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Intervista
INTERVISTA Marcello Rigamonti
The swimming man
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ALBERTO CRISTANI VANESSA RIGHETTI
MMarcello Rigamonti è un uomo ‘di vasca’, uno che nella vita ha vissuto più ore a contatto con l’acqua che sulla terra ferma. Allenatore di nuoto con alle spalle una lunga esperienza, ha ottenuto ottimi risultati scoprendo talenti e portandone alcuni alle Olimpiadi. Da qualche anno Marcello ha deciso di dedicarsi al nuoto paralimpico, dando vita nel 2012 al Verona Swimming Team, società che negli ultimi anni ha avuto un aumento esponenziale per quanto riguarda i tesserati.
Marcello, finalmente l’opinione pubblica sembra essersi accorta che atleti con difficoltà - fisiche, motorie, o anche psicologiche – possono praticare sport esattamente come i normodotati…
«Si può dire che l’anno scorso è iniziata una vera e propria rivoluzione per quanto riguarda il mondo dello sport paralimpico. Grazie al nostro lavoro, alla federazione, al CT Riccardo Vernole e a molti altri siamo stati capaci di andare sulle prime pagine, come è successo a Stefano Raimondi e la sua compagna Giulia Terzi. Finalmente possiamo far capire meglio cosa stiamo facendo. Nel mio caso è iniziato tutto nel 2012 con Xe-
Marcello Rigamonti con il Presidente FIN Veneto Roberto Cognonato.
nia Francesca Palazzo, con lei ho iniziato questo percorso. Nel 2013 ai mondiali di Montreal ho pensato che mi sarebbe piaciuto essere indipendente, creando una società autonoma. Aiutato da Virginia Tortella, Paola Bianco e dal Presidente Marco Bovi abbiamo messo in piedi il Verona Swimming Team. I risultati dal 2012 sono stati moltissimi. Siamo partiti con un’atleta fino ad arrivare, ad oggi, a 32 tesserati. Un dato incredibile che ci riempie di orgoglio».
Negli ultimi anni sembra ci sia una sorta di abbandono dello sport da parte dei ragazzi. Nel mondo paralimpico invece il trend sembra si l’opposto. Una grandissima affluenza di nuovi ragazzi e ragazze che proprio tramite lo sport riescono a stare meglio, non solo fisicamente, ma allargando questo beneficio anche alle loro famiglie. È così?
«Sicuramente. I ragazzi dopo aver fatto sport si sentono riconosciuti, la loro autostima aumenta, a prescindere dalla vittoria. Lo sport è per loro un’opportunità e soprattutto lo sport agonistico è il miglior farmaco che noi possiamo “somministrare” a questi ragazzi. Gli permette di crescere, girare il mondo, non sentirsi più emarginati da questa società. A dicembre abbiamo fatto esordire due ragazzi nuovi, per esempio. È sempre una festa. Vedere questi atleti andare fortissimo e fare tempi incredibili è la vera cura. Questi ragazzi tornano a casa felici, sentono di aver fatto bene. Inoltre, spesso la vita di queste persone si stravolge del tutto».
In che modo cambia la loro vita? Passare dall’anonimato a ribalte improvvise può creare qualche scombussolamento o percezione di sentirsi già arrivati?
«Non è da escludere. Nel mio caso, per esempio, con Stefano (Raimondi )e Xenia (Palazzo) sarebbe facile volare in alto, visti i loro successi. Ma non è così. Questi atleti sanno bene da dove sono arrivati e le difficoltà che hanno affrontato sono già state una sorta di scuola di vita. La disabilità ti fa rispettare e capire le difficoltà degli altri. Essere in piscina alle 7 e mezza del mattino tutti i giorni per anni, conciliando ovviamente impegni come la scuola non è facile. Ma questo aiuta molto nel migliorare la gestione del tempo. Moltissimi dei ragazzi che alleniamo vanno a scuola come tutti gli altri e ottengono voti eccellenti. Colgo l’occasione per sensibilizzare i professori a riconoscere il valore e lo sforzo di uno studente che, fuori dalla scuola, fa anche sport agonistico: purtroppo a volte sembra che lo sport sia una ‘colpa’, una scusa per non studiare”.
A proposito di benefici dello sport: Xenia da ragazza timida e introversa si è trasformata in una persona nuova…
«Senza esagerare, posso dire che Xenia sia l’emblema di quello che dona realmente lo sport. Da ragazzina spaesata e un po’ impaurita che nel 2013 ho accompagnato a Montreal insieme a sua mamma, è diventata una donna che va in giro per il mondo da sola. Il cambiamento che ha fatto è stato radicale. Lo sport può dare ai questi ragazzi, oltre che un beneficio concreto nel presente, anche un aiuto prezioso per potersi garantire un futuro più sicuro. Va spesso anche nelle
scuole a parlare alle classi, dando prova che tutti possiamo ottenere risultati incredibili, anche se la nostra condizione ci sembra sempre la peggiore».
Nel mondo paralimpico l’attenzione alla
cura delle esigenze di ogni atleta è altis-
sima...
«Si, perché ogni persona è un’isola. Non possiamo prendere 10 ragazzi e buttarli in piscina, anche se la fascia di età è la stessa. Su ognuno di loro viene fatto un lavoro di tipo sartoriale, dove ogni cosa deve essere pensata e fatta su misura per le loro esigenze. Chi ha le protesi alle gambe, chi non ha le braccia… Poi è chiaro, lo sport è sport per tutti. Gli allenamenti sono quelli, i sistemi energetici sono quelli, la palestra e gli esercizi sono gli stessi, vanno solo adattati e calibrati ad hoc».
Che obiettivo vi ponete per il 2022?
«Senza dubbio vogliamo consolidarci ma sarei bugiardo se non dicessi che puntiamo a migliorare i risultati. La competizione ci deve essere, sempre, perché anche questa è un elemento di crescita. Per noi, per gli atleti e anche per chi ci sostiene. Solo così lo sport paralimpico potrà trovare sempre più spazio, consensi e visibilità. Per la nostra soddisfazione ma soprattutto per quella dei nostri ragazzi e delle loro famiglie».
È stimolante per te il trovare la formula giusta per ogni atleta?
«Gli allenatori generalmente sono persone molto metodiche. Ma con questi ragazzi ti devi adattare tu a loro. Siamo noi che dobbiamo sviluppare piani di lavoro diversi. Con una nuova ragazza che abbiamo, per esempio, non ho ancora ben capito o trovato il giusto equilibrio e metodo. Serve del tempo, ma è sicuramente divertente trovare la chiave giusta per ogni atleta».
Le spese sono tante e gli sponsor possono fare la differenza. Quanto costa ogni atleta?
«Direi 4-5 mila euro all’anno quelli di punta, circa 700 euro gli altri. Le spese sono enormi e la problematica principale è sostenere i costi. Qua nessuno fa volontariato, nonostante sia sicuramente una causa nobile. Ma allenare a livello agonistico è un impegno che non tiene conto di festività come Natale, Pasque, e nemmeno del lockdown. Siamo sempre in piscina e i nostri allenatori pretendo siano sempre pagati. Costa tutto tanto, dalle trasferte alla palestra. Solo con le quote sarebbe impossibile sopravvivere. Il grosso lo fanno i nostri preziosissimi sponsor come AGSM AIM, Banco BPM, Sterilgarda e Bertolaso. Molti di loro fortunatamente ci hanno riconfermato il loro supporto anche per i prossimi 3 anni».