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La sapienza di un cuoco

Maurizio Urso e la cucina del benessere

Mangiare sano sta diventando la priorità. Questo è il monito che giunge nitido dall’autorevole Rapporto Ristorazione 2023 di FIPE (Federazione Italiana Pubblici Esercizi), che registra in modo certosino i tempi che cambiano. A pensarla così inizia ad esserci una fetta importante di consumatori: il 42%! Solo due anni fa la percentuale si aggirava intorno 32%. Sta esplodendo una nuova esigenza, dettata principalmente dalle innumerevoli problematiche di salute piccole e grandi in aumento o soltanto dall’emergere di una nuova coscienza in termini di prevenzione.

In tutto questo noi scegliamo la poesia andando a interpellare un cuoco, Maurizio Urso, che da 30 anni della sua cucina del benessere vero, in accompagnamento al gusto però (e qui sta la maestria), ha fatto la sua bandiera. Non senza essere non compreso, a volte deriso, e giungendo a fare bene e basta senza esplicitare come lo stesse facendo, perché non sarebbe stato capito (il pensiero sarebbe erroneamente corso a una cucina povera, di poco gusto).

Capita a chi precorre i tempi, neanche fosse un astronauta. Intanto lui ha maturato un vantaggio competitivo per cui adesso è più che mai utile sapere del suo percorso.

Conoscenze di cuochi in giovane età destinate a ritornare nel tempo, luoghi di lavoro che fanno di nuovo capolino durante il percorso di crescita e arricchimento professionale… come se il vento soffiasse in una direzione ben precisa. La storia professionale di Maurizio Urso è come l’intreccio di una trama di senso che, vista a ritroso, sembra il dispiegarsi di un disegno.

C’è una data, Maurizio, che ha segna il tuo percorso professionale?

“È il 1993 quando, alla ricerca di lavoro, vengo a sapere che a Limone sul Garda, presso il Park Hotel Imperial, un cinque stelle lusso che già a quell’epoca aveva al suo interno un Centro Tao, una Natural Medical SPA (prima in Italia), stavano cercando un capo partita. Quando incontro lo chef, Ernesto Maiorca, scopro di conoscerlo: avevo lavorato con lui al Savoy di Siracusa. Poi le nostre strade si erano separate, lui è andato all’estero dove ha cominciato a interessarsi di cucina macrobiotica, avendo conosciuto Renè Levi, allievo del fondatore George Osawa, e una volta rientrato era approdato all’Imperial.

“Unisciti a noi – mi ha detto, riconoscendomi, lo chef –qui facciamo cucina macrobiotica e cucina mediterranea, opportunamente distinte”. Vedendomi un po’ spaventato aggiunge: “Non ti preoccupare, intanto partiamo dalla cucina mediterranea. E così è stato finché non mi chiede di iniziare a fare qualcosa anche per la cucina macrobiotica, in questo contesto vocato al benessere dove, tra le altre cose, c’era anche un innesto di medicina naturale. E subito mi ha affibbiato quattro libri con un monito: ‘Studia!’. L’impostazione era molto seria: facevamo un briefing mensile col direttore scientifico del centro e due briefing settimanali con lo chef, molto preparato. Ci spiegava i piatti, le quantità, le cotture! Per ammorbidire i cereali in cottura, ad esempio, utilizzavamo le alghe, che li arricchivano di ferro e sali minerali. Le alghe, che lo chef ci faceva notare essere l’alimento più ricco di ferro sul pianeta, quelle le avevamo in quantità anche per zuppe e insalate. Le dulse, alghe rosse sono ottime in insalata. E il miglio, che oggi tanto sta tornando alla ribalta, ci veniva spiegato che doveva avere una cottura lenta, a partire dall’acqua fredda perché, diceva lo chef: “deve fiorire, aprirsi bene”. Inutile dire che questo nuovo mi prendeva al punto che, vista la mia voglia di crescere, lo chef mi fa mettere mano in entrambe le cucine, la mediterranea e la macrobiotica. Quando lascia per un nuovo incarico gli subentro io. In quel periodo approfitto per seguire corsi. Intanto nel mio piccolo inizio ad elaborare una cucina che associ la mediterranea e la macrobiotica, che definisco cucina del benessere, senza addentrarmi a spiegarla però perché sarei stato cassato a priori, temendo che fosse troppo scarna, e la applico a Villa Politi dove, al mio ritorno in Sicilia, mi chiamano come chef”.

Cosa intendi per mangiar bene?

“Avere nel piatto cibo che sia salutare, cioè che presenti tutti i nutrienti e cotture fatte tecnicamente bene, ma che sia pure gustoso, gradevole al palato. Perché ad esempio cuocere il pesce in padella con abbondanza di olio quando basta spennellarla e fare una cottura dolce, coprendo- lo per farlo rimanere morbido? Non parliamo poi delle fritture, degli oli di qualità, dell’importanza di utilizzarli idealmente una volta sola e di non eccedere con il punto di fumo che inizia già a 120 ma non deve arrivare necessariamente a 180, ci si può fermare anche prima (dipende da ciò che facciamo, dal prodotto che abbiamo)”.

Ti trovi di fronte a un curioso bivio, ad un certo punto del tuo percorso. Raccontacelo…

“Mi si presenta l’opportunità di andare in Georgia per seguire una catena di ristoranti e già sto prendendo accordi quando arriva la chiamata da Gianfranco Vissani, conosciuto da poco. Guadagnare tanti soldi o cercare di crescere ancora? Questo mi sono chiesto ma non ho avuto tentennamenti. Inizia così un periodo intensivo di ben cinque anni, totalizzante, a fianco di un fuoriclasse che ha fatto della ricerca della materia prima eccellente il suo comandamento assoluto e delle peculiarità degli abbinamenti il suo unicum, avendo “il palato nel cervello”, come mi piace dire”.

Ma non è ancora finita, ci sono passaggi, forse i più salienti, che andranno consacrando la tua cucina del benessere e che meritano di essere raccontati e condivisi. Così che si capisca cosa significa specializzarsi sul serio e non riempirsi la bocca di parole…

“È il 2014 quando di nuovo in Sicilia continuo a proporre la mia cucina (mediterranea +macrobiotica) contestualizzata nel territorio dove mi faccio ispirare dalla storia, le dominazioni, i tempi dei Monsù da cui estrapolo spunti. Una sera viene a cena da me un giornalista, che resta colpito dagli effetti della mia cucina sulla sua persona. Il giorno dopo mi chiama ‘sei uno dei pochi dove ho mangiato di gusto, mi sono alzato sazio e tuttavia ho dormito benissimo e stamattina sto bene. Sto organizzando insieme a docenti del dipartimento di Alimentazione, Agricoltura e Ambiente dell’Università e di Scienze Biomediche e biotecnologiche di Catania un corso di Medicina culinaria, ti interessa partecipare per ap- profondire ulteriori aspetti?’ L’invito viene esteso a tutti i cuochi siciliani ma ci iscriviamo solo in 12. Il corso dura un anno. Mi sono arricchito tantissimo, i miei perché hanno trovato ulteriori risposte, consentendomi di perfezionare ancora di più la mia cucina del benessere”.

Di solito questi corsi generano contatti, collegamenti, aprono squarci di cielo. È accaduto anche a te? “Sì, è accaduto perché oggi i medici stanno iniziando a parlare con i cuochi, come nel mio caso che ho incontrato il dottor Salvatore Bonanno, direttore UOC di Radioterapia Asp Siracusa. Lui mi ha invitato, in qualità di esperto di cucina, a tenere dei corsi a futuri oncologi e cardiologi, perché gli spiegassi tecniche di cottura, associazioni alimentari... Da lì mi si è aperta un’altra porta: collaborare con la Fondazione Artoi (Fondazione ricerca terapie oncologiche integrate) che si dedica a studio e applicazione di trattamenti oncologici attraverso l’uso integrato di più opzioni terapeutiche, fra cui la nutrizione. Qui il dottor Massimo Bonucci, fondatore e presidente di Artoi, ha capito subito il senso della mia cucina. Perché anche il cibo cura. Il cibo è pure prevenzione ma per essere tale bisognerebbe fare educazione alimentare ai bimbi fin da piccoli. Mi viene spiegato il progetto di aprire due/tre ristoranti per città, in Italia, che propongano un menu del benessere per poter rispondere alla fatidica domanda “dottore, dove vado a mangiare per non stare male?”. Sottinteso che l’alternativa diventa rinunciare, stare a casa... Di fatto aderisco a questa iniziativa che oggi è approdata insieme a me nel Bio Relais I Carusi, a Noto, dove peraltro la mia filosofia si sposa perfettamente con quella della proprietaria, Simona Privitera, che in un contesto da favola, su di un appezzamento di sei ettari si dedica alla produzione di olii essenziali, infusi di erbe, olio extravergine di oliva e mandorle, senza dire dell’orto biologico. Il menu che io propongo al ristorante contempla un percorso degustazione benessere riconoscibile per il logo di Artoi. Chi viene per questo perché consigliato dall’oncologo capisce, non c’è bisogno che si scopra ulteriormente. Ho poi anche la carta, progettata con la mia filosofia di cucina, da cui pure questo cliente può attingere, tranne che per alcuni piatti”.

Maurizio, il rapporto FIPE, parla chiaro: per una percentuale importante di persone, il 42%, la priorità sta diventando l’assunzione di cibo sano per migliorare la propria salute. Che effetto ti fa sentire parlare di questo, dopo trent’anni passati a lavorare sottotraccia?

“Mi fa dire finalmente ce l’ho fatta. Ci ho sempre creduto e ho investito in questa direzione. È importante però che la cucina del benessere non diventi una moda, cioè che venga approcciata in modo serio: fare attenzione a quello che compriamo, seri nello scegliere, lavorare, cucinare la materia prima e soprattutto studiare le associazioni alimentari corrette. È nelle libere associazioni di alimenti che “attentiamo” la salute delle persone, anche solo causando una cattiva digestione. Quando creo un piatto per il menu benessere se ho dubbi chiamo il medico o il nutrizionista con cui collaboro. Se, ad esempio gli dico che voglio fare un incontro tra terra e mare mi risponde che non va bene perché due proteine non stanno bene insieme (solo in rarissimi casi possono stare)”.

Gli accostamenti scenici, come è di moda dire: wow! e i giusti accostamenti. Che argomentone...

“Dei primi, fatti per stupire, se ne vedono troppi. Io credo che i passaggi in un piatto debbano essere tre o quattro ma gli accostamenti devono essere fatti a ragion veduta”.

Studiare genera sapienza, la sapienza ingabbia quanto a regole o alimenta creatività?

“Continuando a studiare la tua creatività viene sempre più stimolata e anche quella avanza”.

Ecco la sapienza di un cuoco, allo scoperto - è il caso di dire – nella sua maturità professionale.

Autrice: Giulia Zampieri

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