
8 minute read
Quando si fa onore a una nazione intera
from NIGRO_giugno 2023
Lo chef Filippo Sinisgalli e lo straordinario progetto de Il Palato Italiano
Ha costruito una solida professionalità mettendo insieme i giusti tasselli. Non serve nemmeno che scriviamo con quali ‘grandi’ abbia lavorato, ci preme di più tratteggiarne quell’identità ben precisa che si è forgiata tra la fermezza delle regole, retaggio del suo arruolamento in marina, e la genuinità dei valori di una famiglia che gli ha insegnato a fare secondo le sue possibilità, senza ostentazione.
Filippo Sinisgalli, oggi executive chef presso Zur Kaiserkron a Bolzano, ha molto da raccontare con Il Palato Italiano, che non esita a definire un terzo figlio (dopo le due naturali). Di quelli molto talentuosi – aggiungiamo noi - dall’intelligenza viva, vulcanica e con una versatilità sorprendente, arma vincente di questi tempi.
Il Palato Italiano, definito hub della cucina Made in Italy, è nei fatti un percorso incredibile - a tratti inverosimile ma assolutamente reale – che un fortunato incontro di belle teste ha saputo generare.
Ma restiamo focalizzati sullo chef per entrare nel cuore de Il Palato Italiano - che di fatto rappresenta la summa della sua esperienza professionale - svelandolo in tutte le sue parti o meglio in tutti i suoi tempi, sì perché è scandito da tempi.
Come abbiamo conosciuto lo chef Filippo Sinisgalli
Tracima di passione per il suo lavoro, Filippo Sinisgalli. Parlando con lui avverti un’energia che ti investe e contagia. Ogni argomento che si affronta ne apre almeno altri due.
Potremmo forse iniziare a raccontare dove ci siamo conosciuti e siamo anche in grado anche di indicare il momento in cui è scattata la scintilla nei suoi confronti. Ci siamo trovati entrambi presso l’Università
Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza - in occasione di Innesti Creativi - nella giuria del concorso di cucina che vedeva in gara tre categorie di partecipanti: cuochi professionisti, istituti alberghieri e cuochi/e di casa (privati). Ebbene, il più grande motivo di riflessione è giunto da una giovane mamma in gara, che ha escogitato una pappa a base di verdure - farro risottato con crema di patate e gambe di broccoli - per la sua bimba che rifiutava i vegetali. Pappa che è stata adottata come piatto dall’intera famiglia, poi condiviso all’occorrenza con amici. Questo ha comportato l’assegnazione di un premio speciale, non previsto, e un bello slancio dello chef Sinisgalli, in veste di presidente di giuria: “In questo piatto c’è veramente un ingrediente importante: l’amore per un figlio, prendersi il tempo per preparargli qualcosa di appetitoso purché mangi. L’aspetto due giorni nella mia cucina, ci insegnerà a cucinare la sua ricetta!”.
E, da notizie pervenuteci, così è stato. Quando si dice partire dalle radici: quella bimba crescerà, diventerà una consumatrice, magari una cuoca o altro ancora, un adulto consapevole perché educato all’alimentazione corretta nel momento giusto della sua esistenza e a sua volta detterà la stessa linea.
Accompagnare il cliente attraverso un percorso gastronomico corretto

È proprio dall’educazione alimentare, sempre più urgente considerando la preoccupante confusione imperante in materia di cibo, che abbiamo ripreso il discorso con lo chef quando ci siamo incontrati di nuovo, questa volta presso il ristorante.
“Bisogna partire da quando i bambini cominciano a mangiare nelle mense della scuola: da lì ha inizio la loro auto-distruzione - ci racconta Filippo Sinisgalli, che nelle mense dove mangiava la sua bimba ci è andato, è voluto andare a vedere - Ci sono cose assurde: perché diamo da mangiare a dei bambini l’insalata Iceberg che non la digerisce neanche un ruminante quando in realtà la verdura del momen- to potrebbe essere un’altra? Poi provate ad assaggiare cosa gli propinano e vedrete... Quanto a noi cuochi invece porto con me la riflessione che un giorno mi ha fatto un vecchio collega: “Ricordati - mi ha detto - che noi indossiamo le giacche dello stesso colore dei medici e che facciamo da mangiare per persone che si fidano di noi. Questo è un atto di fiducia che non possiamo tradire”. Quella riflessione l’ho fatta mia, la porto con me, me ne preoccupo anche a discapito del look del piatto. Bisogna che accompagniamo i nostri ospiti attraverso un percorso gastronomico corretto. Se uno deve mangiare un menù di tre /quattro portate è mio dovere pensare al bilanciamento di quel menù, che di quelle cene se ne dimentichi non appena l’ha terminata (cioè che non abbia problemi a seguire). Significa che sta bene, che non gli dà noia. Non si usano più le padelle, non si fanno più le cotture che consacrano la nostra identità. Il bagno termostatico, il sottovuoto fanno danni due volte: per la plastica e perché stiamo creando persone che non sanno più cucinare. E poi si uniforma il gusto: possibile che un pezzo di manzo cotto sottovuoto qui a Bolzano o in Sicilia sia la stessa identica cosa? C’è poi anche la fissa del km zero. Non si può cucinare solo col km zero! È uno dei falsi storici più grandi degli ultimi anni. Sa proprio di marketing. Non può esistere il km zero per quanto riguarda l’Italia: i ristoranti del sud hanno bisogno del nord e quelli del nord hanno bisogno del sud. È il nostro essere italiani che ci impone di non essere adepti del km zero. Io che sono uomo del sud che lavora a Bolzano posso fare a meno dei prodotti che hanno fatto sì che fossi cuoco? Certo che no”..
Mettere buone basi, prima di pensare di raccogliere
È inevitabile, a questo punto, affrontare la questione del personale, tasto dolente in questo momento storico in particolare. Nell’ambiente si conosce bene la vocazione di Filippo Sinisgalli a scoprire e alimentare talenti. Gli chiediamo di raccontarci come ap- proccia a questi ragazzi.
“ Con i miei ragazzi tengo un occhio aperto (severo) e un occhio chiuso (come un padre fa con un figlio).
Penso davvero che siano meglio di noi. Attenzione! Non voglio che questa passi come una frase fatta.
E ora mi spiego meglio: se anche hanno avuto più possibilità di noi, chi fra loro sceglie di fare questo mestiere in maniera seria, sottolineo in maniera seria, è perché lo vuole. Nel loro inconscio il fuoco della passione per la cucina deve esserci, io devo solamente soffiare su quel fuoco con pazienza. Io non formo nessuno, sto solo accompagnando perché chi fa questo mestiere dentro è già pronto per farlo. Di base hanno una grinta e una velocità di pensiero che io non avevo alla loro età. Per me questa è la benzina di tutti i giorni. Io vengo a lavorare ancora con il piacere di farlo. Però vanno create le giuste condizioni, se no non si va da nessuna parte. Con la proprietà ci siamo trovati allineati: niente nero negli stipendi dei ragazzi, dare il giusto giro tra riposo e lavoro e retribuzione nella giusta misura. A queste condizioni i miei ragazzi sono pronti a fare muro con me. Io per loro e loro per me, disposti a fare qualsiasi cosa. La maggior parte della mia vita io la passo con loro. Quando vanno in giro hanno uno stile riconoscibile, mentalità riconoscibile, sanno mangiare in maniera corretta”.
L’incredibile percorso de Il Palato italiano
“Il Palato italiano – ci racconta lo chef - nasce nel 2012 in modo molto ambizioso: rappresentare l’Italia all’estero nel settore della ristorazione, portando - tanto per cominciare - i nostri prodotti enogastronomici di qualità nel mondo, non come li trasportano tutti ma secondo le logiche di chi fa della logistica il proprio core business. Il riferimento va alla famiglia Bertani che con la propria azienda, Bertani autotraporti SPA, specializzata appunto nella ricerca di soluzioni nel campo della mobilità”. Sono le esperienze gastronomiche insoddisfacenti della nostra italianità, fatte all’estero in occasione di fiere, a innescare in Luciano Bertani, fondatore dell’azienda, la riflessione sulla possibilità di poter rappresentare il nostro Paese diversamente. Nasce così Enterprise srl, che opererà con l’insegna de Il Palato Italiano, sotto la guida dello chef Filippo Sinisgalli. Si inizia così ad entrare nel merito della selezione di prodotti eccellenti nella consapevolezza di dover stare, come dice lo chef “un passo indietro – perché si è di fronte a qualcosa che non ha bisogno di essere lavorato più di tanto - e un passo di lato, perché va comunque accompagnato, saputo raccontare nella maniera giusta e quindi bisogna entrare in empatia con il produttore. Che poi magari il prodotto una volta te lo può dare e un’altra volta no. L’Italia è particolare anche per questo tipo di situazioni. Serve anche sapere aspettare, stare fermo un turno”.

La filosofia di cucina de Il Palato Italiano arriva
Sugli Yacht
“Ad un certo punto – prosegue lo chef - ci chiediamo: ‘Perché questi prodotti non li portiamo a bordo di magnifici yacht che girano il nostro mare e, soprattutto, perché non diamo istruzioni per l’uso corretto di questi prodotti?”
Da qui nasce la collaborazione con IBM e Cisco, rispettivamente per l’ingegnerizzazione e la TelePresence immersiva. Cioè si è creato un format che ci consentiva di portare la nostra filosofia di cucina ovunque.
Gli interessati installavano sugli yacht questo sistema, gli fornivamo i prodotti ovunque, ci collegavamo con loro e facevamo l’intero menu in TelePresence, guidando i cuoci di bordo nelle preparazioni.
Chef at home delle celebrity americane
Arriva poi il momento della folgorazione sulla via di Damasco: “Perché non venite in America? Le grosse celebrity non possono più uscire di casa. Se escono a cena sono perseguitate dai paparazzi”, ci chiedono. Nasce così Chef at home. È la fine del 2016.
“Sono stati anni bellissimi, perché abbiamo potuto portare a casa delle persone lo stile italiano. Li abbiamo potuti ospitare a casa loro, apparecchiare la loro tavola in stile italiano”.
Lo chef e la sua brigata facevano lunghe permanenze, stando anche un mese lontano da casa, tra Los Angeles e New York, cercando di concentrare le cene.
“Facevamo orari assurdi - ricorda Filippo Sinisgalli con gli occhi lucidi - perché gli appuntamenti erano concatenati e gli spostamenti in America sono lunghissimi, però c’era la voglia di farlo. I miei ragazzi, in quei momenti, avevano la felicità stampata in viso. Anche se erano solo agli inizi erano guardati e approcciati da queste celebrity come delle persone fantastiche. Abbiamo cucinato per Susan Sardon, Whoopi Goldberg, Mike Phillips, Morgan Freeman, Alan Cumming, Neal Patrick Harris solo per citarne alcuni. Siamo tornati dall’America con commesse fra le mani come il compleanno di Susan Sarandon, una delle cene di apertura degli Oscar e alla Malpensa abbiamo trovato persone già con le mascherine. Entrati nel vivo della criticità di quel periodo, per non sciogliere questo nostro capitale umano che avevamo creato negli anni, chiedo alla famiglia Bertani se sia possibile anticipare la cassa integrazione ai ragazzi e di dare loro la possibilità di alloggiare a Bolzano, non potendosi pagare gli affitti. La situazione era molto delicata. Qui c’erano ragazzi, con me da sei anni, che erano già dei professionisti. Avevo bisogno di rassicurarli, di dirgli che c’era futuro.

Ovviamente alcuni pezzi li ho persi ma ho tenuto l’ossatura: in sette sono rimasti. Ci hanno creduto. A quel punto, io che ero casa con la mia famiglia, avevo sempre la preoccupazione accesa su di loro, soli in quelle stanze. Siamo rimasti in call per ore a catalogare ricette e quando potevamo scappavamo in cucina a cucinare per noi”.
Zur Kaiserkron: la sublimazione di un pensiero di cucina portato nel mondo
Filippo Sinisgalli ama camminare. In una delle tante pas- seggiate, durante il lockdown, transitando dal centro di Bolzano si sofferma davanti a un ristorante chiuso, lo Zur Kaiserkron, nella cornice di un maestoso palazzo nobiliare, Palazzo Pock. Un luogo non qualsiasi come del resto il ristorante.
“Quel palazzo mi è piaciuto tanto, le sue molte finestre mi sembravano le tante cose che avevamo fatto con Il Palato Italiano. Era giunto il momento di mettere un cappello, un tetto al nostro progetto. Abbiamo quindi rilevato questo locale su cui siamo intervenuti strutturalmente per creare un ambiente in cui la gente iniziasse a prendersi il proprio tempo”.
Cos’è diventato quel ristorante lo lasciamo alle parole di Federica Bertani, executive vice president & chief marketing officer de Il Palato Italiano, nel QR code di approfondimento (sotto l’articolo) insieme a foto che rendono giustizia di uno studio accurato di ogni singolo particolare. Quanto alla cucina lo chef dice che è la sintesi di tutto quello che ci ha raccontato. Il piatto che ci viene posto di fronte, ricordiamocelo, è lo specchio di chi lo ha pensato, creato, servito ma anche di chi ci ha accolto. Racconta tutto fedelmente. E se viene il caso brilla. Eccome se brilla!




Autore: Guido Parri