La distruzione del tempo

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LA DISTRUZIONE DEL TEMPO…di chalbi monica La distruzione del tempo, come eterno presente, attraverso un’ esperienza diretta dello spazio come nonluogo, quindi del dominio e non della cosa in sé, ma della sua immagine, promuove la formazione di un nuovo apparato percettivo nelle giovani generazioni, distruggendo in questo modo, la fiducia nella verifica personale dei fatti: la certezza non dipende piu’ dal proprio controllo sul mondo, ma dalla sua rappresentazione sul video. La simultaneità temporale delle reti televisive, accelera questo processo, collegando tutti i luoghi del mondo, così che eventi e costumi di paesi lontani, tendono ad assumere immediatamente, un modello di riferimento. Lo sradicamento dei rapporti sociali dai contesti attuali, è inoltre accentuato dalla tendenza sempre piu’ diffusa, all’instaurazione di rapporti tra persone “assenti” (vedasi il successo di internet e dei social network), in uno spazio indefinito, nel quale il singolo individuo, si incontra direttamente con il mondo: unico tramite, il codice linguistico, che gli permette di “navigare” artificialmente, tra i meandri di un universo labirintico. La deterritorializzazione dei centri di produzione, porta anche alla deterritorializzazione piu’ generale dell’individuo, che vive ora in una “solitudine multipla”. Questo processo di artificializzazione dello spazio, investe tutta quanta la natura e trasforma l’uomo stesso, modificando il senso dello spazio, verso una dimensione sempre piu’ astratta e indeterminata, strettamente legata alla distruzione della temporalità storica. Se infatti, la memoria “meccanica”, si è enormemente dilatata, è invece venuto meno, il rapporto con il passato. Il trauma storico documentato da tutta la poesia, la narrativa, coincide con il senso di una perdita irrimediabile del passato, mentre il presente, si impone come unico tempo, per leggere il passato ed il futuro. Non è piu’ possibile, quindi, un rapporto né di continuità, né di opposizione con il passato, come lo avevano le avanguardie, per la mancanza di un progetto e di una proiezione utopica nel futuro. Questo stato di sospensione e di “no future”, è la causa principale del senso di vuoto e del nichilismo che caratterizza, questo fine secolo. Eppure, mai come adesso, è stata così grande, la nostalgia verso la storia, come attestano tutti i fenomeni “neo”. La mancanza di un’ identità forte del presente, e la contemporaneizzazione di ogni evento ed esperienza, portano a un recupero archeologico, decorativo e scenografico della storia, fatta oggetto, da sempre, di un indiscriminato saccheggio di stili. Il passato diventa dunque, una forma dell’immaginario odierno, che funge da specchio alle inquietudini del presente. Non solo cio’ comporta l’incapacità di pensare al passato, come orizzonte autonomo e come apporto di tradizioni e di identità, ma viene a cadere ogni idea di storicità, come progresso, per cui diventa impossibile oggi, trovare un senso e un fine alla storia. L’idea di un presente che tutto ingloba e distrugge, è diffusissima, mentre il panorama di inutilità e di azzeramento dei significati, che caratterizza l’ultimo ventennio, è ugualmente al centro della rappresentazione letteraria e artistica, che oscilla tra la denuncia e l’acquiescenza a una visione della realtà come magma, labirinto, mercato e spettacolo.



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