Benessere e disagio nel cane

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L’importanza di vivere in una condizione di benessere

Il benessere nel cane rappresenta la migliore garanzia non solo per mantenere la sua condizione fisica in uno stato ottimale, ma altresì per favorire in lui una dimensione psichica in equilibrio. Vivere significa affrontare ogni giorno delle difficoltà di diversa natura, che mettono a repentaglio l’equilibrio interno del cane, ciò che viene definito con il termine di “omeostasi”. Stare in una condizione di benessere non significa non affrontare le difficoltà del vivere, ma essere in grado di esprimere risposte adeguate e coerenti rispetto a ciò che il mondo ci propone. Di conseguenza, il benessere si manifesta attraverso uno stile comportamentale correlato e privo di eccessi o carenze. Il contrario del benessere è il disagio, un vero e proprio parassita che, a lungo andare, va a minare le capacità del cane di trovare la condizione di equilibrio interno, esponendo il cane a problematiche derive espressive. Il disagio

è come una goccia che, giorno dopo giorno, provoca scompensi che il più delle volte trovano risposte paradossali aprendo pericolosi circoli viziosi. Già, perché il tentativo compensativo - per esempio il leccarsi ripetutamente una zampa per supplire a una condizione di noia - nel tempo può diventare un “vizio comportamentale”, potremmo dire una sorta di automatismo non più correlato al disagio e quindi assai più difficile da emendare. La condizione di disagio, infatti, sarebbe per sua natura reversibile, riportando il cane in uno stato di benessere ma, se lasciamo correre tempo, il rischio è che le risposte alterate, messe in atto dal soggetto per compensare, diventino parte integrante del suo abito espressivo. 1


I molteplici fattori del disagio

Il disagio è una condizione del soggetto - non occasionale o momentanea caratterizzata da una difficoltà sistemica a recuperare un proprio equilibrio interno. Molteplici sono le cause che possono condurre a una condizione di disagio, come peraltro esistono più forme di disagio, differenti tra loro perché investono aree differenti del profilo somatico e psichico del soggetto. Ciò ci permette di distinguere le varie forme di disagio e fare interventi emendativi mirati. D’altro canto, ovunque sia la fonte del disagio, ben presto il problema coinvolge altre componenti divenendo un problema sistemico. Il disagio pertanto, anche se può partire da una compromissione ben definita, di natura somatica o psichica, nel giro di poco tempo si irradia su tutto il profilo comportamentale. Per tale motivo, se nasce per esempio come problema prevalente2

mente emozionale, poi si manifesta attraverso alterazioni comportamentali che coinvolgono altri aspetti. In genere è possibile rintracciare il problema di partenza, perché è lì che si concentrano i tentativi compensativi. Ma non sempre tale operazione di definizione causale è così semplice, soprattutto quando il problema si protrae da molto tempo, avendo provocato alterazioni espressive a macchia d’olio. Una prima distinzione è possibile tra: 1) effetti somato-psichici, dove cioè un problema somatico di varia natura produce alterazioni di ordine comportamentale; 2) effetti psico-somatici, dove viceversa un problema psichico produce alterazioni somatiche.


Il disagio può essere pertanto determinato da molti fattori: possiamo dire che molte sono le strade che conducono al disagio e altrettanto differenti sono anche le condizioni di disagio comportamentale. Per esempio possiamo avere un disagio prevalentemente: 1) adattativo rispetto alle condizioni ambientali ove è inserito quotidianamente il cane; 2) relazionale perché i parametri di integrazione e interazione sociale del cane non sono rispondenti ai suoi bisogni. Abbiamo inoltre disagi che riguardano soprattutto l’ambito motivazionale o emozionale, l’area dell’attivazione piuttosto che le dotazioni rappresentazionali. Tuttavia, una volta indotta una condizione di disagio, questa si ripercuote su tutto il sistema psico-fisico del cane, per cui alterazioni del profilo comportamentale possono determinare effetti di natura somatica e, al

contrario, disturbi di ordine fisico, più o meno gravi o reversibili, si traducono con facilità in devianze espressive. Tutti sanno, per esempio, che una condizione di stress prolungato abbassa le difese immunitarie, predisponendo a infezioni occasionali o addirittura esponendo il corpo al rischio tumorale. Inoltre lo stress, attraverso le sue risposte di ordine cardiocircolatorio, può causare problemi ad ampio raggio su tutti gli apparati a esso collegati. D’altro canto lo stress altera il metabolismo nel suo complesso o in alcuni gradienti, come il livello di acidosi, la glicemia, l’ossidazione, la temperatura. Parlare pertanto di effetti psicosomatici è tutt’altro che aleatorio perché il benessere psichico, che poi andremo a valutare nel dettaglio, non rimane confinato nella mente del cane e non produce solo alterazioni comportamentali.

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Il disagio come protrarsi di una condizione problematica

Il disagio è sempre collegato al fattore tempo, cioè al perdurare di una condizione problematica che mette in crisi le capacità adattative del cane. Il disagio non è la momentanea difficoltà a risolvere un problema, lo scacco o la paura improvvisa, lo stress occasionale o la fatica che il cane compie nel mettere a punto un’azione. Non è nemmeno un’eventuale frustrazione, quando cioè al cane è impedito di portare a compimento un comportamento desiderato, o una conazione, quando cioè gli viene imposto un certo atteggiamento. La vita è costellata di questi momenti di difficoltà passeggera. Il disagio è la conseguenza di una caduta persistente di quell’equilibrio interno che definiamo come “condizione di benessere omeostatico”. Quando parliamo di benessere ci riferiamo in genere ad aspetti che riguardano: i) la mancanza di polarizzazioni e sperequazioni tra i diversi fattori, per esempio l’essere lontani da condizioni di eccesso o carenza e quindi poter vivere in una buona condizione di equi4

librio rispetto alle caratteristiche del soggetto; ii) il non essere sottoposti a condizioni di sofferenza psico-fisica o di precarietà e insicurezza tale da non consentire al soggetto l’ampliamento espressivo-esperienziale; iii) il non essere immersi in situazioni che chiedono continuamente azioni di compensazione o di allontanamento rispetto a fattori disturbanti o inibenti; vi) l’avere agibilità espressiva, il poter esprimere le proprie disposizioni o l’essere in grado di ammortizzare gli scompensi. Come si vede, il benessere può riguardare sia i parametri fisiologici, per esempio non avere infiammazioni persistenti o zone doloranti, sia gli aspetti che riguardano l’espressione comportamentale. Di fronte a una condizione di disagio l’individuo tende sempre a mettere in atto reazioni compensatorie che tuttavia sovente vanno ad amplificare il problema più che a mitigarlo.


Quando analizziamo il problema di disagio, il fattore tempo è un parametro fondamentale. Innanzitutto perché piccoli momenti di difficoltà sono assolutamente normali e, se vissuti a piccole dosi, con gradualità e commisurati alle capacità adattative del soggetto, lo rafforzano invece di indebolirlo. Questo è verificabile in tante situazioni: anche l’apprendimento crea una condizione di difficoltà ma, se realizzato in modo opportuno, accresce le capacità dell’individuo. Stessa cosa può dirsi nell’ambito dello stress: non a caso si distingue l’eustress (cioè piccole difficoltà-tensioni da superare) dal distress (una condizione prolungata di tensione). Le difficoltà fanno parte della vita e occorre sempre attrezzarsi per affrontarle. Lo vediamo, per esempio, nella frustrazione, ove anche qui uno degli insegnamenti della mamma verso il cucciolo è la capacità di gestire-accettare piccoli eventi di frustrazione. Anche un momentaneo dolo-

re o una dieta non perfettamente bilanciata non fanno danni se non priolungati nel tempo. La dimensione temporanea e la gradualità consentono al corpo di accrescere le proprie capacità adattative. Se, viceversa, la difficoltà si prolunga nel tempo, l’organismo nel suo insieme viene come eroso e le sue capacità di ammortizzare diminuiscono. Inoltre il fattore tempo è centrale quando si analizzano gli effetti delle risposte compensative messe in atto dal soggetto per alleviare la condizione di disagio. Con il trascorrere del tempo, infatti, la risposta tende a diminuire la sua reversibilità dando luogo a un comportamento alterato che si viene a strutturare, cioè diventa parte integrante del profilo comportamentale del cane. Se, per esempio, un cane per mitigare una noia comincia a leccarsi ripetutamente o a strapparsi il pelo, con il tempo questo atteggiamento diviene un vizio comportamentale indipendente dalla condizione di disagio.

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Somatopsichica: mens sana in corpore sano

Il corpo ha un’influenza fondamentale sulla psiche, agendo sullo stato umorale e sulle propensioni motivazionali e, attraverso questi, sugli orientamenti stessi. C’è un profondo legame tra i diversi apparati del corpo e lo stato della mente e quindi l’espressione comportamentale. In condizioni normali sappiamo che lo stato umorale, ovvero le predisposizioni emozionali, è collegato a diversi fattori di tipo ormonale, metabolico, di gradiente di attivazione funzionale di organi come quello digestivo, muscolare, immunitario. Anche le prevalenze motivazionali sono legate ai momenti del corpo, per esempio la stagionalità, il momento metabolico, i gradienti di luce, etc. D’altro canto, emozioni e motivazioni definiscono il tipo di rapporto che il soggetto intrattiene con il mondo, i suoi orientamenti e le sue reazioni rispetto agli avvenimenti. La somato-psichica rappresenta a mio avviso un’area poco esplorata nell’analisi comportamentale, nella falsa opinione che di fronte a una turba espressiva ci si debba concentrare sulle sole variabili comportamentali, vale a dire: la relazio6

ne del cane con la famiglia, gli effetti ambientali di ordine stimolativo, la possibilità del cane di esprimere le proprie caratteristiche, il parametro della sicurezza, le capacità gestionali della persona, le abitudini che gli sono state date, gli eventuali maltrattamenti subiti, le alterazioni ontogenetiche ossia gli sbagli commessi durante l’età evolutiva. Senza voler minimizzare l’importanza di questi fattori, vorrei tuttavia focalizzare per un attimo l’attenzione sul fatto che la condizione mentale del soggetto, da cui dipende l’espressione comportamentale, è il frutto di tutto il corpo, che pertanto dev’essere in una buona forma fisica per poter avere lucidità ed equilibrio mentale. La psiche, infatti, risente dell’efficienza metabolica - nutrienti, glicemia, grado di acidità, etc - e altresì di alcune molecole - di origine endocrina, immunitaria e non ultimo dall’assimilazione alimentare - che determinano neuromodulazione.


Giovenale sosteneva “mens sana in corpore sano” e anche nei confronti del comportamento del cane dovremmo seguire questo prezioso motto. È importante cercare di mantenere la massima efficienza metabolica, curando l’attività fisica, il riposo, l’alimentazione, la vita all’aria aperta, la giusta quantità di luce, la pulizia, la prevenzione sanitaria, l’esercizio degli organi sensoriali. Agire su questi aspetti significa pertanto non solo mantenere il corpo all’interno dei corretti parametri fisiologici, ma lavorare per: 1) accrescere le risorse cognitive del cane e quindi aiutarlo a mantenersi all’interno di corretti range espressivi; 2) evitare l’insorgenza di derive o vizi, frutto dei tentativi compensatori allo stato di disagio. Spesso un’alterazione comportamentale è il sintomo di un disturbo fisico, per cui occorre sempre che il veterinario accerti la conformità fisiologica del cane. Molti disturbi endocrini causano alterazioni del comportamento, questo perché gli ormoni hanno un’azione

diretta di neuromodulazione, incentivando alcuni atteggiamenti e deprimendone altri. Il profilo immunitario ha poi una forte influenza sul comportamento, per cui eventuali allergie, infezioni o intolleranze alimentari possono causare derive espressive. Anche un tumore, in particolare al cervello o a livello ghiandolare, o una distrofia, soprattutto a carico delle gonadi, possono essere le cause di una turba che determina comportamenti anomali o eccessivi. Non vano poi dimenticati le carenze alimentari, le parassitosi, i disturbi gastro-enterici, i dolori articolari, i deficit all’apparato sensoriale. In tutti questi casi possiamo avere espressioni di risposta, ossia tese ad alleviare il problema, che tuttavia possono strutturarsi in abitudini poi difficili da modificare anche una volta rimosso il problema somatico. Occorre pertanto avere un approccio sistemico, assicurandosi attraverso un’accurata visita medico veterinaria che tutti i parametri anatomo-funzionali sia in ordine.

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L’alimentazione al centro del benessere

Siamo ciò che mangiamo: è indubbia la saggezza che reca in sé questa affermazione che è riconducibile al fatto che ogni specie ha un corpo che si aspetta un certo cibo. Non vorrei essere frainteso quando dico che c’è un rapporto stretto tra alimentazione e comportamento. Non sto parlando di un legame imperativo, ma di fattori predisponenti cosicché un’alimentazione corretta: 1) mette al riparo nel diminuire l’esposizione e 2) dà più risorse per fronteggiare eventi difficili. Nell’analisi somatopsichica ci soffermiamo sulle variabili che consentono la corretta funzionalità degli apparati: l’aspetto alimentare ha una sua rilevanza, se è vero che, almeno in parte, siamo quello che mangiamo. Il capitolo della nutrizione presenta alcune esigenze o criticità che meritano di essere poste sotto la lente: i) l’aspetto estetico (piacere sensoriale) che dipende dalle caratteristiche organolettiche del cibo, producendo una sensazione di soddisfazione o meno; ii) la digeribilità, un connotato importante che si riflette per esempio 8

sul carattere di vigilanza e sull’ottimalità della fase digestiva, evitando condizioni di disturbo; iii) la capacità di stimolare in modo corretto la peristalsi intestinale e il processo assimilativo; iv) il bilanciamento nutrizionale ovvero l’apportare il fabbisogno evitando eccessi o carenze; v) la mancanza di intolleranze o allergeni in grado di produrre poi stati infiammatori o di alterazione metabolica; vi) il buon mantenimento o ripristino della flora microbica endogena; vii) la correlazione alle esigenze specifiche, stagionali , di età o di attività; viii) la possibilità di liberare sostanze che rasserenano o stimolano il soggetto a seconda delle specifiche necessità. Ovviamente non esiste una dieta che rappresenti l’ottimalità per tutti i cani e tuttavia è ormai dimostrato che esistono alimenti che provocano gravi alterazioni al metabolismo e allo stato psichico.


Quando esistono problemi di ordine alimentare, spesso ce ne accorgiamo immediatamente attraverso alcuni sintomi inequivocabili. È importante verificare lo stato delle feci, l’alito, la lucentezza del mantello, la condizione delle orecchie, la presenza di infiammazioni, soprattutto articolari, o di eruzioni cutanee. Tale osservazione da parte del proprietario può rappresentare un buon inizio quando si fa una valutazione sulla correttezza alimentare. Talvolta purtroppo i sintomi non sono così evidenti e occorrono delle ricerche specialistiche: per questo motivo io consiglio sempre un’accurata visita dal proprio medico veterinario prima di ogni altro intervento sul comportamento. Gli effetti di uno scompenso alimentare si manifestano in modo prevalente sugli aspetti emozionali del soggetto, determinando condizioni di apatia o, al contrario, di eccitabilità, fino a provocare vere e proprie condizioni di irritabilità.

Anche le allergie, le intolleranze o la presenza di sostanze tossiche negli alimenti possono essere rintracciate attraverso varie prove di laboratorio e spesso anche attraverso l’esame del sangue. Inoltre, quando si parla di corretta alimentazione, è indispensabile curare in modo particolare il rito alimentare stesso, assicurandosi che il cane abbia la possibilità di mangiare tranquillamente senza essere disturbato o spaventato durante questo momento. Sconsiglio, peraltro, l’utilizzo ossessivo del bocconcino durante le fasi di training o nel corso della giornata, perché forza il bioritmo gastroenterico e crea dipendenze orali che possono dar luogo poi a comportamenti eccessivi o comunque alterati. L’utilizzo saltuario non è evidentemente un problema, ma occorre avere misura e non trasformarsi in dispenser di cibo, se non vogliamo creare dipendenze o fissità cognitive.

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L’umore, quale condizione emozionale di base

Lo sappiamo anche noi perfettamente che molto spesso un accadimento viene vissuto in maniera del tutto differente a seconda dell’umore che abbiamo! È vero: ogni tanto ci capitano eventi così eclatanti che da soli sono sufficienti per scatenare un’emozione, come vincere alla lotteria piuttosto che essere licenziati o subire un grosso incidente automobilistico. Ma il più delle volte le circostanze possono essere vissute in modo differente e diventano solo l’occasione per sfogare uno stato d’animo. L’umore è il vero protagonista di queste situazioni, ma l’umore dipende da come sta il corpo nel suo insieme. Lo so... ci sono poi aspetti della somato-psichica che non sempre vengono accuratamente presi in considerazione, nella falsa sensazione che l’approccio olistico abbia un vago sapore new age. L’umore rappresenta la base di partenza dell’esperienza emozionale del cane e dipende da fattori di eufisiologia. Mi riferisco, per esempio, alla cosiddetta ginnastica funzionale, cioè alla dose giornaliera di movimento fisico. 10

Il corpo del cane è predisposto dalla filogenesi per compiere ogni giorno lunghe passeggiate che consentono di mantenere il giusto tono muscolare e con lui il corretto assetto scheletrico e articolare. Il movimento ha un effetto diretto sul tono psichico del soggetto, innanzitutto perché determina l’emissione di endorfine e la corretta ossigenazione dei tessuti, evitando condizioni di acidosi e anaerobiosi. Inoltre i muscoli rappresentano la pompa del sistema linfatico, favorendo tutto l’apparato immunitario che, come sappiamo, è uno dei più importanti sistemi di neuromodulazione, attraverso per esempio le citochine. Muoversi per il cane è un’esigenza fondamentale che lo appaga e lo tranquillizza, per questo i cani che fanno attività in genere sono molto più equilibrati di quelli lasciati in totale inattività, per quanto accolti su divani o altre condizioni di comfort.


La fatica fisica può sembrare l’esatto contrario del benessere, ma questo è un grosso errore perché l’inattività è la prima fonte di disagio nel cane. Spesso siamo iperprotettivi, trattiamo il cane come un bambino da proteggere e cullare, lo lasciamo ore intere in casa nell’inattività e in passeggiata ci limitiamo al fargli compiere le deiezioni: ma questo è un grosso errore! Il cane ha necessità di esercitare il proprio corpo, ha bisogno di moto e di fatica: il comfort dev’essere il piacere che segue allo sforzo altrimenti non produce piacere ma acuisce il senso di noia e frustrazione. Poi è ovvio che dopo aver fatto movimento il cane desideri riposare e soffre se non gli è permesso. Tuttavia il riposo ha senso se prima c’è stata l’attività. Ecco, allora, che è fondamentale comprendere che il benessere nasce da un’oscillazione tra un momento di sforzo e un momento di riposo adeguato alla fatica che si è fatta.

Se uno dei due termini viene a mancare, inevitabilmente si verificherà una condizione di disagio. Non dimentichiamo che la struttura fisica del cane è quella di un animale di resistenza, un vero e proprio maratoneta, per cui nella società attuale è più facile il disagio da inattività che quello da deficit di riposo. Ciò non significa che anche quest’ultimo aspetto non abbia le sue regole, che vanno rispettate. Il cane non dorme come l’essere umano, ma fa tanti piccoli riposini, per cui spesso rischiamo d’infastidirlo durante una pausa onirico giornaliera. È importante destinare un’area precisa al riposo del cane, un luogo a lui deputato e posto in un’area più marginale rispetto ai punti caldi, cioè molto frequentati o di entrata-uscita, della casa. Anche in questo caso il detto “non svegliare il cane quando dorme” dimostra un’antica saggezza contadina che purtroppo abbiamo dimenticato.

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L’osservanza delle caratteristiche dell’etogramma

La storia evoluzionistica di una specie, come la dota di certe caratteristiche anatomiche e funzionali, così predispone per lei un menù comportamentale: l’etogramma. Nascere cane non significa solo avere un corpo conformato in un certo modo, ma possedere delle predisposizioni comportamentali che chiedono di essere espresse e nello stesso tempo poter vivere in condizioni che abbiano coerenza con le dotazioni di specie. Insomma, anche da un punto di vista comportamentale, il cane si aspetta certe condizioni di vita. Il disagio è spesso causato da problemi d’inadeguatezza della quotidianità espressiva del cane rispetto alle sue esigenze comportamentali. Quando parliamo di esigenze comportamentali ci riferiamo prima di tutto ai cosiddetti parametri di welfare etologici, che indicano l’importanza di essere immersi in una condizione di conformità rispetto all’etogramma, che rappresenta la carta d’identità della specie. Come sappiamo, un cane è diverso da un gatto perché presenta un profilo peculiare di specie, una vera e 12

propria dimensione filogenetica che detta non solo delle caratteristiche espressive specifiche, ma altresì delle esigenze che solo parzialmente sono sovrapponibili a quelle di altre specie. Questo è il motivo per cui la tendenza frequente di antropomorfizzare il cane, spacciata come un “viziarlo”, in realtà in molti casi rappresenta un vero e proprio maltrattamento. Se non si conoscono le peculiarità etografiche - ossia che fanno riferimento all’etogramma che è una sorta di catalogo comportamentale della specie - anche inconsapevolmente e con tutte le migliori intenzioni possibili, si rischierà sempre di porre il cane in una condizione di disagio. È fondamentale ripetere questo aspetto perché la nostra società ha smarrito il senso della diversità speciespecifica del cane e tende a vederlo come un bambino che richiede soltanto amore e affetto.


La negligenza nei confronti delle caratteristiche di specie rappresenta forse il problema più grande del nostro tempo che tende a omologare ogni animale sulla metrica dell’essere umano. Si tratta di un errore profondo, che nasce dal malinteso che umanizzare significhi elevare e dare di più, in realtà vuol dire maltrattare. Quando parliamo di parametri di welfare comportamentale ci riferiamo in modo particolare ad alcuni aspetti: i) un certo grado di libertà di movimento e quindi il poter godere di uno spazio adeguato alle caratteristiche di quella specie; ii) il non essere posto in situazioni di difficoltà adattative, perché non in grado di sottrarsi a eventi disturbanti o perché impedito nella messa in opera dei comportamenti di specie; iii) il poter usufruire di un ambiente arricchito ovvero dotato di quegli elementi target o di contorno che

consentono al soggetto di esprimere il proprio interesse motivazionale, esplorativo, ludico, esperienziale; iv) l’essere libero dalla paura prolungata, dalla precarietà e da condizioni reiterate d’insicurezza che mantengano il soggetto in una condizione emozionale negativa; v) il poter ricevere le cure parentali previste in quella specie e in particolare tutti quegli apporti ontogenetici materni presenti nel profilo evolutivo di specie; vi) il vivere relazioni sociali compatibili con il profilo della specie, pensiamo solo alla differenza significativa tra la socialità del cane e quella del gatto. Il welfare pertanto non si occupa solo di aspetti fisiologici, come la libertà dalla fame, dalla sete e dall’esposizione alle intemperie, ma anche di fornire delle attenzioni di base per quanto concerne la conformità ai parametri dell’etogramma.

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Well-being: l’importanza di valutare i talenti e le preferenze individuali

I parametri di welfare sono fondamentali per assicurare il benessere del cane in quanto cane, ma non dobbiamo mai dimenticare che il cane è anche un individuo! In prima battuta l’etogramma rappresenta il termine di valutazione del benessere, potremmo dire che è senza dubbio il prerequisito che dobbiamo tenere in considerazione prima di qualunque altra valutazione. D’altro canto è importante tener presente ulteriormente due aspetti che esulano dal mero aspetto etografico, seppur radicati in questo, vale a dire: i) le caratteristiche di razza, o comunque di retaggio genetico (valide quindi anche per i meticci) perché i cani sono molto differenti tra loro, non solo in termini di profili espressivi ma anche di esigenze e quindi di benessere; ii) le caratteristiche individuali, riferibili alla dimensione biografica del soggetto, perché, solo per fare un esempio, esiste una differenza profonda tra un cane semiferale, con una scarsa socializzazione 14

all’essere umano, e un cane cresciuto in famiglia. Ovvio che questa specificità non sia stata presa in considerazione da chi si è preoccupato di stendere dei protocolli di base sulla detenzione degli animali, vale a dire da tutta quella ricerca che ha fatto seguito al Brambell Report. Per contro, questa attenzione sulle “preferenze individuali” e sulla piena realizzazione dei talenti del soggetto è fondamentale quando si parla di cane, proprio per la specificità del rapporto con questo animale e per l’ampio orizzonte di coinvolgimento sociale e collaborativo che prevede. Chiamo questa attenzione, che si riferisce a una sorta di sesta libertà capitale - libertà di esprimere i propri talenti e le proprie preferenze - con il termine di wellbeing, un concetto già approfondito in un precedente quaderno.


Il well-being non mette in discussione i parametri di welfare, ma li amplia e semmai pone sotto critica quella tendenza welfarista, eccessivamente orientata sui parametri del comfort, che molto spesso cade nel pietismo. Quando parliamo di cane, non dobbiamo mai dimenticare che ogni razza ha delle peculiarità che spesso non vengono tenute in sufficiente considerazione da parte delle persone. Certo, un cane ha bisogno di potersi esprimere secondo i caratteri di specie e di avere situazioni di comfort ambientale - ovvero di poter essere in quella condizione definita dalle famose cinque libertà del welfare - ma nondimeno un labrador non potrà mai star bene se non potrà dar corso ai suoi talenti naturali, che derivano da una memoria genetica di razza. E così è per qualunque altra razza, perché per centinaia di anni sono state sottoposte a una selezione in tal senso che oggi non è possibile cancellare. Inoltre nell’esaltazione del com-

fort si nasconde un ulteriore fraintendimento: molto spesso far propendere troppo la leva sui parametri di welfare, rischia di produrre pericolose negligenze rispetto all’espressione delle vocazioni e delle attitudini, la cui agibilità sovente produce condizioni di fatica, eustress, esposizione. Il cane ama le condizioni di comfort, nessuno vuole negare questo, ma solo come pendant o contropartita di una vita attiva basata sulla possibilità di mettere in atto i propri talenti. Oggi vi è il malcostume di credere che una certa razza sia solo un’esteriorità morfologica quando, al contrario, si tratta di sostanza, cioè di vocazioni e attitudini, che non significano solo capacità e propensioni, ma anche “esigenze espressive”. Il wellbeing vuole pertanto sottolineare l’importanza dell’espressione delle preferenze, aspetto che non ha nulla a che vedere con una libertà incondizionata del cane, ma con un’attenzione specifica sulle sue predisposizioni.

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Le espressioni del disagio

Il disagio è dato da una condizione prolungata di difficoltà da parte del soggetto e porta a espressioni che non sono più semplici risposte ma tentativi di compensazione. Lo sappiamo: quando il cane si trova di fronte a una momentanea difficoltà mette in atto una risposta, cioè un’espressione fortemente correlata al qui-e-ora della difficoltà stessa. Quando, viceversa, insorge una condizione di disagio, non abbiamo più la mera risposta, l’aderenza espressiva alla difficoltà, ma un comportamento più teso a compensare la condizione di problematicità interna vissuta dal soggetto. Il disagio, pertanto, si manifesta attraverso tentativi di riequilibrio o di deviazione di un problema o di una difficoltà che si prolunga nel tempo e attiene al bisogno adattativo dell’individuo. Il disagio può anche rimanere in una condizione asintomatica ma, di solito, si manifesta attraverso indizi correlati. Le espressioni del disagio sono in genere evidenziabili perché assumono una connotazione sintomatologica abbastanza precisa. Riconosciamo i sintomi del disagio in atteggiamenti e 16

risposte che: i) in certi casi sono palesemente fuori luogo, ii) spesso assumono livelli alterati nel senso dell’eccesso o del deficit, iii) talvolta si caratterizzano perché al di là della norma o paradossali. Sono cioè derivali rispetto a quanto ci si aspetterebbe dalla risposta disposizionale (emozionale e motivazionale) o elaborativa (rappresentazionale e riflessiva) a un evento con cui il cane viene in contatto. Possiamo dire, in altre parole, che il disagio comportamentale è causato da una condizione di difficoltà prolungata di trovare un punto di omeostasi o di soddisfazione rispetto all’espressione del Sé e si manifesta attraverso un insieme di indizi espressivi che possono essere ricondotti al tentativo dell’individuo di uscire dalla condizione di problematicità interna. Queste manifestazioni del disagio hanno quindi un valore sintomatologico rispetto alla condizione del disagio.


Quando osserviamo nel nostro cane una sorta di distacco dalle situazioni, come se tentasse disperatamente di ritrovare un equilibrio che non riesce a raggiungere - per esempio: abbaiando continuamente, leccandosi in modo ossessivo, pigolando in modo inquieto per la casa, irritandosi per un nonnulla - dobbiamo iniziare a prendere in considerazione l’eventualità di una condizione di disagio. Detto questo è altresì evidente che la risposta messa in atto dal soggetto, come espressione del disagio e tentativo di rimuoverlo, se da una parte è sintomo di un vissuto problematico protratto nel tempo, è altresì causa di ulteriori problemi perché la reiterazione compensativa, per esempio il leccarsi una zampa in modo continuo, dà luogo nel tempo a una strutturazione di quel comportamento. Possiamo allora individuare nel fattore tempo tre situazioni: i) un momento di difficoltà trova nel sog-

getto una risposta di varia natura che comunque ha un effetto dirimente, cioè toglie il cane dalla condizione problema; ii) il prolungarsi della problematicità crea, viceversa, una condizione di disagio che non produce più una risposta adattativa ma compensativa, ciò che abbiamo definito sintomatologia del disagio; iii) il protrarsi della risposta compensativa toglie reversibilità all’espressione stessa, perché va a strutturare un certo vizio comportamentale, per cui non basta più togliere il disagio per veder scomparire il comportamento in oggetto. Tutto questo ci fa comprendere che, se è vero che occorre prevenire il problema del disagio, lavorando sul benessere del cane, è altrettanto vero che, di fronte a risposte compensative occorre intervenire con tempestività. Il tempo pertanto può essere il più potente degli alleati come, per contro, può essere il più grande dei nemici.

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Il disagio da inadeguatezza dell’ambiente di vita

Il cane vive con noi, si conforma alle caratteristiche dell’ambiente in cui cresce, fa proprie le abitudini e gli stili di casa... ma spesso forziamo un po’ troppo la sua adattatività. Quali sono le cause più frequenti di disagio? Se prendiamo in considerazione la fonte espressiva, è indubbio che due fattori risultano centrali: 1) l’ambiente di vita; 2) le caratteristiche relazionali. Possiamo inquadrare il disagio ambientale sotto diversi punti di vista, tutti peraltro utili per comprendere le modalità per porre rimedio alla situazione: i) inadeguatezza dell’ambiente domestico; ii) limitatezza delle esperienze esterne; iii) mancanza di occasioni di espressione in libertà. Innanzitutto possiamo trovarci di fronte a un’inadeguatezza dell’ambiente di vita rispetto ai bisogni espressivi del cane e alle sue capacità di ammortizzare i problemi. Ovviamente esistono delle improprietà ambientali: 1) oggettive o etografiche, ossia che vanno al di là delle caratteristiche specifiche di quella razza o di quel cane, vale a dire 18

delle improprietà riferibili a una palese distanza rispetto ai parametri di welfare comportamentale; 2) soggettive o biografiche, ossia riferibili ai talenti specifici di quel cane e alla possibilità di esprimere le sue preferenze, vale a dire delle inadeguatezze imputabili a una distanza rispetto ai parametri di well-being. Il disagio va pertanto letto come “distanza” rispetto a ciò che il soggetto si aspetterebbe e come “sforzo adattativo” per mantenere una condizione di omeostasi interna rispetto a una dissonanza ambientale. Possiamo inoltre considerare tale dissonanza attraverso due focali: i) il deficit di correlazione riferibile all’incapacità del soggetto di adattarsi al flusso di avvenimenti cui è sottoposto; ii) il deficit di corrispondenza riferibile alla difficoltà o impossibilità di esprimere la propria natura etologica o vocazionale.


Quando analizziamo il disagio da improprietà ambientale o del contesto di vita - ovviamente inteso non come uno spazio meramente fisico, ma come dimensione ove sono presenti elementi stimolativi, distraenti, accoglienti, estetici, focalizzanti o capaci di fungere da potenziali target - ci soffermiamo in modo particolare su due elementi: 1) gli evocatori, ossia tutti quegli elementi in grado di suscitare un’espressione comportamentale o comunque di perturbare la condizione omeostatica del soggetto; 2) il campo di agibilità, ossia l’insieme di attività consentite o facilitate oppure, per contro, vincolate che l’ambiente di vita presenta. Gli evocatori sono entità che stimolano o richiamano e che quindi indirizzano l’attenzione o persistono nel perturbare la condizione interna del soggetto. Essi hanno un valore non assoluto ma relativo, per cui un evocatore può assumere un gradien-

te alto per mancanza di altri elementi. Volendo chiarire questo aspetto possiamo dire che tanto più povero di possibilità è un certo ambiente tanto più un elemento di problematicità diverrà saliente e produttore di disagio. Inoltre quanto più il cane resta da solo o confinato in quell’ambiente tanto più l’elemento problematico sarà produttivo di disagio. Si dovrà pertanto valutare: i) l’insistenza, ossia la frequenza e l’intensità evocativa; ii) l’appropriatezza, ossia la coerenza con le caratteristiche del cane; iii) la variabilità, ossia se rischiano di portare a degli eccessi. Anche il parametro di agibilità è fondamentale perché ci dice quali comportamenti sono alla portata del cane. Valuteremo pertanto: i) la complessità del contesto di vita, ossia la varietà di attività possibili; ii) i vincoli e le opportunità che il contesto presenta; iii) la persistenza del cane in un certo ambiente.

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Il disagio da scorretta relazione

La socialità del cane è molto accesa e si sviluppa attraverso un forte bisogno partecipativo alla vita del gruppo e una definizione di ruoli e di stili condivisi. Vivere con il cane significa accettare di condividere la propria quotidianità con un compagno che ha fatto della partecipazione e della collaborazione sociale la sua dimensione esistenziale più diretta e autentica. Il cane non può essere lasciato da solo per molte ore al giorno, non può sentirsi escluso dalle dinamiche del gruppo, non può essere privato da quelle chiarezze di ruolo che caratterizzano le organizzazioni di gruppo. Il cane è un animale che vive la socialità in modo collaborativo e integrativo, vale a dire come se la famiglia fosse una piccola squadra che deve guadagnarsi da vivere in un mondo ostile attraverso una forte coesione interna e una chiara ripartizione di ruoli. Lo so che detta così può sembrare una schematizzazione un po’ forzata, ma non dobbiamo dimenticare che nel cane riecheggia ancora il lupo e quindi in lui vive quel bisogno di fare gruppo 20

per rassicurarsi e per raggiungere dei risultati. Per questo ritengo che il benessere relazionale del cane non possa distanziarsi più di tanto dalle caratteristiche sociali di questa specie. Una squadra è tale se: 1) i suoi membri sono coesi, cioè si conoscono, si frequentano, hanno maturato degli schemi di gioco capaci di cementificare l’intesa; 2) se c’è una chiara assunzione di ruoli e in particolare se chi pretende di guidare il gruppo è capace e affidabile; 3) se l’integrazione è tenuta insieme da uno spirito di collaborazione, reciprocazione e aiuto reciproco. Il cane si troverà a disagio se: i) le persone presenteranno morbosità affettive; ii) se non saranno in grado di essere delle guide capaci e autorevoli; iii) se ignoreranno il cane e non lo coinvolgeranno in attività in linea con il suo spirito collaborativo; iv) se manifesteranno comportamenti scostanti o incoerenti.


Un capitolo importante del disagio riguarda perciò la relazione con l’essere umano. Le persone faticano a capire che il cane non è un bambino! E non si tratta solo del problema di umanizzare un altro essere vivente che, viceversa, desidera veder accolta la sua natura. L’infantilizzazione porta a non prendere in considerazione il bisogno del cane di partecipare in modo fattivo e operoso - in una parola “da adulto” - alla vita del gruppo. Nel rinchiuderlo all’interno di una prigione dorata fatta di coccole e carezze, ma altresì d’inattività e frustrazione, come nell’eccesso di protezione e pietismo, si nasconde il pericolo del disagio. In linea generale potremmo dire che il cane si trova in una condizione di benessere relazionale se: i) ha avuto un buon livello di socializzazione con l’uomo durante il primo anno di vita, altrimenti farà molta fatica ad abituarsi a un regime di intimità e frequentazione assidua; ii) è correttamente in-

serito all’interno del gruppo familiare, ritrovando in esso costanza di presenza - non è sottoposto a troppe ore da solo - e coerenza nel definire abitudini e stili; iii) sente di avere un ruolo all’interno del gruppo ed è coinvolto attraverso attività che diano valore alla sua natura collaborativa; iv) può avere anche dei margini di autonomia ed è in grado pertanto di trascorrere dei momenti anche in solitudine o svolgendo delle proprie attività; v) ha nel proprio referente umano una guida sicura e autorevole, di cui e a cui potersi fidare e affidare, utilizzandola come mediatrice tra Sé e le situazioni di problematicità presenti nel mondo; vi) non è sottoposto a un carico eccessivo di richieste, siano esse di natura affettiva o performativa, non vive la relazione come continua imposizione e inibizione, non subisce violenza o maltrattamenti, non è trattato come un bambino sottoposto a continui atteggiamenti di accudimento.

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Le molteplici forme di disagio

Il disagio si differenzia dalla condizione di difficoltà momentanea e occorrente per il suo protrarsi nel tempo dando luogo a comportamenti che tentano una compensazione. Mentre una difficoltà provoca una risposta riferita, un disagio si manifesta in genere con una sorta di comportamento “surrogato”, mettendo in luce la difficoltà del cane di trovare una soluzione aderente al suo problema. La pluralità delle condizioni di disagio provocherà pertanto una costellazione di queste espressioni alternative che mostrano come la strada diretta di risposta e fuoriuscita dalla difficoltà sia stata in qualche modo impedita al cane. È pertanto fondamentale considerare il disagio nelle diverse forme in cui esso si manifesta, modificando le normali espressioni comportamentali che ci si aspetterebbe. Occorre al riguardo fare alcune precisazioni: i) non è detto che tutti gli eventi perturbanti che si protraggono nel tempo determinino una condizione di disagio, perché la capacità di recuperare omeostasi o comunque di ammortizzare gli insulti è legata anche 22

alla specifica resilienza del soggetto; ii) non è detto che un disagio debba dar vita a delle manifestazioni eclatanti o comunque facilmente riscontrabili, poiché spesso il quadro è silente o comunque poco evidenziabile nella vita quotidiana; iii) non è detto che una certa tipologia di disagio dia luogo alle stesse espressioni sintomatologiche, perché il disagio fa emergere le vulnerabilità soggettive del cane. A ogni buon conto occorre sapere che: 1) il disagio produce comunque un effetto sul cane, riducendo le sue risorse psico-fisiche, per cui ogni intervento di educazione o riabilitazione richiede sempre un ripristino di risorse; 2) le manifestazioni del disagio non sono elementi che escono dal soggetto come prodotti di scarto-sfogo, ma sono comportamenti che nel tempo, a causa del continuo esercizio, danno luogo a vizi comportamentali e quindi sono a loro volta causa di ulteriori problemi.


Se consideriamo il disagio come una sorta di gabbia che non consente al soggetto di uscire dal proprio problema - vale a dire di rinvenire una “risposta utile” che, in modo, diretto risolva la difficoltà, offrendo solo dei “surrogati espressivi” che alleviano o distraggono dal problema - è evidente che la ripetitività e la povertà dell’ambiente di vita e della relazione lo accentuino. Le manifestazioni del disagio assumono un portato di problematicità maggiore quanto più il cane è mantenuto in maniera coattiva all’interno dello stesso contesto. Più si allargano lo spazio di vita e l’orizzonte relazionale del cane, più si andrà a diminuire la ripetitività espressiva, alleggerendo così il portato eziopatogenetico (cioè il rischio di creare ulteriori problemi) dell’espressione del disagio. Il disagio è, infatti, una condizione che si radica in una continuità di vissuto all’insegna della precarietà e della dissonanza. Occorre capire che quanto più

manterremo il cane all’interno di questo vissuto, tanto più per lui sarà difficile uscire da tale situazione. Le espressioni del disagio tendono indubbiamente a esacerbarsi nel tempo, come si può evincere da questa sequenza definibile come “fasi del disagio”: 1) conflittualità, rappresenta il primo stadio allorché il cane cerca una soluzione attraverso comportamenti di allontanamento, irritazione, irrequietezza o aumento delle richieste; 2) compensazione, quando il cane cerca di alleviare il problema attraverso comportamenti fuori luogo o sostitutivi; 3) anticipazione, allorché il cane cerca di evitare l’avvento del fattore disagiante mettendo in atto comportamenti preventivi; 4) distacco, quando attraverso rassegnazione o automatismi si distacca dal mondo esterno. Il problema di queste espressioni non è solo l’essere fuori-luogo o con gradienti inadeguati, ma la tendenza alla semplificazione e alla ripetitività.

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Il disagio motivazionale

Una delle caratteristiche fondamentali della soggettività del cane è l’essere portatore di desideri espressivi che non possono essere elusi o negati. Quando penso al cane immediatamente immagino la sua voglia di correre, perlustrare il mondo, collaborare con il suo partner umano, orientarsi e rincorrere ogni cosa che si muove, fare giochi competitivi con i suoi simili, difendere una risorsa o un territorio, aiutare e proteggere chi si trova in difficoltà. Il cane è un meraviglioso universo di proattività, di vitalità che sgorga in modo naturale e incontenibile dal corpo e dalla psiche. Non sempre le persone capiscono che il fare è il vero nodo del desiderio del cane, che il cane cioè desidera agire e che gli oggetti non sono altro che le scuse per poter compiere quelle azioni che sono previste dal suo menù motivazionale. L’inattività è il vero nemico del cane! Uno degli ambiti più colpiti dalle situazioni di disagio è pertanto rappresentato dalla negazione delle esigenze motivazionali del cane. Come sappiamo le motivazioni rappresentano: i) gli orientamenti e 24

quindi ciò che alimenta la curiosità, il gioco, l’interattività del soggetto verso il mondo; ii) i motori dell’espressione proattiva e quindi le coordinate di gratificazione e appagamento del soggetto; iii) i fattori del coinvolgimento ossia della piena partecipazione al qui e ora vissuto dal soggetto; iv) gli elementi d’ingaggio e quindi di relazione e d’impegno nelle attività che vengono proposte o che il cane svolge autonomamente; v) i connotati del profilo desiderante e propositivo del cane stesso e quindi un aspetto fondamentale nella definizione del carattere. Orbene è possibile che, sia sotto il profilo dell’ambiente-dimensione di vita sia da un punto di vista relazionale, la quotidianità del cane sia dissonante rispetto alle sue aspettative motivazionali, soprattutto riferibili ai caratteri attitudinali. Non diamo cioè la possibilità al cane di esprimere il suo desiderio di operosità.


In genere ci si trova di fronte a tre situazioni canoniche: 1) la frustrazione o impossibilità a dar seguito alle proprie motivazioni e raggiungere l’appagamento; 2) la demotivazione o mancanza di elementi capaci di suscitare o comunque di essere coerenti con gli orientamenti motivazionali del cane e quindi di accendere attenzione e curiosità; 3) la conazione o prevalenza di attività imposte o di situazioni a basso regime di coinvolgimento. Quando si verificano una o più delle condizioni suesposte è facile che il cane metta in atto alcuni comportamenti che possono rappresentare delle spie di una condizione di disagio motivazionale in atto. Possiamo avere per esempio: i) abulia ossia un progressivo disinteresse per ciò che lo circonda con comportamenti depressivi; ii) ipersensibilità ossia forte reattività rispetto agli avvenimenti e inquietudine; iii) conflittualità o incapacità a trovare un equilibrio pacificato con il contesto o nelle relazioni;

iv) comportamenti autoriferiti, come eccessivo autogrooming, bulimia, potomania. Come si è detto il disagio tende a evolvere, cosicché alcune espressioni meramente sintomatologiche con il tempo si trasformano in vizi comportamentali. Abbiamo visto 4 fasi del disagio che nell’ambito motivazionale sono: 1) la conflittualità che si esprime in genere attraverso un sottrarsi o un ridirigere il comportamento su un target disponibile; 2) la compensazione attraverso comportamenti diversivi come la sostituzione o la reiterazione di un certo pattern; 3) l’anticipazione attraverso forme di ritualizzazione espressiva e comportamenti compulsivi; 4) il distacco attraverso l’emergenza di stereotipie o comportamenti ripetuti ossessivamente che prescindono da una condizione di disagio riferibile al contesto esterno. In tutti questi casi occorre ripristinare una coerenza di potenzialità espressive riferibili alle caratteristiche motivazionali specifiche di quel cane.

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Il disagio emozionale

Il cane ha una vita emozionale molto intensa, sia nel rapporto diretto con il mondo sia attraverso una vera e propria osmosi con il suo partner umano. Le emozioni indicano il tipo di risposta che diamo a tutto ciò che ci capita nella quotidianità, soprattutto se desta la nostra attenzione per la novità, il valore o la salienza. Ma le emozioni sono altresì testimonianza del nostro umore, cioè di come stiamo, e del vissuto, ossia delle esperienze precedenti. Anche le emozioni rappresentano quindi un ambito fondamentale per comprendere la condizione di disagio. È peraltro evidente che esiste un rapporto strettissimo tra emozioni e motivazioni perché l’elicitazione motivazionale, che stimola la curiosità interessata, e l’espressione motivazionale che rasserena attraverso l’appagamento, hanno un effetto primario nell’abbassare toni umorali negativi ed eccessive sensibilità emotive. Come sappiamo, inoltre c’è un rapporto strettissimo nel capitolo della somatopsichica riguardante le influenze dello stato del corpo sul tono umorale. Anche la storia evolutiva dell’individuo ha una ricaduta primaria sul vissuto emo26

zionale, per tre ragioni di base: 1) l’aver costruito un filtro emozionale nei primi mesi di vita, che consente di non essere sovraesposto a tutto quello che accade intorno; 2) l’aver sviluppato, attraverso opportune esperienze e marcature positive, un orizzonte d’interfaccia aperto, fiducioso, sicuro; 3) l’aver maturato un coeso profilo del Sé, attraverso un buon processo di attaccamento, conseguendo autoefficacia e autonomia relazionale. D’altro canto la vita quotidiana del cane, al di là delle particolari sensibilità individuali, può andare nella direzione di uno stato di benessere o, viceversa, disagio emozionale e i motivi più comuni sono sempre di ordine: i) ambientale, in quanto il contesto di vita è responsabile del flusso di eventi che accendono le diverse emozioni; ii) relazionale, perché la persona, oltre a essere essa stessa causa di emozioni e marcature, può enfatizzare o focalizzare gli accadimenti e parimenti caricare d’ansia il soggetto.


Va detto che esiste un rapporto stretto tra stato del corpo e stato emozionale, in virtù dell’umore che ci fa vivere le cose che ci capitano in un modo piuttosto che in un altro. Anche il carattere è importante, vale a dire le tendenze individuali che fanno sì che un cane sia più diffidente e un altro più fiducioso. Detto questo è evidente che ci si dovrà comportare in modo differente a seconda delle specifiche vulnerabilità individuali. I tre problemi più importanti del disagio emozionale riguardano: 1) la iperstimolazione, ovvero la condizione di disturbo da un eccesso stimolativo o da una stimolazione prolungata, con conseguente alterazione delle soglie responsive; 2) la irritazione, ossia la condizione di fastidio da una prevalenza di elementi avversivi, conativi, inibitivi, vessatori, con sollecitazione di risposte aggressive, difensive, conflittuali o di fuga; 3) la insicurezza, ovvero quel senso di precarietà provocata da situazioni

che compromettono la stabilità, il senso di autoefficacia, la sicurezza affettivo-relazionale, la capacità di gestire gli accadimenti. Quando si verificano tali condizioni, le espressioni del disagio possono essere: i) l’emotività, ossia l’incapacità di filtrare gli eventi; ii) l’allerta ossia la tendenza a mantenere uno stato di estrema vigilanza; iii) la chiusura ovvero la limitazione degli spazi vissuti; iv) l’irritabilità, ossia la mancanza di tolleranza sugli eventi. L’evoluzione del disagio emozionale nelle 4 fasi è sempre assai problematica: 1) la conflittualità viene espressa attraverso lo sviluppo di sempre più frequenti atteggiamenti di scarico emotivo o di sottrazione agli stimoli; 2) la compensazione prevede atteggiamenti di elusione-criptazione rispetto agli eventi o alterazione delle soglie di risposta; 3) l’anticipazione produce situazioni di ansia; 4) il distacco prevede invece prevalenze di fissità emotiva o di depressione.

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Il disagio elaborativo

Il cane deve poter gestire le diverse situazioni avvalendosi dell’esperienza, che lo ha dotato di conoscenze e competenze, evitando l’impulsività che spesso non lo aiuta. Elaborare le informazioni che arrivano dal mondo, nella specificità delle diverse situazioni, rappresenta un’esigenza adattativa ineludibile. Proprio per questo il cane, pur essendo dotato di conoscenze innate, è aperto all’apprendimento, vale a dire a costruirsi una nuova biblioteca di conoscenze utili. Purtroppo non sempre aiutiamo il cane ad affrontare il mondo in modo adeguato perché: i) non gli facciamo fare quelle esperienze precoci o propedeutiche che gli consentono poi di avere familiarità e competenza con la circostanza; ii) non rafforziamo le disposizioni cognitive del cane, come la flessibilità, la memoria, gli autocontrolli; iii) manteniamo il cane in una scorretta condizione di attivazione. Un’altra condizione di disagio riguarda perciò la condizione elaborativa del soggetto, sia per quanto concerne l’aspetto di attivazione - lo stato di 28

arousal - sia per l’aspetto cognitivo. Per quanto concerne l’attivazione diciamo che un cane non può essere lasciato per ore in situazioni d’inattività o in una fase eccitatoria cui non consegua o non si dia disponibilità espressiva. Per quanto riguarda l’aspetto cognitivo, è importante ribadire che per affrontare le situazioni occorre aver fatto le esperienze necessarie e avere altresì delle buone doti di adattabilità. I tre problemi più importanti sono: 1) la noia, allorché il cane venga tenuto in una condizione prolungata di inattività e di mancanza di eventi capaci di accrescere il livello di attivazione; 2) l’eccitazione, se viceversa il soggetto è mantenuto sempre ad alti livelli di attivazione o stimolazione senza che gli si dia la possibilità di sfogo; 3) la fluttuazione, se è sottoposto a continue condizioni di disturbo e di scostamento senza essere in grado di compensare.


Il cane deve poter tener occupata la sua mente, ma nello stesso tempo dev’essere in grado di compensare i momenti di eccitazione attraverso l’attività motoria o di poter raggiungere una sorta di equilibrio interno. D’altro canto è evidente che il cane perderà più facilmente le staffe se mancante di tutte quelle conoscenze che gli consentono di affrontare gli scacchi con competenza. Le tre condizioni più frequenti del disagio elaborativo sono: i) la apatia, vale a dire una sorta di sonnolenza in cui sprofonda sempre di più il soggetto; ii) l’inquietudine, ovvero un’incapacità a trovare una situazione di pace o equilibrio interno; iii) l’impulsività, riconducibile a un deficit di capacità riflessiva. Le 4 fasi possono essere così ricondotte: 1) la conflittualità evolve attraverso meccanismi di richiesta sulle persone o di reindirizzo sul corpo; 2) la compensazione viene espressa attraverso distruttività o attività di reindirizzo, come fare buche; 3) l’anticipazione dà luogo a manifestazioni ansiose o compulsive; 4) il distacco può dar luo-

go a stereotipie, fissità, depressione o continue vocalizzazioni. L’alterazione elaborativa può essere legata a un deficit di autocontrollo come, per contro, può essere il risultato di un deficit di esperienza: quando cioè gli eventi che il soggetto deve affrontare surclassano le sue conoscenze. I tre problemi più importanti che provocano disagio rappresentazionale sono: 1) lo stato di continuo scacco, quando il cane non è in grado di uscire da situazioni problematiche; 2) l’incoerenza relazionale, quando il partner umano presenta atteggiamenti ambivalenti e contraddittori; 3) il distress, quando il cane è sottoposto a una richiesta eccessiva che dura nel tempo. Le manifestazioni più comuni sono: i) l’ossessività, ossia il ripetere pochi schemi espressivi; ii) la vigilanza, ovvero la tendenza a voler controllare le situazioni. Il disagio rappresentazionale ci mostra come le conoscenze siano fondamentali nella vita del cane, cosicché sono sempre centrali la gradualità di approccio e il tener conto del pregresso esperienziale.

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Ricerche scientifiche sul disagio - a cura di Raffaella Cocco

Raffaella Cocco Ricercatore dipartimento di Medicina Veterinaria Università di Sassari La ricerca scientifica e la maggiore divulgazione delle recenti scoperte hanno reso la popolazione dei paesi industrializzati sempre più consapevole del ruolo che alcuni alimenti o loro costituenti possono avere nel mantenere lo stato di salute. Com’è noto, il regime alimentare influisce, talvolta in modo sensibile, sulla salute degli animali. Esso può comportare tanto carenza acuta o cronica di nutrienti essenziali quanto eccessi e squilibri nutrizionali individuati quali fattori di rischio per l’insorgenza di malattie metaboliche e degenerative, e uno stato di stress cronico. Numerose evidenze cliniche veterinarie dimostrano che le reazioni avverse al cibo possono causare vari tipi di disturbi comportamentali (eccita30

bilità, aggressività, abbaiare continuo, comportamento distruttivo, depressione). Una corretta alimentazione, priva di inquinanti chimici e farmacologici tossici, è alla base del mantenimento di entrambe le funzioni fisiche e mentali nei cani. L’aggiunta di elementi vegetali sembra contribuire al miglioramento dei meccanismi di difesa fisiologici. La misurazione del benessere rappresenta attualmente un campo di studio molto importante, anche se non di facile attuazione. Gli indicatori da considerare sono numerosi, e le misurazioni possono essere di difficile interpretazione, inoltre possono subire variazioni significative in base al soggetto a parità di condizioni ambientali, date dalla sensibilità e dalla capacità adattativa individuale allo stress. Finora gli studi hanno rilevato che l’organismo risponde e si adatta alle differenti situazioni ambientali tramite cambiamenti nel comportamento, e con risposte organiche, quali variazioni nell’attività cardiaca, nelle concentrazioni ormonali ematiche, o nel sistema immunitario, tutte finalizzate al mantenimento dell’omeostasi. Quando l’equilibrio omeostatico è minacciato da fattori esterni, l’animale reagisce con una serie di meccanismi adattativi fisiologici volti a minimizzare il pericolo. Questa situazione costituisce uno stress acuto, ed è un meccanismo protettivo fisiologico. Quando l’organismo non è più in grado di mantenere l’equilibrio omeostatico, si instaura lo stress cronico. Ogni giorno gli animali si trovano di fronte a situazioni che possono essere percepite come “pericolose” poiché minacciano l’omeostasi, ma è il sistema nervoso centrale che valuta se uno stimolo, o un gruppo


di stimoli, rappresenta una reale minaccia. Questi stimoli vengono definiti “stressor”. Quindi uno stressor è un fattore di qualsiasi natura (fisica, comportamentale, sociale) che determina una modificazione dell’omeostasi normale in un soggetto al quale esso reagisce con una serie di reazioni comportamentali e/o organiche volte a ristabilirla. Se questo non accade viene meno il benessere dell’animale e segue uno stato patologico che può essere più o meno grave. Lo “stressor” quindi è lo stimolo che conduce l’organismo e la psiche allo stress. Gli stimoli ovviamente sono numerosi. Un recente studio ha evidenziato come, a seconda della tipologia di stressor, vari il meccanismo encefalico di attivazione della reazione allo stress, soprattutto per quanto riguarda la secrezione di cortisolo. Lo studio del comportamento contribuisce a rilevare e farci comprendere in che modo gli animali reagiscano a determinati stimoli, come quelli dolorifici, o in generale a situazioni difficili, ed è anche fondamentale per riuscire a interpretare il comportamento sociale con i conspecifici e gli eterospecifici. Ad esempio uno shock somatico violento può indurre il cane ad urinare, defecare, tentare la fuga, emettere vocalizzazioni di diversa intensità e timbro, può comparire scialorrea, agitazione, tendenza a mostrare stereotipie ed eseguire rapidi movimenti oculari con midriasi. Di fronte al pericolo i cani mostrano piloerezione, tremori muscolari, respiro corto ed ansimante, coda fra le gambe, posizione bassa del corpo, movimenti veloci della lingua. Iperpnea e scialorrea possono presentarsi anche come reazione anticipatoria a un eventuale stressor.

Queste reazioni rappresentano le azioni compensatorie dell’organismo per il mantenimento della termoregolazione. Il leccarsi le labbra, sollevare la zampa anteriore, avere una postura bassa, di sottomissione, sono spesso indicatori di stress in cani soggetti sottoposti a condizioni vessatorie. Il cane confinato in uno spazio ristretto può manifestare comportamenti stereotipati quali il grooming eccessivo, morsicare e leccare le barriere del recinto ecc. L’intensità e il tipo di risposta comportamentale dipendono ovviamente dal tipo di stressor responsabile. In caso di stressor violenti come uno scoppio improvviso, si osservano alcune di queste reazioni, come posture basse, associate ad alti livelli ematici di cortisolo. Per quanto riguarda i moduli comportamentali espressi dal cane in caso di stress cronico, questi sono più difficili da valutare. La maggior parte degli studi a riguardo sottopongono i cani a restrizioni spaziali e sociali. La risposta fisiologica e comportamentale del cane adulto alla separazione è oggetto di numerosi studi, gli effetti della separazione sul cane allevato in famiglia, sono riportati in diversi rapporti clinici che indicano come esso rimanga sensibile alla separazione per tutto il resto della vita. Altri studi condotti su cani tenuti in ambienti disagevoli, hanno evidenziato come essi manifestino, in questi casi, un aumento del grooming, dell’immobilità oppure dei movimenti ripetitivi, del circling, ma non quei comportamenti tipicamente associati alla paura. Lo Stress Ossidativo, definito classicamente come l’effetto finale dello squilibrio fra produzione ed eliminazione di specie chimiche ossidanti, in genere di 31


natura radicalica e centrate sull’ossigeno (Reactive Oxygen Species,ROS), costituisce uno dei fattori di rischio emergenti per la salute animale. Ad esso, infatti, risultano associati una immensa serie di quadri morbosi di natura degenerativa e ad andamento cronico Lo stress ossidativo cellulare può essere associato al declino comportamentale: alcuni autori hanno scoperto che l’aumento dei prodotti finali dell’ossidazione può essere correlato con l’aggravamento dei deficit comportamentali. Una mancata risposta di adattamento dell’organismo a una qualunque fonte di stress sia esso fisico (patologia cronica) o psicologico può trovare un aiuto in una dieta (Armonia della Sanypet) addizionata con alcune piante officinali, aminoacidi e acidi grassi polinsaturi. - Punica granatum ampiamente utilizzata per il trattamento di disturbi cerebrali, malattie cardiache, enteriche e in generale nei processi infiammatori. Inoltre, è stata anche utilizzata per diminuire ansia e insonnia. Contiene alti livelli di polifenoli (punicalagin, acido ellagico e antociani), testosterone, estrogeni. - Valeriana officinalis è una pianta perenne della quale radici e rizomi sono stati utilizzati nella medicina tradizionale cinese per le loro proprietà sedative e antispasmodiche (Jihua Wang 2010). È stato usato in medicina alternativa per il trattamento dei disturbi del sonno e tensione nervosa, probabilmente per i suoi effetti agonistici sulle vie del GABA ( Miguel Hattesohl e Mirjam Hegger, 2008; Je’ssie Haigert Sudati, 2009). - Rosmarinus officinalis è un arbusto aromatico comune, con diverse applicazioni terapeutiche. 32

- Tilia cordata è una pianta medicinale ampiamente utilizzata. I fiori di Tilia vengono essiccati per fare un tè utilizzato per il trattamento della febbre e il raffreddore, infiammazioni, bronchiti e rigenerazione cellulare (Maria Gabriela Manuele, 2008). I suoi estratti, quercetina e kaempferolo agliconi hanno dimostrato una risposta ansiolitica (Eva Aguirre-Hernández e Geoffrey Kite, 2010). - Crataegus oxyacantha L. è una pianta perenne, ben nota in fitoterapia per il trattamento delle malattie cardiovascolari. I flavonoidi, rappresentati da procianidine, flavoni e flavonolo, sono considerati i principali gruppi di antiossidanti e anti-infiammatori (Danijela A Kostić, 2012; JieWang, 2013). Inoltre, hanno un effetto calmante sul sistema nervoso e i sintomi legati all’ansia (Ernst, 2007; Shaheen E Lakhan, 2010). - Tè verde estratto ricco di L-teanina è una pianta, nota anche come Camelia Sinesis, membro della famiglia delle Theaceae (Tranum Kaur, 2008). Possiede attività antiossidante, migliora notevolmente l’apprendimento e la memoria e protegge il sistema nervoso centrale (E. Skrzydlewska 2002; Susana Coimbra, 2006; David Banji e Srilatha Kambam, 2011). Lekh et al. Hanno osservato che la L-teanina produce un notevole effetto rilassante (Lekh Raj Juneja, 1999). - L-triptofano: porta alla generazione di numerosi composti neuroattivi all’interno del sistema nervoso centrale, tra cui la serotonina, la melatonina, e la triptammina. La deplezione di triptofano porta a sintomi depressivi o alterazioni dell’umore e disturbi d’ansia (Delgado, 1990; 1999).


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