SILVIA D’AURIA
OSSERVAZIONI SEMIOTICHE 2 Uno sguardo al design
Sommario
Abstract ___________________ pag. 02 Introduzione ________________ pag. 03 Le basi del design_____________ pag. 05 L’Utente ____________________ pag. 09 Il buon design _______________ pag. 12
Abstract Questo elaborato vuole essere una sintesi delle conoscenze acquisite durante il triennio e il primo anno di specialisica affrontando il tema del design con un’ osservazione semiotica. Si vuole tracciare un percorso per studiare gli elementi necessari per comprendere la materia e giungere a quello che dovrebbe essere il buon desgn. Le conclusioni sono personali e traggono ispirazione dalla bibliografia, ma si evidenzia il fattore più importante e critico: la comunicazione, il buon design emerge nella relazione con l’utente.
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Introduzione
Il primo paradosso del design
Design è ciò che conosciamo
Parlando di design è sorprendente scoprire come questa parola sia ricca di significati, caratteristica che ci pone di fronte già al primo paradosso: la sovrabbondanza di informazioni porta a non averne alcuna1. Pertanto il design si presenta con diverse definizioni e contrapposizioni. Un primo errore porta a considerarlo come valore aggiunto di un prodotto, tuttavia ho una riflessione da fare: la moltitudine di significati di questa parola (disegno, designo, progetto2…) trova congruenza in ciò che ha forma e immagine, si concretizza pertanto con l’oggettività. Di conseguenza tutto ciò che è palpabile o per lo meno osservabile si presenta con un suo design, quindi praticamente tutto ciò che rientra nel mondo che conosciamo. «Tutto quanto ci circonda e ci avvolge, tutto quanto si presenta a noi come attorno, addosso, fuori, incontro, è definito oggettività. In questo senso l’oggettività è quanto si contrappone a noi soggetti» (Bonfantini, 2000, Breve corso di Semiotica, p. 8). Pertanto trovo scorretto dire che il design sia un valore aggiunto in quanto caratteristica che si presenta a ogni artefatto, sarebbe più appropriato dire che è il “buon design” ad aggiungere valore agli oggetti. Ma che cos’è il buon design? Prima di rispondere è d’obbligo fare una seconda considerazione: il termine “design” si sviluppa con la produzione industriale, per questo motivo è strettamente legata agli artefatti. «Gli oggetti fatti dall’uomo – artefatti, fatti ad arte – sono quelli accomodati per un’azione materiale […] oppure sono oggetti fatti non per l’azione materiale
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Design è progettazione
immediata, ma per informare o comunicare, e allora si dicono segnici o comunicativi» (Bonfantini, Bramanti, Zingale, Sussidiario di Semiotica, p. 13). Ecco come il design sia quindi legato alla progettazione di oggetti che servono per soddisfare un bisogno o per risolvere un problema. Per progettare occorre metodo, si deve quindi avere uno schema da cui partire per capire il problema e trovarne le soluzioni3. Pertanto, il buon design, deve avere delle buone basi di ricerca e sperimentazione.
1: Zingale, 2010, Milano 2: Per approfondimenti vedere il saggio “Viaggio intorno a una parola: design”, di Salvatore Zingale (dal libro “La semiotica e il progetto 2”) 3: Vedi saggio di Gianpaolo Ponti, “Progettare il senso” (dal libro “La semiotica e il progetto 2”)
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Le basi del design
Design come oggetto dinamico
Gli interpretanti comuni
La lezone di Munari: fantasia, inventiva, creatività, immaginazione
Sono già stati enunciati alcuni dei significati della parola design, ma ad essa viene associato molto altro. Riprendendo gli studi di Peirce possiamo quindi dire che design è l’oggetto dinamico che a partire da un segno o da un rappresentante realizza numerosi interpretanti nella mente di chi guarda, scatenando così una semiosi. Alcuni interpretanti che nascono affrontando questo tema sono: creatività, inventiva, fantasia, immaginazione… Queste parole sembrano essere il punto di partenza per fare il mestiere del designer, meritano quindi una breve analisi. Per affrontare questo discorso si riprenderà una lezione di Bruno Munari tenutasi a Venezia nel 19921. Durante le sue ricerche, Munari vuole approfondire i significanti di queste parole, ma trovando risultati contrastanti crea una propria denotazione partendo dai suoi studi: - Fantasia: Permette di pensare a qualche cosa che prima non c’era e che nella realtà non potrebbe mai esistere, tuttavia fa riferimento a oggetti reali, ad esempio la Chimera ha testa di leone, corpo di capra e coda di serpente. L’animale non esiste ma è composta da parti che richiamano la realtà. - Inventiva: Produce qualche cosa che prima non c’era ma senza porsi problemi di estetica, l’importante è che sia realizzabile e che funzioni. - Creatività: Usa sia la fantasia che l’invenzione per produrre qualcosa che sia realizzabile e funzionale. - Immaginazione: è la facoltà che permette di creare nella mente l’immagine, di proiettare nel mondo reale quello che invenzione, creatività, e fantasia producono.
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Fantasia estranea al design
L’inventiva come investigazione
Riflessione sulla creatività
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Possiamo quindi escludere che la fantasia abbia un rapporto con il design, perché appunto non può essere prodotta, sfrutta parti di una realtà creando un mondo parallelo che tuttavia non potrà mai esistere. Il design progetta invece sperimentando nel mondo reale affinché l’artefatto finale possa esistere nella realtà, quindi essere realizzabile. Il rapporto con l’inventiva è pertanto indiscutibile perché questa suggerisce il metodo di progettazione da applicare, che consiste nella ricerca e nell’investigazione, nel domandare e nell’ottenere risposte. «L’invenzione è l’individuazione di un oggetto possibile all’interno del sapere disponibile, dove la realtà – il mondo fisico e psichico – diviene campo di continua interrogazione e quindi di interpretazione» (Salvatore Zingale, dal saggio “Viaggio intorno a una parola: design”) Lo stesso Munari (1981) osserva che l’investigazione, il domandare sia una delle vie da affrontare durante la fase di progettazione. Per quanto riguarda la creatività esistono pareri contrastanti sul suo rapporto con il design, nella concezione comune viene visto come lo slancio che muove il progettista verso nuove soluzioni: design is a creative activity2. La UK Government White Paper on Competitiveness nel 1995 afferma: «The effective use of design is fundamental to the creation of innovative products, processes and services. Good design can significantly add value to products, lead to growth in sales and enable both the exploitation of new markets and the consolidation of existing ones»3 . Da quanto esposto fino ad ora il design è una materia che permette la creazione di artefatti nuovi e innovativi che alimentano il mercato. «Per qualsiasi cosa che proceda da ciò che non è a ciò che è, senza dubbio la causa di questo processo è sempre una creazione» (Platone). Tuttavia al termine creatività sono associate numerose denotazioni e connotazioni, alcuni personaggi come Dante Alighieri e Leonardo da Vinci la consideravano come atto elusivamente divino; il Creatore è l’unico che possiede questa dote
La confusione sulla creatività
in quanto “è colui che fa dal niente”. L’idea di creatività come atteggiamento mentale proprio (ma non esclusivo) degli esseri umani nasce nel Novecento in cui troviamo la definizione del matematico Henri Poincaré: «Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili»4. Pertanto nel tempo questa parola si arricchisce di significati, da una dote che è esclusivamente divina, finalmente la si può attribuire anche all’uomo, a patto che questo giunga alla realizzazione di prodotti nuovi e utili. Ma a fornire maggiore chiarezza sul rapporto tra creatività e design interviene Salvatore Zingale, supportato dal pittore svizzero Johann Heinrich Füssli: «La creatività è più un’attitudine psicologica che una competenza progettuale. E’ psicologia, non logica. L’essere creativi è un carattere del soggetto, di chi sviluppa sensibilità ai problemi, ricchezza di associazione di idee, originalità nel decidere, tensione verso il nuovo. Mentre il design è indagine e ricerca, calcolo e strategia, discussione e sperimentazione. Il design è sempre meno una pratica individuale racchiusa nella sfera della soggettività.[…] Ciò che è creativo tende a non avere metodo. Ma il design è inevitabilmente metodo. È inferenziale, non intuitivo. È inventivo, non creativo.» (Cfr. “Viaggio intorno a una parola: design”, Salvatore Zingale). Da quanto esposto si può quindi giungere alla conclusione che il design progetta per introdurre nella realtà oggetti che soddisfano un bisogno, o trovano soluzione a un problema. Non interviene quindi la creatività ma il metodo, quindi l’innovazione. La confusione è dovuta al fatto che realizzando nuovi prodotti questi effettivamente vengono creati, ovvero che il design contribuisce al processo che li porta dalla loro inesistenza alla loro scoperta. Ma attenzione che si è scelto apposta di usare il termine scoperta poiché i prodotti finali nascono appunto dall’interrogazione e interpretazione del mondo fisico e psichico (la realtà).
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Design è immaginazione
Sul termine di immaginazione non abbiamo voci contrastanti. Con essa i designer possono “vedere” (nella loro mente) il progetto nelle sue fattezze finali, potendo anche inserirlo in un contesto realistico. Lo stesso Munari dichiara che in questa sezione intervengono i visualizer che, sfruttando appropriati programmi, realizzano costruzioni virtuali per compensare la mancanza di immaginazione dei committenti. Molti progettisti si affidano anche alla costruzione di modelli in scala per ridurre ulteriormente la distanza dal “progetto su carta” e prodotto finale.
1: Gli argomenti sono anche trattati dal libro in bibliografia di Bruno Munari, “Fantasia” 2: Vedi “What are innovation, creativity and design?” sul sito <http://www.gm.fh-koeln.de> (Design.pdf) e vedere anche <www.icsid.org/about/about/articles31> 3: La seguente definizione la si può trovare nel documento in nota 2 “What are innovation, creativity and design?” sul sito <http://www.gm.fh-koeln.de> (Design.pdf) 4: Vedere il sito <http://www.memorizzare.eu/index.php/2010/01/26/ lanno-della-creativita.html>.
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l’Utente
Il design lavora per l’utente
Il primo approccio agli artefatti
Logica utente
Il design si attiva per soddisfare le esigenze di un gruppo di persone che hanno in comune lo stesso problema. Nell’ambito economico si parla di target inteso come obiettivo su cui concentrarsi nell’attivare il mercato. Ma in questa sezione si parlerà di utenti che sono coloro che fanno uso di un prodotto o servizio (esistono utenti che non possiedono le caratteristiche del target). Questi personaggi hanno un ruolo decisivo per il design, poiché sono loro che valutano il progetto finale. Quando a un individuo viene mostrato un artefatto che non conosce, questo dà inizio a una attività interpretativa nel tentativo di comprendere l’oggetto che ha di fronte. Per raggiungere tale obiettivo si fa sempre leva sulle conoscenze che già sono acquisite: «l’interpretazione inferenziale parte sempre da una conoscenza parziale, l’oggetto di ragionamento è trovare, partendo dalla considerazione di ciò che conosciamo, qualcosa che non conosciamo. […] Nell’usabilità ciò che conosciamo è il prodotto così come esso si presenta; ciò che non si conosce è ciò che si deve fare»(Cfr: “Gioco, Dialogo, design”, Salvatore Zingale). Il soggetto si affida quindi a una serie di ragionamenti per trovare la funzione dell’oggetto ancora sconosciuto, è ciò che possiamo chiamare logica utente: «La logica utente è quella logica che mettiamo in atto senza elaborare un ragionamento cosciente e formalmente articolato, la logica non sistematica ma praticata, che ogni uomo nel compiere qualsiasi sorta di ragionamento possiede come sapere rudimentale e necessario» (ibidem).
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La relazione tra utente e prodotto
I soggetti giovani
I soggetti più anziani
L’Errore
Il metodo induttivo
Il ruolo dell’utente
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Quest’ attività dipende dall’esperienza e dalle caratteristiche del soggetto: ogni utente interagisce con l’artefatto in modo unico e personale. Tra i due elementi si instaura infatti una relazione dialogica in quanto susseguirsi di domande e risposte, ma le domande cambiano da individuo a individuo, così come il modo di porle. L’età dell’utente è uno dei fattori che interviene in questo rapporto: nei soggetti più giovani prevale infatti un metodo di esplorazione abduttiva, basato più sui tentativi che sulle proprie esperienze, in cui prevale la fretta di imparare e dove la curiosità è maggiore del timore di sbagliare. Infatti questa tipologia di persone interagisce meglio con gli oggetti elettronici anche se è la prima volta che ne fa uso. Con l’avanzare dell’età si fa sempre più affidamento alle proprie esperienze, pertanto la presenza di un oggetto sconosciuto è causa di disagio e di timore. I soggetti più anziani preferiscono applicare un metodo di interazione deduttivo là dove esiste un libretto di istruzioni per l’uso; agendo in questo modo queste persone si sentono più sicure nell’interazione con l’oggetto, perché seguendo le regole hanno meno possibilità di commettere errori. L’errore è ciò che viene visto come la conseguenza di una fase di stallo nel rapporto tra utente e prodotto, il dialogo si interrompe perché il destinatario non risponde più alle domande, ciò può succedere quando il prodotto si rompe o si blocca in un errato gesto di usabilità. In assenza delle istruzioni per l’uso, l’utente più anziano si trova comunque obbligato a interrogare l’oggetto, tuttavia, prima di agire per tentativi, osserva attentamente l’artefatto sconosciuto in modo da poterlo associare per intero o nelle sue parti a degli oggetti simili di cui ha già esperienza. Cerca quindi di ricostruire le regole basandosi sulle proprie conoscenze, prima di compiere un’azione d’azzardo, applicando quindi il metodo induttivo. In campo semiotico possiamo osservare gli utenti come interpreti dell’artefatto che hanno di fronte che funge da oggetto dinamico. Il risultato della semiosi sarà un interpretante diverso per ogni osservatore poiché interagiscono fattori personali e culturali che
Cambiare le abitudini dell’utente
sono variabili in ogni individuo. L’esito di un oggetto di design (così come nell’arte) cambia oltre che da persona a persona anche nel tempo e nello spazio poiché intervengono anche i fattori sociali (i quali influenzano i gusti soggettivi2) che delineano i canoni di bellezza e utilità. Il design deve quindi tenere conto del contesto storico e spaziale in cui deve lavorare, poiché in questo ambito spesso la sola soluzione del problema di partenza non basta per garantire il successo. Una leva su cui si può lavorare, la più ambita dal mercato, è il cambio delle abitudini dell’utente rendendo quest’ultimo dipendente all’artefatto. Nella nostra società molti oggetti fanno parte della vita quotidiana di una persona, e se questi venissero a mancare si cercherebbe subito di rimpiazzarli poiché la loro assenza sarebbe la causa di un problema di un cambio di abitudini. Gli esempi sono molteplici: l’automobile non solo ha influenzato la vita dei singoli individui ma anche dell’intera collettività con la costruzione di strade e parcheggi; la maggior parte delle strutture cerca di offrire ai propri clienti un servizio wireless per la connessione internet; si ha più di un telefono cellulare per persona; e la lista continua dai colossi come gli edifici agli oggetti più piccoli come i bottoni delle camicie.
1: Vedere “Gioco, dialogo, design” di Salvatore Zingale, pag. 169 2: Vedi il primo elaborato consegnato: “Osservazioni semiotiche, uno sguardo alla semiotica del mondo”
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Il Buon Design
Il buon design nel rapporto artefatto-utente
Accessibilità
Design for All
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In questa sezione si vuole finalmente rispondere alla domanda che ha aperto il saggio. Il percorso finora affrontato ha fatto chiarezza sulle basi del design e si è soffermato sul soggetto per cui questa materia lavora: l’utente. Infatti, anche se il processo del design parte dalla committenza, non si deve distogliere lo sguardo da chi usufruirà del prodotto finale. Il buon design lo si vede appunto nel suo rapporto con il destinatario del prodotto. In primo luogo deve essere accessibile. Questo termine è molto usato parlando di web design che si presenta come esempio perfetto per spiegarne il significato. I siti web devono fornire le informazioni cercate in tempi brevi e con pochi passaggi, migliore è la struttura del sito, migliore sarà la fruizione dell’utente. L’accessibilità nel design è l’abilità che permette di giungere alla funzione d’uso dell’oggetto-servizio, idealmente al primo tentativo, da parte del fruitore. È il primo valore del Design for all che progetta per un uso che non sia solo per l’utente modello, che è colui che presenta tutte le competenze fisiche e psichiche per utilizzare il prodotto o servizio1, ma che possa soddisfare le esigenze del maggior numero di persone, tenendo in considerazione anche alcuni disagi fisici che questi fruitori potrebbero avere. «Il design for all è la progettazione, lo sviluppo e la commercializzazione di prodotti, servizi, sistemi e ambienti per il grande pubblico, in modo che siano accessibili per la più ampia gamma possibile di utenti» (definizione adottata dalla Commissione Europea Direzione
Funzionalità
Il problema della multifunzionalità
Estetica
Visibilità Il buon design sta nella comunicazione
Generale Impiego e Affari Sociali su proposta dell’EIDD per la Giornata Europea delle Persone Disabili, 3 Dicembre 2001). Un oggetto di design deve essere funzionale: deve risolvere il problema per cui è stato costruito prestando attenzione a non crearne di nuovi (obiettivo non facile poiché ogni oggetto presenta comunque una sua problematica. Dove metterlo quando non lo si utilizza? Come si pulisce? Cosa fare se si rompe? Etc.). Oggi gli oggetti tendono sempre più alla multifunzionalità, vediamo ad esempio i cellulari di ultima generazione che offrono servizi sempre più numerosi (telecamera, connessione a internet, giochi…). Ma ogni potenzialità aggiunta rende l’artefatto più complesso poichè si ritorna al problema dell’accessibilità per ogni singola funzione. Il buon design deve saper ordinare e comunicare in modo semplice la via più breve per usufruire di ogni capacità dell’artefatto2. Per ultimo si deve affrontare l’aspetto estetico, gli oggetti devono essere gradevoli. La concezione di ciò che è bello però è soggettiva e, come detto in precedenza, dipende anche dai valori sociali diffusi nel tempo e nello spazio. Non è possibile stendere delle regole universali per definire la bellezza, ma il designer può giocare sull’aspetto della forma e sui colori per migliorare la comunicazione con l’utente. L’estetica è la prima caratteristica che viene notata, pertanto la prima a far scattare il processo di semiosi nei destinatari, la si può quindi sfruttare per creare l’effetto di senso (anche se mai in modo prevedibile). Agendo quindi su questo aspetto è possibile aggiungere quella qualità che Donald A. Norman chiama visibilità3, che consiste nel rendere visibile l’artefatto o le suo parti permettendo a chi lo ossarva di comprendere il suo funzionamento. Ogni carattarestica affrontata in questa parte presenta la stessa problematica: la comunicazione. Qualsiasi ramificazione del design deve saper comunicare con l’utente: a partire dalle informazioni su un volantino al funzionamento di una lavatrice. Più efficace sarà la comunicazione, più si potrà parlare di buon design.
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1: Vedere “Gioco, dialogo, design” di Salvatore Zingale e il saggio “Viaggio intorno a una parola: design”, pag. 316. 2: Per approfondire vedere “La caffettiera del masochista” pag 193 di Donald A. Norman. 3: «[...] uno dei principi più importanti del buon design: la visibilità. Le parti giuste devono essere visibili e trasmettere il messaggio giusto», da “La caffettiera del masochista”, Donald A. Norman, pag 11
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Bibliografia
Bonfantini, Massimo A. 2000 Breve Corso di Semiotica, Napoli, Esi. Munari, Bruno 2003 Fantasia, Roma, Laterza. D’Amato, Gabriella 2005 Storia del Design, Milano, Bruno Mondadori Norman, Donald A. 2006 La caffettiera del masochista, Firenze, Giunti. Bonfantini, Massimo A.; Bramanti, Jessica; Zingale, Salvatore 2007 Sussidiario di semiotica. In dieci lezioni e duecento immagini, Milano, ATì Editore, 2009. Zingale, Salvatore 2009 Gioco, dialogo, design, Milano, ATì Editore. Bianchi, Cinzia; Montanari, Feserico; Zingale, Salvatore 2009 La semiotica e il progetto 2, Milano, ATì Editore.
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D’Auria, Silvia, 767410 POLITECNICO DI MILANO FACOLTÀ DEL DESIGN CORSO DI LAUREA DESIGN DELLA COMUNICAZIONE SEMIOTICA DEL PROGETTO DI COMUNICAZIONE A.A. 2010/2011 Prova Finale: “OSSERVAZIONI SEMIOTICHE 2, uno sguardo al design”.