di avvelenarli. Hai insultato la loro regina nel modo più umiliante davanti a una vasta assemblea. Tu e
la tua abominevole progenie avete provocato dolori su dolori ai figli di Pandu, il tuo stesso fratello, e tu come un vecchio elefante cieco, dalla dura scorza, intorpidito mentalmente dall’età, te ne stavi seduto sul trono chiedendo perennemente a coloro che ti circondavano ‘che cosa sta succedendo ora? Che cosa sta succedendo ora?’ Come puoi rimanere qui godendo dell’ospitalità di Dharmaraja, covando nella tua mente tutte le nefandezze perpetrate per distruggerlo? Quando progettavi la loro fine, non erano forse tuoi nipoti? Oppure, la parentela è riemersa soltanto ora, perché avevi bisogno di farti ospitare? Tu mi dici orgogliosamente che ti trattano bene, senza un briciolo di vergogna!
Perché tutte queste chiacchiere? Quella fatale partita a dadi avvenne per tua iniziativa, non è vero? Lo puoi forse negare? No! Io stesso ne fui testimone e ti consigliai vivamente di non farlo, ma tu prendesti a cuore le mie parole? Che cosa accadde allora dell’amore e della comprensione di cui ora fai così grande sfoggio? Oggi, come un cane, tu trangugi il cibo che i Pandava ti mettono davanti e conduci una vita spregevole.”
Udendo le parole di Vidura che lo colpivano come martellate, Dhritarashtra cominciò a provare disgusto per il suo modo di vivere. L’intenzione di Vidura era di spronarlo a iniziare una vita di austerità e di disciplina spirituale (Sadhana), affinché potesse realizzare il suo Sé prima che fosse troppo tardi. Infine, Dhritarashtra comprese che suo fratello gli stava dicendo la verità, rappresentandogli un quadro preciso della sua vile natura. Egli allora confessò: “Fratello! Sì, tutto quello che hai detto è vero, lo ammetto. Ora me ne rendo conto, ma che cosa posso fare? Sono cieco e quindi non posso andare da solo nella foresta per praticare la disciplina spirituale. Devo essere accompagnato. Che cosa devo fare? Per timore che mi possa mancare il cibo, Gandhari non mi lascia solo neppure per un istante.”
Vedendo che il re aveva modificato il suo atteggiamento, e si era aperto in lui uno spiraglio di luce, Vidura ripropose con enfasi il suo consiglio iniziale. Pertanto, aggiunse: “Sei diventato cieco principalmente a causa del tuo attaccamento al corpo. Per quanto tempo ancora puoi portarne il peso? Un bel giorno, e in qualche luogo, esso dovrà essere abbandonato sul ciglio della strada. Sappi che ‘tu’ non sei il corpo, questo sacco di cose nauseabonde. Identificarsi con la struttura fisica è segno di estrema stoltezza. Il corpo è continuamente assediato dalla morte e dal suo esercito di malattie, ma tu non te ne preoccupi, non ti curi di valutare i pro e i contro; pensi soltanto a rimpinzarti la pancia e a russare. Questa storia avrà una fine, ricordati! Il sipario è destinato a scendere. Affrettati allora, senza indugio, a ritirarti in qualche luogo santo per meditare su Dio e salvare te stesso. Lascia che la morte arrivi e si porti via il tuo corpo là: quella è una morte eccellente. Non morire come un cane o uno sciacallo, come e dove capita. Alzati e vai; sviluppa il distacco. Abbandona questa illusione; fuggi da questa casa.”
Così furono piantati nel suo cuore i semi della rinuncia. Dhritarashtra rifletté a lungo e poi scoppiò in lacrime. Le sue labbra tremavano, e a tastoni cercò di toccare Vidura. Alla fine, gli prese le mani e disse: “Vidura! Che cosa posso dire a te che mi hai dato questo preziosissimo consiglio per il mio sommo bene? Sebbene tu sia più giovane d’età, la tua saggezza ti rende più anziano di tutti noi. Hai quindi piena autorità di parlare come ritieni più opportuno. Non considerarmi un estraneo. Ascoltami con pazienza: seguirò certamente il tuo consiglio.” Poi prese a descrivere al fratello le sue condizioni.
Egli osservò: “Vidura! Come posso andar via di qui senza informare Dharmaraja che si prende cura di me, ancor più che di un figlio? Non sarebbe appropriato comportarsi così, ed egli potrebbe insistere per venire via con noi, perché questa è la sua natura. Ti prego, liberami da questo dilemma. Portami in un posto dove io possa impegnarmi nella Sadhana.”
A questa supplica, Vidura rispose: “Le tue parole suonano strane: non vai nella
foresta per banchettare, per far festa o per godere della bellezza del panorama. Tu devi abbandonare tutto con un completo senso di distacco, per intraprendere una vita di rinuncia e di disciplina spirituale. Come puoi, allo stesso tempo, parlare di prendere congedo da parenti e amici? È davvero strano. Tu decidi di staccarti dal corpo per ricercare l’Ideale e contemporaneamente pensi come ricevere il permesso da uomini vincolati a te per mezzo del corpo. Questi legami non aiutano certo la pratica spirituale e non potranno mai liberarti. Fanne un fascio e falli sprofondare. Allontanati da questo posto con le sole vesti che indossi. Non sprecare più un solo minuto della tua vita.”
Senza alcuna pietà, Vidura continuò a consigliarlo in questo modo, senza modificare il tono delle sue parol; anzi insistette sull’importanza di una rinuncia immediata. Seduto sul letto, Dhritarashtra ascoltava attentamente, riflettendo su quale potesse essere il suo prossimo passo. Quindi, esclamò: “Vidura, quel che tu dici è vero. Non serve, però, che io ti descriva tutte le mie difficoltà. Questo corpo è decrepito e gli occhi ciechi. Devo avere almeno qualcuno che guidi i miei passi, non è vero? Tua cognata si è ‘accecata’ mettendosi una benda sugli occhi per condividere la mia menomazione e partecipare alla mia sofferenza. Come possono due ciechi muoversi nella foresta? Dovremo dipendere da altri per il resto della nostra vita.”
Vedendo le lacrime che scendevano sulle gote del vecchio re, Vidura si mosse a compassione per la sua condizione, ma non lo diede a vedere e lo rassicurò: “Ebbene, io sono disposto ad accompagnarti nella foresta; sono pronto. Quale maggior piacere posso avere nel portarti via da qui per un così sacro proposito? Vieni, alzati e partiamo.” Vidura si alzò e anche Dhritarashtra si levò dal letto. La moglie Gandhari si mise al suo fianco e, passandogli una mano sulla spalla, implorò: “Signore, anch’io vengo con te. Sono pronta a tutto.”
Dhritarashtra, tuttavia, replicò: “È cosa assai ardua proteggere le donne nella giungla. Il posto è infestato da bestie feroci e la vita è destinata a essere piena di privazioni.” Così, in questi termini, continuò a parlare a lungo. Tuttavia, ella ribatté che non poteva abbandonare il suo signore, che poteva sopportare tutte le privazioni quanto lui, che era suo dovere servirlo fino alla morte, che voleva seguire la tradizione stabilita dalle perle della femminilità indiana, che non era dharmico impedirle di osservare il suo stesso Dharma, che la vita nel gineceo senza di lui le sarebbe stata insopportabile, e che preferiva di gran lunga la vita nella foresta con il suo signore. Cadde quindi ai suoi piedi e gli chiese il permesso di accompagnarlo.
Dhritarashtra rimase in silenzio; non sapeva che cosa dire. Fu Vidura a parlare: “Questo non è il momento di cavillare sulle sottigliezze del Dharma. Come può questa donna, che non ti ha mai lasciato per un istante, abbandonare improvvisamente la tua compagnia e vivere sola? Non è corretto. Lascia che venga anche lei: la porteremo con noi. Per chi si avvia verso il cammino dell’austerità non deve esistere paura o illusione, fame o sete, dolore o sofferenza. Non è ascetismo (Tapas) lamentarsi o prevedere tutto ciò. Quando il corpo stesso è negato, che possono fare le privazioni? Andiamo, un ulteriore indugio non è giustificato.”
Vidura si mise davanti, conducendo Dhritarashtra, seguito silenziosamente da Gandhari che gli teneva una mano sulla spalla. Sfuggendo alla vista delle guardie e dei cittadini, il santo devoto di Dio, Vidura, guidò la coppia attraverso strade laterali, fuori dei confini della città. Fece loro fretta affinché potessero raggiungere la foresta prima del sorgere del sole. Era necessario, però, attraversare il Gange con una barca, ma non c’era nessun barcaiolo prima dell’alba. Furono così costretti ad aspettare sulle sponde del fiume sacro. Vidura li fece riposare per un po’ in una capanna, mentre egli stesso si impegnò a cercare una barca che li traghettasse sull’altra sponda, ancora nell’oscurità.