The Architects Series - An Issue on WORKac

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The

Architects Series

An issue on

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ALLEGATO A SUPPLEMENT TO

a cura di / curated by

THE PLAN

OTTOBRE / OCTOBER 2018



WORK Architecture Company

WORK Architecture Company

WORKac, studio fondato da Amale Andraos e Dan Wood, oggi a capo di un team di 20 collaboratori, si occupa di architettura e masterplanning, riponendo particolare attenzione al tema della sostenibilità, con l’obiettivo di andare oltre una pura ricerca tecnologica per sviluppare infrastrutture intelligenti e condivise e raggiungere un’integrazione più sensibile tra architettura, paesaggio ed ecosistema. Di recente WORKac è stato inserito da Architect Magazine al primo posto tra i 50 migliori studi di architettura degli Stati Uniti e, nel 2016, è stato nominato “New York State Firm of The Year” secondo l’American Institute of Architects (AIA). Lo studio ha ottenuto il plauso internazionale grazie a progetti quali l’Edible Schoolyard della Public School 216 di Brooklyn, il masterplan del Centro Culturale New Holland, su un’isola di San Pietroburgo e il Blaffer Art Museum dell’Università di Houston. Tra i progetti in corso, il masterplan per 50 nuove residenze in Libano, il nuovo Student Center della Rhode Island School of Design, una biblioteca a North Boulder (Colorado) e una residenza in Arizona.

WORKac was founded in 2003 by Principals Amale Andraos and Dan Wood. Together, they lead the 20-person firm, based in New York City. WORKac creates architecture and masterplanning concepts. They are committed to sustainability and going beyond its technical requirements, striving to develop intelligent and shared infrastructures, and a more careful integration between architecture, landscape and ecological systems. WORKac was recently rated the no. 1 design firm in the US in Architect Magazine’s list of the top 50 architecture firms, and was the 2016 AIA NYS Firm of the Year. The practice has achieved international acclaim for projects such as the Edible Schoolyard at P.S.216 in Brooklyn, the New Holland Island Cultural Center Masterplan, and the Blaffer Art Museum at the University of Houston. WORKac current projects include a masterplan for 50 new villas on a waterfront site in Lebanon. In the US, WORKac is designing a Student Center for Rhode Island School of Design, a new library for North Boulder, CO, and a completely off-the-grid house in Arizona.

Amale Andraos Amale Andraos è direttrice dello studio WORKac e preside della Graduate School of Architecture, Planning and Preservation della Columbia University. È considerata una figura di spicco nel campo dell’architettura, invitata di frequente a tenere conferenze. Ha insegnato presso varie istituzioni tra cui l’Harvard Graduate School of Design e l’American University di Beirut. Fa parte del comitato dell’Architectural League di New York, così come del World Economic Forum Global Cities and Urbanization Council. È membro del comitato direttivo del Columbia Global Center in Medio Oriente. Dan Wood Dan Wood, co-fondatore insieme ad Amale Andraos dello studio WORKac, ha curato varie pubblicazioni tra cui 49 Cities, una rilettura di 49 piani urbanistici visionari analizzati dal punto di vista ambientale, e di Above the Pavement the Farm!, di cui è co-autore assieme ad Amale Andraos. Dan svolge da tempo l’attività di docente: di recente ha ricoperto la Frank Gehry International Visiting Chair in Architectural Design dell’Università di Toronto e in passato la Louis I. Kahn Chair presso la School of Architecture di Yale e la Friedman Professorship alla UC Berkeley.

Amale Andraos Amale Andraos is a principal of the firm and the dean of the Columbia University’s Graduate School of Architecture, Planning and Preservation. She is recognized as an architecture thought leader and lectures widely. She has taught at numerous institutions including the Harvard Graduate School of Design, and the American University in Beirut. She serves on the board of the Architectural League of New York, the World Economic Forum Global Cities and Urbanization Council and is a member of the faculty steering committee for the Columbia Global Centers in the Middle East. Dan Wood Dan Wood co-founded WORKac with Amale Andraos. His publications include 49 Cities, a re-reading of 49 visionary urban plans through an ecological lens, and Above the Pavement the Farm! co-authored with Amale Andraos. Wood has taught extensively, recently holding the Frank Gehry International Visiting Chair in Architectural Design at the University of Toronto. He previously held the 2013-14 Louis I. Kahn Chair at the Yale School of Architecture, and the Friedman Professorship at UC Berkeley.

CREDITI / CREDITS Pp. 4 Bottom, 5, 11 Top Right5, 18 Bottom, 19, 22, 24, 25, 30, 31 © Bruce Damonte; pp. 4 Top, 6, 7, 8 Top and Bottom Left © Elizabeth Felicella; pp. 8 Bottom Right, 12 Top, 13, 18 Top, 21, 29 © Raymond Adams; p. 9 © Tais Melillo; pp. 10, 12 Bottom © Iwan Baan; pp.14 Top, 15, 16 Bottom, 17 Top © ImagenSubliminal (Miguel de Guzmán + Rocío Romero) Cover photo © Raymond Adams drawn by Alberto Pratelli

We’ll Get There When We Cross That Bridge di Amale Andraos & Dan Wood

A noi di WORKac piace pensare il mondo attraverso l’architettura e, al tempo stesso, avvicinare l’architettura al mondo, per re-immaginare l’architettura nel mondo. Si potrebbe pensare questa disciplina come una serie di linee che disegnano confini. Noi invece concepiamo l’architettura come ambiente in cui le costruzioni sono una dimensione in un sistema più ampio. L’architettura, riteniamo, non divide, bensì stabilisce contatti al di là dei confini: dimensioni, tempi, discipline e competenze. L’architettura può rendere manifesti nuovi tipi di relazioni rendendo possibili nuove forme di conoscenza, collaborazione, coinvolgimento e prassi. II perno attorno al quale intrecciare queste nuove relazioni sono, per noi, i concetti di contesto urbano, rurale e naturale e il concepire l’architettura alla loro intersezione per reinventare il modo di vivere, lavorare e condividere nuove esperienze che integrino architettura, paesaggio, città, cultura e natura. C’è una tensione nel nostro lavoro: da una parte una specie di leggerezza, un amore per forme e colori, una sensibilità pop, un impegno a seguire il programma e il processo narrativo; dall’altra parte la valutazione dei risultati, l’adattare le tecnologie, l’applicare e valorizzare sistemi ecologici e infrastrutturali. Stiamo cercando di unire questi due poli attraverso l’architettura.

We’ll Get There When We Cross That Bridge by Amale Andraos & Dan Wood

We like to think about the world through architecture and to bring the world to architecture: to re-imagine architecture in the world. One could think about architecture as drawing lines as boundaries. We think about architecture as environment, with buildings as one scale of a larger system. Rather than the building of lines that divide, we think more about architecture’s capacity to connect across boundaries: scales, time, disciplines and expertise. Architecture can make visible new kinds of relationships: it can enable new forms of knowledge, collaboration, engagement and practice. For us, the construction of these new relationships revolves around ideas of the urban, the rural and the natural, and thinking about architecture at the intersection of all three to re-invent how we live, work and share together in new experiences that integrate architecture, landscape, city, culture and nature. There is a tension in our work: on the one hand there is a kind of lightness, a love of shapes, color, a pop sensibility and a commitment to program and narrative, and on the other, there is the measure of performance, of adapting technology and celebrating infrastructural and ecological systems. We are trying to bring these two things together, through architecture.

Render All renders © WORKac All images courtesy of WORKac (www.work.ac - 156 Ludlow Street - New York, NY 10002)

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Anthroplogie Dos Lagos Dos Lagos, Corona (CA), USA | 2007

Un giardino segreto in California Anthropologie è un famoso brand di abbigliamento femminile e di arredo che ha coinvolto WORKac per un progetto di restyling, nel desiderio di rinnovare il proprio store di Dos Lagos in California, ritenuto troppo pieno e disordinato. La risposta di WORKac si è mossa su due direttrici principali: spostare le zone di vendita e di esposizione verso il perimetro e portare la natura all’interno, nel cuore del negozio. Nei muri perimetrali sono state praticate nicchie e vetrine di diverse dimensioni con ripiani per l’esposizione della merce disegnate e poi realizzate su misura. Punto focale dell’intervento è però il giardino interno: uno spazio cubico chiuso da vetrate e aperto verso il cielo che poggia su un palco in legno collegato con qualche gradino al resto del negozio. Al centro di questo hortus conclusus che funge da immenso pozzo di luce e illumina naturalmente dall’alto tutto il negozio si trovano alcune piante autoctone. Altra particolarità del progetto è la facciata formata da pannelli in vetro lavorati secondo texture diverse che conferiscono al prospetto volume e tridimensionalità. Nella parte alta uno schermo verde, ossia una rete metallica che fa da supporto a piante di gelsomino che crescono sul tetto e poi scendono a formare un muro verde.

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A secret garden in California The famous women’s fashion and furniture brand Anthropologie commissioned WORKac to restyle its California Dos Lagos store that had become cluttered and lacking in appeal. The architecture practice proposed a two-pronged approach: shifting the product display and sales areas toward the perimeter, and bringing natural vegetation into the heart of the store. Accordingly, custom-designed niches and showcases with shelves were created along the outer walls, giving a sense of space and allowing an internal garden to become the focal point of the shop. Enclosed in a glass cube open to the sky, the garden rests on a raised timber deck, accessed on one side by a few broad steps. An immense lightwell flooding the whole store with natural light, this hortus conclusus is planted with autochthonous species. The striking remake continues outside where the glazed panel elevation includes several different textures, giving the storefront the appearance of a three-dimensional volume. The upper section is a green screen - a metal mesh supporting a row of rooftop jasmine plants cascading down over the side of the building.

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Diane von Fürstenberg Studio Headquarters New York, USA | 2007

A diamond cut glass dome

Sezione che mostra la riflessione dei raggi luminosi all’interno del vano scala Sectional view of how light is reflected into the staircase

Una cupola di vetro sfaccettata a diamante Il Meatpacking District è un piccolo quartiere della zona sud-ovest di Manhattan che deve il suo nome agli stabilimenti di lavorazione della carne che fino a non molti anni fa affollavano la zona ed è oggi uno dei quartieri più di tendenza della città. All’interno di un edificio storico del distretto WORKac ha progettato il nuovo studio e il flagship store della famosa casa di moda Diane von Fürstenberg. La struttura si compone in totale di sei piani ed è progettata per rispondere a un complesso programma funzionale che comprende uno spazio flessibile per showroom ed eventi, uffici amministrativi e studi di design per 150 persone, una suite e un attico privati. Elemento unificante del progetto è un gesto architettonico di forte impatto: una scala che collega tutti i livelli incanalando e diffondendo la luce naturale dalla copertura in tutte le parti dell’edificio. Un “cannone di luce” segue le rampe delle scale che tagliano in diagonale tutti i piani catturando la luce da una struttura sfaccettata a diamante che corona il tetto. Quest’ultima è un’architettura completamente in vetro in cui sono stati installati degli eliostati, ossia specchi opportunamente orientati per reindirizzare i raggi solari. I fasci luminosi infatti si riflettono da uno specchio all’altro, per essere infine indirizzati lungo la struttura metallica della scala con i fianchi impreziositi di cristalli Swarovski. Attorno alla scala si sviluppano i vari livelli articolati su volumi singoli e doppi che offrono spazi flessibili e ambienti polifunzionali. La scelta progettuale di non nascondere il nuovo intervento dietro le facciate storiche ma di metterlo anzi in risalto creando un dialogo tra soluzioni contemporanee ed edificio preesistente, è stata premiata dal successo del progetto. La Landmarks Preservation Commission - istituzione della città di New York per la Tutela del Patrimonio Culturale - ha infatti segnalato il progetto come nuovo modello per un recupero intelligente degli edifici storici della città.

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The small Meatpacking District of south-west Manhattan takes its name from the many meat processing firms that until recently crowded a neighborhood that is now one of New York’s most trendy sought-after districts. WORKac renovated the interior of one of the quarter’s many historic buildings, turning it into the new studio headquarters of the famous fashion label Diane von Fürstenberg. The building’s six stories have been redesigned with a complex functional program that includes a flexible showroom and events space, administrative offices, design studios for 150 people, and a private suite and penthouse on the top floor. The unifying feature of the program is the iconic metal staircase running from top to bottom and channeling the natural light captured by a cut-diamond shaped structure on the roof down to every part of the building. This completely glazed lantern-like skylight contains heliostat mirrors oriented so as to redirect the sun’s rays down into the building where they are reflected onto the metal of the staircase and its vertical cable sides encrusted with Swarovski crystals, which further disseminate the light. On each level, single or double height volumes provide flexible multipurpose environments. The choice not to conceal the renovation program behind the pre-existing building façade innovations but rather set up a dialogue between the contemporary and historic met with general acclaim. The Landmarks Preservation Commission the New York City body charged with protecting the city’s cultural heritage - flagged the project as a new model for smart restoration of the city’s historic buildings.

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Public Farm 1 New York, USA | 2008

Una piccola fattoria in città Il Young Architect Program - YAP - è nato nel 1999 promosso dal MoMA e dalla sua istituzione sorella MoMA PS1 con l’intento di offrire a giovani talenti dell’architettura l’opportunità di presentare ed esporre progetti innovativi. Il programma lancia una sfida di progettazione per la realizzazione di installazioni temporanee dedicate a ospitare la rassegna di musica all’aperto Warm Up che ogni anno si svolge nel cortile del PS1, nel Queens. Il tema ricorrente di Urban Beach, declinato in varie proposte che mirano a ricreare nel centro della città un clima da festa in spiaggia, nel 2008 è stato reinterpretato da WORKac come una “fattoria urbana”, da cui il nome Public Farm 1. La proposta di riportare la qualità della vita di campagna in città è stata accolta con successo e il progetto di WORKac è risultato vincitore della competizione. Come affermano gli architetti, PF1 è «Un manifesto urbano e architettonico che vuole fungere da stimolo per rimettersi in gioco e reinventare le nostre città: quarant’anni dopo la rivoluzione dell’estate del ‘68, è oramai tempo di rivedere la città come simbolo di emancipazione, conoscenza, energia e divertimento. Dal momento che i centri urbani hanno oramai dimostrato la loro superiorità rispetto alla controparte extraurbana - dalla qualità della vita all’impatto ambientale - possono diventare nuovamente indispensabili laboratori di sperimentazione». La struttura di PF1 offre sedute e ombreggiamento e riorganizza lo spazio del cortile del PS1 secondo diverse zone funzionali; si compone di tubi cilindrici di cartone assemblati in gruppi di sei che formano una configurazione a fiore disponendosi attorno a un cilindro centrale. Quest’ultimo nasconde o una colonna portante oppure è cavo per accogliere piante. In totale sono ospitate 51 varietà di erbe, fiori e vegetali, raggruppate per specie e con fioritura a rotazione. PF1 è completamente autosufficiente: illuminazione, video, schermi, suoni sono garantiti da un impianto fotovoltaico e l’irrigazione delle piante è alimentata da una cisterna che raccoglie fino a 22.000 litri di acqua piovana. Ma non sarebbe una fattoria senza le sue galline: sei galline con i loro pulcini hanno allietato i visitatori durante tutta l’estate.

Prospetto Elevation

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A little farm in the city YAP - the Young Architects Program was started in 1999 by MoMA and its sister institute, MoMA PS1, to offer talented young architects the opportunity to present and display innovative projects. The two institutes hold a competition for temporary installations designed to host the “Warm Up” open-air concert held every year in PS1’s courtyard in Queens. Although the recurrent theme of “Urban Beach” has been interpreted in many ways, the underlying characteristic is the creation of a beach party atmosphere. In 2008, WORKac turned it into an “urban farm”, hence the name Public Farm 1. The proposal to bring country life back into the city caught people’s imagination, and the WORKac project won the competition. As the architects themselves say, “PF 1 is an architectural and urban manifesto to engage play and reinvent our cities, and our world, once again. […] Exactly 40 years after 1968, it is time for a new leisure revolution! One that creates a symbol of liberation, knowledge, power and fun for today’s cities. […] As cities have finally proven their superiority over their suburban counterparts in everything from quality of life to environmental impact they should again become our much needed laboratories of experimentation…” The structure offered seating and shade as it reorganized the PS1 courtyard space into the required functional areas. Groups of six cardboard cylinders were arranged to form a flower shape around a central cylinder, which either concealed a weightbearing column or was a hollow planter. Some 51 varieties of grasses, flowers and vegetables were included, grouped by species and flowering in rotation. PF1 was completely self-sufficient. A photovoltaic plant supplied power for lighting, video projections, screens, and amplification while a 22,000-liter rainwater-harvesting cistern provided sufficient water for irrigation. Of course, no farm is complete without hens - six of them with their chicks delighted visitors throughout the summer.

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Edible Schoolyard Project New York, USA | 2014

Scuole per l’educazione alimentare L’Edible Schoolyard Project - ESY - è un modello didattico impegnato da vent’anni a diffondere la propria missione nelle scuole pubbliche: accompagnare la tradizionale attività scolastica con un’educazione finalizzata alla salute e a una sana alimentazione. ll termine “edibile” - che fa riferimento all’alimentazione - indica la volontà di educare gli scolari a una scelta consapevole del cibo, integrando l’iter scolastico con informazioni sul cibo e sulle relazioni tra uomo e natura e coinvolgendo i bambini nella preparazione dei pasti. La prima commessa di edilizia scolastica a WORKac è stata per la scuola pubblica di Brooklyn PS 216 “Arturo Toscanini” inserita nel programma ESY - cui ha fatto seguito, visto il successo della prima esperienza, il progetto per la scuola pubblica di Harlem PS 7. Dedicandosi alla progettazione di edifici scolastici lo studio segue una doppia strategia: creare un brand identificativo e soddisfare al contempo le specifiche esigenze di ogni singolo istituto. Per la scuola Arturo Toscanini di Brooklyn, agli architetti di WORKac è stato commissionato il rifacimento del cortile scolastico e il design della Kitchen Classroom. Nel cortile hanno trasformato parte del parcheggio pertinente in un giardino biologico con una serra annessa all’aula di cucina. La realizzazione si articola in tre parti, ciascuna caratterizzata da un materiale diverso: la serra ha una struttura in alluminio e policarbonato, la Kitchen Classroom presenta un rivestimento pixelato in scandole di ceramica a motivo floreale e l’area tecnica sul retro si articola in una specie di “System Wall”, una divertente serie di volumi dalle forme più varie rivestiti di gomma blu. Per La PF 7 di Harlem lo studio esplora invece le potenzialità della copertura della scuola come spazio per la creazione di un giardino e, come nel caso del primo progetto, è stata prevista la realizzazione di una serra e di un’aula di cucina. I sistemi volti alla sostenibilità inoltre sono stati trasformati in elementi decorativi e giocosi: l’acqua piovana convogliata dal tetto della serra viene filtrata è raccolta in un serbatoio all’interno dell’ambiente e durante il percorso attiva una ruota a forma di fiore posizionata sulla facciata dell’edificio. Elemento unificante e di continuità tra i due progetti è il rivestimento ceramico a fiori del corpo principale.

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Learning good eating habits at school For some twenty years now, the Edible Schoolyard Project ESY - has championed the hands-on teaching of good eating habits and allied health benefits as part of the standard American public school syllabus. The term “edible” neatly sums up the project: raising young children’s awareness of food, how it is produced and prepared, and how man interacts with nature to produce it. WORKac’s first “edible schoolyard” assignment was for the Brooklyn Arturo Toscanini PS 216. Its success led to another brief, this time for Harlem’s Public School 7. This in turn led the practice to adopt a double strategy: create a recognizable WORKac brand in school projects while at the same time ensuring every brief meets the specific requirements of the individual school. The Arturo Toscanini School in Brooklyn wanted to revamp its schoolyard and design a kitchen classroom. WORKac turned part of an adjacent parking lot into an organic vegetable garden with a greenhouse annexed to the kitchen classroom. The different materials used clearly identify the project’s three components. The greenhouse is a polycarbonate and aluminum structure; the steel-framed kitchen classroom is clad in a pixelated floral pattern of colored ceramic shingles; and the so-called Systems Wall comprises a series of services and plant whose different forms are clad in blue rubber. The Harlem PS 7, on the other hand, has turned the school roof into a garden close to the requisite greenhouse and cookery classroom. The various components of this interlinked sustainable system have all been turned into fun decorative elements. On its way to a filtering station and internal cistern, the rainwater running off the greenhouse roof turns a flower shaped wheel on the building façade. The “brand” feature common to the two projects is the floral ceramic cladding on the main building.

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Museum Garage Miami, USA | 2014

Ant Farm: a vertical ant’s nest

Ant Farm: un formicaio verticale Il Museum Garage è un parcheggio di sette piani che può ospitare sino a 800 autovetture; sorge su uno stretto lotto del Miami Design District, il quartiere di Downtown Miami dedicato all’arte, all’architettura e al design. Per le facciate Craig Robins, creatore del Distretto, ha ideato un programma originale e visionario, affidando il concept dei prospetti a cinque diversi studi di architettura. Il design di Ant Farm, la sezione progettata da WORKac, deriva dall’idea di ribaltare sul piano verticale il piano di calpestio ricreando sulla facciata un “formicaio” di spazi pubblici e di circolazione, attraverso tagli curvilinei nel rivestimento metallico che svelano o nascondono le attività all’interno. Il prospetto infatti, originale e autoironico, è rivestito di pannelli metallici perforati di colore bianco che si aprono in cerchi, ovali e tagli dalle linee sinuose rivelando la struttura metallica sottostante del parcheggio, dipinta di un colore rosa intenso. Infine, un fumetto che rappresenta una mano immersa nell’acqua nell’atto di afferrare una palla da bowling corona il design del prospetto. Il programma prevedeva che la facciata potesse sporgere oltre la struttura non più di 1,20 m: in questo spazio estremamente ridotto WORKac ha creato un intero mondo dedicato alla collettività, riuscendo a inserire un bar, un piccolo spazio per esposizioni artistiche, una biblioteca, un’area giochi per i bambini, un giardinetto pensile con una palma, una zona per l’ascolto di musica e una fontana alimentata con acqua piovana. Il parcheggio diventa così un’occasione inaspettata di interazione sociale e di promozione dell’arte e uno degli edifici più interessanti di Miami.

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Museum Garage is a 7-story, 800-vehicle parking garage standing in a narrow plot in Miami’s Design District, the city’s downtown quarter abuzz with art, architecture, and design. Craig Robins, the driving force behind the District, and the prime mover in this original, even visionary, program, invited five different architecture practices to develop the elevations. Ant Farm, the section designed by WORKac, is based on the idea of placing habitable spaces on the vertical plane, to create an “ant’s nest” of public spaces and circulation routes on the parking silo’s elevation. This original, tongue-in-cheek project comprises an outer surface of white perforated metal panels shaped into circles, ovals and sinuous lines that both reveal and conceal the bright “Miami pink” metal understructure. A final piece of sheer fun is the circular panel with the image of a hand reaching into water to pick up a bowling ball. The brief allowed the façade to project from the weight-bearing structure no more than 1.20 m. Despite these spatial constraints, WORKac succeeded in creating a broad series of community activities and services: a café, small art gallery, library, a children’s playground at the end of several corridors, a small hanging garden with a palm tree, an area for listening to music, and a rainwater-fed fountain. In this way, a parking garage becomes an unexpected opportunity for social interaction and promoting art in one of the most interesting buildings in Miami.

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Modello che mostra il programma funzionale della facciata Model showing the façade’s functional program

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Wieden+Kennedy NY New York, USA | 2014

Spazi per lavorare in condivisione L’agenzia pubblicitaria Wieden+Kennedy possiede una fama già consolidata come promotrice di stili di lavoro innovativi e sostenitrice dell’architettura contemporanea. Con l’intervento commissionato a WORKac per il rinnovo della sua sede a New York la compagnia ha ulteriormente confermato la sua reputazione mondiale. L’obiettivo progettuale ha tenuto conto della densità urbana: spazi di lavoro individuali estremamente ridotti che si aprono su zone di condivisione, distribuite secondo un gradiente di riservatezza. Gli architetti hanno riprogettato la sede con una logica seria ma lungimirante: assecondando la volontà di Neal Arthur, direttore della sede di Manhattan, di evitare la trappola di creare un’architettura forzatamente informale, hanno preferito lasciare alle persone, ognuna con il proprio carattere e personalità, il compito di dare all’ufficio un clima particolare. Il progetto incorpora il maggior numero possibile di spazi di discussione e incontro, con ambienti di diverse dimensioni e differenziati livelli di privacy. Fulcro dell’intervento è la circolazione interna e il raccordo fra i livelli dell’edificio: due ampie aperture circolari sono state praticate nei solai, collegando i piani con rampe di scale monumentali. La scala al livello inferiore, la Coin Stair, rivestita in legno di noce, oltre a mettere in relazione due livelli incorpora sedute e può essere trasformata in auditorium e spazio di incontro informale. A unire i due piani superiori è invece una scala a spirale in metallo perforato dipinto di bianco: due gioielli architettonici che uniscono la funzionalità con un forte segno architettonico. Infine, per incentivare la vita all’aperto, sono state rimosse le vetrate dello spazio a doppia altezza tra il sesto e il settimo piano trasformando l’intero ambiente in un giardino dove rilassarsi e perfino seguire lezioni di yoga.

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Shared workspaces Advertising agency Wieden+Kennedy has a consolidated reputation for its innovative approach to work and staunch patronage of contemporary architecture. This was further confirmed when it commissioned WORKac to restyle the company’s New York headquarters. The new program is in keeping with the concept of urban density. Individual workspaces have been considerably reduced to make way for large communal areas, which, although areas of shared work and exchange, have nonetheless been laid out to ensure different degrees of privacy. The logical sequence of environments has also been designed with the future in mind, heeding the recommendation of Neal Arthur, head of the Manhattan office, to avoid the pitfall of creating excessively informal architecture, but rather give individuals the possibility of putting their own character and personality into their workplace. The new program includes many discussion and meeting areas of different size and privacy levels. Key to this plan are the internal horizontal and vertical circulation routes. Two large circular openings in the floor slabs contain monumental staircases connecting the floors. On the lower level, the walnut-clad Coin Stair also serves as an auditorium and informal meeting place, the steps becoming bleacher seating. Linking the two upper floors is a white painted perforated metal spiral staircase. Both these iconic architectural features combine function and aesthetically pleasing form. The glazed infills on the sixth and seventh floor were removed, and this transformed the whole environment into a garden: a place to relax, and perhaps attend a yoga class.

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Arizona House Tubac (AZ), USA | 2016

Una serra nel deserto L’ambiente del deserto ha sempre attratto e ammaliato l’uomo, con il suo clima estremo e i suoi paesaggi sconfinati. Gli architetti sono, più di altri, soggetti a questo fascino, fonte per loro di riflessioni su nuovi modi di vivere e di abitare. Dall’esperienza sorpassata delle Earthship degli anni Settanta - una tipologia di residenza passiva, a energia zero, completamente indipendente dal punto di vista idrico ed energetico - è nata l’ispirazione per questa casa monofamiliare che si erge nel deserto dell’Arizona. Come l’unità abitativa Earthship, la residenza è totalmente scollegata dalle reti di approvvigionamento idrico ed energetico. La composizione di forme e materiali è il risultato di uno studiato equilibrio tra peso e leggerezza: sollevata dal terreno, la residenza poggia su un massiccio volume di mattoni che assorbe il calore durante il giorno restituendolo durante le fredde notti del deserto. Al suo interno racchiude le camere da letto, una toilette compostante, la cucina, un loft per gli ospiti, il serbatoio di raccolta dell’acqua e un camino. Al di sopra di questo primo elemento, si innesta il secondo volume in mattoni di forma scatolare, che attraverso un ampio aggetto, offre ombreggiamento al patio sottostante. Verso sud, una leggera struttura vetrata, coperta da pannelli fotovoltaici nella parte superiore, si appoggia parzialmente a sbalzo alla struttura in mattoni con un’inclinazione ottimale di 40°. Proseguendo la sua corsa fino a formare un triangolo libero, permette di convogliare i flussi di aria calda verso l’alto. Ospita la zona soggiorno e una vera e propria serra. Condutture collocate nel terreno provvedono a una ventilazione naturale limitando il ricorso all’aria condizionata. Oltre al patio, che confina con il giardino, una seconda zona per la vita all’aperto è offerta dalla terrazza sul tetto del parallelepipedo in mattoni cui si accede da una scala con la stessa inclinazione della veranda: ospita, oltre a un camino e a un barbecue, un giardino di cactus.

Esploso assonometrico Exploded axonometric view

A greenhouse in the desert The desert has always held great fascination for man on account of its extremes of climate and boundless horizons. Architects especially fall under the desert’s spell for the way it prompts thinking about new ways of living in harmony with our Earth. This family residence in the Arizona desert took its cue from Earthship, the first passive house typology, totally off-grid and water-consumption neutral designed in the 1970s. Like Earthship, this residence is completely independent of the power grid and general water mains. The combination of shapes and construction materials is the result of a careful play off between solidity and ineffable lightness. The house cantilevers over a massive adobe brick volume that absorbs heat during the day and releases it during the cold desert nights. Inside are the bedrooms, a composting toilet, the kitchen, a loft guestroom, the rainwater-collecting cistern and a fireplace. A second, box-shaped adobe brick volume rests atop, cantilevering out to create a cool ground floor patio. A lightweight glazed structure, its upper part covered with photovoltaic panels, sits on the south-facing side of the brick volume. It too cantilevers out from the building to create a shaded area underneath. Inclined at 40° for optimal photovoltaic plant efficiency, the triangular shape sets up a stack system venting warm air from the top of the building. This greenhouse living area is cooled by a system of sunken pipes providing natural ventilation and limiting the need for mechanical air-conditioning. There are two outdoor living areas: a ground floor patio giving onto the garden, and a roof terrace atop the brick parallelepiped volume. Accessed by a staircase set at the same inclination as the glazed roof, the terrace has a fireplace, barbecue and cactus garden.

Sezione trasversale Cross section

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Stealth Building New York, USA | 2016

Un superattico nascosto Dietro l’elegante e austera facciata in ghisa di uno degli edifici storici più belli di Tribeca risalente al 1857 si nasconde un intervento che coniuga conservazione e innovazione. Nel rispetto del regolamento edilizio di New York, che prevede per i palazzi storici sopraelevazioni completamente invisibili dalla strada, è stato effettuato uno studio sulle ombre e i profili degli edifici adiacenti per poter mascherare l’addizione. La forma scultorea della nuova copertura, pieghettata secondo precise direttrici, è il risultato del cono visivo tracciato dal punto più lontano possibile dall’edificio: le superfici inclinate e sovrapposte del tetto derivano dalla combinazione delle proiezioni simulate dei profili del frontone triangolare dello storico Carey Building adiacente, del frontone circolare dell’edificio stesso e del corpo di un ascensore dismesso. Dalla sovrapposizione delle ombre create da questi tre elementi è risultata un’area sufficientemente grande per sviluppare un ampliamento. L’edificio ospita tre appartamenti di circa 150 mq ognuno, sviluppati sull’intero piano, più un attico collegato al superattico di 160 mq per un totale di circa 310 mq di residenza. All’interno, gli architetti hanno voluto creare spazi che combinassero elementi naturali con soluzioni originali di arredamento: ogni abitazione racchiude infatti un “appartamento bonsai”, dell’altezza di non più di 1,20 m, uno spazio terzo tra le camere da letto e la zona giorno collocato sopra il blocco dei servizi e disimpegno, con sedute, futon e piccole serre. Gli ambienti contemporanei e le linee nette e frammentate del nuovo intervento si affiancano in modo volutamente contrastante alle forme neoclassiche del prospetto. Nel progetto di restauro della facciata WORKac ha coinvolto anche l’artista Michael Hansmeyer, che ha ricreato i capitelli corinzi, andati persi negli anni: partendo dai classici motivi floreali, attraverso una modellazione frattale a computer ha fatto crescere nuove forme pur rimanendo fedele alle vecchie proporzioni. Un edificio che si presenta classico e tradizionale ma che rivela a un’attenta osservazione delle sue forme e proporzioni una strategia di progettazione contemporanea.

A secluded penthouse Behind the elegant, austere cast iron façade of one of Tribeca’s most beautiful historic buildings dated 1857 is a modern architectural program combining preservation and innovation. As a rooftop addition, the penthouse had to be invisible from the street to comply with New York City’s Landmark Commission Code. This required careful study of the shadows cast by the profiles of the adjacent buildings to ensure it remained hidden. The sculptural folds of the new roof follow a strictly designed configuration based on the visual cone drawn from the furthest possible point from the building; the sloping overlapping roof surfaces are derived from a combination of simulated projections of the triangular pediment of the adjacent historic Carey Building, the circular pediment of the building on which the penthouse was to stand, and the bulkhead of an abandoned elevator. The area in shadow created by these three elements was large enough to contain the new volume. The building itself has three 150-sqm apartments, each covering one floor, plus a top-floor now connected to the new 160 sqm penthouse, bringing the new duplex to a total of 310 sqm. Inside, the spaces combine natural elements with original furnishing solutions. Every property includes a “bonsai apartment”. No more than 1.2-m high, this “third space” lies between the bedrooms and day zone above the services block and vestibule, and is furnished with seating, futons and a small conservatory. The contemporary environments and clean sleek lines - the result of gut renovation - contrast deliberately with the neoclassical elevations. WORKac engaged with artist Michael Hansmeyer on the restoration of the façade. Hansmeyer recreated the Corinthian capitals that had been lost over the years. Referring to classic floral patterns, he used computer fractal modelling to develop new forms in keeping with the proportions of the elevation. The result is an outwardly classical design that on closer inspection reveals its strikingly contemporary character.

Render di studio dei capitelli Rendering of the capitals

Assonometria dell’“appartamento bonsai” Axonometric view of the “bonsai apartment” 24

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Schemi di studio del cono visivo e delle proiezioni dei profili Study diagram of visual cone and profile projections

Sezione longitudinale dell’“appartamento bonsai” Longitudinal section of the “bonsai apartment”

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Beirut Museum of Art

Un modello di facciata aperta per un museo contemporaneo

Beirut, Lebanon | 2016

Nell’epoca contemporanea i musei svolgono un ruolo fondamentale nel dibattito architettonico dovendo rispondere a una serie di istanze, non raramente contraddittorie: dimensioni maestose e ambienti spaziosi associati a zone più riservate e di raccoglimento, flessibilità e praticità inserite all’interno di architetture iconiche, esposizioni di lavori di artisti già affermati accanto a installazioni di giovani emergenti, facile accesso al grande pubblico e al contempo garanzia di sicurezza. Sono una sfida molto interessante per gli architetti contemporanei, nonché un’eccellente vetrina e un’occasione per lasciare la propria impronta. Le città del Mediterraneo si caratterizzano per architetture aperte, protese verso l’esterno con terrazzi e balconi: il progetto di WORKac per il Museo d’Arte di Beirut è imperniato intorno al concetto di balcone come elemento risolutivo per innescare un modo completamente diverso di concepire la facciata di un edificio. Il balcone si trasforma, così, in un’intercapedine svincolata dalla logica funzionale dell’interno; diventa un’unica galleria all’aperto su più livelli collegati da rampe con una fruizione indipendente dal museo. Gli spazi espositivi dell’interno, formali e neutri, trovano un interessante contrappunto nella sequenza verticale delle 94 “sale” all’aperto che ospitano funzioni diverse e non convenzionali. Caratterizzati dalla massima flessibilità, gli spazi esterni si trasformano adattandosi alle esigenze delle attività ospitate: possono essere chiusi con sistemi oscuranti o con vetrate oppure lasciati completamente aperti. L’edificio costituisce un modello futuro per i musei contemporanei, promuovendo una tipologia ibrida che coniuga la dimensione pubblica con quella privata, la funzionalità con l’iconicità.

Schema che mostra lo sviluppo della facciata Diagram of the façade program

Open façades for a contemporary museum Museums play a fundamental role in the contemporary architectural debate. They are frequently called upon to meet contradictory demands: be a monumental presence and yet provide ample environments for contemplation and individual reflection, be flexible and practical but also iconic, host the works of acclaimed artists alongside installations of emerging talents, and allow easy, friendly access to the general public but at the same time ensure safety and security. Not surprisingly, museums are an interesting challenge for contemporary architects, an excellent showcase on which to leave their mark. The architecture of Mediterranean cities is open, projecting outwards in the form of terraces and balconies. WORKac’s project for Beirut’s Museum of Art employs the balcony as a whole new way of conceiving a building’s façade. No longer the offshoot of the interiors behind, the balcony here becomes an independent exterior space, a unique open-air art gallery arranged on several levels - an independent museum space linked by ramps. The interior exhibition spaces - formal and neutral as tradition demands - form an interesting counterpoint to the vertical sequence of 94 unconventional outdoor “rooms”. Highly flexible, these external spaces can be adapted to a range of activities. They can be closed off with a system of blinds or glazed partitions, or alternatively, left completely open. WORKac’s project is a vibrant model for possible future contemporary museums, a hybrid typology combining the public and private dimension, functionality and iconic status.

Sezione di dettaglio della facciata Sectional view of the façade detail 28

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Sezione prospettica trasversale e longitudinale Cross and longitudinal perspective sectional view

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Kew Gardens Hills Library New York, USA | 2017

La biblioteca del Queens amata dalla sua comunità Kew Gardens Hills è un piccolo sobborgo residenziale del Queens, a New York. La sua biblioteca, la Kew Gardens Hills Library, è un’istituzione e un luogo di incontro e di riferimento per la comunità dei residenti. Allo studio WORKac sono stati commissionati i lavori di ristrutturazione e ampliamento della storica biblioteca, cui gli abitanti sono talmente affezionati da farsi parte attiva del progetto sia in termini di investimenti di fondi sia di competenze, con proposte concrete di soluzioni. L’intervento ha previsto miglioramenti strutturali e la creazione di un nuovo volume con una superficie di quasi 1.000 mq che lascia intravedere la parte originaria dell’edificio risalente alla seconda metà del Novecento. Il nucleo del nuovo intervento, dettato da esigenze funzionali, consiste nella realizzazione di uno spazio pubblico lungo il perimetro della biblioteca: un susseguirsi di ambienti dedicati agli adulti, agli adolescenti e ai bambini. Fulcro di questo progetto è il tetto verde che crea una continuità tra la biblioteca e i giardini degli edifici adiacenti. La copertura presenta falde con inclinazioni diverse che formano “prati” in salita e discesa creando al contempo altezze diverse all’interno degli ambienti e nel disegno dei prospetti. Per la nuova facciata, gli architetti di WORKac hanno tratto ispirazione dall’immagine di un lembo di velo sollevato che rivela così le attività al proprio interno. La facciata si compone di pannelli in cemento rinforzato con fibre di vetro, piegati e increspati secondo un pattern verticale che crea un gioco di luci e ombre: l’alternanza di superfici opache e trasparenti fornisce illuminazione naturale agli interni oltre a stabilire una continuità tra gli spazi.

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A much-loved local library Kew Gardens Hills is a small residential suburb of Queens, New York. Its library, of the same name, is a well-known community venue for its residents. WORKac was commissioned to restructure and extend the old library building, a place local residents so wanted to defend and see improved that they contributed actively with funding and solution proposals. As well as structural improvements, the brief also involved creating a new volume of approximately 1,000 sqm, which, however, had to leave the original volume, built in the second half of the 20th century, at least partly visible. Responding to the functional requirements of a public library, the new program has placed the public spaces around the library perimeter, creating a sequence of different environments catering for adults, teens, and children. A key feature of the project is the green roof, setting up a continuum between the library and the gardens of adjacent plots. The differently pitched sections form an undulating overhead lawn. They also create interestingly variegated elevations, and on the interior, give rise to a series of different height volumes. The design of the new façade takes its cue from the image of a veil being slightly lifted to reveal what’s inside. Glass fiber-reinforced cement panels in rippled curtain-like vertical folds set up a play of light and shadow. The mix of opaque paneling and transparent glazed surfaces permits natural daylighting of the interiors, while the long beam of the wave section allows open-space environments.

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