ROBERTO MARCHESINI
La relazione con il cane
Quaderni di cinologia
I quaderni di cinologia La collana edita da Apeiron raccoglie contributi innovativi legati alla relazione con il cane 1 Well Being 2 L’educazione cinofila 3 L’arte di collaborare 4 Il cane. Un mondo in gioco 5 Passeggiare con il cane 6 La relazione con il cane √√ Questi sono i primi titoli della collana nata nel 2014, edita dalla casa editrice Apeiron e promossi da Siua Scuola di interazione uomoanimale. √√ I quaderni di cinologia, scritti dall’etologo Roberto Marchesini, sono dedicati a chi vuole approfondire uno dei legami più affascinanti che hanno caratterizzato la nostra specie, quello con il cane. √√ Vivere con il cane richiede la messa a punto di una nuova cultura cinofila capace di rispondere ai bisogni del cane, nelle sue diverse espressioni individuali o di razza, dall’altra di trovare delle soluzioni riferite agli spazi e agli stili della società. √√ Nella consapevolezza di vivere in un mondo che ha lasciato alle spalle la cultura rurale, è indispensabile ricostruire questo incontro sulla base di una nuova alleanza che tenga conto in primis di cosa sia effettivamente un cane.
Il piacere di scoprirsi
La relazione con il cane rappresenta una di quelle occasioni speciali che non ti aspetti: per viverla in pienezza occorre abbassare il volume delle aspettative. Sul cane sembra che tutto sia stato detto, anche perché fin da bambini siamo bombardati da immagini e racconti che parlano di questa relazione. Risuonano in noi le immagini di Pongo e della carica dei 101, poi Lilly e il vagabondo, Rin Tin Tin e Rex in un girotondo di situazioni memorabili, epiche come per Argo dell’Odissea, drammatiche come in Hachiko, ironiche come in Beethoven, malinconiche come in Belle e Sebastien. Parlano d’intimità, di condivisione, di lontananza, di fedeltà, parlano soprattutto di legami indissolubili che sembrano accordarsi su un unico tema. Eppure è come l’amore: ogni volta arriva inaspettato e puntualmente sconvol-
ge i parametri di riferimento. Il motivo è molto semplice: la relazione tra l’essere umano e il cane è sempre l’espressione di due individualità precise che s’incontrano in un particolare momento della vita, per cui tutto è ancora da inventare. Occorre pertanto lasciarsi andare e vivere il momento con serenità e con un pizzico di spontaneità. La relazione è una cartina di tornasole, capace di rivelare sogni nascosti, aspetti inattesi, tratti che mai avremmo potuto immaginare. E non si tratta solo di conoscere quel cane nelle sue tendenze, vocazioni e attitudini, ma altresì di scoprire qualità, propensioni, vulnerabilità e doti sepolte nel profondo di noi stessi. 1
Una serena attenzione
Anche con il cane il “so di non sapere” di tradizione socratica diventa un’accortezza fondamentale per costruire un rapporto rispettoso delle sue caratteristiche etologiche. Se è vero che la relazione sempre ci sorprende e che ogni progetto o proposito rischia puntualmente di cadere nell’oblio, questo non significa, tuttavia, lasciarsi andare agli eccessi dell’improvvisazione e credere che tutto magicamente si conformi nel modo migliore per moto spontaneo. L’intuito sicuramente ci può aiutare, un po’ di buon senso è pur sempre una bussola, l’autenticità è di certo una componente irrinunciabile in un rapporto, ma quando ci si relaziona con un animale è necessario anche armarsi di conoscenze specifiche rispetto alle sue caratteristiche. Un cane ha dei bisogni e delle tendenze differenti dalle nostre: nella maggior 2
parte delle situazioni la semplice immedesimazione ci porta fuori strada. E c’è un aspetto che non sempre si tiene in debita considerazione: la propria ignoranza, una condizione che non deve essere vissuta come un’offesa, bensì come la premessa per apprendere. Anche se sommersi da un gran parlare dell’argomento “cane”, in realtà spesso a mancare sono proprio quelle conoscenze di base che ci consentirebbero di affrontare nel modo corretto i primi momenti. Spesso si è travolti da questa esperienza e si commettono tanti piccoli errori proprio quando il cane è ancora cucciolo, dandogli delle impostazioni e delle abitudini che poi sarà difficile superare.
La relazione con il cane è piena di sorprese travolgenti e di gioia, ma riserba anche trabocchetti: non bisogna spaventarsi, ma nemmeno prenderla sottogamba. Talvolta si arriva totalmente impreparati a questo appuntamento e ci si tuffa nel rapporto con la frenesia disordinata della festa e con la concitazione di chi vuole risolvere gli imprevisti con risposte dell’ultimo momento. Presi dalla tenerezza del cucciolo o dall’entusiasmo del nuovo arrivo in casa nostra, di colpo siamo colti dal panico di fronte a una pipì sul tappeto, al suo prendere in bocca con ostinazione distruttiva l’orlo della tenda o del copripoltrona, a una cacca improvvisata in cucina, al suo catturare il portafoglio dimenticato sulla sedia e scappare poi nel recesso meno raggiungibile per masticare con accuratezza banconote e carta di credito. È allora che le perso-
ne commettono gli errori più comuni, quando strappando di bocca gli oggetti facilitano le evoluzioni di comportamenti possessivi, quando sgridando il cane che compie le deiezioni in casa creano un problema nel cane a fare i bisognini alla presenza del proprietario, quando strappando un tessuto dalle fauci del cucciolo inscenano un tira-molla divertentissimo per il cane che inevitabilmente riproporrà lo stesso comportamento sul medesimo target. Si pretende che il cucciolo dorma da solo di notte, suscitando in lui veri e propri stati di terrore che andranno a compromettere non solo il profilo emozionale del cane ma, paradossalmente, anche il raggiungimento di una sua autonomia affettiva. È uno spreco di risorse, oltre che un errore, perché basterebbe veramente poco per iniziare col piede giusto, evitandosi tanti problemi in futuro.
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Casa mia è anche casa tua
Adottare un cane significa accettare il fatto che, d’ora innanzi, la propria casa diventa anche casa sua, è cioè una condivisione nel senso più profondo del termine. Portare in casa un elettrodomestico, un oggetto di arredo, un giocattolo significa fare spazio a qualcosa, vale a dire trovare una collocazione utile nell’insieme di cose che ci appartengono: è quindi un “possedere”. Al contrario, nel momento in cui un cane entra nella nostra casa immediatamente ne prende possesso, la fa propria perché vi dimora: in questo caso il verbo corretto è “condividere”. Si tratta di un passaggio importante cui non sempre si attribuisce il giusto peso. Per condividere occorre mettere in discussione alcune tendenze che spesso sorgono spontanee nello stile individualista che la nostra società ha ampiamente alimentato. La condivisione è un “mettere in comune”, accettare una sorta di 4
sovranità limitata, considerare gli oggetti presenti come tramiti di relazione e non come espansioni di se stessi. Si tratta di una trasformazione interiore che non riguarda soltanto aspetti gestionali o di mera organizzazione dello spazio. Per condividere è necessario riconoscere una convivialità nella vita quotidiana che coinvolge e non di rado stravolge i propri ritmi e le abitudini più consolidate. Occorre accettare che il cane non è un ospite, da confinare o al massimo tollerare, bensì una presenza che partecipa pienamente perché vive con noi e risiede in quella casa. Il cane non occupa pertanto uno spazio, ma entra nell’intimità della nostra vita. Capire questo è preliminare a ogni altro preparativo.
Per condividere è indispensabile trasformare la propria immagine di “casa” ancor prima di essa: è un ordine mentale differente anziché un ordine dello spazio. Il cane entra nella nostra dimora di soppiatto, dapprima un po’ confuso e spaesato, si muove timidamente cercando noi come base sicura. Poi lentamente si costruisce un’immagine del mondo che lo circonda, fatta di odori che persistono, di suoni che via via diventano familiari, di punti di riferimento come la cucina e la poltrona. La casa è organizzata in una mappa mentale che in ogni momento gli indica la direzione giusta per raggiungere un particolare punto, per esempio la porta.
Per il cane è il luogo di ritrovo del gruppo, il territorio da difendere dalla minaccia degli estranei, dove rinserrare i ranghi, il campo base da cui partire per le scorribande quotidiane. Molti sono i punti in comune tra il suo modo di vivere la casa e il nostro, ma esistono anche piccole differenze. Per noi è il luogo dove torniamo la sera dopo il lavoro: è perciò prima di tutto lo spazio del rilassamento più che dell’organizzazione del gruppo. Inoltre la casa è la dimensione che ci rappresenta rispetto agli estranei più che un semplice confine: come un vestito in grado di presentarci agli altri. Gran parte dei problemi di relazione con il cane in casa nascono in tale differenza.
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Trovare una mediazione tra due mondi
Il modo migliore per partire con il piede giusto è individuare un compromesso negli ambiti che differenziano il nostro modo d’intendere la casa e quello del cane. La prima difficoltà che incontriamo è quella di preservare gli oggetti che per noi sono importanti - in quanto elementi che ci rappresentano o a cui siamo affezionati - ma che, al contrario, per il cane rappresentano solo “cose del contesto” a libera fruizione: il tappeto su cui fare la pipì, la gamba del mobile dell‘800 da rosicchiare. Finché il cucciolo non è in grado di controllare i propri sfinteri sarà indispensabile togliere i tappeti, così come porre delle coperture impermeabili a poltrone e divani. Allo stesso modo è fondamentale avere l’accortezza d’imbottire tutto ciò che è in legno e allontanare dalla sua portata gli oggetti che desideriamo 6
preservare: questo soprattutto nei primi mesi dopo l’adozione. La seconda difficoltà riguarderà il rapporto con gli eventuali ospiti. Sarà importante far comprendere al cane che ci occupiamo noi dell’accoglienza degli estranei, rimandandolo nella sua cuccia prima di aprire la porta, anche a costo di aspettare. Dobbiamo essere molto fermi e decisi in questo perché altrimenti il cane penserà che è compito suo gestire gli ingressi: talvolta questo non è altro che un piccolo fastidio, talaltra può rappresentare un problema serio. Molto meglio prevenirlo in un modo che il cane capisce e accetta perché sta dentro la sua socialità.
La casa deve diventare un luogo di partecipazione per il cane, costruendo delle abitudini che indicano quali attività possono essere realizzate in casa e quali no. Per poter condividere è necessario acquisire delle regole e delle abitudini che ci consentano un accordo: non si giunge alla condivisione spontaneamente ma occorre un impegno per costruirla. Spesso le persone manifestano comportamenti contraddittori: una volta sorridono quando il cane mette in atto un certo comportamento, altre volte si arrabbiano. Con facilità si hanno atteggiamenti ambigui, come quando diamo le scarpe vecchie da rosicchiare, ma poi ci arrabbiamo se prende quelle che abbiamo appena comprato. Altre volte si rischia d’essere ambivalenti: quando diamo del cibo al cane mentre stiamo
mangiando, ma non vorremmo che si avvicinasse alla tavola se ci sono degli ospiti. Spesso allestiamo dei giochi o delle modalità di gioco che divengono palestra di comportamenti che vorremmo evitare: per esempio nell’allenare il cucciolo a saltare per prendere un tessuto che teniamo in alto, che poi diventerà la sciarpa o altri indumenti. La casa dev’essere il luogo deputato a costruire le corrette abitudini di relazione da portare all’esterno. Ciò è un aspetto decisamente contrario alle nostre consuetudini: vorremmo che in casa ci si potesse lasciar andare e fare ciò che non è consentito in pubblico. Con il cane questa regola non vale: se vuoi che il cane si comporti bene all’esterno deve abituarsi a quelle regole prima di tutto nello spazio domestico.
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L’importanza della conoscenza
Non esistono regole assolute che valgano per qualunque aspetto, ma solo un po’ di accortezze di base: è importante farsi seguire da un consulente nei primi momenti. Adottare un cane è un piacere e una responsabilità, è il più grande regalo che ci si può fare ma parimenti è una scelta di affiliazione - ossia che ci riguarda molto da vicino e ci comprende - che quindi non va mai presa sottogamba. Non bisogna spaventarsi o desistere, ma farlo con consapevolezza. Conviene, per esempio, chiedere il parere di un esperto ancor prima dell’accoglienza, magari consultando quello che si è scelto come futuro medico veterinario di fiducia, anche per capire quale cane fa per noi: se un cucciolo o un adulto, se un meticcio o un cane di razza, se di una certa razza o di un’altra. Il punto è che il nostro mondo do8
vrà accordarsi al suo: la casa ma altresì le abitudini e lo stile di vita saranno la sua nicchia. Ma se la nostra dimensione è molto distante dalle aspettative di quel particolare cane è molto difficile che tale processo di armonizzazione riesca. E allora ci troveremo nei guai. Meglio pensarci prima: è buona cosa ponderare bene la scelta, non farsi prendere dall’impulsività dell’entusiasmo e lasciar maturare questa disposizione attraverso il parere di persone esperte. Questo non significa disattendere l’autenticità del proprio rapporto, bensì fare in modo che le diverse istanze trovino la negoziazione migliore.
Sono proprio i primi momenti quelli più importanti perché impostano le regole di base, le abitudini, gli stili, le coordinate di crescita del cucciolo: aspettare è un grosso errore! Ogni storia è come una traiettoria: i primi passi sono quelli che influenzano quelli successivi, per cui occorre una forte attenzione soprattutto all’inizio, evitando che con il tempo maturino dei problemi la cui soluzione è senza alcun dubbio assai più difficoltosa. Esiste cioè una sorta di prevenzione comportamentale che, a mio avviso, ha la stessa importanza della profilassi sanitaria. Molti chiamano l’educatore quando il cane entra in adolescenza o dopo qualche mese che è già in casa con loro. Si tratta di un errore: cominciamo bene fin dai primi istanti! Per questo l’aiuto di un educatore cinofilo può veramente
fare la differenza proprio per dare: 1) le regole di base per un corretto rapporto, le attenzioni sulle modalità corrette d’interazione, i fondamentali della comunicazione, ossia tutto ciò che avvicini persona e cane, li renda complementari, riducendo gli sforzi di gestione; 2) una prima consulenza post-adottiva in riferimento alle caratteristiche della casa, della costituzione della famiglia, agli orari vigenti nella gestione del quotidiano, onde trovare le soluzioni migliori. In altre parole, è indispensabile coniugare la spontaneità del proprio stile singolare di relazione - per mantenere l’autenticità del rapporto - con l’aiuto di un esperto che non dia suggerimenti generici ma declinati sulle nostre specificità.
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Il rapporto tra il bambino e il cane
Crescere accanto a un cane è la più bella delle esperienze che un ragazzo può fare, ma proprio per questo motivo occorre fare di tutto per renderla un’occasione educativa. I bambini e i cani sembrano fatti l’uno per l’altro, il loro rapporto è aperto a un’infinità di “dimensioni di relazione” - il gioco, l’affettività, la cura, la collaborazione, la proiezione, la finzione mai chiuso all’interno di una strettoia, come spesso avviene per gli adulti che spesso gli assegnano uno o al massimo due ruoli di affiliazione. Per un ragazzo il cane è un compagno di vita, che può assumere diversi ruoli nel corso della giornata e può addirittura rivestirli tutti contemporaneamente. Per questo in linea di massima la relazione tra un bambino e un cane è più equilibrata e più aperta, cosicché il cane ha molte più possibilità di espressione libera. Nello stesso tempo tale 10
varietà di condivisioni contribuisce a rafforzare nel fanciullo alcune qualità importanti come l’empatia, il prendersi cura dell’altro, la dedizione, l’autostima, l’autoefficacia, la capacità osservativa, la comunicazione non verbale, l’immaginario, l’esploratività, la fantasia... solo per fare qualche esempio. Tutto questo si realizza tuttavia se il genitore è in grado di indirizzare e guidare questa relazione e soprattutto se ha la consapevolezza e la responsabilità di vigilare su di essa. I bambini, soprattutto al di sotto dei sei anni, hanno scarsa consapevolezza di quali siano i comportamenti corretti da tenere e questo può essere un pericolo per loro e per il cane stesso.
Non bisogna aver fretta di accontentare la richiesta di un bambino di avere un cane, occorre lasciar maturare questo desiderio in un percorso di preparazione all’evento. I bambini, si sa, quando desiderano qualcosa la vorrebbero immediatamente, fanno fatica a concepire un’attesa e tuttavia prepararsi all’adozione e aspettare rappresentano momenti importanti nella costruzione corretta della relazione nonché nella formazione stessa del bambino. Mi piace parlare di una sorta di “calendario dell’avvento”, ove ogni giorno, al posto della finestrella da aprire, il genitore insegni al bambino a fare un’attività contemplata nella cura dei bisogni e nella gestione del cane: per esempio pulire una ciotola, versare del cibo in una scodella, asciugare del bagnato
per terra, familiarizzare con il collare o la pettorina, esercitarsi a tenere correttamente il guinzaglio, imparare a spazzolare o a dare un “premietto”, rinunciare a un’attività divertente che si sta facendo o un programma di cartoni per scendere a fare una passeggiata. È poi importante andare a visitare la mamma con i cuccioli qualche giorno prima dell’adozione, in modo tale che il bambino si renda conto che il cane lascerà una condizione di amore, di cura e di protezione quando verrà a stare con lui e pertanto richiederà che le stesse attenzioni gli vengano rivolte dalla sua nuova famiglia. Tutto allora assumerà il giusto profilo, soprattutto se eviteremo di consegnargli il cucciolo dentro una scatola di regalo e durante una festività, come Natale o il compleanno, con il rischio di assimilarlo ai giocattoli.
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Una relazione sul viale del tramonto
Il rapporto tra una persona anziana e il suo cane è sempre commovente, colma di condivisioni silenziose, di passeggiate prolungate: ha il calore quieto e la freschezza di un pomeriggio di settembre. Poche persone si rendono conto dell’importanza della relazione tra un anziano e il suo cane. Spesso sento affermare, con affettata sicumera, che si vuole più bene ai cani che alle persone oppure che non si fanno più bambini perché si preferiscono i cani. Quanta ignoranza e quanti pregiudizi si nascondono dietro a queste frasi! A parte il fatto che sono proprio le famiglie con bambini quelle che con più facilità scelgono di avere un cane, non ci si rende conto che per molte persone l’affetto di un cane è l’unica ragione di vita. Per una persona anziana spesso il cane diventa l’unica vera compagnia, quan12
do figli e nipoti prendono la loro strada, abbandonando la casa al suo silenzio e rendendo le giornate infinitamente lunghe e vuote di impegni. Dimentichiamo quante persone con disabilità ricevono conforto dalla vicinanza di un cane, quante fragilità vengono aiutate nel vivere quotidiano dal cuore immenso di un cane. La relazione con il cane ha un’importanza sociale misconosciuta, sovente rappresenta il punto di ancoraggio di una rete di mutua assistenza che altrimenti crollerebbe. I cani oggi come in passato rappresentano il collante intergenerazionale che rafforza una comunità: prima lo comprendiamo, meglio sarà.
L’amore per gli animali suscita spesso il fastidio, come se fosse un’aberrazione o una disposizione malsana: questi pregiudizi pesano soprattutto sulle persone anziane. Un bambino trova sempre delle risorse in sé per superare gli ostacoli e le limitazioni che incontra. La persona anziana, al contrario, è molto più vulnerabile, meno flessibile, più compresa in coordinate del vivere che vengono erose dai continui cambiamenti. Il vivere con un cane rappresenta una sorta di elemento di continuità che permette di ammortizzare le trasformazioni vorticose che sopraggiungono. L’amore che un cane sa donare è immenso, ma anche la possibilità di amare non ha prezzo. Non ci si deve vergognare di provare affetto per un cane perché tale sen-
timento è l’espressione più autentica dell’umanità. L’amore non è un contenuto che, se rivolto ai cani, viene tolto alle persone: la generosità è, viceversa, una qualità che viene alimentata con l’esercizio, che dà conforto nell’esercizio. Se una persona è egoista lo è con le persone come con i cani. Al contrario, vivere con un cane è la più grande palestra di generosità. Per una persona anziana significa dare un senso alla propria presenza, continuare la propria vita relazionale. L’anziano che vive con un cane mantiene il bioritmo, dialoga molto di più, fa più ginnastica funzionale perché va in passeggiata, riceve molte più attenzioni dal prossimo. Nessuna meraviglia, allora, se le ricerche ci dicono che avere un cane non solo migliora la qualità della vita, ma fa vivere più a lungo.
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Quello che chiediamo ai cani
La relazione con il cane è antichissima e risale al remoto Paleolitico; d’altro canto il vivere con il cane ha conosciuto un profondo cambiamento negli ultimi cinquant’anni. Dico spesso che uomo e cane sono due facce della stessa medaglia evolutiva e la ragione è molto semplice. Abbiamo trascorso un’infinità di tempo insieme, quasi 40.000 anni. Se la storia della nostra specie fosse ridotta in un anno, le grandi migrazioni fuori dall’Africa sarebbero avvenute in luglio, l’alleanza con il cane a settembre, poi avremmo dovuto aspettare metà ottobre per i primi dipinti rupestri e addirittura l’inizio di dicembre per diventare agricoltori e solo l’ultimo giorno dell’anno per la rivoluzione industriale. Questo ci dà un’idea approssimativa di quanto profonda sia questa relazione. Possiamo dire che il rapporto con il cane sia dentro di noi non al di fuori, 14
esattamente come le branchie di un pesce prevedono l’acqua. Abbiamo domesticato il cane e il lupo ha domesticato noi, costruendo una coppia che ora è impossibile da disgiungere. Molte delle caratteristiche umane ce le ha trasmesse il cane, sono frutti ibridi di questo rapporto. Nel tempo d’altro canto anche questa relazione ha subito o ha dato vita a delle trasformazioni via via che il contesto, lo stile di vita, le abitudini, le culture si andavano modificando. Il Novecento in particolare è stato un secolo di passaggio, non solo per il grande sviluppo tecnologico, ma altresì per la trasformazione avvenuta in Occidente passando da una vita e una cultura rurale a una cultura urbana.
L’urbanesimo ha modificato non solo il paesaggio ma le abitudini e gli stili delle persone, allontanandole da una maggiore condivisione con i ritmi della natura. Non si tratta solo della differenza tra il vivere in campagna anziché in città, ma di una metamorfosi culturale netta rispetto ai modelli, ai riferimenti, ai tempi, solo per fare qualche esempio. Vivere in città significa condividere spazi ristretti - l’appartamento, il condominio, il cortile, la strada - e con ritmi accelerati, nel costante senso di ritardo e di fretta: questo ha indubbiamente un peso sul cane. Per quanto concerne il rapporto con gli animali si è più influenzati dai media che dall’esperienza diretta: conosciamo meglio gli interpreti dei cartoni e delle fiction piuttosto che i cani reali.
Per un cane si traduce altresì nel continuo venir in contatto con estranei ed essere costretti a rimarcare continuamente la propria identità. Non parliamo poi del dover sopportare al proprio fianco un partner a due zampe che pretende che tu sia un quasi-umano e che non sa nulla del tuo essere cane. A tutto questo si aggiunga il fatto che oggi l’intimità è molto più forte, se non altro per il fatto che i cani vivono in casa, e la relazione ha assunto dei caratteri affettivi e di vicinanza assai spiccati. Inoltre le persone vogliono essere accompagnate dal proprio cane in una molteplicità incredibile di situazioni: al bar, al ristorante, in albergo, sul treno, in spiaggia. Insomma la società di oggi chiede molto al cane e nello stesso tempo gli offre una vita non sempre adeguata.
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Il difficile traguardo dell’equilibrio
Una relazione per poter essere serena, soddisfacente, profonda ma altresì robusta e capace di adattarsi ai cambiamenti, dev’essere equilibrata: non è un obiettivo semplice. Quando parlo di equilibrio in una relazione mi riferisco a un insieme di qualità non sempre alla portata, vale a dire che chiede un certo impegno. Innanzitutto credo che sia naturale e scusabile un po’ di umanizzazione del cane e in certi casi pensare che lui sia in perfetta condivisione con i nostri sentimenti non solo è tollerabile ma anche corretto. In fondo esistono molti aspetti in comune tra esseri umani e cani. Tuttavia è sbagliato pensare che vi sia una perfetta sovrapposizione perché esistono anche spiccate differenze nella percezione, nella comunicazione, nei desideri, nelle esigenze, nel comportamento sociale, nelle fonti di piacere. 16
Spesso ricordo alle persone che per gli umani è piacevole l’odore dei fiori mentre per i cani lo è l’odore degli escrementi. Antropomorfizzare non significa viziare il cane, come molti credono, ma in talune situazioni vuol dire maltrattarlo perché non si tengono in considerazione le sue caratteristiche. Voglio ribadire una cosa: la felicità non sta solo nel cibo e in un giaciglio sicuro, si è felici quando si può esprimere in pienezza ciò che si è. Insomma, se vogliamo che il nostro cane ci accompagni nel nostro mondo, di automobili, centri commerciali e strade affollate... ogni tanto dobbiamo accompagnarlo in un bosco ovvero dargli la possibilità di fare il cane.
Per raggiungere l’equilibrio relazionale è indispensabile evitare che i nostri desideri e aspettative prendano il sopravvento: l’equilibrio nasce da una relazione biunivoca. Spesso pensiamo che la misura dell’amore stia nelle manifestazioni affettive, ovvero che il livello del sentimento provato si possa ricavare dal numero di baci, abbracci, carezze, coccole e bocconcini elargiti. Senza nulla togliere all’autenticità di queste espressioni, non bisogna dimenticare che spesso accontentano più un nostro bisogno, hanno cioè una componente narcisistica. L’amore sta soprattutto nella capacità di far qualcosa per l’altro anche quando tale attività non ci piace, ci sottrae del tempo, ci fa compiere delle rinunce. Non dico che sia sbagliata la convivialità affettiva che nell’esprimere amore lo riceve, vorrei solo ricordare che l’espressione
più cristallina dell’amore è il donare all’altro momenti di gioia e di soddisfazione. In altre parole non è possibile amare fino in fondo qualcuno, se non ci si chiede cosa lui veramente desideri. Si ama, per esempio, se non si crea una dipendenza affettiva, tale per cui il cane quando resta da solo vada letteralmente in panico. Spesso l’eccesso affettivo che ci porta a tenere sempre il cane vicino, con un fare protettivo che lo fa sentire eternamente cucciolo, non lo aiuta a costruire quell’autonomia che, viceversa, è condizione essenziale per poter affrontare anche piccoli momenti di solitudine. L’ansia da separazione è una condizione che spesso viene determinata da morbosità relazionali: per evitarla è indispensabile che il cane abbia i suoi momenti di privacy quando siamo in casa con lui.
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Le dimensioni di relazione
L’equilibrio di una relazione è determinato anche dalla possibilità del cane di fare attività differenti con l’essere umano e non d’essere rinchiuso in un unico ruolo. Quando analizziamo il modo attraverso cui il cane esprime la sua presenza nel gruppo e il suo vivere pienamente la relazione, ci accorgiamo che il modello sembra essere quello del gruppo famiglia ove tutti insieme si collabora per poter vivere in modo soddisfacente. Il gruppo si muove nel territorio per cercare nuove opportunità: così ogni cane vive la passeggiata, quale momento perlustrativo e apertura all’avventura. Il gruppo si concede lunghi momenti di riposo, quando si trova nel campo base, ove si sta vicini, si condividono spazi e non si fa nulla: così il cane vive lo stare in casa nella totale inattività. Ogni tanto si gioca, vale a dire si provano gli 18
schemi delle attività collaborative, ogni tanto ci si scambiano comportamenti di cura che ricordano gli atteggiamenti mamma-cucciolo. Stare insieme è per il cane questa semplicità ricchissima di comportamenti condivisi e reciprocati, che non cade mai però nell’unicità del ruolo. Anche nelle espressioni di cura, ogni tanto il cane fa il cucciolo e le chiede e ogni tanto fa il genitore e le somministra. Inoltre non esistono solo gli atteggiamenti di cura, ma tutti gli altri comportamenti di gruppo che fanno sì che non vi sia mai un’unica dimensione di relazione, ovvero solo gioco, solo cura, solo perlustrazione, solo collaborazione.
Una relazione è equilibrata se attiva nel suo insieme le dimensioni e se non è a senso unico, vale a dire completamente informata dalle nostre aspettative. Come abbiamo visto, il rapporto con il cane prevede un gran numero di situazioni e altrettante attività di condivisione. Il cane si aspetta di poter partecipare in pienezza alla relazione di gruppo e di non essere trasformato in uno strumento volto a un unico scopo, sia l’affetto, il gioco, la performatività o quant’altro. Allora possiamo dire che una relazione è equilibrata se in grado di sviluppare tutte le dimensioni di relazione senza cadere nella tentazione di affidare al cane il ruolo che va a soddisfare le nostre aspettative. Questo non significa che non ci possano essere dimensioni di relazione maggiormente
espresse nel rapporto: quello che va assolutamente evitato è l’unicità di una dimensione di relazione. Un cane ha il diritto di esprimere nella relazione con il gruppo tutte le sue disposizioni e non di essere costretto a fare l’eterno cucciolo per accontentare il bisogno genitoriale dell’essere umano o il superperformativo per assecondare i progetti del proprio partner a due zampe. Quando raggiungiamo l’equilibrio viviamo anche meglio la nostra relazione perché non completamente sbilanciata su un’unica aspettativa. Sarà inoltre il nostro cane a star meglio perché potrà finalmente aprirsi a tutti i canali relazionali. Sarà infine la relazione a essere più forte e più stabile nel tempo, perché meno influenzata dalle nostre proiezioni del momento.
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La cura come grande palestra di relazione
L’essere umano appartiene alla classe dei mammiferi, una grande famiglia di animali - circa 5500 specie - che hanno fatto delle cure parentali la loro arma vincente. In natura ciò che alla fin fine conta davvero è la capacità riproduttiva, vale a dire l’essere in grado di lasciare una discendenza. Tutti i caratteri che sono in grado di accrescere questo potenziale tendono a ripresentarsi nelle generazioni successive: il termine tecnico per definire questo valore prende il nome di fitness. Ad accrescere la capacità riproduttiva possono essere diversi caratteri riferiti per esempio la migliore capacità di sfuggire ai pericoli o di procacciarsi risorse, una prevalenza nella competizione sessuale o una maggiore risposta agli agenti patogeni in età giovanile. Ma senza dubbio tanto nei mammiferi quan20
to negli uccelli ad accrescere la fitness è altresì la capacità di prendersi cura dei piccoli e di accompagnarli nelle prime fasi della crescita verso l’autonomia. Gli animali dotati di cure parentali crescono all’interno di una dimensione relazionale tutta particolare che è il rapporto con il genitore, fatto di protezione, accudimento, cura, educazione, assolvimento dei bisogni di base. In questi animali la disposizione alla cura ha una precisa fonte motivazionale - l’epimelesi - che fa sì che il genitore sia sensibile alle richieste del cucciolo, sia portato a rispondere a tali richieste con attività di cura e - badate bene! - provi piacere nel farlo.
I cuccioli si assomigliano un po’ tutti, vale a dire che presentano dei connotati che li rendono riconoscibili come tali, suscitando in noi atteggiamenti di cura e accudimento. Konrad Lorenz inoltre mise in luce il fatto che i cuccioli tendono ad avere una morfologia evocativa di per sé nel predisporre l’adulto all’attività di cura per esempio la voluminosità e sfericità della testa, gli occhi grandi e le zampette corte - e che tali caratteristiche sono simili in specie differenti, funzionando un po’ come una sorta di “esperanto epimeletico”. In tal modo possiamo comprendere perché un cucciolo suscita in noi quel senso di benevolenza e protezione che chiamiamo in modo generico tenerezza. Si tratta di un’evocazione che parla alle nostre corde più profonde, quelle che sono in grado di far emergere la nostra natura di mammiferi. Il cucciolo suscita la nostra motivazione epimeletica predisponendoci
alla cura e regalandoci in cambio una gratificazione allorché lo facciamo. Insomma nel prenderci cura di un cucciolo non solo ci occupiamo di lui ma ci regaliamo momenti di beatitudine e di appagamento. Ma non finisce qui. Dal momento che, nei millenni, abbiamo selezionato nei cani dei caratteri giovanili - in alcune razze particolarmente enfatizzati - questa disposizione tende a permanere, seppure in misura leggermente ridotta, anche verso l’adulto. La relazione di cura rappresenta pertanto la dimensione privilegiata nel nostro rapporto con il cane, potremmo dire che rappresenta il grande volano per tutte le attività interattive con il cane. In fondo siamo noi che gli diamo da mangiare, gli assicuriamo un giaciglio, ci preoccupiamo per il suo benessere e per la sua salute. Nessuna meraviglia pertanto che anche il cane rimanga in una sorta di limbo infantile e che mantenga atteggiamenti di richiesta.
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Il rischio del cane bambino
Se da una parte è corretto avere degli atteggiamenti di cura verso il proprio cane, diventa un errore pretendere di chiudere la propria relazione in senso epimeletico. Affrontiamo un argomento spinoso, che purtroppo sta generando grandi problemi nel nostro tempo e che pertanto richiede un correttivo. Come ho detto, non ritengo sbagliato impostare la propria relazione mettendo la cura al centro; quello che considero fonte di disagio per il cane, problemi per il proprietario e causa di criticità del rapporto è la chiusura della relazione nella cura genitoriale fine a se stessa, incapace cioè di evolvere anche in altre attività di relazione. Perché accade tutto questo? Perché cioè tendiamo a vedere nel cane un bambino? I motivi sono vari, alcuni di tipo più genericamente culturali, altri più di ordine 22
sociale. Innanzitutto direi perché con l’avvento della società urbana è diminuito lo spazio della collaboratività con il cane. In secondo luogo perché lo spazio di vita nel suo trasformarsi in senso tecnologico ha fatto emergere il bisogno di un maggior controllo e tutela sul cane. Poi non vi è dubbio che l’antropomorfizzazione ci abbia messo del suo, come peraltro la diminuzione della natalità nelle società occidentali. Ma non vi è dubbio che anche la cultura abbia incentivato tale immagine, attraverso il concetto di “pet”, vale a dire traducendo la presenza dell’animale familiare in entità bisognosa di cura e accudimento.
Il cane infantilizzato spesso è rinchiuso all’interno di una gabbia dorata che non gli consente di esprimere in pienezza la sua natura e il suo stile sociale. Il cane bambino è spesso vittima di maltrattamenti molto sottili, difficili da individuare, perché sommersi di comodità, carezze e bocconcini. Il primo ostacolo che scorgo è la piena maturazione del processo di attaccamento ossia il raggiungimento di una prima condizione di autonomia, incentivando nel cane timorosità e stati ansiosi. Il secondo problema riguarda la socializzazione, vale a dire l’interazione con i propri simili, perché il proprietario con atteggiamenti genitoriali tende a tenere il cucciolo al riparo da qualunque esperienza interattiva. Vi è poi il problema della morbosità
relazionale - quelli che tengono il cane in braccio o nel passeggino - che crea nel cane un deficit di apertura verso il mondo esterno, con il rischio di incrementare atteggiamenti di paura o diffidenza. Anche all’interno della relazione stessa la chiusura epimeletica può creare gravi problemi. Una volta raggiunta la maturità sessuale, il cane si aspetta di essere inserito all’interno del gruppo attraverso un ruolo sociale e non su un piano di interazione parentale. Questo porta a grossi fraintendimenti tra cane e proprietario: il primo può pensare che certi atteggiamenti altro non siano che richieste di protezione da parte del proprietario, il secondo considera questi atteggiamenti in un’ottica antropomorfa dicendo che il cane è semplicemente viziato.
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Il cane come espressione del sé
Talvolta la relazione con il cane diventa un modo per trovare conforto a insicurezze o mancanze della persona: nulla di male, l’importante è non esagerare. Non penso che esista una formula ideale per la relazione con il proprio cane. Ogni relazione è singolare, unica come sono gli attori che vi prendono parte e le situazioni che la rendono possibile. Anche nei confronti del cane bambino non è mia intenzione di stigmatizzare ma semplicemente di consigliare alle persone di allargare il proprio rapporto anche ad altre dimensioni - come il gioco, la passeggiata, la collaborazione - in modo tale da diluire le proprie tendenze genitoriali. Allo stesso modo è comprensibile che per alcune persone il cane rappresenti la base sicura, quella fonte affettiva tanto cercata nel mondo degli umani e troppe volte tradita o delusa da questi ultimi. 24
Nessun problema quindi nel rifugiarsi nell’affetto del proprio cane, dico solo che impostare il proprio rapporto in una continua conferma affettiva non solo non fa bene al cane, perché può attribuirgli competenze sociali inadeguate o stressarlo e renderlo irritabile, ma altresì non ci permette di godere in pieno di questa relazione. Il cane dovrebbe essere una sorta di Virgilio che ci accompagna nel mondo, che ci fa apprezzare la bellezza della natura e il piacere di ricavarsi momenti di quieta riflessione lontani dalla frenesia del quotidiano. Chiudersi nella richiesta affettiva rischia di farci perdere tutto questo, di creare una morbosità languida laddove c’è spensieratezza e apertura.
Il rischio narcisistico è sempre in agguato, ma è il tarlo di ogni relazione perché tende a trasformare l’altro, in questo caso il cane, in uno specchio. Non c’è solo l’ossessione affettiva come rischio di solipsia cinofila, quell’atteggiamento di allontanamento dal mondo, rifiuto degli altri e rifugio nell’affetto del cane. Tanti sono gli atteggiamenti di natura narcisistica che vanno a viziare il nostro rapporto con il cane. Ognuno di per sé sarebbe un peccato veniale, ma diventa un problema allorché avvolge completamente la relazione togliendole altri spazi espressivi. Ma perché questo può accadere? Beh, direi che il motivo sia molto semplice: perché il cane tende molto ad assecondare l’essere umano e la relazione rischia così di essere asimmetrica. C’è
la persona che per autocompiacersi o per fare figura con gli amici, vuole il cane soldatino che scatta ai propri comandi. C’è chi vuol vincere una gara e sottopone il cane a training che hanno come unico indirizzo non il piacere di fare insieme un’attività ma il conseguimento di un risultato. C’è chi vede nel cane una sorta di espansione del sé o di status symbol e lo sottopone a tutta una serie di conformazioni forzate per poter esprimere al meglio il suo ruolo di avatar. C’è chi considera il cane un oggetto che deve rispondere a particolari requisiti estetici, per cui gli preclude qualunque attività che possano compromettere l’immagine esteriore. Sembrano tante assurdità, ma non dimentichiamo che il cane è anche lo specchio di una società.
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Ritrovare il senso dell’affiliazione
La relazione con il proprio cane è sempre un vivere insieme, vale a dire un trovare dei momenti, degli spazi, delle attività, ma soprattutto degli obiettivi comuni. Se qualcuno ci domandasse “perché hai un cane?” sicuramente non sapremmo rispondere. Forse ribatteremmo con un “perché no?” che banalmente dà il senso di quanto sia scontato questo rapporto, che non chiede e non ha bisogno di spiegazioni. In effetti, penso che la domanda sia mal posta o che comunque non interseca nel modo giusto il motivo per cui una persona decide di adottare un cane. Tuttavia porsi questa domanda ogni tanto penso che sia una buona regola, perché spesso le relazioni sorgono spontanee e sovrappensiero, ma poi chiedono di essere alimentate di progetti e di proiezioni sul futuro, se non vogliamo che lentamente si spengano, si trasformino in ricordi quando il cane è ancora lì, accanto a noi. 26
Molti parlano di responsabilità e di impegno per mantenere in vita una relazione, ma sarebbe come sforzarsi a mangiare: non dico che non ci si debba anche sforzare, questo vale per tutte le attività, ma ciò che sostiene lo sforzo è prima di tutto il desiderio. Ecco allora che la relazione, nel suo essere prima di tutto affiliazione e convivialità, è un desiderare insieme, un rinnovare giorno dopo giorno sogni e progetti che ci coinvolgono e ci riguardano. Ma per far questo è indispensabile attivare il significato profondo di questa alleanza, che sta nell’azione comune non nell’inanizione. È fondamentale attribuire un valore alla relazione, trasformando impegno e responsabilità non in un odioso compito ma in un sentire.
Esistono degli spazi dove la relazione può alimentarsi e crescere, come fonti cui accedere per rafforzare il legame e rinnovare l’entusiasmo del desiderare insieme. Quando mi chiedono quali siano le attività che rafforzano il legame del cane alla persona, ho pochi dubbi nel rispondere il gioco e le attività collaborative. Sì, che ci piaccia o meno, questa è l’identità del cane, il suo grande motore di affiliazione. Si parla tanto di leadership e di capobranco, per tracciare fantomatiche linee guida come il mangiare per primo o il precedere nel passaggio di una porta, ma la verità è che se una persona è interessata al cane e lo ingaggia con frequenza in attività ludiche o collaborative, direi quasi con spontanea na-
turalezza, riceverà dal cane accreditamento. Cosa che non può accadere se è sempre il cane a ingaggiare e se le uniche proposte che riceve dalla persona sono richieste affettive. Il cane ci chiede di colorargli la vita attraverso proposte e scoperte, non nell’inattività coatta in cui lo rinchiudiamo con atteggiamenti di affettività ansiosa. Un cane desidera scorrazzare all’aria aperta, sentire nel corpo l’entusiasmo e la fatica nel raggiungere un target, annusare l’aria e il terreno per fare emergere sensazioni ancestrali che ancora lo animano, provarsi in attività gioiosamente competitive con il suo compagno umano, tornare a casa alla sera sporco di mondo, carico di immagini pronte a trasformarsi in sogni e abbandonarsi al sonno dei giusti.
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La relazione come apertura al mondo
Sovente si è portati a considerare la relazione come una chiusura a due, come una disgiunzione rispetto al mondo per rifugiarsi in una sorta di nido. Sono sempre in difficoltà quando devo valutare una relazione o quando mi si chiedono dei consigli su questo argomento. Ho dedicato tutta la mia ricerca alla relazione - non solo a quella con i cani - e mi rendo conto che il compito più difficile in qualunque consulenza è riuscire a superare il muro di gomma che inevitabilmente ti trovi di fronte. Già, perché esiste una sorta di gelosia, allorché si entra nel sacro spazio delle relazioni private. Penso che sia giusto rispettare il riserbo, valorizzare ciò che di buono vi sia in quella particolare affiliazione, non cercare di estirpare gli eccessi e le chiusure ma cercarne una diluizione incoraggiando le persone a trovare soddisfazione anche in altre attività. 28
Il motto pertanto è quello di aprire la relazione, evitare che si rinchiuda in se stessa implodendo e portando a deriva gli eccessi. Credo fortemente che qualunque consiglio sia destinato a cadere nel vuoto se non trova punti di ancoraggio nella persona e nel cane: ogni cambiamento deve gratificare e ogni attività volta al cambiamento dev’essere proposta in modo piacevole. Sono inoltre convinto che non sia possibile alcuno sforzo di cambiamento senza una preliminare valorizzazione del cane. Ma ciò che più conta è che non si può cambiare restando isolati dal mondo, per cui ogni processo di cambiamento dev’essere costruito attraverso la partecipazione sociale.
Esistono delle attività che favoriscono l’apertura sociale del binomio uomocane e sarà sempre più importante dar loro spazio, riconoscimento e servizi adeguati. Aprire la relazione è pertanto una precondizione per poter evitare di cadere nelle morbosità, nel narcisismo, nella proiettività e per accedere al cambiamento attraverso una ventata d’aria fresca. Partecipare a una passeggiata o a una ricognizione in gruppo, ciascuno con il proprio cane, divertirsi in un bivacco collettivo in un’aia o accanto a una piscina dove i cani possono accedere, incontrarsi al parco e mettere in comune le proprie esperienze mentre i cani giocano tra loro rincorrendosi, sono tante modalità per rendere la propria relazione più aperta e meno morbosa.
Esistono poi tantissime attività sportive da fare sul campo di training o in spazi appositi che, se non vissute con la smania della coppa, ci consentono di vedere il cane anche al di fuori della clausura domestica. Anche le attività collaborative, di ordine sociale o di protezione civile, sono un buon modo per trasformare la relazione in una dimensione sociale che si nutre di affettività e di cura ma non si rinchiude in esse. Penso altresì alla ricerca, nelle sue potenzialità ludiche o applicative, come un altro grande bacino di apertura della relazione e di soddisfazione del cane. D’altro canto, anche rimanendo da soli con il proprio cane si può aprire la relazione, se sapremo passeggiare insieme, in silenzio, senza richieste, godendoci la bellezza della natura intorno a noi.
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Elaborare il lutto a cura di Valentina Mota
La perdita di un compagno animale è un momento di forte intensità emotiva durante il quale la gestione del quotidiano può diventare difficile. È importante sapere che si tratta di una fase ben precisa che segue la perdita e, in quanto tale, va elaborata gradualmente per portare il dolore a sedimentare sotto il bagaglio dei ricordi che ci accompagneranno. È questo ciò che si definisce elaborare un lutto. Rabbia, senso di colpa, negazione, ansia, pensieri che si accavallano nella mente, domande che ritornano martellanti “se avessi detto… se avessi fatto”, un vuoto fisico e mentale, un dolore reale come la perdita che si sta vivendo: stiamo vivendo uno stravolgimento emotivo del tutto normale, e non dobbiamo temerlo. L’intensità del dolore per la perdita di 30
un essere caro è data dal valore di quella relazione, le energie e il tempo investiti, le nostre aspettative, l’età dell’animale, il momento e le circostanze in cui la morte è sopravvenuta. Non è venuto a mancare soltanto lui, ma anche frammenti di quotidiano. Ci viene a mancare colui che ci amava senza giudicarci, colui che proteggevamo e a cui ci dedicavamo totalmente: le passeggiate, i giochi al parco, il dog sitter quando eravamo fuori casa, le cure nel cibo, i controlli medici, e poi la sua cuccia, la sua ciotola, i suoi giocattoli, il suo angolo nella casa insieme a noi, le abitudini condivise. Ora che non c’è più, non vergogniamoci di mostrare agli altri che stiamo male.
Evitiamo gli incontri che potrebbero farci sentire inadeguati, le persone che sminuiscono il nostro dolore, che non capiscono. Piuttosto, scegliamo una persona che sappia essere nostra alleata, che ci sia vicina in questo momento, e parliamole di quello che ci accade: raccontiamole del nostro compagno animale, di come giocavamo insieme, di come ci faceva ridere, di come invece ci sentiamo ora. Questo ci aiuterà a defocalizzare l’attenzione sugli ultimi giorni di vita del nostro animale, perché è normale vivere la tendenza nefasta a pensare continuamente agli ultimi momenti tormentandoci nel dubbio di non aver fatto tutto quello che avremmo potuto. Non poniamoci limiti di tempo e non consentiamo alle persone intorno a noi di farlo: il tempo di elaborazione dipende dal vissuto della relazione, dalle circostanze della morte, dallo stato di salute dell’animale, dalla sua età, dalle nostre aspettative. Non si può temporizzare il dolore. Quindi, lasciamoci andare, non imponiamoci di essere forti o di mascherare il nostro malessere: andremmo solo a prolungare questo stato e a rendere più difficile la gestione delle nostre emozioni.
Una persona anziana che affronta la morte del suo compagno animale non dovrebbe essere lasciata sola: è essenziale che non si lasci andare, che continui la sua normale routine e che non si chiuda in casa evitando i rapporti con i conoscenti più intimi e fidati. Per un bambino, invece, potrebbe trattarsi della sua prima esperienza con la morte. È probabile che si arrabbi, che si senta in colpa, e noi saremo lì per aiutarlo a dare un senso alla perdita: ascoltiamolo, rassicuriamolo che la morte non è stata colpa di nessuno, creiamo insieme a lui un legame con il suo animale che lo aiuterà a ricordarlo positivamente, un album di foto, un albero piantato in suo ricordo. In nessun modo sminuiremo il suo dolore, men che meno proponendogli di adottare subito un altro animale. Rispettiamo i suoi tempi, e diamo tempo anche a noi stessi. Poi, quando il dolore comincerà ad attenuarsi, non viviamo questo lenirsi come un tradimento nei confronti del nostro animale che non c’è più, poiché elaborare un lutto significa imparare a convivere con la perdita, non dimenticarla.
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PETICO: rispetta il tuo animale. Sempre.
“La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali.” Gandhi Chi ama gli animali non permetterebbe mai di riservargli un trattamento inumano. Un rispetto che deve esistere dal momento che il nostro animale entra a far parte della nostra famiglia, al triste momento in cui ci lascerà per sempre. Questa è la motivazione che ha spinto Petico ad individuare e perseguire negli anni una soluzione valida che promuovesse una cultura etica del distacco. Un’alternativa al semplice “smaltimento” che nel rispetto della legge preservi la dignità e il rispetto dell’animale. La normativa vigente in Italia infatti, prevede che le spoglie debbano essere smaltite come “sottoprodotto” tramite incenerimento o in impianti che le trasformano in farine e, successivamente, termodistrutte. Ma molto spesso i padroni di animali, giunti al doloroso momento della separazione, non sono a conoscenza del terribile trattamento a cui la spoglia sarà destinata. Da qui nasce il valore del progetto Petico (“Pet + Etico = Petico”), che persegue la gestione del distacco dal proprio animale domestico, rifiutando di considerare i nostri compagni di vita come un rifiuto da smaltire, riconoscendo i nostri animali domestici come soggetti di cui preservare la dignità e il ricordo. COME FUNZIONA
L'accoglienza e il ritiro
La cremazione personalizzata
La restituzione delle ceneri
I servizi di Petico si distinguono in cremazioni personalizzate e cremazioni collettive, e offrono la possibilità di trasformare il distacco dal proprio animale in un semplice ed etico gesto d’amore, rispettando un protocollo certificato che non prevede mai l’utilizzo di mezzi meccanici. Entrambi i servizi sono svolti con il massimo della nostra attenzione, professionalità e dignità dal momento del ritiro della spoglia alla sua cremazione. 32
Il servizio di cremazione etica personalizzata è contraddistinto dalla restituzione delle ceneri. La cremazione avviene all’interno di un forno che può contenere un massimo di tre spoglie, ognuna delle quali contraddistinta da un gettone metallico che consente e garantisce con certezza l’individuazione delle ceneri che vengono restituite in un’urna personalizzata. Da quest’anno Petico ha integrato il servizio di cremazione etica collettiva, che a differenza della cremazione personalizzata, non presuppone la restituzione delle ceneri ma condivide il medesimo processo etico in tutte le sue parti. Per il quinto anno consecutivo Petico ha rinnovato la convenzione con A.N.M.V.I., Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani, per promuovere insieme la scelta della cremazione etica. Petico e Medici Veterinari insieme per offrire un alternativa allo smaltimento come rifiuto del proprio animale. Petico Srl è una realtà unica in Italia per servizi offerti che, grazie ad una capillare struttura logistica, alle proprie sedi e agli impianti di proprietà, garantisce la copertura in gran parte del territorio nazionale. Da sempre attenti al raggiungimento e mantenimento di elevati standard di sicurezza e qualità, abbiamo anche intrapreso l’iter per la certificazione di tutto il processo dal ritiro della spoglia alla consegna delle ceneri, garantendo personale qualificato, rispetto delle norme e del nostro codice etico. PER INFORMAZIONI SUL NOSTRO SERVIZIO
Telefono +39 010 9131055 (lun-ven / 9-12.30 14.30-18) Servizio urgenze +39 347 4425292 Info Mail: federicotedesco@petico.it www.petico.it Petico Srl, azienda leader in Italia nella cremazione animale assistita e personalizzata, nasce nel 2007 ad Arenzano (GE) dalla ventennale esperienza di
con la finalità di rendere possibile una separazione etica dal proprio animale domestico.
Petico garantisce la copertura in gran parte del territorio nazionale attraverso una struttura ramificata che copre tutto il Nord e Centro Italia fino a raggiungere il Lazio grazie agli impianti di cremazioni siti ad Arenzano, Rho e alla collaborazione con la divisione logistica del Gruppo Eco Eridania SpA di cui Petico fa parte.
Scuola d’interazione uomo-animale Direttore: Roberto Marchesini Sede Nazionale: via Ca’ Bianca 7, 40015 Galliera (BO) Tel 051 6661562 - Fax 051 0822156 Cell 340 2513890 e-mail: info@siua.it - www.siua.it
Siua nasce nel 1997, fondata da Roberto Marchesini, suo attuale direttore, in qualità di Istituto di ricerca e applicazione della zooantropologia. La Scuola è di fatto l'esito di una ricerca sviluppata dal suo fondatore nel corso degli anni '80 sui caratteri della relazione tra l'uomo e gli altri animali e sui benefici che tale incontro produce. L'approccio relazionale si affianca a una concezione cognitiva nella spiegazione del comportamento, un approccio che modifica molti ambiti applicativi, quali per esempio la didattica in cinofilia. Nasce così la metodologia cognitivo-zooantropologica, un approccio fondato e sviluppato in Siua. A oggi la Scuola ha centri in tutto il territorio nazionale e all'estero, con una rete di operatori qualificati a sviluppare in tutti gli ambiti tale approccio. Siua si conferma come un polo di eccellenza nella ricerca, nella rete di servizi che mette a disposizione sui territori e soprattutto nella sua grande esperienza in ambito di formazione professionale. Siua realizza corsi di formazione per operatori e per professionisti che vogliono acquisire competenze come educatori e istruttori cinofili, come operatori di zooantropologia didattica e di pet therapy. ISBN 978-88-87690-24-8
Apeiron Editoria e comunicazione srl via Belle Arti, 40 - Bologna
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