Il mio esordio

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Concorso letterario

Comune di Ardea Foro giovanile di Ardea


L'assessorato alla cultura e al turismo di Ardea in collaborazione con la Consulta Giovanile del Comune di Ardea bandisce la prima edizione del concorso “Il mio esordio” Racconto breve Il concorso “Il mio esordio” nasce con l’intento di sensibilizzare e creare un’opportunità di visibilità a tutti gli amanti della scrittura che non hanno ancora avuto la possibilità di pubblicare un loro testo, una loro poesia, un loro racconto, chiudendo nel cassetto idee creative e parole mai pronunciate ad alta voce. Chi non crede nelle proprie possibilità, perde in partenza, lascia pezzi di cuore in giro, chi vuole scrivere è diverso, chi ama scrivere lo si capisce dagli occhi. Si apra la sfida, dunque, a tutti coloro che sono pronti ad affrontare il rischio del voler mettersi in gioco.

Impaginazione e grafica: Silvia Matricardi

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Primo Classificato edizione 2013

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Sofia A. M. Guerrero

I

Il mare ce l’abbiamo dentro.

l mare, il mare, il mare. La scenografia delle nostre prime rappresentazioni sentimentali. Dei tiepidi baci estivi in spiaggia, degli abbracci stretti nei tardi pomeriggi invernali. Il vento che ti scompiglia i capelli al sapore di sale. La sabbia nelle scarpe, nelle borse, nelle tasche, tra le pagine di un libro, nell’obiettivo della fotocamera, nella custodia del cellulare, sotto le unghie, dietro le orecchie, sopra le ciglia. Una volta siamo andati sugli scogli a guardare il mare, e non eravamo più amanti, solo amici. Era così spontaneo baciarci, così innaturale resisterci. Ed i tuoi lunghi ricci, ed i tuoi occhi come il mare. Fissavo l’orizzonte e mi chiedevo se sarebbe mai stato possibile portarci lontano da qui. Questa scenografia, la possiamo cambiare per favore? Invece dietro al mare solo altro mare, come il sapore dei tuoi baci, come quello nei tuoi occhi. E avevo dentro te, e avevo dentro il mare. Nelle notti insonni di alta marea ricerco le tue carezze. Non le trovo più, e sono naufrago, e non trovo pace, non trovo terra. Non ho più te, ormai, dentro di me, solo il mare. Dei tuoi primi baci ricordo il tocco leggero delle tue ciocche piene di salsedine sul mio volto, una cortina dorata. Gare di apnea nei nostri baci. Io sdraiato lungo il telo e tu piegata su di me; non ti stancavi mai, non ti staccavi mai. L’intera spiaggia faceva da materasso alle nostre manifestazioni di un amore estivo destinato a diventare una dipendenza latente e occasionale, che si sarebbe protratto lungo un tempo incerto e imperfetto, come noi. Sott’acqua provammo più volte a baciarci, ancora un po’ bambini in cerca di nuove esperienze; più volte finimmo col bere acqua, e tu ridevi. Poi ridevi mentre ci baciavamo, e bevevamo acqua, e ridevamo, e ci baciavamo. Hai questo modo bellissimo di inumidirti le tue labbra sottili: quello inferiore, quello superiore, poi un delicato morso ad un solo lato di quello inferiore. Magari un sorriso finale. Lo fai davvero spesso. Quando ci conoscevamo da poco, 5


pieno di me, pensavo fosse un tuo modo per chiedermi un bacio. Invece ero io che avrei desiderato inumidire le labbra al tuo posto; ogni volta, mi dicevo “ecco, ne ho perso un altro”. Ma i baci non si perdono, sei tu a perderti nei baci, e talvolta fino a sentire le vertigini. E con te le ho sentite davvero. Una volta eravamo sulla terrazza dove si trova la statua di Nerone e guardavamo il tramonto, guardavamo il mare. Mi dicevi che se avessimo potuto calcolare l’equazione del movimento casuale dell’onda, allora saremmo potuti arrivare a capo di tutto. E ti spiegavi con un sacco di termini ed espressioni matematiche a me totalmente ignote, che sinceramente in un altro momento l’avrei anche potuta considerare una delle conversazioni più noiose da ascoltare. Ma si voleva che fossi tu a parlare, e quello che dicevi inispiegabilmente mi affascinava tanto da pensare che davanti a un tramonto come quello, ad un mare come quello, nessuno avrebbe mai potuto parlare riguardo niente di meglio. Poi, poco prima che il sole calasse, mi hai detto che se avessimo guardato fisso il sole fino a quando non fosse totalmente scomparso, avremmo potuto avere anche solo una minima possibilità di vedere, improvvisamente, per un millessimo di secondo, tutto arancione. Quindi ci fu silenzio, e osservammo attenti il sole, concentrati. Ma non successe niente. Ripensandoci, sono dell’idea che fra noi sia successa la stessa cosa. Ogni volta che sentivamo di avere bisogno dell’altro e ci incontravamo era un bellissimo tramonto. E sono stati davvero numerosi. Ma nel momento esatto in cui ci separavamo qualcosa ci sfuggiva. Qualcosa non tornava. E probabilmente ci sarebbe stato un altro tramonto, ma poi qualcosa ci sarebbe finito col mancare.

In tutto questo tempo ti ho vista cambiare davanti ai miei occhi, e sono cambiato attraverso i nostri discorsi in auto, per girare a vuoto, per ascoltarti cantare, per distendere i sedili, per appannare i vetri. Dicevi che tutto questo apparteneva all’ordine naturale delle cose, e niente ci poteva separare. Ma ammettiamo a noi stessi la verità che desideriamo ammettere, perché in realtà non c’è niente di certo. E prima o poi anche questo mare si asciugherà. Però noi il mare ce l’abbiamo dentro. Magari non arriveremo mai a capo dell’equazione delle nostre onde, forse ogni volta che ci sarà un tramonto in noi ci sfuggirà qualcosa, rischieremo d’affogare, di bere acqua, saremo stanchi di nuotare, ma niente ce ne potrà mai privare. E tu sai bene quanto sia bello il mare. 6


Ugo Bonaccorso

LUI


Secondo Classificato edizione 2013

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Ugo Bonaccorso

L’

Lui

aveva appena notato. Mentre percorreva lentamente il grande viale Nuova Florida, nel tratto in cui diventava una ripida discesa, lui era sull’altra carreggiata ed arrancava, faticosamente, sull’impegnativa salita. Era stata poco più di una occhiata distratta, poi l’attenzione si era riconcentrata sulla strada davanti a sé, l’orecchio teso alle notizie che provenivano dalla radio sintonizzata su una delle tante emittenti locali. Rallentò e si fermò davanti alla tabaccheria, scese per acquistare il solito pacchetto di multifilter blu, rientrato in auto ripartì ma, giunto alla rotonda, qualcosa lo costrinse ad invertire la marcia e tornare indietro. Risalì con calma, in seconda, guardandosi attentamente intorno alla sua ricerca; chissà se aveva continuato sulla stessa strada od aveva preso una delle traverse laterali. Improvvisamente vide le auto davanti a se rallentare, altre occhiate distratte, accelerazioni. Lui era lì, fermo sulla aiuola che faceva da spartitraffico, si guardava intorno perplesso con lo sguardo di chi chiede aiuto ed al tempo stesso fiero ed indipendente. Mise la freccia ed accostò l’auto, scese e si avvicinò a lui con l’espressione più gentile possibile: “Ehi, amico, come va?” Intimorito lui si ritrasse, fece qualche passo indietro e si guardò intorno in cerca di una via di fuga. “Ehi, ehi! Voglio solo aiutarti, amico, aspetta!” Quelle parole, dette in quel tono, ottennero il risultato sperato, lui si fermò, si girò e fissò gli occhi, indagatori, nei suoi. Chissà se si poteva fidare. “Hai bisogno di aiuto? Hai fame, hai sete?” Scrollò il capo senza emettere un suono. “Forse sei solo stanco” Aprì lo sportello dell’auto e si avvicinò per accompagnarlo, ma lui si scansò, non voleva essere toccato, però qualcosa gli diceva che poteva fidarsi. Si guardò intorno un’altra volta e poi decise di salire, si ac9


comodò sul sedile e trasse un profondo sospiro come di rassegnazione. Chiuse lo sportello con cautela, senza fare troppo rumore, si risedette alla guida e lo guardò; anche lui, inarcando un sopracciglio gli rivolse un’occhiata a metà tra il fiducioso e lo stupito; poi, dopo un altro profondo sospiro, chiuse gli occhi e si addormentò. “Beh” sorrise tra se e se “forse hai fame, forse hai sete, ma sicuramente sei stanco ed hai sonno” Rimase lì, a motore spento, a guardarlo dormire. Il suo respiro era lento e cadenzato come quello di chi è sereno ed in pace col mondo, anche se il suo atteggiamento non era certo questo. Era una bella giornata di ottobre, l’aria era tiepida come quella di fine estate, il cielo privo di nuvole trasmetteva una luce che sembrava dorare tutto quello che sfiorava. D’impulso mise in moto l’auto, lo guardò ma lui sembrò non accorgersene perché continuò con il suo placido russare. Percorse tutto il viale, svoltò in via Pratica di Mare, poi via Forlì, infine sbucò sulla via Litoranea, la attraversò e si fermò accanto al parcheggio de “La Cannuccia”, lo stabilimento era chiuso Lo aveva osservato durante tutto il tragitto, ma lui aveva continuato a dormire come un bambino cullato dal sommesso ronzio del motore; appena lo spense, però, aprì immediatamente gli occhi, si tirò su allarmato come se dovesse difendersi da qualcuno o qualcosa “Tranquillo amico, qui non corri nessun pericolo” Aprì lo sportello per aiutarlo a scendere, poi si ricordò che non voleva essere toccato; gli mantenne aperta la portiera invitandolo a scendere. Si scrutarono lungamente negli occhi, poi lui si decise e scese. Si avviò lentamente verso l’acqua, lui lo seguiva dappresso, ma sempre qualche passo indietro; si guardava intorno, osservava la spiaggia, guardava le sue impronte. Giunti nei pressi della battigia si fermò e si sedette, lui invece tirò dritto, raggiunse l’acqua e si bagnò, poi si girò per controllare se fosse sempre seduto lì. Fece ancora qualche passo nell’acqua, poi tornò sui suoi passi, gli girò intorno osservandolo, infine si decise e si sedette accanto, spalla a spalla. Intenerito da questo atteggiamento, prese coraggio, alzò un braccio e glielo passò intorno al collo. Lui, finalmente, abbaiò! 10


Camilla Restaneo

La guerra con le rose


Terzo Classificato edizione 2013

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Camilla Restaneo

I

La guerra con le rose

n un quartiere tranquillo sul litorale romano, un giorno scoppiò la guerra. Era una di quelle mattine in cui il sole è coperto dalle nuvole e la città sembra non essersi mai svegliata dal torpore notturno. Tutto era quiete. I bar erano deserti, nessun caffè mattutino, nessun odore di cornetto appena sfornato. Gli autobus erano vuoti, nessuno studente appena svegliato, nessuno zaino troppo pesante.

Due ragazzi camminavano fianco a fianco sul lungo viale. Poco dopo altri due, e ancora tre, decine e decine. Ragazzi di tutte le età passeggiavano per le vie del paese bloccando il passaggio a qualsiasi autoveicolo... Era iniziata la guerra. Non era una guerra caratterizzata da fucili e carri armati, era una guerra fatta di parole. In mano non avevano armi ma fiori e dizionari. Era una guerra nata per la pace e combattuta con la pace. Era una guerra per la libertà. Centinaia di adolescenti in lotta per il progresso; un progresso mentale, oserei definirlo.

Ad un angolo della strada un ragazzo stava tatuando una colomba sulla schiena di una neo-diciottenne. Accanto a lui l’attestato di laurea in lettere e filosofia. Si dice che i tatuatori siano teppisti e i professori brave persone, chi ha detto che non si possa essere entrambi? Nell’angolo opposto una ragazza musulmana abbracciava un ebreo. Vicino a loro un albanese tentava di insegnare la propria lingua ad un italiano. Sorridevano tutti.

Nel frattempo un corteo compatto sfilava cantando stornelli romaneschi o recitando poesie. 13


Erano tutti uniti per combattere l’ipocrisia e il regresso della società degli anni Zero, loro che durante quegli anni stavano crescendo. Loro che tra nuove riforme, scandali al parlamento e programmi spazzatura stavano cercando una collocazione, uno spazio.

C’era chi predicava amore e chi faceva l’amore. C’erano coppie eterosessuali e omosessuali. C’erano i drogati che, invece di essere aiutati, troppo spesso vengono denigrati o allontanati. C’erano liceali e lavoratori. Semplicemente c’erano ragazzi in cerca di libertà. La notizia di questa guerra pacifica raggiunse presto i mass media che al loro arrivo furono accolti da un diciassettenne che senza troppo indugio, senza attendere alcuna domanda posò il fiore che teneva in mano per far leggere meglio ciò che era scritto sul suo cartellone:

‘Combattiamo per il mondo e per i suoi problemi, per questo Paese in crisi; cerchiamo di crescere inseguendo la libertà perché siamo stufi di rimanere qui a subire le ingiustizie di chi ha più potere di noi, a stare zitti per la nostra incolumità. Noi predichiamo Rivoluzione. Siamo adolescenti con i nostri sbagli e le nostre insicurezze, ragazzi alla rincorsa di quella maggiore età che forse è solo un numero, innamorati della vita, degli amici e dell’amore.’ In quella frase era racchiuso tutto il loro mondo. In quella frase c’erano loro. Quella guerra non ebbe mai fine perché le armi si uccidono con le armi ma gli ideali e le speranze si diffondono nel vento.

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