Ansa dell'Adige 01/2011

Page 1

E G I D A ’ L L E D A S N l’A per un’alternativa sociale ed economica

1

Guardiamoci in faccia e torniamo a costruire il futuro

1

L’ansa dell’Adige - trimestrale - n° 01/2012 - preiscrizione Tribunale di Verona 285/2012 VG - Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% NE/VR


Prima di ogni concerto gli orchestrali accordano gli strumenti ed è sempre un gran bailamme. Questo primo numero del trimestrale l’ANSA DELL’ADIGE presenta i musicisti, quelli che hanno accettato di venire alle prove. L’editore confida che all’alto grado di entropia generato da tanti bravi solisti subentri l’armonia della musica. Buon lavoro a tutti (e buona fortuna al direttore). g.m.

L’ansa dell’Adige Editore/Redazione Studio Editoriale Giorgio Montolli Lungadige Re Teodorico, 10 - Verona www.smartedizioni.it Direttore editoriale Michele Bertucco Direttore responsabile Michele Marcolongo Stampa NE&A print Viale Del Lavoro 12/A, Villafranca (VR) Preiscrizione Tribunale di Verona 285/2012 VG del 28/01/2012

Assemblea pubblica

INCENERITORE E TRAFORO ci toglieranno soldi e salute

MARTEDI’ 27 NOVEMBRE 2012 ALLE 21 SALA CONFERENZE ATER - PIAZZA POZZA, 1 SAN ZENO

2


l’ansa dell’adige

Dove va la SINISTRA? Con il tempo è stato azzerato il dibattito culturale e ideologico per sostituirlo con il marketing televisivo e giornalistico fine a se stesso

IL PUNTO

Se la vecchia forma partito ancorata al potere e al consenso priva di reale democrazia è superata non è che le forze popolari debbano rincorrere i modelli organizzativi di marketing neocapitalista e neoliberista Possiamo ipotizzare una pluralità di forme associative e politiche che sul territorio, partendo dalla necessità di un cambiamento radicale della politica, sappiano dialogare e confrontarsi in modo aperto

Innanzitutto cos’è la sinistra? Storicamente si è identificata sempre con le forze ideali, culturali e politiche che non hanno accettato lo status quo e hanno cercato di andare incontro alle esigenze dei ceti sociali più deboli per garantire una convivenza civile più equa e solidale. Tante sono state le strade percorse, ma socialità, solidarietà, giustizia sociale ed eguaglianza sono sempre state idealmente la matrice comune. Ad oggi nulla è cambiato salvo una caduta dell’ideale e la necessità di essere, si dice, più pragmatici. Comunque il neoliberismo del capitale finanziario e le sue ideologie sono rimasti gli interlocutori unici al di là delle diverse forme statali e sovranazionali, mentre le spinte alternative che vogliono il cambiamento sono diverse e molteplici e la sinistra italiana europea e occidentale si dimostra in terribile ritardo sia teorico che pratico. Sotto il profilo teorico non si è ancora ipotizzata una trasformazione del sistema capitalistico e sotto il profilo pragmatico in nome del nuovo si sono abbandonati i vecchi modelli organizzativi di massa per una “presenza sociale leggera”. I partiti popolari di massa della Prima Repubblica sono stati distrutti senza riuscire a sostituirli con nuove forme organizzative radicate nella società in modo valido ed efficace. E’ stato azzerato quasi del tutto il dibattito politico culturale e ideologico per sostituirlo con il marketing televisivo e giornalistico fine a se stesso. Ormai la sinistra non rappresenta più politicamente la società civile sia per la sua organizzazione quasi assente sul territorio, sia per la sua carenza di progettualità, sia per i meccanismi elettorali nel nostro Paese che impediscono una rappresentatività vera. O la si-

nistra si riorganizza tornando al sociale e all’organizzazione nel territorio o non può esistere nella politica reale. Bisogna ripartire sulla base di tre esigenze: 1) Confronto politico a sinistra aperto senza steccati; 2) Progettualità politica che non può essere meramente contingente ma culturale e ideologica; 3) Ricostruzione in modo adeguato della presenza sul territorio riconquistando la capacità di dialogo con i cittadini. Se la vecchia forma partito ancorata al potere e al consenso priva di reale democrazia è superata non è che le forze popolari debbano rincorrere i modelli organizzativi di marketing neocapitalista e neoliberista. Possiamo ipotizzare una pluralità di forme associative e politiche che sul territorio, partendo dalla necessità di un cambiamento radicale della politica, sappiano dialogare e confrontarsi in modo aperto e libertario per costruire un futuro migliore dove socialità e solidarietà siano garanti delle giustizia e della libertà. I partiti che restano nel centrosinistra non devono temere comitati, centri sociali, movimenti..., devono confrontarsi ed aprirsi e il nuovo della politica (comitati, centri sociali, movimenti...) devono uscire dal particolarismo e dallo spontaneismo e radicarsi seriamente in modo stabile per creare strutture non momentanee e contingenti. Questi “cento fiori” di rinnovata socialità sono il nuovo... le trasformazioni sociali in atto ce lo impongono... discutiamone assieme e troviamo la strada. Un’umanità nuova che si faccia “politica” per un mondo migliore è possibile... bisogna essere generosi rispetto agli altri e confrontarsi.

Un giornale al servizio dell’alternativa Inutile girarci intorno: il fumo del ciclone Tosi a Verona si sta lentamente dissolvendo e quello che ci riconsegna questa fallimentare esperienza di governo è una città retrocessa agli anni Ottanta sotto tutti i profili: economico, urbanistico, viabilistico, culturale. Arriva dunque il momento di pensare (e cominciare a praticare) una reale alternativa politica e amministrativa facendo tesoro di tutte le esperienze di opposizione emerse in questi anni e chiamando a raccolta le migliori energie della società civile veronese. Questo primo numero del giornale non poteva che partire dal dato di fatto della frammentazione della rappresentanza politica,

che non è più onore e privilegio dei soli partiti politici ma anche di comitati, associazioni e gruppi di cittadini che in questi anni hanno giocato un ruolo via via crescente nell'ambito del dibattito cittadino. La rivista vuole tenere vivo questo confronto nell'auspicio che esso diventi foriero di strategie vincenti e allo stesso tempo avere anche una funzione di formazione e di promozione delle nuove leve di giovani che stanno crescendo nei Movimenti e nelle Circoscrizioni. Ai giovani verranno messi a disposizione spazi nei quali promuovere le loro idee e le competenze che i più esperti vorranno mettere a loro volta disposi-

zione per maturarne di nuove. A questo seguiranno una serie di numeri monotematici sui grandi temi della città: economia, urbanistica, cultura, ambiente. Il contenuto di ogni ciascun numero verrà discusso all'interno di una redazione “allargata” composta da una ventina di giovani rappresentanti esponenti dei partiti, del mondo associativo e dei maggiori comitati cittadini. Ad un secondo livello una redazione ristretta si preoccuperà di attuare tali indicazioni e di “confezionare” la rivista. Michele Bertucco Michele Marcolongo

3


l’ansa dell’adige

Ci sono anche i capi... Una breve analisi dei vertici per cercare punti di sintesi in vista di un lavoro comune. L’impegno più urgente? Riguadagnare la fiducia dei cittadini

«Gli organismi elettivi hanno maggioranze artificiali frutto dei premi di maggioranza, ma non del consenso degli elettori» Fiorenzo Fasoli

«Il civismo diffuso è un dato strutturale della nostra società e penso che i partiti debbano aprirsi a questa novità senza alcuna pretesa di assorbirla» Vincenzo D’Arienzo

«Va costruita una rappresentanza politica del lavoro, non solo dipendente, di chi lo cerca, dei pensionati, dei giovani e di genere. Vanno rappresentati i diritti civili e non anche i privilegi» Giorgio Gabanizza

«E’ questo il tempo dell’etica ritrovata, senza la quale non potrà esserci nemmeno ripresa economica» Marisa Velardita

«Dobbiamo costruire un’alleanza riformista sul modello delle grandi democrazie europee, che dovrà dialogare con il mondo dei cattolici e dei liberaldemocratici» Umberto Toffalini

4

FIORENZO FASOLI Federazione della Sinistra di Verona Da anni tutto il sistema è più centrato verso la gestione della cosa pubblica, piuttosto che sul coinvolgimento, la partecipazione e la rappresentanza dei cittadini. Gli organismi elettivi hanno maggioranze artificiali frutto dei “premi di maggioranza”, ma non del consenso degli elettori e le assemblee elettive sono svuotate dei propri poteri a vantaggio degli esecutivi. Su questa strada siamo arrivati ad avere parlamenti di nominati e non di eletti e organismi ademocratici, perché non eletti da nessuno, ma ben più potenti di quelli rappresentativi. Il tutto sotto la cappa del cosiddetto “pensiero unico”, dove il discrimine sta tra chi è più o meno liberista, ma dove ogni forma di pensiero “altro”è messa nell’angolo se non proprio fuori campo. I partiti, diventati comitati elettorali, sono andati in crisi perché hanno perso la loro funzione fondamentale che era quella di essere luoghi di formazione e selezione del personale politico e di elaborazione di una proposta di valore generale, capace di rispondere alle esigenze di tutta la società o di una parte significativa di essa. Anche a sinistra ci si è accontentati dell’ordinario, rinunciando all’alternativa per una meno ingombrante ed impegnativa alternanza. Si sono così sbiadite le differenze tra le proposte politiche e si è venuto a creare un forte distacco tra amministratori ed amministrati che ha favorito l’astensionismo ed il montare di una marea

di “antipolitica” che, seppur giustificata dalla mala gestione della cosa pubblica, è finita per accomunare tutti in una indistinta condanna. Da qui sono nate le forme di risposte parziali o specifiche di settori sociali come i comitati e i movimenti che vanno valorizzate perché colgono problemi reali e sono diventate forme autentiche di partecipazione e di espressione politica. Il problema, caso mai, è di come sia possibile il reciproco riconoscimento tra esperienze di partecipazione differenti, anche se disposte a lavorare nella medesima direzione e per raggiungere lo stesso obiettivo. La risposta sta dunque nella ripresa del ruolo della politica a cui spetta il compito di riconquistare lo spazio per il progetto generale che però ha bisogno di maggiore e non di minore democrazia. La sfida sta proprio nel riuscire a ritessere un dialogo interrotto con la cittadinanza e far crescere, dal basso, forme di coinvolgimento e partecipazione riconosciute e degne di questo nome. VINCENZO D’ARIENZO Segretario Provinciale PD Il ruolo della politica, non necessariamente dei partiti, sarà sempre più questione centrale. Da questo punto di vista annovero i comitati a pieno titolo in questo ambito. Infatti, se è vero che tanti comitati o aggregazioni civiche testimoniano il difetto di rappresentanza dei partiti, è altrettanto vero che il civismo diffuso è un dato strutturale della nostra società e penso che i partiti debbano


l’ansa dell’adige aprirsi a questa novità senza alcuna pretesa di assorbirla. Ecco perché ho voluto fortemente che il centrosinistra aprisse la coalizione all’apporto del civismo. E’ questo connubio che alimenta la concorrenza, stimola chiunque a mettersi in gioco favorendo un nuovo protagonismo nonché assunzioni dirette di responsabilità amministrative. Con le nostre rappresentanze istituzionali occorre strutturare percorsi di condivisione programmatica su temi quali il governo locale del lavoro, dell’ambiente, della mobilità, della crescita, economica e infrastrutturale, dei rapporti sociali. Certo, per il centrosinistra non è solo questo il tema per rinnovare l’impegno sul territorio. La nostra cultura politica ci permette di osare, quindi dobbiamo proporre alternative politiche e progettuali nel quadro dei grandi spazi che Verona può conquistare grazie alla sua posizione e alle opportunità presenti. Il progetto prima e alla base di tutto. Come PD, con la conferenza programmatica provinciale, abbiamo presentato la Carta d’Intenti, ovvero una traccia di discussione aperta a chiunque per giungere ad un patto tra democratici, progressisti e moderati, tra partiti, movimenti e associazioni, con gli amministratori, con ogni persona, con cui la politica deve allearsi, che voglia contribuire al progetto per la Verona del 2020. E’ il PD che si apre al territorio attorno ad alcuni principi di fondo perché dall’attuale situazione non si esce ricomponendo i pezzi, ma con contenuti nuovi. GIORGIO GABANIZZA Coordinatore provinciale Sinistra Ecologia Libertà Nel corso degli ultimi decenni la sinistra ha subìto modificazioni rilevanti che hanno devastato la sua cultura politica, i suoi ideali, i suoi ancoraggi sociali, le sue proposte. Ha subìto l’egemonia neoliberista e al suo interno parti rilevanti hanno inseguito le chimere della settecentesca utopia liberista secondo la quale è il mercato che ridistribuisce la ricchezza in modo equo nella società. Gli slogan “meno Stato e più mercato” sono stati fatti propri da settori importanti della sinistra. Così la sinistra ha agito prevalentemente nel campo altrui accettando di “conservare” il modello economico, produttivo, culturale esistente, pur cercando di modificare gli elementi contraddittori più nefasti. E’ ora che la sinistra ricostruisca una sua autonoma cultura politica, un suo linguaggio, un suo pensiero, una sua teoria del cambiamento. Non significa che non debba avere rapporti unitari con altre forze compatibili con il cambiamento. Anzi, un compito fondamentale della sinistra è quello di costruire una alleanza sociale e politica di centrosinistra di governo, per impedire che la destra o “tecnici” legati all’ideologia e alla pratica del veteroliberismo, portino il nostro paese nel baratro di una grave recessione e di una intollerabile ingiustizia sociale. Un altro fondamentale compito della sinistra è quello di ricostruire una sua rappresentanza sociale. Non c’è da rappresentare i cittadini indistintamente. Tra loro c’è lo speculatore finanziario e il lavoratore precario che hanno interessi contrapposti e non vanno rappresentati entrambi. Un conto è governare nell’interesse generale, un altro è stabilire chi difendere e dare rappresentanza. Va costruita una rappresentanza politica del lavoro, non solo dipendente, di chi lo cerca, dei pensionati, dei giovani e di genere. Vanno rappresentati i diritti civili e non anche i privilegi. L’importante proliferazione di comitati legati ad

uno o più problemi, vertenze, obiettivi è segnale evidente delle difficoltà dei partiti del centrosinistra ad interpretare alcuni bisogni. Guai a non avere un rapporto di dialogo e di possibile collaborazione. La strada è quella della trasformazione dei comitati in rappresentanza politica (trasformarli in partiti a tema) o quella di avere partiti aperti alla presenza plurale e compatibile di parti significative di società mobilitate su obiettivi? Spetta ai partiti rendersi permeabili, a tutti i livelli, alla loro partecipazione. Ognuno può fare il suo “lavoro” in piena autonomia, ma fare sintesi in un progetto comune di cambiamento mi pare necessario. E’ compito della buona politica favorire e promuovere l’aggregazione e la partecipazione democratica. MARISA VELARDITA Coordinatrice Provinciale IDV Ilvo Diamanti, in un editoriale del gennaio di quest’anno, in riferimento alla questione morale, parlava del “relativismo etico di un paese indulgente”. Di questo dobbiamo preoccuparci adesso e in futuro. La politica “nuova”che fiduciosi attendiamo dalle elezioni politiche, avrà anche il compito di contribuire a modificare i comportamenti degli Italiani che sono stati “indulgenti”, sia a destra sia a sinistra, verso il Premier Berlusconi e verso tutti coloro che, in questi anni, tramite la politica, hanno intrallazzato e lucrato a loro vantaggio. Infatti molti sono stati complici del sistema della corruzione e ne hanno tratto guadagni, perciò non è corretto attribuire solo a Berlusconi le colpe della deriva in cui ci troviamo. Come non è pensabile imputare solo a Berlusconi un’idea di donna in vendita al miglior offerente o il sempre più diffuso sentimento omofobo. Questi sono virus presenti nella società, che deve e può cambiare, trovando energia in se stessa, ma anche ricevendo e imitando esempi positivi di chi è chiamato a gestire la cosa pubblica.

E’ questo il tempo dell’etica ritrovata, senza la quale non potrà esserci nemmeno ripresa economica. Tutti insieme, politici e cittadini, dovremo riprendere in mano il nostro destino e, nell’ottica del bene comune, faticosamente, ma con coraggio e tenacia, iniziare a ricostruire l’Italia. UMBERTO TOFFALINI Segretario provinciale PSI La decadenza della politica ci deve mettere in guardia dai pericoli della banalizzazioni della nostra cultura, provocata dalla spasmodica ricerca del piacere personale e superficiale. I segni della decadenza sono evidenti, si tratta di vedere se avremo la forza di contrastarli ricostruendo il senso della cultura. Oggi prevalgono lo scandalo, il pettegolezzo: basta guardare i media, dove la maggior parte della comunicazione avviene tramite spot, e quanto la pubblicità determina le scelte di voto. La politica dello spot di pochi secondi soddisfa il bisogno del solo intrattenimento e distrazione e non aiuta a pensare e riflettere. Come alleanze dei riformisti bisogna creare un’azione politica con temi e proposte concrete, come l’abolizione dell’Imu sulla prima casa e l’introduzione della patrimoniale sulle grandi ricchezze, più merito nella scuola pubblica, più laicità. Come Partito Socialista avvieremo un percorso di coesione tra le forze politiche per raggiungere obiettivi importanti come l’abolizione dei costi impropri delle bollette di luce e gas e delle tasse inique sulla benzina . Dobbiamo costruire un’alleanza riformista sul modello delle grandi democrazie europee che dovrà dialogare con il mondo dei cattolici e dei liberaldemocratici, ripensando al fatto che tutte le grandi riforme che l’Italia repubblicana ha conosciuto sono passate da un accordo tra queste due anime.

5


l’ansa dell’adige

1994/2012 Amministrative a Verona di Claudio Bolcato Rileggere a distanza di anni quasi un ventennio di risultati elettorali è impresa complessa ma allo stesso tempo affascinante: permette di delineare uno spaccato particolare della società e osservarne l’evoluzione nel tempo, dalle vicende post Tangentopoli degli anni Novanta, fino ai giorni nostri, caratterizzati da un difficilissimo quadro economico e sociale in cui sono forti i segnali di antipolitica e rifiuto delle istituzioni. Oggi come allora… Quando si è votato e chi ha votato Le elezioni considerate si sono tenute negli anni 1994, 1998, 2002, 2007 e 2012. Dall’esame dell’imponente mole di numeri e sigle si compone un quadro politico sicuramente legato ed influenzato da istanze nazionali ma anche con qualche interessante peculiarità locale. A partire dal 1998 tutte le tornate elettorali si sono svolte regolarmente a scadenza dei rispettivi mandati amministrativi dapprima ogni quattro anni, successivamente, dal 2002, ogni cinque. Per tre volte si è andati al ballottaggio (1994, 1998 e 2002); per due volte invece la vicenda si è conclusa al primo turno (2007 e 2012). Il centrodestra ha primeggiato quattro volte (1994, 1998, 2007 e 2012) lasciando al centrosinistra solo una soddisfazione (2002). Quest’unica vittoria è stata ottenuta al ballottaggio, con un apparentamento che allora fece molto discutere, ma che permise al centrosinistra di andare oltre il proprio schieramento, intercettando una parte di elettorato collocato ideologicamente nel centrodestra. Ulteriori riflessioni emergono osservando la composizione e il comportamento del corpo elettorale. Dal 1994 al 2012 si nota la progressiva diminuzione del numero degli elettori iscritti nelle liste (12.000 unità in meno) e la diminuzione del

6

L’analisi del voto dei veronesi dagli anni ‘90 ad oggi consente una lettura particolare della realtà sociale e politica della nostra città numero dei votanti (-11,5% circa). Il totale dei voti non validi si attesta nella forbice compresa tra il 3 e il 5%, senza particolari oscillazioni. Nel 2012 si registra il picco massimo dell’astensionismo che raggiunge il 30,4% circa (contro il 18,5% del 1994). Analizziamo ora più dettagliatamente alcune macro aree politiche, con l’avvertenza che si tratta necessariamente di una suddivisione arbitraria e talune volte forzosa, operata prendendo come riferimento le categorie odierne della politica. Da Michela Sironi a Flavio Tosi I partiti che compongono storicamente quest’area (Forza Italia e Alleanza Nazionale prima, PdL poi e Lega Nord) hanno vissuto alterne vicende e fortune. La metà e fine degli anni novanta (Sindaco Sironi) vede FI collocarsi oltre il 20% di consenso (28,6% nel 1994 e 21,6% nel 1998), con Alleanza Nazionale che si avvicina alla doppia cifra (miglior risultato 9,8% nel 1994). La Lega Nord invece si presenta autonomamente nelle tornate elettorali 1994 e 1998

raccogliendo più del 17% di consenso in entrambe le circostanze. La sconfitta del centrodestra del 2002 innesca un passaggio di consegne nella guida dell’area. La nuova fase (elezioni 2007 e 2012) vede prepotentemente emergere la figura di Flavio Tosi, che monopolizza la scena non solo trascinando Lega Nord e PdL alla vittoria, ma imponendo la propria leadership attraverso una lista civica a lui collegata che raccoglie il 16,3% nel 2007 e addirittura il 37,3% nel 2012. E’ uno tsunami che si abbatte sul centrodestra e sulla politica veronese e che si manifesta con un successo personale di Flavio Tosi capace di andare oltre le appartenenze politiche e il consenso del partito in cui milita. Il centro: eternamente alla ricerca di sé Più articolate sono le vicende dell’area centrista, occupata fin dal 1994 da una parte dei reduci della diaspora democristiana, il Partito Popolare di Martinazzoli, in grado di raccogliere il 15,5% di consenso e il Patto Segni che si ferma ad un modesto 3,3%. Ciascun partito corre in solitaria, con un proprio candidato Sindaco. Nel 1998 il quadro è già mutato: le alleanze ripropongono schemi nazionali, con CCD e CDU ancorati nello schieramento di centrodestra (5,2% e 2,9% rispettivamente) e PPI collocato nel centrosinistra (7,9% circa). La tornata elettorale del 2002 vede nuovi soggetti politici occupare quest’area ritenuta strategica nella costruzione del consenso: la Margherita, che sostiene il candidato Sindaco Paolo Zanotto (centrosinistra) e ottiene il 13% e


l’ansa dell’adige Dal 1998 in avanti si intravvedono coalizioni di centrosinistra più propriamente definibili: DS, PPI e forze minori sostengono il candidato Sindaco Giuseppe Brugnoli e lo accompagnano, senza fortuna, fino al ballottaggio contro il Sindaco uscente Michela Sironi. Il centrosinistra ottiene il miglior risultato nel 2002: al primo turno la coalizione riunita intorno al candidato Paolo Zanotto raggiunge il 36%, e al ballottaggio completa il sorpasso sul centrodestra grazie all’apparentamento con la Lista Sironi di cui si è già detto. Tuttavia, a partire da questa tornata elettorale e per tutte le successive, siano esse provinciali, regionali, europee e politiche, il divario tra centrosinistra e centrodestra aumenta a favore di quest’ultimo in maniera sempre crescente, fino a giungere alle comunali del 2007: con L’Ulivo comunque primo partito in città con il 17,4% si certifica un divario negativo di circa 10.000 voti rispetto al 2002. L’erosione continua tra le amministrative del 2007 e quelle del 2012: L’Ulivo diventa PD ma perde ulteriori 5.800 votanti pur risultando la seconda forza politica della città, incuneata e compressa tra la lista “Tosi per Verona” al 37,2% e la Lega Nord al 10,7%. l’UDC che sostenendo Pierluigi Bolla (centrodestra) ottiene il 6,8%. Il caso UDC è emblematico di quanto sia mobile quest’area; presente alle elezioni amministrative del 2002, 2007 e 2012 con proprio simbolo, ha visto progressivamente erodersi il consenso elettorale: da un buon 6,8% (2002) scende fino al 3,3% (2012), nonostante si presenti con un proprio candidato Sindaco. Esaurita la fase di convivenza nel centrodestra, il grande centro aggregatore sognato da Casini non decolla e non riesce ad intercettare i delusi del PdL, che preferiscono orientarsi verso la figura di Tosi. Liste civiche e Movimento Cinque Stelle Ricca di frequentazioni, ma con risultati deludenti per molte liste è l’area del civismo veronese, legato inizialmente ad istanze ambientali e urbanistiche e a personalismi nascenti dalla disputa politica. Quasi completamente assente nel 1994, questo spazio politico inizia ad animarsi nel 1998 per la partecipazione alla competizione elettorale di una serie di liste legate ai comitati di quartiere, ma soprattutto per la presenza di “Progetto Verona” di Tito Brunelli, che ottiene un interessante 3,8%. Nel 2002 è decisiva la “Lista Sironi” del candidato Sindaco Aventino Frau: il 5,3% e il relativo apparentamento sono fondamentali per sancire la vittoria al ballottaggio di Paolo Zanotto, il quale si avvale anche della propria lista civica

“Zanotto per Verona”, che con l’8,9% si colloca subito a ridosso dei tradizionali partiti e davanti all’UDC. Nel 2007 lo scenario si arricchisce con la lista “Tosi Sindaco per Verona”, che diviene in breve la seconda forza politica della città, alle spalle de L’Ulivo, con il 16,4% circa. Straordinario il risultato della stessa lista nel 2012: il 37,3%, prima formazione della città! Analizzando l’area civica non possiamo non accennare al Movimento Cinque Stelle, rappresentativo di una voglia di politica senza partiti, fautore di una democrazia diretta tra cittadini e amministratori. Presente per la prima volta alle elezioni 2012 ottiene un buon 9,5% e sorpassa forze politiche storiche e radicate come il PdL e l’UDC. Il centrosinistra: dopo il 2002 un rapporto da ricostruire con la città Altrettanto articolata e complessa è la dinamica elettorale dell’area del centrosinistra. Nel 1994 l’aggregazione che più si avvicina all’idea di centrosinistra è quella che fa riferimento al candidato Sindaco Dario Donnella, composta da PDS, Rifondazione Comunista, Alleanza per Verona e Verdi. E’ una riproposizione locale dell’Alleanza dei Progressisti di Occhetto. Il PDS, principale partito della coalizione, raccoglie il 10,2% al primo turno affermandosi come quarto partito in città.

Riflessione conclusiva: il valore aggiunto dei candidati Sindaci Infine qualche accenno al valore aggiunto rappresentato dai candidati Sindaci. Le migliori performance individuali, ossia il maggior numero di preferenze raccolte dai candidati Sindaci al netto dei voti di lista, sono di Michela Sironi (1998) con 11.786, Paolo Zanotto (2002) con 10.245 e Flavio Tosi (2012) che mette insieme 9.955 preferenze. Si tratta naturalmente di un dato che non tiene conto di tutto il valore aggiunto apportato comunque dal candidato alla propria coalizione attraverso i voti di lista. Tuttavia le tre figure citate oggi sono di diritto nella storia politica della città e pur distinguendosi per le modalità diverse di approccio alle vicende amministrative, sono accumunate dalla capacità di saper suscitare comunque un’emozione nell’elettore e di saper cogliere e saper cogliere e interpretare i segnali provenienti da una società complessa, fortemente frammentata ma comunque vivace e dinamica come quella veronese.

7


l’ansa dell’adige

Il successo dei 5 Stelle? La gente ha le PALLE di Alessandro Gennari* I cittadini italiani, ormai distanti anni luce da una classe politica che non li rappresenta, sta ritrovando il senso civico, facendo nascere liste civiche in abbondanza e dando linfa vitale al Movimento 5 stelle che attualmente ha incrementato a dismisura i suoi consensi. La formula funziona proprio perché l’autorappresentanza del cittadino non è un utopia. Forse fino a qualche anno fa poteva sembrare così. Ognuno infatti pensava che una volta uscito dalla cabina elettorale, il suo ruolo istituzionale fosse terminato perché la sua voce non sarebbe mai stata udita dalla politica. Questo ha creato un progressivo degrado culturale che la classe politica ha favorito e alimentato attraverso lo spostamento di risorse pubbliche verso i media. Oggi qualcosa si muove a livello trasversale. L’au-

mento del costo della vita e questa crisi che non ha fine apre gli occhi alle persone che si informano, si confrontano, fanno rete. Così aumentano le case in bio edilizia, si spinge la raccolta differenziata, ci si rende conto che l’ambiente non è una risorsa senza fondo e che siamo noi cittadini a dover cambiare la cultura. Momenti storici come questo non hanno compromessi, o una civiltà implode, oppure si coglie un’opportunità enorme. Il cambio culturale. La volontà di mantenere un certo tenore di vita crea la necessità di informarsi con senso critico, ed automaticamente il cittadino si accorge di voler dire la sua, a volte di avere maggiori informazioni di chi lo governa. Questa è la meravigliosa realtà dell’auto rappresentanza. Una situazione critica che cambia il modo di pensare e diventa un’occasione di svolta.

girate

Il Movimento 5 Stelle è diventato lo strumento per costruire un futuro limpido, perché è composto da persone normali, professionisti della vita vera, non della politica. Persone che non delegano più ad affaristi il loro futuro e decidono di impegnarsi in prima persona per il proprio territorio. Il circolo virtuoso è già stato innescato laddove i membri del Movimento sono diventati terminali nelle istituzioni. Proprio così, terminali, strumenti di trasparenza e megafoni per la cittadinanza. Uno vale uno, tu diventi la mia voce dentro il palazzo e la tua opinione vale quanto la mia; si discute, si vota in assemblee pubbliche e si decide. La gente riscopre il senso civico, la democrazia pura, l’auto rappresentanza. Come ogni sistema umano, anche l’auto rappresentanza è perfettibile. La politica attuale ci ha portato fino a questo break even point perché è affamata di denaro. Limitando i compensi si può arrivare a una sorta di volontariato civico, un vento nuovo che spazza via la vecchia classe. Il nuovo che avanza. Siamo sicuri che incapperemo in qualche errore, ma i traguardi che raggiungeremo, se riusciremo ad avere abbastanza forza, li giustificheranno. Tra questi vi è: a) Un cambiamento di cultura civica (nuova coscienza del settore pubblico e della sua efficienza). b) Un diverso approccio ambientale (progettando nuovi volti per le città, inquinando meno per avere luoghi in cui la qualità della vita sia migliore sotto tutti gli aspetti, anche economici ed occupazionali). c) Adozione di obiettivi a lungo termine per la sostenibilità e la crescita del singolo cittadino. Ciò che la politica di oggi chiama “sociale” in realtà è normale senso civico che va stimolato, nutrito ed incentivato sopra ogni cosa. E’ indispensabile essere in tanti perché grande è la mole di lavoro necessaria a cambiare una società. Prendiamo Verona, ad esempio. Nel giro di un anno le persone che ruotano intorno al Movimento 5 Stelle sono più di mille ed abbiamo avuto adesioni di altissimo valore da parte di professionisti provenienti dai più svariati settori. Le nostre sedute sono pubbliche, accogliamo chiunque si presenti purché privo di tessere di partito, indirizziamo le persone che vogliono essere parte attiva, verso gruppi di lavoro specifici divisi per competenze ed indirizziamo i consiglieri comunali eletti nel loro lavoro. Pubblichiamo ogni cosa che facciamo, abbiamo un blog, una pagina Facebook, strumenti gratuiti e liberi di democrazia partecipata per effettuare sondaggi e miglioreremo ancora i nostri mezziAttualmente sta funzionando molto bene. Ci auguriamo un futuro diverso, sostenibile ed incorruttibile. *Movimento 5 Stelle Verona

8


l’ansa dell’adige

! di Agapito Malteni* Spazio. Dal latino patere, essere aperto. Dando una veloce scorsa ai depliant delle ultime elezioni comunali (ma anche delle penultime, delle terzultime, e via così...) ci si accorge in breve che “Spazio”è senz’altro una delle tre parole più adoperate nei programmi elettorali di tutti i partiti, seconda probabilmente solo a “Sicurezza”. Per la cultura e per la fiera, per i parchi e per i parcheggi, per i giovani e per gli anziani, per i turisti e per gli studenti; tutti promettono uno spazio per tutto. Il sindaco Tosi, per esempio, aveva promesso, prima di essere eletto nel 2007, uno spazio per la cittadinanza nel mezzo di un quartiere intasato dal traffico come Borgo Roma. Ed ora, a cinque anni di distanza, il Parco S. Giacomo è lì, realtà sotto gli occhi di tutti. Uno splendido spazio verde. Con qualche regola: vietato giocare a pallone, calpestare e sdraiarsi sull’erba, fumare, suonare strumenti musicali, andare in bicicletta, portare il cane, sdraiarsi sulle panchine... Arrivati a metà dell’elenco dei divieti è lecito chiedersi: «Cosa me ne faccio di questo spazio?». A cosa serve uno spazio dove è impossibile socializzare? Negli altri parchi della città non va molto meglio, sono iper-controllati da telecamere e ronde di vigilanza e alla sera vengono chiusi a chiave. Anche nelle piazze, che sono da sempre lo “spazio”per eccellenza delle città, tutto è regolamentato: la bancarella può stare là dalle… alle, il suonatore di fisarmonica deve stare in quel metro quadro al massimo fino a una certa ora e non più di tot giorni alla settimana, si può vendere solo questo quello e quest’altro, non si può suonare, mangiare panini, sedersi a terra, bere alcolici, giocare col frisbee... Alla fine si può dire che Verona è una città ricca di spazi per tutti. Ma anche che sono spazi vuoti, completamente svuotati dal loro significato di socializzazione, incontro tra soggetti ed interscambio di idee ed esperienze. L’amministrazione Tosi si è molto data da fare sulla questione degli spazi; in effetti più per chiuderne che per aprirne. Lo si era capito subito, visto che uno dei suoi primissimi provvedimenti fu di far radere al suolo il Centro Sociale Occupato Autogestito La Chimica (uno spazio anche quello, ma che evidentemente non gli piaceva). Subito dopo fece chiudere anche il campo Rom, convinto probabilmente che i suoi abitanti sarebbero

INDIGNADOS Verona è una città ricca di spazi per tutti. Ma sono spazi completamente svuotati dal loro significato di socializzazione. L’amministrazione Tosi si è molto data da fare sulla questione degli spazi: più per chiuderne che per aprirne spariti nel nulla; ahiloro, così non fu. Per fare un esempio figurato, tagliare i finanziamenti alla Biblioteca civica (che con Tosi sindaco non ha potuto comprare libri nuovi per 2/3 anni) significa chiudere uno “spazio culturale ”importantissimo, unico in città. Togliere le panchine dalle piazze e dalle strade vuol dire chiudere “spazi di socialità” non solo per i giovani che ci stanno la sera fino a tardi, ma anche per gli anziani che chiacchierano la mattina. Noi Giovani Indignati, abbiamo un’idea diametralmente opposta di spazio rispetto a quella del sindaco Tosi. Pensiamo che le piazze,

i parchi e gli edifici della città siano lì apposta per essere vissuti dalla cittadinanza. Pensiamo che se gli spazi sono vissuti con socialità sia più difficile che cresca l’ossessione per la sicurezza. Pensiamo che i giovani abbiano il diritto di non essere condannati a passare la vita al bar o in discoteca, e che il fenomeno piazza Dante sia indice di una necessità di aggregazione e non qualcosa da combattere a suon di ordinanze. Quello che abbiamo iniziato è un percorso che mira ad aprire nuovi spazi, fisici e figurati. Dalla semplice aula studio, al cineforum per discutere collettivamente di tematiche della quotidianità; dalle liste nelle scuole come momento di confronto sui luoghi del vivere studentesco, alle feste di autofinanziamento fuori dalle logiche commerciali dei bar, dove il giovane è visto come un pollo da spennare il più possibile. Sappiamo essere un percorso difficile rispetto soprattutto all’amministrazione che ci troviamo di fronte ed alla mentalità ristretta di una città che, storicamente, è sempre stata conservatrice. Sappiamo anche però che “il nostro tempo è qui, e comincia adesso”e che nessuna ordinanza e nessuna denuncia ci impediranno di aprire lo “Spazio sociale” di cui la città ha bisogno. *Giovani Indignati Verona

9


l’ansa dell’adige

GIOVANI E POLITICA di Damiano Fermo* Un giovane di 26 anni, ingegnere meccanico. Primo lavoro, operaio specializzato in una ditta di componenti per l’agricoltura. Al lavoro impara, conosce il mondo dell’impresa, dei rapporti sindacali, l’equilibrio precario fra capitale e lavoro. Per quello che vede fuori, non ha idea di quanto quel posto possa durare. Vede l’Ilva, un impresa decotta, da salvare e si chiede: “Perché?”. L’immagine è quella di una società immobile, cristallizzata, che assiste al suo declino, bloccata da lobby e corporazioni, ferme in posizione. Una società stanca e invecchiata… ed una nuova generazione, multiculturale, che aspetta il momento di giocare la sua partita. La politica, troppo debole per avere il coraggio di dire la verità, si è nascosta all’evidenza di un fallimento. Incapace di dire che abbiamo costruito un sistema che scivolando sta abbattendo da tempo tante mura, mettendo giorno dopo giorno a rischio la tenuta della casa comune. Quasi vergognosa questa politica, nel dover cominciare ad ammettere che la ricchezza non è fatta solo di potere d’acquisto e di crescita, ma anche e forse soprattutto di condivisione, di conoscenza e di innovazione. Saper attrarre le forze migliori della società, portare i più capaci ad assumere la direzione del progetto, un progetto sempre in divenire, in continua modellazione. Questo deve essere il ruolo di chi vuole risollevare un Paese. Ma chi decide chi sono i migliori soggetti per questa sfida? In Italia sembra tutto lasciato al caso. A Verona abbiamo saltato un paio di generazioni. Il ricambio generazionale che sarebbe stato possibile tramite un attento percorso di formazione, culturale ed esperienziale, è stato sacrificato. Le scorse elezioni hanno visto

10

liste di partiti mezze vuote, riempite in extremis da tanti e tante gentili tappabuchi. Insomma l’investimento nel futuro i partiti veronesi hanno dimostrarlo di non saperlo sostenere. E nonostante tutto tanti giovani sono riusciti ad essere eletti. Prova del fatto che gli elettori sarebbero, come sempre, pronti ai cambiamenti molto prima dei propri partiti. Perso il vecchio orientamento legato a una formazione realmente critica e completa per la scelta dei dirigenti di domani, i partiti di oggi hanno nelle primarie lo strumento che forse meglio può aiutare nella selezione, per le candidature alle elezioni politiche ed amministrative. I candidati a responsabilità di partito non devono assolutamente essere eletti su indicazione dei dirigenti in carica ma votati dagli iscritti sulla base di autocandidature. Nel rispetto del buon senso e di un’idea della politica che abbia il ricambio tra le sue corde, è necessario poi un ricambio non solo e non tanto generazionale, ma di responsabilità, che valga per il Parlamento e gli incarichi amministrativi, ma anche per il partito. Quindi divieto di accumulo delle cariche, anche a livello di partito, non solo delle istituzioni. Nell’assegnazione degli incarichi la priorità deve essere per chi è in possesso di capacità e competenze specifiche. Si deve inoltre sempre garantire una equa rappresentatività a tutti i livelli di donne, di giovani e di migranti. E una volta in sella, vanno applicati standard di valutazione sull’operato dei nostri eletti e nominati ad incarichi pubblici. E non farebbe male una seria pubblicità dei redditi. Negli enti o società gestite dal pubblico vanno nominati esperti e non politici. E sia severamente vietato assumere parenti nella Pubblica Amministrazione. Il nepotismo all’italiana si deve rovesciare nel suo contrario. Ma, come in politica, la classe dirigente va li-

berata e selezionata anche nel Paese “reale”, il cambiamento culturale nella selezione deve essere collettivo, o non sarà cambiamento. Il sistema delle libere professioni è particolarmente antiquato nel nostro Paese. Ventisette ordini e collegi professionali, esami di stato, tirocini obbligatori e codici deontologici del secolo scorso con regole corporative, di fatto impediscono ai giovani professionisti di inserirsi e tengono ai margini i professionisti che “non tengono famiglia” o che non hanno “amicizie che contano”. È il tempo il problema di questo paese. Il tempo che abbiamo perso perché l’abbiamo sprecato. Soprattutto, il tempo che non possiamo permetterci di perdere più. Per provare ad essere un paese diverso, come forse eravamo un tempo, abbiamo bisogno di scegliere da che parte stare, soprattutto con chi stare. Scegliamo allora chi ha le idee e le capacità di poterle cogliere. Scegliamo i promettenti, anche se siamo costretti a farlo a scapito dei “conoscenti”. Per farlo dobbiamo liberare risorse e darle a chi può impiegarle per cambiare, creare impresa e tornare a crescere, come una foresta che si rinnova, rimanendo sempre uguale, ma sempre vitale. Premiamo chi produce e costruisce con successo: non si sprechi denaro pubblico sussidiando qualunque tentativo di fare impresa. Stare dalla parte dei promettenti, vuol dire anche risparmiare risorse su chi non ha alcuna promessa da mantenere. Se l’Ilva di Taranto ha costi economici, ambientali e sociali insostenibili, non serve salvare un posto di lavoro per qualche anno, disperdendo un patrimonio. C’è un’altra Italia da costruire. Una Italia che investa subito quei fondi “perduti” in una riconversione che faccia onore ad una delle terre più belle del mondo. Per girare lo sguardo verso il futuro. Perché gli arcobaleni si trovano solo guardando in alto.

* Esponente PD


l’ansa dell’adige

LA COMUNICAZIONE? Associativa e very professional L’esperienza degli Amici della Bicicletta mostra che un messaggio può entrare a far parte della pubblica opinione se non è improvvisato. Ecco qualche idea

di Paolo Fabbri Chi, considerata la forte crescita della nostra associazione, mi ha invitato a scrivere sulla comunicazione svolta dagli AdB in questi ultimi anni, pensa che la nostra esperienza possa essere di qualche utilità per il centrosinistra veronese. Credo che questo possa essere vero solo in parte: le nostre proposte, per la loro trasversalità, per il numero ridotto di temi che comprendono, per la presenza di aspetti ludici non trascurabili e per molte altre ragioni, sono decisamente meno complicate, anche da comunicare, di quelle di un partito. Tuttavia potrebbe forse essere motivo di qualche riflessione l’approccio al tema della comunicazione condiviso dal gruppo di soci che, in questi anni, ha guidato la Fiab veronese. Va detto che il nostro obiettivo è stato quello di guadagnare, per l’associazione e per la bicicletta, visibilità, simpatia e considerazione. Nei nostri piani questo avrebbe dovuto far crescere la domanda di ciclabilità e, quindi, modificare l’atteggiamento di amministratori culturalmente molto lontani dall’idea di considerare la bicicletta come mezzo di trasporto e, più in generale, la mobilità sostenibile come traguardo. Ebbene, non vorremmo, come il gallo che si vanta dell’alba, prenderci meriti che non ci spettano. Però, forse, con la nostra azione possiamo vantarci di aver contribuito ad aprire qualche piccola falla (il bike sharing, ad esempio, non era nel programma elettorale del sindaco Tosi) nella granitica resistenza al cambiamento dei nostri amministratori. In ogni caso, alla nostra azione si deve certamente una straordinaria crescita del numero di iscritti. L’idea che ci ha guidati è quella che vi siano molte analogie fra la promozione di un progetto politico e quella di un’impresa. Animati di molta buona volontà e di qualche competenza ci siamo così regalati il piacere di sperimentare le indicazioni lette sui testi pubblicati da vari esperti di comunicazione d’impresa, in primis su quelli di Giampaolo Fabris, purtroppo recentemente scomparso. Fabris sosteneva l’importanza decisiva dell’immagine che l’impresa propone di se stessa attraverso una comunicazione che deve corrispondere ad una orchestrazione: molti strumenti, un solo spartito, una sola regia. Abbiamo quindi individuato le caratteristiche dell’immagine che di noi ci piaceva e che avremmo voluto trasmettere (competenti, coerenti, corretti, avanguardia di una mobilità europea che verrà, spiritosi, attenti alla forma fisica e alle relazioni,

determinati nel pretendere riconoscimento dei diritti dei ciclisti). Abbiamo quindi cercato di capire in quanti modi, con quali strumenti, la stavamo comunicando: c’è una comunicazione consapevole (giornale, sito, comunicati…) e molta comunicazione inconsapevole (qualità della sede, rapporto con i soci, immagini sui volantini, la tempestività o il ritardo con cui si prende posizione…). Hanno evidentemente una valenza comunicativa forte i testimonial, le alleanze strette con associazioni e istituzioni “vicine” per affermare sia la condivisione di valori che la “complessità della bicicletta”, che può ragionevolmente crescere solo in un contesto fatto di scelte di mobilità, ambientali e urbanistiche sostenibili. Abbiamo condiviso la convinzione che le scelte – anche quella del mezzo di trasporto – non avvengono solo su base razionale, ma, spesso, per non dire per lo più, sulla base di motivazioni di cui non siamo consapevoli e che rimandano anche ai nostri bisogni insoddisfatti di relazione, di appartenenza e di stima. E che, per questo, la comunicazione deve avere anche una componente emozionale. Abbiamo condiviso ancora l’opportunità di ricorrere spesso, senza esagerare, all’advertaintment (advertising + entertaintment) per cercare di farci largo in mezzo a nugoli di comunicazioni di ogni tipo realizzate, per di più, da professionisti. Abbiamo cercato di capire quali segmenti di popolazione, con quali bisogni e quali aspettative, potevano essere l’obiettivo privilegiato delle nostre comunicazioni. Abbiamo utilizzato, sulla base delle competenze via via emerse fra i nostri soci, media diversi (dalla carta stampata, ai social network, ai video).

deciso. A rendere sinergiche fra loro le varie iniziative evitando comunicazioni contraddittorie. A pianificare, con cadenza regolare, iniziative volte ad assicurarci visibilità. Inoltre, al di là del piano, definire bene la nostra immagine ha anche offerto riferimenti e posto paletti alla comunicazione dell’addetto stampa, una figura indispensabile stante la necessità di intervenire tempestivamente sui vari accadimenti, comunicando sempre in sintonia con l’immagine che l’associazione ha voluto darsi. In questi anni, rispetto a tutto questo, sono stati inevitabili molti errori e stonature: siamo stati dilettanti allo sbaraglio e per di più volontari. Ma nonostante ciò molto è andato bene. Merito, credo, soprattutto dell’esserci dati un modello, di esserci proposti un metodo. Ed è solo se si adottano un modello e un metodo che si rilevano utilmente gli errori. Ed è grazie anche agli errori che siamo decisamente cresciuti. Tanto da guardare con ottimismo ai 258.000 veronesi ancora non iscritti all’associazione: abbiamo ampi spazi di miglioramento.

GLI ADB IN CIFRE Fra le oltre 100 associazioni italiane che aderiscono alla Fiab (Federazione Italiana Amici della Bicicletta onlus) l’associazione Amici della Bicicletta onlus di Verona (AdB) è quella con il maggior numero di iscritti: oltre 2000 nel 2011. La seconda, quella di Milano, ne ha circa 1100. Paolo Fabbri è stato presidente dell’associazione veronese dal 2003 al 2011.

Abbiamo cercato di assemblare tutto questo – e altro, ma non c’è spazio – nell’azione forse più decisiva di tutte: la stesura di un “piano della comunicazione”, lo “spartito” che, redatto di anno in anno, ha programmato e raccordato le azioni diverse volte, nel loro insieme, a fornire di noi l’immagine che abbiamo

11


Se chi amministra non risponde

arrivano gli ecomostri L’amministratore pubblico che sbaglia deve pagare per i propri errori. Cominciamo a metterlo in pratica con l’inceneritore di Ca’ del Bue?

di Daniele Nottegar* In Italia gli amministratori della cosa pubblica (in massima parte legati ai partiti) godono, oltre a tanti altri, di uno strano privilegio: anche se sbagliano non pagano. E nei pochi casi in cui sono stati in qualche modo chiamati a rendere conto delle loro azioni sono stati poi ricompensati con delle “careghe“ che forse non danno più la visibilità di un tempo ma che permettono però di “mettere da parte” delle cospicue somme di denaro. Questo ha generato in loro la convinzione di essere intoccabili, di poter fare delle scelte senza logica, contrarie al buon senso. Le scelte dell’ Amministrazione Tosi in merito all’inceneritore di Ca’ del Bue stanno andando in questa direzione. E’ ormai noto che i tre inceneritori attualmente in funzione nel Veneto (quello di Schio, quello di Fusina e quello di Padova) non hanno abbastanza rifiuti da bruciare. Potrebbero bruciarne oltre 325 mila tonnellate all’anno, ma nel 2010 (non sono ancora stati pubblicati i dati ufficiali del 2011) si sono fermati a 266.594 tonnellate. Quindi mancano all’appello 59 mila tonnellate E questo perché? Semplice: nella nostra regione non ci sono abbastanza rifiuti solidi urbani. E allora non si capisce perché chi amministra la città voglia fare un impianto da mille tonnellate

12

al giorno (500 bruciate nei nuovi forni e 500 nei due forni esistenti) importando i rifiuti da chissà dove, con aumento del traffico pesante per il trasporto fino all’inceneritore e delle ceneri prodotte dalla combustione. Ma come si sosterrà economicamente? La risposta è contenuta nel Piano Economico Finanziario previsto dal bando di gara per la costruzione dei due nuovi forni a griglia; gara vinta dalla spagnola Urbaser. Visto che l’ argomento è di sicuro interesse per i veronesi che vogliono capire, non è chiaro come mai Agsm (controllata al 100% dal Comune e quindi dal sindaco Tosi) non renda pubblico questo documento, nonostante le richieste siano arrivate da più parti. Forse perché, visto che la produzione dei rifiuti è in diminuzione e la raccolta differenziata dovrebbe (come previsto dalla legge) aumentare, è concreto il rischio che alla fine i veronesi debbano pagare di tasca propria la differenza tra quella che è la tariffa stabilita nel bando e quello che sarà il mancato introito da parte del gestore. Questo è scritto nero su bianco nelle risposte di Agsm ai quesiti dei concorrenti alla gara per i due nuovi forni: “I contratti verranno, pertanto, sottoscritti con le Amministrazioni Comunali conferitrici, per tutta la durata prevista nel Piano finanziario. I quantitativi che verranno conferiti e garantiti, salvo rimodulazione della tariffa, sono

quelli indicati nello studio di fattibilità e nel bando di gara, pari a 190.000 t/anno”. La tariffa su cui è basato il tutto è di 112 euro per tonnellata conferita all’impianto quando, secondo fonti giornalistiche, a Napoli i rifiuti vengono portati in Olanda pagando 80 euro la tonnellata. Quindi 32 euro in più saranno comunque pagati dai cittadini. A un bravo amministratore si chiede di fare scelte innovative che siano per il territorio all’avanguardia tecnologicamente e urbanisticamente ma anche il meno impattanti possibile sulla qualità della vita dei cittadini. E secondo voi la scelta di costruire un nuovo inceneritore a fianco dell’ esistente che dovrà funzionare per 25 anni bruciando chissà quali rifiuti va in questa direzione? Occorre anche sottolineare che il Parlamento Europeo ha da poco approvato una raccomandazione che vieterà la costruzione di nuovi inceneritori a partire dal 2020. Dov’è allora l’ innovazione? Ecco perché bisogna ci sia un modo di far pagare gli amministratori che sbagliano; non è possibile che nel malaugurato caso l’inceneritore di Ca’ del Bue venga acceso, chi ha preso questa decisione (o chi non l’ha osteggiata) non paghi per una scelta antieconomica, anacronistica e sbagliata. * Comitato contro l’inceneritore di Ca’ del Bue


l’ansa dell’adige

Partiti e Comitati «La politica si fa insieme» «Voi fate i Comitati, all’opposizione ci pensiamo noi». Questa la risposta del centrosinistra alla nostra richiesta di coordinare una strategia comune...

di Alberto Sperotto* Quasi come il ritornello un po’ nauseante di una canzone fin troppo nota, si sente ripetere ad ogni occasione, ad ogni dibattito come in chiacchiere da bar, che la politica e i partiti si sono allontanati dalla realtà e dai cittadini, operando scelte e definendo strategie di governo sulla base di meccanismi divenuti ormai succubi di altri meccanismi o di incastri di meccanismi. Ciò contiene sicuramente una verità, ma ne rivela un’altra. Cioè quanto i cittadini abbiano accettato spesso di buon grado di delegare ai propri rappresentanti il governo di se stessi, senza usare quella opportunità valida in ogni democrazia: la partecipazione. A questa opportunità rispondono i numerosi Comitati cittadini, nati per necessità diverse, ma vivi per una stessa esigenza di partecipare alle decisioni vitali del luogo in cui come cittadini vivono. Ambiente, salute, diritti, legalità. Si fanno fonte e bacino di raccolta di pensieri, paure e di diffusione di idee e informazioni. Trovano, unendosi, il coraggio di affrontare quelle autorità che di rado si rendono disponibili e di studiare alternative possibili da proporre. Troppe volte strumentalmente confusa con il fronte del “No”, l’esistenza dei Comitati è l’occasione preziosa di recuperare il collante tra cittadino e Governo. Come? Ascoltano i cittadini, interpretano le loro esigenze e riferiscono alle autorità politiche, economiche, sociali tramite osservazioni, proposte e richieste. Osservano e vigilano ciò che accade nella città a tutela degli interessi legittimi dei cittadini. Indivi-

IL NODO duano argomenti da porre all’esame degli organi politici con le modalità consentiti dalla Legge. Se aveva ragione John Fitzgerald Kennedy quando diceva ”Non chiedete che cosa il Paese può fare per voi, ma chiedete cosa potete fare voi per il vostro Paese”, hanno ragione i Comitati che forse l’hanno preso alla lettera non solo chiedendosi cosa fare, ma agendo per la propria città. Fin qui sembrerebbe tutto giusto e perfetto, un chiaro e splendido esempio di democrazia partecipata. Ma gli strumenti in mano ai Comitati non sono sufficienti per arrivare ovunque, per farsi ascoltare o mettere in discussione le proposte. Invece di arrivare al confronto hanno ricevuto come risposta querele, denunce e addirittura lo scontro fisico con le autorità di polizia. Anche entrando nello specifico veronese, i Comitati portatori di interessi di moltissimi, forse la maggioranza, di cittadini non hanno mai ottenuto un confronto, ma si sono visti opporre, da chi impera nella città, solo “no” e denunce. Nessuna disponibilità, quindi. Il centrosinistra, nella precedente amministra-

zione, non è stato tanto più morbido: voi fate i comitati, all’opposizione ci pensiamo noi. Praticamente un muro di fronte alla nostra richiesta di coordinare una strategia comune, col risultato che, sugli argomenti più importanti come il traforo, il centrosinistra ha portato a casa i complimenti del Sindaco per la opposizione costruttiva . Ora, nell’attuale mandato amministrativo, i consiglieri di opposizione in Consiglio comunale sono praticamente rinnovati e, anche in virtù dell’appoggio dato a Michele Bertucco, i Comitati hanno grandi aspettative anche se, di fatto, in questi primi quattro mesi non si sono viste, o meglio, percepite iniziative che siano nate spontaneamente dai consiglieri se non con notevoli stimoli dei Comitati. Per quanto nelle fila dei Comitati risiedano risorse preziose – come avvocati, ingegneri, docenti, agricoltori, studenti, lavoratori di ogni genere – districarsi negli ingranaggi poco oliati del governo cittadino e non solo, è come tentare di districarsi in una giungla ancora vergine e inesplorata. Serve impegno continuo, serve resistenza all’insonnia, servono studio e pazienza. Ma soprattutto servono l’impegno e la risposta di coloro che siedono sugli scranni più alti della città, di coloro che hanno ricevuto l’onorevole incarico e l’estrema fiducia di decidere e deliberare. Servono l’impegno e la risposta delle forze politiche di governo e di opposizione e che prima di tutti dovrebbero chiedersi cosa possono fare per il proprio Paese.

* Presidente Comitato dei Cittadini contro il collegamento autostradale delle Torricelle

13


l’ansa dell’adige

I Verdi a secco di carburante

guardano oltre le ALPI di Giorgio Massignan* I Verdi... Sì, a Verona una volta c’erano i Verdi ed erano anche numerosi. Anzi, eravamo numerosi. Sono trascorsi poco più di vent’anni e i Verdi, come movimento politico a Verona sono quasi scomparsi. Eravamo partiti con un grande entusiasmo, poi, in poco più di dieci anni, una nuova delusione, la seconda per noi sessantenni, probabilmente segnati dal destino di sognare in grande, a sperare in una società migliore, ad illuderci di riuscire a cambiarla e invece a ritrovarsi battuti e sconfitti. Ricordo che alle elezioni per il Consiglio comunale di Verona del 1990 fummo eletti in cinque, tre del Sole Che Ride e due dei Verdi dell’Arcobaleno. Il nuovo vento ecologista, iniziato dopo la tragedia di Cernobyl, stava spazzando e ripulendo la nostra società. I Verdi proponevano un modo nuovo e diverso di fare politica. Molti di noi entrarono nelle giunte comunali, provinciali e regionali, con incarichi importanti. Riportammo qualche buon risultato, che però, con il passare degli anni è stato vanificato. Mi riferisco, per esempio, al Piano di Salvaguardia del 1993, lasciato scadere dopo tre anni, per poi pianificare il territorio seguendo gli interessi della speculazione edilizia; al Parco dell’Adige, sempre del 1993, ridotto e svilito nei suoi contenuti; al progetto della tramvia, cambiato in un piano per un maxi bus che va a elettricità in periferia e a gasolio nel centro storico; e a tante altre proposte che in quegli anni sembravano fattibili. I mali di sempre Dopo la metà degli anni ’90, i Verdi acquisirono quasi tutti i connotati strutturali di un partito. Preferirono dialogare con le altre forze politiche sulla gestione del potere, piuttosto che confrontarsi con le associazioni sui progetti e sulle proposte. A Roma ci furono i primi ministri ecologisti e la diversità dei Verdi dagli altri partiti iniziò a calare. Nel 1985, nello statuto, era specificato che gli eletti avrebbero dovuto ruotare, sia in Parlamento che nelle realtà periferiche. Avrebbero dovuto, perché in realtà solo pochi lo fecero. A Roma, alcuni parlamentari interruppero la loro presenza solo quando i Verdi furono spazzati via dal fallimento dei risultati elettorali. La contraddizione tra quanto si era dichiarato e quanto si era effettivamente fatto, è stata una delle cause principali della scomparsa dei Verdi. Altre furono l’ambizione personale, la salvaguardia della poltrona, la litigiosità dei vari leaderini, la mancanza di un serio coordinamento provinciale, regionale e nazionale. Alle difficoltà endogene si sono sommate quelle esterne, che hanno compreso tutto il mondo occidentale, come la grave crisi economica che stiamo vivendo.

14

L’ecologismo va interpretato per tutti i settori della società e quindi definito come ecologia umana, della mente, sociale, ambientale e dell’amministrare. L’ecologismo è e rimane un fenomeno post materialista, nato nella società del benessere che non aveva il problema della sopravvivenza. Non si rivolge direttamente alla pancia delle persone, ma interviene sulla qualità dell’aria, dell’acqua, del suolo, e sull’etica del vivere e dell’agire quotidiano Il recente caso dell’ILVA di Taranto è emblematico: una parte dei sindacati difende il posto di lavoro a ogni costo ed un’altra richiede che prima sia messa in sicurezza la fase produttiva. Anche se i Verdi, nella loro storia, a scala nazionale, non hanno mai sfondato elettoralmente e si sono stabilizzati tra il 2% e il 3%, in parecchie città e regioni hanno rappresentato una forza politica che, in alcuni periodi, è stata forte. Cito le Regionali del 1990. Nel Veneto i Verdi avevano raggiunto il 7,1 %, con la Lega ferma al 5,9%. Sempre in quell’anno, alle amministrative di Verona, i Verdi arrivarono (dalla somma tra il Sole che Ride e L’Arcobaleno, che poi formeranno la Federazione dei Verdi) all’8,2%, portando cinque consiglieri a Palazzo Barbieri. Ogni circoscrizione cittadina contava uno o due consiglieri Verdi e in ogni Comune della provincia c’era la presenza di consiglieri ambientalisti; in qualche realtà come Povegliano e San Giovanni Lupatoto, per citare qualche esempio, il gruppo consigliare era molto consistente. Ora nel Consiglio comunale di Verona di Verdi non c’è ne sono più. Cos’è successo? Ricordo che alla fine degli anni ’80, tra noi Verdi circolava una frase, che veniva (forse impropriamente) attribuita ad Alex Langer:

“non siamo né di destra, né di sinistra, ma avanti.” Ricordo anche che in quegli anni i Verdi sostenevano che la questione ambientale stava al centro dei loro programmi e che non si esauriva con il tema ambientale, ma rappresentava una chiave di lettura culturale che superava le ottocentesche contrapposizioni ideologiche. Ecco, forse questa è la prima causa della quasi scomparsa dei Verdi. Non sono riusciti ad andare avanti, anzi, alcuni hanno preferito rimanere seduti su qualche comoda poltrona a sinistra o a centrosinistra. La pancia e l’etica del vivere L’ecologismo, si sosteneva, va interpretato complessivamente per tutti i settori della società e quindi definito come ecologia umana, della mente, sociale, e ambientale e dell’amministrare. L’ecologismo è e rimane un fenomeno post materialista, nato nella società del benessere che non aveva il problema della sopravvivenza. Non si rivolge direttamente alla “pancia” delle persone, ma interviene sulla qualità dell’aria, dell’acqua, del suolo, e sull’etica del vivere e dell’agire quotidiano. Lo sforzo dei Verdi oggi, dovrebbe essere proprio quello di mantenere le caratteristiche etiche degli anni ’80, che li avevano contraddistinti come movimento aperto e non come partito; di riappropriarsi del controllo del territorio con un’attività locale approfondita e di proporre agli strati sociali popolari una valida e fattibile alternativa all’attuale modello di sviluppo. Una seconda causa è stata il non aver previsto le conseguenze del cambiamento del sistema politico elettorale del 1994, che imponeva le coalizioni. La scelta di stare con la coalizione di centrosinistra in contrapposizione con quella di centrodestra, anche se naturale, di fatto ha tolto ai Verdi la potenzialità di rivolgersi e parlare ai settori sociali, sensibili alle questioni ecologiche, che votavano centrodestra. In Europa alla grande Infine alcuni dati sui Verdi in Europa, che possono far ben sperare per il futuro: la situazione dei Verdi a Verona e in Italia, è in controtendenza con quanto accade in altri paesi europei: In Germania, le ultime proiezioni danno i Verdi intorno al 25%. I Verdi tedeschi, in questi ultimi anni, da un piccolo partito di protesta si sono trasformati in un partito che propone un modello di sviluppo alternativo, con una ferma opposizione al nucleare e promozione delle energie rinnovabili; posizione che ha trovato largo consenso tra i cittadini. In Lettonia sono al 20%. In Inghilterra sono oltre il 30%. In paesi come la Danimarca, il Belgio e l’Olanda, sono arrivati a percentuali superiori al 10%; e in Francia si sono attestati sul 6%.

*Presidente Italia Nostra-Verona


l’ansa dell’adige

Fare scelte coraggiose senza diventare impopolari di Michela Faccioli* L’associazione non è un soggetto collettivo avulso dal territorio in cui opera, o dovrebbe rifuggire dall’esserlo. E’ semmai un gruppo, più o meno numeroso di persone, permeabile e attraversato dalla quotidianità. Può un’associazione avere una valida idea di città muovendo da competenze monotematiche o settoriali? Sì, se quella associazione definisce se stessa come “A” e contempla la possibilità di addizionarsi ad un altro soggetto che è “B”, ad un altro ancora che è “C” e così via. L’Arci, sarà per la sua natura di associazione tradizionalmente di massa e popolare o per la sua vocazione generalista, si presenta già, più o meno felicemente, addizionata ed emulsionata. La sua visione delle cose non può per questa ragione che essere complessiva e inclusiva di diverse istanze e persone, nel senso che i suoi spazi di prossimità con il territorio, ossia i circoli, sono ogni giorno frequentati e vissuti da molti/e cittadini/e aventi non di rado differenti appartenenze culturali, sociali e politiche. Le nostre basi associative, che per lo più si occupano delle attività del tempo libero, promuovendo la socialità tra i soci e la reciproca conoscenza, sono il termometro, abbastanza rappresentativo, del presente cittadino.

del trasporto pubblico, probabilmente alcuni utenti, soprattutto quelli non soliti ad obliterare, ne sarebbero infastiditi, ma molti altri apprezzerebbero la ritrovata serietà dell’azienda, per cui si propone di procedere; se si calmierassero gli stipendi dei Presidenti delle aziende municipalizzate, probabilmente questi ne sarebbero risentiti, ma i presidenti sono pochi e cittadini a quel punto soddisfatti molti di più, quindi perché il Comune non procede? Se si fermassero i piani, nel futuro molto onerosi, delle finanze di progetto (come il Traforo), probabilmente non pochi cittadini sarebbero contrari per una supposta limitazione all’utilità generale dell’infrastruttura, ma poiché gli stessi non si troverebbero poi defraudati dei loro denari, si propone di procedere; se si fermasse il consumo del territorio dovuto all’insensata e speculativa costruzione di nuove case, attraverso lo sdoganamento degli appartamenti sfitti che superano le diecimila unità, i costruttori ne avrebbero a male, ma i quartieri della città avrebbero più terra e più verde, quindi si proceda; se si consentisse ai locali, che fanno musica e creano interazione tra i giovani, di chiudere le porte un po’ più tardi rispetto alla fase attuale e ai ragazzi del bongo del 2009 in Piazza dei Signori

di ritornarvi ad esprimersi, probabilmente alcuni residenti si lamenterebbero del rumore, ma poiché i giovani necessitano di luoghi di ritrovo, si cerchi un giusto compromesso con coloro che hanno diritto al riposo, e si proceda; se si superassero le mozioni del 1995 e il Comune si esprimesse, come sta avvenendo a Milano o a Padova o altrove, sulle unioni tra coppie dello stesso sesso, probabilmente molti cittadini sarebbero contrari, ma poiché l’amore non può trovarsi prigioniero nelle gabbie dell’inciviltà, si proceda, facendosi garanti della dignità di ogni cittadino/a indipendentemente dal suo orientamento sessuale. Troppo per Verona? Dipende: se si guarda alla Verona immersa nei divieti (del bivacco, della vita notturna) e svilita nel suo ruolo culturale, forse sì. Ma se si guarda alle potenzialità che Verona offre in termini di bellezza, di ricchezza storica e alla possibilità di cambiamento, no. Ed è a questo “no”, che volge lo sguardo a ciò che potrebbe diventare e ancora non è, che tutta l’azione delle forze migliori della città deve puntare.

*Presidente Arci Verona

Se l’Arci, una volta misurata e registrata le temperatura, abbozzasse un’idea di città, potrebbe farlo mantenendo quegli stessi tratti generalisti e popolari? Sì, a patto di dosare consenso popolare e proposte coraggiose e atipiche... per la Verona di oggi, s’intende. Un assaggio per lo spazio qui consentito: se si chiudesse il centro storico al passaggio delle auto private, probabilmente alcuni titolari di esercizi pubblici sarebbero contrari per timore di scoraggiare l’utenza, ma siccome i residenti e i turisti ne troverebbero giovamento in termini di salute e di decoro della città, si propone di procedere; se aumentassero i controlli sui mezzi

15


l’ansa dell’adige

Non è un Paese per giovani

ACQUA bene comune Nel giugno 2011 siamo andati alle urne per rispondere ‘Sì’ ai due quesiti referendari promossi dal Forum Italiano dei movimenti per l’Acqua. Abbiamo chiesto di abrogare la legge che dava l’affidamento del servizio idrico ai privati e di eliminare la norma che consentiva ai gestori di caricare sulle nostre bollette la componente della “remunerazione del capitale investito”. Abbiamo vinto il Referendum ma, a distanza di un anno, le nostre bollette non sono diventate più leggere. Continuiamo a pagare la “remunerazione del capitale investito”, una quota che oscilla, a seconda del gestore, fra il 10% e il 20%. Per questo motivo il Forum ha avviato una nuova campagna, per far rispettare l’esito del Referendum del 2011. Il 95,8% degli italiani che sono andati a votare ha detto chiaramente che sull’acqua non si possono fare profitti. Questo deve essere chiaro anche ad Acque Veronesi che, interpellata in proposito, ha nicchiato rimandando ogni decisione alla fine dell’anno. La questione della privatizzazione dell’acqua ha inizio, in Italia, nel 1994 con una Legge che ha dato il via al processo della mercificazione dell’acqua. Sono seguiti dei provvedimenti legislativi che se da un lato sembravano voler tutelare un bene comune, dall’altro hanno dato adito a speculazioni enormi. Arezzo è stata la prima città italiana ad accettare la privatizzazione del servizio idrico: il risultato dopo qualche tempo è stato un indebitamento generale con le banche che, avendo fornito una serie di prestiti, sono diventate padrone del servizio. Questo ha portato a una tassazione altissima a danno dei cittadini. Susanna Brunelli Comitato Acqua Bene Comune

NON TUTTO SI COMPERA La tendenza dei dominanti è quella di monetizzare ogni forma di vita. Monetizzare l’acqua significa, ad esempio, chiedersi: L’Adige, quanto vale? Il Lago di Garda quanto può valere rispetto al Lago d’Iseo o al Lago Maggiore? Oppure, quanto vale quella falda di acqua sotterranea rispetto a quell’altra falda? La monetizzazione dell’acqua è una scelta deliberata anche dall’Unione Europea, che dal 2009 ha avviato una procedura di ricerca per dare un valore economico all’acqua. A partire dal 2000, col Global Contact, le Nazioni Unite si sono sempre più vendute ai poteri forti, le multinazionali. L’accordo realizzato da Kofi Annan prevedeva che ogni società versasse un minimo di 50.000 dollari per farne parte. Questo permise alle imprese multinazionali di essere associate ai processi e alle decisioni in materia di politica economica, sociale e ambientale. Nel 2007, sempre nell’ambito del Global Contact, le Nazioni Unite hanno affidato alle imprese multinazionali conduttrici o utilizzatrici d’acqua la possibilità di definire la politica mondiale della risorsa idrica. Ne è nato il Mandato dell’Acqua CEO Water Mandate. Nel giugno di quest’anno, a Rio de Janeiro, nel Rio+20, il Congresso Internazionale della Green Economy, 59 imprese multinazionali dell’acqua hanno presentato la loro proposta di una politica mondiale, accettata poi dall’Onu. Contemporaneamente e in opposizione al Rio+20, si è svolta l’Assemblea dei Popoli. In questa Assemblea internazionale è stata sottolineata l’importanza di garantire un futuro per tutti. Durante la manifestazione, il Comitato Acqua Bene Comune ha presentato tutta una serie di seminari e conferenze sul tema delle risorse idriche. Ne è stato ricavato un documento in cui, sostanzialmente, sono stati affermati 3 punti fondamentali:1) No alla monetizzazione dell’Acqua: non si può monetizzare l’acqua come non si può monetizzare la Natura, la Vita; 2) Rinforzare sempre di più l’opposizione alla privatizzazione dei servizi idrici; 3°) Creazione di una autorità mondiale dell’acqua, libera dall’influenza dei grandi interessi, e di un Tribunale Mondiale dell’Acqua che giudichi e condanni i comportamenti dannosi per l’ecosistema. Riccardo Petrella

Professore emerito dell’Università Cattolica di Lovanio (B), insegna Ecologia Umana all’Università della Svizzera Italiana a Mendrisio

16

Non è un Paese per giovani? Questa purtroppo è la convinzione di molti. Se un ragazzo ha voglia di crescere e di investire in se stesso, anche nel nostro territorio fa fatica. A livello regionale il dato della disoccupazione giovanile è sopra il 17% e il Veneto ha perso oltre 40mila occupati under 29 anni rispetto lo scorso anno. Il centro di ricerche Datagiovani, sulla base dei dati Istat, ha elaborato una serie di parametri quali il rischio di perdita del lavoro, la disoccupazione di lungo periodo, la capacità di stabilizzazione contrattuale e la creazione di nuovi posti di lavoro. Il Veneto è una delle regioni italiane in cui il mercato del lavoro nel 2011 si è deteriorato in maniera più forte: il tasso di disoccupazione dei giovani dai 15 ai 24 anni è aumentato del 4,7%, del 2,3% se si allarga l’obiettivo agli under 34, valori quasi doppi rispetto a quanto registrato in media nel Paese. Nel 2011 i giovani veneti disoccupati sono circa 67.500, oltre 13 mila in più nel confronto col 2010: quasi una persona su 4 nel 2010 ha perso un lavoro che aveva nel 2009, e circa un giovane su tre è disoccupato da più di un anno. La crescita della disoccupazione, dunque, non è alimentata solo da giovani che entrano nel mercato del lavoro a conclusione del proprio percorso formativo, ma anche dalla diminuzione dell’occupazione: i giovani occupati si sono ridotti di un anno di quasi 39 mila unità. Solo i giovani lavoratori autonomi hanno registrato un incremento (ben 5.400 in più), senza però dimenticare che tra le pieghe delle nuove partite Iva si nascondono spesso forme di lavoro subordinato a tutti gli effetti. Nel 2011 sono oltre 150 mila i giovani veneti precari, vale a dire un lavoratore su quattro, una incidenza in crescita di un punto percentuale rispetto al 2010, ma comunque al di sotto dei livelli medi osservati nel resto del Paese (oltre 3 giovani su 10 sono precari). Anche da questa riforma Fornero vengono elementi di cambiamento ulteriore del mercato del lavoro che riguarderanno anche Verona, come la possibilità per le agenzie per il lavoro di assumere i giovani tramite l’apprendistato, l’occasione di finanziare la formazione dei lavoratori a progetto attraverso Fondimpresa e i giovani praticanti professionisti potranno essere assunti con contratto di apprendistato. Questa la fotografia di tutti quei lavoratori invisibili anche veronesi: lavoratori a progetto, somministrati, associati in partecipazione, lavoratori costretti ad aprire partite Iva e una parte dei soci lavoratori di cooperative. Hanno nel patrimonio, nel reddito e nelle relazioni di famiglia la rete di protezione effettiva e solida che li garantisce in caso di difficoltà economiche e occupazionali. Però con questa crisi, e la mancanza di crescita, si evidenzia una diminuzione dei posti di lavoro per questi lavoratori invisibili. Le nuove generazioni non possono pedalare sempre e solo in salita. O cambiamo rotta o perdiamo almeno tre generazioni. Emiliano Galati Segretario Generale FeLSA CISL Veneto Federazione Lavoratori Somministrati Autonomi Atipici


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.