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Massimo Milano e Federica Rossini
from MADIA_maggio2023
Guadagnare il senso del tempo
Autore: Luigi Franchi
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1818! È da questa data, 205 anni fa, che la famiglia Milano gestisce il ristorante Cacciatori a Cartosio, in provincia di Alessandria. Stessa famiglia, stesso luogo, stessa tipologia professionale. Un autentico primato ma se ascoltiamo Massimo Milano e sua moglie, Federica Rossini, che, oggi, conducono i Cacciatori scopriamo che la storia è ben più complessa e lunga.
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Massimo, raccontaci la storia della tua famiglia, quella che va oltre l’insegna ufficiale del ristorante…
Massimo Milano: “Arriviamo a conoscere la data di apertura del ristorante tramite un nostro vicino di casa che ha la folle idea di scrivere la storia di Cartosio attraverso la storia delle famiglie. Ha accesso agli archivi della diocesi di Acqui Terme, del Comune e dello Stato. È in quello della diocesi che trova una regia patente dove si parla di casa nostra. Ovviamente era un’idea completamente diversa di ristorazione: era un’attività di osteria, bottega di alimentari, macelleria, panetteria e tabacchi e, dalla regia patente, non si capisce se l’attività era addirittura precedente. Lui trova anche un documento che attesta l’arrivo della famiglia Milano a Cartosio nel 1642, provenienti da Nocco, una frazione di Gignese, in provincia di Verbania, dove c’è il museo dell’ombrello e del parasole. Sono identificati come ciabattini scolarizzati. Poi, un altro documento interessante, della metà del Settecento, riguarda un mandato a pagare i pasti della guarnigione militare a un Milano che non sappiamo se è diretto discendente o un cugino. Arriviamo al secolo scorso, quando negli anni ’70 a Cartosio c’erano tre ristoranti gestiti tutti dai Milano. Di certo sappiamo che siamo una delle famiglie con più storia di Cartosio”.
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Voi fate parte di quella che possiamo definire l’Italia dal di dentro: quella dei valori, della bellezza, dell’impegno per affrontare le difficoltà: quali sono i pro e i contro del vivere questa condizione?
Massimo Milano: “Cartosio, fino all’apertura dell’autostrada A26 a metà degli anni Settanta del ‘900, era sulla strada d’accesso al mare tramite il Passo del Giovo. Mare che si trova a 39 km da qui. Nella zona c’erano 17 ristoranti, ora ci siamo solo noi, anche se qualcuno, per fortuna, sta ricominciando a crederci. Negli anni d’oro erano i miei genitori e i miei nonni che gestivano il ristorante. Mio padre mi raccontava che, nel periodo estivo, quando c’era la villeggiatura, la sua camera veniva venduta e lui andava a dormire in solaio. A quel tempo l’osteria era in mano alle donne, mio papà e mio nonno aiutavano, ma loro facevano i maniscalchi perché di osteria non si viveva almeno fino al secondo dopoguerra quando la città di Acqui non cominciò un’epoca termale che portò moltissime persone; ad Acqui Terme c’erano due hotel cinque stelle lusso. Ora la situazione è completamente diversa. I pro? Un’identità molto forte che permette un contatto diretto con chi produce e alleva. Le persone che scelgono di venire qui non arrivano mai per caso ma ci scelgono; vorrei che venissero anche per altri ma non ci sono. E un’idea molto forte di essere Italia con la clientela che ci chiede esattamente questo”.
Federica Rossini: “Il pro è anche guadagnare un senso del tempo, dove tutto si accelera. Qui, in cui in ogni caso, lo si porta a casa dove tutto viene decantato. Quindi tu devi essere vigile ma aperto, alla ricerca di stimoli nuovi, dalla cucina alla scoperta di altri luoghi che possono anche essere diametralmente diversi dal tuo. Questo diventa trasformazione costante ma con un ritmo di vita diverso da quello della frenesia. Qui c’è già ciò che oggi viene ricercato: un senso del tempo dove i valori fondanti devono ritornare alla luce. Una dimensione dove poter lavorare bene, con serenità e determinazione, per far star bene le persone”.
Massimo Milano: “I contro invece sono la distanza da tutto. Chiedere alla gente di impiegare del tempo, di mettere in campo la fiducia per venire da noi ma questo diventa un pro. Perché quando arrivi da noi trovi identità vera e così varia che hai una prateria davanti da raccontare agli ospiti”.
Federica Rossini: “Trasformare i problemi in sfide è il motto che ho scritto su un foglio appeso alla parete di casa”.
Trattoria o ristorante: qual è la definizione corretta per il vostro locale?
Federica Rossini: “Per la Camera di Commercio di Alessandria siamo Albergo Ristorante Cacciatori, ma per noi non esiste come argomento. Vogliamo semplicemente essere un posto dove ti piace andare”.
Massimo Milano: “Non vedo la differenza tra trattoria e ristorante. Vedo invece profondamente sbagliato che un McDonald’s e un luogo come Dal Pescatore, tre stelle Michelin, siano classificati allo stesso modo ristoranti”.
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I Cacciatori sono conosciuti per l’utilizzo di una cucina economica, quella che funziona ancora con la legna. Perché utilizzate ancora questa cucina, quali sono le tecniche, come si imparano e come è il gusto di un piatto realizzato con questo tipo di cottura?
Federica Rossini: “Io sono entrata in cucina arrivando da un percorso diverso, dall’analisi sensoriale. Vengo da una famiglia dove nonna e mamma sono state donne emancipate, che lavoravano: commerciante la nonna, maestra la mamma. Una mamma che dava importanza a come si cucinava, per lei non aveva senso andare in macelleria a farsi tagliare un pezzo di pollo quando non ci vuole niente a farlo da soli. Questo metodo mi ha portato a guardare alla cucina in modo diverso, ho fatto un master in analisi sensoriale e, per passione, facevo raccolta di ricette pensando che un giorno, forse, le avrei fatte. L’approccio sensoriale mi ha aiutato tanto e Davide Scabin un giorno mi disse: i tuoi studi ti aiuteranno quando e solo quando avrai il senso del posto. Poi ho conosciuto Massimo e il posto è diventato questo. Voglio ricordare un’altra grande persona, Nadia Santini, che mi disse: anch’io ho imparato da mia suocera. Qui ho trovato questa stufa, del 1952, dove ci lavorava su mia suocera, non c’era altro e su questa ho dovuto imparare. Non è facile, è un vero e proprio sapere, non tutto reagisce allo stesso modo su questi fuochi che non si vedono. Un fuoco nascosto, che lo senti ma non lo vedi, che ti fa anche riflettere sul tempo. Molte volte mi ritrovo a guardare fuori dalla finestra intanto che i cibi cuociono e vedo il tempo che cambia le cose, i colori, il cielo. È un tempo più lento, che si lascia osservare. Il sapore? Diventa subito familiare per chi l’ha conosciuto da bambino; diventa di una bontà diversa da tutto per chi lo assaggia per la prima volta. Oggi vengono da noi anche per questo, gli ospiti ci chiedono di vederla questa vecchia signora che compie 71 anni, un’amica con cui devi passare del tempo, un’ottima compagna di lavoro”.
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La vostra sala ha subito grandi trasformazioni: dai 200 coperti di anni fa a spazi ampi tra un tavolo e un altro, ad esempio. Come fate a far sentire bene i vostri ospiti?
Massimo Milano: “Ci sono nato dentro in questa sala. I miei non mi hanno mai detto che dovevo fare questo lavoro. L’ho scelto, dopo gli studi classici, qui ho incontrato persone che mi hanno permesso di vedere un mondo diverso. Potevo fare altro ma ho scelto di non farlo, di restare qui, in questa sala. Per sentirsi bene non è solo compito nostro. Ci vuole anche una predisposizione dell’ospite a entrare in sintonia con un mondo che cerca di raccontarsi. Gli ospiti sono comunque diversi, c’è chi ama sentire il racconto, chi vuole stare in pace, chi non gliene importa nulla. Occorre una buona dose di psicologia per questa professione”
Vi basta questa dimensione per rendere produttiva l’azienda? O meglio, quali sono le condizioni ottimali per farlo?
Massimo Milano: “Dopo il periodo pandemico sono cambiate molte cose: la marginalità, con gli aumenti di costi che ci sono stati, è scesa perché non vogliamo far pagare all’ospite questi rincari; la forza lavoro è più complicata da gestire; è vergognoso il delta tra ciò che paghiamo di tasse e i servizi che queste tasse dovrebbero darci. In più l’offerta di ristorazione è stata eccessiva negli ultimi anni. Questo aspetto ha inciso sugli assetti economici di un settore che è al centro di un cambiamento che, a oggi, sappiamo esserci, indispensabile, ma non sappiamo che strade prenderà. Siamo andati troppo verso il bello, l’estetica, tralasciando il buono che resta il vero motivo per cui le persone scelgono di mangiare fuori casa. Noi ce la caviamo, siamo in una dimensione dove il costo della vita è minore rispetto alle città ma non basta questo, occorre definire in maniera diversa l’imprenditorialità di questa professione, per tutto il sistema”.
Come riuscite a farvi riconoscere e trovare?
Federica Rossini: “Attraverso un sito che funziona, che viene aggiornato il più possibile, dove la carta dei vini e il menu portano la data dell’aggiornamento. Abbiamo le pagine social molto attive. Il fatto che gli ospiti si sentano davvero a casa ci sta creando molta fidelizzazione. Poi conta anche una carta dei vini che si è costruita con un rapporto diretto e di amicizia con le cantine del territorio che portano ospiti importanti. Infine l’adesione alle Premiate Trattorie Italiane e ad Amodo, la rete dei ristoranti etici che ci proietta in una dimensione originale e diversa rispetto al resto della ristorazione”.
Quali criteri utilizzate per creare la vostra carta?
Federica Rossini: “I piatti che non possono non esserci, prima di tutto: il pollo alla cacciatora, alcuni primi e dolci. Poi la stagionalità, i condimenti, gli antipasti di verdure. La nostra si può definire una cucina piemontese di confine. Oggi cerchiamo di dare uno stimolo diverso con il vassoio che rappresenta il grande antipasto alessandrino. E abbiamo una carta che cambia molto velocemente, ad aprile è il quarto cambio da inizio anno”:
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E per la carta dei vini?
Massimo Milano: “La nostra carta nasce da una storia lunga che ha creato rapporti storici con cantine del calibro di Gaia, per fare solo uno dei tanti nomi. Questo ci consente di proporre anche verticali importanti. In generale credo, però, che il criterio prevalente sia quello di proporre vini rispettosi e buoni”.