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Intervista

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Caterina Biasiolo

Caterina Biasiolo, una vita… a tutto sport! 38 / SdP

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ALBERTO CRISTANI VANESSA RIGHETTI

Partita da una realtà parrocchiale di Torino per arrivare alla serie A Verona. Caterina Biasiolo, laterale dell’Audace Calcio a 5, racconta com’è la sua vita da sportiva a 360°, tra obiettivi a breve termine come la permanenza nella massima serie di calcio a 5 femminile, e un futuro che nello sport paralimpico, un mondo del quale Caterina è affascinata e attratta.

Un modo speciale di vivere la pratica sportiva, un momento di confronto e di crescita, specialmente per chi si reputa ‘normale’.

Cosa ti ha portato a Verona?

«A Chieri, dove avevamo la squadra, non abbiamo più potuto andare avanti per problemi economici. Era una realtà quasi parrocchiale e di base non c’erano abbastanza fondi, purtroppo. Dopo aver finito gli studi di Scienze Motorie all’Università di Torino però, si è presentata questa bella proposta da parte dell’Audace e da fine agosto 2021 sono qua a Verona».

Com’è arrivata la proposta con l’Audace? Conoscevi già la società?

«In realtà si, conoscevo già la società dato che ci siamo incontrati e ‘scontrati’ per 3 anni nel campionato di Serie A2. Quando mi hanno contattato non ci ho pensato troppo ad accettare. Qui mi trovo molto bene. L’Audace è una società seria, dove le cose vengono fatte con la giusta calma. C’è una grande attenzione ai dettagli e come giocatrice ho avuto modo di notarlo».

Siete una squadra neopromossa composta da ragazze con esperienza in serie A e altre alla loro prima esperienza in questa categoria, un mix ideale...

«Ci sono state delle difficoltà iniziali, ma visto il salto di qualità che esiste tra l’A2 e la Serie A era inevitabile. Tra le due categorie in realtà esiste un gap molto più ampio, il livello è più intenso e sono richieste capacità maggiori. Tolto il contraccolpo iniziale, adesso abbiamo ingranato e gli allenamenti vanno bene. Ci stiamo tutti impegnando molto e speriamo di poter raccogliere presto alcuni dei frutti seminati fino ad ora. Come dicevi tu, la squadra è ben bilanciata. Abbiamo qualche giocatrice che vive la Serie A da tantissimi anni e questo è un grandissimo aiuto per tutte quelle che, come me, si approcciano per la prima volta a questo campionato».

Come occupi invece il tuo tempo libero?

«Sono riuscita a trovare un contatto con l’Università grazie alla mia tesi di laurea. Tre pomeriggi a settimana sono in facoltà, di supporto ad una professoressa per lavori di tesi, lezioni e progetti di ricerca, tutti aventi come focus lo sport paralimpico. È un tema che ho intenzione di approfondire molto in futuro».

A proposito di sport paralimpico, questo settore sembra finalmente aver superato lo scoglio della diffidenza e della poca attenzione che gli è sempre stata riservata, o no?

«È proprio così. Ogni paraolimpiade fa sempre più numeri e in generale il mondo paralimpico sta crescendo vertiginosamente. Il numero dei tesserati al Comitato Italiano Paralimpico è aumentato tantissimo e questo non può che essere un segnale positivo. Non è uno sport di serie B, è solo differente. Ha altre caratteristiche ma il coinvolgimento che crea è identico a quello dello sport per normodotati».

Cosa ti affascina del mondo paralimpico? Ricordi un’esperienza particolare in questo ambito?

«Le esperienze vissute da questi atleti sicuramente rappresenta qualcosa che reputo unico. Sono persone fortissime, ma non bisogna dimenticare il loro essere umani al 100%. Non dobbiamo vederli come esseri sovrumani. Anzi, è proprio la loro umanità, che di artificiale non ha niente, a renderli incredibili. Ricordo un episodio quando ero alle superiori. Al campo con noi c’era un ragazzo con le protesi alle gambe. Ricordo di non esser riuscita a distogliere lo sguardo da questa persona mentre si ‘montava’ a tutti gli effetti le protesi da corsa. Mi ha affascinato in un certo senso».

So che hai fatto anche esperienze dirette in questo settore. Ti sei mai trovata in difficoltà nel far capire agli altri questo tuo interesse per il mondo paralimpico?

«Si, a Torino tramite l’Università ho avuto modo di svolgere il mio tirocinio presso l’Accademy degli Insuperabili, una scuola calcio che svolge attività su quasi tutto il territorio italiano per ragazzi con disabilità intellettiva. A Sant’Ambrogio, qua Verona, c’è una di queste scuole e sono felicissima di essermi potuta inserire in questo tipo di realtà. Le difficoltà ci sono. Non tutti hanno la sensibilità per capire l’importanza di queste cose. Soggetti con disabilità riscontrano quotidianamente difficoltà a livello pratico, e questo ci dovrebbe già far capire come non ci sia abbastanza attenzione per questa categoria di persone».

A proposito di disuguaglianze reali e percepite. Il calcio a cinque femminile non è ancora arrivato al pari di quello maschile, anche se sembra ci siano segnali confortanti. Cosa ne pensi?

«La strada è ancora molto lunga. Da un lato penso che dovremmo accontentarci dei piccoli passi fatti finora, ma dall’altra riconosco quanto siamo ancora indietro. Mi fa un po’ arrabbiare come il mondo del calcio femminile proceda a mezzo passo alla volta quando invece quello maschile si muova sempre a grandi balzi. Nel calcio a 11 maschile poi, non ne parliamo. Ma anche nella realtà del calcio a 5 ci sono tutt’ora troppe differenze tra cosa viene concesso allo sport maschile rispetto a quello femminile».

Torino-Verona: due realtà diverse. Cosa ti manca di Chieri, il tuo paese, e cosa ti piace di Verona?

«Essendo crescita a Chieri appunto, una cittadina abbastanza piccola, mi mancano molto gli affetti, i familiari e le amicizie che ho lì. Periodicamente torno a casa quindi non è un grosso problema. Verona invece me la sto vivendo proprio al massimo. È una città stupenda che avevo già visitato, piena di posti da esplorare. I veronesi sono simpatici, il loro accento mi piace molto».

Dal punto di vista culinario, sia come cibi piemontesi che veronesi cosa ti piace?

«Adoro l’antipasto piemontese. Mia nonna tutt’ora prepara infiniti vasetti di verdure tagliate in piccoli pezzi, fatte bollire e messe sotto aceto. Di Veronese amo il risotto al tastasàl. Il padre del nostro portiere Agata ce l’ha già cucinato due volte e io lo adoro…».

Come ti vedi tra 20 anni?

«Spero di trovarmi ancora in una realtà dove potrò star bene e sentirmi realizzata. Vorrei rimanere nel mondo paralimpico e, una volta terminata la mia carriera calcistica, vorrei diventasse un lavoro. Sono realtà in cui c’è bisogno di tanto lavoro, specialmente nella ricerca. E io a questo vorrò dedicarmi».

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