E G I D A ’ L L E D A l’ANS per un’alternativa sociale ed economica
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SALUTE E TERRITORIO Difendiamoci da una politica che non sa coniugare sviluppo e rispetto per l’ambiente, che produce progetti già vecchi prima di nascere, messi in conto ai cittadini con strumenti come il project financing
L’ansa dell’Adige Editore Studio Editoriale Giorgio Montolli Lungadige Re Teodorico, 10 - Verona www.smartedizioni.it Direttore editoriale Michele Bertucco Direttore responsabile Michele Marcolongo Stampa NE&A print Viale Del Lavoro 12/A, Villafranca (VR) Preiscrizione Tribunale di Verona 285/2012 VG del 28/01/2012 Numero 3, giugno 2013
Traforo all’angolo
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Mantovani SPA: i piedi in due scarpe
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Lo chiamano già «Il triangolo maledetto»
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Così stiamo distruggendo il territorio
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Stanchi di promesse La variante SS12 per tornare a respirare
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Politiche 2013 Riflessioni post voto
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Sanità: fiore all’occhiello (di una volta)
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Acqua: tariffa-truffa
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Car-pooling scolastico
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Cittadini di serie B per colpa della burocrazia
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Verona a destra. Ma quale destra?
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La politica non solo per i ricchi
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Questi che ci governano hanno preso la strada che porta a un lento e inesorabile declino La Regione ha scoperto che in Veneto negli ultimi decenni si è costruito troppo e male e con una variante al Ptrc (il piano regolatore regionale) giura di voler mettere la museruola al mattone selvaggio. Una presa d'atto tardiva, che giunge quando il mito del Nordest è completamente dissolto lasciando sul terreno una distesa di capannoni vuoti e una mobilità in molti punti demenziale. Una presa d'atto che proviene dalla stessa maggioranza verde-azzurra che da 20 anni governa il Veneto, da cui è bene diffidare perché, come ci spiega Vincenzo Genovese in questo numero de l’Ansa dell’Adige, dalle pieghe dei provvedimenti urbanistici possono ancora saltar fuori un mucchio di spiacevoli sorprese. Rischio fatale ed inevitabile fintanto che i nostri amministratori, a tutti i livelli, non capiranno che la partecipazione dei cittadini non è uno slogan da usare soltanto in campagna elettorale. In tema di ambiente, una sorpresina i governanti veneti ce l'hanno già fatta recapitare con il Piano regionale dei rifiuti che, seguendo gli auspici del Sindaco Tosi, ha confermato l'impianto di incenerimento di Cà del Bue malgrado il resto della regione e non solo, in materia di smaltimento dei rifiuti stia andando in direzione contraria all'incenerimento.
Con la Lega al comando in città e in Regione, Verona sta scoprendo una vocazione fino ad oggi sconosciuta: quella di pattumiera. Come spiegato da Daniele Nottegar va in questa direzione anche il progetto di ampliamento della discarica di Cà Vecchia, situata a due passi da Cà del Bue, spacciata come delocalizzazione di un altro impianto esistente. Respinta a furor di popolo dalle amministrazioni dei Comuni confinanti, la pratica è ferma a Venezia, che vista dalla nostra città sembra sempre più un porto delle nebbie. Anche per quanto riguarda la Sanità. Al momento in cui scriviamo, infatti, l'assessore competente, che pure è veronese, non ha ancora ufficializzato le attese schede relative alla riorganizzazione in corso che dovrebbero dirci cosa sarà dei nostri ospedali, compreso Borgo Roma. Per esperienza sappiamo che, anche in questo campo, i problemi restano, da decenni immutati a partire da quello delle liste d'attesa. Tanto che, secondo Roberto Buttura, che di sanità se ne intende, il decantato modello veneto sarebbe ormai più un esercizio retorico che un dato di fatto.
Michele Marcolongo
In copertina: la marcia delle 441 carriole. Gli espropriandi del Passante nordtraforo delle Torricelle rivendicano di non essere espropriati dei loro diritti, del loro lavoro, della loro terra. A pagina 3: manifestazione antitraforo in Piazza Dante
ASSEMBLEA. Opere pubbliche e project financing. Regole e trasparenza. 13 giugno, 20.45, Sala Ater
l’ansa dell’adige
Governo del cambiamento Sì, va bene, ma quale? Verso la nascita di una nuova sinistra
IL PUNTO
«Apriamo in città un nuovo dibattito, senza guardare in faccia agli interessi di potere, alle corporazioni di ieri. Rintracciamo una seria base ideologica e politica che già esiste, che va diffusa, perché non si può accettare l’esistente senza alzarsi: “Ribellarsi è giusto!”»
Occasioni perse, occasioni che si ripresenteranno. Saremo finalmente pronti? La mancata elezione di Rodotà e i 100 voti mancati a Prodi hanno chiarito, per chi ne avesse ancora bisogno, un’immaturità cronica nel bipolarismo italiano parte sinistra. Una seria trattativa per un governo aperto a 5 Stelle non è di fatto avvenuta, salvo i tentativi di SEL e di alcuni esponenti del PD Civati e Puppato. Il risultato partorito allontana quel progetto di Italia Progressista che voleva e vuole una svolta, il
cambiamento più che mai oggi necessario. Non ci sarà redistribuzione del reddito a favore dei lavoratori e delle fasce deboli per la realizzazione di una vera giustizia sociale; non si metterà mano ad una riforma seria dello Stato per ridare credibilità alla democrazia partecipativa; non si cercherà di separare l’attività bancaria dalla finanza per superare la contraddizione tra capitale finanziario e capitale produttivo, rimettendo al centro della politica e dell’economia il lavoro; non ci saranno interventi dello Stato contro le grandi opere inutili e contro le spese per le missioni militari all’estero per investire in tante piccole opere, nella ricerca, nell’istruzione, nel tentativo di cambiare la logica dello sviluppo sociale ed economico, in senso innovativo e sostenibile. La spinta al cambiamento di un modello di sviluppo economico ormai fallimentare, il liberismo neocapitalista dominato dalla finanza, dovrà attendere. Che dire, potevamo partire a marce ridotte verso il cambiamento… invece la debolezza del Pd e l’immaturità pentastellata hanno buttato giù la catena di trasmissione. Noi de l’Ansa dell’Adige vogliamo aprire in città un nuovo dibattito, senza guardare in faccia agli interessi di potere, alle corporazioni di ieri. Vogliamo rintracciare una seria base ideologica e politica che già esiste, che va diffusa, perché non si può accettare l’esistente senza alzarsi, “Ribellarsi è giusto!”. “Per un’alternativa sociale ed economica”, questo è il nostro messaggio, a Verona contribuiremo con i nostri progetti editoriali all’emergere di questa nuova idea collettiva. Massimo Guerra
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Traforo all’angolo Progetto in affanno, anche perché negli anni gli orizzonti sono cambiati Oggi la crisi economica spaventa gli investitori costretti a rivedere i conti
di Alberto Sperotto* Ad oltre un anno dalla chiusura del bando di gara (31 gennaio 2012) i nodi stanno venendo al pettine. A dispetto delle ottimistiche previsioni dell’assessore Corsi, la situazione economico finanziaria riguardante la realizzazione del Passante Nord appare molto critica. L’impressione che si ricava dalla lettura della valutazione del PEF (Piano Economico Finanziario) da parte della società di Certificazione Rina Check e dal carteggio della lunghissima trattativa ingaggiata per trovare la “quadra” al problema della sostenibilità finanziaria è che il progetto sia in affanno, sul filo del rasoio. A far presente una situazione a dir poco allarmante è lo stesso promotore, la Technital, che, nel luglio 2012, evidenzia come le condizioni stabilite in partenza si siano radicalmente modificate: il traffico è visto in contrazione del 5%, mentre la crisi finanziaria rende inattuali tutte le variabili assunte a base del Piano Economico Finanziario, ovvero i tassi di interesse preventivati (6,70% nella fase di costruzione e 6,50% nella fase di gestione) si devono allineare ai nuovi valori dell’8,70% in costruzione e dell’8,5% in gestione, il rendimento lordo del capitale proprio (8%) non può essere inferiore alla soglia del 9,20%. “In sintesi – afferma Technital – ciò rende non più conveniente l’investimento per il privato”. L’aumento del costo del debito da una parte e la riduzione del traffico dall’altra comportano seri problemi di rimborso del debito. Technital propone, dunque, nel luglio 2012, una significativa revisione dei presupposti posti a base del PEF che fino a quel momento hanno
Ma c’è chi spera in un intervento pubblico che alla fine scaricherà il problema sui cittadini: potrebbero essere loro a pagare i costi della crisi sorretto la bancabilità del progetto: aumento delle tariffe del 25% e l’utilizzo dei 53 milioni promessi dalla Serenissima a copertura dei costi dell’infrastruttura principale, con conseguente annullamento delle opere di completamento in Valpantena e Valpolicella. A conferma della difficoltà di bancabilità del progetto, giunge, in quegli stessi giorni, anche la relazione intermedia al Piano Economico Finanziario della Rina Check che sottolinea possibili difficoltà in merito alla durata del debito (la durata di 23 anni corrisponde al massimo oggi concesso) e la inadeguatezza del tasso di interesse. Rina Check ritiene probabile che nei primi anni si renda necessario un ulteriore apporto di capitale privato con conseguente possibile riduzione dei profitti sui capitali investiti. Rina Check afferma, inoltre, che sussistono elementi di incertezza e di aleatorietà nella determinazione della domanda di traffico che interessa la nuova infrastruttura e conseguentemente sull’entità dei ricavi da tariffa, ritenendo che il valore dei veicoli-km assoggettati a tariffa possa risultare sovrastimato. Le richieste di modifica del PEF avanzate dal
promotore sono, però, secondo i Tecnici del Comune, talmente rilevanti da comportare necessariamente l’azzeramento della gara e un nuovo bando sulla base delle suddette nuove condizioni, riportando indietro l’iter all’agosto 2011. Di fronte di questa eventualità, la retromarcia del promotore si dimostra, quindi, pronta e decisa: “Con riferimento alla Vs. comunicazione – è la risposta di Tecnhital – desideriamo rilevare che abbiamo riformulato il Piano Economico Finanziario della proposta posta a base di gara, apportando solo modifiche minimali. Restano pertanto invariate, rispetto alla proposta su cui è stata da Voi effettuata la gara, tutte le restanti variabili, come traffico, numero e tipologia degli interventi associati al contributo pubblico ed al progetto principale, tariffe, ecc”. In questa nuova versione, il promotore sostiene che la riduzione di 9 milioni di euro del costo di costruzione inizialmente previsto, la revisione dei tassi dal 6,70% al 7,2% (dal 6,70%) unita ad una diversa distinzione tra capitale sociale e finanziamento soci, sono i motivi che hanno consentito questo risultato. È chiaro, però, che la “quadra” è tirata per i capelli e l’equilibrio resta instabile, mentre gli imprevisti, in un’opera così imponente, sono dietro l’angolo. Ci si chiede, allora, cosa spinga i privati a correre rischi così elevati. Il perché lo si trova in ciò che accade di prassi nel corso della realizzazione delle grandi opere: lo Stato o l’Amministrazione in qualche modo corrono in aiuto, come avvenuto nel caso del project financing della Pedemontana Veneta in cui, a fronte di un aumento di 330 milioni sui costi di realizzazione, si intende intraprendere il tentativo della defiscalizzazione scaricando quindi il problema sul pubblico. Una, volta poi, ripagato in qualche modo il debito (con grande sofferenza della città, c’è da supporre) per il concessionario sarà grasso che cola. Quanto tirerà fuori di tasca propria, infatti, il concessionario in questo affare? L’equity previsto è di 146 milioni. Il finanziamento bancario ammonterà a 311 milioni, rimborsabili in 23 anni a partire dall’inizio della concessione. La concessione, tuttavia, è di 49,5 anni. Si fa presto, allora, a fare due conti: i ricavi di 18/19 anni di gestione dalla realizzazione dell’opera, stando al PEF, saranno sufficienti a ripagare un debito di 311 milioni, mentre i restanti 30 anni saranno destinati a strapagare il concessionario per l’equity di 146 milioni. Senza contare, per altro, che i dividendi, complessivamente per alcune decine di milioni, inizieranno a confluire nelle sue tasche ancor prima di chiudere col finanziamento bancario. Il risultato è quello già verificatosi per altri simili progetti: ti prestano uno e restituisci dieci. *Comitato contro il collegamento autostradale delle Torricelle
ASSEMBLEA. Opere pubbliche e project financing. Regole e trasparenza. 13 giugno, 20.45, Sala Ater
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Mantovani Spa: i piedi in due scarpe
TRA VERONA E SAN MARTINO BA
Interrogazione in Parlamento per una verifica della Prefettura
La Procura di Venezia ha avviato un’indagine a carico di alcuni soggetti per reati gravissimi, quali evasione fiscale, false fatturazioni attraverso l’uso di società “cartiere”, associazione per delinquere, ostacolo pianificato alle attività di magistratura e forze dell’ordine. Tra questi figura anche il Presidente della Mantovani Costruzioni Piergiorgio Baita (dimessosi in seguito all’arresto), coinvolta nell’assegnazione dell’appalto del Traforo delle Torricelle. Si è detto che il coinvolgimento di Baita debba essere considerato come una faccenda personale, priva di ripercussioni sulla società. Invero il decreto legislativo 231 del 2001 sulla Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche prevede sanzioni anche interdittive per le società coinvolte in reati del genere (ammesso vengano accertati) a meno queste non provino di aver efficacemente attuato un modello organizzativo idoneo a prevenirli o a ripararvi. “Per questa ragione – spiegano i parlamentari sottoscrittori dell’interrogazione D’Arienzo, Zardini, Rotta, Turco, Fantinati, Businarolo – abbiamo chiesto al ministro dell’Interno se intende muoversi affinché la Prefettura di Verona provveda a verificare puntualmente i requisiti in parola”. Ma c’è un altro aspetto che i deputati hanno chiesto al Governo di chiarire: recentemente la Mantovani Spa è risultata ausiliaria (con un avvalimento del 69%) della cordata di imprese che hanno vinto la gara per l’assegnazione dell’opera. Essa però figura anche nell’elenco delle imprese che avevano chiesto e ottenuto di partecipare alla gara in concorrenza con la cordata promotrice dell’opera, anche se poi aveva rinunciato a presentare una propria offerta. “In pratica – sottolineano i deputati – il tutto è avvenuto come se la procedura prevista dal Bando fosse suddivisibile in due momenti totalmente separati tra loro. Questa visione dicotomica del procedimento non appare, tuttavia, conforme all’orientamento del Consiglio di Stato che, nella Sentenza 20/10/2004 n. 6847 afferma il carattere sostanzialmente unitario, anche se articolato in due fasi distinte, del procedimento volto all’affidamento della concessione. Abbiamo quindi chiesto al Ministro alle Infrastrutture se questi fatti non violino il Codice dei contratti pubblici”. A.S.
Il Prefetto di Verona Perla Stancari
A poche centinaia di metri dall’inceneritore di Ca’ del Bue è prevista la costruzione di nuovi impianti potenzialmente inquinanti, come due forni pirometallurgici per il recupero della ghisa
Lo chiamano già
«IL TRIANGOLO MALEDETTO» di Daniele Nottegar Molti veronesi sanno che l’inceneritore di Cà del Bue si trova fisicamente nel comune di Verona, a un tiro di schioppo da San Michele Extra e da Porto San Pancrazio e a non più di 6 chilometri da piazza Bra e che bruciando 570 tonnellate al giorno di rifiuti, secondo quanto dichiarato dal costruttore, in condizioni di massimo carico disperderà in atmosfera circa 99 mila metri cubi all’ora di fumi, cioè oltre 2 milioni e trecento mila metri cubi al giorno. Quindi quando dicono che le emissioni sono sotto i limiti non vuol dire che non ci sono. Con tutto quello che uscirà ora dopo ora, giorno dopo giorno, l’inquinamento ci sarà eccome, con conseguenze per la salute e l’ambiente. Non tutti forse sanno che a poche centinaia di metri dall’inceneritore, appena dentro il comune di San Martino Buon Albergo, potrebbe essere costruito un nuovo impianto con una potenzialità di lavorazione da 900 tonnellate al giorno di cui 160 destinate a due forni pirometallurgici per il recupero della ghisa, occupando una superficie di 35 mila metri quadrati, con undici linee di lavorazione per diversi tipi di rifiuti, dalle ceneri pesanti prodotte da Cà del Bue alle terre contaminate agli inerti, a quelli contenenti amianto e 5 camini alti 20 metri da due dei quali il progetto calcola che usciranno dai 50 ai 90 mila metri cubi di emissioni ogni ora. Un impianto previsto sicuramente nel posto sbagliato, visto che l’area è zona agricola e all’in-
terno della fascia di ricarica degli acquiferi. Introdurrà così un grave rischio di inquinamento della falda acquifera. Ricade, inoltre, all’interno del piano d’area Quadrante Europa (PAQE) dove è vietato costruire nuovi impianti di questo tipo; ma fatta la legge trovato l’inganno; infatti il nuovo impianto verrebbe fatto passare come la “delocalizzazione” di un impianto esistente... il quale tuttavia non si trova nelle vicinanze ma sembra sia addirittura in un’altra regione. Il tutto vicino all’attuale discarica di Cà Vecchia da un milione e mezzo di metri cubi di rifiuti che formano quelle collinette che si vedono dalla tangenziale alle spalle dell’inceneritore. Nata su una cava usata per costruire la massicciata dell’autostrada Serenissima, poi riempita di rifiuti e per questo da bonificare. Peccato che poi i vari interventi di sistemazione e di ampliamento non abbiano sanato la situazione (almeno fino al 2009 quando era stato concesso l’ultimo) portando un “buchetto” da 100 mila metri cubi alla dimensione attuale. Visto che a Verona non viene prodotta già adesso una quantità di rifiuti sufficiente per far funzionare quello che dovrebbe essere l’inceneritore di Verona, visto che nell’attuale discarica di Cà Vecchia arrivano già adesso cisterne e autotreni da altre regioni, dobbiamo continuare a subire supinamente questo tipo di decisioni? Chi dovrebbe salvaguardare la salute pubblica continua a riempirci di rifiuti altrui. Chi ci amministra dovrebbe difendere il nostro territorio e gli interessi della collettività che ci vive. Perché non lo fa?
Così stiamo distruggendo il territorio di Vincenzo Genovese Con l’aggravarsi della crisi economica il partito del cemento comincia forzosamente a ripensare il proprio modello di sviluppo che ha gravemente compromesso il territorio Veneto. Si va affermando sempre più nella nostra Regione, dilaniata da decenni da interventi devastanti, la necessità di considerare il territorio come un bene primario da conservare con cura e da impiegare con grande parsimonia. Molti sono i segnali espressi dai comitati per la difesa del suolo e del paesaggio che chiedono una moratoria alle espansioni. Addirittura si sono fatte sentire le associazioni economiche regionali (Confindustria, Confcommercio, Confartigianato e Confcooperative) attraverso un’inserzione pubblicata sui quotidiani locali con un esplicito titolo: “Basta sprecare il territorio”. Lo stesso PTRC (Piano territoriale regionale di coordinamento) adottato dalla Giunta Regionale nel febbraio 2009 e mai definitivamente approvato dal Consiglio (l’aprile scorso la giunta si è limitata ad adottare una variante a cui ha attribuito valenza paesaggistica) riconosce, nel Quadro Conoscitivo, il grande spreco del territorio regionale e la sua pesante impronta ecologica. Eppure nei principi e nelle finalità della Legge Urbanistica Regionale (11/2004) non sono assenti temi volti alla riqualificazione del territorio. In più parti viene indicata la necessità di una maggiore attenzione all’ambiente e allo sviluppo sostenibile. Ma a poco serve introdurre nuovi strumenti come la VAS (Valutazione Ambientale Strategica) o norme sulla SAU (Superficie Agraria Utilizzata), parametro utilizzato per il dimensionamento dei Piani (PAT), se tutto viene vanificato da finte leggi “blocca capannoni” o altre leggine (come il Piano Casa) che modificano precedenti norme o varianti che contraddicono quanto approvato precedentemente. Esemplare è lo strumento del Piano d’Area, previsto dalla legge urbanistica come una sorta di piano attuativo del PTRC per alcune aree significative del Veneto, come ad esempio quello del
Ottobre 2008: abbattimento delle ex Cartiere Fedrigoni
Quadrante Europa, che ha stravolto e vanificato il ruolo della pianificazione a livello provinciale illudendo i Comuni di poter trovare una propria vocazione intercomunale quando invece molto spesso andava soltanto ad incrementare le rendite speculative (fondiarie e immobiliari) che arricchiscono i pochi a discapito dei tanti (vedi Autodromo, Polo logistico di Isola della Scala ecc…). Il PTRC adottato dalla giunta regionale ha riportato in auge anche i Piani d’Area della vecchia legge urbanistica 61/85, rimettendo in pista, attraverso le disposizioni transitorie, anche quelli non ancora approvati. In più vanno aggiunte le attività pianificatorie dei Comuni che in molti casi compromettono persino i Siti d’interesse comunitario (SIC) e le Zone di Protezione speciale (ZPS) individuate dalle direttive europee per salvaguardare la biodiversità floro-faunistica che caratterizza tali aree. Non da ultimo, molti Piani di Assetto del territorio (PAT) dei Comuni risultano essere palesemente sovradimensionati con rilevante consumo di terreno agricolo. In molte zone turistiche del Lago di Garda in special modo nell’alto Garda non si fermano le richieste di nuove zone alberghiere che in molti casi
Camionate di cemento... per niente Alcuni dati emblematici dello spreco di territorio attuato nel Veneto Tra il 2002 ed il 2010 si sono realizzati oltre 164 milioni di mc di edifici commerciali, industriali e direzionali pur con una diffusa presenza di capannoni ed edifici vuoti o invenduti. Tra il 2000 ed il 2010 si sono ultimate 367.354 nuove abitazioni per una volumetria complessiva di oltre 148 milioni di mc. Un’of-
ferta di edilizia abitativa teoricamente sufficiente per una popolazione di quasi un milione di abitanti: più del doppio dell’incremento effettivo di popolazione registrato negli anni 2000, pari a 429.274 abitanti (incremento in larga misura dovuto alla nuova immigrazione). Tra il 1982 ed il 2010 la superficie agraria totale (SAT) nel Veneto è diminuita di 298.845 ettari, mentre la superficie agraria utilizzata (SAU) è diminuita di 107.698 ettari.
sono frutto di cordate affaristiche con scarsa trasparenza procedurale. A questo scempio si sono opposti centinaia di comitati del Veneto presentando migliaia di osservazioni al PTRC adottato nel 2009. Nel documento “Per un altro Veneto”, sottoscritto da oltre 120 Associazioni e Comitati, si propone un approccio pianificatorio diverso: – istituzione di un Osservatorio sul consumo di suolo; – moratoriasui megaprogetti; nessuna espansione consentita se prima non verranno effettuate una realistica quantificazione del fabbisogno ed una attenta ricognizione degli spazi e degli immobili abbandonati o sottoutilizzati; – revisione e ridimensionamento delle previsioni espansive dei vecchi PRG e dei nuovi PAT; – riqualificazione urbana attraverso la rigenerazione delle aree industriali dismesse; – realizzare una efficiente rete di trasporti collettivi (SFMR e metropolitane di superficie); – richiedere ai Comuni di redigere Piani attuativi minimi per la messa in sicurezza delle aree a rischio in collaborazione con la Protezione Civile – istituzione di un Servizio Civile Giovanile Regionale dedicato a lavori di manutenzione e ripulitura di parchi, monumenti, edifici storici, aree verdi, corsi d’acqua ecc; – incentivi fiscali alle attività agricole nelle aree a rischio idrogeologico e nelle aree svantaggiate. Proposte da condividere, migliorare e integrare, perché rappresentano un percorso non più eludibile da perseguire senza più alibi. Occorre rivedere lo sciagurato disegno pianificatorio proposto dalla Giunta Regionale per dare alla nostra regione una vera occasione di cambiamento capace di incidere su un modello di sviluppo ormai non più sostenibile.
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Stanchi di promesse La Variante SS12, per tornare a respirare di Sergio Mantovani* “Dum Romae consulitur, Saguntum captatur” (Mentre a Roma si discute, Sagunto viene travolto). La storia si ripete: Mentre a Roma si baruffa, qui a Verona siamo “devastati” da Tosi e soci. Cari amici, non dobbiamo lasciarci prendere dalle liti nazionali, romane. Sembra evidente che i grandi speculatori, mafiosi in primis, abbiano “messo da anni le mani” su Verona Sud. Ebbene, cari amici, la cosa che non dobbiamo fare è quello che stiamo facendo ora: rimanere divisi. Ricordate il motto latino, perennemente attuale: divide et impera! Ecco perché oggi più di ieri urge operare insieme. Dalla maggioranza in Regione (Lega-Pdl) continuano ad arrivarci dei no al finanziamento del progetto della Variante della SS12 per un costo assolutamente irrilevante: un milione di euro! È un rifiuto regionale inaccettabile, che si ripete da anni, nonostante le ventidue manifestazioni di protesta dei cittadini di Verona Sud. Noi 60 mila abitanti di Verona Sud (Borgo Roma, Cadidavid, Beccacivetta, Buttapietra ) interessati alla Variante alla SS12 ci sentiamo discriminati e offesi. “Paga e tasi”: ecco ciò che continua a intimarci da anni la maggioranza di centro-destra che governa la Regione Veneto. Ma quello che ci disgusta è che tra i consiglieri regionali di maggioranza figurano anche alcuni consiglieri regionali veronesi, leghisti in primis, che urlano ai quattro venti: padroni a casa nostra! Solo il consigliere Paolo Tosato fa lodevole eccezione. La nostra Regione ci nega da anni un piccolo aiuto e ci sbatte le porte in faccia nonostante siamo suoi fedeli contribuenti. Intuiamo bene i motivi “tutti veronesi” che spingono la maggioranza della Regione a sbatterci sempre la porta in faccia. Infatti questa Variante, a totale carico dell’ANAS nazionale, dispiacerebbe a Tosi in quanto comporterebbe il costoso ribaltamento del casello autostradale di Verona Sud a spese dell’autostrada A4, impegnata però a versare 53 milioni di euro per il traforo a cui il sindaco di Verona tiene molto. Di qui dunque il rinvio a tempi lontanissimi del ribaltamento autostradale indispensabile alla nostra Variante. Per noi 60 mila abitanti di Verona Sud al danno di sempre si aggiunge dunque ora anche la beffa regionale. Oltre alla prossima devastazione programmata di Verona Sud dovuta alla terza autostrada, ai super inquinanti nuovi mega centri commerciali tra cui l’IKEA, all’inceneritore di Cà del Bue e via elencando, si aggiunge anche la predetta beffa di Venezia e la mancata Variante alla SS12. In assenza di questa Variante continueremo ad essere avvelenati anche dal transito quotidiano di circa 40 mila veicoli, molti dei quali pesanti. Gli amministratori comunali di Verona, già condannati dall’Europa per super inquinamento
Secondo il Comitato “Insieme per Borgo Roma” con 1 milione di euro, tanti ne servirebbero per cambiare la viabilità in zona, si allungherebbe la prospettiva di vita per gli abitanti esposti agli inquinanti derivanti dal traffico di auto e camion
Manifestazione a Buttapietra a favore della variante della SS12. Il comitato di Borgo Roma
suona la sveglia alla politica veronese atmosferico, per motivi economici facilmente intuibili, aumentano i grandi progetti e quindi aumentano il nostro già eccessivo inquinamento invece di diminuirlo. Ma noi non siamo carne da macello e nella democratica Verona l’ultima parola non è quella del sindaco, ma del popolo. Il primo, immediato ed efficace rimedio per fermare questi nuovi Vandali sarebbe a nostro avviso il finanziamento di un costoso monitoraggio periodico che certifichi l’attuale inquinamento atmosferico locale, che sappiamo essere fuori legge da decenni. Con tale monitoraggio ufficiale e certificato, metteremmo il sindaco e i vari responsabili pubblici locali nell’impossibilità di autorizzare nuovi devastanti progetti. Di fronte alla certificazione di smisurato aumento dell’inquinamento invece della sua riduzione i nostri attuali amministratori pubblici sapranno di dovere pagare di tasca propria gli enormi danni che arrecheranno ai nostri quartieri, alle nostre case sempre più deprezzate, ma soprattutto alla nostra salute. Noi abitanti di Verona Sud non siamo disposti a subire l’irreparabile per soddisfare le incoerenti scelte del sindaco Tosi. Costui nel 2007 alla vigilia della sua prima elezione aveva definito per scritto urgentissima la nostra Variante. Dunque,
a mali estremi, estremi rimedi. Potremmo anche decidere di staccarci dal comune di Verona per cominciare a comandare finalmente in casa nostra e mettere finalmente al primo posto la nostra salute e la nostra vita; non più il profitto di pochi speculatori esterni. *Comitato Insieme per Borgo Roma- Beghelli
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POLITICHE 2013 Riflessioni post voto
Il dato elettorale lascia spazio a una serie di considerazioni che ci portano a riflettere sulla minore territorializzazione delle rappresentanze politiche, sulla protesta che emerge nel paese priva di una particolare connotazione ideologica, e sull’emergere di un partito trasversale e generazionale
di Claudio Bolcato Può risultare interessante rileggere i risultati elettorali a qualche mese di distanza, quando molte conseguenze della competizione si sono manifestate e il quadro politico nazionale ha avuto tempi e modi per assestarsi ed evolversi. Le prime riflessioni riguardano l’affluenza alle urne. Il dato in evidenza è l’atteso calo dell’affluenza rispetto alle Politiche 2008, -4,3%, e rispetto alle Politiche 2006, -6,8%. Si conferma anche a Verona il trend che coinvolge il Veneto e l’intera Italia. Verona (città e provincia) rimane comunque collocata ben al di sopra della media nazionale. Passando al dettaglio del voto, occorre invece fare una distinzione tra quanto successo in città e i dati che si possono estrapolare dai comuni della provincia (vedere tabella 1). Prendendo in esame il voto espresso alla Camera e osservando i dati della città, si noti come il Pd risulti essere il primo partito con il 23,72%, seguito a ruota dal M5S con il 22,61%. A distanza Pdl, che riacquista elettori dopo l’emorragia delle elezioni comunali
2012 e si colloca al 15,46% e la Lega Nord, che privata dell’effetto Tosi, scende al 12,24%. Infine Scelta Civica, che drenando consensi dall’UDC raggiunge l’11,69%. Completamente diverso il quadro che emerge dall’osservazione del dato dei comuni della Provincia: crolla il PD che si attesta al 16,26%, crescono M5S (25,28%) e Pdl (21,59%). Più contenute le variazioni di Scelta Civica e Lega Nord. Il dato elettorale lascia spazio ad una serie di considerazioni che partendo dal radicamento dei partiti, ci portano a riflettere sulla minore territorializzazione delle rappresentanze politiche, sulla protesta che emerge nel paese priva di una particolare connotazione ideologica, e sull’emergere di un partito trasversale e generazionale. Un semplice modello, che misura le correlazioni tra i flussi in uscita da Pd e Pdl e quelli in entrata verso nuovi partiti come M5S e Scelta Civica a livello comunale, permette di stabilire come il voto si sia riposizionato nel nuovo contesto nazionale. La tabella 2, che raggruppa i comuni per classi di abitanti, ci dice che M5S ha pescato
sia a destra sia a sinistra su tutto il territorio nazionale. In termini quantitativi, però, la “pesca” verso il centrodestra è stata più fruttuosa al Sud, e quella verso il centrosinistra è stata più fruttuosa al Centro e al Nord. Tornando pertanto al dato veronese, la combinazione dei dati provincia-città ci conduce al quadro completo: M5S con il 24,53% è primo partito in assoluto. Distanziati e separati tra loro da punto e mezzo percentuale (19,86% contro 18,36%) Pd e Pdl. Più lontani rispettivamente Lega Nord e Scelta Civica. Un situazione che ripropone a Verona il modello nazionale e di fatto trasforma l’offerta politica da bipolare a tripolare, con l’appendice centrista di Scelta Civica, la cui collocazione politica oggi non modificherebbe quantitativamente lo scenario, se non in un contesto limitato alla città. Poco da aggiungere sugli altri partiti, ridotti all’irrilevanza. Solo una citazione per la nicchia culturale di “Fare per fermare il declino” e sulla parabola dell’UDC, che dopo anni di onorata presenza sparisce dallo scenario politico. Qualche riflessione conclusiva, con il deside-
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Un semplice modello, che misura le correlazioni tra i flussi in uscita da Pd e Pdl e quelli in entrata verso nuovi partiti come M5S e Scelta Civica a livello comunale, permette di stabilire come il voto si sia riposizionato nel nuovo contesto nazionale
Così abbiamo votato a Verona (1)
rio di suscitare qualche intervento: la recente competizione elettorale ha evidenziato l’assoluta inutilità di programmi elettorali e la marginalità dei candidati dei vari partiti. Occorre ripartire, ma da dove? Suggerisco alcune piste di lavoro: le persone, le istituzioni, le responsabilità. Ripartire dalle persone: mettendo al primo posto le famiglie e i giovani, rimodulando le priorità sociali. Il Parlamento e il governo, devono avere il coraggio di puntare sull’istruzione e la formazione, favorire l’occupazione delle giovani generazioni e delle donne, alleggerire la pressione fiscale sui nuclei numerosi e con neonati, innovare la rete dei servizi agli anziani e ai più deboli, sostenere l’integrazione degli immigrati anche attraverso un più agevole accesso ai diritti di cittadinanza, credere in un’Europa unita moralmente prima che economicamente, e nello specifico ruolo dell’Italia come ponte sul Mediterraneo. Riformare le istituzioni: profondamente, in particolare i modelli di partecipazione politica. Modifica della vergognosa legge elettorale, i cui limiti sono emersi in modo lampante, ma anche interventi profondi per superare il bicameralismo perfetto, per velocizzare l’iter legislativo, per riorganizzare la presenza dello Stato sul territorio, snellendo in modo drastico gli enti intermedi. Rilanciare la responsabilità dei cittadini: per non cedere il passo alla rassegnazione astensionista, alla protesta o alla polemica fine a se stessa. Serve uno scatto di corresponsabilità tra cittadini e rappresentanti, uno slancio civile e morale che sappia tenere unito il Paese, e che veda impegnati insieme, in questa delicatissima fase storica, giovani e adulti, partiti e società civile, per restituire finalmente all’Italia normalità, pace sociale, sviluppo e benessere. In altre parole più vita per tutti.
Così abbiamo votato a Verona (2)
l’ansa dell’adige
Sanità, fiore all’occhiello (di una volta) di Roberto Buttura* La sanità veronese non è più il fiore all’occhiello di cui sono stati per molto tempo orgogliosi cittadini e amministratori. È molto scaduta la qualità dei servizi, le liste d’attesa si sono ingigantite (prova ne è la trovata delle aperture serali delle radiologie) e ormai i cittadini sono costretti nella tagliola sempre più scandalosa del pagamento della prestazione per averla subito nello stesso servizio o reparto dove altrimenti sarebbero costretti a aspettare mesi nella lista pubblica; i ticket si sono trasformati da deterrenza all’abuso dei servizi sanitari a sistema per prelevare soldi a più non posso e con tutti i mezzi dalle tasche dei cittadini. Al netto delle difficoltà dovute a una legislazione nazionale incoerente e senza progettualità, due sono le principali cause che stanno determinando il declino in questo settore: la totale mancanza di programmazione regionale che sta producendo sprechi e sperperi e in conseguenza di questa una gestione delle aziende sanitarie locali dedita al piccolo cabotaggio contrabbandato per grandi intuizioni e a quello che in un tempo non molto lontano si sarebbe chiamato “clientelismo”, che oggi viene mascherato attraverso la mediazione amministrativa dei cosiddetti “tecnici” che si prestano. La politica regionale ha la gravissima responsabilità di non aver governato in questi ultimi diciotto anni i processi che decenni di rapidissima evoluzione tecnologica e scientifica hanno favorito. L’indispensabile opera di riorganizzazione della rete ospedaliera veronese è ferma. Se si eccettua la razionalizzazione attuata nell’Est con
Due sono le principali cause che stanno determinando il declino del settore: la totale mancanza di programmazione regionale che sta producendo sprechi e sperperi e in conseguenza di questa una gestione delle aziende sanitarie locali che sa tanto da “clientelismo”
l’ospedale di san Bonifacio, tutto è rimasto fermo come dimostra la vicenda dell’Ovest, dove una chiara operazione politico-clientelare della Lega fa sprecare milioni e milioni di soldi pubblici mantenendo in funzione due ospedali (Bussolengo e Villafranca in eterna ricostruzione) che insieme non ne fanno nemmeno uno oggi e meno che mai in futuro. Lamentarsi poi con
lacrime di coccodrillo, come fanno ogni tanto alcuni esponenti politici, sullo strapotere degli ospedali privati convenzionati e classificati di Peschiera e Negrar fa crescere la rabbia. Resta Verona, la cui Azienda ospedaliera, dopo aver già fatto l’errore del polo Confortini, sta mettendo in atto una manovra di cosiddetto riordino, funzionale certamente agli equilibri di potere, di cui l’Università si è sempre interessata, ma incurante delle esigenze assistenziali della provincia di Verona. In questo contesto emerge ancora più chiaramente la mancanza di programmazione di cui si è parlato all’inizio. La Regione non sembra infatti aver percepito che lo spostamento di tutta l’attività nell’Ospedale di borgo Trento caldeggiata dall’Università in primo luogo nuoce fortemente alla qualità dell’insegnamento e dell’assistenza sanitaria (creando notevoli problemi di traffico e logistici) e sguarnisce il territorio sud-est della provincia di un presidio ospedaliero come borgo Roma lasciando un vuoto tra la città e l’ospedale di Legnago. Tutto ciò avrebbe bisogno, a livello locale e regionale, di un’attenzione, di una discussione e di provvedimenti seri e decisi al fine di fermare la slavina che sta distruggendo qualità e professionalità dell’organizzazione sociosanitaria veronese.
ASSEMBLEA. Opere pubbliche e project financing. Regole e trasparenza. 13 giugno, 20.45, Sala Ater
Acqua, tariffa-truffa A quando l’opposizione dei Comuni Veronesi? di Susanna Brunelli* Nel giugno 2011 abbiamo vinto il referendum in difesa dell’acqua, bene comune primario, dalla privatizzazione e per eliminare la tassa del 7%, la cosiddetta “remunerazione del capitale investito”. Ma in questi due anni abbiamo continuato a pagare la quota del 7% e la privatizzazione è una continua minaccia. Il nuovo piano tariffario è strutturato in modo tale che le diciture verranno modificate in modo da salvaguardare la remunerazione dei privati. E, inoltre, gli aumenti sono alle porte. Infatti, sono ormai decise a livello centrale le tariffe di Acque Veronesi: 9,4 per cento in più, si va dai 6 ai 27 euro l’anno in più a famiglia. La decisione è dell’AEEG, l’Authority nazionale per l’energia elettrica e il gas che, da quest’anno, ha il compito di calcolare le tariffe del costo dell’acqua. Il presidente dell’Aato Veronese Mauro Martelli denuncia: «Gli aumenti non sembrano essere giustificati da reali necessità di riequilibrio economico delle gestioni che, solo alcuni mesi fa, avevano espresso esigenze nettamente diverse rispetto al risultato prodotto dal nuovo metodo tariffario». La richiesta da parte dei due gestori pubblici, Acque Veronesi e Azienda Gardesana Servizi, era di un incremento del 3,7% per la società scaligera e del 4,6% per quella lacustre. Alla fine però, un complicato calcolo econo-
Il presidente dell’Aato Veronese Mauro Martelli denuncia: «Gli aumenti non sembrano essere giustificati da reali necessità di riequilibrio economico delle gestioni» mico-fiscale ha concesso ad Acque Veronesi un aumento del 9,4 per cento (e potrebbe salire a 12,5% nel 2014), sei milioni di euro in più rispetto alle richieste aziendali. Il presidente Martelli ha sottolineato che l’Authority, di fatto, ha esautorato la Aato del ruolo di mediatore tariffario. «Gli aumenti del costo dell’acqua imposti hanno il solo effetto di colpire i cittadini, già provati dalla pesante situazione economica», spiega il presidente. L’aumento, conseguente al nuovo metodo di calcolo che ha seguito l’esito del referendum del 2011, «paradossalmente finirà per agevolare le società private o miste rispetto a quelle completamente pubbliche. In pratica, così si va verso una forma di privatizzazione indiretta dell’acqua». Come reagire a questa situazione? Vediamo
cosa è successo in Toscana. La conferenza dei Sindaci dell’ex ATO 3 Toscana ha detto no alla tariffa-truffa voluta dall’AEEG. Le riunioni dei Comuni sono state accompagnate dalle mobilitazioni dei Comitati per l’acqua pubblica che hanno ribadito come il metodo tariffario predisposto dall’Authority sia in esplicito contrasto con l’esito referendario. Finalmente, dopo la sentenza del TAR Toscano del 21 marzo scorso, in cui è stato ribadito che la finalità del quesito referendario era di “rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell’acqua” e che questo risultato doveva essere applicato a partire dal 21 luglio 2011, i vari sindaci stanno manifestando la volontà di applicare l’esito referendario anche in Toscana. Si è cominciato con i comuni della provincia di Arezzo e adesso con quelli dell’area fiorentina dove è stata messa in minoranza la volontà di Firenze di fare utili attraverso la gestione dell’acqua. Quindi, in diversi territori, a partire da Toscana ed Emilia Romagna, è manifesto il dissenso alla tariffa-truffa confezionata dall’AEEG in spregio alla volontà popolare dei referendum 2011. Il Forum Italiano dei Movimenti dell’Acqua ha realizzato del materiale informativo in cui spiega la truffa perpetrata da AEEG. A quando l’opposizione dei Comuni Veronesi? *AcquaBeneComune - Verona
l’ansadell’adige
Car pooling scolastico Cala il reddito? E noi togliamo le spese inutili mettendoci in relazione di Damiano Fermo Bilanci comunali sempre più poveri, servizi pubblici sempre più in difficoltà, politiche di “raccolta fondi” basate sui soliti oneri di urbanizzazione… e via di cemento! Con queste premesse che fare? Possiamo ancora pensare a cittadini come utenti da servire o è meglio iniziare a vedere nelle persone centinaia di partner con cui collaborare? Credo proprio che la seconda opzione sia l’unica percorribile.
È ormai chiaro che la progettualità di un nuovo welfare non potrà giungere solo dalle stanze della politica, ancora lontana dalla “strada”, ma anche da chi vive ogni giorno in relazione con gli altri, da chi, toccando i bisogni quotidiani, può immaginare un cambiamento collettivo. Quando questa visione diventa progettualità verso il bene comune, l’istituzione deve attentamente mettersi a disposizione. Ma facciamo un esempio… L’auto è un bene privato. Se iniziamo a condividerla per gli spostamenti quotidiani casa-lavoro diventa immediatamente un bene comune, diventa il meglio conosciuto car-pooling. Una risposta intelligente alla crisi: cala il reddito? E noi togliamoci spese inutili mettendoci in relazione.
Un progetto interessante per le amministrazioni comunali potrebbe essere il car-pooling scolastico, un sistema che prevede che uno o più genitori mettano a disposizione il proprio veicolo per portare a scuola più studenti, con il fine principale di ridurre i costi del trasporto e il numero di veicoli in circolazione. Il servizio viene organizzato in modo da ridurre al minimo il numero di veicoli necessari per accompagnare i bambini a scuola formando dei gruppi di viaggio il più omogenei possibile. Ogni genitore che partecipa al servizio può mettere a disposizione la propria auto per trasportare anche altri studenti o affidarsi completamente a “passaggi” degli altri genitori. Il servizio di trasporto scolastico viene quindi garantito dai mezzi privati e non più dal servizio pubblico, che deve però appoggiare e promuovere questi progetti ideati da ormai sempre più numerose start-up. Il Comune, attraverso una ditta appositamente incaricata, raccoglie le disponibilità delle famiglie e degli autisti e combina i possibili gruppi di car pooling. Per esempio: il Comune individua tre famiglie che abitano nello stesso quartiere o via. Se le famiglie danno la loro disponibilità, a turno, ognuna usa
la propria auto per portare a scuola i figli delle altre. La prima settimana si viaggia sull’auto della prima famiglia, la settimana dopo sull’auto della seconda e così via. Nei casi in cui una famiglia non possa assicurare la disponibilità della propria auto per effettuare un servizio a rotazione sarà possibile formare equipaggi con un autista fisso. Per far fronte agli imprevisti vengono individuati, se possibile, alcuni “autisti di riserva”. Gli studenti trasportati sono coperti dall’assicurazione obbligatoria del veicolo come indicato dall’art.1 della legge 990/69 e successive modificazioni. I costi del trasporto vengono ripartiti fra chi aderisce al car-pooling. Nei casi in cui risulti necessario avvalersi di un autista fisso, per l’impossibilità di garantire la rotazione, le famiglie degli studenti trasportati devono rimborsare all’autista le spese di viaggio. Questo esempio, come molti altri, deve entrare a far parte della logica con cui le amministrazioni comunali pensano al futuro modello di erogazione dei servizi pubblici. Dovunque sia possibile sviluppare valore dalle relazioni, lì deve esserci l’attenzione politica. Se due persone hanno un soldo e se lo scambiano, rimarranno con un soldo. Ma se entrambe hanno un’idea e se la scambiano, alla fine si troveranno con due idee ciascuna. La soluzione sarà, per fortuna, sempre di più, in una comunità che torna a condividere la proprie ricchezze, di vita, di esperienza e perché no, anche di portafoglio.
Un progetto interessante per le amministrazioni comunali potrebbe essere il car-pooling scolastico, un sistema che prevede che uno o più genitori mettano a disposizione il proprio veicolo per portare a scuola più studenti, con il fine principale di ridurre i costi del trasporto e il numero di veicoli in circolazione
ASSEMBLEA. Opere pubbliche e project financing. Regole e trasparenza. 13 giugno, 20.45, Sala Ater
l’ansa dell’adige
La Campagna “L’Italia sono anch’io” sostiene una proposta di legge di iniziativa popolare per concedere la cittadinanza italiana a chi nasce nel nostro Paese, figlio di genitori stranieri, in Italia da almeno 1 anno
CITTADINI DI SERIE “B” per colpa della burocrazia di Ismail Ali Farah Michelle, nata e cresciuta in Italia, figlia di genitori stranieri, arrivati dall’Africa più di due decenni fa: come prevede la legge, entro un anno dal compimento dei 18 anni, si è recata nel Comune di residenza per chiedere il riconoscimento della cittadinanza italiana. Respinta. Jamila, arrivata in Italia a 9 anni, nel 1989, ha ottenuto la cittadinanza pochi mesi fa, dopo quasi 4 anni di attesa e 24 anni da regolare in Italia. Sara, 19 anni, nata in Italia, figlia di genitori stranieri arrivati nei primi anni ’80: ha avuto la cittadinanza, lo scorso anno, dopo un mese di attesa. Straniere nel proprio Paese e nel Paese dei genitori, ciò che differenzia i percorsi delle tre giovani è una semplice attestazione anagrafica: il certificato di residenza. Così Michelle paga la negligenza del padre, che non ha denunciato regolarmente per tutti i 18 anni della sua vita i cambi di residenza necessari. Pochi giorni di “irreperibilità” le sono costati la cittadinanza per nascita, concessa, invece, a Sara, figlia di genitori più attenti alla burocrazia. Jamila è un caso a se: non è nata in Italia, ma nel nostro Paese ha studiato e vissuto per gran parte della sua vita. A 18 anni, dopo che i genitori fanno rientro nel loro Paese di origine, decide di andare a vivere nella stanza di un appartamento con altre studentesse. Giovane, studentessa e precaria, il proprietario dell’immobile non le concede, per questo, la possibilità di portare la sua residenza nella nuova casa, interrompendo la continuità dei 10 anni di permanenza in Italia richiesti dalla legge per ottenere la cittadinanza. Si ricomincia: a 19 anni Jamila riesce a trovare una casa con regolare affitto e a 29 chiede la cittadinanza. Passano quasi quattro anni e Jamila, ormai madre, a 33 anni diventa italiana. Nonostante i Comuni abbiano il solo compito di accertare la dimora abituale di chi chiede un’iscrizione anagrafica, negli anni i margini di discrezionalità si sono ampliati, attraverso fantasiose interpretazioni, soprattutto nei confronti dei cittadini stranieri. Sono i diritti sociali che derivano da quell’iscrizione a spingere le giunte ad amministrare di fatto i flussi migratori attraverso requisiti più o meno severi per l’attribuzione della residenza. Alcuni Comuni chiedono, oltre ad un permesso di soggiorno in corso di validità, un atto che certifichi il titolo d’uso dell’immobile (proprietà, affitto, como-
dato). Poi esistono altri sistemi di “desistenza”, come elenchi più o meno lunghi di documenti necessari per ottenere un certificato di idoneità dell’alloggio (indispensabile per un ricongiungimento familiare o per ottenere un permesso a tempo indeterminato), o automatismi come quelli adottati, ad esempio, dal Comune di Verona. Una speciale procedura, infatti, si attiva alla scadenza di ogni permesso di soggiorno: se l’interessato non segnala personalmente i dati del nuovo documento, scatta l’accertamento e l’eventuale cancellazione anagrafica. Per superare le anomalie prodotte dalle norme sulla cittadinanza, concepite quando il fenomeno migratorio era solo marginale, c’è chi, come il Comune di Padova, invia una lettera ai nati stranieri in Italia il giorno del loro diciottesimo compleanno, avvisandoli del termine di 12 mesi entro cui presentare la domanda di cittadinanza.
Ancora però non basta. Nasce per questo la Campagna “L’Italia sono anch’io”, che, lo scorso anno, ha presentato una proposta di legge di iniziativa popolare che, se approvata, concederebbe la cittadinanza italiana a chi nasce nel nostro Paese, figlio di genitori stranieri in Italia da almeno 1 anno (evitando, con quest’ultima clausola, il rischio paventato da alcuni esponenti della Lega Nord di fare della Repubblica un “partorificio”). Le norme proposte creerebbero, inoltre, percorsi preferenziali per chi, arrivato entro il decimo anno di età, volesse chiedere la cittadinanza al raggiungimento dei 18 anni. Norme di buon senso, prima di tutto, perché, come ha già ricordato Laura Boldrini, Presidente della Camera:«Gli amici dei nostri figli non possono non essere italiani. È una questione di civiltà».
l’ansa dell’adige
Verona a destra. Ma quale destra? “A Verona chi è fascista viene accettato e quasi protetto dalle istituzioni, che dovrebbero rappresentare tutti i cittadini, anche quelli che di destra non sono o che, pur essendolo, fanno parte di una destra pulita, civile, non becera e violenta” di Yared Ghebremariam Tesfau
Verona, Porta Leoni, il luogo dove è stato ucciso Nicola Tommasoli
Verona è di destra? Forse. Ma non di quella destra che va sui giornali e nelle aule di tribunale (quando siamo fortunati si intende) per le sue nostalgie littorie, non di quella destra che imbratta i muri con celtiche e svastiche. Di certo, non di quella destra che si atteggia a giudice, giuria e boia con i suoi atteggiamenti squadristi lungo le strade della città. Verona può essere una città di destra, per quanto questo contrasti con la storia di città bianca e con l’impegno sociale presente in ampia parte della sua cittadinanza, ma non è una città fascista, non è una città nera. Da cosa deriva allora la nomea che le è riconosciuta a livello nazionale e, anche se sarebbe meglio non saperlo, non solo? Può derivare dallo spettacolo di sé che danno quei sedicenti tifosi che, di volta in volta, allietano le domeniche calcistiche con anacronistici immaginari da ventennio, regalando alla città di Giulietta l’appellativo di “Seconda Repubblica di Salò”? Estremismi nelle curve ci sono in diverse città, ma queste non vengono marchiate allo stesso modo, perché? Gli episodi di violenza per le strade, i pestaggi e le rivendicazioni sono sì segnali forti, che devono far riflettere, ma anche questi non spiegano il fenomeno, non lo spiegano le aggressioni di Volto San Luca o quelle del Bar Poste, come non bastano a spiegarlo la forte presenza di Forza Nuova, di Fiamma Tricolore o di Casapound perché hanno sedi anche in altre città, fanno manifestazioni anche in altre province… Cosa può spiegare allora la fama di Verona? Il suo essere ad un tempo Città dell’Amore, Città della Lirica e... Città Nera? È, d’altra parte, luogo comune che “a Verona siamo tutti di destra”… Forse, e dico forse, la differenza sta che, mentre nelle altre città, nelle altre realtà, episodi di violenza vengono condannati, da noi vengono coperti, perché altri stigmatizzano o riducono in evidenti minoranze le pulsioni razziste e xenofobe che qui trovano una sorta di indifferente tolleranza oppure, infine, perché mentre altrove simili estremismi sono considerati inaccettabili a Verona vengono
portati nella pubblica amministrazione. E così abbiamo agitati esponenti di Fiamma Tricolore in Consiglio comunale, aizzatori dalle nostalgie repubblichine come assessori, simpatizzanti del littorio nelle aziende partecipate e, ultimo balzato agli onori della cronaca, rappresentanti di Casapound presidenti di Commissione nelle nostre Circoscrizioni. C’è, però, un altro aspetto, più difficile da vedere o, più semplicemente, meno piacevole da affrontare: su questo tema le opposizioni hanno fallito, le minoranze hanno perso, sinora, questa battaglia. Non è stato abbastanza efficace il Pd che non ha preso posizione quando le squadracce di Casapound e Blocco studentesco hanno fatto irruzione in Università per interrompere una “conferenza nemica”. Non è abbastanza presente Sel, carente di rappresentanti e di riconoscibilità in città. Si sono chiamati fuori dal confronto i Pentastellati della Terza Circoscrizione, astenutisi dal documento di condanna dell’aggressione di Veronetta. Hanno mancato completamente il segno anche i Collettivi, studenteschi e non, identificati troppo come parte del problema e non come parte pulita cui guardare, perché, ci piaccia o meno, non sono visti come migliori rispetto ai picchiatori fascistoidi, nostalgici o del terzo millennio, a seconda di come amino definirsi. Ebbene, forse è per tutto questo che certi episodi a Verona hanno una rilevanza che altrove non avrebbero, non perché la città sia o meno di destra, ma perché chi è fascista viene accettato e quasi protetto dalle istituzioni che dovrebbero rappresentare tutti quei cittadini che di destra non sono o che, pur essendolo, fanno parte di una destra pulita e civile, non di una destra becero fascista e violenta. Per perdere la sua nomea, Verona dovrebbe impedire che il giorno dopo aggressioni come quella di Veronetta un Marcello Ruffo riceva attestati di solidarietà da parte di un consigliere comunale; dovrebbe imporre ad un Consiglio della Terza Circoscrizione ed al suo presidente di condannare i fatti e chiedere l’allontanamento dall’istituzione stessa; dovrebbe avere il buon gusto di rifiutare che un consigliere, a qualsiasi livello, possa essere eletto se sotto processo per una rissa avvenuta, sempre in zona universitaria, solo pochi mesi prima. Perché, ricordiamolo sempre, i luoghi dei pestaggi che vedono coinvolto il Consigliere Ruffo, colpevole o meno, non sono molto lontani da quella piazzetta Leoni che ha visto l’aggressione di Nicola Tommasoli…
ASSEMBLEA. Opere pubbliche e project financing. Regole e trasparenza. 13 giugno, 20.45, Sala Ater
l’ansa dell’adige
La politica non solo per i ricchi Tutti dobbiamo farci carico dei costi della democrazia di Michela Faccioli* Il costo della politica è argomento dibattuto quotidianamente, moltiplicatore di un’indignazione diffusa tra i cittadini e strumento di persuasione di un elettorato sfiancato sia dai continui scandali nella vita pubblica sia da una crisi che è insieme economica e sociale. Per il combinato disposto della dilagante corruzione a tutti i livelli e della crescente disparità nelle condizioni di vita (in Italia il 10% delle famiglie più ricche detiene il 45% circa della ricchezza complessiva), ciò che per decenni si è tollerato facendone oggetto al più di sarcastiche battute, per molti oggi rappresenta l’insopportabile incarnazione di una politica arrogante e avulsa dalle necessità dei suoi cittadini.
Bene eliminare gli sprechi, ma non va commesso l’errore di ritenere che la politica debba totalmente autofinanziarsi, introducendo il pericoloso principio per cui solamente chi se lo può permettere se ne possa occupare
Tale sentimento trova fondamento nella realtà e anche nello studio del Servizio per le competenze parlamentari della Camera, che pochi anni fa mise ingenerosamente a confronto l’Assemblée nationale francese, l’House of Commons inglese, il Bundestag tedesco e il Parlamento europeo con la Camera dei deputati italiana, restituendo a quest’ultima un’immagine poco lusinghiera. La cosiddetta casta politica, il cui racconto ha fatto la fortuna di alcuni giornalisti, non è l’unico esempio in Italia di cricche e di corporativismi, ma è forse il solo a subire il pubblico ludibrio probabilmente perché la politica (non tutta la politica) ha progressivamente abdicato ai suoi ideali e al suo ruolo. Nell’“Elogio del moralismo”, il mancato (purtroppo) Presidente della Repubblica Stefano Rodotà ricorda che l’aborrita questione morale, cara un tempo alla sinistra, si è via via rivelata come ineludibile questione politica e, ricordando Enrico Berlinguer, sottolinea come gli ex comunisti, invece di riflettere seriamente sul loro passato, vollero vedere nella richiesta di austerità da parte del proprio leader “un’idea triste della politica, in contrasto con la spensieratezza dell’incipiente “Milano da bere” (quella che portò alle tangenti e alla dissoluzione di alcuni partiti). Molta parte di quello che sta accadendo dipende da come la politica viene vissuta ed è facile supporre che non avremmo mai contestato l’indennità di un politico e intellettuale come Antonio Gramsci, il quale in una lettera alla compagna, ebbe a scrivere: “Quando penso che a Torino sotto il controllo dei bastoni 3.000 operai hanno scritto il mio nome e nel Veneto (egli era candidato anche in Veneto) altri 3.000 in maggioranza contadini hanno fatto altrettanto (...) giudico che una volta tanto l’essere deputato ha un valore e un significato. Penso però che per fare il deputato rivoluzionario in una Camera dove 400 scimmie ubriache urleranno continuamente ci vorrebbe una voce e una resistenza fisica superiori a quelle che io abbia. Ma cercherò di fare del mio meglio”. Se è innegabile che gli sprechi sono molti e i costi esosi e diffusi (si pensi alle prebende del presidente dell’azienda di trasporto pubblico veronese che stonano con l’aumento dei disservizi e del costo dei biglietti), non va commesso l’errore di ritenere che la politica si debba totalmente autofinanziare, introducendo di fatto il pericoloso principio per cui solamente chi se lo può economicamente permettere, riesce ad occuparsene e ad ambire a ricoprire incarichi nelle istituzioni. Se i privilegi e gli sprechi in politica vanno contrastati, i costi della democrazia vanno sempre salvaguardati.
*Presidente Arci Verona
ASSEMBLEA PUBBLICA
OPERE PUBBLICHE e project financing Regole e trasparenza l’ANSA DELL’ADIGE
Intervento di Gianni Belloni Giornalista professionista, si occupa di criminalità organizzata e di conflitti e qualità territoriali. Ha collaborato con la rivista d’informazione sociale Carta. Ha promosso il Laboratorio dell’inchiesta economica e sociale (Lies), associazione di promozione di percorsi d’inchiesta e conoscenza
Altri interventi Rappresentanti dei comitati civici (Traforo, Ca’ del Bue, Arsenale)
Modera Fabiana Bussola giornalista
13 giugno - ore 20.45 Sala conferenze Ater Piazza Pozza, 1 - San Zeno