SILVIA MATRICARDI
Amnesia la saga di ardit vol. 1
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Con ordine, affronta il disordine con calma, l’irruenza. Sun Tzu
Amnesia
Silvia Matricardi ISBN: 978-88-91155-54-2 Youcanprint 2014
Illustrazione di copertina: opera grafica dell’autrice
----Introduzione e ringraziamenti -----
A
La salsa più saporita è l’appetito. Paolo Mantegazza
mnesia è un racconto che si innesta subito dopo le principali vicende narrate nel romanzo Ardit, rivelando qualcosa del misterioso passato della protagonista principale di ELE: Evento Livello Estinzione, l’avvincente sequel che potrete leggere a partire da Natale 2014. Conosciamo in anteprima questo intrigante personaggio e ritroviamo, al tempo stesso, una vecchia conoscenza: uno dei dodici eroi della spedizione che salvò l’intero genere umano; Chiaro, lo Spettro, il guerriero albino. Assistiamo all’incontro casuale ed all’intreccio delle esistenze di queste due anime tormentate, unite da fin troppe coincidenze. Una fase cruciale nella vita di entrambi e determinante per la sopravvivenza di milioni di persone. E’ proprio questa breve storia, infatti, il fulcro che consente agli eventi di disporsi in modo da innescare quanto verrà raccontato in ELE. Amnesia è una storia di confine: fra amore ed amicizia, fra sacrificio e passione, fra destino e libero arbitrio.
Nell’augurarvi buona lettura, ringrazio di cuore i miei primissimi lettori, revisori ed indispensabili critici. L’elenco include l’insostituibile Flavio (Tito) Pettiti, la new entry Paola Santese, entrambi implacabili e preziosi cecchini scova-errori, oltre alla favolosa Sara Pugi. Ne approfitto per ringraziare, con un fiume di gratitudine e buona energia, i lettori di “Ardit” e de “Il Drago e L’Unicorno”, per la piacevolissima pioggia di commenti lusinghieri con la quale hanno bonariamente accolto il mio esordio da scrittore. Silvia Matricardi - 5 -
Amnesia narra quello che accade dopo Ardit...
Prefazione del dott. Francesco Di Mario direttore degli scavi archeologici di Castrum Inui Postfazione dello scrittore Rodolfo Baldassarri
... e prima di ELE...
Prefazione dello scrittore Rodolfo Baldassarri Postfazione dello scrittore Fabio Monteduro
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SILVIA MATRICARDI
Amnesia La memoria è tesoro e custode di tutte le cose. Cicerone - 7 -
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La cattiva sorte ci mostra chi non sono i veri amici. Aristotele
Il
segnale di allarme rimbombò con la potenza di un martello pneumatico e le scosse ogni singolo collegamento sinaptico. La ragazza con gli occhi viola ammutolì la sveglia ringhiando e, con uno sforzo ai limiti del sovrumano, represse l’impulso di farla in mille pezzi. Muovendosi molto lentamente riuscì ad abbandonare il letto e si guardò intorno: «Dove diavolo sono?» La voce sconosciuta riecheggiò nella stanza vuota. Resistette all’istantanea pulsione di terrore realizzando che non poteva che trattarsi della sua stessa voce: non c’era nessuno. «Devo aver bevuto troppo. Cazzo!» Esaminò l’ambiente, sforzandosi di mettere a fuoco: un letto, due comodini, uno scrittoio con uno zaino nero adagiato sopra ed una miriade di foglietti gialli a circondarlo caoticamente. Due sedie con abiti femminili poggiati sugli schienali, una lampada da terra, la porta di accesso e quella del bagno. Pesanti tendaggi abbinati alla tinta del copriletto erano tirati ad impedire l’ingresso della luce esterna da una probabile porta-finestra. Tutto era pulito e privo di personalità. «Ok, sono in un albergo o qualcosa del genere... e sono sola...» Raggiunse lo scrittoio trascinando i piedi, come se li stesse muovendo in una vasca piena di cemento a presa rapida, mentre la testa pulsava furiosamente, neanche indossasse un elmetto di rovi. La penna era poggiata sul blocco da cui erano stati staccati i foglietti gialli. C’era una scritta in stampatello, la stessa frase ripetuta sei volte: COPIA COPIA COPIA COPIA COPIA COPIA
QUESTA QUESTA QUESTA QUESTA QUESTA QUESTA - 9 -
SCRITTA SCRITTA SCRITTA SCRITTA SCRITTA SCRITTA
La ragazza aggrottò la fronte, ma obbedì all’ordine. «E’ la mia scrittura - constatò esaminando la grafia di quanto aveva appena vergato e confrontandola con quella delle righe soprastanti - ma che cazzo?!» Lo sguardo si soffermò sugli altri foglietti, le fitte di dolore alla testa si acuirono, come se l’avessero usata al posto di un gong per tutta la notte. Provò a comprimersi le tempie e si sforzò di leggere quelle che, evidentemente, erano delle istruzioni da lei stessa predisposte per quella occasione.
Ti chiami Shara e soffri di amnesia progressiva. Sei all’Hotel Danae, sul lungomare di Ardea. Sei arrivata una settimana fa. L’affitto è pagato per un anno. Siamo nel 2040, è agosto. Shara... il nome non le diceva niente. Provò a sforzarsi per esaminare i suoi ricordi, ma non vi trovò nulla. Fu come rimestare in un secchio vuoto. «Questa è una brutta storia» dichiarò sospirando. Quindi esaminò il foglietto successivo.
L’uomo della stanza di fianco è a posto. Controllato. Non vi siete mai parlati. Tipo solitario. Nasconde una daga sotto il materasso. Potrebbe essere lui l’aiuto di cui parlava Calasir? Ha gli occhi viola come i tuoi. Ti guarda. P.S.: Non strapazzarlo. Non aveva la più pallida idea di chi fosse Calasir, ma sapeva cos’era una daga. Quello di non “strapazzare” un uomo armato le sembrò un buon consiglio. Fece una smorfia perplessa e proseguì con le altre indicazioni.
La stanza di fronte è vuota. Questa camera è vicina alla scala antincendio, ovviamente. Non uscire fino a che la memoria non torna. Se non succede entro il primo pomeriggio, devi seguire scrupolosamente - 10 -
le istruzioni contenute nelle ultime pagine del diario. Non rimetterti a dormire. Il sonno catalizza gli attacchi di amnesia. Soldi, carte di credito, diario, documenti, pistola e proiettili sono nello zaino. Il mal di testa è normale. In bagno c’è dell’olio di mirra, spalmalo sulle tempie, dopo una doccia calda. Starai meglio. Resisti. La ragazza si trascinò in bagno e trovò in bella vista un flaconcino di olio, un accendino ed un bruciatore di essenze, con alcuni granuli profumati disposti sopra la pastiglia di carbone a rapida accensione. Con gesti automatici avviò la combustione della spezia. Si guardò allo specchio, che le restituì il riflesso di una ragazzina minuta ed esile, con scompigliati capelli corvini che sfuggivano da una treccia interminabile. Due occhi giganti di taglio orientale, e di uno strano colore viola, la scrutavano con espressione disorientata e cupa. Una bocca un po’ troppo grande e carnosa, per lineamenti così delicati, era piegata in una smorfia di dolore. «Facciamo questa doccia ed aspettiamo - disse all’immagine riflessa nello specchio - sperando che quell’intruglio funzioni.» ~•~
Quasi le undici. L’uomo coi capelli bianchi poggiò i due caffè freddi in terra, si accomodò sulla sedia di plastica in dotazione nel balcone della sua stanza ed accese una sigaretta. Stese pigramente le lunghe gambe e si concesse uno sguardo distratto verso il mare. Era l’unica vera attrattiva di quel piccolo albergo: la vista dai balconi del settore ovest. Ma a lui quella mattina non interessava ammirare il panorama. Una leggera brezza gli carezzò la pelle nuda del torace candido, portando un po’ di sollievo in quella giornata torrida. Abbassò gli occhi verso le sue orrende cicatrici e cominciò a dubitare della decisione di esporle tanto aperta- 11 -
mente, evitando di indossare la maglietta. “Probabilmente scapperà via urlando - pensò accigliandosi - ma sarebbe del tutto inutile tentare di nasconderle ciò che sono. Ciò che sono... curiosa scelta di parole, visto che in realtà non lo so.” Si riscosse da quel pensiero. Forse ignorava chi era stato nella prima parte della sua vita, ma non cos’era diventato... e come. “Sono un guerriero del Leone, lo Spettro, uno dei dodici che hanno salvato questo mondo, a rischio della loro stessa vita, un combattente dello scontro finale di Ardit. E questi segni sul mio corpo lo dimostrano. Chiunque sia stato prima, questo è ciò che sono diventato.” Era anche colui che aveva abbandonato i suoi amici per inseguire il sogno di una vita da comune mortale, convinto di esserlo, certo di non appartenere per nascita agli dei, sicuro di essere solo un uomo, magari un po’ più forte, di salute fisica eccezionale, ma non un dio immortale. Poi, però, ogni sua certezza si era sgretolata, ogni obiettivo raggiunto era stato perduto. L’amore era stato distrutto dalla scoperta della sua inaspettata longevità, insieme alla convinzione di essere un semplice uomo. Gli era stata data la facoltà di scegliere, lui aveva optato per una vita ordinaria ed invece nulla era comune nella sua persona. Ma chi era lui? Il guerriero era diventato un cercatore di risposte. Una ricerca vana. Forse non aveva mai saputo porre le domande giuste. “E così eccomi qui, di nuovo. Tornato indietro sui miei passi, a mani vuote, solo per scoprire che Ardit non esiste più”. Poteva rimproverare solo se stesso per la sua solitudine. I suoi amici lo credevano morto da quarantamila anni. Non lo avrebbero mai abbandonato, era stato lui a volersi separare da loro e successivamente a non trovare il coraggio di tornare... “Già... sono anche questo. Un eroe di Ardit, col nome scolpito sulle sue bianche mura, che ha lasciato tutti e tutto per inseguire un sogno. Ed un codardo, che ha impiegato quarantamila anni a capire di aver commesso un errore.” Ed ora che lo aveva finalmente compreso, era troppo tardi. I Danui erano scomparsi, lasciando dietro di loro solo un alone di mito. “Dove siete finiti?” Allontanò con decisione quei pensieri cupi e riportò l’attenzione sul presente. Era lì, su quel balcone, per provare a vivere il momento, per uscire - 12 -
dalle pastoie di un passato forse ormai irraggiungibile ed imparare di nuovo ad assaporare la vita. Dubitava di esserne ancora capace, ma esisteva un solo modo per scoprirlo: provare.
Scrutò con una certa impazienza il minuscolo muretto che lo separava dal balcone della stanza adiacente. L’attesa fu breve. La sua splendida vicina di camera uscì alcuni istanti dopo, lo sguardo perso verso il mare, l’espressione imbronciata. Mezza nuda, immancabilmente sola e magnifica, come ogni mattina. C’era qualcosa in lei che catturava l’attenzione, un elemento sfuggente che la circondava di un’aura di fascino esotico, un alone di pura energia femminile. Era impossibile non notarla. Non poteva essere definita la ragazza più bella del mondo, certamente ne aveva incontrate di più avvenenti, soprattutto tra le Danui, eppure... per qualche oscuro motivo il suo viso ed il suo corpo restavano incisi profondamente nell’anima, come tracciati da una fiamma ossidrica direttamente sul cuore. Somigliava in modo impressionante ad una sua vecchia conoscenza, la moglie di Ramon... ma a differenza di Ziga, aveva uno sguardo d’ametista che tradiva la stoffa di un guerriero. Erano state la bellezza e la somiglianza con l’esile capo dei guaritori di Ardit a colpirlo, la prima volta che l’aveva vista affacciarsi a quel balcone, sette giorni prima. Per un momento aveva sperato di essersi imbattuto proprio nella figlia dei suoi amici di un tempo. Il suo cuore di era riempito di gioia al pensiero di aver trovato una loro traccia. Finalmente. Poi aveva notato gli occhi, così esotici, unici e... di un raro color viola. Assolutamente identici ai suoi. Una coincidenza inverosimile che lo aveva attirato come una falena verso la luce, facendogli dimenticare all’istante la sua ricerca degli abitanti di Ardit. Poteva aspettare. Il presente lo reclamava con forza. Se aveva appreso qualcosa nella sua vita da monaco era che le coincidenze non esistono, sono sempre sincronicità e vanno colte. Sono doni da accettare con gratitudine, fari che illuminano la via. Per questo era determinato a conoscere la bellissima e misteriosa vicina di camera. Non era una ragazza ordinaria. Nascondeva qualcosa. Non lasciava mai la sua stanza fino al pomeriggio inoltrato. Aveva pochissimi abiti, semplici e funzionali. Limitava le uscite all’essenziale. Poi si rintanava dietro - 13 -
quelle quattro mura, dalle quali non si allontanava mai per più di un paio di ore. Nessuna visita. Niente amici. Sembrava vivere in attesa di qualcosa ancora lontano nel futuro, come un guerriero che giunge con grande anticipo sul luogo dove passerà il suo nemico, e si apposta, pronto ad aspettare tutto il tempo necessario. Tuttavia non sorvegliava nessuno. Bella, introversa ed enigmatica. Non avrebbe potuto incuriosirlo ed intrigarlo di più.
La ragazza era ancora con le mani poggiate sul parapetto e scrutava il mare, immobile. Era a piedi nudi ed i lunghi capelli d’ossidiana, luccicanti d’acqua, le ricadevano fino alla fine della schiena. Indossava una canottiera corta ed un paio di pantaloncini attillati come un guanto e quasi invisibili. Un look che non lasciava nulla all’immaginazione. Aveva un corpo slanciato, aggraziato e sensuale. Molto sensuale. “O la va o la spacca - pensò, facendosi coraggio - non essere codardo, Spettro, hai affrontato di peggio. Cosa può farti una bella ragazza, oltre che mandarti sonoramente a quel paese?” Un’eventualità a cui era preparato, dopo averla sentita respingere, e neanche tanto gentilmente, le delicate àvances dell’albergatore.
«Buongiorno, vicina di stanza.» La salutò, annunciando la propria presenza con un discreto colpo di tosse. La ragazza sembrò allarmata e si voltò verso di lui con uno scatto fulmineo, degno di un guerriero. Ci fu un lampo di panico nei suoi occhi, sostituito velocemente da un’espressione confusa. «Mi chiamo Chiaro e vorrei offrirti un caffè freddo, se me lo permetti. Ho qui due tazze - aggiunse alzando le spalle mentre sorrideva con aria di scusa - sono ottimista per natura.» Lei si rilassò e mosse qualche passo verso il muretto che li separava, senza mostrare alcun imbarazzo per il proprio abbigliamento succinto. “Gli dei benedicano la disinvoltura di quest’era” pensò ammirandola mentre lei gli si avvicinava lentamente. «Non ti... strapazzerò, visto che hai appena pronunciato l’unica parola magica in grado di suscitare il mio interesse... uomo della stanza accanto.» Piegò le labbra in un sorriso incuriosito e poggiò i gomiti sulla lastra di marmo che rifiniva la parte alta del separé. - 14 -
«Ottimista?» scherzò, mentre si affrettava ad alzarsi ed a prendere le due tazze. «No... caffè - lo corresse ridendo, allungando entrambe le mani in direzione della bevanda - e rischi un’aggressione se non ti sbrighi ad elargire quanto hai appena offerto.» Bevve con espressione talmente estasiata che Chiaro si ripromise di riempire il frigobar della sua stanza solo di quella bevanda. Poi lo scrutò dalla testa ai piedi, concentrata. Lui si augurò che il proprio aspetto fosse di suo gradimento, mentre sosteneva con apparente tranquillità quell’attento esame. Per gli dei, vista da vicino sembrava un’adolescente e per un momento fu colto dall’angoscia al pensiero che lo fosse davvero. Poi scacciò via l’idea. Nessuna ragazzina poteva avere quell’incedere regale, quell’aria di densa sensualità, quell’atteggiamento carico di sicurezza mentre indugiava con lo sguardo sui dettagli del corpo di un uomo a torso nudo. Era una Donna, con la D maiuscola, non c’erano dubbi. Era passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta che aveva tentato un approccio con il gentil sesso e si sentiva impacciato ed insicuro come un ragazzino al primo appuntamento. Sorrise all’idea e scrollò impercettibilmente la testa. I suoi vecchi amici lo avrebbero deriso per secoli, se avessero ascoltato i suoi pensieri in quel momento. “Sono solo un po’ arrugginito, cazzo - si giustificò come se parlasse mentalmente con loro - sono stato un monaco per secoli, ho dimenticato come si fa.” Cercò di vedersi attraverso gli occhi di quella affascinante creatura. Era un gigante con un fisico quasi scheletrico, era più bianco di un fantasma e coperto da cicatrici terribili. Era già un buon segno che non si fosse messa a gridare. Ed una conferma che non poteva essere un’adolescente. Una ragazzina si sarebbe di certo spaventata. «Non sono del tutto albino - le spiegò per interrompere quel silenzio prima che diventasse imbarazzante - come puoi constatare dai miei occhi, ma spero di non risultare troppo... sbiadito per i tuoi gusti, al punto da non considerarmi neanche degno di sapere il tuo nome.» «E per quale motivo ti interessa conoscerlo, raggio di Luna?» «Così saprò come chiamarti quando ti sognerò, bella fanciulla.» «Shara, a quanto pare - fu la strana risposta che gli fornì, continuando a studiarlo ma abbozzando un sorriso divertito - e... no... non ho problemi - 15 -
specifici con le carnagioni chiare.» «Ho molto altro caffè freddo nel frigo - annunciò lusingato e sollevato dal suo tono scherzoso - posso offrirtene ancora?» «Porta la pozione, mago.» Sentendosi emozionato e trepidante come un ragazzetto di primo pelo, Chiaro si affrettò a rientrare nella sua stanza per riempire le tazze vuote. Quando tornò in balcone la trovò seduta sul muretto, le gambe a ciondoloni verso la sua parte. Buon segno. «Eccoti servita, Shara.» «Grazie... Chiaro... tua madre non aveva una gran fantasia, vero?» «Onestamente non lo so - le rispose scoppiando a ridere - non è stata lei a chiamarmi così e non so chi sia.» «Mi dispiace, scusami» si era rabbuiata e sembrava mortificata. «E’ una questione che risale a migliaia di anni fa - la rassicurò perplesso, facendosi più vicino - quelli con scarsa fantasia, come dici tu, erano gli uomini che mi soccorsero, mi presero con loro, diedero un senso alla mia vita e poi diventarono i miei migliori amici.» «E’ orribile non conoscere il proprio passato - commentò cupamente la ragazza - non è argomento su cui sia opportuno fare dell’ironia, neanche inavvertitamente. Perdonami.» «Non hai motivo di scusarti, mi hanno salvato la vita e davvero la fantasia non era tra le loro virtù. E’ tutto a posto. Non sono così suscettibile, al contrario - cercò di essere spiritoso, per confortarla - come ex monaco tibetano sono piuttosto imperturbabile.» Avrebbe voluto carezzarle la guancia, per scacciare via quelle ombre di tristezza, ma non osò. “Stai calmo e non correre.” Shara alzò gli occhi e gli sorrise, con aria sollevata ed incredula al tempo stesso: «Tu saresti un monaco?» In quello stesso istante fu investito da un aroma indefinibile, qualcosa che gli sovraccaricò i sensi ed ebbe un immediato quanto inequivocabile effetto sul suo corpo. Maledisse la scelta di indossare dei pantaloni leggeri, anziché dei robusti jeans, mentre pregava gli dei che lei non abbassasse lo sguardo. Non voleva fare la figura del maniaco sessuale, quello era un semplice primo approccio, diamine. Cercò anche di controllarsi per non arrossire, evento che sulla sua pelle bianca finiva per evidenziarlo come una lampadina al neon nella notte. - 16 -
«Ex monaco.» Riuscì a farfugliare sempre più imbarazzato. Stava per fare un passo indietro, valutando l’idea di sedersi per riuscire ad occultare in qualche modo la sua inopportuna reazione fisica, quando lei gli posò la sua piccola mano sul torace. Non per allontanarlo, ma per carezzargli una cicatrice. Gli sembrò di avere la gola rivestita di sabbia, quando provò a deglutire, perché lei abbassò gli occhi e poi li rialzò con l’aria di aver apprezzato quanto lui si sforzava disperatamente di dissimulare. Con sua grande sorpresa gli fece scivolare lentamente la mano dietro al collo e lo attirò a sé. L’odore divenne ancora più forte. Si sentì incendiare il sangue nelle vene ed accolse quell’invito irresistibile, perché sarebbe stato impossibile non farlo. Il bacio lo sovraccaricò come mai gli era successo in precedenza, neanche quando aveva conosciuto la donna che era poi diventata sua moglie. A stento riuscì ad impedirsi di strapparle i vestiti e darle l’assalto come gli eserciti del Maier.sil quando assediarono Ardit nel Giorno del Giudizio. “Per gli dei! Che mi prende?” Ogni fibra del suo essere gli urlava di fare immediatamente l’amore con lei, senza ulteriori indugi, su quel balcone. «Qualche condizione, ex monaco - gli disse interrompendo il bacio ed allacciandogli le gambe intorno ai fianchi - non aspettarti niente. Nessun legame. Nessun futuro. Nessun diritto e nessun dovere. Potrei scomparire per sempre fra qualche ora e molto probabilmente non mi ricorderò neanche chi sei, domani mattina. O ti sta bene così, o me ne torno di là all’istante.» «Potrò almeno salutarti ed offrirti il caffè, quando e se ci incontreremo di nuovo in balcone?» la sua voce era irriconoscibile, roca e tremante. «Naturalmente sì. Ma non necessariamente con gli stessi sviluppi. Niente aspettative.» Lo stava scrutando con un’espressione molto seria. Sentì la stretta delle gambe di lei allentarsi. La piccola strega era davvero pronta a lasciarlo a bocca asciutta. «Condizioni accettate» si affrettò a capitolare. Per gli dei, si sarebbe amputato un braccio senza esitazioni se questo gli avesse consentito di convincerla a spegnere insieme quel fuoco incontenibile che lo stava divorando. Cercò le sue labbra e spinse il bacino contro di lei, che reagì con un gemito di apprezzamento. - 17 -
Non ebbe bisogno di altri incoraggiamenti, neanche Aron o lo stesso Ptharis, con tutti i loro misteriosi poteri divini, sarebbero riusciti a farlo fermare. Strinse le braccia intorno al suo corpo esile e la sollevò di peso, senza smettere di baciarla; la condusse nella sua stanza e la depose sul letto piuttosto rudemente. Forse troppo. Ebbe un momento di incertezza che si dileguò quando lei gli afferrò la cintura dei pantaloni e lo strattonò verso di sé con la stessa delicatezza di un orso. ~•~
“Torna, maledetta memoria. Torna.” Se lo stava ripetendo mentalmente da quando aveva letto il dannato foglietto giallo, ogni volta con più preoccupazione. Raggio di Luna le aveva offerto un eccitante quanto piacevole diversivo, ma anche quello era finito. Era ancora accaldata per la lunga sessione di sesso scatenato che si era appena conclusa. Sorrise languidamente, stiracchiandosi con voluttà e scostò da un lato la lunghissima chioma, togliendola dal corpo di lui. In effetti quell’uomo a letto ci sapeva proprio fare. Per ore era riuscito a trascinarla prepotentemente nel mondo dei sensi, a farle pensare solo al suo corpo, ai loro corpi. Si voltò ed incontrò il suo sguardo vellutato. Vi lesse ammirazione ed un pizzico di incertezza. Lo scrutò ancora una volta. Era sollevato su un gomito, i capelli erano arruffati come arbusti in un nido di cicogne, qualche ciocca gli ricadeva davanti agli occhi. Era stata lei a scompigliarlo, incantata dall’incredibile morbidezza di quella chioma di latte. Allungò la mano e lo spettinò ancora, avevano la consistenza dell’ovatta. Lui sorrise e le baciò il polso. Era molto bello. I lineamenti del viso erano delicati, eleganti e regolari, gli occhi esotici. Un po’ troppo magro, ma con la muscolatura ben definita ed il fisico armonioso e proporzionato. Un corpo segnato da una quantità impressionante di cicatrici, quasi tutte lasciate da armi bianche. “Nasconde una daga sotto il materasso” diceva il foglietto. Evidentemente era entrata di soppiatto nella sua stanza e l’aveva perquisita. Aveva notato la lama ma la sua presenza non l’aveva allarmata... “è a posto” aveva annotato. Che razza di donna non si spaventa se lo scono- 18 -
sciuto vicino a lei nasconde una spada romana sotto il materasso? E che ci fa un ex monaco con un’arma non più in uso da duemila anni, così, sempre a portata di mano? Ovviamente si tiene pronto a difendersi da eventuali aggressori, oppure... no... non le sembrava un serial killer. Qualcosa in lui ispirava fiducia ed era stato troppo attento alle sue esigenze, mentre facevano l’amore, per essere uno che ammazza la gente per il solo piacere di farlo. Era un uomo sopravvissuto ad esperienze terrificanti, scontri con pugnali, spade ed altre armi da taglio che lo avevano quasi ucciso. Era sicuramente una persona in grado di fronteggiare qualsiasi cosa e questo lo rendeva meritevole di rispetto. Quella considerazione la portò a formulare un’interessante deduzione su se stessa: “Evidentemente sono una paranoica che non si fa scrupoli a perquisire le stanze altrui, ma neanche si spaventa facilmente e rispetta il coraggio e la forza. Di cosa ho paura, allora? Sono armata, controllo tutto e mi pongo vicino ad una via di fuga... da cosa scappo? Devo leggere quel diario...” I suoi occhi furono nuovamente attratti dai segni sul corpo di Chiaro. La cicatrice più grande era sull’addome, a giudicare dalle dimensioni e dalla forma, qualcuno gli aveva infilato una grossa spada nella pancia e la lama era fuoriuscita dalla schiena. Una ferita che doveva averlo portato sulla soglia dell’oltretomba. Anche quella sul torace, in effetti, doveva aver mancato il cuore per un soffio. «Ho avuto una vita molto intensa» disse lui in tono di scusa, rispondendo alla domanda sottintesa nel suo sguardo. «Intensa un corno - gli rispose scherzosamente, carezzando la cicatrice che dallo sterno curvava verso l’ascella sinistra - questa ti ha perforato un polmone... e ne ho contate una mezza dozzina altrettanto letali. E’ straordinario che tu sia sopravvissuto e quasi incredibile che sia in grado di muoverti. La pugnalata sulla spina dorsale... quella avrebbe dovuto paralizzarti per sempre...» Il contrasto fra la violenza comprovata da quei segni e la serica delicatezza della sua pelle di Luna era affascinante, quasi ipnotico. «Ci sono andato vicino - ammise alzandosi lentamente e dirigendosi verso lo scrittoio - ma evidentemente sono meno gracile di quanto possa - 19 -
sembrare.» Aprì il frigobar posto al di sotto del tavolino e si voltò con aria interrogativa. «Altro caffè, se ne hai, grazie - il lampo malizioso che attraversò gli occhi di lui la fece sorridere divertita - solo quello per ora, culo pallido» aggiunse facendolo scoppiare a ridere. Shara si alzò svogliatamente, memore dell’indicazione perentoria contenuta nel biglietto. Non voleva correre il rischio di appisolarsi, così recuperò pantaloncini e canottiera e li indossò. Chiaro la raggiunse e le porse la tazza. Era rimasto nudo ed era più che evidente quanto fosse tentato dall’idea di ricominciare da capo. «Sicura? - domandò avvicinandosi ancora - sarei felice di intrattenerti un altro po’...» «Per ora basta così, Casanova - replicò lei ridacchiando, quindi cambiò argomento - hai il sopracciglio sinistro immobile, ma non vedo segni. Come ti sei compromesso il nervo facciale?» «Un colpo di elsa sulla tempia, se non ricordo male - con un esagerato sospiro di rassegnazione Chiaro posò la tazza ormai vuota ed indossò i pantaloni - ma non ne sono sicuro. E’ successo migliaia di anni fa. Ne devo dedurre che sei un medico?» «Sì - ammise Shara illuminandosi con un sorriso radioso - sì, è proprio così! Io sono... un medico. Un neurochirurgo, in effetti. Anche se non esercito la somma arte da molto tempo.» «Consolante - affermò lui con evidente sollievo - mi hai appena fornito la certezza che non sei minorenne.» A quelle parole la ragazza scoppiò a ridere con talmente tanto vigore che crollò a sedere sul letto. L’albino la osservò perplesso: «Sembri davvero giovanissima - si giustificò aggrottando la fronte - e l’idea di aver sedotto un’adolescente mi terrorizzava. Non mi sono mai approfittato della virtù delle bambine, per quanto splendide e sensuali.» Aggiunse le ultime parole con un sorriso lento e carico di ammirazione. «Primo: ti ho sedotto io, tu ti sei limitato a lanciare l’amo ed a non opporre resistenza - obiettò lei ancora scossa dalle risate - secondo: le apparenze ingannano. Nel mio caso... neanche immagini quanto. Terzo: semmai sono io che mi sono approfittata di te, raggio di Luna.» Chiaro le scoccò uno sguardo intenso e non commentò la sua allusione al fatto che potesse essere molto più anziana di quanto il suo aspetto la- 20 -
sciasse intendere, si limitò ad annuire replicando: «Ero molto consenziente e sono maggiorenne da un bel po’, te lo assicuro.» Lo scrutò pensierosa. Aveva parlato di un colpo di elsa... nessuno combatteva più con le spade da almeno un secolo. Inoltre, in più di un’occasione aveva detto “migliaia di anni fa”... forse non era una semplice frase fatta. Se non si fosse sentita così euforica per l’improvviso ritorno della memoria, Shara avrebbe indagato sul bel raggio di Luna. Osservò meglio i suoi occhi ed i suoi lineamenti. Gli sembrarono familiari. “DNA in parte Nibiriano - valutò mentalmente - e con quelle ferite, è stato sicuramente un guerriero. Strana coincidenza...” «E quello, invece?» Domandò indicando l’inconsueto tatuaggio che gli ornava l’avambraccio, raffigurante la testa di leone ruggente che fuoriusciva da una V rovesciata. «Sono stato un... soldato - le rispose guardando il disegno con evidente malinconia - questo indicava il mio... reparto speciale.» Shara lo studiò ancora. Un soldato... con un passato di estrema violenza... Poteva essere pericoloso per lei? Poteva essere una spia di uno dei due clan? L’avevano forse trovata? Che la stessero ancora cercando? No. La daga non era di fattura Nibiriana. Neanche la sensibilità ai desideri del prossimo era compatibile con quel mondo. E poi... quei tempi erano lontani e non sarebbero tornati ancora per un bel po’. Se Calasir non si era sbagliata... la fase della sua vita in cui doveva preoccuparsi di questo problema era definitivamente tramontata. Come evocata da quel pensiero, l’immagine dell’amica le si formò davanti agli occhi e, con essa, sopraggiunse l’immancabile groppo alla gola. Si sentì impallidire ed il cuore le si gelò nel petto. Fu di nuovo nelle Grotte di Jeita, quando ancora non si chiamavano in quel modo. Il paradiso segreto dove era andata a morire, stanca di una vita in fuga, consumata dall’assenza di speranza, dilaniata dalla solitudine. Si infilò nel budello di roccia che i locali le avevano indicato come accesso alle grotte della dea e del guardiano del tempo. Camminò, gattonò, strisciò fino a raggiungere l’immenso antro ed i suoi occhi si riempirono di quella meravigliosa bellezza, fatta di acqua, roccia e sculture create dal loro incontro. Le sue parole le riecheggiarono nella mente, così come erano rimbalzate tra le pareti dell’antro: «Questo è un posto - 21 -
magnifico per morire in pace!» Si liberò dei vestiti e della sacca che conteneva tutti i suoi averi, oltre che i suoi preziosi, quanto inutili, strumenti di ricerca. Completamente nuda entrò nell’acqua immobile e cristallina. «E’ anche un posto meraviglioso per vivere e guarire.» Udì di nuovo la voce femminile, provenire dalle sue spalle. Si voltò e la vide: una donna bellissima, con i capelli rossi, che sarebbe diventata la sua più grande amica. Colei che le avrebbe salvato la vita. Una scena inizialmente identica si compose lentamente davanti ai suoi occhi, sovrapponendosi alla precedente, come accadeva inesorabilmente ogni volta che ripensava a Calasir. Percorse di nuovo il passaggio segreto fino a raggiungere la caverna. Era passato molto tempo da quella prima volta in cui voleva soltanto morire. Adesso era allegra e piena di voglia di vivere, ed aveva di nuovo il bene più prezioso: la speranza. L’amica le aveva donato un obiettivo per cui valesse la pena di andare avanti. «Calasir dove sei? Lo so che mi avevi detto di andare, ma per gli dei, non c’è nessuna fretta! Manca ancora tanto di quel...» le parole gli morirono sulle labbra. In quel meraviglioso mondo sotterraneo, la donna più straordinaria che fosse mai vissuta, quella che aveva amato come una sorella, galleggiava esanime sulla superficie dell’acqua. I capelli di fuoco aperti intorno a lei, come la corolla di un fiore funereo. Il corpo nudo, circondato da un alone vermiglio che cangiava al rosato. Gli occhi di smeraldo vitrei, fissati in eterno sulle stalattiti scintillanti che pendevano dalla sommità della grotta. Era stata stuprata e pugnalata ripetutamente. Ferite che l’avrebbero fatta morire lentamente, se non fosse annegata, nell’acqua e nel suo stesso sangue. Galleggiava nel suo stesso sangue... Così era finita la sua drammatica esistenza, esattamente come e quando aveva previsto che sarebbe accaduto. «E’ tempo che tu vada - le aveva detto quella maledetta mattina, l’ultima volta che l’aveva vista viva - partirai oggi stesso, al tramonto. Guarda i segni nel cielo e trovati dove devi essere, quando verrà il momento. Non importa come, ma non devi mancare a quell’appuntamento. La tua vita e milioni di altre dipendono da questo. Il destino porrà sulla tua strada un aiuto, avrà gli occhi viola come i tuoi. Accettalo come un - 22 -
dono. Non potresti farcela senza di lui.» L’aveva congedata perché sapeva che sarebbe morta il giorno stesso. Le visioni di Calasir avevano una precisione sconcertante. Tornando inaspettatamente sui suoi passi l’aveva vista morta e quel ricordo la tormentava e dilaniava da secoli.
«Hai da fare nel pomeriggio?» La voce di Chiaro dissolse quelle immagini dolorose con la potenza con cui l’alba scaccia le tenebre della notte, e la riportò al presente. Ingoiò il groppo alla gola e gli sorrise con immensa gratitudine. «Restare sveglia, restare viva, restare in zona - gli rispose, consapevole di quanto suonassero evasive le sue parole, pur contenendo per intero quella che sarebbe stata la sua vita per i successivi seicento anni - e tu?» «Io... sto cercando dei vecchi amici di cui non ho più notizie - dichiarò dopo averci pensato per un momento - e la parte di me stesso di cui non ne ho mai avute.» «E supponi di poterli trovare ad Ardea?» «Per quanto riguarda i vecchi amici... gli unici indizi che ho puntano proprio da queste parti. Per quanto riguarda il trovare me stesso... comincio a pensare che sia tempo perso. Posso sperare di essere autorizzato ad offrirti di trascorrere il pomeriggio insieme?» «Sei bello, non rompi le scatole, mi distrai magnificamente da cupi pensieri, ci sai fare a letto e ti sottometti ai miei desideri - riassunse Shara inarcando le sopracciglia - certo che passeremo il pomeriggio insieme... raggio di Luna.» ~•~
L’urlo ruppe improvvisamente il silenzio notturno come un fulmine a ciel sereno. Shara stava gridando a squarciagola. In una frazione di secondo Chiaro fu davanti alla porta-finestra di lei, la daga in pugno. L’imposta era aperta, la tenda, invece, era chiusa. Meglio così, gli aggressori sarebbero morti senza neanche vederlo arrivare. Addestrato a muoversi nel più assoluto silenzio, il guerriero scivolò all’interno della stanza come un’ombra nella notte. Due respiri: il suo e quello di lei. Solo il battito di due cuori. Aggrottò la fronte, perplesso, in quella stanza non - 23 -
c’erano intrusi. Fece un passo indietro e nascose la lama dietro la tenda. Se si fosse svegliata e l’avesse visto armato, nella sua camera ed in piena notte, sarebbe stato difficile convincerla di non essere un assassino di fanciulle. Attento a non fare alcun rumore si avvicinò al suo capezzale. La ragazza aveva gli occhi sbarrati, era rannicchiata in posizione fetale e tremava violentemente. «Shara! Che succede?» le sussurrò con dolcezza, ma lei non lo sentiva e non lo vedeva. Era persa in un mondo irraggiungibile, dove stava vivendo un’esperienza terrificante. L’abbracciò, non sapendo cosa altro fare per aiutarla. «Fa male! Nooo! - si lamentò con così tanta angoscia da fargli gelare la schiena - è morto. Sono tutti morti. L’hanno fatto a pezzi. E’ colpa mia.» «Chi è morto?» le carezzò la schiena, sgomento. Cosa aveva visto quella povera ragazza? Il suo odore lo investì di nuovo, il suo corpo reagì all’istante. Ne fu disgustato. Cosa era diventato? Come poteva eccitarsi tenendo tra le braccia una donna distrutta, immersa in un incubo devastante? Fece ricorso al suo addestramento da monaco ed azzerò ogni contatto con il corpo fisico. L’eccitazione si dissolse nel nulla. «Galleggia nel suo stesso sangue. Anche lei è morta. Tutti. Morti. Muoiono tutti» la sua voce era intrisa di disperazione. «Non sta accadendo davvero - la rassicurò, sperando che le sue parole facessero breccia nel terribile sogno - sei in albergo ed io sono qui. Nessuno sta morendo e tu sei al sicuro.» Il tremore aumentò, divenne così impetuoso che Chiaro temette si trattasse di un attacco epilettico. Cercò di cullarla, continuando a mormorarle parole tranquillizzanti, maledicendosi per non avere a disposizione il suo vecchio kit di erbe mediche. «Mi ha mandato via. Non ero lì. Lo sapeva. Non ero lì. E’ morta da sola... sola.» Continuò a tenerla stretta ed a cullarla tra le braccia. Poco a poco si calmò. Lentamente, molto lentamente, sprofondò in un sonno tranquillo. Immensamente sollevato, il guerriero le baciò i capelli e la distese delicatamente. Cosa aveva che non andava quel piccolo elfo? Si guardò intorno. La stanza era completamente buia, ma, grazie all’intruglio di Ptharis, i suoi sensi erano acuiti e gli serviva pochissima luce per ispezionarla. Il pallore della Luna sarebbe stato più che sufficiente. - 24 -
Si alzò, tornò silenziosamente alla porta-finestra e scostò leggermente la tenda. Il tenue bagliore che si diffuse gli consentì di esaminare attentamente ogni minimo dettaglio. Lo scrittoio era pieno di foglietti. Si avvicinò e li lesse. Amnesia. Questo spiegava alcune delle strane frasi che lei aveva pronunciato. Il piccolo elfo si svegliava ogni mattina ignorando ogni aspetto della sua vita, poi il problema scompariva, ma era certa che un giorno o l’altro sarebbe rimasta del tutto priva dei ricordi. Era un medico, aveva detto, quindi doveva conoscere sia i sintomi che la patologia che li scatenava. Conviveva con quel fardello e con qualche altro terribile aspetto del suo passato, che la perseguitava nei sogni. Gli sembrò di avere un cespuglio spinoso nello stomaco... Amnesia... Era trascorso talmente tanto tempo che il mondo era diventato irriconoscibile, ma ricordava benissimo cosa aveva provato aprendo gli occhi e scoprendo di ignorare ogni cosa, perfino il suo nome. Se non fosse stato per i suoi amici sarebbe impazzito... Amnesia... Di nuovo fu assalito dalla nostalgia. Damien, Ramon e gli altri... chissà dov’erano, che fine avevano fatto. Scosse il capo. Era ora di accettare che probabilmente non li avrebbe mai rivisti. Era ora di smettere di vivere proiettato verso il recupero di un passato lontano migliaia di anni. Shara era nel presente e poteva essere anche nel suo futuro. Valeva la pena di frequentarla per scoprirlo. Forse poteva aiutarla. Se qualcuno era in grado di capire cosa stava vivendo, quello era proprio lui. Per aiutarla doveva però saperne di più. “Non sto invadendo la sua privacy per curiosità maniacale - ricordò a se stesso passandosi una mano tra i capelli, poi sorrise divertito, leggendo il contenuto di alcuni foglietti - e non sto facendo nulla che lei non abbia già fatto in camera mia, in mia assenza, a quanto pare... e così il piccolo elfo è una ragazza sveglia, oltre che sexy.” Si soffermò su ogni singola frase con estrema attenzione:
L’uomo della stanza di fianco a questa è a posto. Controllato. Non vi siete mai parlati. Tipo solitario. Nasconde una daga sotto il materasso. - 25 -
Potrebbe essere lui l’aiuto di cui parlava Calasir? Ha gli occhi viola come i tuoi. Ti guarda. P.S.: Non strapazzarlo. Ieri vi siete parlati. Sesso fantastico. Tipo solitario ma dolce. Guerriero. Sopravvissuto a ferite mortali. Cerca qualcuno. Probabile sangue misto. Impossibile definire di quale specie ed in quale misura. Danui o Nibiriano? Amico o nemico? Si chiama Chiaro ed avete fatto un giro insieme... dopo il sesso. Ti ha offerto caffè e gelato. Nel primo caso oltre al caffè ti sei presa anche lui. Se non da segnali di attaccamento, puoi andarci a letto ancora qualche volta. IMPORTANTE: Se ti fa gli occhi da pesce lesso o se senti di provare qualsiasi sentimento, NON fare più sesso con lui. Se lo fai e succede qualcosa di STRANO, mantieni la calma. Non chiamare nessuno. Si risolve tutto in un paio di ore. Poi corri via o caccialo via. SUBITO. Si sentì lusingato e preoccupato al tempo stesso. La ragazza era sveglia, sapeva dei Danui ed era un’attenta osservatrice. Aveva dei nemici ed era diffidente. Temeva ed evitava legami sentimentali. Se voleva avere speranze di starle vicino ancora per un po’ avrebbe dovuto tenerlo presente. Doveva essere importante per lei o non l’avrebbe appuntato fra le cose fondamentali da sapere. Niente tenerezze, niente occhi da pesce lesso. Niente segnali di attaccamento. Poteva farcela. Ne valeva la pena? - 26 -
Era evidente che questa sua convinzione, connessa al “qualcosa di strano” che poteva accadere dopo il sesso, escludeva la possibilità di un futuro insieme. Non sarebbe mai stata la sua compagna. “La conosco da un giorno e penso ad una vita insieme? Sono solo da troppo tempo, cazzo!” Futuro o no, non poteva certo lasciarla da sola ad affrontare un’amnesia progressiva... nessuno sapeva meglio di lui cosa significasse. A quella ragazza serviva aiuto e non ne aveva. Il piccolo elfo misterioso aveva bisogno di lui. Migliaia di anni prima aveva giurato di proteggere gli indifesi ed aiutare i più bisognosi. Anche se il Maier.sil era solo un oscuro ricordo, il giuramento restava valido. Era ancora un eroe di Ardit ed un monaco. Il destino gli aveva appena messo davanti la possibilità di ricambiare il bene che aveva ricevuto tanto tempo prima, quando era stato lui ad essere aiutato. Non si sarebbe tirato indietro. “Quando qualcosa giunge a te, devi attraversarla, non evitarla.” Si riscosse sentendola scoppiare a piangere. Fu come ricevere improvvisamente un gran pugno nello stomaco. Tornò al suo capezzale riflettendo su quell’improvvisa empatia. “Forse invecchiando il mio cuore si sta intenerendo - ipotizzò osservando le lacrime di lei brillare come schegge di diamanti - forse ho visto troppa sofferenza, più di quanta ne sia tollerabile per il mio spirito.” Notò che aveva ricominciato a tremare e ripeteva, tra i singhiozzi, una serie di frasi concitate in una lingua misteriosa. Un idioma che in quarantamila anni non aveva mai ascoltato, in nessun luogo del mondo. “Chi sei piccolo elfo? In quale inferno stai lottando - pensò carezzandole i capelli - e come posso aiutarti?” La vegliò per tutta la notte, sgattaiolando via alle prime luci dell’alba, risoluto e soddisfatto: aveva elaborato un piano per conquistare la sua amicizia e restare nella sua vita. Sarebbe stato difficile, ma aveva già affrontato imprese giudicate impossibili. Lui era pur sempre il Guerriero Spettrale ed aveva combattuto insieme agli dei per salvare il mondo. ~•~
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«Buongiorno Shara - la salutò quando la vide affacciarsi a contemplare il mare - dormito bene, tutta sola?» Cercò di apparire un po’ malizioso ed al tempo stesso amichevole, consapevole del fatto di essere di nuovo un perfetto sconosciuto per lei. Come aveva fatto il giorno precedente, la ragazza si voltò di scatto verso di lui, spaventata e perplessa. Poi si rilassò e l’espressione divenne divertita. Stava evidentemente ricordando il contenuto degli appunti che aveva appena consultato. «Buongiorno a te, signor sesso fantastico. Non ne hai avuto abbastanza ieri? Sono forse stata avara?» Gli rivolse uno sguardo ed un sorriso talmente sensuali che il guerriero rischiò di ingoiare la sigaretta, anziché continuare a fumarla. “Calmati - ordinò a se stesso - sei in grado di controllare ogni tua reazione. Tu governi il corpo, non viceversa.” Le sorrise lentamente e finse assoluta noncuranza, alzò le spalle e rispose: «Avara? No, non direi proprio - il tono della voce fu perfetto, superficialmente adulatorio ma con una nota vagamente divertita - ma ti informo che ho rifornito il frigobar con il caffè freddo. Se la notizia è di tuo interesse puoi saltare di qua... sei la benvenuta.» Accompagnò le ultime parole con un cenno del capo, genericamente in direzione della porta-finestra. «E se non lo fosse?» Il tono di lei gli rivelò che stava valutando l’importanza che lui dava al loro incontro. «In genere una doccia fredda risolve l’eventuale problematica connessa con questo tipo di... delusione. Che io sappia non è letale» lo disse facendo spallucce e rivolgendole uno sguardo divertito. “Niente segnali di attaccamento ed occhi da pesce lesso - ripeté mentalmente allungando le gambe e stiracchiandosi - deve credermi interessato solo ad una piacevole avventura.” Le fece l’occhiolino ed espirò lentamente il fumo. «In genere è così - concordò lei dopo un momento di riflessione, durante il quale lo squadrò dalla testa ai piedi, con la concentrazione di uno scienziato mentre esamina una cavia, poi parve decidersi ed assunse all’istante un atteggiamento apertamente seducente - ma conosco sistemi più gradevoli e meno traumatici per gestire... tale problematica.» «E ti va di condividere questa conoscenza, in cambio di un caffè?» Continuò a mostrarsi disponibile ma del tutto disinteressato. Un latin lover - 28 -
attratto solo dal suo corpo. La tattica che teoricamente doveva essere la più efficace con chi teme coinvolgimenti sentimentali. «Perché no... - dichiarò avvicinandosi al muretto e scavalcandolo con un balzo - ma prima di insegnarti qualcosa, dov’è il mio caffè?» «Serviti pure - le rispose indicando nuovamente con un cenno del capo la porta-finestra aperta - finisco la sigaretta e ti raggiungo.» «Quella roba non ti ucciderà? «A quanto pare no - la informò ridacchiando - pare non sia tanto semplice togliermi di mezzo. La morte non mi vuole.» La osservò entrare. Era ancora più svestita del solito. Tanga e reggiseno. “Non è così male recitare la parte del latin lover.” Constatò mentalmente carezzandola con lo sguardo. «So che resti lì per guardarmi il sedere - lo provocò spavaldamente indugiando sulla soglia, prima di sparire dietro la tenda - ti piace quello che vedi?» «Un po’ troppo piccolo, ma di ottima fattura direi - le rispose costringendosi a contare fino a duecento prima di seguirla - e sicuramente si accorda molto bene con tutto il resto.» «Vieni o no? - si era nuovamente affacciata facendo capolino tra le tende, ora completamente nuda, e lo guardava con aria di sfida - è molto scortese far aspettare una signora, raggio di Luna.» “Ottantaquattro, ottantacinque... oh al diavolo!” Sorrise, spense la sigaretta e la raggiunse quasi correndo, pronto a darle abbondante materiale per compilare altri appunti lusinghieri. ~•~
Il modo in cui quella ragazza risvegliava i suoi sensi e lo trasformava in una creatura di pura passione aveva dell’incredibile. Non era mai stato così ardente ed insaziabile... Per gli dei, era stato un monaco. Un asceta tra montagne sperdute, sul Tetto del mondo. Per secoli aveva praticato l’astinenza più assoluta e dedicato la sua vita alla meditazione. Secoli ad addestrare la sua mente a superare qualsiasi bisogno del corpo. Quindi decenni ad allenare il suo spirito ad osservare con distacco i pensieri e le emozioni, fino a fondersi nel vuoto cosmico, alla ricerca della pace. - 29 -
Ed ora eccolo lì, uno sguardo, un tocco di quella ragazza misteriosa ed era perso nel vortice dei sensi. “Sono diventato un erotomane!” La vita era proprio una storia imprevedibile, con risvolti comici e paradossali. Sorrise divertito e rise di se stesso. Trovò particolarmente esilarante anche la possibilità che, dopo aver conosciuto lui, Shara avrebbe avuto un’opinione piuttosto distorta riguardo il comportamento sessuale dei monaci tibetani. In quel momento lei lo stava osservando incuriosita. Le fece una smorfia buffa ma non le fornì spiegazioni. «Cosa c’è di così divertente, raggio di Luna?» «Riflettevo sul senso dell’umorismo degli dei.» «Riferito al tuo comportamento non proprio consono ad un ex monaco imperturbabile?» «Anche...» «Se la cosa ti consola, io sono una ex sacerdotessa. L’astinenza era la regola, anche se nessuno la rispettava e tutti chiudevano un occhio.» La risata di Chiaro fu così forte che rotolò sul letto fino a cadere in terra con un gran tonfo. Restò sul pavimento e continuò a ridere, mentre lei faceva capolino dal letto e lo osservava inclinando la testa. I lunghi capelli si riversarono su di lui, facendogli il solletico sull’addome. «Questa era davvero notevole - commentò cercando di tornare serio direi proprio che non siamo tagliati per l’astinenza.» Ricambiando il suo sguardo fu certo che le fossero tornati i ricordi. Era diventata improvvisamente più allegra ed al tempo stesso emanava determinazione da tutti i pori. Eccola lì, davanti a lui, la vera lei. Il volto era ovviamente immutato, ma ora mostrava i segni di storie terribili, gli occhi tradivano un immenso dolore di fondo ed innumerevoli ferite dell’anima. Anche lei era piena di cicatrici, esattamente come lui, ma a lei, i colpi, erano stati tutti inflitti sul cuore. “Niente occhi da pesce lesso! Dannazione! Via questi pensieri teneri.” Si rimproverò affrettandosi a sfoderare un sorriso leggero e superficiale. «Da dove vieni, piccola seduttrice di vicini di stanza inermi? Hai un certo fascino esotico.» Le domandò sentendosi ragionevolmente certo che lei sapesse cosa rispondere e per non sembrare troppo interessato alla risposta, si affrettò ad alzarsi. Raggiunse il frigobar e versò da bere. «Sono nata in Mesopotamia. E tu, raggio di Luna?» - 30 -
«Non so dove sono nato, né quando, né da chi - le rivelò come se fosse il discorso più naturale del mondo - ma sono stato trovato da queste parti. Possiamo considerarla una seconda nascita. Ero ferito ed in fin di vita. Sono stato curato e quando ripresi conoscenza non ricordavo nulla di me. Oggi si chiama amnesia retrograda totale, allora non aveva un nome. La memoria non è mai tornata. Neanche quando provarono i guaritori più potenti. Quindi non so rispondere alla tua domanda, mi spiace - si voltò verso di lei e le fece l’occhiolino, inviandole un bacio da lontano - ma spero che questo mi faccia apparire più affascinante e misterioso ai tuoi occhi. E’ così?» «Quanto tempo è passato?» la ragazza lo fissava intensamente, come se fosse molto interessata all’argomento. Non aveva battuto ciglio ai riferimenti che suggerivano che lui appartenesse ad un’altra era storica. Ogni traccia di malizia e sensualità era scomparsa nel momento in cui aveva lui aveva pronunciato la parola “amnesia”. Davanti a lui ora c’era una neuropsichiatra affetta dalla stessa malattia. «Migliaia di anni, ormai - le rispose sostenendo il suo sguardo - da allora ho costruito una nuova vita, partendo da zero, e poi numerose altre, troppe per poterle anche elencare. Ricordo tutto ma non cosa accadde prima di essere trovato...» «E’ inconsueto che i ricordi non siano tornati, nel tempo, quantomeno in modo frammentario. Le circostanze del tuo ritrovamento forniscono indizi?» «Nessuno. Ero in fin di vita in mezzo a molti cadaveri, ero vestito da guerriero - elencò laconico - quando sono stato in condizioni di muovermi, emerse che sapevo maneggiare piuttosto bene la spada e tutte le altre armi bianche. Ero molto bravo a combattere anche a mani nude. Man mano che capitò di avere feriti nel gruppo, mi accorsi di avere conoscenze erboristiche o di medicina tradizionale popolare, come si definirebbero oggi.» «Un trauma fisico. Probabilmente delle terminazioni nervose lesionate in modo irreparabile - dedusse annuendo, mentre si portava una mano al mento - eppure è strano. Il cervello trova sempre un sistema alternativo per svolgere ogni sua funzione. Tutti i miei studi convergono su que- 31 -
sto. E’ solo una questione di tempo. Alcuni ricordi sarebbero dovuti riemergere, nei sogni o in momenti di... fantasticherie» restò in silenzio alcuni minuti. Sembrava combattuta ed incerta sul da farsi. «Sembri competente sull’argomento - azzardò lui, sforzandosi di essere molto cauto - era il tuo settore di specializzazione?» «Per tutta la vita ho studiato l’amnesia. Ma non è solo questo - la vide annuire quasi impercettibilmente - è che ne soffro anche io. Lo scopo dei miei studi è sempre stato la ricerca di una cura per il mio caso specifico. E’ una coincidenza abbastanza sorprendente vero?» Il suo sguardo divenne timoroso. Probabilmente si pentiva di aver rivelato quel particolare troppo personale. «Intendi dire che due perfetti sconosciuti si ritrovino in due camere d’albergo contigue, nel buco del culo del mondo, che abbiano entrambi gli occhi dello stesso rarissimo colore e che soffrano di amnesia?» Le portò una birra fresca e si sedette di nuovo sul letto, quindi proseguì mantenendo un tono canzonatorio: «O ti riferisci al fatto che, sebbene lui sia un ex monaco e lei una ex sacerdotessa, lui l’abbia sedotta ed ammaliata con un caffè per due giorni consecutivi?» si gustò la sua risata divertita. Bene. Non l’aveva allarmata. L’aveva indotta a fidarsi almeno un po’ di lui. Rivelarle dei segreti per primo e non dare importanza al loro rapporto era la tattica giusta. «Ti ho sedotto io - puntualizzò lei divorandolo con gli occhi - tendi a dimenticarlo, raggio di Luna.» «Ti concedo che ieri le cose sono andate così - replicò stando al suo gioco - ma per quanto riguarda la dinamica di oggi... ho delle obiezioni molto valide. Se vuoi ricostruiamo esattamente l’accaduto...» Aggiunse guardandola lentamente dalla punta dei piedi fino agli occhi. Shara scoppiò a ridere: «Bel tentativo! Prova ad insistere, magari sarai di nuovo fortunato... più tardi.» «Prendo nota che la birra non funziona bene come il caffè - commentò sospirando e alzando gli occhi al cielo, poi tornò serio - e qual’è la causa della tua amnesia? Per quanto minuzioso sia stato il mio esame non ho scorto alcuna cicatrice deturpare il tuo bellissimo corpo.» «Una malformazione genetica - lo disse con un’alzata di spalle - che porterà presto il mio cervello a fare tabula rasa.» - 32 -
«Quindi ancora non ne soffri concretamente?» «E’ più corretto dire che ne soffro ma non è ancora costante né totale. Perdo un pezzo alla volta ed ho delle fasi più acute.» «Mi dispiace.» «Perché? Neanche mi conosci. Non significo niente per te.» «Si chiama empatia - si alzò dal letto con un balzo ed indossò i pantaloni con gesti secchi e nervosi - succede quando due esseri umani si incontrano, perfino se non fanno sesso, sai? E’ l’innata capacità di comprendere le emozioni dell’altro. Di provarle, perfino. Questo spesso si traduce in una connessione che alcuni chiamano a-mi-ci-zia.» Si pentì immediatamente del tono brusco e troppo snervato con cui le aveva parlato e sperò vivamente di non averla offesa. «Vorresti essere mio amico? E’ questo che ti aspetti?» Lo fissava guardinga ma la voce era un po’ incerta. «Non mi aspetto niente, Shara - le rispose, non riuscendo a trattenere una certa esasperazione - ti sto solo offrendo il mio aiuto. Ma nel caso tu preferisca che mi limiti al sesso, sarò più che lieto di stare alle tue regole. E se ti sei stancata anche di quello... sopravviverò. Il mare è pieno di pesci. Se vuoi che mi tolga dai piedi, basta che tu lo dica. Anzi, siamo nella mia camera, quindi è sufficiente che tu torni nella tua.» «I miei amici muoiono» la voce era tagliente, ma lo sguardo triste. «Ed i miei tendono a sparire nel nulla. Per gli dei, Shara! Sono in giro da più di quarantamila anni, cazzo. Credi che non abbia visto morire nessuno? Tutte le persone che hanno significato qualcosa per me sono decedute o sparite - si portò una mano sullo sterno ed aggiunse caustico - e non è certo dedicandomi a giochi erotici estremi che mi sono procurato queste... conosco la morte fin troppo bene. Mi sfiora e respinge da millenni, senza mai smettere di camminare al mio fianco.» «Stai alzando la voce» era imbronciata e perplessa, ma non era fuggita via. Non si era neanche vestita. Rimaneva seduta sul suo letto, i muscoli tesi, come quelli di un gatto pronto a scattare. «Ti chiedo scusa» chinò il capo e serrò i pugni, rendendosi conto che non avrebbe dovuto lasciarsi trascinare dalle emozioni. “Mantieni la calma, monaco - si impose controllando la respirazione - non darle un motivo per svanire nel nulla, se vuoi aiutarla.” - 33 -
«No. Non scusarti. Hai ragione. Sono in giro da più tempo di te - guardava i suoi stessi piedi, immobile, come se fosse concentratissima - ho visto morire quasi tutte le persone che ho amato e quelle che non sono morte le ho dovute abbandonare. Questo mi induce ad evitare legami. In particolare con gli uomini. Ho i miei buoni motivi. Tuttavia... è possibile che io tenda occasionalmente ad esagerare... un po’...» «Non mi devi spiegazioni e non voglio invadere il tuo spazio - addolcì il tono senza renderlo smielato, si sforzò di apparire razionale e logico, doti che una scienziata non poteva non gradire - so cosa significa soffrire di amnesia, so quanto può essere difficile gestire un lungo cammino solitario e mi piacerebbe aiutarti. Non c’è altro. Né potrebbe esserci, non trovi? Noi due ci siamo appena incontrati... anche se la cosa ha avuto sviluppi... estremamente piacevoli quanto imprevisti... siamo comunque solo due estranei.» «Quindi è solo una questione di empatia?» «Il fatto che tu sia uno schianto e che sembri apprezzare il mio corpo, forse mi fornisce uno stimolo aggiuntivo... ma è anche possibile che sia del tutto ininfluente - si poggiò al muro ed incrociò le braccia al petto magari sono semplicemente alla ricerca di sistemi con cui guadagnarmi un buon karma. Oppure desidero ricambiare un favore ricevuto molto tempo fa, da perfetti sconosciuti. Un aiuto del tutto analogo a quello che sto offrendo a te. Non ti piacerebbe scoprire come stanno le cose?» «Sei un Danui?» domandò diretta. Lo stava mettendo alla prova. «No, anche se ho camminato tra di loro, prima che svanissero nel mito.» Chiaro decise che la sincerità fosse l’opzione migliore. «Che motivazione ha la tua longevità? Hai detto che vivi da quarantamila anni e quelle sono palesemente delle ferite di un guerriero di altri tempi.» Altra domanda precisa e senza mezzi termini. «E’ quello che mi piacerebbe scoprire - ammise proseguendo sul sentiero della verità - ho sempre creduto di essere un uomo comune, me ne convinsi ancora di più quando nulla di anomalo fu rilevato in me dagli abitanti di Ardit.» «Ti hanno... visitato?» «I Danui leggono la mente, l’anima e quella che oggi chiamiamo aura. In questo senso, chiunque si avvicinava ad Ardit veniva “visitato” per - 34 -
accertarsi della sua natura e delle sue intenzioni.» «E non rilevarono anomalie in te?» «No. Credevano fossi un semplice umano... e lo credevo anche io.» «Te lo dissero loro?» «Non fu necessario. Mi lasciarono entrare e poi, a guerra finita, mi offrirono il dono di vivere migliaia di anni. Non l’avrebbero fatto se avessero saputo che non ne avevo alcun bisogno.» «Quindi hai rifiutato il... dono della longevità?» «Già - confermò malinconicamente - e me ne andai, convinto e lieto di poter vivere una normale vita umana. E poi... dopo un certo numero di anni, ho constatato l’evidenza. Non invecchio.» «E non hai idea del perché...» «Ho sprecato secoli a cercare una spiegazione - confermò sospirando ormai mi sono rassegnato al fatto che non lo scoprirò mai, così come sto accettando l’idea che non riuscirò più a ritrovare i miei vecchi amici. Ho sbagliato ad abbandonarli e ne pago le conseguenze. Gli amici non andrebbero mai lasciati, né trattenuti se desiderano andare. Questa è la lezione che ho imparato.» «Ed è per questo che vuoi essere mio amico?» «Sì. Sono in debito... e tu sei un buon modo per pareggiare i conti. E poi c’è il sesso. Non va escluso dal discorso - si affrettò ad aggiungere per alleggerire di nuovo la conversazione - e la motivazione per la tua longevità? Dovresti essere una Danui ma qualcosa mi dice che non è così, loro sono tutti... connessi, ma tu non mi sembri affatto parte del loro link.» «Sono Danui per metà e non sono in collegamento con nessuno - confermò lei perplessa - né ho i loro poteri telepatici.» «Una mezzosangue con più di quarantamila anni non può sembrare una ragazzina - obiettò lui accigliandosi - dovresti dimostrare almeno una cinquantina d’anni e dovresti anche avere una buona parte delle loro facoltà speciali.» «Li conosci molto bene.» «Il mio comandante era il Protettore di Ardit in persona - confermò sorridendo - e molti dei miei commilitoni hanno sposato donne Danui. Ho combattuto insieme a loro, sono vissuto con gli dei, perfino col grande - 35 -
Ptharis in persona, il più antico di loro. Sì, li conosco molto bene. Non puoi essere una mezzosangue.» La ragazza aveva sgranato gli occhi appena lui aveva pronunciato il nome di Ptharis, ma, quando rispose, si limitò a dire: «Sono... speciale ed anomala.» «I Danui non sono gli unici immortali... io ne sono la prova - la incoraggiò puntandole addosso il suo sguardo d’ametista - ci sono varie razze di divinità del cielo che hanno camminato nel mondo. Questo l’ho scoperto in Tibet.» «Anche le mie ricerche lo confermano.» «Potremmo avere in comune molto più del colore degli occhi, della longevità e dell’amnesia.» «E’ possibile.» «E questo non ti convince ad accettare la mia offerta?» «La mia è una lunga storia, raggio di Luna, ed è davvero molto anomala. Forse un giorno te la racconterò, ma non adesso - sentenziò Shara facendo una smorfia annoiata e sollevando una mano come a scacciar via degli insetti - le interminabili conversazioni su un passato che si sta sgretolando... mi tediano terribilmente.» La ragazza si alzò ed andò tranquillamente nel bagno, il suo bagno, senza preoccuparsi di chiudere la porta. Dopo alcuni istanti di silenzio l’acqua iniziò a scorrere. “E’ nuda in camera mia, sotto la mia doccia - constatò ridacchiando - è una vera piccola strega. Vuole distrarmi dal fatto che non ha risposto alla mia offerta di aiuto e si sta divertendo un mondo a vedere che diavolo faccio ora. Hai trovato il pane giusto per i tuoi denti, ragazzina. Finché resti di là, posso resistere a qualsiasi tentazione. Non mi muoverò da qui. A costo di legarmi allo scrittoio.” Dopo alcuni secondi, che gli parvero interminabili, udì di nuovo la sua voce, il tono riusciva ad essere allusivo e canzonatorio al tempo stesso: «Resti lì come una mozzarella nel frigo o vieni ad insaponarmi la schiena... amico?» Chiaro tirò finalmente un sospiro di sollievo, perché aveva proprio detto “amico”. Ridacchiò soddisfatto e si sbarazzò dei pantaloni. Contò fino a cinque e la raggiunse correndo. - 36 -
“Sicuramente ha del sangue Nibiriano nelle vene - si disse Shara quella stessa sera, in attesa di cedere al dannato sonno che l’avrebbe di nuovo azzerata - ma non molto, visto che i Danui non se ne sono accorti. Per superare i quarantamila anni dimostrandone una trentina... gli sarebbe più che sufficiente annoverare anche solo un trisnonno puro nell’albero genealogico. Se quando è stato trovato aveva già questo aspetto... potrebbe essere molto più vecchio, potrebbe essere perfino un mio coetaneo. Dannazione. Potremmo anche esserci già incontrati... e nessuno dei due lo ricorda. Maledetta amnesia.” Sarebbe stato facile rispondere con precisione alla sua domanda sulla longevità, consentendogli di dedurre il resto. Sembrava un tipo sveglio, non ci avrebbe messo molto ad arrivare alle sue stesse conclusioni. Non l’aveva fatto perché lui ignorava tutto... evidentemente i Danui non gli avevano mai parlato dei Nibiriani. Doveva dirglielo? Chiaro non le sembrava il tipo da sopravvivere fra quelle serpi. Era un combattente, ma aveva una morale e si faceva degli scrupoli. Si capiva a dispetto della corazza di superficialità che indossava. Non avrebbe potuto essere un Guerriero di Ardit se non fosse stato un uomo altruista disposto al sacrificio estremo. Calasir gli aveva parlato di loro come eroi senza macchia. Non era il caso che una persona così si gettasse a capofitto alla ricerca dei Nibiriani o bramasse il loro ritorno. Sarebbe finito ammazzato da uno dei clan. Con quegli occhi e quella pelle... sarebbe passato prima nei letti divini, ovviamente, ma poi... l’avrebbero ucciso. “No, raggio di Luna, mi dispiace tanto, ma è meglio per te se resti ignaro e lontano da quegli scorpioni assetati di sangue. Non sarò io a firmare la tua condanna a morte.” Eppure lui desiderava scoprire qualcosa su se stesso, bramava di riempire quel vuoto. Non si era affatto rassegnato... non davvero. Di nuovo si interrogò su quale fosse la cosa giusta da fare. “Non so chi sia. So solo che i suoi antenati includono almeno un Nibiriano. E’ un indizio che spiega la sua longevità, ma non so niente di davvero utile. Se gli fornisco solo questa informazione finirà per farsi uccidere. Dal colore dei suoi occhi posso dedurre ipoteticamente la linea di discendenza... e questa teoria lo porterebbe dritto nella bocca del peggiore degli squali.” Serrò i pugni e grugnì di rabbia e frustrazione. - 37 -
“C’è anche la possibilità che lei abbia ripetuto con lui quanto fece con me... magari procurandogli l’amnesia chimicamente - sgranò gli occhi a quel pensiero - sì, è logico. Azzerato e portato in territorio Danui... Anche in questo caso rischierebbe la vita.” Sospirò chiudendo gli occhi e scostando nervosamente le lenzuola. “Sono solo ipotesi, Chiaro, mi dispiace, ma se ti metto queste idee in testa, avrò la tua morte sulla coscienza... e non c’è più posto. Nessuno perderà più la vita per proteggermi o per causa mia. Nessuno. Neanche uno sconosciuto appena incontrato, che vuole aiutarmi ed essere mio amico.” Scosse il capo e sospirò. “Dovrei cacciarti via. Sarebbe la cosa migliore da fare - prese il cuscino e lo scagliò con violenza sul muro ma Calasir... ha parlato di te. Lei ti ha visto. Non posso fare a meno di te.” Ripeté le sue parole sottovoce: «Il destino porrà sulla tua strada un aiuto, avrà gli occhi viola come i tuoi. Accettalo come un dono. Non potresti farcela senza di lui.» Sentì le lacrime affiorargli e le represse. “Tu mi aiuterai ed io... neanche posso condividere con te gli indizi che ti porterebbero alla risposta che tanto cerchi.” Prese l’altro cuscino e scaraventò anche quello, mandandolo a colpire la porta del bagno. La sua coscienza si placò solo quando prese una decisione solenne: “Non so quando, ma un giorno io scoprirò la verità su di te, troverò le risposte che cerchi e te le fornirò tutte. Dovrai aspettare molto, ma lo farò. Tutto sta andando come Calasir ha previsto, quindi io guarirò davvero ed avrò tutto quello che mi occorre per aiutarti. E lo farò, Chiaro. A qualsiasi costo. Calasir, questo lo prometto a te. Accetto questo dono, come tu mi hai chiesto di fare, ma lo ricambierò. Un giorno riuscirò a ricambiarlo.” Si alzò dal letto, aprì il diario e scrisse una lunga annotazione con quell’impegno. La prima che non riguardasse solo se stessa. In coda aggiunse due ultime righe:
Sono stanca di essere egoista ed ancora di più di camminare da sola. ~•~ - 38 -
Quadrante 166 (Ardea), luglio 2148
L’urlo disperato lo svegliò di soprassalto, come ogni notte. Chiaro si alzò da terra e si portò rapidamente al capezzale di Shara. La crisi era particolarmente intensa, più delle altre volte. «Ayar no! - l’angoscia nella sua voce lo dilaniò come se un branco di porcospini si rincorresse nelle sue viscere - non farlo. Ti uccideranno. E’ colpa mia. Mia. E’ solo colpa mia.» L’abbracciò e la cullò, non essendoci altro da fare che tenerla stretta ed aspettare.
Conosceva i nomi di tutti i suoi incubi. Ayar e Calasir erano i più frequenti. Il suo primo amore e la sua amica più cara, morti entrambi. Quando li invocava il pianto sembrava irrefrenabile. Corrispondevano alle sue più profonde ferite. Il piccolo elfo aveva il cuore dilaniato. Ogni sera, quando, vinta dalla stanchezza, si decideva a cedere al sonno, le sue ferite sanguinavano, mentre la malattia la divorava. Ogni mattina si svegliava azzerata. Amnesia retrograda totale. Lui entrava nella sua stanza di nascosto, appena prendeva sonno, e la lasciava solo all’alba, quando gli incubi passavano ed i tremori finivano. Svegliarsi con uno sconosciuto sarebbe stato traumatico. “Le emozioni accelerano il decorso della mia malattia - lo aveva istruito fin dai primi tempi - più sono forti più incidono.” Per gli dei... ogni dannata notte era in balia di emozioni estreme, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era di averne anche al risveglio. Così le dava il tempo di orientarsi e leggere i biglietti, restando seduto sulle scale interne della loro dimora ad aspettare di vederla comparire. Comprare casa ed andare a vivere insieme era stato qualcosa di tremendamente difficile da farle accettare. Per gli dei, perfino la missione dei dodici, votata al suicidio, era stata meno ostica. «Tu vuoi convivere? No! Ti sei innamorato, maledizione. Ammettilo aveva reagito innumerevoli volte infuriandosi - ti sei messo in testa di essere il mio compagno. Questo è impossibile. Impossibile!» «Con il tuo caratteraccio? No signora - ogni volta era costretto ad essere più brusco e gelido - non ho alcuna intenzione di essere né il tuo com- 39 -
pagno né il tuo ragazzo e sono stanco di ripetertelo. Siamo amici che occasionalmente fanno sesso. Ti aiuterò fino a quando avrai bisogno di me e poi tornerò alla mia vita. Che devo fare per convincerti?» «Io non convivo con nessuno. Niente storie romantiche, niente legami, niente aspettative. Chi si lega a me fa una brutta fine.» «Per gli dei! Lo so. Questo non è romanticismo è praticità, Shara. Se viviamo insieme il mio compito è più facile. Puoi scrivere sui tuoi foglietti che sono tuo fratello, il tuo medico, il tuo badante o un tuo amico. Possiamo avere più discrezione, più comodità, più sicurezza e più attrezzature a disposizione. Si tratta di vivere meglio qualcosa che deve durare secoli ed è destinato a complicarsi. Se scappi mentre dormo è meglio se suona qualcosa, non trovi? O preferisci ritrovarti a chilometri di distanza, con la possibilità che io non riesca a rintracciarti?» Ci erano voluti anni e dosi enormi di ragionamenti logici, razionali e distaccati per convincerla. Alla fine c’era riuscito. Lei aveva ceduto quando i clienti dell’albergo avevano inoltrato una serie di lamentele per le urla ed il trambusto notturno. Neanche affittare più camere, fra contigue e sottostanti, aveva risolto il problema. E così, un giorno, senza alcun preavviso, Shara gli aveva mostrato un atto di acquisto. Durante una fase lucida era uscita, aveva comprato una villa isolata, con sbarre alle finestre e sistemi di sicurezza e l’aveva rifornita di attrezzature mediche e tecnologiche di ogni tipo. «Hai vinto. Fai i bagagli, andiamo a vivere insieme - aveva annunciato con voce piatta - da amici, si intende.» Vivevano in quella casa ormai da quasi un secolo. Da amici. Ogni notte era peggio della precedente. Non le aveva mai rivelato di vegliarla nel sonno, ma sospettava che lei l’avesse capito. Il piccolo elfo era sveglia come un felino, diffidente come un ratto, furba come una volpe e testarda come un mulo. Era estremamente difficile che le sfuggisse qualcosa. Ed era una delle sue doti più affascinanti. Lentamente il muro di ghiaccio che aveva eretto intorno a sé si era incrinato e dissolto. Le sue battute taglienti erano diventate sempre più di facciata, come i modi bruschi ed i continui inviti a lasciar perdere tutto e tornare alla sua vita. In realtà la sua resa alla loro amicizia era stata più facile del previsto, o forse lui era stato molto bravo a recitare la sua parte, a fugare i suoi sospetti, a confermarle, ogni giorno, che non c’era - 40 -
nulla di romantico nell’aiutarsi a vicenda. “Sono così bravo... che a forza di dirlo, forse me ne convincerò anche io - pensò sorridendo, a dispetto della situazione - in fondo, se ripeti qualcosa per molto tempo, quella diventa reale... no?” Si riscosse e alzò le spalle. Quello che provava lui non aveva importanza. Contava solo quello che lei pensava. E lei credeva alla loro amicizia. Si fidava di lui. Il foglietto che preparava la sera per darsi istruzioni sulla sua presenza ne era la prova più lampante:
Fuori dalla porta, sulle scale, c’è Chiaro. Ha i capelli bianchi e gli occhi viola. E’ tuo amico. Sa tutto. Ti fidi di lui. Sa cosa fare.
Ai tremori seguirono le convulsioni, la scossero con una violenza inaudita che lo riportò bruscamente alla realtà, interrompendo il flusso dei suoi pensieri e dei ricordi. Per gli dei com’era brutto quell’attacco. Cercò di cullarla tra le braccia, come sempre, facendo attenzione alla sua incolumità. Poi finalmente lei si calmò, ma il sonno divenne normale solo quando il sole fu alto nel cielo. Con un impercettibile ronzio, l’unità di pulizia interna sgattaiolò fuori dalla sua tana di ricarica nascosta sotto al letto ed iniziò a lavorare con cavillosa precisione. Silenziosamente Chiaro lasciò la stanza e sedette sui gradini. Poggiò la testa al muro e chiuse gli occhi, ricacciando indietro le lacrime. “Peggiora troppo velocemente.” Era la triste verità e fingere qualcosa di diverso era inutile.
«Se vuoi aiutarmi davvero - gli aveva detto nei primi giorni della loro turbolenta relazione - allora sappi che sarà un’impresa titanica. Durerà più di seicento anni, perché esiste una sola cosa di cui abbia davvero bisogno e... non credo più di poterci riuscire da sola.» E quando lui le aveva assicurato di essere pronto a quell’impegno, lei aveva finalmente spiegato cosa le occorreva: «Devo essere presente, davanti ad un luogo di guarigione nei pressi dell’antica Ardit, alla fine del 2653, prima dell’eclissi anulare del 12 dicembre. A qualsiasi costo. Non importa come ci arriverò. Questo è ciò che devo fare. Essere in - 41 -
quel luogo quando arriverà il momento. Sarà l’innesco di una serie di eventi che porterà anche alla mia guarigione.» Le aveva dato la sua parola che l’avrebbe aiutata. Aveva giurato sul suo onore di guerriero. L’avrebbe fatto anche se quella previsione non fosse stata enunciata da Calasir, la più che credibile figura della perduta seconda gemma di Ardit. L’artefice della vittoria contro il Maier.sil. L’avrebbe aiutata in ogni caso, anche se quell’appuntamento col destino fosse stato un puro frutto della sua immaginazione delirante. Era quell’obiettivo a darle la forza di andare avanti, era l’unico oggetto della sua più assoluta attenzione e venerazione, nonché fonte della sua determinazione. Come negarle il suo aiuto? E come dirle che così, completamente concentrata e proiettata verso quel lontano giorno nel futuro, stava perdendo la possibilità di vivere quell’ultima fase di quasi lucidità della sua esistenza? Chiaro non aveva avuto la forza di dar voce a quei pensieri ed aveva taciuto. «E come ti potrò mai ricompensare per avermi dedicato seicento anni della tua vita?» Gli aveva chiesto lei alzando gli occhi al cielo. «Con la tua amicizia... e magari, ogni tanto... accettando qualche caffè.» Le aveva dato una risposta scherzosa per alleggerire l’aria, ma lei non aveva abboccato. «Le crisi sono innescate dal sonno. La privazione del sonno accelera il processo, quindi non posso non dormire. Attualmente mi sveglio ogni mattina in amnesia retrograda totale. Il black out dura mediamente quattro ore. Poi la memoria torna. Tuttavia ciascun black out è totale, quindi anche la memoria breve è compromessa. Fra cento anni, se la progressione resta costante, i black out dureranno otto ore. Fra duecento anni ci vorranno dodici ore per aver speranza di recuperare me stessa. Da quel momento in poi plausibilmente cercherò di ridurre le ore di sonno, quindi accelererò il decorso. Non c’è alcuna speranza che io abbia momenti privi di amnesia fra seicento anni. Né posso prevedere se il danno si estenderà alla memoria breve in modo permanente.» «E’ possibile, quindi, una volta entrata in fase permanente di black out, che continui, ogni mattina a ricominciare da capo?» «Esattamente. Almeno per un certo periodo. Vuoi ancora essere mio amico, consapevole che ogni maledetta mattina non avrò la più pallida - 42 -
idea di chi tu sia? E che sarà sempre peggio?» «Sì, voglio comunque essere tuo amico.» «Il danno potrebbe investire altre zone del cervello. Potrei avere allucinazioni, incubi, sindromi ossessive, delirio paranoide.» «Impazzirai?» «E’ una possibilità concreta.» «Ma devi essere lì, nel 2653, prima del 12 dicembre. Giusto?» «In ogni caso ed a qualsiasi costo.» «Farò in modo che ciò accada.» «In ogni caso ed a qualsiasi costo?» «In ogni caso ed a qualsiasi costo.» In quel preciso istante era nata la loro amicizia. Ogni mattina, negli ultimi 108 anni, l’aveva intrattenuta, intrigata e divertita in attesa che il black out facesse il suo corso. Era come gestire due persone completamente diverse. La Shara in amnesia era una creatura di puro istinto. Solo i suoi preziosi biglietti le impedivano di tentare immediatamente la fuga o di aggredirlo. L’altra, quella che stava scomparendo un po’ di più ogni giorno, era una scienziata brillante ed una vera guerriera nello spirito. Pronta ad adattarsi a qualsiasi evenienza, senza mai perdere di vista l’obiettivo. Diffidente e schiva, indurita da una lunghissima solitudine... eppure sua amica. Aveva conquistato il suo affetto e la sua stima. Lo aiutava a cercare nella rete informazioni e tracce dei Danui e delle altre divinità immortali, le raccoglieva in dossier con itinerari e spunti da approfondire sul campo, aggiungeva le annotazioni di quanto aveva già scoperto durante le sue ricerche. «Per ora non posso fare di più - gli ripeteva con un sorriso triste - ma vedrai che un giorno farò ben altro.» Entrambe le Shara lo trovavano sessualmente attraente. Questo aveva reso il suo compito meno complicato, oltre che immensamente piacevole. Ma poi arrivava la notte. La dannatissima notte che aveva imparato ad odiare con tutte le sue forze.
«Ciao, amico che sa tutto e sta sulle scale!» La voce di lei lo risvegliò dai suoi cupi pensieri. Era seminuda e scalza. Bellissima, come sempre. «Buongiorno Shara - la salutò con un sorriso cordiale - ti va di scendere - 43 -
per un caffè caldo o preferisci che te lo porti freddo?» «Viviamo insieme?» «A volte.» «Siamo intimi?» «Quando sei di buon umore.» «Stiamo insieme?» «No. Siamo amici.» «Amici che fanno sesso?» «Succede ogni tanto.» «E com’è?» Ridacchiando Chiaro tirò fuori il vecchio foglietto, protetto da una custodia in polimeri, e glielo porse. «Davvero?» La sua espressione divertita e tentata lo fece ridere di nuovo. «E’ quel che pensi tu - sottolineò con falsa modestia - non mi sto incensando da solo. Ti spiace ridarmelo?» «Perché lo conservi?» «Per risponderti senza arrossire quando mi fai questo tipo di domande, sono un ragazzo molto timido.» Lo guardò dubbiosa, allargando il sorriso: «Perché non ho annotato questa interessante informazione sui nuovi biglietti?» «Perché ho chiesto una pausa sindacale - mentì alzandosi e sfilandole il foglietto dalle mani - mi stavi consumando. Lo vuoi o no il caffè?» «No.» Sgranò gli occhi sorpreso. In più di un secolo insieme non aveva mai rifiutato una tazza della sua bevanda preferita. «Davvero?» «Volevo prima togliermi una curiosità, ma riflettendoci, ho cambiato idea... posso farlo anche mentre prendiamo il caffè. Andiamo?»
La memoria tornò dopo nove ore. La malattia procedeva molto più rapidamente del previsto. «Non sei stanco di farmi da badante, raggio di Luna?» Gli chiese sprofondando sul divano. «No.» Rispose fingendosi annoiato. «Com’è possibile? Non dirmi bugie.» - 44 -
«E’ per via del sesso - mentì porgendole una tisana - quando ti svegli in genere mi salti addosso come un lupo alla vista di un agnello. Sei molto attraente ed è piuttosto lusinghiero, sai? Sono pur sempre un maschio sessualmente attivo con un ego desideroso di essere nutrito.» Si accomodò sulla poltrona adiacente ed allungò pigramente le gambe davanti a sé. Un sorrisetto soddisfatto stampato sul viso. «Non è questo il motivo che ti trattiene - aggrottò la fronte e scosse la testa - non me la dai a bere.» «La stai già bevendo, mi pare.» Commentò guardando la tisana. «Voglio sapere perché resti.» «Falla finita, Shara - la rimproverò sporgendosi per darle un buffetto sul naso - mi hai promesso che proverai ad aiutarmi a scoprire chi sono, una volta risolto il tuo problema. Ti ho dato la mia parola che non mancherai al tuo dannato appuntamento. Siamo amici e gli amici si aiutano a vicenda. Sono tutti motivi validi. Non c’è altro da dire.» «Cento anni sono lunghi, ma cinquecento sono un’era - obiettò lei imbronciata - e la situazione sta peggiorando. Sto trasformando un eroico guerriero in una badante e questo non mi piace. Non è giusto. Non ne ho alcun diritto. Ti libero dal giuramento. Molla tutto e torna alla tua vita, questo è il mio inferno. Non il tuo... Vattene. Vattene subito.» Aveva gli occhi lucidi ed uno sguardo duro come le pietre di Ardit. Si era anche alzata in piedi, serrando i pugni. Ma lui aveva imparato a conoscerla. Stava dando voce ai suoi sensi di colpa ed alla sua disperazione. «Sei secoli sono un momento effimero per noi. Cosa valgono? Più o meno come un giorno per gli uomini comuni - replicò alzandosi e curvandosi su di lei per darle un bacio sulla guancia - se i miei amici non si fossero presi cura di me sarei morto in quel fosso dove mi hanno trovato o, peggio ancora, sarei impazzito. Non c’è niente di sbagliato nell’aiutarsi vicendevolmente. E’ la nostra umanità. Ed è meravigliosa. Sono morte migliaia di persone per fare in modo che non la perdessimo. Io stesso ho rischiato più volte di varcare il confine dell’oltretomba per preservarla. Adesso finiscila con queste stronzate e vestiti.» Sottolineò il concetto assestandole una sonora sculacciata. «Perché? In genere ti piace vedermi gironzolare mezza nuda.» «Andiamo a fare una passeggiata sulla spiaggia, brontolona.» - 45 -
«Di notte?» «La Luna sta per tramontare sul mare e la Terra sta attraversando le Capricornidi - la informò sorridendo - è sempre uno spettacolo degno di essere visto.» «Non è romanticismo, questo, vero?» «No. Andrò a fare una passeggiata ed a prendere una boccata d’aria fresca, ammirando qualcosa di bello. Lo farò in ogni caso, che tu ci venga o meno - la informò voltandosi e salendo le scale - sarai lucida per qualche ora, quindi non avrai alcun bisogno di me. Faccio una doccia, mi vesto ed esco. Tu fa quel che più ti aggrada, mi stai annoiando.» «Non essere scontroso - lo rimproverò seguendolo - sai che non posso rischiare che ci sia amore tra noi.» «E non ce n’è - le ricordò senza voltarsi - o a quest’ora, quello che tu tanto temi, sarebbe già successo, in cento anni. Hai mai tenuto il conto delle volte che avrebbe dovuto accadere? Forse è il caso che cominci a farlo io, per zittirti con un po’ di dati statistici. La matematica non è opinabile. La adoro proprio per questo.» «L’amore è subdolo e pericoloso - obiettò prima di varcare la soglia della sua stanza - meglio assicurarsi che non stia tentando di fare capolino. Sarebbe un grosso guaio. Io non vado bene per te.» «Non ho mai pensato che tu sia la donna della mia vita e non intendo iniziare a farlo - la informò restando nel corridoio - sei troppo bassa di statura, le tue tette sono minuscole e soprattutto sei un’insopportabile rompipalle.» «E tu sei un grandissimo stronzo!» Fu la stizzita replica urlata da sotto la doccia, un insulto che lo fece sorridere soddisfatto. Per gli dei, convincerla stava diventando sempre più difficile. Quel piccolo elfo era davvero un osso duro. ~•~
Quadrante 166 (Ardea), giugno 2351.
«Tu, quindi, sei il mio amico - lo salutò squadrandolo dalla testa ai piedi con aria perplessa - quello che sa cosa fare. Non sei niente male, sai? - 46 -
Un po’ sbiadito, ma carino.» «Grazie - rispose Chiaro alzando gli occhi dal tablet con finta noncuranza - sei molto gentile. Qui ci sono un paio di caffé freddi.» Le indicò con un cenno del capo il tavolino di fianco al divano dove era seduto. «Quando vedi una donna mezza nuda, di prima mattina, le offri un caffè? Sei un tipo un po’ strano, sai? Sei gay?» «Sono le undici di sera. Tu adori il caffè. Non sono gay.» «Quanto diavolo ho dormito?» «Quasi diciotto ore.» «Lo faccio spesso?» «Ultimamente sì. Come va il mal di testa?» «Si sta attenuando, grazie. E cosa faccio abitualmente quando mi alzo?» Domandò avvicinandosi lentamente, con la cautela di un gatto di strada. «In genere come prima azione prendi la tua pozione, quindi ti rendi presentabile ed infine usciamo a fare un giro. Tutto con molta calma - precisò ridacchiando - perché hai bisogno dei tuoi tempi. Non ami il risveglio.» Dopo un momento di riflessione parve convincersi ed annuì. I lineamenti del volto si rilassarono, piegò le labbra in un sorriso e si avventò sul caffè, che bevve avidamente prima ancora di sedersi a fianco a lui. «Ho fatto un sogno molto strano - esclamò porgendogli la tazza vuota forse non era un semplice sogno.» Se avesse potuto farlo, Chiaro sarebbe impallidito. Lei non ricordava mai i suoi incubi. Si svegliava priva di qualsiasi memoria. Lei dovette leggergli lo stupore negli occhi, perché lo guardò con aria interrogativa: «Che c’è? Non ti ho mai parlato di queste cose prima?» «Mi hai sempre detto di non ricordare mai niente, sogni inclusi. Potrebbe essere un progresso - le rispose con un gran sorriso, che sperò risultasse convincente e tranquillizzante, mentre le porgeva la seconda tazza - racconta.» «Sono seduta in una sala operatoria - iniziò a riferire sorseggiando il liquido scuro - dei cinghiaggi mi bloccano tutte le parti del corpo, inclusa la testa. Le luci che mi sovrastano sono abbaglianti, ma distinguo delle presenze intorno a me. Sembrano medici. Hanno delle protezioni sul volto. Poi uno di loro incombe nel mio campo visivo. E’ una donna, - 47 -
ma non è umana. Ha una testa gigantesca. Ha qualcosa in mano...» La voce le tremava ed era impallidita. Chiaro sentì che il suo battito cardiaco stava accelerando, così come il ritmo del respiro. Non andava bene. Le emozioni forti non andavano bene, non dopo una notte di interminabili incubi alternati a violente convulsioni. Doveva distrarla subito e non aveva molte opzioni. «Ok zuccherino - le disse approfittando della pausa con la quale lei sembrava voler riordinare le idee - sei un po’ troppo cresciuta per prendere sul serio un brutto sogno, non trovi? Ieri sera hai bevuto parecchio, abbiamo fatto un po’ di baldoria e mangiato troppe schifezze.» «Davvero? Dici che è un effetto della cattiva digestione?» Era perplessa ma possibilista; o forse si voleva semplicemente aggrappare al filo di speranza che lui le stava facendo oscillare davanti al naso. «Quando mangio una peperonata vengo assalito da giganteschi e terrificanti draghi che in genere stanno ancora banchettando con i miei intestini nel momento in cui mi sveglio. Ti assicuro che sembra tutto molto reale...» La informò con una smorfia. «E’ disgustoso.» «Lo diventa ancora di più quando riesco a digerirla.» «Ma che schifo!» «Che delusione - si lamentò con studiata leggerezza, sorridendole in modo malizioso - ed io che speravo avessi sognato ben altro.» «Ad esempio?» Inarcò il bacino ed estrasse dalla tasca dei pantaloni il suo asso nella manica. Il foglietto protetto dal polimero. Glielo porse strizzandole un occhio e sospirando. Si gustò la sua reazione di sorpresa, seguita da curiosità ed infine lo sguardo inequivocabile che gli rivolse. Con un rapido gesto, accompagnato da un nuovo teatrale sospiro, le strappò il biglietto dalle mani e si alzò, riponendolo nella tasca. «Vado a farmi una doccia fredda - la informò incamminandosi verso la sua stanza, fingendo completo disinteresse - non chiudo mai la porta. Semmai volessi verificare la veridicità del tuo appunto... e se sei di buon umore, considerati libera di unirti a me.» Camminò lentamente, con tutti i sensi concentrati su di lei. Se non avesse abboccato al suo amo avrebbe dovuto escogitare qualcosa di diverso per - 48 -
distrarla e non aveva la più pallida idea di cosa inventarsi. Angoscia, paura e preoccupazione in quel momento lo scuotevano come una bandiera esposta ad un uragano. Aveva soltanto voglia di piangere e urlare, ma da guerriero e monaco aveva imparato ad azzerare le emozioni. Non avrebbe ceduto, non poteva farlo. “Resta calmo e tienila tranquilla. Tu le piaci anche quando non se lo ricorda. E’ la tua unica risorsa. Usala.” Entrò nella sua camera lasciando la porta spalancata. Fece lo stesso con quella del bagno. Il suo udito potenziato identificò il momento esatto in cui Shara si alzò dal divano. Il cuore gli si fermò in gola mentre si toglieva la maglietta e le scarpe. Se il suono dei suoi passi si fosse allontanato avrebbe dovuto rincorrerla, ma se fosse arrivata e non l’avesse visto nudo, si sarebbe insospettita. Così sfilò anche i pantaloni, ma riprese a respirare solo nell’istante in cui il rumore impercettibile dei suoi piedi nudi sul pavimento gli confermò che si stava avvicinando. Aprì il getto dell’acqua ed entrò nella cabina della doccia, senza neanche voltarsi. «Sei caduto in un tritacarne da piccolo?» Il suo tono era burbero, ma la voce tradiva eccitazione. Chiaro sorrise soddisfatto e sollevato. Grazie agli dei il suo corpo le piaceva ancora. «In genere mi paragoni ad una mozzarella tagliuzzata - rispose prendendo sulle mani una dose abbondante di bagnoschiuma e voltandosi di scatto - e poi aggiungi che è il tuo latticino preferito, dopo di me.» «L’acqua non è fredda... latticino.» «Sono un inguaribile ottimista - commentò insaponandole la schiena e lo sei anche tu, visto che non potevi saperlo ma sei entrata lo stesso.» ~•~
Tredici ore di black out. «Maledizione! - sbottò Shara appena le tornò la memoria, dando voce alle paure che Chiaro si imponeva di non prendere in considerazione - sta andando più veloce. Troppo veloce. Non ce la faremo mai.» Seguì una sventagliata di imprecazioni che avrebbe fatto avvizzire un mazzo di fiori. «Posso farcela - mentì il guerriero cercando di rassicurarla - fino a che - 49 -
riesco a scatenare i tuoi appetiti sessuali ho sempre una valida arma a disposizione per tenerti impegnata.» «Non raccontarmi fesserie, Chiaro - lo ammonì con un lampo di rimprovero negli occhi - sei umano. Non puoi seriamente pensare di farmi fare sesso ininterrottamente per i prossimi trecento anni. E’ tecnicamente impossibile... perfino per te.» «Potrei anche offendermi per una simile scarsa considerazione.» Rispose fingendosi offeso. «Sei esasperante.» «Anche tu.» «Vorrei parlare seriamente, se non ti dispiace.» «Hai ricordato un sogno - la informò cercando di deviare il discorso senza dare troppo nell’occhio - una donna con una testa gigante che ti faceva test medici in una sala operatoria, o roba del genere. Eri immobilizzata con dei cinghiaggi.» «Non ricordo il sogno - ammise incupendosi ancora di più - e per la prima volta anche quello che è successo da quando mi sono svegliata fino ad ora mi appare piuttosto confuso. Significa che il mio cervello sta iniziando ad intaccare la memoria a breve termine.» «Sembra una pessima notizia.» Constatò lui tenendo la testa bassa ed alzando solo gli occhi, per incontrare i suoi. «Lo è. Speravo di avere almeno altri cento anni a disposizione prima di arrivare a questo - ammise prendendosi la testa tra le mani - la donna con la testa gigante è reale, è una scienziata mia amica. Quello che ti ho raccontato non era un sogno. Si trattava sicuramente del ricordo di una delle procedure che abbiamo sperimentato per ritardare il decorso della mia malattia. Alcune furono piuttosto dolorose e traumatiche. Purtroppo la maggior parte sono... perdute.» «Quindi, se ho capito bene, un ricordo già perduto è tornato in un sogno? Ed è rimasto durante il black out per poi sparire di nuovo?» «E’ così.» «Non potrebbe essere una buona notizia?» «Sì, se fosse accaduto solo quello - confermò alzando un dito - ma le due cose abbinate, la storia del sogno e la mancata permanenza dei ricordi di quanto avvenuto in fase di black out, senza neanche l’innesco - 50 -
del sonno... non mi fanno ben sperare. Bisogna essere realistici, raggio di Luna. Sto peggiorando velocemente... troppo velocemente.» Chiaro represse il fiume di imprecazioni che sentiva affiorargli sulle labbra e si sforzò di sorriderle: «Ti porterò là, Shara. Anche a costo di sedarti e caricarti in spalla, sarai davanti a quel cazzo di ospedale fra trecento anni.» «So che lo farai - gli rispose prendendogli la mano e stringendola - e riguardo ai sedativi... è ora di procurarcene. Potrei diventare violenta ed ingestibile. Devi essere preparato. Sono più forte di quanto tu possa immaginare, per via della parte Danui nel mio sangue. Non sottovalutarmi. Potrebbe costarti la vita.» «Non mi sembra una buona idea quella di drogare un cervello incasinato, ma il dottore sei tu. Cosa dovrei darti?» «Marijuana, non le foglie ma i fiori femminili essiccati. Ma dovresti farmela fumare.» «Convincerti a farti una canna mentre sei preda di un attacco di ira violenta? Mi sembra poco praticabile. E se ti mettessi delle gocce nel caffè? Ad esempio un cocktail di tintura madre di belladonna, melissa, valeriana, passiflora, biancospino e sambuco?» «Mi accorgerei del sapore. Ho il senso del gusto molto sviluppato. Meglio un estratto di kavalattoni in alta concentrazione.» «Che diavolo sono i kavalattoni?» «Le sostanze attive contenute nelle radici e nel rizoma di una pianta parente stretta del pepe. Roba polinesiana. Si chiama Kava kava. La versione liquida è insapore. Una puntura e divento un agnellino.» «Non sarà un problema.» «Non esserne così sicuro.» «Sei uno scricciolo ed io sono un guerriero addestrato. Farti una puntura non è l’impresa più difficile che io abbia affrontato.» «Non sottovalutarmi. Sono mezza Danui e questo mi assicura una forza fisica sorprendente. Sono una scienziata e sono più vecchia di te, il che mi rende intelligente e scaltra. Fuggo e mi nascondo da migliaia di anni e questo ha stimolato molto il mio essere sospettosa.» «Lo so. Stai tranquilla. Sono sicuro di poterti fare un’iniezione. Mi spaventeresti di più se mi chiedessi di spuntarla in un confronto col tuo ca- 51 -
ratteraccio.» «Non mi stai prendendo sul serio. Se ti vedessi tirar fuori dalla tasca una siringa potrei pensare che sei una minaccia per me. Diventerò paranoica e pericolosa, Chiaro, è la verità dei fatti nuda e cruda. Ignorarla non la renderà meno concreta, al contrario potrebbe essere molto rischioso per entrambi.» «Non mi piace l’idea di costringerti a fare qualcosa.» «Devi essere preparato. Quel giorno arriverà. Sarà necessario scoprire quale è la dose minima efficace per me, finché posso essere in grado di collaborare, quindi mentre sono lucida.» «Un’indicazione nei tuoi biglietti? Qualcosa del tipo: a volte diventi violenta, in quei casi il tuo amico Chiaro ti fa un’iniezione, prima o dopo il sesso fantastico?» «Potrei iniziare a non fidarmi dei biglietti. Il riferimento ad iniezioni potrebbe scatenare reazioni imprevedibili per via delle associazioni inconsce con i test e le procedure mediche a cui mi sono sottoposta in passato. Quel sogno specifico deve metterci in allarme, in tal senso.» «Andiamo a fare una passeggiata?» Le propose lui tendendole la mano. «No. Tu vai a fare una passeggiata. Ho almeno quattro ore di lucidità prima che la stanchezza prenda il sopravvento. Ti serve una pausa da tutto questo. Soprattutto da me. Togliti dai piedi per quattro ore.» «Non voglio lasciarti sola, quando sei lucida.» «Ma non puoi farlo quando non lo sono. E so che mi vegli mentre dormo. Esci da qui, fai un giro, trova una ragazza, scopatela. Fai quello che faresti se non mi conoscessi. Qualsiasi cosa sia.» «Sei esasperante - grugnì dandole un bacio su una guancia - tornerò tra un’ora e porterò qualcosa di sfizioso da mangiare. Vuoi che mi procuri anche della marijuana?» «Quanto è brutta la situazione di notte?» «Abbastanza da mandare a puttane tutte le attenzioni a non farti provare emozioni forti quando sei sveglia.» «Allora sì. Cerca di reperirne. Inizierò a fumarla prima di andare a dormire, vediamo se riusciamo ad attenuare quel che succede dopo. Anche un non peggioramento va inteso come un miglioramento. Ti aspetto fra tre ore. Nel frattempo ordino il sedativo in rete.» - 52 -
«Tornerò tra un’ora, indipendentemente da qualsiasi cosa tu dica e faccia.» Con uno sbuffo si avviò verso la porta. «Chiaro?» «Mmm?» Si era bloccato sulla soglia. «Grazie.» Non le rispose e non si voltò. Si limitò ad alzare una mano in un gesto di noncuranza ed uscì. Lei aveva ragione. Gli serviva una pausa. Un momento di solitudine. Ma non per distaccarsi da lei o dalla situazione. Aveva bisogno di gridare agli dei la sua frustrazione. Di imprecare in lingue che gli uomini non sentivano più pronunciare da migliaia di anni. Di maledire il destino, che si stava accanendo in quel modo crudele contro una creatura così fiera ed altruista, così generosa, dura e fragile al tempo stesso. Le lacrime iniziarono a scorrere sulla sua pelle di neve. Era di questo che aveva bisogno. Piangere senza che lei lo vedesse. Non poteva mostrarle la sua sofferenza. Shara era terrorizzata, la sua corazza si stava sgretolando. Aveva bisogno dell’amico guerriero, dei suoi nervi saldi, della sua allegria e soprattutto del suo coraggio. Non poteva deluderla o sarebbero crollati entrambi. Dove diavolo erano i Danui? Avrebbero potuto aiutarla? Avrebbe potuto il grande Ptharis inventare un qualche intruglio per lei? Aveva salvato il mondo intero, per lui sarebbe stato uno scherzo guarirla. O no? Trecento anni ancora... “Dei, se ci siete davvero... se non siete solo un mito costruito sulla storia dei Danui, allora fatemi trovare un modo per aiutarla oppure datemi tutta la forza che mi occorre per andare avanti.” In quel momento una grossa stella cadente comparve nel cielo e si tuffò lentamente all’orizzonte, davanti ai suoi occhi. Un raro bolide delle Chi Scorpidi. Le labbra di Chiaro si piegarono in un sorriso di speranza. ~•~
Quadrante 166 (Ardea), settembre 2557
Granuli di asfalto, schegge e sassi le si conficcavano nei piedi nudi, mentre correva più veloce del vento. Il cuore le martellava nel petto. Ancora poche centinaia di metri e ce l’avrebbe fatta. Doveva farcela. Vedeva - 53 -
scorrere il paesaggio rapidissimo, il vento e lo spostamento d’aria le martellavano il viso. “Come faccio ad essere così veloce? Sto andando ad almeno 50 chilometri orari. Nessuno può farlo. Sono esile e non ho muscoli. E’ impossibile. Che mi hanno fatto?” Manipolazione genetica. Non c’era altra spiegazione. L’essere alieno con la testa enorme le aveva iniettato sostanze ed effettuato chissà quali esperimenti. Ed ora l’uomo albino la inseguiva. Correva veloce quanto lei. Non era umano. «Shara! Dannazione fermati - la voce era vicina, troppo vicina - per gli dei sono tuo amico! Amico!» Mentiva. Si era finto suo amico per poterle iniettare chissà quale sostanza. Ma lei non ci era cascata. C’era qualcosa di strano nel suo sguardo. Occhi viola. Le nascondeva delle informazioni. E poi aveva ricordato chiaramente alcuni frammenti di episodi significativi. Un’immagine di lui che la legava con orribili cinghie al letto. In un’altra le iniettava a forza un farmaco. In altre abusava di lei. C’erano delle scene erotiche, confuse, ma non al punto da non capire che facevano sesso. Lei sembrava consenziente, ma ovviamente doveva essere un effetto della droga. Lui la teneva prigioniera. La legava, la drogava. Quando non doveva essere sottoposta ai terribili esperimenti dell’essere alieno con la testa enorme, lui abusava di lei. Occhi viola. Le stavano friggendo il cervello. Stava impazzendo. Ma era riuscita a fuggire, finalmente. Pochi metri la separavano dalla stazione di teletrasporto. Pochi metri ancora e sarebbe stata salva. Si sarebbe nascosta ed avrebbe atteso che l’effetto delle droghe nel suo corpo fosse svanito. A quel punto avrebbe sicuramente ricordato ogni cosa. Un peso massiccio la scaraventò violentemente a terra, gli avambracci le scattarono avanti per attutire il colpo, neanche avvertì la fitta di dolore quando i sassi le si conficcarono nella pelle. Si divincolò con tutte le sue forze, si contorse come un felino fino a che riuscì a voltarsi sulla schiena. A quel punto con una potente ginocchiata centrò i testicoli dell’albino. «Dannata sia la tua mira!» Si lamentò il suo sequestratore con la voce strozzata, ma non mollò la presa. Senza che lei capisse come le bloccò gambe, tronco e mani. Non solo la schiacciava a terra col suo corpo, l’aveva anche afferrata in punti specifici ed in modo tale che appena tentava un movimento le sue articolazioni entravano dolorosamente in leva. - 54 -
«Come cazzo hai fatto? - gridò stizzita - non ce l’hai le palle?» «Sono stato un monaco tibetano per secoli - le disse incombendo con la testa sulla sua e folgorandola con i suoi occhi viola - e prima ancora un guerriero. Sono stato ferito a morte in varie occasioni, Shara, so come resistere ed anche come controllare il dolore.» «Perché? Perché mi stai facendo questo?» L’albino pronunciò una serie di frasi incomprensibili, ma dal tono della voce era evidente che stesse imprecando. «Maledizione, Shara. Non sono tuo nemico. Tu soffri di vuoti di memoria. Non posso lasciarti scappare via durante un black out e nel pieno di una crisi paranoide, cazzo.» «Siete voi che mi drogate e me li fate venire. Tu e lei... tu e quell’aliena con la testa enorme. Cosa mi avete dato? Che volete da me?» Lo guardò con tutto l’odio di cui fu capace, ma nei suoi occhi viola lesse... dolore. Occhi viola. Tristi e lucidi. Forse l’albino aveva una coscienza. Forse poteva intenerirlo. «Non sembri cattivo, aiutami. Concedimi di fuggire. Non lasciarmi nelle sue mani. Non ho fatto niente. Non voglio essere torturata. Mi fa cose terribili. Ti prego, ti supplico! Lasciami andare.» «Novantasei anni... per gli dei... non ce la farò mai!» Gemette lui poggiandole la fronte sullo sterno. «Che cazzo dici?» «Il nome Calasir ti è familiare?» Le chiese, ignorando la sua domanda e guardandola negli occhi... occhi viola. «Calasir?» Come faceva lui a conoscere la sua amica? Loro la spiavano. Non c’era altra spiegazione. Le avevano fatto del male? Calasir era stata rapita? La tenevano prigioniera? «Calasir è morta molto tempo fa, ma ti diceva una cosa, a proposito di qualcuno che ti avrebbe aiutato - la presa era salda, ma il tono della sua voce era dolce - guarda i miei occhi, Shara.» «Vai al diavolo - abbaiò lei puntandogli addosso uno sguardo truce - tu mi droghi e mi tieni legata.» Perché quegli occhi viola erano così tristi? Che senso aveva? E perché lui voleva che li guardasse? Ipnosi? Voleva ipnotizzarla? «Io sono Chiaro e sono tuo amico - le mormorò mentre una lacrima scendeva dal suo viso e cadeva su quello di lei - sei gravemente malata, ti somministro i farmaci che tu prescrivi a te stessa. Sei un medico. E ti - 55 -
lego solo quando potresti farti male. Siamo amici da cinquecento anni.» «Questo non è possibile.» «Entrambi non invecchiamo come i normali esseri umani. Io ho più di quarantamila anni, tu sei più vecchia di me. Calasir è morta più di duemila anni fa.» Una nuova lacrima cadde su di lei. «Stai giocando con la mia mente. Maledetto stronzo!» «Avanti, usa il cervello. Sei una scienziata e sei molto sveglia. Com’è vestita l’aliena con la testa enorme? Non con un camice medico, vero?» Effettivamente l’essere indossava un abito di stoffa leggerissima, cucito, drappeggiato e ricamato d’oro sulle spalle. Sull’enorme testa c’era una complicata acconciatura. Anche i suoi assistenti vestivano allo stesso modo. Il suo silenzio parve incoraggiare l’albino a continuare. In quegli strani occhi viola comparve una luce di speranza. «Cosa ti diceva Calasir? Dove devi essere prima dell’eclissi anulare del 12 dicembre del 2653 e chi ti aiuterà ad esserci?» «Il destino porrà sulla tua strada un aiuto, avrà gli occhi viola come i tuoi.» Le parole della sua vecchia amica le affiorarono sulle labbra prima che riuscisse a fermarle. Capelli rosso fuoco... una dolcezza ed una forza senza pari. L’immagine fece breccia nel suo cervello. La nebbia della crisi psicotica si diradò. Fissò il volto sconvolto del suo amico. Amico! Chiaro aveva gli occhi lucidi, le guance bianchissime erano rigate di lacrime. Lo sguardo sembrava disperato. Shara ingoiò il cespuglio spinoso che sentì formarsi in gola e si sforzò di sorridere: «E’ stata così brutta? Dalla tua faccia sembrerebbe proprio di sì.» «Shara?» La voce di Chiaro tremò, i suoi occhi si dilatarono di speranza, ma tenne ben salda la presa. «I sassi dietro la schiena mi danno fastidio, raggio di Luna - lo informò fingendosi offesa e spazientita - potevi anche dirmelo che avevi delle fantasie bondage represse.» «Quando ti ho sedotto per la prima volta?» Le domandò scrutandola perplesso. Era cauto quanto furbo. Lo era sempre. Non sarebbe sopravvissuto a tutte quelle ferite se non lo fosse stato. «Ti ho sedotto io. Accettando un caffè, nel 2040 - rispose fingendosi esasperata - almeno hai intenzione di fare qualcosa di interessante o la tua fantasia erotica prevede semplicemente di startene fermo e vestito sopra - 56 -
di me mentre mi immobilizzi?» «Per gli dei sei tornata davvero - esclamò lui liberandola immediatamente e scattando in piedi come una molla - non sai quanto ne sia felice!» Aggiunse tendendole le mani. Appena l’ebbe aiutata a rialzarsi l’abbracciò e la strinse così forte fino a quasi toglierle il respiro. «E’ stata così brutta come sembra?» Chiese di nuovo lei, lasciandosi cullare contro il suo petto come una bambina. «Sei tornata. Sei qui. Sei in salvo. Il resto passa in secondo piano.» La tenne ancora stretta per un po’, le baciò i capelli e poi la lasciò andare bruscamente. Le voltò le spalle e si accucciò: «Salta su - la invitò facendo sporgere le braccia all’indietro - sei scalza, ti sanguinano i piedi, hai delle brutte escoriazioni sugli avambracci ed hai corso come uno struzzo per più di due chilometri.» «Non mi porti in braccio come una principessa?» Lo canzonò abbracciandogli il collo e lasciandosi afferrare le gambe, fino a che non fu comodamente sistemata sulla sua schiena. «Non ci penso proprio - le rispose con un grugnito - visto che mi hai dato un calcio nelle palle, ti trasporterò come uno zaino. Se provi a protestare ti isso in spalla come una bisaccia, col sedere davanti, in modo da poterti sculacciare ad ogni passo.» «Allora non protesterò - annunciò scoppiando a ridere, poi tornò seria quanto è stata brutta?» «Sei stata via cinquantadue ore consecutive - la informò dopo un silenzio che le parve interminabile - hai mescolato frammenti di ricordi diversi in un unico cocktail paranoico, al quale hai dato un senso ed una coerenza. Mi hai inserito in quel contesto. Anche i biglietti. Mi hai aggredito ed io ti ho immobilizzata. Sei andata in crisi isterica. Ti ho sedata con una dose che avrebbe steso un elefante - fece una pausa e si schiarì la voce - ti sei ripresa dopo appena due ore, hai finto di dormire ed hai atteso che andassi in bagno. A quel punto sei fuggita dalla finestra del terzo piano, deformando le sbarre, neanche fossero state di cartapesta... cazzo! Ti sei calata lungo le tubazioni e poi sei saltata giù, correndo il rischio di romperti l’osso del collo.» «Ho molta più forza di un’umana - gli ricordò deponendogli un bacio sul collo - e l’adrenalina può amplificarla.» - 57 -
«Ringraziando gli dei, non sei caduta ed hai fatto rumore - continuò a raccontare sbuffando - ti ho rincorsa. Ti ho presa. Mi hai dato un calcio nelle palle, facendomele ingoiare. Ho tenuto la presa. Ho provato a parlarti. Sei tornata. Ricordi niente?» «Solo il tuo corpo sopra al mio - rispose soffiandogli nell’orecchio - ma non per il motivo che avrei preferito.» «Anche io preferirei starti sopra solo per altri motivi - commentò ridacchiando - ed anche i miei testicoli concordano con entusiasmo.» «Non ce la faremo mai - si lamentò Shara emettendo un lungo sospiro ancora novantasei anni... sono troppi... perfino per un ex monaco tibetano votato al sacrificio estremo.» «Sarai dove devi essere - la zittì bruscamente - ti porterò lì fra novantasei anni. Quando sarai guarita mi cercherai e sarai tu che aiuterai me a guarire, perché mi dovrai un grosso favore. Non per quello che ho fatto - precisò quasi grugnendo - ma per i tre calci nelle palle che mi hai rifilato fino ad ora. E’ un miracolo che le abbia ancora. Fine della conversazione.» «Chiaro?» «Mmm?» «Fermati un attimo e lasciami camminare.» Si bloccò all’istante, allarmato dal tono della sua voce. La fece mettere in piedi e si voltò con la rapidità di un fulmine: «Che c’è?» «Ho troppo sonno - si lamentò angosciata - rischio di addormentarmi prima che arriviamo a casa.» «Non dormi da 52 ore - le rispose chiudendo gli occhi e facendo una smorfia frustrata - il sedativo ti ha calmata ma non addormentata. Hai bisogno di riposare e di sicuro non puoi camminare, non con quelle ferite ai piedi.» «Non voglio addormentarmi adesso - obiettò imbronciata - non dopo quello che ti ho fatto passare.» La ignorò e la prese in braccio, stavolta nel modo più consueto. «Sei un po’ troppo egocentrica piccola seduttrice - la rimproverò mentre le dava un bacio sulla fronte - un po’ di jogging è solo allenamento leggero. E sebbene tu mi abbia avvisato mille volte di non sottovalutarti, continuo a farlo. Il mio comandante mi avrebbe frustato a sangue se avessi com- 58 -
messo un errore tattico del genere... per più di una volta... Un calcio nelle palle è il minimo che mi sono meritato.» «Non è colpa tua - lo rassicurò lottando per non chiudere gli occhi - mi sono allenata per migliaia di anni a fuggire e non farmi trovare. Sono molto più forte di un’umana e... ho comunque le capacità di elaborazione di una scienziata... anche quando la pazzia prende il sopravvento.» «Lo so. E’ parte del tuo fascino e compensa la scarsità delle tette.» «Chiaro?» «Mmm?» «Lo sai che devi legarmi appena mi metti a letto, vero?» «Non se ne parla. Ti lego solo se e quando non riesco a gestirti. E’ qualcosa che non mi piace e ti terrorizza.» «Siamo già a quel punto, non sono più gestibile.» «Non è vero.» «Sì, invece.» «Sorveglianza a vista. Devo solo essere più attento.» «Non puoi pensare di riuscire a non perdermi di vista per tutto il tempo che sono in black out.» «Chi lo dice?» «La logica e la fisiologia.» «Gli stessi motivi per cui non puoi stare legata per tutto il tempo che sei in black out - replicò lui fermandosi e puntando gli occhi nei suoi e aggiungi anche l’amicizia. Non lo farò a meno che non diventi l’unico modo possibile di gestirti. Argomento chiuso.» «Mi dispiace torturarti così.» «Aumentiamo la marijuana e aggiungiamo qualche tisana fortemente rilassante. Non preoccuparti del resto. Ci sono io per quello. Va bene?» Shara annuì, quindi si sporse e lo baciò «Grazie.» «Siamo quasi arrivati - annunciò schiarendosi la gola - forse riusciamo a raggiungere casa prima che ti addormenti. Cosa ti tiene sveglia?» «Nulla che si possa fare camminando, purtroppo, per quanto mi sforzi di immaginarlo.» Finalmente lui rise, poi la guardò commosso: «Mi sei mancata.» «Vorrei non avere così tanto sonno.» «Vorrei essere abbronzato.» - 59 -
«Saresti meno carino.» «Davvero?» «In Mesopotamia, a Sumer, le persone con la pelle ed i capelli come i tuoi erano considerate sacre alla Luna ed esteticamente bellissime mormorò allungando una mano per carezzargli il viso - uomini e donne venivano contesi come consorti dai più nobili, perfino da re e regine.» «E’ per questo che mi trovi così irresistibile?» «Forse - rispose ridacchiando, poi tornò seria - devi legarmi.» «Non apprezzo il bondage, piccola seduttrice. Non c’è altro da dire.» «Sei testardo come un mulo.» «Senti chi parla.» «Potrei ucciderti.» «Non è tanto facile. Ne porto le prove sul corpo.» «Invece lo è, se non mi consideri in grado di farlo. Vorrei che la situazione fosse diversa, raggio di Luna, vorrei essere una ragazza comune, che vive una vita normale. Vorrei non darti tutti questi problemi.» «Saresti meno interessante. Non saresti tu - le rispose continuando a camminare - e non dovresti neanche pensarlo.» «Perché? - volle sapere incuriosita - non ti è mai capitato di evadere mentalmente immaginandoti diverso... più ordinario?» «L’ho desiderato con tutte le mie forze, quando mi svegliai e scoprii di essere albino, oltre che smemorato. Mi guardavano come fossi un mostro, erano gentili, mi avevano salvato la vita, ma non si fidavano. Restai un escluso fino a quando non accettai me stesso e trasformai i miei punti di debolezza in forza.» «Come hai fatto? - domandò sgranando gli occhi - racconta!» «Visto che sono così bianco da sembrare un cadavere, ho deciso di accentuare questo effetto. Ho iniziato a cerchiarmi gli occhi di nero e tingermi le labbra di viola. Ho intrecciato nei miei capelli monili ricavati da ossa traforate e campanelli come quelli della dea della morte. Sembravo un morto vivente... uno zombie, come si direbbe oggi...» «E perché?» «Ero un guerriero. Terrorizzare i nemici prima ancora di iniziare a combattere era molto utile. Vedermi così e coperto di sangue, non mio in genere, mi dava un vantaggio fantastico.» - 60 -
«E funzionò? Anche fuori dal campo di battaglia?» «Egregiamente. Divenni famoso, leggendario. Lo Spettro. Il Guerriero Spettrale. Le mie abilità belliche sfondarono il muro della diversità. I commilitoni mi accettarono e divennero i miei migliori amici. Ma il primo passo fu il mio. Se avessi continuato a sognare di essere come loro... sarei sempre rimasto un diverso, un povero albino emarginato.» «Mi stai suggerendo, implicitamente, di accettare la mia condizione e smettere di combatterla?» «No. Anche il tuo spirito di guerriero è parte di te. Questa tua lotta contro il male che ti affligge è nel tuo destino, o Calasir ti avrebbe dissuasa dal procedere. Quel che ti sto suggerendo è di non desiderare mai di essere qualcuno che non sei. La tua forza più grande è insita in ciò che percepisci come il tuo maggior punto debole. Questa è la prima lezione che ho imparato all’inizio della mia nuova vita. Tu sei Shara ed è la tua diversità a renderti speciale, unica.» «Non è un discorso romantico questo, vero?» «Oh per gli dei! - sbottò esasperato, varcando l’ingresso di casa - finirai mai di mettere alla prova la mia pazienza con questa storia? No, Shara. Questo non è un discorso romantico.» «Fa parte di ciò che sono. Devi accettarlo.» «Bel tentativo, ma resti una rompipalle lo stesso. Non farmelo ripetere più. Non sei la donna della mia vita. Non sono innamorato di te. Sei un’amica e ti voglio bene - il tono era esasperato, poi piegò le labbra in un sorriso impertinente ed aggiunse - a dispetto del caratteraccio!» «Bene. Ora, quando mi metti a letto, tieni bene a mente che sono un’irritante rompipalle e legami con le cinghie, di quelle che non possa spezzare, possibilmente...» «Shara?» «Sì?» «Vaffanculo.» «Non posso, mi manca lo strumento primario - obiettò ridendo - ma tu ce l’hai, quindi accomodati.» «Perché ti sopporto?» «Perché continui a ripetere che siamo amici, suppongo, e perché sono molto... molto sexy.» - 61 -
«Vere entrambe le cose.» «Non saresti restato con me se fossi stata brutta?» «La tua avvenenza si limita a compensare a malapena il caratteraccio - sentenziò con noncuranza - il resto lo fa l’amicizia. Non ti montare la testa, piccola rompiscatole.» «Apprezzo la tua schiettezza.» «Ti piace anche il mio fascino etereo da mozzarella tagliuzzata - replicò deponendola sul divano - ora fammi curare quei poveri piedi martoriati. Hai anche un brutto taglio che sanguina sulla caviglia. Sembra profondo. Resterà una cicatrice.» «Finalmente ne avrò una anche io! Mi renderà più sexy, non trovi?» «Poi mi occuperò delle braccia, delle mani e delle ginocchia - proseguì fulminandola con gli occhi, quindi le carezzò una guancia e si scostò mi dispiace, è colpa mia se ti sei ferita fuggendo e non mi perdono le escoriazioni, ma non c’era modo di bloccarti senza farti del male.» «No.» Si era già incamminato per prendere il kit medico, si voltò e la guardò accigliato: «Come sarebbe a dire no?» «Puoi curarmi le ferite mentre dormo. Dopo avermi legata. Mi resta poca autonomia e non mi va di passare questi minuti a vederti maneggiarmi i piedi. Guariranno comunque molto in fretta anche se non fai niente, quindi torna qui e restami accanto.» «Facciamo così - le rispose riprendendo a camminare per procurarsi il materiale necessario a medicarla - tu impegnati a restare sveglia, dopo averti pulito e trattato le ferite sarò lieto di farti rimangiare quello che hai appena detto. Ci sono una serie di punti erogeni proprio nella zona dei piedi. Sarà un onore farteli scoprire.» «Solo se mi dai la tua parola che mi legherai, dopo.» «Hai perso un’occasione - tornò con il kit ed iniziò ad armeggiare con le sue ferite - peggio per te.» «Sei intrattabile.» «No. Sono solo più cocciuto di te, se decido di non dartela vinta.» ~•~
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Quadrante 166 (Ardea), novembre 2653
Mise a fuoco il soffitto... era in cucina. C’era uno strano odore... le ci volle un po’ ma lo identificò: sangue. Avvertiva anche un inquietante senso di umido e viscido sotto di sé. Panico. Sgranò gli occhi e si guardò intorno. Lui era a soli due metri di distanza, riverso in terra, steso sulla schiena, completamente immobile, gli occhi chiusi. Una chiazza vermiglia si allargava dal suo corpo candido. Gli spuntava l’impugnatura di un coltello da cucina dalla coscia sinistra ed aveva una forchetta piantata sulla faccia. La scarica di adrenalina la folgorò. Con uno scatto si avventò su di lui. «Per gli dei, Chiaro! Che cazzo ho fatto! Chiaro!» Respirava ancora, constatò con immenso sollievo, ma aveva perso troppo sangue e l’emorragia proseguiva con la violenza di una fontana. Il liquido vitale zampillava dalla coscia. «Sono un medico, cazzo - gridò per farsi coraggio, mentre con gesti rapidi ed esperti gli sfilava la cintura dei pantaloni e la usava come laccio emostatico - e tu non morirai! Non azzardarti!» Corse in bagno, attenta a non scivolare sul sangue, e tornò con il kit medico, un nuovo veloce viaggio e scaricò in terra tutti gli asciugamani che riuscì a trovare. Lo coprì e creò un tappeto su cui muoversi. Tagliò i pantaloni e si occupò della ferita alla gamba. «Ho centrato l’arteria femorale, maledizione - grugnì imprecando, mentre riparava il danno primario - è un miracolo che tu sia vivo, cazzo!» «Non... non è - la voce flebile di lui la distrasse per un attimo, mentre finiva di ricucirlo - non è... così... facile... uccidermi...» «Ciò nonostante ci sono quasi riuscita, raggio di Luna - gli urlò frustrata, passando ad occuparsi della ferita al volto - e ti ho anche sfregiato la faccia. Merda! Resterà un cicatrice.» «La aggiungo ad una... collezione... già ricca.» Per gli dei com’era debole la sua voce. «Non parlare, hai una forchetta piantata in una guancia. Cazzo!» Ferita superficiale, nessun danno ai denti. Shara imprecò ancora. Pochi centimetri indietro e gli avrebbe danneggiato l’articolazione della mascella in modo permanente, ancora un po’ più in là c’era l’orecchio, l’avesse colpito lì sarebbe morto. In realtà doveva già essere un cadavere. Il - 63 -
danno all’arteria femorale e la perdita di tutto quel sangue avrebbero dovuto ucciderlo in pochi minuti. Tagliò il resto dei suoi abiti e con molta cautela lo denudò. Se avesse avuto altre ferite importanti, anche la semplice rimozione di quei tessuti che le tamponavano avrebbe potuto causare nuove emorragie. «Vediamo che altro ti ho fatto.» «E’ tutto... qui - le mormorò sorridendo - solo questi... due graffietti.» Verificò in ogni caso, sapeva benissimo che lui le mentiva o indorava la verità, quando pensava che i fatti nudi e crudi l’avrebbero fatta agitare. Esaminò quindi con attenzione maniacale ogni centimetro del suo corpo bianco come la neve. «Tutto a posto, ringraziando gli dei!» Annunciò sentendosi immensamente più leggera. «Credevo... te ne fossi già accorta in... tutti questi... anni.» Le rispose riuscendo perfino a mostrarle un’espressione maliziosa. La voce era meno flebile, constatò Shara, era un buon segno. «Scherzerò di nuovo con te quando sarò certa che non morirai.» Lo informò alzandosi ed incamminandosi rapidamente verso il bagno. Tornò con altri asciugamani, quindi si procurò una pentola d’acqua. Lo ripulì nel modo più accurato possibile, quando fu soddisfatta del risultato lo prese in braccio e si avviò verso il divano. «Fa una certa impressione - le disse in tono divertito - sei un elfo... e stai trasportando un uomo... alto quasi due metri... senza neanche una smorfia di sforzo.» «Ho sangue Danui nelle vene - replicò lei tagliente, mentre lo adagiava sdraiato - dovresti aver capito, a tue spese, quanto io sia forte.» «Non torturarti così - la pregò, afferrandole un braccio con una presa debole ma decisa, la mano era gelida - non eri in te.» «Ti ho quasi ucciso, cazzo! La ferita alla coscia era letale. Ancora non capisco come cazzo sia possibile che tu sia sopravvissuto. Sei il mio unico amico, quello che si prende cura di me da sei secoli ed io ho provato ad ammazzarti! Mi torturo e come. Mi prenderei a bastonate se non fossi così preoccupata per te, in questo momento!» «Quarantamila anni fa - le spiegò carezzandole una guancia - mi hanno fatto bere... un intruglio Danui. Mi ha reso più forte ed in grado di guarire in modi che... appaiono miracolosi. Non posso neanche escludere - 64 -
che le ferite si sarebbero richiuse da sole.» «Un cazzo! La perdita di sangue era già letale e proseguiva. Se non l’avessi fermata saresti morto. Ed ora ti occorre rimpiazzare quello che è sul pavimento della cucina, prima che ti possa considerare fuori pericolo - replicò alzandosi e ricomparendo poco dopo con le braccia piene di coperte, plaid e trapunte - in questo momento ne hai in corpo la metà di quanto dovresti, forse anche di meno. Quanto pesi?» «Circa 80 chili, credo.» «Appunto. Dovresti essere morto e sei ancora in condizioni critiche. Urge una trasfusione. Chiamo i soccorsi.» Lo coprì accuratamente con tutto il materiale che aveva portato. Fece scorrere qualcosa di incredibilmente caldo in corrispondenza dei piedi. «Non serve - obiettò sorridendo, quasi estasiato alla sensazione di calore che tutta quella stoffa iniziava a trasmettergli - cos’è che mi hai messo sotto ai piedi?» «Una bottiglia piena d’acqua molto calda. Sei in ipotermia. Certo che serve chiamare i soccorsi. Non essere idiota.» «E’ fantastico - dichiarò rendendosi conto solo in quel momento di quanto avesse freddo - e non sono idiota. Nel frigo ci sono tre mie sacche di sangue pronte all’uso e tu sei un medico. C’è tutto quello che occorre e tu sai come usarlo.» «Stai facendo delle scorte?» «Me lo hai suggerito tu. Lo stiamo facendo entrambi. Per essere pronti... ad ogni evenienza.» Shara si diresse velocemente in cucina ed aprì il frigorifero. Trovò quattro sacche di sangue, prese le tre con l’etichetta che le identificava come appartenenti a Chiaro, lasciò la sua dov’era. Non sapeva se fossero compatibili e non poteva di certo rischiare. “Tre basteranno.” Si disse mentre allestiva un trespolo improvvisato accatastando i due sgabelli della cucina. Finalmente iniziò la trasfusione. “L’ho quasi ucciso, maledizione. Ma non accadrà più niente del genere. La mia vita non vale la sua. Sono una stronza egoista.” Gi controllò i parametri vitali e passò una mano sui suoi capelli bianchi. «Dove tieni i sedativi, raggio di Luna?» «In cassaforte.» - 65 -
«Come si apre?» «Con la chiave nella tasca dei miei pantaloni.. o di quello che ne resta. Cerca nei coriandoli, in cucina. A proposito, mi piacevano. Me ne devi comprare un paio uguali.» «A quale dosaggio siamo?» «Dieci volte la dose standard... ti rende una bambola inerme per cinque ore ma non ti fa dormire.» «Effetti collaterali?» «Nessuno, con tua grande meraviglia.» «Mai andato oltre questa dose?» «Se la raddoppio dormi per cinque ore e stai calma per altre cinque. Ma poi il black out dura di più. Quindi cerco di evitare, per quanto possibile.» «Quanto è durato l’ultimo?» «Due settimane.» «Quanta me ne avevi data?» «Dieci volte la standard.» «E la marijuana?» «E’ nel mobile del bagno.» «Quanta ne prendo?» «La brucio negli incensieri, mentre dormi. Attenua gli incubi. Prima di andare a dormire ne fumi più che puoi.» «Effetti collaterali? Dipendenza?» «Il tuo sangue Danui li evita, ma ne limita anche l’efficacia, come per il sedativo.» «Da quanto sono sveglia?» «Tredici ore.» «Quando è iniziato il delirio paranoide?» «Cinque ore fa.» «Come ti ho fregato?» «Fingendo di essere calma e gentile - le rispose divertito - ed ovviamente mi hai sedotto... con la solita prevedibile facilità.» Sospirò e chiuse gli occhi, le rughe sul suo viso dicevano chiaramente che pensava a qualcosa di piacevole. «Devo cominciare a dirti di no - aggiunse con una smorfia canzonatoria - e temo proprio che questo renda le cose meno - 66 -
interessanti.» «Che giorno è? Quanto ci manca?» «Il 2 novembre. Ormai deve essere una questione di giorni. Ti sto già portando lì ogni sera, quando ci riesco.» «Rispetto al momento in cui mi addormento, quanto resto tranquilla?» «Sei ore, se hai assunto una buona quantità di marijuana.» «Bene. Ora riposa. Sistemo il casino che ho combinato, mangio qualcosa e ti raggiungo.» «Ci sono i droni pulitori, basta azionarli - obiettò sorridendo - non serve che ti metta a pulire. Trova il telecomando, in cucina, e portamelo.» «Riescono a far sparire sangue dal pavimento e da un metro cubo di asciugamani?» «Senza particolari difficoltà ed in pochi minuti.» «Utile.» «E dimenticato... vero?» «Già... evidentemente sto perdendo anche i ricordi recenti, oltre a quelli vecchi. Ma ho un piano per non metterti più in pericolo. Vado ad attuarlo.» «Cosa vuoi fare?» «Solo quello che è necessario.» «Non mi piace quello sguardo e neanche quel tono.» «Problema tuo. Aspettami qui.» Tornò dopo una ventina di minuti, con il telecomando, un frullato di frutta, un bicchiere di vino rosso ed una bottiglia d’acqua. Dopo avergli fatto azionare i droni pulitori lo fece bere fino a che non la pregò di smettere o sarebbe annegato, a quel punto lo prese di nuovo in braccio e lo portò nella sua camera. «Questo letto è intatto - lo rimproverò dandogli un bacio sulla guancia - ci hai mai dormito?» «No. Io sono quello che dorme sul corridoio, dove ho provveduto a piazzare un apposito divano. Lo faccio per guardarti le gambe quando esci dalla tua camera, in genere dimentichi di vestirti.» «Tutti questi anni... - mormorò carezzandogli i capelli bianchi - ti ho strappato alla tua vita e costretto a sprofondare nel mio inferno personale. Non ti sei mai tirato indietro. Sei un angelo. E ti ho quasi ucciso.» «Sapevamo entrambi che sarebbe accaduto, prima o poi. Sono vivo. Sei - 67 -
viva. Ce l’abbiamo quasi fatta. Il resto non ha importanza.» «Perché?» «Perché l’unica cosa che conta è farti essere...» «Perché lo fai - lo interruppe sorridendo - perché ti sottoponi a tutti questi sacrifici, da seicento anni.» «Ti stancherai mai di chiedermelo? La risposta è sempre la stessa: io e te siamo amici, ricordi?» «Sì. Ma non basta a spiegare tutto questo.» «Non c’è altro... diversamente avrei trascorso seicento anni paralizzato, stando a quello che mi hai detto tu. E poi lo faccio con uno scopo personale. Mi hai promesso di ricambiare il favore.» «Già - annuì perplessa - quando sarò del tutto guarita ed avrò ritrovato ogni mio ricordo io ti cercherò per mantenere la mia promessa. Potrebbero volerci anni o secoli, ma lo farò. Ti do la mia parola.» «Avevo già la tua promessa.» «Questa è più forte. E’ la parola di una somma sacerdotessa, figlia di una dea e di un principe alieni.» «Sono impressionato - commentò alzando le sopracciglia - mi fai proprio impallidire!» Shara scoppiò a ridere. «Molto divertente!» «Stai un altro po’ con me e dimmi cosa hai intenzione di fare.» «Usare il mio sangue Danui ed i sedativi per mettere fine alla transizione. Siamo all’epilogo, è arrivato il momento.» «Transizione?» «Il cervello sta formattando un blocco alla volta, per riuscire ad assolvere tutte le sue funzioni, contemporaneamente prova a riparare il danno e recuperare i dati, perché questa è la sua programmazione primaria.» «Un conflitto tra due programmazioni opposte?» «Esattamente. Avrei solo voluto capirlo prima. Ti avrei reso le cose molto più semplici, perché è questo conflitto che probabilmente dilunga la fase transitoria e manda il cervello in blocco parziale. Con le conseguenze che conosci meglio di me.» «E come intendi forzare questa situazione?» «Con l’innesco del sonno. Me ne indurrò uno profondissimo, sulla soglia del coma. Quando mi sveglierò di nuovo la formattazione sarà termi- 68 -
nata. Niente più delirio, niente più incubi, niente più pulsioni violente e paranoidi. Qualche mal di testa, probabilmente, ma niente di paragonabile a quello che accuso abitualmente ogni mattina da un migliaio di anni. L’amnesia sarà totale e ricomincerò da capo. Sarà come nascere di nuovo. Esattamente come Calasir aveva previsto che sarei giunta al mio appuntamento.» «Quindi non tornerai più in te - dedusse con la voce un po’ incrinata questa è l’ultima volta che ci parliamo.» «Esatto.» «E potrai ricominciare una nuova vita?» «E’ la mia teoria. La memoria breve potrebbe impiegare alcuni giorni a stabilizzarsi. Un po’ come un elaboratore che ha bisogno di effettuare una serie di riavvii di sistema. Ma poi sarò stabile. Nella peggiore delle ipotesi, impiegherò altri 70.000 anni prima di tornare a questo punto. Ma spero proprio che non accadrà.» «Rischi?» «Il dottore sono io - chiuse il discorso, baciandolo di nuovo - il mio pallido angelo custode ora deve pensare solo a guarire. Quando ti sveglierai dovrai prenderti cura di una paziente in stato vegetativo temporaneo.» «Siamo attrezzati per questo.» «Quando mi sveglierò, condurrai la nuova Shara al suo appuntamento e poi volerai via. Sarai finalmente libero di tornare alla tua vita. Tuttavia voglio una tua promessa solenne.» «Qualunque cosa.» «Non cercherai mai i Nibiriani. Starai lontano dagli Anunnaki e dalla Mesopotamia. Fino a quando ci incontreremo di nuovo. La tua parola.» «Ti do la mia parola, anche se non so di cosa parli.» «Ripeti il giuramento.» «Giuro sul mio onore di guerriero di Ardit che starò lontano dalla Mesopotamia, dai Nibiriani e dagli Anunnaki e non li cercherò fino a quando ci incontreremo di nuovo. Soddisfatta?» «Sì.» «Hai intenzione di spiegarmi qualcosa?» «No.» - 69 -
«Mi mancherà questo tuo caratteraccio - le rispose sforzandosi di ridere - e mi mancherai tu.» «Anche se non lo saprò, se non ricorderò niente... da qualche parte un brandello di me continuerà a volerti bene - gli mormorò con gli occhi lucidi - non esistono parole sufficienti a dirti grazie per quello che hai fatto. Vorrei poterti dire che non lo dimenticherò mai, ma non posso. Ti dico che il mio debito con te non potrà mai essere sufficientemente ripagato. Mi mancherai, Chiaro.» Si chinò su di lui e lo baciò a lungo, incendiandogli il sangue. «Mi mancherà anche questo - aggiunse sorridendo - il modo in cui prendi fuoco appena mi avvicino a te. Addio amico mio.» «Addio Shara. Che gli dei veglino su di te, dal momento in cui a me non sarà più consentito farlo.» «Che veglino anche sui tuoi passi, raggio di Luna, e li guidino fino alla felicità che meriti più di qualsiasi altra persona in questo mondo. Ora riposa. Fra dieci ore sentirai un allarme. Fino a quel momento recupera le forze. Sarà un finale tranquillo e senza pericolo per la tua incolumità. Te lo prometto.» «Una seconda promessa, nello stesso giorno - la canzonò sforzandosi di trattenere le lacrime, mentre lei si alzava e gli voltava le spalle - ora impallidisco davvero.» «Abbi cura di te.» Mormorò lasciandolo solo. ~•~
Quadrante 166 (Ardea), 3 dicembre 2653
La ragazza con gli occhi viola si svegliò in una bella camera, piena di fiori e profumata di strane ma piacevoli spezie. Si alzò lentamente fino a mettersi seduta sul bordo del grande letto, combattendo contro un capogiro ed un violento senso di debolezza. Cercò di raccogliere le idee, ma non ci riuscì. La sua testa era vuota. “Guarda te stessa e osserva l’ambiente.” Si disse sospirando. Aveva un corpo minuto ed esile, mani ossute ed un ventre incavato, che in quel momento gorgheggiò rumorosamente. Aggrottò la fronte ed os- 70 -
servò il contesto, alla ricerca di risposte per domande che non riusciva neanche a formulare. Era completamente nuda ed aveva dormito su un letto attrezzato per un degente non autosufficiente. Sul comodino c’era una fila di flaconi, poco più in là si alzava un trespolo, da cui pendevano dei deflussori per fleboclisi. Il suo corpo era pulito e profumato. Lunghe ciocche nere si aprivano intorno a lei, erano lucide e ben pettinate. Aveva un ago cannula inserito nel braccio destro, lo estrasse lentamente. Un tubicino le usciva da in mezzo alle gambe, connesso ad un meccanismo che terminava in un sacchetto di raccolta delle urine. Con pochi gesti si liberò del drenaggio. Rimosse anche un analogo dispositivo di raccolta delle feci. Le sue mani si mossero automaticamente, come se sapessero cosa fare. Ripose il tutto nell’apposito distruttore, che trovò poco distante. “Sono malata e qualcuno mi accudisce con grande attenzione e competenza - riassunse cercando di inquadrare la situazione - i miei muscoli sono deboli, quindi sono immobile su questo letto da giorni. Sono stata idratata e nutrita artificialmente. Chi si prende cura di me porta dei fiori freschi e mi pettina i capelli. Lo ha fatto anche mentre ero incosciente. Denota affezione e rispetto. Non sembra tanto male.” Raggiunse con passo incerto un tavolino con un grande specchio. Lo stomaco brontolò di nuovo. L’immagine riflessa era di una ragazzina magrissima, con giganteschi occhi viola e lunghi capelli neri. Non si riconobbe. La sua attenzione fu catturata da un foglietto sul tavolino:
Soffri di amnesia. Sei stata in coma per alcuni giorni. In casa c’è un bel ragazzo, è albino. E’ il tuo assistente personale. Si prende cura di te e ti sopporta come un santo. Scrivi qualcosa qui sotto, così capirai di chi sono queste istruzioni. Quando hai fatto, poggia la mano sullo specchio. Trovò una penna e ricopiò l’ultima riga, riconoscendo immediatamente - 71 -
la sua scrittura. Poggiò quindi la mano sullo specchio. Una parte della superficie iniziò a mostrare una serie di immagini registrate di lei ed un ragazzo con i capelli bianchi, insieme. In alcune erano sulla spiaggia, in altre in mezzo al verde, ma nella maggior parte di esse si trovavano in una casa. Sorridevano entrambi. Avevano occhi identici, ma quelli di lui sembravano sempre preoccupati. “La mia malattia deve essere grave dedusse osservando lui con attenzione - e questo ragazzo ha lo sguardo di qualcuno a cui importa di me.” Raggiunse il bagno e fece una lunga doccia, quindi si vestì, indossando la biancheria intima, una maglietta ed un paio di pantaloncini che trovò pronti su una sedia. Si guardò ancora allo specchio ed uscì dalla porta. Lo stesso ragazzo coi capelli bianchi che compariva nelle foto, giaceva assopito su un divano, alla fine del breve corridoio. Incerta sul da farsi, annunciò la sua presenza con un leggero colpo di tosse.
Lui spalancò immediatamente gli occhi, allarmato, e la guardò. «Sei sveglia, finalmente - constatò illuminandosi con un sorriso radioso - come stai?» «Tu sei... il mio assistente?» «Già.» «Grazie. Ho visto il modo con cui ti sei preso cura di me. Molto professionale.» «E’ il mio lavoro.» «Lo svolgi molto bene.» «Grazie. Hai fame? Sete?» «Fame.» «Seguimi.» Si alzò e le fece strada, una lieve zoppìa turbava l’eleganza di un’andatura atletica e fluida. Era davvero un bell’uomo, nonostante la carnagione chiarissima ed i capelli bianchi gli conferissero un’aria un po’ spettrale. Il volto aveva lineamenti regolari ed armoniosi, gli occhi erano grandi, di taglio orientale e di colore viola, come i suoi. Che curiosa coincidenza. Una brutta ferita alla guancia destra guastava un po’ il fascino etereo e l’aspetto angelico, ma nel complesso... niente male. «Sei ferito.» «Incidente domestico - le rispose con un tono allegro - sono ancora la - 72 -
prima causa di morte per incidentalità, nel ventisettesimo secolo. Incredibile, vero? Un momento di distrazione e ti fai del male.» «Che giorno è oggi?» «Sabato tre dicembre, 2653» «E’ strano.» «Cosa?» «Che io abbia scelto un assistente personale di sesso maschile, dovendo affrontare una fase di non autosufficienza. Almeno credo. In teoria è imbarazzante, o dovrebbe esserlo... no?» «Oh, per quello - commentò alzando le spalle - sei una ragazza piuttosto disinibita. Hai valutato solo la mia indiscutibile professionalità.» «Davvero?» «Ti assicuro che non ti sei posta il problema.» «Credo di essere d’accordo con... me stessa, anche se a dirlo suona proprio strano.» «Ti ho sentito dire cose più strane.» La rassicurò ridacchiando. ~•~
Avevano mangiato, conversando allegramente. Era tornata la ragazza a cui aveva offerto il caffè, quella mattina di seicento anni prima. Forse più tranquilla, senza demoni. Non c’era traccia di sospetto e diffidenza in lei. Era semplicemente un piccolo elfo ingenuo ed indifeso. Quando la trovò appisolata sul divano gli si strinse il cuore. Egoisticamente voleva tenerla con sé, proteggerla e magari anche corteggiarla. Avrebbe voluto assisterla ed essere al suo fianco, mentre ricominciava la sua nuova vita. Ma non era quello che lei voleva. Per seicento anni aveva lottato come un leone per raggiungere un destino che non lo includeva. Qualcosa di dannatamente importante, che avrebbe perfino reso possibile la sua guarigione. L’unica speranza che lui non poteva offrirle. Cosa era meglio per lei? Le pettinò la splendida chioma per l’ultima volta. Le spalmò un po’ di olio di mirra sulle tempie e si assicurò che non avesse con sé alcun oggetto personale. Prenotò il teletrasporto, la prese in braccio ed uscì di casa, facendo attenzione a non svegliarla. Aveva dato la sua parola e l’avrebbe mante- 73 -
nuta. Ad ogni passo verso la stazione si sentiva strappare via un brandello di cuore. Strinse i denti. Raggiunse il punto, attese il loro turno ed in un momento furono nelle immediate vicinanze dell’ospedale. Percorse poche decine di metri e sedette sulla panchina che avevano scelto. Continuò a tenerla stretta a sé, finché non trovò il coraggio di fare quello che lei gli aveva fatto promettere. Maledisse quella dannata promessa in tutte le lingue che conosceva. Fece appello al suo addestramento da monaco e quindi a quello da guerriero. Ce l’avrebbe fatta. Le diede un bacio sulla fronte e la chiamò dolcemente, assicurandosi di averla svegliata, quindi con un ultimo sforzo di volontà si allontanò per sedersi su una panchina a pochi metri di distanza, subito prima che lei aprisse gli occhi. «Devo essere sola. Apparire sola e sperduta.» Si era raccomandata migliaia di volte, insistendo ossessivamente su questo punto. Era sola anche se lui stava a pochi passi da lei, per gli dei, non si sarebbe mosso da lì neanche se fosse arrivato il Maier.sil con uno dei suoi sterminati eserciti. Era tutto quello che poteva fare, senza mancare alla parola che le aveva dato. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un piccolo tablet e finse di leggere, senza mai perderla di vista e senza mai smettere di imprecare. Non era la prima volta che lo facevano. Arrivavano insieme, si sedevano su due panchine diverse, lei si fingeva disorientata e si guardava intorno. Aspettavano qualche ora e poi tornavano a casa. Ma non era mai successo che lei fosse appena sveglia, effettivamente spaesata e del tutto azzerata. Non era mai successo che sedesse lì, senza avere neanche la più pallida idea di quale fosse il suo nome. Proprio come predetto dalla sua amica Calasir. “Farò questa cosa nel migliore dei modi - si fece coraggio serrando i pugni - per te, Shara.” Lei aprì gli occhi e si guardò intorno. Aggrottò la fronte, si prese la testa fra le mani. Si fece coraggio ed iniziò a perquisirsi. Osservò attentamente le proprie mani e le gambe, scosse la testa, si alzò, spostò il peso da un piede all’altro, curvò le spalle e si rimise seduta. Incrociò il suo sguardo, ma i suoi occhi restarono indifferenti: non l’aveva riconosciuto. Come aveva previsto, al sonno, per quanto breve, era seguito un altro black out. “Trenta minuti - si disse Chiaro resistendo all’impulso feroce di an- 74 -
dare da lei, rassicurarla e prenderla tra le braccia - se nessuno viene a prenderti, appuntamento o no col destino, parola o non parola, io ti riporto a casa. Non ti lascerò lì da sola.” Con la coda dell’occhio notò due ragazzi parlare tra loro ed indicarla. Erano di altezza media e pieni di tatuaggi. Tutti i suoi muscoli si irrigidirono. “Provate solo a pensare di farle del male e vi taglio la testa.” Annunciato da un leggero ronzio, impercettibile per l’udito umano, un drone di sicurezza si soffermò a pochi metri da Shara. «Ha bisogno di aiuto, cittadina non identificata?» La ragazza rimase immobile, ma le tremavano le spalle. Per gli dei, stava piangendo... e questo gli faceva male più di qualsiasi altra ferita avesse mai ricevuto in battaglia. Mentre il drone ripeteva la domanda uno dei ragazzi parlò in un comunicatore. Dopo alcuni istanti, proprio quando stava per alzarsi e portarla via di lì, destino o non destino, comparve una donna anziana. Teletrasporto personale... qualcosa di raro tra gli uomini, ma sicuramente non tra i Danui. Si bloccò ed attese. Il suo udito era abbastanza sensibile da consentirgli di ascoltare senza difficoltà. «E’ su quella panchina, Nonna, e risponde alla tua descrizione.» Le spiegò il ragazzo che aveva usato il comunicatore. La donna si avvicinò a Shara, la guardò attentamente, quindi sorrise, come se si fosse appena tolta un gran peso dal cuore. Si allontanò di alcuni passi e tese la mano. Il ragazzo le consegnò immediatamente il suo dispositivo. «Vieni subito davanti all’ospedale. E’ arrivata. Sai cosa fare - chiuse la conversazione e si rivolse ai due - vegliate su di lei, rassicuratela e confortatela fino a quando non arriva Zia. Nessuno deve farle del male. Fate avviare al drone le procedure per rinvenimento di minore in stato confusionale con custodia operativa e sistemazione di affido disponibile. Dichiaratevi responsabili della sua incolumità. Codici 72.43 e 87.12.» Si avvicinò nuovamente a lei, portandosi una mano al cuore. Aveva la voce tremante: «Shara?» Chiaro la fissò a bocca aperta. L’anziana donna l’aveva chiamata per nome. Ma lei, ignorandolo, non alzò neanche la testa. «Calasir aveva ragione - commentò sospirando - quindi da ora in poi, rispettando la tua stessa volontà, sarai Ruta. Ho mantenuto la mia promessa, adesso sono felice.» In quel momento Shara alzò gli occhi, ma - 75 -
la donna era già scomparsa. Chiaro si rilassò: “Questa gente sa di Calasir e sa di te. Ti stavano aspettando.” La constatazione fu di grande sollievo, come bere una birra gelata nel deserto più arido. Gli eventi di cui gli aveva tanto parlato si erano messi in moto davvero. Shara stava effettivamente vivendo quel tanto atteso appuntamento con il destino. “Ce l’hai fatta - pensò curvando le labbra in un sorriso triste - ci sei riuscita.” Il ragazzo aveva intanto richiamato l’attenzione del drone, eseguendo con precisione le disposizioni ricevute. La sonda si illuminò confermando l’avvio della procedura e riprese il suo giro di perlustrazione. Poco dopo passò un uomo, che puntò su Shara due occhi da avido predatore sessuale. A Chiaro venne il gelo dietro la schiena ed il prurito sulle mani quando sentì la sua voce impastata osare dirle: «Ehi, bella bambina, che ci fai tutta sola? Vuoi compagnia?» Stava per intervenire, ma i due ragazzi lo precedettero. «Lascia in pace nostra sorella - grugnì uno dei due, mentre l’altro si portava alle spalle del nuovo arrivato, pronto a colpirlo con qualcosa che teneva infilato alla cintura dei pantaloni - non ha bisogno della tua compagnia. Vattene e nessuno si farà del male.» «Credevo fosse sola.» Il predatore impallidì, sotto lo sguardo minaccioso e determinato dei due ragazzi. «Credevi male.» Chiaro quasi sorrise nel vederlo indietreggiare e poi allontanarsi come se fosse rincorso da un branco di orsi. I ragazzi si rilassarono e ripresero la posizione che avevano prima. “Ottimo - constatò con sollievo - prendono sul serio il loro compito di proteggerla, hanno grinta da vendere e sono armati”. Non erano guerrieri ma a volte la strada forgia ottimi combattenti. L’avrebbero tenuta al sicuro. Fu un sollievo ed un dolore al tempo stesso, rendersene conto. Lei non aveva più bisogno di lui. “Cazzo quanto fa male, piccola seduttrice.” In quel momento una donna più giovane sopraggiunse con passo affrettato. Aveva uno sguardo dolce e materno, vide subito la ragazza e corse letteralmente da lei, abbracciandola di slancio: «Ciao bambina! Non ti preoccupare, ci penso io a te. E’ arrivata Zia. Zia sa sempre cosa fare e se non lo sa, lo scopre. Andrà tutto bene.» - 76 -
«Chi sei tu?» Domandò Shara con espressione confusa. «La tua nuova famiglia, fino a quando non scopriremo dov’è la tua - si voltò verso i due ragazzi - vi siete presentati alla vostra nuova sorella?» «No Zia... eravamo impegnati a proteggerla fino al tuo arrivo.» «Il fatto che siate diventati grandi e abbiate un lavoro da buttafuori non implica che abbiate il diritto di essere maleducati e dimenticarvi com’era quando al suo posto c’eravate voi.» I due impallidirono e scattarono sull’attenti come soldati strapazzati da un sergente. «Hai ragione, Zia. Scusa.» Si affrettò a dire il primo. «Scusa Zia - gli fece eco l’altro, sfilandosi il giacchetto e avvicinandosi a Shara, che nel frattempo aveva iniziato a tremare - ciao, io sono Nico, tieni, metti questo, hai freddo, mi pare.» «Grazie.» Mormorò lei sorridendogli riconoscente, mentre indossava l’indumento. Il ragazzino arrossì, l’altro ridacchiò. «Io sono Paolo - si presentò il secondo - vedrai che ti troverai bene con Zia, è fantastica.» «Molto piacere Paolo.» Mormorò ancora Shara, sorridendo anche a lui e questa volta fu Nico a ridacchiare mentre l’amico arrossiva. «Bravi ragazzi! - approvò soddisfatta la donna - e questa splendida cucciola è Ruta. In realtà non sappiamo il suo vero nome perché soffre di amnesia, quindi fino a quando non risolveremo questo piccolo problema, per noi sarà Ruta. Ti piace, bambina?» Il tono era dolce e materno, lo sguardo sincero. In quegli occhi fra il grigio, il verde e l’azzurro, Chiaro non lesse che onestà ed affetto. Il sorriso di Shara si allargò e annuì. La donna l’abbracciò ancora una volta: «Andiamo, piccola Ruta, c’è una casa che ti aspetta, con tanti fratelli e sorelle, alcuni abbaiano, altri miagolano, altri parlano. Nessuno morde. E c’è così tanto amore per tutti che ne farai indigestione. Paolo?» «Sì, Zia?» «Aspetta che arrivi la nostra Anna, lavora nell’ospedale - lo istruì col cipiglio di un generale d’armata - dille che ha appena prelevato un campione di DNA da una minorenne, non identificata, nome convenzionale Ruta, identità provvisoria, tutela nostra. Dille che il campione è sfortunatamente andato perso in laboratorio. Per un bug del sistema o magari - 77 -
un aggiornamento software si devono dimenticare di chiedere un nuovo prelievo. Lei sa cosa fare. Se hai dei dubbi, contatta Nonna.» «Va bene, Zia.» «E fatti vedere, ogni tanto! Ci manchi!» Aggiunse con dolcezza. «Ok Zia e... ci vediamo, Ruta. E’... stato un vero piacere... conoscerti.» «Ciao, Paolo!» Shara - Ruta ricambiò il saluto e sorrise ancora. Perso nei suoi occhi incantatori il ragazzo inciampò sui suoi stessi piedi e per poco non cadde a terra. Tutto il gruppo scoppiò a ridere e lui avvampò. “Ovviamente li hai stesi - pensò Chiaro rilassandosi e sentendo lacrime di sollievo e disperazione scorrergli sulle guance - sembrano brave persone. Sono organizzati. In qualche modo sanno chi sei, di cosa soffri e cosa devi fare. Vogliano gli dei che lasciarti nelle loro mani sia davvero la cosa giusta da fare. Perdonami se invece si rivelerà un errore. Non ho altra scelta. E’ quello per cui vivevi ogni giorno. E’ quello che disperatamente hai cercato di ottenere. E so bene che non c’è posto per me in questo tuo destino. Mi hai chiesto di uscire dalla tua vita e lo farò, lo sto facendo. Che gli dei ti proteggano, che ti assistano nel trovare ciò che cerchi e che aiutino me a lasciarti andare, così come tu desideri, così come mi hai indotto a giurare che avrei fatto.” Si alzò dalla panchina, le rivolse un ultimo sguardo disperato, quindi curvò la schiena e si avviò. Ogni passo gli costava una fatica immensa. Ogni metro di distanza che frapponeva fra loro due gli lacerava il cuore, facendolo sanguinare nell’anima. Con le mani in tasca e gli occhi fissi in terra, Chiaro avvertì improvvisamente tutto il peso della sua immensa solitudine. Aveva il cuore a pezzi e non c’era nessuno al mondo per aiutarlo a guarire. Era di nuovo solo. Né uomo né dio. Senza famiglia, senza affetti, senza uno scopo. La sua esistenza era tornata ad essere priva di senso, esattamente come era stata prima di incontrare Shara. Cosa avrebbe fatto adesso? Diede un calcio ad un ciottolo e lo osservò rotolare. Si fermò vicino ad un altro sasso, da cui spuntava una minuscola margherita. Sotto il suo sguardo il fiore sembrò diventare più bello e luminoso, i colori più vividi, la geometria più perfetta. Sorrise, cogliendo la risposta. - 78 -
Sarebbe andato a casa, avrebbe fatto sparire ogni traccia di lei e poi sarebbe partito, per cercare il suo minuscolo fiore tra i sassi. Se era riuscito ad aiutare Shara, poteva anche trovare qualche altro buon motivo per cui valesse la pena di vivere. Chiuse gli occhi e si fermò, senza osare voltarsi indietro. Trasse un profondo respiro e sussurrò l’antica benedizione, così come l’aveva appresa dai monaci, nel Tetto del Mondo: «Le tue notti siano piene di sogni meravigliosi. Ogni raggio dell’alba prenda per mano quelli più belli e li conduca alla realtà.» ~ ••• ~
I piaceri sensuali passano e svaniscono in un batter d’occhio, ma l’amicizia tra noi, la reciproca confidenza, le delizie del cuore, l’incantesimo dell’anima, queste cose non periscono, non possono essere distrutte. Ti amerò fino alla morte. François-Marie Arouet (Voltaire) Solo chi ama senza speranza conosce il vero amore. Pablo Neruda ~ •••• ~ Ed ora... un piccolo assaggio del resto... alcune pagine in anteprima assoluta della prima stesura di ELE - 79 -
La storia di Chiaro e Shara ti ha incuriosito? Allora non puoi perdere il resto!
Ele:
R
Evento Livello Estinzione.
Disponibile da Natale 2014 ••••••••••••••••
L’avvincente seguito di Ardit!
uta è una misteriosa e bellissima ragazza che non invecchia e non ha un passato. La sua vita subisce una svolta improvvisa quando inizia ad avere una serie di visioni da ere incredibilmente remote. Sono i primi passi del suo destino, che sarà di cruciale importanza non solo per se stessa ma per la vita di milioni di persone. Due minacce incombono dal cielo. Alla più immediata il mondo non può sopravvivere, sarà un Evento Livello Estinzione: ELE. La seconda non è in grado di provocare milioni di morti, tuttavia sta già causando una serie di eventi climatici estremi, eruzioni vulcaniche, terremoti e devastazioni naturali. Il membro più esterno del sistema solare, il grande pianeta Nibiru, sta tornando al perielio. I suoi abitanti, un popolo violento e assetato di potere, gli Anunnaki, stanno per impattare sul sistema sociale dell’umanità, che considerano loro schiava. Tornano i protagonisti di Ardit, si intrecciano le vite di uomini, dei e semidei. Si annullano le distanze nel tempo e nello spazio. In un remoto passato ogni cosa è stata prevista con sconcertante precisione, inclusa l’unica possibile soluzione. Riusciranno i protagonisti a raccogliere in tempo tutti gli elementi necessari, sparsi nei luoghi più suggestivi e misteriosi del pianeta? L’Apocalisse sarà scongiurata? E come faranno a tener testa agli Anunnaki? - 80 -
SILVIA MATRICARDI
ELE
evento livello estinzione la saga di ardit vol. 2
Tutto è energia ed è tutto ciò che esiste Albert Einstein
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----PROLOGO -----
Un tassello alla volta
“U
Tutto quel che succede accade perché deve e se osservi con attenzione, vedrai che è proprio così. Marco Aurelio
n commando dei reparti speciali della divisione anti terrorismo della World’s Intelligence Security ha compiuto un fulmineo blitz nella città ipogea di Derinkuyu, in Turchia, avendo la meglio sul gruppo di terroristi barricati al suo interno. Con un’irruzione da manuale, i super agenti operativi sono riusciti a trarre in salvo, perfettamente incolumi, tutti i 52.103 ostaggi. Il segretario del governo regionale turco, Abdullah Taynir, si è detto estremamente soddisfatto: «Su nostra insistenza è stato elaborato un piano di intervento efficace ma non violento. Le forze speciali hanno operato una narcosi di massa. Dapprima hanno isolato la gigantesca struttura sotterranea, quindi hanno immesso gas soporiferi assolutamente innocui, per poi procedere all’arresto dei terroristi, alla liberazione dei civili ed al disinnesco degli ordigni esplosivi. Un esempio brillante di come sia possibile ottenere eccellenti risultati senza ricorrere a spargimenti di sangue non necessari.» Tutti gli appartenenti al gruppo terroristico erano dotati di capsule dentali al cianuro ed hanno proceduto ad un agghiacciante suicidio di massa, appena risvegliatisi dal sonno artificialmente indotto. I loro corpi sono stati cremati. Ricordiamo che nelle duecento città ipogee in territorio turco sono ancora rifugiati dieci milioni di cittadini, in osservanza al protocollo di sicurezza per gli eventi catastrofici tuttora in corso. Il dirigente della WIS, Vladimir Volosin, ha garantito, con apposita comunicazione ufficiale, che l’intera organizzazione è stata - 82 -
sgominata: «I rifugiati delle strutture ipogee turche e nel resto del mondo non corrono alcun pericolo. Abbiamo rafforzato le misure di sicurezza e nulla del genere potrà accadere di nuovo.» Se desideri approfondire questa notizia, pronuncia la parola ‘continua’.”
«E così è stata una brillante operazione della WIS - Esus fermò il notiziario, con una curiosa espressione ibrida tra scetticismo e ilarità su insistenza del governo regionale turco, per giunta...» «Visto che i nostri amici hanno deciso di essere discreti - replicò Ptharis ridacchiando mentre faceva spallucce - avevamo bisogno di una copertura veloce... ho dovuto improvvisare.» «Avremmo potuto approfittarne per rivelarci ed emergere trionfalmente dall’oblio, come salvatori del mondo - obiettò suo figlio, incrociando le braccia al petto con circospezione - sarebbe stata un’occasione praticamente perfetta.» «Forse lo sarebbe stata davvero... - concesse l’Ultimo dei Primi aspirando una nuova boccata dalla sua pipa di terracotta - tuttavia, potendo scegliere, meglio operare con più...» «...Tatto e gradualità.» Sbuffò Esus alzando gli occhi al cielo. «Esattamente! - approvò beatamente il padre espirando il fumo e contemplandone le evoluzioni - la fretta non è mai una buona consigliera.» «E’ tempo che sia tempo. E’ il momento che i Danui escano dalla segretezza e si rivelino al mondo - incalzò il figlio aggrottando la fronte - ci stiamo nascondendo da troppo. Ormai non ha più senso continuare.» «Il processo è in essere. E’ iniziato con il ritrovamento di Ardit e non si può invertire - annuì Ptharis - aggiungeremo un tassello alla volta e lasceremo a ciascuna informazione il tempo di sedimentare. Ora il bicchiere è ancora troppo torbido, ogni ulteriore immissione sarebbe eccessiva e prematura.» «Perché mi ostino a tentare di convincerti?» Sospirò Esus, sempre più esasperato, mentre faceva ripartire il notiziario. “Il dipartimento aerospaziale ha annunciato l’invio di una sonda esplorativa sul pianeta Nibiru. La navicella automatica Shenzhou 73 decollerà tra cinque mesi e raggiungerà la sua destinazione dopo un - 83 -
viaggio nel cosmo che durerà duecento giorni. Sulla base delle informazioni trasmesse dai sensori si procederà con l’avvio di un protocollo specifico di primo contatto. Se desideri approfondire questa notizia, pronuncia la parola ‘continua’.” «Forse perché sei mio figlio e hai il mio stesso carattere? - suggerì Ptharis con un tono chiaramente canzonatorio ed incurante dell’interruzione - o magari perché gradisci confrontarti con me, per quanto a volte possa essere frustrante?» Esus lo guardò dritto negli occhi, bloccando nuovamente la riproduzione delle notizie. Il silenzio fu rotto dalla sua improvvisa e fragorosa risata. «Almeno iniziamo a piantare qualche seme - propose speranzoso - per esempio diffondere discretamente il contenuto di un certo cristallo dati.» «Già fatto, ovviamente - sottolineò allegramente il padre sollevando le sopracciglia con aria innocente e stendendo le lunghe gambe sul divano - ed avremo cura di non confermare né smentire nulla.» «Lo sai che a volte sei proprio snervante?» «Non ne ero certo, ma lo sospettavo... tuttavia devi rassegnarti a sopportarmi ancora per molto, molto tempo.» «Ed invecchiando peggiorerai, suppongo.» «Temo di sì.» «Me ne farò una ragione.» Scoppiarono entrambi a ridere. Esus guardò il padre con occhi colmi d’amore. Ancora una volta ne ammirò la straordinaria forza e l’incredibile capacità di adattarsi a tutto, perfino al più grande dei dolori. Lesse nei suoi occhi l’accettazione dell’inevitabile, unita ad un barlume di timida speranza. Era come un guerriero che si preparava a ricevere, nel migliore dei modi, un colpo al cuore, consapevole di non poterlo schivare e di essere, quindi, costretto ad assorbirlo. Ptharis sarebbe sopravvissuto anche a questo... avrebbe affrontato la più violenta delle tempeste ed avrebbe vinto. Ne sarebbe uscito piegato ma non spezzato. Con un sospiro ed un sorriso Esus fece ripartire il sommario delle notizie. “Sale a 189 il numero di vulcani eruttati nel corso dell’anno. Con La violenta esplosione e successiva supereruzione dello Yellowstone, che ha avuto inizio stanotte alle ore 3.46 ora locale, il 2670 è definitivamente - 84 -
l’anno del record assoluto per l’attività vulcanica del pianeta. La cupola energetica di contenimento delle emissioni vulcaniche ha funzionato alla perfezione. Questa straordinaria innovazione, operativa da appena venti anni, ha impedito almeno cinquanta inverni vulcanici, che avrebbero già reso inabitabile la metà della superficie del pianeta. Se desideri approfondire questa notizia, pronuncia la parola ‘continua’.” «Ti stai domandando come riuscirò a sopportare quello che sta per accadere... mi guardi e cerchi di capire se e dove troverò la forza... sei... preoccupato per me.» La voce di Ptharis era calma, con una nota malinconica, a dispetto dell’espressione serafica. «Questa volta l’Ultimo dei Primi è in errore - proclamò Esus abbozzando un sorriso affettuoso, mentre spegneva il virtual monitor sono certo che la troverai e so anche dove... perché risalirai lungo l’irto pendio delle tue ferite, come ho fatto io stesso, trascinando i brandelli del tuo cuore e del tuo spirito, giungerai fino alla sorgente del dolore e sarà lì che scoprirai che dalla medesima fonte sgorga anche la forza.» «Ti... ho mai detto quanto io sia orgoglioso di te?» «Mai quanto io sono fiero di te - rispose Esus, profondamente commosso - Verliede Ilki.» «Suoni qualcosa per il tuo vecchio?» Con gli occhi ancora lucidi il figlio dell’ultimo Anui vivente raggiunse il pianoforte e le sue dita abili iniziarono a sfiorarne delicatamente i tasti. Una dolcissima melodia vibrò nella sala, disseminata di fiori di ogni colore. Ptharis sorrise, lasciandosi avvolgere e cullare da quelle note gioiose e malinconiche al tempo stesso, che riconobbe immediatamente. “Ludovico Einaudi - approvò mentalmente, non osando turbare l’acustica perfetta né la concentrazione del suo esecutore - Stella del Mattino. Scelta incantevole quanto appropriata, Esus.” ~•~
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Prima parte
Il cristallo dati
Non si può toccare l’alba se non si sono percorsi i sentieri della notte. Kahlil Gibran
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----CAPITOLO PRIMO ----Senza passato
Non esiste il caso né la coincidenza. Noi camminiamo ogni giorno verso luoghi e persone che ci aspettano da sempre. Giuditta Dembech Cristallo dati (Me) di Ruta Quadrante 166 (Ardea) Ultima revisione: 10 Novembre 2668
M
i chiamo Ruta e sono una seeker o più comunemente un segugio. Nome simpatico per indicare una cercatrice di storie. E’ un mestiere onesto, nato dalle ceneri di quello che una volta si chiamava giornalismo indipendente. Significa che mi guadagno da vivere spulciando tra milioni di notizie che invadono la rete, fiutando le tracce delle vere storie. Appena ne aggancio una, mi tuffo in ricerche, approfondimenti, interviste... fino a ricostruirla in ogni particolare. Quindi la scrivo, aggiungo contenuti multimediali, se ce ne sono, ed infine la metto all’asta. I miei clienti sono prevalentemente scrittori, editori e network televisivi. Questa è la storia più incredibile, più importante e più tosta che mi sia mai capitata... ed è la mia storia. Non posso venderla e non posso divulgarla, ma non posso neanche permettere che vada persa. Se mi stai leggendo, significa che tu, o qualcuno prima di te, ha scovato questa registrazione mnemonica, nata sistemando e mettendo insieme ricordi, dati e diari. - 87 -
Se la mia storia è venuta a te, qui ed ora, e se sei stato in grado di accedere al suo contenuto, probabilmente è arrivato il momento che anche la parte della verità che essa contiene emerga dall’oblio. Perché la verità trova sempre il modo di uscire fuori, prima o poi. Spesso sceglie di farlo in piccole dosi, con “tatto e gradualità”, come direbbe un mio amico molto saggio. L’inizio della storia
Tutto è cominciato 7 anni fa, nella periferia a sud di Roma, in un posto dove fino a qualche secolo fa sorgeva l’antica città di Ardea. Era la notte del 21 dicembre del 2661 dell’era cristiana, ma forse dovrei dire dell’anno 40150 della nuova era, o magari l’anno 21912 dell’era dell’oblio, che sarebbe l’anno 117803 dalla discesa degli dei tra gli uomini.
Per me, quella era semplicemente una notte insonne come tante altre. Stavo fiutando distrattamente fra i milioni di bit della esonet, lo facevo da così tante ore che mi doleva la tempia con l’impianto neurale; anche la mano con i net-ring era indolenzita dal movimento di sfoglio e scrolling, per non parlare della net-len che mi bruciava sull’occhio. Sbuffando chiusi tutte le finestre aperte e sbirciai sul social-net, imprecando alla consueta vista delle centinaia di stupidi aggiornamenti di stato ed idiozie psico-depresse. Tutto normale, purtroppo. Un post attirò la mia attenzione, un’associazione nelle immediate vicinanze della mia abitazione organizzava una giornata di attività dimostrative gratuite ed aperte a tutti: Tai chi, Qi gong, meditazione con i cristalli. “Risveglia il potere divino che è in te.” Curioso, non avevo mai sentito parlare di un gruppo di questo tipo nella mia zona. Cominciai a scorrere i commenti, mi bloccai su uno che diceva: “Grazie! sai che con queste attività la mia insonnia è un problema archiviato? Non ci credevo ma è successo davvero... niente più farmaci, niente neuroinduttori, niente più notti in bianco... E’ bello diffondere, perché è di grande aiuto.” Alzai un sopracciglio e storsi il naso... il solito commento - 88 -
finto... ma visto che non avevo di meglio da fiutare, magari poteva essere una storia: truffatori o scemologisti da sputtanare. L’evento era per il giorno dopo, mandai una mail di prenotazione e passai il resto della notte a documentarmi sul Tai chi, il Qi gong e le meditazioni con i cristalli. Il mattino dopo ero lì all’alba, cioè prima delle 10, che per un’insonne significa alzarsi ed essere lucidi dopo aver dormito appena un paio di ore. Era una giornata fredda e tersa. Mi ritrovai in una bella villetta vecchio stile, circondata da un ampio giardino, con piscina, spogliatoi, palestra, vasca idromassaggio gigante, angolo bar e biblioteca con veri libri, quelli all’antica, fatti di autentica carta. Restai di stucco... il cartaceo era in disuso da secoli. C’era molta gente. L’aria profumava di incenso e di aspettative. «Benvenuti - esordì una donna di età indefinibile, corporatura morbida, capelli biondi, occhi chiari, voce acuta ma melodiosa - a questa giornata di ascolto del vostro corpo. L’organismo umano contiene in sé la straordinaria capacità di autoguarirsi ed autoripararsi, basta riuscire a connettersi con la nostra parte eterna. Dei molti modi possibili, oggi ne scopriremo insieme alcuni, sviluppati migliaia di anni fa dai monaci tibetani, quindi giocheremo con i cristalli che, secondo alcuni, sono esseri viventi, secondo altri sono invece dei veri e propri magazzini di energia, come batterie, che attendono di essere usati. Inizieremo con il Tai chi fra venti minuti. Nel frattempo c’è acqua alcalina e tisana alcalina per tutti. Alcalinizzare il nostro corpo aiuta ad attivare l’autoguarigione.» Avevo letto qualcosa a proposito dell’eccesso di acidificazione dei tessuti dovuto alle alterazioni chimiche dei cibi ed alle abitudini di cottura, ed anche dei benefici di una dieta alcalinizzante, ma i particolari mi sfuggivano. «Io sono Sissi - proseguì intanto la donna, con affabile dolcezza - Andrea, il maestro di Qi gong, vi attende nella sala in fondo. Fra poco più di un’ora ci sarà la dimostrazione di questa fenomenale disciplina interiore. Per quanto riguarda il Tai chi, vi aspetto in giardino, vicino alla piscina.» Bevvi l’acqua alcalina gironzolando per il parco. Mi avvicinai all’ingresso, dove era stata messa una cesta, appesa alla porta. Un cartello diceva: «Lasciate qui le preoccupazioni, le ansie e gli affanni, se proprio ci tenete, potrete riprenderli all’uscita!» - 89 -
Le persone arrivavano e si abbracciavano. Tutti si mettevano le mani addosso, come vecchi amici. Mi sembrò una cosa strana, magari si conoscevano tutti ed io ero l’unica estranea. Finché non cominciarono ad abbracciare anche me. Persone che non avevo mai visto prima, uomini e donne, di tutte le età, dicevano il loro nome e si avvinghiavano su di me come polpi sorridenti. Mi stampai in faccia un’espressione affabile e ricambiai le effusioni. Conformarsi per non attirare l’attenzione è la prima regola del segugio. Appena possibile raggiunsi il gruppo che si stava formando in uno spiazzo fra la piscina ed uno spettacolare ulivo secolare. Tutti si liberavano degli indumenti più pesanti e delle scarpe, restando scalzi e con magliette leggere, assolutamente inadeguate all’inverno. Avvicinandomi compresi che un intero settore del giardino era sotto termoregolazione. Un’invisibile cupola energetica ed un pavimento riscaldato mantenevano le condizioni ideali per praticare la disciplina scalzi ed a contatto con la natura, a prescindere dalla stagione. Mi disposi in circolo insieme agli altri, godendo di quella piacevole ed inconsueta sensazione primaverile. «Il Tai chi è un’arte marziale cinese - spiegò Sissi - delle infinite varianti, questa scuola segue la forma Yang tradizionale lunga. Più che la marzialità ne approfondiamo la disciplina interiore. Questi movimenti armoniosi, che alternano yin e yang, vuoto e pieno, duro e morbido, inseguendo l’equilibrio e la rotondità, hanno la straordinaria capacità di fluidificare ed armonizzare la circolazione dell’energia, recuperando il ritmo naturale dell’universo. Pensate al respiro, al battito del cuore o all’amore. Tutto pulsa, passando dal forte al rilassato, dall’espansione all’accoglienza. Due princìpi non opposti ma complementari e parte della stessa energia in movimento. L’equilibrio e l’interazione tra yin e yang costituiscono il Tao. L’eterna forza che scorre ovunque. Equilibrando il flusso dell’energia nel corpo si mantiene in efficienza il nostro sistema di autoguarigione. I movimenti dolci e lenti ed il rilassamento portano beneficio ai muscoli, ai legamenti ed alla circolazione del sangue.» Trovai la lezione molto interessante, il mio corpo e la mia mente si lasciarono andare. Le mani si scaldarono e formicolarono. Curioso. Vedendo gli allievi del corso avanzato effettuare una dimostrazione della - 90 -
forma completa mi sembrò che danzassero, ne fui affascinata e decisi di iscrivermi. Giunse poi il momento del Qi gong. Mi avviai verso la sala in fondo. Tolsi nuovamente le scarpe e mi disposi in circolo, insieme agli altri. Il maestro, un ragazzo alto e magro, completamente calvo, anzi rasato, se ne stava in piedi in una curiosa posizione, con le ginocchia un po’ flesse ed il resto del corpo dritto, le braccia morbide distese lungo i fianchi, ma un po’ scostate. Ci descrisse la postura e ce la fece assumere. Ci spiegò che era chiamata Wuji ed agevolava naturalmente lo scorrimento dell’energia nel corpo. «Wu è il nulla, il vuoto - specificò solennemente - Ji è il fine ultimo. Wuji, il primo livello di manifestazione dell’energia e di differenziazione del Tao, nel Taoismo, è lo stato di calma assoluta.» Aveva gli occhi scuri e svegli, e c’era qualcosa di particolare, una nota indefinibile fra la concentrazione e la curiosità, nel modo in cui scrutava il mondo. Un po’ come se vedesse dettagli extra che sfuggivano a tutti noi, un po’ come se si trovasse perennemente in bilico fra il suo universo e quello degli altri, fra i suoi pensieri e quelli esterni, fra realtà e metafisica. Mi ritrovai ad associarlo con Alessandro Magno, non in quanto condottiero o bambino prodigio ma nel suo aspetto leggendario di essere diverso da tutti gli altri, allievo di Aristotele, in bilico fra la follia e la genialità, come attestato dai suoi occhi, uno nero e l’altro azzurro. Uno sguardo perennemente diviso fra cielo e terra. Chissà se anche Andrea aveva domato il suo Bucefalo? E se ci era riuscito... quante volte era stato disarcionato? «Nella sua forma originaria - spiegò il maestro, dopo qualche attimo di silenzio, interrompendo il mio flusso di pensieri - il Qi gong non prevede alcun tipo di movimento e consiste esclusivamente in un lavoro sull’attenzione, sulla postura e sulla respirazione. Chiudete gli occhi. Sorridete, come se nulla al mondo possa turbarvi. Non un sorriso tirato, ma un sorriso scemo, come se la vostra mente fosse completamente vuota. Rilassate tutti i muscoli, concentrate la vostra attenzione sui piedi, che si rilassano, sui polpacci, che si rilassano, sulle ginocchia, che si rilassano e risalite man mano concentrandovi sulle cosce, che si rilassano, sul bacino e sul ventre, quindi lo stomaco, la schiena, il collo, i muscoli facciali, che si rilassano, scendete lungo le braccia, che si - 91 -
rilassano, ed ora le mani, che sono morbide, come se circondassero due sfere di energia. Morbide e rilassate.» Come se avessi spento improvvisamente un interruttore specifico, la mia mente si vuotò del tutto, mi sentii galleggiare nel nulla, come avvolta da una confortevole nuvoletta di totale assenza di pensieri. «Sotto le vostre ascelle ci sono due piccole sfere di energia, che le tengono leggermente discostate dal tronco - proseguì il maestro, quasi cantilenando - un filo di energia entra dal centro della vostra testa ed attraversa tutto il vostro corpo, mantenetevi in linea con quel filo, mantenetevi centrati. Concentrate l’attenzione sul vostro addome, in una zona leggermente al di sotto e leggermente dentro rispetto all’ombelico. Inspirate contraendo la pancia, espirate rilassandola. Controllate la posizione, i piedi sono dritti e rilassati? Le ginocchia sono morbide e flesse? Inspirate contraendo la pancia, espirate rilassandola. Inspirate, sentite l’energia dell’universo entrare nel vostro corpo attraverso tutti i pori della pelle, espirate. Inspirate, l’energia dell’universo entra attraverso i pori della pelle e si addensa nel dantian inferiore, in quella zona sotto all’ombelico, che si accende come un tizzo di carbone, espirate ed espellete fumo nero da tutti i pori della pelle, restituendo all’universo le impurità. Inspirate energia, espirate fumo nero. Qualsiasi cosa accada adesso restate concentrati, rilassati e non perdete la visualizzazione dell’energia, se non la vedete, sentitela, se non la sentite, immaginatela, se non la immaginate, fingete di poterlo fare. Inspirate, l’energia dell’universo entra attraverso i pori della pelle e si addensa nel dantian inferiore, che si accende come un tizzo di carbone, espirate ed espellete fumo nero da tutti i pori della pelle, restituendo all’universo le impurità.» Iniziai a dondolare avanti ed indietro, oscillando ritmicamente ad ogni respiro, sentivo due sfere dense, pastose e tiepide fra le mani, mentre un gran caldo si propagava dalla mia pancia in tutto il corpo. Quando dico che lo sentivo, intendo che la sensazione era reale, concreta, vivida. «Molto bene - la voce del maestro era vicinissima a me - questo è il Qi che circola, ed è un potente mezzo di autoguarigione, non opponete resistenza e non esaltate i movimenti spontanei, accettateli ed accoglieteli, anche se diventano prepotenti. Inspirate ed espirate, restate - 92 -
concentrati e centrati. Postura, controllate la posizione. Piedi, ginocchia, spalle, mani, filo di centratura. Ispirate, espirate.» Dondolai e respirai sempre più lentamente. Così come si osserva nei sogni, con gli occhi della mente, iniziai a vedere l’energia dell’universo fluire in me ed un sottile fumo nero emanare da me. Era qualcosa che avvertivo anche nel corpo, una sensazione simile a quello che si prova restando immersi in acqua e lasciandosi attraversare da una corrente. Nonostante la sorpresa, restai calma e concentrata... mi sentivo in pace, invincibile... irraggiungibile da qualsiasi turbamento. «Inspirate, la vostra energia si espande, siete parte di questa stanza, siete la stanza. Espirate. Inspirate, siete parte di questo paese, siete il paese. Espirate. Inspirate, siete parte di questo pianeta, siete il pianeta. Espirate. Inspirate, siete parte dell’universo, siete l’universo. Espirate.» Mentre il mio corpo sembrava dilatarsi, ero anche più leggera, inconsistente ed onnipresente, come l’aria, come la luce stessa. Le prime visioni Mi ritrovai a volare al di sopra di quella stanza. «Inspirate, espirate.» Continuai a salire verso l’alto, fino a che potei abbracciare con lo sguardo la terra intera, una magnifica sfera azzurra e bianca, sospesa nel buio. Seguitai ad espandermi ed allontanarmi, ammirando la luna e poi, uno alla volta, gli altri pianeti. «Inspirate, espirate.» Scorsi tutto il sistema solare, come solo gli occhi artificiali delle sonde spaziali più remote potevano vederlo. Ancora più distante, dalle profondità del cosmo, notai che stava arrivando un pianeta sconosciuto. Lo percepivo con la consapevolezza, era parte di me, ancora più di quanto non fossero gli altri astri. Brillava in lontananza, grande quasi quanto Giove, ma consistente. Un solido pianeta gigante fatto di terra, aria ed acqua. «Inspirate, espirate.» Tornai bruscamente sulla Terra, e volai al di sopra di una titanica fortezza bianca. «Inspirate, espirate.» Era di pianta tondeggiante, protetta da una serie di mura altissime, a - 93 -
loro volta disposte in cerchi concentrici. «Inspirate, espirate.» Come un falco sulla preda, mi tuffai in picchiata ed entrai nell’enorme e maestosa torre, che dal centro esatto della fortezza, si stagliava e protendeva verso il cielo. Mi ritrovai fra alcune persone, riunite intorno ad un tavolo di pietra ed intente a parlare animatamente. Sia uomini che donne vestivano di bianco, tranne uno. Questi era un uomo alto e regale, che indossava una specie di tunica blu ed aveva una spirale disegnata o forse tatuata sulla fronte. «Inspirate, espirate.» Notai che i loro corpi erano avvolti da aloni luminosi di vari colori, aloni con filamenti che si intrecciavano tra loro. Il tizio con la spirale emanava quello più forte di tutti, un blu elettrico, intenso, come la sua tunica e come i suoi occhi. «Inspirate, espirate.» Mi concentrai sui loro volti, sembravano preoccupati. Appena smisi di cercare di capire... compresi, non so come, una frase, detta dall’uomo che risplendeva di blu: «Sta arrivando, non ci sono dubbi e non possiamo ignorarlo.» Una donna, che trasudava autorevolezza, indiscutibilmente il capo della riunione, esclamò: «Dobbiamo proteggerli, è nostro dovere salvarli!» A quelle parole tutti manifestarono approvazione.
«Adesso aprite gli occhi.» La voce del maestro mi ricondusse bruscamente nel corpo fisico, ma in qualche modo ero ancora alterata, come quando ci si sveglia senza aver completato il ciclo del sonno, e si resta per un po’ nel limbo del dormiveglia: non più assopiti ma non ancora vigili. Aprii gli occhi e vidi ogni persona avvolta da un contorno lucente in movimento, come i tizi della fortezza, ma questi aloni erano molto più piccoli. Anche io emanavo un bagliore e dei fili colorati, ma non come gli altri. In me c’erano due colori anziché uno solo ed ero la più luminosa tra le persone in quella stanza. «Adesso qualche esercizio di chiusura, per riportarvi qui. Qualcuno di voi è partito - e guardò me - sarebbe meglio... restare, ma può anche accadere che si vada via durante una sessione. Non vi preoccupate.» - 94 -
Può accadere che si vada via... ma dove cazzo ero andata io? Gli esercizi di chiusura consistevano più o meno nel darsi schiaffetti e leggeri colpi in varie parti del corpo. Lentamente gli aloni luminosi si affievolirono e le persone tornarono ad apparirmi normali. «Secondo la tradizione alla base di questa disciplina - riprese Andrea ogni malattia ha origine da una circolazione disturbata del Qi, ripristinandone la corretta fluidità non esiste problema che non possa essere sconfitto dalla nostra capacità di autoguarigione. Padroneggiare il movimento del Qi significa anche potenziare le nostre capacità psichiche, quindi, come effetti collaterali della pratica, si possono avere percezioni, visioni, premonizioni o viaggi nell’altrove. Ci sono varie metodiche sviluppate dalla formulazione più antica, quello che farete con me, per chi desiderasse proseguire, è una mia personale variante dello Spring Forest.» Iniziò tutto così. Quello fu il giorno che modificò la mia vita, imprimendole la prima di una serie di svolte sconvolgenti. ......... Nelle librerie e negli store online cartaceo ed ebook da Dicembre 2014
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Amnesia
la saga di ardit vol. 1
Ardea. Anno 2040. Shara è una misteriosa ragazza che si sveglia ogni mattina in amnesia totale, per poi recuperare una parte della memoria nel corso della giornata. La sua esistenza tormentata si incrocia ed intreccia con quella di uno dei dodici eroi che, decine di migliaia di anni prima, salvò l’intero genere umano. Il temibile guerriero albino: Chiaro, lo Spettro.
Quello che sembra un curioso incontro casuale fra due persone non ordinarie, accomunate da fin troppe coincidenze, si rivela essere cruciale nella vita di entrambi e determinante per la sopravvivenza di milioni di persone. E’ proprio questa breve storia, infatti, il fulcro che consente agli eventi di disporsi in modo da innescare quanto verrà raccontato in ELE. Quale è, se esiste, il confine fra amore ed amicizia, sacrificio e passione, destino e libero arbitrio?
Amnesia è un racconto che si innesta subito dopo le principali vicende narrate nel romanzo Ardit, rivelando qualcosa del misterioso passato della protagonista principale di ELE: Evento Livello Estinzione, l’avvincente sequel in uscita a Natale 2014.